SchioThieneMese La Piazza n 841

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Periodico di informazione dell’A lto Vicentino

anno X n. 86 - gennaio 2021

Schio: Siamo a rischio terremoto? - p.12 ◆ “Arrampicarsi ti dà più fiducia” - p.24 Thiene: Aiuto e sostegno per 150 famiglie - p.10 ◆ Ma che bella la Fattoria sociale - p.20

Tempi duri per i nonni In termini di decessi, l’ultimo mese del 2020 è stato molto pesante e anche questa volta la maggior parte delle vittime dell’epidemia sono gli anziani. A sei mesi dalla precedente indagine, siamo tornati a fare il punto su come l’emergenza sta colpendo i “grandi vecchi”.


Di mese in mese

Orsi, Soros e Santorso

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SchioThieneMese

Periodico di informazione dell’Alto Vicentino

Supplemento mensile di

Lira&Lira e La Piazza Direttore Stefano Tomasoni Redazione Elia Cucovaz Omar Dal Maso Mirella Dal Zotto Camilla Mantella Grafica e impaginazione Alessandro Berno Per inviare testi e foto: schiothienemese@gmail.com Per le inserzioni pubblicitarie Pubblistudio tel. 0445 575688

Stefano Tomasoni

rendiamo ad esempio il sindaco di Schio Valter Orsi: sotto Natale, lo hanno riportato i giornali, è stato ricoverato qualche giorno in ospedale per un malore, prodotto di un anno stressante, risolto fortunatamente con un periodo di giusto riposo. Ecco, è stato lì che gli hanno fatto il vaccino contro il Covid. In via sperimentale, è stato il primissimo in Italia. E nell’occasione gli hanno impiantato un microchip sottopelle con il quale Soros - con la complicità di Bill Gates, Giuseppe Conte e di papa Bergoglio - adesso possono controllare tutte le sue mosse: se inaugura un parco giochi, se va a controllare i lavori di un’opera pubblica in corso, se presenzia a una mostra, se taglia il nastro di un’opera pubblica o se consegna una targa a qualcuno di meritevole. Il Deep State è così che si muove, ci sono già 500 sindaci controllati in questo modo in tutta Italia e ogni giorno aumentano: un malore, un salto in ospedale e via col microchip. Fa parte di un piano per il dominio e la sorveglianza mondiale grazie al 5G e alle onde elettromagnetiche. Perché non ce lo dicono, ma il Covid è stato creato per controllarci tutti dall’interno. E ovviamente per fare la guerra a Trump, l’highlander che cercava di combattere il nuovo ordine mondiale, quello che ancora ci fa credere che la Terra sia rotonda e non piatta come un iphone. Ma prendiamo pure anche un altro esempio: qualcuno crede davvero alla storia che Arturo Ferrarin e compagnia cento anni fa sarebbero volati da Roma a Tokyo a bordo di quegli aeroplanini fatti di legno e tela, senza neanche la cabina chiusa? Ma è evidente che gli aerei li avevano già portati prima, smontati, via nave; poi Ferrarin e gli altri s’erano fatti vedere decollare a Roma ma erano atterrati in una campagna nascosta mezz’ora dopo ed erano arrivati a Tokyo in treno, con la Transiberiana, e via nave.

Okay, fermiamoci qui, sennò finisce che qualcuno ci crede. Potrebbe succedere. Ormai c’è talmente tanta gente fuori di testa, bacata tra complottismo e negazionismo, che ci stiamo abituando a sentire le più grandi follie e a non stupirci più di niente. Viviamo tempi grami. E l’impressione è che possa andare anche peggio. Perché non c’è soltanto la pandemia da sconfiggere, i problemi economici che ha scatenato e le possibili conseguenze occupazionali alle porte quando finirà il blocco dei licenziamenti. Non c’è soltanto la classe politica italiana capace di incartarsi anche in un momento come questo per tenere sempre ben pulita l’immagine di inaffidabilità che l’Italia si è conquistata all’estero. Adesso c’è da fare i conti anche con questo tragicomico fenomeno del complottismo a 360 gradi, che sta crescendo pericolosamente a livello globale. Che se ce l’avessero prospettato anche soltanto cinque anni fa in queste forme e in queste possibili conseguenze, saremmo scoppiati a ridere. Il complottista è uno sciroccato che vive in un mondo in cui il problema non è combattere il Covid, ma la “cupola” mondiale che lo ha scatenato e che lavora ogni giorno per dominare il pianeta. Il fantomatico “Deep State”, insomma: lo Stato profondo, qualsiasi cosa voglia dire. Una cricca pedo-satanica dove dominano grandi banchieri, leader mondiali, naturalmente gli immancabili George Soros e Bill Gates. Nel delirio del complottista-tipo la vaccinazione anti-Covid è solo un’altra arma con la quale questa “cupola” punta a sottomettere e controllare chiunque, impiantando microchip o modificando il Dna. Uno dice, vabbè sono dei pazzoidi schizzati, lasciamoli nel loro brodo e chissenefrega. E invece bisogna dargli attenzione. Perché stanno diventando pericolosi.


Di mese in mese Questa non è gente che puoi convincere con i ragionamenti, con la logica, con la scienza e con l’evidenza. La discussione con loro non è possibile perché nel mondo del complottista-negazionista ogni argomento contrario diventa alimento per confermare la propria paranoia. È un po’ il senso della risposta che in televisione un tale ha dato alla domanda sul perché non ritenesse credibile la scienza: in soldoni, la tesi era che chi ha studiato per diventare medico o scienziato lo ha fatto piegandosi a testi e a tesi dominanti e quindi è cresciuto tarato da quella “verità” preconfezionata; quindi per fregare il sistema occorre non studiare, rimanere ignoranti per riuscire a capire dove sta davvero la verità e “sgamare” le trame di chi ci vuole succubi. Questi fenomeni sono un problema da non sottovalutare in prospettiva, perché prende piede una fetta di popolazione – certamente molto minoritaria ma rumorosa e pervasiva – isolata in una bolla di irrealtà che la fa diventare diversa dalla

maggioranza, non più integrata in un comune sistema di valori e in quella realtà condivisa che deve pur essere la base di una qualsiasi dialettica democratica. Ecco, così, che si può arrivare all’aberrante spettacolo dell’assalto al Congresso di Washington, uno dei luoghi simbolo della democrazia mondiale. Un punto di svolta che ha fatto capire come il cospirazionismo alimentato dal richiamo alla violenza possa trasformarsi da barzelletta a pericolo per la democrazia. Gli americani che stanno con Trump – milioni e milioni - sono cresciuti alimentandosi di quella rabbiosa narrazione complottista che ha costituito uno dei tratti dominanti del suo lacerante quadriennio alla Casa Bianca. Trump ha usato per anni senza scrupoli le teorie della cospirazione, diffondendo e creando fake news quotidiane che i suoi portavoce giustificavano chiamandoli “fatti alternativi”, riuscendo a diffondere una realtà parallela a quella dell’evidenza. I danni fatti da questa rappresentazione dell’irrealtà sono enormi

e non li paga soltanto l’America, dove oggi convivono due mondi diversi ai quali manca una base di realtà condivisa. Li stiamo già pagando anche qui da noi, visto che il mondo ormai è come un unico condominio. Basta girare sui social per rendersi conto del livello di demenza diffuso. E allora perché non potrebbe cominciare effettivamente a girare la notizia che a Valter Orsi sotto le feste in ospedale hanno applicato un chip per farlo diventare un robot controllato dalla solita “cupola” mondiale? E il sindaco di Thiene Casarotto, crede di cavarsela tanto facilmente? Figuriamoci. Ma è ovvio che è già stato anche lui microchippato quando qualche mese fa è stato curato per una polmonite. Insomma, è tutto già programmato dal Deep State, sveglia! Basta pensare al Covid: perché proprio l’ospedale di Santorso è stato individuato per diventare “hub” di riferimento della provincia? Che parola si nasconde dentro “Santorso”? Ma Soros, no? ◆


[4] ◆ Schio Copertina I piccoli centri vicini hanno registrato un’impennata di morti in abitazione: anziani che hanno preferito salutare i propri familiari nell’intimità delle mura domestiche. E le famiglie hanno a volte preferito non chiamare l’ambulanza, interpellando le guardie mediche di turno per constatare il decesso una volta avvenuto. A un certo punto perfino gli obitori non sono più bastati e c’è chi ha vegliato il defunto in casa, come si faceva nel primo ‘900.

