Periodico di informazione dell’A lto Vicentino
anno X n. 92 - settembre 2021
Schio: United colors of Piazza del Bao - p.8 ◆ “Ai giovani dico di specializzarsi...”, intervista a Pietro Sottoriva - p.16 Thiene: È pronto il nuovo “Corradini”, al via il futuro dello “Scotton” - p.6 ◆ “Ho cominciato con una corsetta...” - p.26
Gioventù integrata
Negli ultimi tre anni a Schio quasi 300 giovani sotto i 25 anni sono diventati cittadini italiani. Est Europa, Magreb e Africa Occidentale sono i territori da cui muovono le storie di questi scledensi di seconda generazione, spesso dotati di doppia cittadinanza, integrati da tempo nel tessuto sociale e culturale locale.
Di mese in mese
Primi pensieri (prematuri) sul prossimo sindaco di Schio
“N
Stefano Tomasoni
el mezzo del cammin” del secondo mandato di un qualsiasi sindaco, quindi nell’avvicinarsi dell’inevitabile cambio al vertice imposto dalla legge, è diffusa l’abitudine giornalistica di prodursi in un esercizio vicino alla chiaroveggenza che consiste nel fare le prime ipotesi su chi potrà essere il sindaco che verrà. D’accordo che se si è a metà mandato vuol dire che ne manca altrettanto, ovvero due anni e mezzo, ma tant’è: dagli scenari futuribili di metà secondo mandato non si scappa. E qualche motivo fondato c’è pure, intendiamoci, visto che la successione a un sindaco in carica non è cosa che si improvvisa, ma è invece una tappa politica
SchioThieneMese
Periodico di informazione dell’Alto Vicentino
Supplemento mensile di
Lira&Lira e La Piazza Direttore Stefano Tomasoni Redazione Elia Cucovaz Omar Dal Maso Mirella Dal Zotto Camilla Mantella Grafica e impaginazione Alessandro Berno Per inviare testi e foto: schiothienemese@gmail.com Per le inserzioni pubblicitarie Pubblistudio tel. 0445 575688
che qualsiasi schieramento, sia quello della maggioranza uscente sia quello (o quelli) di opposizione, deve preparare e maturare per tempo per non rischiare di arrivarci “sulle gambe” e col fiato corto. Visto dunque che a Schio la boa di metà secondo mandato di Valter Orsi è ormai alle porte – mancano giusto un paio di mesi – proviamo ad anticipare i tempi e a svolgere l’esercizio in questione. Anche perché, in effetti, non è poi soltanto un’abitudine giornalistica: in città già si comincia a incontrare qualcuno che nel fare conversazione arriva fatalmente alla domanda “e allora, chi sarà il prossimo sindaco?”. La prima considerazione, ovvia, è che due anni e mezzo in politica sono un’era geologica, durante la quale può succedere ancora di tutto. È un po’ come una corsa ciclistica arrivata a metà percorso: chi è in testa al gruppo può ancora finire in fondo e chi è in fondo può sempre scattare negli ultimi chilometri e fare il vuoto. Oppure può succedere che il gruppo marci compatto fino allo sprint finale e che il vincitore salti fuori in volata. A Schio la situazione attuale sembra dire che a partire favorito per la successione a Orsi sarà il candidato sindaco che il suo schieramento deciderà di esprimere. Perché nei centri medio-piccoli succede spesso così: la maggioranza uscente parte favorita, a patto che abbia sufficientemente ben governato, che non sia politicamente logora e che non sbagli candidato. Ora, non c’è dubbio che l’immagine di Orsi, dopo sette anni e mezzo, sia tuttora solida. Vediamo le doti che occorre riconoscergli: è generalmente apprezzato per l’impegno che mette nell’incarico (di fatto è tutto il giorno in ufficio o comunque “sul campo” e se gli attrezzassero una cameretta con letto e cucinino a Palazzo Garbin sarebbe capace di trasferirsi anche per la notte); mostra di ascoltare la gente e di farlo con reale interesse (e quest’ultimo particolare vale la sua parte quando poi l’elettore ha la scheda in mano); ha costruito relazioni solide con il mondo dell’associazionismo, del volonta-
riato, delle imprese e del commercio; last but not least, padroneggia in prima persona tutti i temi e le questioni cittadine, dalle più grandi alle più piccole. A ben guardare, proprio quest’ultima caratteristica è forse anche il più serio punto debole non tanto suo, ma della maggioranza che lo sostiene. Perché Orsi in questi anni è stato protagonista su tutte le “partite” e le scelte cittadine al punto da fare ombra alla sua stessa squadra. In giunta c’è sicuramente più di qualche assessore che ha acquisito una propria visibilità e mostrato buone carte da giocare, ma nel complesso non si può dire che in questi anni la componente di maggioranza presente in consiglio comunale abbia particolarmente brillato per personalità e visibilità. Senza più Orsi in prima fila, in altre parole, dovrà essere capace di costruire di sé una nuova immagine e una nuova narrazione. Cosa non scontata, la cui riuscita dipenderà ovviamente in gran parte dalla scelta del candidato sindaco. E allora veniamo ai due nomi che dovrebbero partire favoriti. Numero uno: Cristina Marigo, attuale vicesindaco e al secondo mandato come assessore alle politiche sociali. Numero due: Alessandro Maculan, attuale assessore all’ambiente e uomo forte della lista “Noi Cittadini”. A rendere Marigo la candidata più plausibile sono alcuni punti a favore abbastanza evidenti. Se fosse eletta sarebbe la prima donna sindaco di Schio, elemento rilevante in una fase storica in cui cresce nel paese la convinzione che serva a tutti i livelli una governance politica con un’impronta più femminile. Ha poi dalla sua l’esperienza di due mandati in giunta, il secondo da vice Orsi, conoscendo dunque ormai a fondo la macchina amministrativa. Appare, infine, come una figura di mediazione e tutt’altro che di rottura, in grado cioè di essere un buon punto di incontro tra le diverse sensibilità che qualsiasi coalizione esprime. È probabile che, alla fine, tutto dipenderà da lei: se deciderà, cioè, di fare il passo e proporsi come candidata sindaco. Una
Di mese in mese scelta per niente banale, considerato che oggi fare il sindaco di una città come Schio non è un lavoro da tre ore al giorno: magari non è obbligatorio arrivare al “full time” di Orsi, ma comunque indossare la fascia di primo cittadino in una città da 40 mila abitanti è cosa impegnativa. Sicché sarebbe impossibile per Marigo continuare a svolgere normalmente il suo lavoro di avvocato e le si parrebbe davanti appunto una scelta importante, anche di vita. Maculan, dal canto suo, potrebbe essere la scelta più facile se alla fine dovesse prevalere una volontà più marcatamente politica da parte della lista di maggioranza, dal momento che l’assessore all’ambiente è di fatto l’espressione di maggior peso ed esperienza all’interno di “Noi Cittadini”. Se la lista dovesse puntare su una scelta interna e identitaria, insomma, Maculan partirebbe in pole position. La sua ancora giovane età (per allora viaggerà verso i 37) può essere un elemento a favore in termini di freschezza e dinamismo, ma potrebbe anche giocare a sfavore in termini di minore esperienza. Peraltro, dopo aver avuto un ministro degli esteri di 30 anni con nessu-
Lo Schiocco Fuori tutti Quando a inizio agosto è entrato in vigore l’obbligo di avere il green pass per potersi sedere all’interno dei locali pubblici, anche in città nella gran parte dei casi ci si è adeguati e si è iniziato a verificare il possesso del requisito da parte dei clienti: con green pass ci si può accomodare all’interno per le consumazioni, senza green pass si resta ai tavoli del plateatico esterno. Qualcuno poi ha preferito risolvere in alna precedente esperienza di governo un’obiezione del genere non regge più per nessuno, specie in chiave locale. Tutto ciò non significa, beninteso, che vada sottovalutato il centrosinistra e la sua capacità di costruire un’occasione di rivalsa. Se riuscirà a trovare un candidato unitario e autorevole, capace di mettere in moto un nuovo fervore politico nell’area progressi-
tro modo, spiegando che per evitare di fare discriminazioni tra clienti avrebbe eliminato i posti all’interno e accolto tutti soltanto all’esterno. Discriminando a quel punto i possessori di green pass, impossibilitati a scegliere di consumare all’interno. Mettiamola così, è stato un modo per estendere all’intera gestione del locale la principale misura di prevenzione in tempo di Covid: lavarsi bene le mani.[S.T.] sta e di aggregare un elettorato che dovrà essere necessariamente più ampio di quello della somma dei partiti tradizionali, potrebbe tornare quantomeno competitivo e giocarsi tutto in un probabile turno di ballottaggio. Poi s’è detto, due anni e mezzo nella politica italiana, a qualsiasi livello, sono un’era geologica. Il Politicocene. ◆
[4] ◆ Schio Copertina “Amo il Marocco ma in generale direi che sono più italiana che marocchina. Nel mio futuro mi vedo qui, o in un altro paese occidentale”. “Due elementi che più degli altri hanno facilitato la mia integrazione sono di sicuro la scuola e lo sport”.
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Camilla Mantella
utti felici, quest’estate, del medagliere italiano alle Olimpiadi di Tokyo, arrivato dopo la vittoria agli Europei di calcio. L’Italia è tornata, s’è detto. È lo scatto d’orgoglio post pandemico, hanno aggiunto. È la nuova generazione di giovani campioni che si sono allenati in condizioni durissime durante i lockdown, hanno notato. E poi qualche commentatore, all’inizio in sordina, ha sottolineato che è l’Italia dei naturalizzati, dei ragazzi cresciuti qui e nati altrove, dei figli dei genitori di origine straniera o di coppie miste. Dei cittadini per scelta e non per nascita, in un Paese, come il nostro, dove la cittadinanza è un fatto di sangue e non di territorio. Così si sono riaperte le discussioni: che sia ora di introdurre lo ius soli? Meglio che pensiamo a uno ius culturae per i ragazzi che si sono diplomati qui? Oppure rimaniamo allo ius sanguinis e, come succede adesso, i giovani nati in italia da genitori stranieri possono chiedere la cittadinanza al compimento dei 18 anni ma i ragazzi argentini, che non hanno mai messo piede nel nostro paese, possono acquisirla perchè il trisavolo è partito nel 1920 dal Tretto a cercare fortuna in Sud America?
Le tre strade per la cittadinanza Nel 2018 i ragazzi sotto i 25 anni che a Schio hanno acquistato la cittadinanza italiana sono stati 75. Nel 2019 il loro numero è stato di poco inferiore, 69. Nel 2020 il boom, con 146 nuovi italiani. Per un totale, nel triennio, di quasi 300 bambini e ragazzi che, non avendo il diritto di sangue di nascere italiani, hanno acquistato la cittadinanza per altri motivi. Quali? La legge prevede, essenzialmente, tre strade. La prima è spesso la più veloce: i genitori chiedono la cittadinanza italiana perché residenti continuativamente sul territorio
Da sinistra Ion e Dusan, due dei tre giovani nuovi scledensi intervistati. Nella pagina a lato, sopra un’altra immagine di Dusan e sotto di Ion.
I nuovi scledensi come Fatin, Dusan e Ion Negli ultimi tre anni a Schio quasi 300 giovani sotto i 25 anni sono diventati cittadini italiani. Est Europa, Magreb e Africa Occidentale sono i territori da cui muovono le storie di questi scledensi di seconda generazione, spesso dotati di doppia cittadinanza, integrati da tempo nel tessuto sociale e culturale locale. nazionale da più di 10 anni e, una volta ottenuta, i figli minori diventano automaticamente cittadini italiani. La seconda, invece, permette ai ragazzi nati in Italia figli di genitori stranieri che non hanno ancora acquistato la cittadinanza di fare richiesta al compimento dei 18 anni: in questo caso la procedura è semplificata e in un tempo ragionevolmente ristretto – sotto l’anno – si ottiene la cittadinanza. La terza è la più lunga ed è riservata ai ragazzi nati all’estero che fanno richiesta di cittadinanza dopo 10 anni di residenza: è la più lunga perchè la pratica, che un tempo si concludeva in un paio d’anni, con i decreti sicurezza Salvini è stata estesa fino a 4 anni. A Schio i neocittadini under 25 sono provenienti perlopiù dalla Macedonia del Nord, dal Bangladesh, dalla Bosnia, dal Marocco, dalla Serbia, dal Senegal e dalla Romania, anche se pure la Moldavia e il Burkina Faso sono ben rappresentati. Est Europa, Magreb e Africa Occidentale sono i territori da cui muovono le storie di scledensi di seconda generazione, spesso dotati di doppia cittadinanza, perfettamente integrati nel nostro tessuto sociale e culturale e allo stesso tempo consapevoli di una provenienza “altra”.
“Il mio futuro lo vedo qui, o comunque in Occidente” “Sono nata a Schio nel ‘94 - racconta Fatin, diventata cittadina italiana a 16 anni assieme ai genitori, originari del Marocco -.
Sono cresciuta qui, mi sono diplomata al liceo delle Scienze Sociali e ora lavoro come impiegata in un’azienda di Thiene che mi consente di crescere, anche se uno dei miei sogni più grandi rimane quello di iscrivermi all’università. I miei genitori si sono trasferiti in Francia qualche anno fa per motivi lavorativi, ma io sentivo di volermi dare un’opportunità qui in Italia. Sono autonoma e mi mantengo da quando ho 21 anni, se mi guardo indietro vedo la strada che ho fatto e le opportunità che mi hanno regalato i miei genitori venendo qui.Amo il Marocco e la concezione che ho di me stessa dipende molto dal luogo in cui mi trovo e dalle persone che frequento – a volte sento forte il mio legame con la terra da cui proviene la mia famiglia, terra bellissima che visito sempre appena possibile – ma in linea generale direi che sono più italiana che marocchina. Nel mio futuro mi vedo qui, o in un altro Paese occidentale”. “Anche io penso che il mio futuro non possa che essere qui - spiega Ion, arrivato a Schio a otto anni nel 2001 dalla Moldavia -. All’inizio l’integrazione è stata per piccoli passi: sono stato inserito in seconda elementare e pian piano l’Italia è diventata sempre più casa. Sono arrivato qui con mio papà e mio fratello per raggiungere mia mamma che è medico e che, a causa delle difficoltà economiche del nostro paese d’origine, è venuta in Italia per fare la badante e con il tempo è riuscita a conver-
Schio ◆ [5] tire il suo titolo di studio e farsi riconoscere come infermiera: per poter continuare a esercitare come medico avrebbe dovuto sostenere ulteriori esami. Ho studiato a Schio, mi sono diplomato all’Ipsia e ora lavoro qui. In Moldavia ci sono tornato per la prima volta due anni fa: il paese della mia famiglia è prevalentemente rurale, le persone, anche quelle con qualifiche professionali più elevate, sono costrette a fare un paio di lavori per sbarcare il lunario ed è sempre consigliabile avere un po’ di orto e qualche animale per far fronte alle emergenze. È una terra molto bella, anche se povera, ma è chiaro che non potrebbe offrirmi le opportunità che ho trovato qui. Sono diventato cittadino italiano da poco, dopo che la pratica è rimasta in valutazione per oltre tre anni e mezzo: ho fatto la richiesta di cittadinanza per residenza e finalmente è stata accettata”. Cittadino per residenza è diventato anche Dusan, dalla Serbia. “La mia famiglia ha deciso di spostarsi definitivamente in Italia nel periodo della guerra dei Balcani – racconta -. Prima è arrivato mio papà, poi nel 2001 lo abbiamo raggiunto io, mia mamma e mio fratello. Ho inziato subito la scuola, mi sono diplomato all’Itcg e ora sono impiegato nell’ufficio acquisti di un’azienda della zona. Se devo pensare a due elementi che più degli altri hanno facilitato la mia integrazione sono di sicuro la scuola e lo sport: due ambiti dove ho sentito di essere accompagnato, di poter crescere e di poter trovare degli amici. Oggi mi sento metà serbo e metà italiano: una doppia identità che arricchisce ma che porta con sé anche tanti dubbi e pregiudizi: le persone ti sentono come straniero sia qui in Italia, perchè sei nato in un altro paese, sia in Serbia, perché te ne sei andato e ormai il tuo orizzonte culturale è molto diverso da quello di partenza”.
“C’è sempre una parte di te che è straniera, ovunque ti trovi” Le seconde generazioni – così si etichettano i ragazzi i cui genitori non sono nati in Italia – vivono immerse costantemente in un’identità duale: parte del loro vissuto - anche se solo sperimentato attraverso i racconti dei genitori, la lingua parlata in casa o le visite estive a nonni e parenti nella terra d’origine - è fuori dal luogo dove trascorrono la maggior parte del tempo, un luogo che può essere tanto accogliente quanto ostile. “Io vivo la mia doppia cultura con grande serenità e consapevolezza - dice Fatin -. Ho apprezzato molto che la mia famiglia abbia conservato alcue delle nostre tradizioni, che a casa si parlasse arabo, che ci fosse un legame con lo spazio da cui provenivamo. Ma
d’altro canto gli episodi di razzismo o mancata integrazione non sono mai mancati e ultimamente sono peggiorati. Si va dalle urla “torna a casa tua” che mi sono sentita rivolgere attraversando la strada - come se Schio non fosse casa, dopo che sono nata e cresciuta qui – alla maestra dell’asilo che, dopo avermi vista colorare con il pennarello rosa il disegno della mia famiglia mi ha rimproverata chiedendomi di correggerlo ripassandolo tutto con il pennarello marrone e ottenendo solo un bruttissimo disegno su un foglio totalmente rovinato”. “Cerco di non dare peso ai commenti altrui - fa eco Dusan - ma chi è più sensibile può soffrire molto. In Italia sono il ragazzo scappato dalla Serbia, in Serbia sono il ragazzo scappato in Italia, quello che ormai non tornerà indietro. Nella quotidianità non si pensa a questo in continuazione, ma è qualcosa che comunque ti accompagna: c’è sempre una parte di te che è straniera, ovunque tu ti trovi”. “Sono tornato in Moldavia due anni fa conclude Ion - proprio perchè sentivo di non conoscere nulla del paese da cui venivo. Mi trovavo nella situazione un po’ paradossale per cui qui ero il ragazzo dalla Moldavia ma della Moldavia non sapevo praticamente nulla: è stata un’occasione per visitare la terra dove avevo vissuto solo da bambino, esplorarne i bei castelli, godere delle sue cantine – la Moldavia è il Paese con la cantina vinicola più grande del continente europeo – e apprezzare l’ospitalità delle persone, che è molto simile a quella del Sud Italia”. Fatin, Dusan, Ion sono ragazzi cresciuti a Schio che molto probabilmente contribu-
Copertina
iranno alla crescita e allo sviluppo del nostro territorio. Per diventare italiani hanno dovuto affrontare un iter lungo: non è stato sufficiente, per Fatin, nascere qui, né diplomarsi qui per Dusan e Ion. Eppure parlano un italiano perfetto – e alcuni pure un dialetto fluente – conoscono la storia e la cultura nazionale e sono sinceramente grati delle opportunità che la nostra area può offrire loro, nonostante debbano fare i conti con pregiudizi e chiusure. Danno vita alla nostra società e meritano che le loro istanze vengano prese in considerazione. ◆
Lo Schiocco Annaffiatoi no-euro
In cimitero a SS.Trinità gli annaffiatoi di plastica accanto alla fontanella a metà camposanto, prelevabili inserendo una moneta da un euro nell’apposito supporto come si usa con i carrelli al supermercato, sono da tempo inservibili. Altro che gli indistruttibili secchi di ferro che da decenni sono sempre a disposizione dei visitatori per dare acqua ai fiori sulle tombe. Un unico annaffiatoio su cinque, come si
vede nella foto, è prelevabile dalla “batteria” di cui è parte; gli altri quattro sono rotti o non più utilizzabili, perché le scatolette dove inserire l’euro sono scassate e la moneta non fa più scattare e liberare la catenella. Difficile dire se siano più adatti al luogo i secchi indistruttibili, che rimandano un senso di eternità ultraterrena, o gli annaffiatoi scassati, che restituiscono tutto il senso della caducità delle cose terrene. Sia come sia, sarebbe bene sostituire tutta la batteria di annaffiatoi. Se non altro per evitare che le polemiche politiche entrino anche in cimitero, visto che, davanti alle scatolette inceppate dove si dovrebbe inserire la moneta, qualcuno è già stato sentito lamentarsi che “l’euro no funsiona mia”. [S.T.]
[6] ◆ Thiene
La nuova sede ampliata del liceo “Corradin” di Thiene
Attualità
Al “Corradini” i lavori hanno garantito un ampliamento della superficie scolastica di 1.050 metri quadrati, distribuiti sui quattro piani dell’immobile. Per lo “Scotton” è in vista un raddoppio per aule e laboratori.
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Omar Dal Maso
i investe nelle strutture scolastiche superiori, con un nuovo stabile completato per accogliere metà degli studenti del liceo “Corradini” nella cittadella degli studi di Thiene e, a una manciata di chilometri, con l’istituto “Scotton” di Breganze prossimo a sorgere in una sede rinnovata che soddisfi le esigenze mutate e i numeri incrementati dell’ex “scuola professionale”.
Nuova vita per il liceo “Corradini” Per il “Corradini” si tratta tecnicamente di un ampliamento che consentirà, con l’inizio dell’anno scolastico, di portare tutti gli studenti dei licei in un’unica area in zona Conca e vicino all’autostazione cittadina, “spostando” circa 500 adolescenti e una trentina di insegnanti nelle nuove classi. In pratica la metà della “truppa di Corradiniani”, circa mille in tutto. E liberando così i residui spazi occupati in via Del Prete vicino alla stazione dei treni. Il nuovo edificio è collegato alla sede centrale del “Corradini”, ne richiama le linee ed è costato in tutto 4 milioni e 750 mila euro alle casse della Provincia di Vicenza, l’ente territoriale a cui competono gli oneri.
È pronto il nuovo “Corradini” Al via il futuro dello “Scotton” A Thiene sono completati i lavori di ampliamento del liceo “Corradini”, che accolgono i 500 liceali dell’istituto. A Breganze dopo 60 anni è ormai assicurata la realizzazione della futura sede dello “Scotton”.
I lavori di recente ultimazione hanno garantito un ampliamento della superficie scolastica di 1.050 metri quadrati, distribuiti sui quattro piani dell’immobile pronto da “consegnare” simbolicamente a ragazzi e ragazze che sono tornati in questi giorni sui banchi di scuola, alcuni da matricole. In tutto sono 26 le aule dedicate alla didattica, a cui si aggiungono 3 laboratori, 2 locali per le attività di sostegno o i lavoro di gruppo e la sala insegnanti. Step successivo la costruzione della nuova palestra, le cui fondamenta sono già visibili da qualche settimana, e che servirà sia al Liceo che all’Itt Chilesotti.
Per lo “Scotton” arriveranno 9 mila metri quadrati in più Se dunque a Thiene si tolgono i nastri da cantiere, gli stessi nastri saranno estratti tra qualche mese dagli scatoloni a Breganze, dove sta per nascere un plesso scolastico che manderà in onorata pensione dopo 60 anni la storica sede dell’“Andrea Scotton” di via Roma e i distaccamenti vicini, tra cui alcuni locali in affitto.
L’area nella quale verrà costruita la nuova sede dell’istituto “Scotton” di Breganze
Anche qui l’aumento delle domande di ammissione ha fatto sforare la quota-limite di 500 studenti dai 14 ai 18 anni – 550 circa nell’ultima annata – spingendo la Provincia a investire su una nuova casa vista l’impossibilità di contenere in futuro la richiesta. La struttura definitiva sorgerà proprio a ridosso di via Roma. Agli attuali 7 mila metri quadrati se ne aggiungeranno ulteriori 9 mila, per un totale di 16 mila di area scolastica. Come spiegato da Maria Cristina Franco, portavoce dell’ente provinciale, il costo complessivo dell’opera non è ancora stato quantificato ma non dovrebbe scostarsi di molto dalla spesa sopra citata impegnata per il liceo thienese. Qui, infatti, si è da poco conclusa la fase progettuale, a cui seguirà quella della demolizione di alcuni fabbricati per liberare il terreno dove iniziare a costruire, nel secondo stralcio dei lavori. I 16 mila metri quadrati messi a disposizione sono stati valutati idonei a ospitare le due sedi e relativi laboratori, mentre in questo caso una palestra per l’attività motoria e sportiva è già presente. In accordo con l’amministrazione comunale di Breganze, inoltre, è prevista la realizzazione di una zona di scalo per garantire sicurezza per studenti e docenti per il trasporto pubblico. Nascerà così un vero e proprio polo scolastico breganzese: una nuova svolta, dopo l’autonomia che l’istituto di formazione superiore aveva operato nel 1987. Trattandosi di fasi preliminari è prematuro prevedere oggi una data di inaugurazione, ma entro al massimo un paio d’anni si confida di vedere sorgere l’edificio. ◆
[8] ◆ Schio Attualità
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Stefano Tomasoni
ai che si riprova. Restituire un po’ di brio a piazza Almerico è una delle imprese più ardue per chi si occupa degli spazi urbani scledensi, visto il materiale di partenza con cui ci si trova a lavorare. E tuttavia ogni tanto è giusto e doveroso fare un tentativo. È quello che sta facendo ora il Comune con il nuovo intervento di riqualificazione di “piazza del bao”, partito in questi giorni. Nessuna rivoluzione, più che altro si tratta di un intervento sulla pavimentazione, ma si sa che miracoli è difficile farne in quell’area, così pensata e strutturata a metà anni Cinquanta quando quello che allora era il “brolo del Conte” fu ceduto appunto dal conte Almerico al Comune. Realizzata soprattutto nei primi anni Sessanta con il fortino dei condomìni a recintare un anonimo rettangolone asfaltato e adibito a parcheggio, piazza Almerico all’epoca era il simbolo della Schio del boom che aumentava la sua popolazione, mentre oggi è il punto debole del centro, poco appetibile per lo “struscio” degli scledensi e di conseguenza anche per il commercio. Nessun miracolo, dunque, ma qualche in-
Lo Schiocco Più pulizia per Santa Maria La chiesetta di Santa Maria in Valle ha bisogno di manutenzione costante. Ma forse non basta più quella affidata ai volontari che si adoperano per la pulizia e il decoro: la persona che ripulisce più spesso il pavimento dopo le piogge torrenziali segnala di essere costretta a volte ad attendere qualche giorno perché il fondo si asciughi e poter spazzar fuori terriccio e acqua di ristagno. Gli aghi di pino ostruiscono le grondaie, che andrebbero ripulite costantemente da addetti comunali; un altro scolo esterno probabilmente aiuterebbe a evitare, o almeno ad arginare, gli allagamenti. Insomma, sembra che non bastino più soltanto i volontari: per Santa Maria in Valle servono interventi... a monte. [M.D.Z.]