A

Camilla Mantella

un certo punto le bacheche per le affissioni funebri della città hanno iniziato a non bastare più. Il Comune ha dovuto aggiungere dei pannelli provvisori in Piazzetta Garibaldi, perché le epigrafi erano talmente tante che gli operatori avevano iniziato ad affiggerle sui colonnati e sui pali dei cartelli stradali. In termini di decessi, gli ultimi due mesi del 2020 sono stati un momento durissimo per Schio: la seconda ondata di Covid ha colpito in pieno, in una regione che da prima della classe è diventata fanalino di coda nella capacità di contenere la diffusione del virus. A dicembre è saltato tutto. I primi sono stati i tracciamenti, indispensabili per contenere i contagi: il servizio prevenzione ha iniziato a chiamare gli ammalati in modo discontinuo, lasciando ai loro contatti il compito di porsi in auto-isolamento e di richiedere i tamponi. Poi sono saltati proprio i tamponi: nel Veneto del tampone rapido massivo, che avrebbero dovuto fare pure i veterinari, non si capiva più chi doveva recarsi in ospedale per il test, se si poteva farlo in privato e se il privato avrebbe comunicato l’esito all’ospedale, o se uno valeva più dell’altro. Ma soprattutto, la scarsa affidabilità del tampone rapido – che ha perso per strada

L’inverno nero dei meno giovani In termini di decessi, gli ultimi due mesi del 2020 sono stati un momento durissimo per Schio: 114 solo in dicembre. La stragrande maggioranza delle vittime della seconda ondata dell’epidemia sono stati i “grandi vecchi”, una generazione che se ne va nel modo più straziante.

una considerevole percentuale di positivi testati come falsi negativi - e le mancate chiusure garantite alla nostra regione “gialla” hanno portato il virus dentro le RSA, le residenze per anziani, da dove era rimasto lontano nella prima ondata. Le bacheche di epigrafi strazianti di dicembre, che hanno funestato il Natale di tante famiglie in città, erano popolate perlopiù da loro, dagli anziani ammalatisi di Covid nelle case di riposo.

Mortalità in aumento I servizi comunali hanno elaborato i dati dei decessi dello scorso anno. Se fino a novembre 2020 i valori delle morti su base mensile sono rimasti sostanzialmente in linea con quelli delle annate precedenti, a dicembre i deceduti sono stati 114, cosa che ha causato un aumento della mortalità su base annua di oltre il 24%. “Se si va a indagare la composizione dei morti del solo mese di dicembre, a prescindere dalle cause del decesso, scopriamo che 56 su 114

delle persone erano all’interno di strutture per anziani e che 91 avevano oltre 80 anni - ha commentato il sindaco Valter Orsi -. In un comune come Schio, che conta numerose strutture dedicate agli anziani, resi anagraficamente residenti in città, vien da sé che il potenziale dei decessi sia superiore ad altri comuni simili per caratteristiche generali ma privi di queste strutture”. Vien da dire, però, che le case di riposo c’erano pure l’anno scorso, per cui è lampante che il virus sia responsabile della scomparsa prematura di persone che, per quanto classificate come “grandi vecchi”, avrebbero avuto altrimenti davanti a sé altri mesi – se non anni – di vita, magari a contatto con i loro familiari. Inoltre in questi mesi molte famiglie, soprattutto dei comuni limitrofi, hanno preferito curare i propri anziani in casa, per quanto bisognosi di sostegni che le case di riposo possono offrire, onde evitare di non rischiare di non poterli più andare a trovare una volta ammessi nelle strutture.


Schio ◆ [5] I piccoli centri del circondario, nello stesso periodo in cui Schio faceva i conti con i decessi nelle RSA, hanno registrato un’impennata di morti in abitazione: anziani che hanno preferito salutare i propri familiari nell’intimità delle mura domestiche, magari accelerando una fine che sarebbe arrivata dopo qualche tempo in casa di riposo. E le famiglie hanno a volte preferito non chiamare l’ambulanza, interpellando direttamente le guardie mediche di turno per constatare il decesso una volta avvenuto. Perché il nostro era un pronto soccorso Covid, perché le RSA erano diventate cluster di contagio, perché mandare il proprio anziano a morire a Bassano o a Vicenza – dove erano stati spostati la maggior parte dei servizi di medicina “non pandemica” – significava mandare il nonno, la mamma, lo zio, la sorella a morire sostanzialmente da soli. A un certo punto perfino gli obitori non sono più bastati. Nella seconda metà di dicembre pareva che Santorso non riuscisse più a garantire a tutti il servizio di camera mortuaria. Alcune famiglie hanno vegliato il defunto in casa, come si faceva nel primo ‘900, anche per tre giorni, in attesa di poter celebrare funerali in chiese sovraffollate di funzioni funebri.

Il dolore delle famiglie “È stato un periodo durissimo - commenta Andrea Leodari, titolare dell’omonima impresa funebre -. E continua a esserlo. Non c’è un attimo di sosta da settimane: non abbiamo mai dovuto fare i conti con volumi di lavoro del genere. Il nostro è un lavoro delicato, è psicologicamente coinvolgente, richiede elevata professionalità in uno dei momenti più delicati della vita di chi perde una persona cara: doverlo gestire così, magari comunicando alla famiglia che non potrà più vedere il proprio caro per un estremo saluto perché morto di Covid, è davvero pesantissimo”. E a complicare la situazione ci si è pure messo il forno crematorio di Vicenza, con cui il Comune di Schio è convenzionato, che è rimasto chiuso dal 27 novembre al 7 gennaio, nel momento peggiore della pandemia, per un ampliamento dell’impianto. Un ampliamento da tempo reso necessario dall’aumento di richieste di cremazione da parte delle famiglie dei defunti e dal veto alla costruzione di un impianto ad hoc nell’Alto Vicentino, una struttura di cui si era parlato negli anni passati ma la cui costruzione è stata poi accantonata perché nessun Comune era disponibile a farsi carico dell’impopolare installazione sul proprio territorio. Risultato? Le decine di defunti del mese di dicembre – moltiplicate in centinaia su tutto il territorio provinciale – si sono affollate negli altri

impianti regionali ed extraregionali (da Spinea a Padova, da Copparo, in provincia di Ferrara, fino a Bologna) con tempi di sepoltura che si sono allungati sensibilmente.

Perlomeno si è tornati a celebrare le esequiie Le famiglie, quindi, hanno dovuto sopportare non soltanto il dolore della perdita, lo smarrimento del mancato ultimo saluto, ma pure il rientro delle ceneri del proprio caro in cimitero anche dopo oltre una decina di giorni dall’avvenuto funerale. “Ciò che però è stato un elemento positivo - interviene Lorenzo Cullere, dall’impresa funebre omonima - è stato che rispetto alla prima ondata stavolta è stato possibile assicurare la commemorazione dei defunti in chiesa. Poter ricordare il proprio caro con delle esequie ha rassicurato molto le famiglie e, per quanto ci riguarda, ha reso più semplice lo svolgimento del nostro lavoro. Marzo e aprile ci avevano lasciati psicologicamente distrutti, proprio perché assistevamo al dolore delle famiglie di non poter dare i funerali ai cari defunti: stavolta, almeno, soprattutto per i deceduti non Covid, le esequie si sono potute celebrare sostanzialmente come prima della pandemia. Certo, i numeri dei funerali gestiti sono stati davvero ingenti anche per noi e ci hanno costretti a moltissimi straordinari, ma li abbiamo vissuti – e continuiamo a viverli – con la consapevolezza di dare un aiuto alle persone e di

Copertina gestire un servizio essenziale. La sofferenza maggiore, in questa seconda ondata, è stata confrontarsi con famiglie di anziani che hanno perso i loro cari, in buona salute e senza patologie importanti pregresse, proprio a causa del Covid contratto nelle RSA o a contatto con collaboratori domiciliari e parenti”. La generazione dei nati negli anni Trenta, insomma, è stata la grande colpita della gestione veneta del Covid degli ultimi mesi. Abbiamo perso i nonni e i bisnonni. Quelli che raccontavano la guerra vissuta da bambini – magari ripetendo allo sfinimento le stesse emozionanti storie – gli ultimi testimoni di un tempo duro, un tempo prima delle lavatrici, delle televisioni, delle cucine economiche. Quelli che si ricordavano una Schio operaia e contadina, che avevano contribuito a dar vita alla zona industriale e che avevano garantito una buona dose di risparmi alle loro famiglie. Quelli che hanno costruito il benessere: che non immaginavano che la corsa allo star bene, alla casa più grande, alla macchina per tutti, al commercio con l’estero, al mondo che diventava molto più piccolo e vicino, in mezzo a tutte le cose positive che ci ha portato, avrebbe anche accelerato un virus che dalla Cina sarebbe arrivato in men che non si dica qui, a Schio. E li avrebbe messi in pericolo. ◆

Ma se poi tutti vanno in montagna...

Venerdì 26 dicembre, zona rossa, montagne innevate e Novegno, unico monte in Comune di Schio, irraggiungibile. Chiamiamo la polizia locale per sentire se, nel caso ci recassimo in montagna, potremmo rientrare fra coloro che praticano “attività sportiva”. Ovvia e negativa risposta: se vogliamo, il Novegno lo possiamo raggiungere a piedi da casa, l’auto va lasciata in garage. Sabato 27, sempre zona rossa: quasi si piange di malinconia mista a rabbia guardando i pandori che ci circondano. Ma rispettiamo le regole e usciamo in com-

pagnia di marito e cane, raggiungendo località Ravagni; lì ci fermiamo a osservare e contare con stupore le auto che, in ordinata e intermittente colonna, salgono verso S. Caterina e, ovvio pensarlo, verso il Cerbaro e il Novegno. Sono veramente tante e ritelefoniamo a chi di dovere per chiarimenti, stupendoci che moltissimi scledensi abbiano parenti in montagna da andare a trovare. Risposta: “Che vuole, ognuno si prenderà le proprie responsabilità in caso di contagio”. Dagli (anzi no) all’untore! [M.D.Z.]


[6] ◆ Schio Copertina

“Il grande problema degli anziani ora è la solitudine” M

Stefano Tomasoni

ai viste così tante epigrafi. Tra dicembre e gennaio le “bacheche dei morti” in città non sono bastate a contenere tutti gli annunci degli addii. Nella piccola galleria del portego Garbin, dove pochi metri separano gli annunci di chi se ne va dai fiocchi rosa e azzurri di chi arriva, tutta l’attenzione dei passanti è stata calamitata dall’inconsueta sfilata dai fogli bianchi e rigidi delle imprese funebri, con la gente che sostava a lungo a guardarli, avendo bisogno del doppio del tempo per scorrere tutti quei nomi, per capire se tra loro c’era qualche amico o conoscente. Sono state le epigrafi la cartina di tornasole di un periodo funesto che ha portato un record di decessi in città, soprattutto di anziani, come spiegato nell’articolo delle pagine precedenti. Un quadro difficile e in certi casi drammatico, per una fascia di popolazione che sta facendo fronte con più fatica e più timori a questa pandemia che ancora non se ne vuole andare. Lo sa bene Cristina Marigo, vicesindaco e assessore alle politiche sociali, che ormai da un anno ha al centro dell’attenzione le ricadute del virus sugli anziani e sulle loro famiglie, e di conseguenza sulla rete assistenziale che se ne occupa e che a sua volta ha dovuto

Con Cristina Marigo, vicesindaco e assessore alle politiche sociali, facciamo il punto su come chi è nella fascia d’età più avanzata ha vissuto e sta tuttora vivendo la realtà della pandemia. “La paura ha chiuso tanti anziani a casa, una situazione molto pesante per loro, dal punto di vista umano. La difficoltà deriva dall’impossibilità di avere dei rapporti quotidiani, uno scambio di parole, di emozioni”.

affrontare nuove forme di organizzazione e di servizio. Assessore, i numeri dei decessi di queste settimane, perlopiù di anziani, parlano da soli. Che situazione stiamo vivendo e come?

“I dati mettono in luce, in questo momento, una grande fragilità degli anziani. Nel mese di dicembre abbiamo avuto davvero tanti decessi rispetto allo stesso mese degli altri anni, ma anche rispetto a tutto il 2020. Da parte nostra stiamo seguendo fin dall’inizio la popolazione anziana cittadina con grande attenzione e preoccupazione. Al di là di quanti sono già presi in carico dal servizio sociale – con la consegna di pasti caldi a domicilio, l’assistenza domiciliare e altro – all’inizio c’era tutta una fascia di anziani soli che temevamo di non riuscire a raggiungere, perché autosufficienti. Abbiamo fatto un grande sforzo, anche grazie alle associazioni d’arma e di volontariato, per portare anche a loro, casa per casa, un

foglio con tutte le informazioni utili e i numeri da chiamare in caso di bisogno, sia di tipo pratico che di sostegno psicologico”. Non è stato facile, e non lo è tuttora, nemmeno per tanti anziani che pure soli non sono, che vivono in famiglia, ma in situazioni non prive di problematiche pratiche di gestione...

“Sì, penso a casi di anziani che vivono in famiglia e che per necessità erano in procinto di entrare in casa di riposo quando tutto si è bloccato, compresi i nuovi accessi alle strutture, comportando difficoltà da parte dei familiari nel gestire le situazioni in casa. Gli ingressi in casa di riposo sono stati contingentati e per un periodo del tutto bloccati, ma il problema non è stato soltanto questo: in molti casi tenere l’anziano in casa è stata una scelta. Tante famiglie che avevano in casa una situazione di non autosufficienza e tuttavia ancora gestibile, hanno tenuto l’anziano in casa per paura che, una volta entrato in


Schio ◆ [7] una residenza, non fosse poi più possibile andarlo a trovare e si finisse col perdere del tutto il contatto. Così ci sono famiglie che si sono trovate nella necessità di riprogrammarsi e riorganizzarsi, proprio in funzione degli anziani”.

Le case di riposo che situazione hanno vissuto?

“La paura ha chiuso tanti anziani a casa. Effettivamente si tratta di una situazione molto pesante per loro, dal punto di vista umano. La grande difficoltà degli anziani in questo momento è la solitudine, l’impossibilità di avere dei rapporti quotidiani, uno scambio di parole, di emozioni. Gli stessi volontari delle associazioni d’arma, della Croce rossa e dei Salesiani che si sono occupati della consegna di farmaci e della spesa a domicilio ci raccontavano di tanti anziani che con l’occasione cercavano soprattutto di scambiare con loro due parole. Anche il nostro servizio sociale ha ricevuto tantissime telefonate, lunghe, di supporto, ascolto e condivisione. Abbiamo risposto potenziando il servizio di assistenza domiciliare, anche a sostegno di quegli anziani che prima erano autosufficienti ma che, avendo contratto il Covid, erano diventati non più autosufficienti pur senza la necessità di un ricovero in ospedale. In città abbiamo anche tanti centri di servizi per anziani nei quartieri che sono occasioni di ritrovo importanti, e che con la pandemia ovviamente sono stati chiusi. Penso ad esempio all’associazione ‘La Famiglia’ con Claudia Marcante a Santissima Trinità: anche loro per un periodo hanno chiuso, anche se so che ogni associato è stato contattato telefonicamente per capire come stava, se gli serviva qualcosa”.

Questo è in effetti l’aspetto più doloroso del Covid nelle case di riposo: l’impossibilità di visite e contatti, con gli anziani che davvero rischiano di sentirsi dimenticati e di andare ancor più in depressione.

Ecco, dietro ciascuno di questi casi c’è un piccolo o grande dramma personale e familiare, ma da un anno siamo ossessionati dalle statistiche - tra tamponi, contagi e decessi - e i numeri non aiutano certo a cogliere l’aspetto umano di questa crisi.

Insomma, fra centri servizi sul territorio e centri diurni, quando l’emergenza sarà finalmente superata si tratterà di riattivare tutta una rete di attività, di rapporti e di relazioni ben rodata e che adesso è interrotta...

“Eh sì. Infatti quello che mi preme più di tutto è riattivare questi anziani, nel momento in cui le cose dovranno migliorare. Mi preoccupa molto che possa succedere, nel momento in cui si potrà tornare alla normalità e ripartire con tutte le attività, che gli anziani si siano impigriti e impauriti, perché è anche una questione di decadimento cognitivo: nel momento in cui sei relegato in casa e fai sempre le solite tre cose, perdi molto la socialità, che è una delle cose essenziali per tutti, ma per l’anziano in modo particolare. Loro hanno bisogno di muoversi, di fare. Perciò siamo qui in attesa che le cose migliorino”.