United colors of Piazza del Bao È in corso in piazza Almerico un intervento di rifacimento della pavimentazione (e altri lavori di contorno) che ridisegneranno l’area rendendola più colorata e gradevole. i posti auto verranno colorati con delle resine di varie tonalità di verde e di rosso. Ma resta il problema dei portici e dei tanti negozi sfitti.
tervento terreno sì, si può fare. Due mesi di lavori (e 150 mila euro di spesa) serviranno per rifare l’area di parcheggio: via le betonelle ormai in più zone malmesse, e al loro posto una nuova pavimentazione in asfalto trattato con la tecnica dello “street–print” nelle strisce di delimitazione degli stalli di sosta. In altre parole, i posti auto verranno colorati con delle resine di varie tonalità di verde e di rosso, per ravvivare il tutto creando una zona “calda” e una zona “fredda”. Il risultato, come si vede nel rendering qui accanto, sembra effettivamente gradevole. Sarà installata una fontanella, verrà riverniciato il “bao” e saranno inseriti nuovi pali per l’illuminazione pubblica, anch’essi colorati. I lavori saranno divisi in tre fasi per poter intervenire senza compromettere troppo gli spazi per il mercato. Tutto comunque è stato concordato con il mondo del commercio locale. “Un intervento necessario per far fronte alle problematiche di sicurezza causate dall’attuale pavimentazione che in più punti risulta sconnessa per l’intenso transito di veicoli e per la presenza di mezzi pesanti durante i giorni di mercato” ha spiegato il sindaco Valter Orsi. La curiosità di vedere la nuova piazza colorata c’è tutta. Resta anche una convinzione, però: fintanto che non sarà possibile mettere mano ai portici, che in più punti risentono in modo evidente dell’età, gli interventi di contorno possono sortire qualche risultato, ma difficilmente potranno rivitalizzare davvero la piazza. Portici “rinati”, con nuova pavimentazione, nuova
illuminazione e colonne rigenerate, renderebbero più interessanti anche gli spazi commerciali, con qualche saracinesca oggi abbassata che forse tornerebbe a rialzarsi. Ma i portici sono spazi privati, di pertinenza dei condomìni, e nulla si riuscirà mai a fare se prima non si trova una modalità di compartecipazione tra pubblico e privato, quindi tra Comune e proprietari, per coprire i costi di un intervento. Non resta dunque, intanto, che lavorare sugli spazi pubblici, così come ora si sta facendo. Fra un paio di mesi si vedrà il risultato del restyling cromatico. Certo, i rendering fanno venire in mente il tabellone del Gioco dell’Oca. Speriamo che, dopo essere entrata nell’immaginario collettivo come “piazza del bao”, adesso l’area non diventi “piazza dell’oca”. ◆
Schio ◆ [9] Qui e sotto, due immagini di repertorio di vita in Aghanistan
Attualità
A Schio in fuga dall’Afghanistan Il ponte aereo per l’evacuazione di civili dal paese asiatico tornato in mano ai talebani hanno portato in città sei profughi – una giovane coppia con quattro bambini – nell’ambito della rete di accoglienza attivata anche in provincia.
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Camilla Mantella
i sono dei momenti che si imprimono indelebilmente nella memoria collettiva: cesure che segnano un prima e un dopo, eventi e immagini che ritornano alla mente a distanza di decenni. La fuga della popolazione afgana dall’ingresso dei talebani a Kabul è uno di quei momenti e l’agosto del 2021 sarà ricordato per un lungo periodo. Non solo come la storia di un esodo verso la libertà da parte di un popolo spaventato, ma anche come qualcosa che è riuscito a toccare le comunità di buona parte del mondo. L’Italia, al momento in cui stiamo scrivendo, ha accolto circa 5 mila profughi afgani. Sei di questi sono giunti a Schio, che fa parte della rete dei Comuni che, su indicazioni della Prefettura, si è attivata per fornire ospitalità e servizi alle persone che scappano dal nascente governo talebano. Un evento drammatico, vissuto come molto lontano, si è fatto così vicino e concreto: anche qui, ai piedi delle nostre montagne, c’è un pezzetto di Afghanistan in fuga. “Siamo stati contattati dalla Prefettura in un contesto di grande emergenza - spiega Cristina Marigo, vicesindaco e assessore alle politiche sociali -. Attraverso le cooperative che rientrano nella rete dei Centri per l’Accoglienza Straordinaria, la Prefettura ha distribuito nei comuni della provincia alcune famiglie di richiedenti asilo arrivati con i ponti aerei di fine agosto. Persone con ottime possibilità di ottenimento dello
status di rifugiato e che ora stanno vivendo una situazione estremamente delicata. Alla famiglia ospitata a Schio, una giovane coppia con quattro bimbi sotto i 10 anni, abbiamo offerto tutti i servizi sociali ed educativi di cui può avere bisogno. Al momento ci è stato raccomandato di mantenere il massimo riserbo sulla loro presen-
“Alla famiglia abbiamo offerto tutti i servizi sociali ed educativi di cui può avere bisogno – dice la vicesindaco Cristina Marigo -. Ancora una volta la città si è dimostrata accogliente, con molti cittadini che si sono offerti per portare aiuto e conforto a queste persone”. za, perché parte della famiglia è ancora in Afghanistan e potrebbe subire delle ritorsioni qualora venissero facilmente identificati come dei fuoriusciti, ma l’intento è quello di garantire la migliore integrazione possibile”. Non si sa ancora se nelle prossime settimane giungeranno altri profughi e le modalità della loro accoglienza sono tutte in divenire. “Con i comuni dell’Alto Vicentino aderenti alla Rete SAI (ex SPRAR) - prosegue
Marigo - ci stiamo confrontando per attivare i percorsi di integrazione diffusa sul territorio che hanno già dato buoni frutti in passato e che fanno leva sulle competenze di cooperative dedicate al tema; a Schio, ad esempio, possiamo contare sulla professionalità de ‘Il Mondo nella Città’. Al di là del trovare uno spazio per l’accoglienza, ciò che preme è anche sostenere l’inserimento sociale dei profughi.Alcuni imprenditori si sono già resi disponibili a offrire percorsi di inserimento lavorativo e ne siamo loro davvero grati, ma dobbiamo riuscire, accanto alla generosità dei privati cittadini, a costruire percorsi che da un lato rispettino l’iter burocratico della richiesta d’asilo politico e dall’altro vengano incontro con competenza alle tante esigenze di famiglie che hanno sperimentato e stanno sperimentando profondi cambiamenti”. Il Comune di Schio ha già dato la disponibilità di attrezzare i locali dei chiostri della Chiesa di San Francesco, solitamente usati per i pellegrini della Romea Strata o per visitatori temporanei, per l’accoglienza, ma si tratta ovviamente di soluzioni d’emergenza. “Sono locali che potremmo sfruttare qualora si rendesse necessario ospitare in breve tempo più persone contemporaneamente conclude Marigo -. Tuttavia con alta probabilità i profughi afgani dovranno stabilirsi per un tempo più lungo nelle varie comunità italiane che li accolgono. Il Comune dispone di alcuni appartamenti usati per finalità sociali, ma il loro numero è ridotto e, in ogni caso, dobbiamo sempre cercare di avere dei locali liberi per famiglie che vengono colpite da calamità (come l’incendio della propria dimora, ndr) o vittime di violenza che hanno bisogno di un luogo sicuro dove riparare. In ogni caso attualmente la Rete SAI in Italia ha ancora circa 4 mila posti letto disponibili, per cui al momento tutti i richiedenti asilo dovrebbero riuscire a trovare una collocazione. Mi preme sottolineare, in questo periodo di attesa e assestamento, quanto ancora una volta Schio si sia dimostrata accogliente, con molti cittadini che si sono offerti spontaneamente per portare aiuto e conforto a queste persone”. ◆
[10] ◆ Thiene Attualità
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anca ormai solo una sorta di cittadinanza onoraria simbolica per i simpatici volatili dalla “crapa pelata”, gli esemplari di ibis eremita che ogni anno (o quasi) fanno tappa fissa all’Aeroporto “Ferrarin” di Thiene. Una tradizione che si ripete dal 2014 e che anzi si riprende, dopo la pausa forzata a causa della pandemia. E chissà se proprio loro, nel corso del 2020, si sono chiesti come mai lo scorso anno fosse “saltata” la trasvolata dell’Altovicentino e la planata sopra Rozzampia, meta gradita anche per assaggiare i prodotti tipici del territorio – in questo caso però si parla di insetti, lombrichi e piccoli rettili perlopiù - per poi appollaiarsi, a pancia piena, in una gabbia appositamente costruita per sorvegliarli nelle ore notturne. A fine agosto lo stormo di ibis, uccello migratore a rischio estinzione per il quale è in corso un progetto di ripopolamento in Europa che sta portando buoni frutti, è “atterrato” sulla pista verde inserita nel contesto dello scalo thienese, seguendo il
All’arrivo all’aeroporto “Ferrarin”, gli ibis sono accolti dai ricercatori del progetto “Waldrappteam” che ne seguono la migrazione. Nella foto piccola, lo stormo di ibis in arrivo a Thiene, seguito dai “velivoli madre” che li accompagnano.
Gli ibis fanno il bis I 28 esemplari a rischio estinzione sono atterrati all’aeroporto di Thiene e si sono fermati un giorno in più rispetto al previsto, attendendo il meteo favorevole per riprendere la migrazione
velivolo “madre” che li guida a svernare dall’Austria (Rosegg) all’Oasi di Orbetello, in Toscana. Una tappa intermedia, con la città di Thiene che come negli anni scorsi ha offerto ospitalità ai referenti del progetto “Waldrappteam”. E alla famiglia di volatili nati nell’ultimo anno, allargata a ben 28 esemplari. Ogni tanto qualcuno si perde durante la rotta migratoria, magari attirato da qualche bocconcino avvistato sui
Il “Cavaliere” di Sola Gilberto Sola, autore esordiente di Zanè, ha accettato l’invito a presentare la sua prima opera solo “a casa”, protagonista – insieme a uno staff composto da “compaesani” con il trio Genio, Pio e Foscari agli intermezzi musicali – di una serata culturale nell’ambito della rassegna estiva proposta dal Comune. E pensata per far conoscere al pubblico locale “Il Cavaliere d’Altromondo”, scritto dal 64enne e pubblicato da Europa Edizioni. In sintesi è la storia di un papà – Biagio – e di suo figlio – Tobia – che scorre su due dimensioni: una di favola e l’altra di “pepata” realtà, in virtù dell’incontro con una donna che infiamma gli otto giorni di vacanza in cui si svolge la vicenda. Dove? In una nota località balneare del litorale adriatico qui “ribattezzata” Schiumarea. Ma con indizi disseminati qua e là per riconoscerla. Nelle 181 pagine a fare da sfon-
do è il “salato”, stavolta, del mare, alcuni personaggi reali che strappano sorrisi e anche gli Europei di calcio del 2000 che, per l’Italia, si conclusero in maniera meno fortunata di quelli più recenti. [O.D.M.]
prati grazie all’occhio aguzzo “d’aquila”, ma tutti sono costantemente monitorati e seguiti dai volontari, cercando di tenerli alla larga dai bracconieri, il pericolo n°1 per la sopravvivenza di questa specie. Tutti e 28 hanno un nome di battesimo e un “braccialetto” con georadar che permette di tenere d’occhio gli spostamenti. Il viaggio è stato tormentato per molteplici rinvii alla partenza in direzione Thiene, e poi proprio dall’aeroporto Ferrarin. I “pennuti” dal caratteristico becco affilato hanno pernottato qui per oltre due giorni, anziché uno come nelle previsioni, ripartendo l’ultima domenica di agosto – con meteo finalmente favorevole al “decollo” per puntare alla destinazione finale nella laguna di Orbetello, nel Grossetano, dove trascorreranno la stagione fredda. In Alto Vicentino è stata ospitata pure una troupe televisiva della Bbc, che sta seguendo gli uccelli, sempre meglio guidati dal particolare mezzo aereo che riconoscono come guida. Qualche nota curiosa è rivelata dagli accompagnatori: nel corso della migrazione recente si è registrato un record che ha sorpreso i ricercatori e i volontari che lavorano al progetto di reintroduzione della specie in Europa. Grazie a una corrente termica favorevole, infatti, gli ibis hanno sorvolato le Alpi a una velocità media dai 58 km/h, con punte massime di 78 km/h, godendosi il panorama da un’altitudine di volo sopra i 2 mila metri. ◆ [O.D.M.]