“Ci sono stati numeri importanti in questa seconda ondata, non c’è dubbio: ci sono stati tanti morti anche lì, così come ci sono stati anche operatori che si sono presi il virus, cosa che ha creato ovvie difficoltà nella gestione. Comunque le difficoltà sono state gestite, affrontata e superate bene. Una cosa utile è stata quella di aver realizzato un ambiente dove l’anziano, pur separato da una vetrata e attraverso l’uso di un citofono, potesse incontrare i propri familiari”.

Copertina

“Certo, anche perché tanti anziani finiscono per subire un decadimento cognitivo. Dopo alcuni mesi di assenza di contatti in certi casi possono esserci anche difficoltà di riallacciare il rapporto. Si tratta di situazioni non sempre facili da gestire anche da questo punto di vista”. Poi c’è tutto il mondo dell’assistenza privata, quello delle badanti. La pandemia ha creato inevitabilmente qualche corto circuito anche sotto questo aspetto, del resto le badanti escono per fare la spesa, hanno reti di contatti, insomma possono diventare inconsapevolmente un rischio per gli anziani con cui vivono. Come è andata finora la gestione di questa realtà?

“Mi preoccupa molto che possa succedere, nel momento in cui si potrà tornare alla normalità, che gli anziani si siano impigriti e impauriti, perché è anche una questione di decadimento cognitivo: nel momento in cui sei relegato in casa e fai sempre le solite tre cose, perdi la socialità”. “Ci sono state situazioni di vario genere, c’è stato anche chi il virus lo ha effettivamente portato all’interno delle famiglie. E ci sono state badanti che non sono più state chiamate perché i familiari dell’anziano temevano che potessero portare il virus. Tante famiglie si sono reinventate, dove hanno potuto, per tenersi in casa l’anziano. C’è stato poi anche un altro aspetto, quello delle badanti non in regola, che con il lockdown si sono trovate di fatto bloccate, perché ci si poteva muovere solo per lavoro e se non si aveva un contratto in regola

L’assessore alle politiche sociali, Cristina Marigo

non si poteva dimostrare la necessità dello spostamento. Noi in precedenza avevamo attivato uno Sportello Badanti, insieme con i comuni dell’Alto Vicentino, proprio per fare formazione e per contribuire in questo modo anche a superare una serie di situazioni poco chiare, favorendo la messa in regola, una garanzia per tutti. Anche in questi mesi abbiamo fatto attività di formazione per badanti ed è stata partecipata, questo mi fa ben pensare anche per il futuro”.

Oltre all’emergenza legata alla terza età, in quest’anno di pandemia come servizi sociali vi siete trovati, più in generale, a gestire anche situazioni di nuove povertà?

“Sì. Un dato aiuta a spiegarlo: si sono rivolti ai Servizi sociali dieci nuclei familiari in più al mese. Sono tanti, rispetto ai numeri normali. Nel 2020 abbiamo distribuito 220 mila euro di buoni spesa, 207 girati dal governo e 17 mila messi come Comune. Tante persone si sono trovate ad avere una situazione economica critica, soprattutto chi aveva lavori precari che, a seguito delle chiusure, sono totalmente saltati.Abbiamo cercato di dare una mano anche a qualche commerciante e artigiano, ma da questo punto di vista c’è più difficoltà a rivolgersi al servizio sociale. Abbiamo attivato dei bonus anche per favorire la partecipazione ai centri estivi, peraltro in questo caso alla fine sono stati spesi non più di 30 mila euro: può significare che da parte delle famiglie c’è una certa difficoltà a farsi avanti e chiedere questo tipo di sostegno, oppure che comunque si sono organizzate diversamente, in autonomia”. ◆


[8] ◆ Thiene Copertina

T

Omar Dal Maso

hiene... “tiene” sopra quota 24 mila abitanti, nonostante il calo demografico generale, di tendenza praticamente in tutta Italia. I residenti scendono di 214 unità rispetto a fine 2019, quando i thienesi erano 24.300 esatti a fronte dei 24.086 odierni. A concorrere all’arretramento sono i dati sui decessi, su cui la pandemia Covid ha inciso in maniera sensibile, segnando quasi il triplo rispetto ai nuovi nati, e il saldo tra nuovi “ed ex inquilini” del centro di Thiene, i quartieri periferici e le frazioni di Rozzampia, Santo e Lampertico. I dati demografici confermano che anche a Thiene la classe d’età più colpita dall’onda anomala del Covid-19 è stata quella dei “nonni”. Il virus ha inciso in maniera indiscutibile tra gli anziani. Il confronto con il 2019 evidenzia +18 morti nella fascia 71/80 anni (59 contro 41 del 2019), in quella dei grandi anziani (81/90 anni) i deceduti sono passati da 98 a 126, un +28 che marca ancor più l’incidenza dell’epidemia capace di falciare con veemenza le persone più fragili. Al di sotto dei 70 anni, e questa è una buona notizia, si è assistito invece a una diminuzione in media della mortalità. Altri “indizi” dell’incisività del coronavirus sulle statistiche sono costituiti dai picchi temporali, con aprile e dicembre ad annoverare il più alto numero di fine vita: 37 contro 17 (aprile 2020 e 2019), 56 contro 33 (dicembre).

L’età media resta 44 anni Il thienese “medio”, con una battuta, non sembra invecchiare mai: anche in questa tornata di approfondimento ha 44 anni, così come nel 2019. Mentre avanzano le nonne della città: tutte di sesso femminile, rimangono in 5 le ultracentenarie (103 anni la più longeva). I dati differenziati per genere confermano la prevalenza di quelli che furono alla nascita i fiocchi rosa rispetto agli azzurri, con 700 donne esatte in più rispetto ai maschi

Si resta sopra quota 24 mila abitanti ma per gli anziani è dura I dati del resoconto demografico di fine anno confermano che anche a Thiene la classe d’età più colpita dall’onda anomala del Covid-19 è stata quella dei “nonni”. (12.393 contro 11.693).A proposito di fiocchi, oltre a quelli di neve caduti copiosi su Thiene a fine dicembre se ne sono registrati 126 per festeggiare chi è venuto al mondo nei 12 mesi passati. Tanti nuovi bebè armati di ciucci, coccole e pannolini nati nell’anno più tribolato su scala planetaria dal Secondo Dopoguerra in poi; ma che non bastano a compensare gli addii riservati a chi nel 2020 è trapassato: 310 persone. Tra le curiosità quella che riguarda i nomi più gettonati dai neogenitori made in Thiene: si diffonde Vittoria, forse come buon auspicio per il futuro, con Gaia e Beatrice a far compagnia alle baby coetanee, mentre tra i maschietti Leonardo e Tommaso spopolano, pronti a tramutarsi nei nomignoli “Leo” e “Tommy” al pari dei “Pippo”, con Filippo a completare il terzetto di nomi più comuni.

Aumentano i single Interessante si rivela il cosiddetto “indice di vecchiaia”, ossia il rapporto tra anziani

over 65 e bambini in età 0-14 anni: a prevalere i più maturi, presenti in 153 ogni 100 juniores (erano 150 lo scorso anno). Ciò significa che, nonostante l’età media invariata (44 anni) e con l’incidenza di aumento di mortalità e la diminuzione delle nascite, la popolazione thienese è in realtà leggermente più invecchiata. In “ingresso”, contribuiscono a puntellare la popolazione gli 827 nuovi cittadini giunti “a rinforzo” e domiciliati in città, per il 70% di nazionalità italiana. Sono 248 gli stranieri, con la particolarità dei 24 rimpatri di connazionali, che aggiunti ai 95 cittadini di oltreconfine per la prima volta in Italia compongono il dato di 119 persone iscritte per immigrazione da stato estero. Sul punto della famiglia si registra un segno più: 40 nuclei che si aggiungono ai 10.296 di un anno fa, ma il balzo, come fanno notare dagli uffici demografici, è legato ai tanti “single” che prendono casa da inquilini esclusivi. Su 10.336 sono 4.322 le famiglie con figli. ◆



[10] ◆ Thiene Attualità

L

Omar Dal Maso

a nonnina riconoscente che con pazienza tesse un centrino a uncinetto, uno stanzone gremito di doni da distribuire in vista del Natale, una posta virtuale che trabocca di messaggi di gesti solidali e regali oltre ai ringraziamenti, e ancor più gli sguardi teneri che parlano da dietro i vetri di una finestra. Sono alcuni dei flash che Anna Maria Savio racconta dopo aver vestito i panni sia di volontaria nel tempo libero, che quelli più pesanti di punto di riferimento e di coordinamento degli aiuti in tempi di emergenza, legati all’incarico di assessore alla persona e alla famiglia e al volontariato sociale di Thiene. Insieme ai collaboratori ha bussato alla porta di 150 famiglie della città. Restando sull’uscio, rispondendo al telefono e al citofono, cercando di fornire il sostegno concreto dovuto da parte del Comune e quello non scontato in termini di supporto psicologico, conforto e incoraggiamento. Come ha risposto la sua città in termini di mutuo aiuto?

“Con una solidarietà incredibile, da parte di semplici cittadini, dei commercianti seppur loro per primi in crisi, associazioni, imprenditori e gli scout Agesci che hanno distribuito i doni sotto la neve. Basti pensare alla quantità di scatoloni che abbiamo smistato durante le feste. Un Natale che ricorderò per tutta la vita, denso di emozioni forti che magari qualche volta mi hanno tolto il sonno ma ora, anche a nomi di tutti i volontari, posso dire che ne è valsa la pena”. Un impegno “inaugurato” a marzo, quando il Covid ha presentato il suo conto sociale...

“Credo di poter dire che non abbiamo fatto mancare la nostra vicinanza alle famiglie più fragili, da quelle super numerose ai pensionati. L’anziano a volte solo, pur stando bene, era ed è tuttora spaventato dalla pandemia, disorientato e in ansia. Mi so-

Aiuto e sostegno per 150 famiglie Così a Thiene si è stati vicini agli anziani e a chi più aveva bisogno di sostegno durante questi mesi di pandemia. Tra le iniziative non soltanto i buoni spesa, i pasti caldi, i medicinali ma anche parole di conforto e vicinanza. Facciamo il punto con l’assessore alla Famiglia Anna Maria Savio.

no rimasti impressi gli sguardi, le persone esprimono la loro preoccupazione non solo a parole. Il nostro compito consiste nel tranquillizzarle, rassicurarle che rispettando le regole sarebbero rimaste al sicuro e che in caso di bisogno, oltre ai familiari in alcuni casi lontani, c’era sempre qualcuno preposto su cui far affidamento. Di primo impatto non tutti vogliono farsi aiutare e bisogna farsi accettare, superando diffidenze e imbarazzi, far capire che non è una colpa trovarsi in situazioni difficili e che da parte di chi amministra una città è un dovere offrire un aiuto”. Come si è arrivati alla mappatura dei bisogni?

“Il primo aspetto da affrontare era l’avvicinamento, far sentire la presenza durante il lockdown. Siamo partiti con 120 pasti donati da ristoratori, un modo per entrare nelle famiglie scambiando una parola dall’esterno. Attenzione, non solo quelle note ai servizi sociali: si è costruita una rete con i presidenti dei Comitati di quartiere, la Caritas e i parroci e cittadini che

mi segnalavano ad esempio coppie finite in cassa integrazione”. Che cosa l’ha colpita di più?

“Sentirsi definire angeli, pur sapendo che sono ben altri a meritarlo, dai figli di chi andavamo a trovare, per testimoniare che non erano abbandonati quando proprio loro, per precauzione, erano lontani. E mi ha stretto il cuore sentire qualche nonna dire che mi avrebbe regalato le presine o tappetini fatti con le loro mani, un modo per dimostrare la gratitudine”.

Ricapitolando: pane e pasti caldi consegnati nel periodo più buio, ma anche i buoni spesa ministeriali e quelli extra dei benefattori, fino ai dolci e alle stelle di Natale. Poi il monitoraggio di Casa Albergo dove si trovano una cinquantina di anziani autosufficienti...

“Lì abbiamo portato le mascherine, fatto visite periodiche e fornito pasti grazie a un benefattore a Capodanno: primo, secondo e panettone, tutti erano contentissimi dopo tante privazioni. Dinamiche simili le abbiamo vissute in Casa della Solidarietà, dove vivono donne e madri con figli in difficoltà”.

Una curiosità: lei ha anche attivato un profilo social che si è rivelato fondamentale nella gestione degli aiuti.

“Mi ha convinto Giampi Michelusi, tra l’altro sempre al nostro fianco come volontario, e ha avuto ragione. Qualcuno magari avrà creduto si tratti di ostentazione ma è stato utilissimo per ricevere le segnalazioni ed è stato un esempio di marketing sociale: si è generato un tam-tam di persone disposte a donare. Pizzerie, ristoranti, panifici e via dicendo, ora posso dire che sono felice di aver ceduto alla tentazione”. ◆



[12] ◆ Schio Attualità Schio e l’Alto Vicentino sono zone a basso rischio sismico. Secondo gli ultimi studi, peraltro, sono possibili sismi con intensità massima paragonabile a quello verificatosi in Emilia nel 2012, di magnitudo 6.1.

Siamo a rischio terremoto? Non tanto, però... Dopo le recenti scosse di terremoto in Croazia e, meno intense, nel Veronese, torna d’attualità la domanda: Schio e l’Alto Vicentino sono zone sismiche? Si fa abbastanza per prevenire i danni da terremoti? Lo abbiamo chiesto a due geologi che operano in zona.

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Mirella Dal Zotto

ella seconda metà del 2020 la terra ha tremato nella zona di Posina, Laghi e Valli del Pasubio; proprio a fine anno in Croazia si sono verificate potenti scosse avvertite anche da noi, e un paio di scosse (modeste) sono partite anche dal Veronese. Ma Schio e l’Alto Vicentino sono zone sismiche? Si fa abbastanza per prevenire i danni da terremoti? È conveniente approfittare del sismabonus? Per rispondere a ciò ci siamo rivolti a due esperti geologi che operano in zona: Andrea Bertolin e Bernardino Zavagnin. Zavagnin si è laureato in geologia a Padova e in seguito in architettura allo IUAV di Venezia, proprio con una tesi intitolata “Costruire in zona sismica”. Bertolin si

è anch’egli laureato a Padova e lavora nel campo della geologia applicata all’ingegneria civile, all’ambiente, alla pianificazione del territorio.

Schio è in zona a bassa sismicità “La causa della sismicità di un territorio è strettamente legata alla sua posizione tettonica - esordisce Zavagnin -.Ad esempio, il continente australiano si sposterà sicuramente verso quello asiatico, determinando la collisione di alcune placche, l’insorgere di catene montuose, attività vulcanica intensa, grandi eruzioni di lava, fenomeni sismici, cambiamenti climatici. Contemporaneamente in altre zone della superficie terrestre si estenderanno o si chiuderanno mari e oceani. Il tutto avverrà in milioni di anni, ma la Terra è un pianeta relativa-

mente giovane e sempre in movimento: la placca adriatica, vicina a noi, ad esempio, ha determinato il recente terremoto di Petrinija, vicino a Zagabria e la causa del sisma è la spinta verso nord di un’altra placca, quella africana”. Schio e l’Alto Vicentino sono zone sismiche?

“Il Veneto è una regione disomogenea dal punto di vista geologico-strutturale e, quindi, lo è anche dal punto di vista sismico - risponde Bertolin -. La regione è suddivisa in più distretti sismici, zone all’interno delle quali i terremoti si assomigliano. Il nostro comune si trova nel distretto Lessini-Schio; secondo gli ultimi studi, nell’Alto Vicentino sono attesi sismi con intensità massima paragonabile a quello verificatosi in Emilia nel 2012, di magnitudo 6.1. L’amministrazione comunale si è dotata di un importante studio e nella ‘Carta delle microzone omogenee in prospettiva sismica’ si possono riconoscere le aree più esposte al rischio terremoti”. “Schio può risentire anche degli effetti della faglia Schio-Vicenza, che attraversa tutto il nostro territorio comunale estendendosi fino a Rovereto – interviene Zavagnin –. È una faglia d’importanza regionale che mette a contatto formazioni rocciose pre-permiane con altre cretacee e altre ancora di centinaia di milioni di anni più recenti. A Schio le massime intensità sismiche sono state avvertite nel 1976 (terremoto in Friuli) e nel 1989 (terremoto in Pasubio). Continuiamo comunque a essere inseriti nella zona 3, a bassa sismicità”.