[12] ◆ Schio Una foto “storica” del negozio quand’era in viale SS.Trinità, al centro si distingue il fondatore Pietro Casarotto e a destra il figlio Gianni
Il personaggio
Gianni Casarotto ha detto stop S
Stefano Tomasoni
i può avere un negozio di elettrodomestici e telefonia mobile, far parte di una famiglia che a Schio e nell’Alto Vicentino in questo settore ha fatto la storia, e non avere mai avuto un cellulare? Si può, chiedere a Gianni Casarotto. Il primo dei nove figli di Pietro Casarotto – il fondatore di una vera e propria dinastia di commercianti tra Pievebelvicino e Schio, mancato nel 2015, a lungo presidente dell’Ascom locale prima di Guido Xoccato – non ama i telefonini e non ne ha mai voluto avere uno. Ma la notizia non è questa, ovviamente: la notizia, nel suo piccolo, è che a 66 anni, di cui gli ultimi 46 trascorsi sempre al lavoro, Casarotto ha deciso di “appendere la spina” al chiodo. È arrivato il momento della pensione anche per chi come lui, insieme appunto al capostipite Pietro e poi ai numerosi fratelli, ha incarnato per quasi mezzo secolo la figura del venditore di tutto ciò che l’evoluzione tecnologica ha via via portato nelle case e nelle abitudini quotidiane di ogni famiglia. Aveva preso posto dietro il bancone del negozio (all’epoca in viale SS.Trinità) ad appena vent’anni, fresco diplomato all’Itis “Rossi” di Vicenza in telecomunicazioni. Adesso che è andato in pensione, familiari e dipendenti gli hanno confezionato un poster goliardico del tipo di quelli che si fanno per la laurea. È lì che si scopre che uno dei compagni di viaggio di Casarotto per tutti questi anni – anzi, ancora da prima: da quand’era bambino – è stato Tex Willer. Del ranger dall’eterna camicia gial-
Dopo 46 anni (quarantasei!) di lavoro, il primogenito del compianto Pietro Casarotto, il fondatore di una vera e propria dinastia di commercianti di elettrodomestici tra Pievebelvicino e Schio e a lungo presidente dell’Ascom locale, ha appeso la spina al chiodo. Dopo aver accompagnato mezzo secolo di cambiamenti nel commercio cittadino.
la, in effetti, il nostro ha letto tutti gli albi, dal numero 1 all’ultimo attualmente in edicola: “A nessuno era concesso di poterli toccare e quando li leggevi non si potevano piegare le pagine”, si ricorda nel papiro. Gianni, che all’anagrafe è Giovanni Silvio, come detto è il primo della lunga stirpe messa al mondo dai genitori Pietro e Maria: dopo di lui l’elenco comprende, nell’ordine, Chiara, Riccarda, Fabiola, Filippo, Silvio, Fabiano, Lorenzo, Luisa. In tutto,
cinque maschi e quattro femmine. Nell’attività di famiglia oggi se ne ritrovano ben sei.
Casarotto, i suoi anni di lavoro sono arrivati a 46 anni, ma suo papà Pietro era partito quasi settant’anni fa. Era l’epoca del boom economico, gli elettrodomestici entravano nelle case degli italiani: la televisione, la lavastoviglie, la lavatrice... Vogliamo ricordare quegli inizi?
“Mio padre aprì il primo negozio a Pievebelvicino nel 1952. L’anno prossimo saranno effettivamente settant’anni… Poi quando la Lanerossi di Pieve si trasferì, decise anche lui di spostare l’attività a Schio.All’epoca i rivenditori della città lo lasciarono venire a patto che restasse fuori “dalle mura”. Così aprì a SS.Trinità e in fin dei conti è stata una fortuna. In quel momento in viale SS.Trinità c’era un unico palazzone, quello prima dell’incrocio del semaforo, sulla destra in direzione Santorso. Poi furono costruiti altri edifici e condomìni e col tempo il negozio si spostò dall’altra parte della strada, subito dopo l’incrocio. Io arrivai nel 1975, a vent’anni, e all’inizio aiutavo mio padre nelle piccole cose”. Com’era il lavoro in quegli anni? E come è cambiato mentre la città cresceva insieme ai consumi della gente?
“In quegli anni in negozio c’era tanto tempo da far trascorrere, perché la gente di solito arrivava verso sera, al termine della
Schio ◆ [13] giornata di lavoro, oppure al sabato, quando aveva più tempo per gli acquisti. Durante la giornata c’erano pochissimi clienti. Io dopo qualche tempo cominciai a sostituire più spesso mio papà, che si doveva assentare per impegni legati alla cooperativa di rivenditori che aveva formato – si chiamava Ecoitalia – e di cui era stato nominato presidente. Un incarico che lo portava a girare spesso per l’Italia”. Una cooperativa di rivenditori a metà anni Settanta era roba da pionieri.
“Vero. Prima che qui partisse la grande distribuzione, in zona si era già costituita una cooperativa, con sede a Malo, di cui facevano parte vari rivenditori di elettrodomestici della zona, come Agosti di Malo, Bertoldi di Piovene… Tutti rivenditori Rex che partirono motivati da una rivendicazione che in quel momento avevano in corso con la Zanussi: l’azienda premeva perché ogni commerciante comperasse parecchia merce e ogni singolo negozio avesse il suo magazzino. I rivenditori la vedevano diversamente, allora mio papà ebbe l’idea di mettersi insieme tra negozianti e creare un magazzino unico. Così nel 1976 prese vita Ecoitalia. Erano i primi gruppi di acquisto, in pratica. Nel tempo la cooperativa è diventata una Srl ed è entrata nel gruppo nazionale che possiede il marchio Trony. Ogni venditore comunque è sempre rimasto indipendente”.
Guardando indietro a questi 46 anni di lavoro, qual è il primo pensiero che le viene in mente?
“Mah, penso che essere venuti nella sede attuale, nel 2000, fu un passaggio a una dimensione diversa da quella che avevamo fino a quel momento a SS.Trinità, i primi sei mesi li vissi personalmente con una certa apprensione, prima di adattarmi alla novità. A SS.Trinità eravamo un negozio di quartiere, ma anche passando poi alla dimensione maggiore abbiamo sempre puntato sul dialogo con i clienti. Certo una volta c’era più tempo, si arrivava a stare anche un’ora con un singolo cliente, per completare un acquisto. Adesso una cosa del genere è impensabile. Questo è il contrasto più grande con il passato: il tempo oggi ha una dimensione diversa”.
Dunque è possibile passare dall’essere negozio di quartiere a realtà della grande distribuzione senza perdere per strada, alla lunga, l’identità di partenza?
“Una volta in negozio c’era più tempo, si arrivava a stare anche un’ora con un cliente, per completare un acquisto. Adesso è impensabile. Questo è il contrasto più grande con il passato: il tempo oggi ha una dimensione diversa”. biamo voluto tenere un cordone ombelicale tangibile con quello che ha fatto papà”. Senta, cos’è questa cosa che lei non ha il cellulare? Sta scritto nel “manifesto” che le hanno dedicato per la pensione. È tutto vero?
“Sì, in effetti sono uno dei pochi a non averlo mai voluto. Fin dall’inizio. Perché ho sempre pensato che sia uno strumento difficile da controllare: è utile, non c’è dubbio, ma poi finisce che è lui a prendere il controllo di noi, non viceversa”.
Però è un po’ un controsenso: un commerciante di elettrodomestici senza cellulare. A questo punto, ai clienti dovrebbe sconsigliarne l’acquisto…
(sorride) “Tanti non credono che non abbia il cellulare e pensano che lo dica perché non voglio dar loro il numero. Invece è così. Quello della telefonia è stato l’unico reparto in cui non ho mai venduto. Ho preferito occuparmi di televisori, stereo e di tutto resto. Ma niente telefonia”.
Suo padre in effetti aveva questa capacità di captare e anticipare i cambiamenti che andavano maturando. Una figura sui generis per il mondo del commercio locale...
“Ha sempre guardato avanti. Anche la sede nella quale siamo adesso lo conferma: siamo venuti qui nel 2000 come Tecnocity, ma mio papà era già da un po’ che pensava di trasferire il negozio qui. Perché negli anni Novanta cominciava a vedere il problema dei parcheggi a SS.Trinità: ormai la gente si muoveva sempre più in automobile, e se non ci fossimo trasferiti saremmo finiti soffocati”.
E adesso che non c’è più il negozio a cui pensare?
Ha citato Tecnocity. Tanti in città ricordano ancora quel marchio storico…
“Era nato nel 1991. Prima a SS.Trinità fuori dal negozio l’insegna era Casarotto Ecoitalia. Nel ‘91, appunto, insieme con un rivenditore di Thiene e uno di Lugo, aprimmo a Thiene un negozio più grande, intorno ai mille metri quadrati, eravamo in affitto da Cestaro, che in quel periodo si era spostato da lì dando vita all’Emisfero”.
Il personaggio
“È quello che abbiamo cercato di fare. Anche attraverso un simbolo, ossia il vecchio banco del negozio di SS.Trinità: venendo nella sede grande non è stato eliminato, ma conservato, recuperato e sistemato nel reparto assistenza, ancora con tutte le spine dentro il vetro, perché una volta si usava così, tutto sfuso, non c’erano i blister. Ab-
“Non verrò più a vendere, ma qualche consiglio penso che continuerò a darlo. In realtà pensavo di poter tornare a dedicarmi alle attività di animazione: una volta facevo l’animatore in parrocchia a Pieve, poi per anni ho frequentato i Cappuccini. Speravo, una volta in pensione, di riprendere a organizzare uscite, magari con i meno giovani invece che con i ragazzi come una volta, ma la pandemia ha bloccato tutto. Vedremo come e quando si potrà riprendere. Vorrà dire che intanto mi dedicherò di più alla casa e alla famiglia, che finora ho un po’ trascurato. Si sa che in un lavoro come il nostro non si fanno mai davvero 40 ore alla settimana. Ce ne vogliono parecchie di più”. ◆
[16] ◆ Schio Economia
P
Elia Cucovaz
er tanti anni la parola che ha fatto da sfondo al dibattito pubblico è stata “crisi”. La pandemia è stata l’ultima, e probabilmente la più impattante, di tante crisi che hanno caratterizzato l’inizio del nuovo millennio. Oggi però, forse come non mai negli ultimi anni, si parla anche di “ripresa”. Abbiamo chiesto un punto di vista sull’attuale situazione al presidente del raggruppamento Alto Vicentino di Confindustria Vicenza, Pietro Sottoriva. “Che oggi si stia vivendo un ciclo economico espansivo credo sia sotto gli occhi di tutti - premette -. Certo, vanno fatti dei distinguo, perché ci sono settori che sono stati fortemente colpiti dal Covid, o meglio: dalle restrizioni che sono state messe in campo a contrasto dell’epidemia. Altri che invece hanno avuto contraccolpi limitati. Però in generale possiamo dire che la ripresa c’è e non appare come un rimbalzo di breve durata. Ma è una ripresa, per così dire, col freno a mano tirato...”. In che senso?
“Sono due i fattori che limitano fortemente l’effetto positivo di questa ripresa. Il primo è senza dubbio la carenza di materie prime. Ci sono tante aziende che hanno commesse, ma non riescono a soddisfarle per la difficoltà di reperire, per esempio, acciaio, alluminio, plastica, legno e componenti chiave come le schede elettroniche. Questo ovviamente ha fatto schizzare i prezzi alle stelle determinando per le imprese una riduzione della marginalità e, in definitiva, una riduzione dell’effetto positivo della ripresa sull’intero tessuto socioeconomico”. E il secondo fattore limitante?