Schio ◆ [13] Il carsismo della Valletta e dei Cappuccini In merito al carsismo presente in Valletta e ai Cappuccini, gli esperti concordano nella fragilità di quell’area. Bertolin asserisce che la presenza di rocce marnose contribuisce però a ridurre il problema; Zavagnin precisa che comunque non si tratta di terreni idonei a costruire, perché le cavità sotterranee, che indeboliscono gli strati superficiali, tendono ad amplificare il fenomeno sismico, qualora si verifichi.

In Valletta e ai Cappuccini si è comunque costruito parecchio, soprattutto in passato. Oggi, quando si progetta una costruzione, si presta attenzione alla sicurezza del territorio?

“Direi che in genere si sta attenti alle zone geologicamente a rischio – dice Bertolin –, ma c’è una chiara carenza in merito alla regimazione e alla gestione delle acque meteoriche. I corsi d’acqua, in particolare l’idrografia minore, in passato non sono stati oggetto di interesse, di tutela, di progettazione. Ora che il tessuto urbano è così denso ed esteso, diventa difficile intervenire e trovare delle soluzioni adatte a mitigare gli effetti generati dal verificarsi di eventi meteorici importanti e sempre più frequenti, che spesso causano danni a porzioni anche importanti dell’esistente edificato”.

Secondo voi si fa abbastanza per prevenire i danni provocati dai terremoti?

Attualità

“Ogni Comune regola l’attività edilizia con specifiche normative riferite alle leggi esiPerché il Sismabonus, pur essendo appetibile, stenta a decollare? stenti e agli strumenti urbanistici – osserva Zavagnin -. Per la gran parte degli edifici “Perché è sì un efficace contributo al migliopubblici presenti in città si va verso l’aderamento statico di molte costruzioni, ma la procedura per ottenerlo va affidata a tecnici guamento sismico e per quanto riguarda gli competenti, che ovviamente si pagano. Cerinterventi sulle costruzioni private esistenti, il Sismabonus rappresenta un’opportunità to è che la messa in sicurezza della propria per il consolidamento di molti edifici datati”. abitazione ripaga dell’impegno finanziario e aumenta il valore dell’immobile stesso”. ◆ “Ad oggi solo una piccola percentuale dei proprietari di immobili intende però investire sull’adeguamento sismico degli edifici – precisa Bertolin – mentre, per quanto riguarda le amministrazioni pubbliche, negli ultimi cinque anni sono stati promossi numerosi interventi. La speranza è che in futuro maggiori fondi vengano stanziati, soprattutto per adeguare l’edilizia scola- Uno scorcio della Valletta di Schio, una zona caratterizzata da fenomeni di carsismo che gli esperti interpellati definiscono geologicamente fragile stica”.

Giochi e generi alimentari al Gruppo missionario di Poleo

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eneri alimentari e regali per i bambini da distribuire alle persone e alle famiglie in difficoltà del territorio. Questo il segno di solidarietà e vicinanza che l’Historic Club Schio ha voluto rivolgere alla onlus Gruppo Missionario San Giorgio di Poleo, aderendo alla campagna “Befana dell’ASI” promossa da Automoclub Storico Italiano per sostenere

quanti in questo periodo stanno attraversando un momento complicato. «Purtroppo in quest’epoca di pandemia le problematiche di carattere economico si stanno diffondendo nelle fasce meno abbienti di popolazione e quindi, con il patrocinio del Comune di Schio, abbiamo deciso di supportare la raccolta dell’onlus locale dicono dall’Historic Club Schio -. Il Gruppo

Don Luigi Bolla, primo passo verso la canonizzazione Primo importante passo avanti concreto nel percorso verso la canonizzazione di don Luigi Bolla, il padre salesiano scledense che dedicò la sua intera vita alle popolazioni amazzoniche Shuar e Achuar dell’Ecuador e del Perù. È stato resa ufficiale in quesi giorni la notizia che il 16 dicembre scorso la Congregazione delle Cause dei Santi ha comunicato all’Arcivescovo di Lima, mons. Carlo Castillo Mattasoglio, il nulla osta da parte della Santa Sede all’apertura della “Causa di Beatificazione e Canonizzazione del Servo di Dio Luigi Bolla”. In questo modo inizia a tutti gli effetti il cammino che si spera potrà portare nei prossimi anni agli onori degli altari il missionario scledense. [S.T.]

Missionario San Giorgio di Poleo si occupa, con impegno quotidiano e diretto sul campo, di offrire supporto a persone attraverso la fornitura di cibo o con aiuti di carattere economico, ad esempio per fare fronte alle bollette, oltre a offrire l’ascolto e la parola alle persone sole o emarginate, spesso anziane. Questa donazione è un piccolo gesto che vuole dare un sostegno tangibile a chi ne ha più bisogno attraverso il mondo degli appassionati dei veicoli d’epoca». ◆




[16] ◆ Schio Attualità

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Stefano Tomasoni

n attesa che l’emergenza Covid rientri, le scuole hanno bisogno di risposte per tornare il più possibile a quel tipo di relazioni e di vita scolastica che la pandemia ha interrotto. Vale ovviamente in paticolare per le superiori, che procedono ancora con la “palla al piede” della didattica a distanza. Un aiuto può arrivare dalla cosiddetta “outdoor education”, termine inglese (e come ci si salva dall’anglomanìa?) che indica in sostanza la “scuola all’aperto”, quella che si può svolgere attraverso attività didattiche che sfruttano aree esterne scolastiche, spazi urbani, giardini, parchi, boschi, fattorie e altri luoghi a contatto con l’ambiente. Una formula che potrebbe tornare utile in questi mesi difficili. Ne sono convinti i consiglieri comunali del Pd – Giulia Andrian, Giovanni Battistella e Leonardo Dalla Vecchia – che hanno presentato una mozione sul tema, discussa in questi giorni dall’assemblea di palazzo Garbin. Una delle soluzioni proposte dal Pd è quella di ripensare agli spazi esterni delle scuole, ma anche gli spazi pubblici comunali come “spazi di apprendimento per tutti gli ordini scolastici”. Si tratta, per i consiglieri Dem, di “promuovere e supportare quelle attività che prevedono la conoscenza del patrimonio culturale, storico e architettonico della città attraverso uscite degli studenti nel territorio comunale. L’outdoor education, una modalità didattica sperimentata da decenni nei paesi del Nord Europa, si è dimostrata efficace dal punto di vista dell’apprendimento, ma stenta a decollare in Italia per una serie di vincoli.

Contro il virus c’è spazio per la “scuola all’aperto” In attesa che l’emergenza Covid rientri, un aiuto per aiutare le scuole a tornare alla normalità può arrivare dalla “outdoor education”, attività didattiche che sfruttano aree esterne scolastiche, spazi urbani, giardini, parchi, boschi, fattorie e altri luoghi a contatto con l’ambiente.

Speriamo che ciò che da anni avremmo dovuto riformare per motivi didattici sia ora messo in atto per motivi sanitari”. Che la didattica “en plein air” abbia le sue potenzialità non è, a dirla tutta, una scoperta di oggi: è da tempo che anche le scuole scledensi, dalle elementari alle superiori, svolgono esperienze e attività legate al territorio. La “outdoor education”, però, diventa una sorta di “filosofia didattica” più coordinata e strutturata. “È un modo diverso di fare scuola che arriva dai paesi nordici: potrebbe essere l’occasione giusta per portare questa pratica anche qui, ovviamente per quanto previsto dai programmi didattici dei vari istituti – osserva Katia De Munari, assessore ai

Villino Rossi, almeno gli alberi Il muro di cinta del villino Rossi, dalla parte di via Rossi (per la ripetizione non siamo responsabili, in questa città c’è Rossi ovunque), di recente si presentava così, con un paio di fronde cadute dagli alberi interni del parchetto, a incombere sul marciapiede. Il quale è già da anni precario di suo a causa dello stesso muro di cinta, che pende verso l’esterno piegato dal peso degli anni e dell’incuria. È quel che succede a lasciare un edificio storico in mano al Demanio: nessuno se ne occupa più e finisce per cadere a pezzi. Il pericolo, però, è che cadano a pezzi anche gli alberi del piccolo parco della villa, e lì potrebbe

finire male se ci andasse di mezzo qualche passante. Insomma, uno spettacolo desolante, il povero villino Rossi. Almeno agli alberi, però, bisogna che qualcuno ci pensi. [S.T.]