“La mancanza di personale. Oggi le aziende faticano a trovare risorse qualificate a ogni livello, dagli operai ai tecnici, agli impiegati. E questo è già di per sé un freno alla crescita perché le imprese sono fatte di persone. Ma siamo al punto che oggi determinate figure sono talmente richieste che le aziende sono arrivate a sfilarsele l’un l’altra. Addirittura certe agenzie non esitano a chiamare i candidati direttamente sul posto di lavoro per presentare le loro offerte. E questo ovviamente non fa bene allo sviluppo del tessuto industriale nel suo complesso”. E che cosa si può fare per risolvere queste situazioni?
“Potrei dire che lo Stato, in quanto regola-
“Ai giovani dico di specializzarsi, le imprese hanno bisogno di loro” Il presidente degli Industriali dell’Alto Vicentino Pietro Sottoriva parla della ripresa in atto e della difficoltà che le aziende già incontrano a trovare le risorse di cui hanno bisogno. “Bisogna aiutare i giovani a capire che specializzarsi è un trampolino di lancio unico per la loro carriera e la loro vita”.
tore del mercato, dovrebbe concentrare i controlli per evitare speculazioni sulle materie prime e trovare soluzioni per limitare questa spirale di rincari. In realtà, però, più che invocare provvedimenti a spot qui e là, servirebbe un cambio di mentalità. Più realismo a tutti i livelli”. Cosa vuole dire?
“Bisogna mettersi in testa - e parlo anche e soprattutto per il nostro territorio - che le nostre imprese sono una risorsa capace di creare un grande valore, sia per le persone che per la collettività. Ma per farlo, devono anche ricevere l’attenzione che meritano. In primis dalle istituzioni, ma anche da tutti i cittadini”. E oggi non lo ricevono?
“No, purtroppo no. E di esempi ne potrei fare a bizzeffe. Prendiamo una questione delicata come quella delle infrastrutture. L’Alto Vicentino ha un tessuto di tante piccole e medie imprese che hanno saputo creare rapporti virtuosi di sinergia le une con le altre attraverso catene di fornitura che privilegiano la specializzazione. Ma questi scambi sono ostacolati da una rete stradale
che ha troppi punti critici. La SP46, per esempio. Oppure il collegamento tra la zona industriale di Schio e l’autostrada. La nostra associazione da sempre è disponibile a segnalare i problemi e a proporre soluzioni e in alcuni casi le amministrazioni locali riescono a darci le risposte necessarie. Ma in generale c’è ancora troppa difficoltà a pianificare gli interventi in modo che si possa arrivare in breve tempo a realizzarli”. Sempre che i soldi si riescano a trovare…
“Sa cosa le dico? Che i fondi per le infrastrutture che servono alle imprese si devono trovare. La provincia di Vicenza è una delle prime in Italia per export. Significa che è una delle prime “importatrici di ricchezza” del nostro paese. Quindi, visto che fa bene a tutti vederci competere nel mondo, vogliamo anche essere messi nelle condizioni di poterlo fare. Quindi se una strada serve, i finanziamenti necessari devono saltare fuori in un modo o nell’altro e la politica deve agire per questo”. Il Recovery Fund, da questo punto di vista, potrebbe essere una risposta?
Schio ◆ [17] “A oggi il Recovery Fund ha dato zero benefici diretti per le imprese. In questo primo anno il Piano di Ripresa e Resilienza non è stato usato per “curare” i danni causati dal Covid anche andando incontro alle aziende che hanno sofferto e stanno soffrendo a causa degli effetti globali della pandemia. I fondi in arrivo dall’Europa vengono stanziati solo per cercare di supplire alle mancanze nella gestione ordinaria del nostro Paese. Quelle mancanze, che hanno determinato le arretratezze che tutti conosciamo e che esistevano ben prima del 2020...”. Un altro esempio di scarsa attenzione per la vostra categoria?
“Diciamo che, anche a questo proposito, mi piacerebbe che i rappresentanti espressi dal nostro territorio nelle massime istituzioni statali fossero un po’ più presenti nei nostri riguardi. Invece si fanno vedere di rado. Prima dicevo che serve più realismo, e infatti anche i politici se stanno a Roma e non vivono da vicino i problemi dei loro territori rischiano di perdere il contatto con la realtà”. Prima parlava di un altro problema delle imprese: lo scollamento tra domanda e offerta di professionalità specializzata. Anche in questo una maggior attenzione delle istituzioni potrebbe aiutare la ripresa?
“Indubbiamente. In effetti proprio nel Recovery Plan c’è una misura a cui come as-
sociazione di categoria non possiamo che guardare con il massimo favore. Sono gli stanziamenti a favore degli ITS, gli istituti tecnici superiori. Nell’Alto Vicentino ci sono delle eccellenze - per la meccatronica a Schio, per l’informatica industriale a Thiene, per la moda a Valdagno, a cui si aggiunge Asiago per il turismo - i cui studenti hanno dei tassi di occupazione prossimi al 100%. Eppure sono ancora troppo poco valorizzati. Bisogna aiutare i giovani a capire che specializzarsi per trovare uno sbocco professionale in azienda è un trampolino di lancio unico per la loro carriera e la loro vita”. In che cosa gli ITS sono diversi, per esempio, da una laurea triennale?
“Propongono percorsi che prevedono una concreta e bilanciata alternanza fra studio e lavoro in contesti professionali reali. Il sistema scolastico italiano ha una pecca: è troppo generalista. Le nostre scuole indiscutibilmente aiutano i giovani ad “aprire la mente” grazie ad un’ampia cultura generale. La creatività e l’ingegno che ci contraddistinguono nel mondo sono certamente un riflesso di questo fatto…”. Però…
“Però va prestata la giusta attenzione anche agli aspetti concreti. Altrimenti si formano persone con un’ampia preparazione teorica, ma senza la specializzazione e la dimestichezza con gli ambienti di lavoro
Economia necessarie per inserirsi in un organismo complesso come un’azienda. Come associazione di categoria da anni ci impegnamo per entrare nelle scuole, ma ciò è molto difficile a causa di un sistema troppo burocratizzato e focalizzato più sulle sue procedure interne che sulla realtà che lo circonda”. Anche il Distretto della Scienza e della Tecnologia di Schio, di cui lei è direttore, ha tra i suoi scopi proprio quello di avvicinare i cittadini e le imprese.
“Certo. E per la fine di quest’anno abbiamo in programma una nuova iniziativa finalizzata proprio a scoprire come i nostri giovani vedono e “sentono” il mondo delle imprese. In generale comunque intendiamo far crescere e maturare questa esperienza che vogliamo vedere sempre più attiva e qualificante per il territorio. Perché come imprenditori il nostro interesse è sicuramente quello di vedere crescere e prosperare le aziende che abbiamo fondato. Ma accanto a questo c’è anche il fatto di contribuire a rendere il nostro territorio sempre più vivo e attrattivo. E la cultura, anche quella che da sempre imbeve il nostro tessuto economico, è una leva fondamentale in questo senso”. ◆
Cento poltroncine per la galleria del Civico
B
VR Banca, con un intervento di Art Bonus ammontante a 35 mila euro ha permesso l’acquisto di cento poltroncine per la galleria del Teatro Civico, dopo che nel 2018, sempre con un intervento analogo, la stessa banca aveva sostenuto i costi di sostituzione delle sedute in platea, con un contributo di 120 mila euro. Con la donazione di BVR-Banca le attuali sedie gialle da regista verranno sostituite da comode poltroncine ribaltabili studiate appositamente dall’azienda Aresline di Carrè che ha realizzato nel 2018 anche le poltrone removibili della platea. Finora, inclusa la donazione della Banca, sono stati raccolti 48.495 euro da privati cittadini e imprese del territorio; con ulteriori 14 mila euro sarà possibile chiudere l’intervento Art Bonus e dotare il teatro di una piattaforma elevatrice che permetterà di rendere il palcoscenico accessibile anche alle persone diversamente abili. I lavori iniziati lo scorso febbraio permetteranno di aggiungere circa 150 posti a sedere ai 338 esistenti, per un totale di circa
488 posti. Per concludere l’intervento manca solo il completamento della gradinata del loggione, delle opere impiantistiche e di finitura. Il termine dei lavori è previsto per fine settembre-inizio ottobre, ma la riapertura al pubblico del teatro avverrà pre-
sumibilmente a gennaio 2022, dopo il completamento delle pratiche burocratiche. Il costo complessivo delle opere ammonterà a un milione e cinquecentomila euro, per la maggior parte a carico del Comune di Schio. ◆ [M.D.Z.]
Foto Luigi De Frenza
[18] ◆ Thiene Attualità
C
resce la “famiglia” di sguardi elettronici su alcuni punti caratteristici di Thiene, dopo l’installazione a fine luglio di una coppia di webcam a flusso continuo di immagini, che vanno ad aggiungersi a quelle già presenti. E visibili 24 ore su 24 ore dal sito istituzionale del Comune (www.comune.thiene.vi.it) permettendo all’utente internauta di “buttare” un occhio, rigorosamente elettronico, su cosa succede in città. Le due new entry attivate da poche settimane hanno impegnato i tecnici a “scalare” la torre civica di piazza Duomo, per apporre i due dispositivi sul campanile, puntati verso nord e verso est. Le immagini sono in modalità “live”: una telecamera La visuale di una delle due nuove webcam
Due nuove webcam tengono d’occhio il centro Potenziati gli “occhi elettronici” che osservano Thiene. Una telecamera inquadra dall’alto la centralissima piazza Chilesotti e parte del centro storico, mentre l’altra guarda verso nord, puntando il Castello e l’area limitrofa. inquadra dall’alto la centralissima piazza Chilesotti e parte del centro storico mentre l’altra guarda verso nord, dove si vede svettare il Castello di Thiene e l’area limitrofa. Da ricordare le altre visuali da tempo già attive grazie ai collegamenti con le webcam che “mirano” su piazza Ferrarin e l’inizio di Corso Garibaldi, piazza Chilesotti (dal lato opposto) e sull’Aeroporto di Rozzampia anche qui intitolato al celebre aviatore thienese protagonista del Raid Roma-Tokyo nel 1920. Per Giampi Michelusi, assessore all’innovazione, “è un modo di promuovere il territorio, le attività e gli eventi in maniera coinvolgente. Va ricordato che, in tempo di
pandemia, grazie anche a questi strumenti si è riscontrata un’impennata di visite virtuali a Thiene in tutto il mondo. Ora risulta molto più semplice accedere alle webcam anche da smartphone, che risultano agevolmente controllabili”. La torre, nota anche con il nome di ‘campanile del Serlio’, fu costruita tra il 1640 e il 1655 su un progetto del 1549 del celebre architetto bolognese Sebastiano Serlio e rappresenta, con la sua statua di san Giovanni Battista che svetta sulla cima, un simbolo amato e rinomato della città. La posa delle due webcam è stata possibile grazie alla rete di fibra ottica ed è stata realizzata in collaborazione con Pasubio Tecnologia. ◆ [O.D.M.]
Una piastra sportiva intitolata a Matteo Miotto Il centro sportivo all’aperto di via Trentino è stato riportato a nuova vita e attrezzato con strutture sportive ed è stato dedicato al giovane alpino thienese caduto a fine 2010 in Afghanistan.
I
n tempi difficili in Afghanistan per la crisi politica e l’avanzata dei talebani, a Thiene viene intitolata una piastra sportiva all’alpino Matteo Miotto, che proprio in quella terra di guerra perse la vita con indosso l’uniforme di soldato. Aveva solo 24 anni il Primo Caporal Maggiore thienese in missione con il contingente italiano, nelle ultime ore dell’anno 2010. Nella sua città, nel corso dell’estate, una giornata gli è stata dedicata insieme al centro sportivo all’aperto di via Trentino – zona dei Cappuccini - con una cerimonia alla presenza dei genitori. Si tratta di uno spazio dedicato ai giovani di Thiene, proprio in memoria di un loro coetaneo. Il costo complessivo dell’opera ha toccato i 150 mila euro, per metà coperti da un finanziamento regionale e per la parte
restante dall’amministrazione comunale. L’obiettivo del progetto consisteva nel ridare vita e ampliare un’area che già da metà anni ‘90 era stata destinata al tempo libero, ma di fatto rimasta sulla carta. Ora sorge invece un bel centro all’aperto dove si possono praticare più attività in contemporanea, sia tradizionali che “nuove proposte”. Oltre al campetto con fondo in cemento per la pallacanestro e all’impianto in erba per il calcio con spogliatoi, spazio anche per nuove e moderne aree attrezzate per il parkour e il calisthenic, per lo skate e per il calcio a 5 all’esterno. Nel corso della mattinata dedicata all’intitolazione, la figura di Matteo è stata ricor-
data, così come quel tragico 31 dicembre di quasi 11 anni fa, quando il giovane militare fu vittima di uno scontro a fuoco, a Buji, nella valle del Gulistan. Per il suo eroismo sul campo di battaglia a Miotto sono state riconosciute la Medaglia d’argento al valore dell’Esercito e la Croce d’Onore. Proprio nel quartiere di Thiene di cui era originario, ora una targa lo ricorda, dopo che lo scorso mese di marzo il consiglio comunale di Thiene, per una volta all’unanimità, ha votato a favore dell’intitolazione di questa “casa senza mura”, dedicata al suo ricordo e ai giovani della sua stessa città. ◆ [O.D.M.]