servizi educativi e al campus -. A Schio abbiamo delle scuole meravigliose, con spazi molto ampi dove i ragazzi, tempo atmosferico permettendo, possono fare non solo attività fisica ma, vista l’emergenza sanitaria, anche didattica. Non ci sono particolari difficoltà nella gestione degli spazi. Si può pensare poi anche alle gradinate di palazzo Toaldi Capra, ai nostri parchi, alle colline. Le stesse scuole programmano varie attività, uscite sul territorio, visite legate alla nostra archeologia industriale, passeggiate ambientali... Il Comune supporta le attività degli istituti comprensivi”. Per sostenere il mondo della scuola nel far fronte all’emergenza Covid, a metà dello scorso anno sono arrivati a disposizione del Comune 120 mila euro. Risorse con le quali si è dato risposta a tutta una serie di richieste arrivate dagli istituti: non solo i necessari prodotti per igienizzare e sanificare, ma anche e soprattutto strutture per le attività all’aperto. “In questo modo siamo riusciti a dotare tutte le scuole, prevalentemente elementari e asili, delle strutture esterne necessarie, là dove erano deteriorate dal tempo o non erano presenti – spiega l’assessore De Munari -. I dirigenti scolastici ogni anno presentano un protocollo con le loro richieste e l’amministrazione, in base ai fondi disponibili, viene incontro alle esigenze. Quest’anno siamo riusciti a rispondere a tutte le richieste, anche a quelle extra arrivate in agosto e settembre”. ◆


Ecocentro unico entro un anno La chiusura dell’ex cava utilizzata come discarica per inerti in località Quattro Strade ha comportato lo spostamento del servizio, che entro un anno sarà riunito in un’unica ampia ecostazione in zona industriale sud.

P

assaggio di testimone fra ecocentri a Thiene prima delle festività, con la prospettiva entro un anno di riunire il servizio in un’unica ampia ecostazione in zona industriale sud. Fermo restando in piena operatività e senza interruzioni il servizio di raccolta di via Liguria (area nord della città), è andato invece in congedo definitivo il sito di via Bassano sulla strada Nuova Gasparona, allestendo uno nuovo spazio all’aperto per il conferimento dei rifiuti urbani a fianco dei Magazzini Comunali, posto tra via Renier e via Corner. È aperto il lunedì e il mercoledì in orario 14.30/17 (invernale), venerdì e sabato 8.30/12.30, senza necessità di prenotazione,

dallo scorso 16 dicembre. Esteso su una superficie di 1.300 mq, dispone di 10 container. Si tratta di una sede provvisoria, che rimarrà attiva per i prossimi mesi e fino a quando non sarà messo a punto il nuovo (e grande) ecocentro unico, proprio a fianco, una volta che il progetto definitivo prenderà corpo.

Thiene ◆ [17] Attualità Costerà circa 700 mila euro secondo le stime, e sarà cofinanziato dal Comune di Thiene e da Alto Vicentino Ambiente, la società consortile che si occupa della raccolta, gestione e smaltimento dei rifiuti per conto di 31 enti locali e l’Unione Montana per l’Altopiano.A seguire l’iter l’assessore ai lavori pubblici Andrea Zorzan. Non sono pochi i cittadini thienesi che si sono chiesti i motivi alla base della chiusura dell’ecocentro sulla Nuova Gasparona e il conseguente spostamento, che sorgeva fino al 9 dicembre scorso nella vicinanze di Decathlon. Il vecchio sito in località “Quattro Strade” ha chiuso i battenti in concomitanza con la discarica per inerti nell’ex cava, che sarà colmata con materiali non di rifiuto (rocce e pietre di scavi) e sigillata, risolvendo una situazione di promiscuità con lo spostamento temporaneo a poco più di un km di distanza. Proprio in prossimità a dove sorgerà il definitivo ecocentro unico per la città di Thiene, verosimilmente tra fine anno e inizio 2022 se non ci saranno intoppi nella fase esecutiva. ◆ [O.D.M.]


[18] ◆ Schio Attualità Tra chiusure, paure e norme in continuo cambiamento, molte attività rischiano davvero di non riuscire a passare il guado. Ma si delinea anche qualche motivo di ottimismo per la rivitalizzazione della “piazza” scledense.

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Elia Cucovaz

lcuni - forse molti - non riapriranno più.Altri, nonostante tutto, sono pronti ad aprire e scommettono nel futuro. Tutti cercano di resistere come possono alla pandemia e alle restrizioni imposte dai Dpcm e percepite da tutti gli addetti ai lavori come eccessive. C’è chi tiene le serrande abbassate in attesa di tempi migliori e chi si dà all’asporto e alle consegne a domicilio. Sono i bar e i ristoranti di Schio: un settore che, a prescindere da preferenze e opinioni personali, indiscutibilmente dà un’impronta e contribuisce a creare l’identità di una città. Abbiamo chiesto ad alcuni rappresentanti della categoria, sia “decani” che giovani, di fare il punto sulla situazione del settore. Ne emerge un quadro fosco sotto molti aspetti. Tra chiusure, paure, norme incomprensibili e in continuo cambiamento, molte attività rischiano davvero di non riuscire a passare il guado. Ma si delinea anche qualche motivo di ottimismo, che porta a sperare in un futuro di rivitalizzazione della “piazza” scledense, che passa anche da un’offerta enogastronomica di qualità e in grado di generare indotto, attrarre per-

La lunga attesa dei ristoratori Ristoranti, trattorie, bar e locali a Schio (ma del resto ovunque) cercano di resistere al periodo nero del Covid. C’è chi non riaprirà più, ma c’è anche chi è pronto a una nuova avventura e a scommettere sul futuro. “Il rischio, per Schio, è di dare il colpo di grazia al centro storico”, dice Renato Cumerlato.

sone e risorse (e idee), e anche offrire spazi di socialità e svago di cui oggi come non mai si sente il bisogno.

Cumerlato: “Si rischia il colpo di grazia” «La situazione del nostro settore è critica: ben vengano le regole e i controlli anche severi, ma non possono condannarci tutti a

L’ex trattoria “Ai Tigli” di via Rovereto tra alcuni mesi diventerà la nuova sede de “L’Orso” oggi a Pieve.

morte. Il rischio, per Schio, è di dare il colpo di grazia al centro storico». Non nasconde la sua preoccupazione Renato Cumerlato, consigliere provinciale FIPE e storico barman cittadino che quest’anno festeggerà - pandemia permettendo - i 50 anni di attività. «I ristori statali sono totalmente insufficienti a sopravvivere – aggiunge -. Tantissime attività giovani o meno conso-

La trattoria “All’Altura” sulla Maranese


Schio ◆ [19] lidate rischiano seriamente di non farcela. E se perdiamo i locali pubblici e i negozi di vicinato come potremo mai pensare di rivitalizzare il cuore della città, come da anni si cerca di fare?». Servirà un grande impegno da parte di tutti, non ultima l’amministrazione comunale «che finora si è sempre dimostrata attenta» per risvegliare la città dall’infinito lockdown. Un desiderio che arriva, prima di tutto, dagli stessi clienti di bar e ristoranti. «Da loro riceviamo tanti messaggi di nostalgia, di voglia di ritornare a vivere. Ma non sarà facile». Ci sono, comunque, altri elementi di ottimismo: «Vedo ancora tanti giovani iscritti ai corsi FIPE per avvicinarsi a questa meravigliosa professione. Consiglio loro, ma non solo, di sfruttare questo periodo per studiare il mercato, specializzarsi, trovare una propria identità».