[20] ◆ Schio Attualità
L’
Anika e Jalger, giovane coppia arrivata dalla Germania quest’estate per trascorrere una tranquilla vacanza sulle colline del Tretto e di Schio.
Stefania Torresan
estate che si va a chiudere ha visto arrivare anche quest’anno in città un certo numero di turisti. Non tutti da “mordi e fuggi” di un giorno: in certi casi s’è trattato di permanenze discretamente lunghe. Il che porta a porsi una domanda di fondo: che cosa li ha spinti a soggiornare a Schio? A luglio abbiamo incontrato al Giardino Jacquard Anika e Jalger, una giovane coppia trentenne proveniente da Kassel, Germania centro-occidentale sul fiume Fulda. Jalger racconta che hanno trovato la loro casa vacanze Villa Contrà Facci a Santacaterina navigando in rete, nella piattaforma AirBnB. “Eravamo già stati in Italia, a Firenze e Rimini, ma mai in Veneto; cercavamo un luogo tranquillo per 15 giorni, dove anche il nostro cane potesse stare, un posto dove cogliere la vita quotidiana e “normale” dei residenti. Schio ci è piaciuta molto, è inserita in un territorio ideale per escursioni a piedi e in bicicletta, non ci sono le masse di visitatori e questo per noi è un valore aggiunto.Abbiamo incontrato persone molto amichevoli, siamo saliti sul Monte Novegno, abbiamo percorso la Strada delle 52 Gallerie, le Creste del Summano e visitato alcune città, ad esempio Cittadella. È stato piacevole anche passare un pomeriggio di relax in centro a Schio, siamo saliti al Castello, abbiamo fatto delle spese e cenato fuori”. La seconda domenica di agosto abbiamo incontrato una famiglia belga alloggiata dal 27 luglio presso l’albergo ristorante Da Marco, in località Cerbaro. Olivier Cazzola racconta che il pungolo che l’ha spinto a venire in città è stato il desiderio di scoprire le sue origini. La famiglia risiede a Mons, 60 km a sud di Brussel, una bella città con un caratteristico centro medievale e vivace vita culturale. Il padre di Olivier è emigrato da Pievebelvicino in Belgio nel 1947 all’età di 11 anni. Olivier è un signore gentile che lavora nella sua città come ispettore. “È la nostra quarta volta qui da Marco, ci piace molto il paesaggio, lo spirito di vita e l’accoglienza che sentiamo quando parliamo con Alessia e Chris, i proprietari. Sono pieni di iniziativa, il loro ristorante è vegetariano, ma la carne non ci manca. Una cosa mi ha molto colpito: quando ho cercato una struttura dove soggiornare con la
A Schio arrivano anche turisti in cerca di relax L’estate che si va a chiudere ha visto arrivare anche quest’anno in città un certo numero di turisti e c’è chi tra loro ha trascorso in zona anche parecchi giorni, alla ricerca di tranquillità, ritmi normali e rilassanti passeggiate.
famiglia, ho notato che il contenuto del loro sito è tradotto in un francese perfetto e questo a parer mio è un segno di attenzione per il cliente straniero e di intelligenza di chi gestisce la struttura”. Cazzola, pur trascorrendo la vacanza ai piedi del Novegno, non è salito fino in cima. “In francese si dice ‘il y a le rat de ville et le rat des champs’: c’è il topo di città e il topo di campagna. Io sono un topo di città anche se amo i paesaggi verdi. Ci siamo comunque spostati per delle visite, in centro a Schio ci siamo andati per delle compere, abbiamo visitato l’Ossario del colle Bella Vista e lo spazio espositivo adiacente e l’abbiamo trovato molto interessante, soprattutto nel suo moderno allestimento. Da Marco siamo stati davvero bene, insieme ai proprietari abbiamo anche realizzato una serata di scambio culturale italo-belga durante la quale mia figlia e il suo fidanzato hanno potuto fare un intrattenimento musicale. Torneremo con piacere”. L’ultima famiglia conosciuta è una coppia di Meda, un comune nella provincia di Monza e Brianza, distretto del mobile. Simona e Andrea sono arrivati a Schio il 10
agosto e hanno alloggiato nella casa vacanze “Le Scuderie di S. Bakhita”, una piccola casa completamente ristrutturata e accogliente in centro di Schio, a pochi metri dalla chiesa di S. Bakhita e sono in compagnia del papà di Simona. “Non avevamo in mente esattamente Schio, nonostante la conoscessimo per la presenza storica della Lanerossi, ma cercavamo una località con certe caratteristiche: vicina a delle destinazioni dove recarci per delle gite, ad esempio Asiago, Verona, la Lessinia, ma anche un luogo tranquillo per fare delle passeggiate soft. Una cittadina che avesse un ospedale vicino, qualora ci fosse stata la necessità di assistenza medica per papà. Alla fine ci ha convinto questa struttura con il suo curato giardino esterno dove papà può stare sicuro e rilassato. Abbiamo trovato in casa un librettino con sette percorsi cittadini (“7 passeggiate . Schio e dintorni”), mi pare realizzato da studenti del vostro liceo scientifico con la collaborazione di un’associazione locale e cosi abbiamo visitato un po’ la città. Siamo contenti di essere qui, l’impressione è proprio buona”. ◆
Schio ◆ [21] Attualità
Lo scledense che fa la tv A colloquio con Stefano Ciffo, quarantenne scledense, uno dei producer e direttori di produzione più apprezzati dalla televisione (Rai, Sky, Mediaset) e dal mondo dello spettacolo. Tra i principali progetti e programmi televisivi ai quali ha collaborato ci sono X Factor, L’Isola dei famosi, Masterchef.
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Mirella Dal Zotto
tefano Ciffo, quarantenne scledense, è uno dei producer e direttori di produzione più apprezzati dalla televisione (Rai, Sky, Mediaset) e dal mondo dello spettacolo in generale.Tra i principali progetti e programmi televisivi ai quali ha collaborato ci sono X Factor, L’Isola dei famosi, Masterchef, Ma come ti vesti!, Shopping night, Stasera tutto è possibile, Cucine da incubo, Italia’s next top model. Lavora a Milano, ma appena gli è possibile torna nella sua città natale, dove ha affetti e amicizie; ama molto Schio e la consiglia come location a professionisti, come lui, sempre alla ricerca di idee e nuovi spazi. “Fin da ragazzo ho sempre avuto passione per quel che riguardava il mondo dell’arte, dello spettacolo e soprattutto della televisione – dice -. Ho frequentato il liceo artistico “Martini” e poi il Dams di Padova. Dopo la laurea ho frequentato un master a Los Angeles, alla New York Film Academy, dove ho potuto affinare le mie tecniche nel campo della produzione televisiva, grazie anche a uno stage per la NBC. Tornato in Italia, mi sono trasferito a Milano e ho cominciato a lavorare nelle case di produzione Magnolia, Freemantle, Rai, Mediaset, La 7, Discovery, Dj Tv e Sky. Il legame con Schio è sempre molto forte, anche se sono spesso in giro, perché credo fermamente che ognuno di noi rimanga legato al posto dove è nato e cresciuto”. Nel suo ambiente, quanto contano le capacità e gli incontri?
“Le capacità contano molto: è solo lavorando bene che si viene scelti per una produzione e il mio ambiente è molto competitivo. Gli incontri giusti sono sicuramente importanti, servono soprattutto per iniziare, ma senza capacità risultano inutili e fini a se stessi”.
Spesso suggerisce Schio e l’Alto Vicentino come location alle produzioni: non pensiamo che i motivi siano solo affettivi.
“Mi piacerebbe far conoscere ancora di più il nostro bellissimo territorio, anche perché penso che questo tipo di visibilità possa produrre lavoro e dare una spinta al turismo, promuovendo una rinascita della catena produttiva. Quando la produzione è in piena lavorazione in loco, si cercano collaboratori (troupe, service video, catering,
aziende di pulizie…), sia per risparmiare tempo sia perché chi viene da fuori non conosce perfettamente il territorio dove è chiamato a operare. Ciò permette di creare occupazione e l’ho ribadito con convinzione al sindaco Orsi, che qualche mese fa mi ha convocato in Comune per consegnarmi un riconoscimento. Mi sono sentito ascoltato e preso in considerazione”. Qualche celebrità che ha incontrato e con cui ha lavorato?
“Nel mio lavoro si è a stretto contatto con conduttori, comici, chef, talent in genere che diventano persone comuni, semplici colleghi. Da alcuni si riesce a trarre molti insegnamenti: ho sempre in mente un programma realizzato in Rai con Amadeus, grande uomo di spettacolo e bella persona; è stato un autentico piacere lavorare con lui”. Riesce a ritagliarsi un po’ di tempo libero?
“Sono ancora residente a Schio, ma lavoro in giro per l’Italia per sopralluoghi e registrazioni; di tempo libero ne ho veramente poco, il lavoro mi tiene occupato a 360 gradi. Il tempo libero che ho lo passo con la famiglia e gli amici, ed è sempre ben speso”. Ha avuto contatti con il suo ex liceo per raccontare la sua esperienza agli studenti?
“Dopo l’incontro con il sindaco volevano che intervenissi a un meeting di orientamento, ma un po’ per i miei impegni e un po’ per il covid, l’incontro non è avvenuto. Spero comunque in futuro di collaborare, magari costruendo un workshop sulla Tv”. In genere i licei artistici non hanno la “valenza” degli altri nell’immaginario collettivo: lei può sfatare questo preconcetto...
“Per me il “Martini” è stato un ottimo punto di partenza per capire che tipo di lavoro creativo potevo fare nel futuro. Il liceo che ho frequentato mi ha aiutato ad aprire la mente, ad ampliare le conoscenze artistiche e questi aspetti, unitamente a quelli organizzativi, sono molto importanti, non solo nel mio lavoro”. In questo periodo a cosa sta lavorando in particolare?
“Sto preparando un programma per Sky con un grande chef stellato, però non posso dir altro; il mio lavoro è fatto di continui progetti che iniziano e finiscono con nuovi gruppi”. Cosa direbbe a un ragazzo che volesse seguire le sue orme?
“Che è fondamentale la passione per quello che si fa. E poi bisogna migliorarsi sempre e correre verso l’obiettivo finale. La determinazione è una qualità molto importante, forse quella più indispensabile”. ◆
[22] ◆ Schio Spettacoli “A Schio siamo fortunati: ci sono numerose e suggestive location, l’offerta culturale non manca – dice Federico Corona -. La Fabbrica Alta ha grandi potenzialità e auspico che vengano risolte le questioni relative alla proprietà e alla messa in sicurezza dello spazio”.
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Bilancio di un teatro di mezza estate
Con il direttore artistico della Fondazione Teatro Civico facciamo il punto sull’inedita stagione teatrale realizzata in estate. “Abbiamo notato che la musica e il teatro per le famiglie sono i due linguaggi più adatti a una rassegna estiva”.
Mirella Dal Zotto
a stagione teatrale estiva organizzata dalla Fondazione Teatro Civico ha puntato essenzialmente a un recupero degli appuntamenti invernali, scoprendo però un pubblico nuovo e sfruttando le migliori location all’aperto della città. Ma si può migliorare e integrare. “Abbiamo notato che la musica e il teatro per le famiglie sono i due linguaggi più adatti a una rassegna estiva – riferisce il direttore artistico della Fondazione, Federico Corona. – C’è stata una certa frequentazione proprio in questi ambiti, mentre la prosa ha avuto una partecipazione nella media, dimostrando di essere più adatta a un progetto invernale all’interno di un teatro”. La stagione estiva è stata piuttosto trasversale e ha tentato di soddisfare esigenze diverse e variegate, proponendo le varie discipline delle arti performative (danza, teatro, musica, circo, teatro per famiglie). “Ora abbiamo uno spaccato interessante della partecipazione per settore di intervento e per fasce di età – continua Corona. - La stagione estiva 2021 è stata una prova, una stagione “zero” da cui (ri)partire dopo la chiusura. Abbiamo registrato la presenza di nuovo pubblico, diverso da quello che segue le stagioni invernali”. Probabilmente il pubblico va riabituato al teatro e all’uscita serale nel dopo pandemia, per cercare di far sì che la partecipazione torni a essere quella di prima: su questo tema c’è una discussione a livello nazionale da parte degli addetti ai lavori. “Ritengo che ci sarà bisogno di intervenire affrontando varie problematiche per il ritorno a pieno regime – dice il direttore artistico -. Prima di tutto bisognerà sostenere la fruizione culturale attraverso progetti di riavvicinamento allo spettacolo, anche in piccoli gruppi e con un lavoro verticale nei territo-
ri; in secondo luogo sarà necessario adottare delle politiche economiche per favorire la spesa nel consumo culturale, che ho l’impressione non sia più disponibile come un tempo, magari attraverso leve fiscali e detrazioni. Per ultimo credo che vada ripensato profondamente tutto il nostro settore, partendo proprio dalla funzione sociale e di comunità che possono avere i teatri cittadini e gli artisti. Qui a Schio indubbiamente siamo fortunati: ci sono numerose e suggestive location, l’offerta culturale non manca e l’assessorato alla Cultura fa un ottimo lavoro di coordinamento e regia delle diverse proposte. Fabbrica Alta ha grandi potenzialità e auspico che vengano risolte le questioni relative alla proprietà e alla messa in
sicurezza dello spazio. È un argomento delicato, so che il Comune si sta spendendo per risolvere problematiche complesse”. I biglietti per presenziare agli spettacoli hanno avuto prezzi molto popolari e gli allestimenti sono stati più complicati per le norme di sicurezza, la necessità di personale specializzato, il maltempo in qualche occasione, la riduzione dei posti dovuta al Covid. Fondazione e Comune, consapevoli del fatto che raramente i progetti culturali vanno in pareggio, hanno comunque deciso di investire risorse per la riattivazione del pubblico dopo la chiusura, dando un segnale importante alla comunità e cercando di creare occasioni di incontro e socializzazione. Se, com’è auspicabile, si riprogrammerà una stagione anche l’anno prossimo, bisognerà però pensare a proposte più adatte al pubblico e all’estate: quest’anno l’obiettivo era recuperare almeno in parte gli spettacoli invernali, ma in estate si potrebbe integrare ad esempio con appuntamenti musicali popolari… un concerto con qualche beniamino del pubblico, magari giovanile per non tagliar sempre fuori una fetta preziosa di spettatori, assicurerebbe partecipazione e soprattutto introiti. ◆
Premiata la poesia di Flavio Dall’Amico Il maranese Flavio Dall’Amico si è aggiudicato il primo premio al concorso internazionale di poesia “Città di Latina”. Classe 1960, Dall’Amico da anni si dedica con sensibilità e passione alla scrittura, spaziando dalla narrativa alla poesia. Ha pubblicato tre romanzi (“Sequenze di vita fragile”, “Finalmente” e “Maracaibo”) e tre raccolte poetiche (“Piccolissime soste durante il cammino”, “Poesie moderne” e “Carrozze di vento”). “La narrativa e la poesia sono molto diverse fra loro – tiene a precisare l’autore – pertanto necessitano di una predisposizione mentale ben distinta; la narrativa ha il respiro lungo, nella poesia ti giochi
nell’attimo ogni parola”. È proprio con i versi che Flavio Dall’Amico, negli anni, ha ottenuto svariati piazzamenti, premi, menzioni, segnalazioni d’onore, ma stavolta è arrivato al podio del Premio Letterario Internazionale Città di Latina, fra i più importanti a livello nazionale: la raccolta “Breviario crepuscolare”, venticinque componimenti in forma di dialogo con la trascendenza, si è classificata al primo posto e l’autore è stato premiato nella città laziale lo scorso luglio; già nel 2018, allo stesso concorso, aveva ottenuto un primo posto con l’inedito singolo “A sud di Lampedusa”, disperata preghiera di un naufrago. [M.D.Z.]
[24] ◆ Schio Spettacoli
Giuliana Musso “dentro” il teatro civile La stagione estiva si è conclusa con uno spettacolo forte di denuncia sociale, centrato sull’incesto e nato da una testimonianza vera.
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Mirella Dal Zotto
entro” era uno degli spettacoli di punta della stagione della Fondazione 2020-2021 ed è stato riproposto, data l’impossibilità di metterlo in scena causa Covid fino a primavera inoltrata, alla fine della stagione estiva, lo scorso 7 settembre all’Astra. Come tutti i lavori di Giuliana Musso, attrice d’origine vicentina, mescola l’indagine alla passione, la denuncia al talento, l’indignazione alla lotta, ma mai alla rassegnazione: questa è la forza del teatro civile, che pochi hanno ormai il coraggio di proporre, anche perché questo, va detto, è un tempo
in cui lo spettatore non cerca certo schiaffi in faccia e pugni nello stomaco. “Dentro” parla d’incesto e nasce da una testimonianza vera; sulla scena Giuliana Musso è se stessa, attrice e autrice, pronta all’ascolto; con lei, l’altrettanto brava Maria Ariis, madre di una ragazza abusata fin da bambina dal marito-padre. Sul palco, intriso di luce rosso sangue, molte sedie a volte ordinate come l’apparenza di una famiglia borghese, a volte spostate a caso qua e là sul palco come la confusione mentale della madre che scopre e non vorrebbe scoprire, a volte capovolte come quando crollano le convinzioni. Violenza occultata, abusi inconfessabili che però vanno denunciati per il bene delle vittime e della so-
cietà che spesso finge di non sapere e non vedere: quella società composta, oltre che dai familiari e dagli amici, dai medici, dagli psicologi, dagli assistenti sociali. Bravissime le protagoniste, spietata la regia che inchioda alla sedia fino alla fine. “Dentro”, che ha debuttato lo scorso anno alla Biennale Teatro, ci lascia, nella sua straziante drammaticità, la consapevolezza che quasi sempre, in questi casi, i colpevoli la facciano franca e le vittime passino da un analista all’altro per il resto della loro vita. Alla fine però fa capire l’importanza determinante del districare con le parole la matassa ingarbugliata di un racconto inenarrabile, per poter continuare a sopravvivere. Al resto, se rimane, pensa il tempo. ◆
Cineforum, in arrivo una stagione da 33 film
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a stagione estiva del Cineforum Alto Vicentino, appuntamento che rientra nella programmazione dell’associazione da molto tempo, ha registrato nel corso dell’estate appena finita l’annullamento di sei proiezioni per maltempo. Peccato, perché lo sforzo organizzativo è stato maggiore della passata edizione, con quattro proiezioni in più. “Il tema della riconquista dello spettatore è anche per noi molto sentito e attuale – dicono gli organizzatori – ed era presente, in misura minore, anche prima della pandemia. Gli ultimi due anni hanno dato un’ulteriore stangata in questo senso al nostro settore e a quello culturale nel suo complesso. I documentari di Internazionale, molto interessanti ma indubbiamente impegnativi, non hanno avuto il pubblico che avrebbero meritato, complici anche contemporanee partite di calcio”. Permane però il desiderio di scommettere su un afflusso maggiore di appassionati nel prossimo autunno: la rassegna sarà composta da trentatré titoli, provenienti da tutto il mondo, che abbracceranno più generi cinematografici. Si tratta di film scelti tra quelli della passata stagione e altri che devono ancora uscire: si potranno vedere piccole gem-
me nascoste e grandi titoli di richiamo; opere che si sono distinte nei maggiori festival cinematografici, non solo di registi affermati ma anche emergenti. Per ogni film sarà possibile scegliere il giorno e l’orario preferito e al martedì e al mercoledì ci saranno ancora le proiezioni pomeridiane.
Fino a domenica 26 settembre si effettuerà la prevendita degli abbonamenti, dalle 16 alle 20, al Cinema Pasubio; la rassegna vera e propria partirà da lunedì 27 settembre con “Un altro giro” di Thomas Vinterberg, vincitore del Premio Oscar come miglior film internazionale 2021. ◆ [M.D.Z.]
Faber box, ecco il murales Alcuni mesi fa, nel numero di febbraio, avevamo lanciato l’idea di realizzare un grande murales sulla grigia parete del Faber Box che dà verso i licei, ricorrendo a un concorso di idee rivolto a street artist di qualità. Un modo per identificare ancora più la struttura come spazio espressivo e creativo rivolto ai giovani (e anche per coprire i primi segni di usura della facciata, destinati ad aumentare col tempo). Registriamo dunque con piacere il fatto che in questi giorni su quella stessa parete del Faber Box si stia realizzando un’opera di street art di sedici metri di larghezza per venti di altezza. L’autore è Acme, nome d’arte di Fabio Colombini, che nel suo curriculum vanta la realizzazione di un murale di oltre 200 metri quadri all’esterno del Museo del Manifesto Cinematografico di via Gluck a Milano. Attendiamo l’esito finale. [S.T.]
[26] ◆ Thiene Sport Per l’ultramaratoneta thienese 978 gare a traguardo in circa 35 anni. “La corsa è una polizza sulla salute – dice -. Vale sempre la pena di partire anche solo per godersi un tramonto o trovare un sorriso in una parte ogni volta diversa del mondo”.
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Omar Dal Maso
uarantadue (chilometri) è la distanza “minima” in cui si cimenta, quella della mitica maratona. Settantadue è quella che rappresenta il prossimo traguardo, e qui si parla invece di età anagrafica. Antonio Grotto, il runner delle lunghe distanze e dalla straordinaria longevità sportiva, in realtà punta a tagliare un nastro d’arrivo ben più importante: quello delle mille corse portate a termine tra maratone, ultramaratone e altre avventure rigorosamente “over 42” entrate nel conteggio personale. È il riferimento, qui, è tornato ancora ai chilometri. “Uno su mille ce la fa”, il titolo di un successo musicale di Gianni Morandi di metà anni Ottanta, rende alla perfezione l’idea. Ed è proprio in quegli anni che l’ultramaratoneta di Thiene, classe ‘49, ha scoperto il fascino delle sfide non tanto “contro” gli avversari – anche se di medaglie ha fatto collezione – o contro il cronometro, passione/ossessione di tanti runner, ma “con” se stesso. Con quella inesauribile voglia di conoscersi e quindi di introspezione sul piano mentale, di misurarsi e di mettersi alla prova di volta in volta su quello fisico, di osservare intorno e “assimilare” le meraviglie che il mondo offre. Globo che ormai ha girato in lungo e in largo. Prima da viaggiatore incallito, e poi da atleta girovago per vocazione, se non per necessità interiore dal quel “run-day” da cui tutto ebbe inizio.
Quasi mille eventi sportivi “Mi trovava in vacanza in un villaggio della Sardegna – racconta Antonio, in pensione dopo una carriera professionale come imprenditore e ora nonno quasi a “a tempo pieno” -, prima praticavo il cicloturismo.
Grotto, quarto da sinistra, con un gruppo di amici a margine di una corsa. Sotto, mostra le tante medaglie vinte
“Ho cominciato con una corsetta e non mi sono più fermato” Antonio Grotto, 72 anni, il runner delle lunghe distanze e dalla straordinaria longevità sportiva, punta a tagliare il nastro delle mille corse portate a termine tra maratone, ultramaratone e altre avventure rigorosamente “over 42” entrate nel conteggio personale.
Un amico mi ha proposto di fare una corsetta, ho detto di sì, più per noia e senza accorgermene due mesi dopo ho partecipato alla mia prima maratona. Da lì non mi suono più fermato”. Il computo aggiornato, che per forza di cose non sarà preciso “al minuto” al momento della stampa della rivista, è giunto
a 978 eventi sportivi conclusi con braccia spalancate verso il cielo come a ogni traguardo raggiunto. Ne mancano solo 22 a quota mille, e proprio nel 2022 l’incredibile soglia-record sarà raggiunta e superata dal 72enne atleta evergreen vicentino. Se l’uragano Covid-19 non si fosse abbattuto sull’umanità e di riflesso sugli eventi che
creano calche di persone, probabilmente oggi Antonio Grotto correrebbe già sul “rush finale”. Prossima cartuccia in canna è la Berlin Marathon come ci confida, nell’ultimo week end di settembre nonché il primo della stagione autunnale che lo attende sui tracciati di gara internazionali. E ne correrà - imprevisti permettendo - altre quattro solo nel mese di ottobre. Avvicinandosi a grandi falcate verso quella agognata quota 1.000 che fa venire le vertigini solo a immaginarla. E che equivale a spanne a 170/180 mila chilometri macinati “a gambe levate” in carriera. Senza contare gli allenamenti, anche se in realtà per lui costituiscono una sorta di optional. C’è chi si prepara per mesi allo scopo di presentarsi al via di una maratona mentre lui, al contrario, grazie alla regolarità sistematica con cui partecipa alle corse non sente il bisogno di fare chissà che sedute di training per le strade. Meglio riposare il fisico per la prossima. “Per me è un po’ diverso in effetti – spiega il diretto protagonista, primo in Europa per traguardi raggiunti nella sua categoria d’età tra gli atleti in attività (e tra i primi al mondo) – perché partecipo alle competizioni per tenermi in forma. Sem-
Thiene ◆ [27] pre con il mio ritmo ovviamente. Di chilometri ne ha fatti tanti, a guardar bene è come se avessi compiuto più volte il giro del mondo ma, soprattutto, conto di continuare a farne e vivere ancora quest’emozione immensa”.
Da turista a podista L’asticella della carta d’identità è stata alzata di 35 anni o giù di lì, da quella prima corsa “folgorante” in terra sarda ai tempi di Morandi, certamente un bivio del destino per Antonio allora papà di due figli piccoli e oggi anche nonno di altrettanti nipotini di quell’età all’incirca, che adora. Orgogliosi anchee loro di applaudire dal vivo di tanto in tanto all’arrivo quel super nonno che non si ferma mai. Il segreto, appunto? “Prima ho viaggiato il mondo come turista, poi come cicloturista e infine a piedi – premette lo sportivo thienese -. La corsa mi ha dato tantissimo, facendo tesoro degli errori che come tutti ho commesso anche io: bisogna partire dal presupposto che lo sport è salute. Non ci sono segreti ma posso dire che ogni passo che compio parte da qualcosa di profondo, di conoscenza del mio corpo e dei miei limiti. Il nostro fisico è un bene preziosissimo, non va logorato ma rispettato”.
Antonio Grotto ha messo piede in Vietnam, a New York (tre volte, una corsa anche alle Twin Towers), in India, Nepal e sul Tibet, Miami, Parigi, Londra, Malaga, San Pietroburgo in Europa, Marrakesh in Africa e via via in ogni angolo del pianeta, tra trekking ed eventi competitivi.All’appello mancano in pratica solo i due poli, ma ha calpestato perfino la Terra del Fuoco in Sudamerica: ci è andato vicino insomma. Racconta di tempeste di sabbia del deserto e di neve nelle ultrarail, senza mai rinunciare ad arrivare fino in fondo, salvo in un’occasione di cui si dirà poi. Così, tanto per gradire, ha pure incontrato il Dalai Lama e la Dea Bambina in Asia, nel corso di un trekking a cui ha preso parte. La media annuale delle corse ufficiali a cui ha preso parte oltrepassa la quarantina nell’ultimo trentennio. Come evidenzia, “grazie al sostegno della mia signora e dei miei figli che non mi hanno mai ostacolato e sempre sostenuto”, riuscendo a ricavarsi il tempo necessario per preparare itinerari, borsone e salire in aereo. A frenarlo, di recente, oltre alla pandemia, prima ancora un brutto infortunio durante una gara nel 2019: che poteva costargli ancora più caro. Una rotoballa di fieno lo ha colpito, rotolando giù da un pendio in collina. È stato
Sport
l’unico traguardo mancato. Un incidente assurdo, con Antonio salvatosi grazie a un affossamento sul sentiero, riportando solo delle contusioni poi guarite nell’arco di alcune settimane. “Ho fatto un nuovo contratto con la vita in quel momento. Se ho pensato di smettere dopo questo fatto? No, mai. La corsa – conclude - la considero”. ◆
[28] ◆ Schio Carlo Bocchi insieme alla sua allieva Maria Pia Chemello, giunta seconda ai Mondiali master di corsa in montagna svoltisi il 4 settembre in Austria
Sport
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Alessandro Rossato
sistono allenatori che sono autentiche star e allenatori che non amano le luci della ribalta, preferendo il costante e duro lavoro sul campo a contatto con gli atleti: uno di questi è senza dubbio Carlo Bocchi. Chi frequenta o ha frequentato lo stadio di atletica di Schio negli ultimi cinquant’anni anni lo conosce di sicuro. Bocchi non è una persona che passa inosservata e il suo nome è inscindibilmente legato a diverse società di atletica locale, avendo portato al successo decine di giovani talenti. E ancora oggi, nonostante le 82 candeline spente la scorsa primavera, se lo si vuole incontrare, tanto vale dirigersi dalle parti dello stadio di via Riboli. Ma come inizia una carriera che va avanti da quasi mezzo secolo? “Era il 1954 quando iniziai a frequentare lo stadio e scoprire l’atletica - spiega Bocchi -. Sin dai primi allenamenti scoprii sulla mia pelle il significato delle parole impegno e dedizione. Negli anni successivi presi parte alle prime gare sulla distanza dei 1.500 e 3.000 metri, ma fu proprio la mancanza di un allenatore al mio fianco a far scattare in me il desiderio, una volta adulto, di andare a ricoprire quel ruolo di supporto che a me era mancato”. Passano gli anni e Carlo tiene fede a quella promessa. Nel 1973 inizia a frequentare i primi corsi di abilitazione, tanto da conseguire la tessera Fidal di tecnico e allenatore. Nel 1976 si aggiudica il trofeo Idaa, assegnato al miglior allenatore Veneto nella specialità del mezzo fondo. A quel punto Carlo e l’atletica scledense diventano una cosa sola, con lo stadio di via Riboli sem-
Sportrace, c’è anche la leggenda Marco Olmo Domenica 26 la seconda edizione della SportRace Vertical attirerà a Schio i più bei nomi tra gli appassionati di corsa in montagna. E a dare maggiore lustro all’iniziativa sarà anche la presenza di un autentico mostro sacro nel mondo del trail, ovvero Marco Olmo, 72 anni, che nella giornata di sabato 25 distribuirà i pettorali della gara presso il negozio Alp Station e il giorno seguente sarà presente all’arrivo per le premiazioni. E gli organizzatori non escludono che Olmo possa addirittura decidere di mettersi in gioco lungo i 7.800 metri del percorso.
Le 82 primavere di coach Bocchi pre pronto ad accoglierlo, anche quando, nel 1997, darà vita alla società NovAtletica Città di Schio. Una società che presto raggiuge gli oltre 270 atleti, distribuiti tra le varie categorie. Naturalmente, in mezzo a così tanti giovani, spunta anche qualche talento. Arrivano importanti risultati tecnici come i nove titoli italiani fra pista, mezzo fondo e corsa campestre, oltre a innumerevoli titoli regionali individuali e di società, fino a portare ben due atlete a partecipare con la nazionale italiana a Mondiali ed Europei. “Grazie a questi risultati – continua Bocchi – ho potuto frequentare i raduni collegiali Fidal riguardanti le più evolute metodologie di allenamento, supportato da tecnici di valore internazionale, arricchendo enormemente la mia esperienza di allenatore”. Oggi Carlo non fa più parte della società sportiva scledense ma, nonostante l’età, continua a seguire personalmente un manipolo di giovani atleti convinti del suo modo di fare atletica, e ha inoltre trovato una seconda giovinezza con SportRace, l’associazione che raduna qualche centinaio di adulti appassionati di corsa. Ma come si spiega che un allenatore che ha portato alla ribalta nazionale diversi atleti sia ora disposto a dedicare il proprio tempo anche a chi fa fatica a fare un giro di pista? “Allenare significa dare tutto se stessi – dice il coach -. Ma questo atteggiamento anziché essere vissuto come un atto di gene-
rosità, il più delle volte viene interpretato come un atto dovuto e questo spesso comporta che fra l’atleta e l’allenatore conti solo il risultato, ovvero il raggiungimento del podio. Se questo non arriva, chi hai allenato ti abbandona e a te restano solo dubbi. Per questo posso dire che da quando ho accettato la proposta di SportRace per me è iniziato un nuovo mondo. Certo all’inizio non è stato facile confrontarsi con un gruppo così eterogeneo di adulti e far loro accettare il mio modo di interpretare lo sport. Per questo ho dovuto e voluto conoscerli tutti, senza fare distinzioni tra il campione e l’appassionato”. Pensa di esserci riuscito? “Ormai è oltre un lustro che alleno SporRace e mi scalda il cuore mentre passeggio col mio cane sentire i clacson strombazzare, assieme a quei ‘Ciao Carlo’ urlati dal finestrino. O semplicemente i tanti grazie alla fine di ogni sessione di allenamento. Essere divenuto il coach di questa famiglia di sportivi è un onore e mi aiuta a non sentire la solitudine dei miei non più verdi anni”. Ma non le manca il sapore del successo? “Certo vincere con un tuo atleta un titolo importante lì per lì ti rende felice, ma è importante guadagnarsi il rispetto di ogni atleta, spingendolo a migliorarsi e a conoscere i propri limiti. Poco importa se non diventerà mai un campione; di certo correrà leggero e felice”. ◆
[30] ◆ Thiene Sport
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a debuttato in Nazionale a una manciata di chilometri da casa, allo stadio “Menti” di Vicenza, scendendo in campo da titolare al centro della difesa dell’Italia Under 21 e risultando pure tra i migliori in campo. È stata una giornata da incorniciare quella del 7 settembre per Caleb Okoli, giovane talento del pallone (ha 20 anni), con doppia cittadinanza italonigeriana e ormai da due stagioni a pieno titolo calciatore professionista. La partita, contro il Montenegro, era valida per le qualificazioni agli Europei di categoria ed è stata vinta per 1 a 0. Per il ragazzone di Povolaro di Dueville – è altro 187 cm, fisico da baluardo arretrato corredato da buona tecnica palla al piede – è stato l’esordio assoluto nella Nazionale dei giovani più promettenti, giocando per tutti e 90 i minuti accanto a gente affermata come Sandro Tonali, capitano per l’occasione. Altra gioia di giornata, la presenza dei genitori sugli spalti, insieme a tanti ragazzi delle giovanili del Dueville Calcio, il vivaio in cui Caleb insieme al fratello David (di un anno più grande) è cresciuto dopo i primi calci mossi a Passo di Riva. Un talento precoce, come racconta uno degli allenatori che lo seguiva da piccolo. “Si impegnava al massimo in ogni allenamento, un esempio per tutti i compagni. Si merita tutto quello che ha raggiunto finora e quello che verrà nella sua carriera”.
Detto tra noi
Debutto azzurro per il giovane Caleb Il difensore ventenne di Dueville, di proprietà dell’Atalanta e ora in serie B alla Cremonese, ha vestito la maglia della Nazionale Under 21, giocando proprio a Vicenza.
In tribuna tanti ragazzi colorati di neroverde – i colori sociali del club duevillese – e anche uno striscione che gli ha riservato un saluto speciale: “Dal Dueville Calcio alla Nazionale vai Caleb facci sognare!”. Il “mediano” per filiazione, ma difensore di ruolo, ha lasciato la famiglia a 15 anni, dopo che l’Atalanta ha notato le sue qualità do-
po la parentesi al Vicenza Calcio, una tappa breve ma fondamentale. Dal 2015 si è trasferito a Bergamo, alla corte dell’Atalanta. Poi sono venuti i campionati tra gli Allievi e la Primevera, la Youth League e le esperienze internazionali, una prima chiamata azzurra a livello Under 19. Il resto è storia recente, con i due prestiti prima alla Spal e ora alla Cremonese, entrambe le stagioni in serie B. Con la chiamata e la titolarità grazie alla fiducia del commissario tecnico Nicolato, ora, si apre un nuovo capitolo. Piedi per terra però per Okoli, anche se in realtà ama svettare in aria sui palloni alti, una delle sue migliori qualità che ne fanno una torre in retrovie e anche un’arma in più in zona gol sui calci piazzati. “Quando era piccolo – raccontano a Dueville tra chi lo ha seguito - era uno dei pochi a non aver paura di farsi male per colpire di testa il pallone”. Un segno distintivo che si è portato fino all’Azzurro della Nazionale. ◆ [O.D.M.]
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Ma che ci fa quello strano cassone a bordo Leogra? Sono una fedele lettrice del vostro periodico, ammiratrice in modo particolare de “Lo Schiocco”, ed è per questo motivo che ho deciso di inviarvi due foto di ciò che ormai è diventata una vera e propria mascotte scledense. Questo cassone è stato scoperto casualmente dalla sottoscritta in data 8 dicembre 2020, è stato segnalato più volte nel corso dei mesi direttamente ai responsabili dell’ufficio ambiente che dopo una “presunta” presa in carico della situazione a marzo di quest’anno, sembrano essersene nuovamente dimenticati. Si trova in Via Vicenza davanti alla Ditta
Zanon, legato con catena ad un palo nel bordo dell’argine del Leogra. Trovandosi in zona Liviera noi cittadini lo abbiamo simpaticamente ribattezzato “Livierino”. Elena Berlato
Quello strano cassone-cassonetto ci era stato segnalato nei mesi scorsi anche da un altro attento lettore; sembra dunque che sia diventato una presenza duratura e ormai familiare dalle parti di Liviera. Non si può dire, in effetti, che sia una cosa bella da vedere, chissà che chi di dovere intervenga per portarlo via. Se qualche lettore ne dovesse verificare la rimozione ce lo segnali e ne daremo notizia. Una cosa breve, una foto dell’area liberata e la didascalia “Lì vi era il cassone”. [S.T.]