Ghezzo: “Solo la metà di noi ce la farà” Un altro decano della ristorazione cittadina è Giorgio Ghezzo: ben 62 anni di carriera di cui gli ultimi 8 come oste della trattoria all’Altura. Anche lui non usa mezzi termini per qualificare la situazione attraversata dagli esercizi pubblici: «Contro di noi c’è un accanimento ingiustificato da parte del governo. Prima ci chiedono di rispettare certe regole, poi niente: si chiude. La beffa è che le occasioni di contagio ci sono ovunque. Posso arrivare a capire uno stop notturno dei locali, ma a mezzogiorno noi ristoratori offriamo soprattutto un servizio ai lavoratori, che vogliono solo potersi sedere al caldo per mangiare». Il giudizio di Ghezzo, sul futuro, è plumbeo. «La mia impressione è che solo il 50% di noi riuscirà a passare il guado, anche perché il settore è già indebolito una crisi strisciante già da dieci anni. E questa non solo è una catastrofe per tanti giovani che si ritroveranno senza lavoro e pieni di debiti, ma cela dei rischi ancor più gravi. Sapete chi può fare affari d’oro in questa situazione? La criminalità organizzata, investendo nei locali in crisi per riciclare denaro per poi “strozzare” gli imprenditori che ci cascano per disperazione». Anche a Schio? «Certo. E dove se non qui, dove tutto sommato il benessere c’è ancora?». Ballardin: “Imparare a fare più rete” Le uniche opportunità per i ristoratori in lockdown sono asporto e consegne a domicilio. E molti locali del territorio si sono rimboccati le maniche e si sono lanciati in questa direzione. Tra questi un

Attualità

Il ristorante “da Beppino”

altro storico ristorante: Da Beppino. «È poco più che una boccata d’ossigeno, ma lo facciamo per mantenere i rapporti coi clienti e far fronte a una parte delle spese correnti - spiega Mirko Ballardin -. Se non altro abbiamo la soddisfazione di trovare apprezzamenti da parte di chi, nonostante la situazione, cerca la nostra cucina, e di tenere unita la squadra di collaboratori che sarà essenziale quando finalmente si potrà ripartire». Presto, si spera. Perché la situazione è grave. Una ripartenza che secondo Ballardin sarà “in salsa locale”: «I prodotti del territorio sono e saranno una forte leva per la ripresa, perché creano un forte legame identitario. In futuro sarebbe utile che la nostra categoria imparasse di più a fare rete. Perché un territorio ricco dal punto di vista enogastronomico è un territorio attrattivo e questo è un bene per tutti. L’esempio dovrebbe essere quello dell’Associazione Ristoratori degli anni ‘80 e ‘90: un sodalizio che lanciò prodotti come la Sopressa di Valli e il Mais Marano, che negli anni hanno generato un indotto e creato valore nel territorio».

In attesa di…diventare Grandis Una grande iniezione di ottimismo, in ogni caso, è vedere che ci sono imprenditori che credono e investono a Schio. È il caso di Matteo e Vera Grandis, che al Lanificio Conte hanno inaugurato il 20 dicembre un nuovo locale: Woolen Mill. Ad oggi è potuto rimanere aperto solo 5 giorni, ma i Grandis - già contitolari da 5 anni del bar Shelter di Thiene - hanno una grande fiducia nel suo futuro. «Schio è la nostra città ed è già da qualche tempo che avevamo in

mente di replicare qui la formula che ci ha dato grandi soddisfazioni». L’opportunità di investire si è presentata a ottobre e i Grandis non si sono fatti spaventare dal momento. «Credevamo che dopo Natale ci sarebbero state restrizioni meno severe, ma nonostante questo abbiamo fiducia nelle potenzialità della piazza scledense. Personalmente credo sia meglio avere 20 persone in un locale - con distanziamento, protocolli e controlli - piuttosto che in una taverna privata senza nessuna regola. Però, a conti fatti, forse è meglio che si riparta quando la situazione sarà più serena e sicura per tutti. Speriamo solo che sia presto: vogliamo, e dobbiamo, poter lavorare».

E a fine estate arriva l’Orso A poche centinaia di metri dal Lanificio Conte, davanti alla Caserma Cella, un altro locale storico e chiuso da tempo si sta preparando a riaprire nonostante la pandemia. L’ex trattoria “Ai Tigli”, al termine dei lavori di ristrutturazione prevista per la fine dell’estate, diventerà la nuova sede de L’Orso, che si trasferirà qui da Pievebelvicino. «A dire la verità, tutto è cominciato a inizio 2020, quando di Covid si era appena iniziato a sentir parlare - spiega il titolare Matteo Costalunga -. Però io e il mio socio Alberto Gasparella siamo convinti più che mai che sia stata una scelta buona: Schio ha tante potenzialità da cogliere e già da qualche tempo mi pare ci siano i segnali di un rinnovamento positivo in atto». A questi imprenditori coraggiosi e a tutti gli altri - esercenti, ristoratori, commercianti e non solo - i cittadini di Schio non possono che augurare la migliore fortuna. ◆


[20] ◆ Thiene Attualità

Si tratta a tutti gli effetti di una fattoria, e quindi con tante attività da seguire, campi da coltivare, prodotti da raccogliere, da trattare in pieno stile agriturismo.

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n’etichetta di bottiglia dipinta a mano che vale come un “distintivo” di come il frutto della terra e del lavoro sia a portata di mano. E di tutte le mani e braccia, soprattutto, che hanno imparato a sorreggere un’avventura che sa di sogno. E anche, per la gioia del palato, di vino. Merita di essere divulgata la storia della Fattoria Sociale “La Costa”, che sullo sfondo delle colline di Sarcedo ha piantato non solo le viti ma anche le radici già profonde nel territorio altovicentino in tema di solidarietà e di integrazione sociale, dove chiunque può mettere a disposizione le proprie abilità, per ridefinire il concetto di disabilità. Nel vigneto, nell’orto, nell’uliveto e nella fase finale di confezionamento. Un’opportunità occupazionale, prima di qualsiasi altra considerazione scevra da questioni etiche. Per giovani e adulti cosiddetti “svantaggiati” che, affiancati da esperti enologi e coltivatori del settore, lavorano in team mettendo la propria identità in calce al proprio lavoro. L’iniziativa, agli albori già nel 2008, è entrata nel novero delle aziende agricole certificate come fattorie sociali e fattorie didattiche del Veneto, con il fulcro costituito dalla

Ma che bella la Fattoria sociale

Le attività dell’azienda vitivinicola e agriturismo “La Costa” di Sarcedo in tema di solidarietà e di integrazione sociale, dove chiunque può mettere a disposizione le proprie abilità, per ridefinire il concetto di disabilità.

volontà di offrire opportunità lavorative e di reinserimento sociale a persone fragili. Tra l’altro ergendosi su un “promontorio” sopra centro di Sarcedo che conferisce un’atmosfera bucolica d’altri tempi, attorniati anche da animali di piccola taglia. Si parla di colline e viticoltura, ma “a monte” dell’iniziativa c’è la firma dell’imprenditore Osvaldo Tonello, che dopo aver fondato e sostenuto il centro diurno “Casa Enrico” a Fara dedicato a persone con disabilità grave, intitolandolo in memoria di suo figlio, con la consueta creatività mirata al “fare il bene fatto bene” ha dato forza e concretezza a un progetto divenuto solida realtà a distanza di anni. Con l’associazione “Filo di Seta Onlus” di Fara come denominatore comune . Si tratta a tutti gli effetti di una fattoria, e

Un dolce pensiero per Natale per le famiglie bisognose Un pandoro che proviene dal cuore di chi pensa al prossimo anche in occasione del Natale. Per circa 200 famiglie thienesi è giunto un dono succulento e inatteso alle porte della festa della Natività, con il dolce tipico recapitato direttamente sull’uscio di casa. A occuparsi materialmente della distribuzione sono stati alcuni volontari coordinati dal Comune di Thiene e dalla Caritas, a rendere più “dolce” il gesto di solidarietà promosso dai giovani del Rotaract Club e dai più grandi membri del Rotary Club Schio-Thiene,

che hanno voluto riservare un piccolo ma prezioso pensiero concreto a chi si trova in difficoltà.

quindi con tante attività da seguire, campi da coltivare, prodotti da raccogliere, da trattare in pieno stile agriturismo, che fa parte del ventaglio di proposte. Con “La Costa” da abbinare al sapore del buon vino c’è la consapevolezza che dietro a un sorso del nettare si premia il lavoro dei “ragazzi” di tutte le età che oltre ad esprimersi liberamente nel comporre le etichette originali - forse la parte più divertente che dà sfogo anche allo spirito artistico -, partecipano a tutta la filiera produttiva. Ciascuna etichetta di ogni bottiglia è diversa dalle altre, quasi come fosse un’opera d’arte individuale che racchiude emozioni e stati d’animo del momento, con ampia libertà d’espressione lasciata dagli operatori ai collaboratori “armati” di pennello e colori. Un valore aggiunto, senza dubbio. Che si tratti di potare le viti, imbottigliare, trasportare scatoloni o aiutare in cucina, l’importante è rendersi utili nella filiera, mettendo a disposizione le proprie capacità. Ricavandone dei frutti non solo in senso figurativo. E farlo insieme, visto che la fattoria sociale e tutte le proposte correlate è prima di tutto una comunità in cui si condivide tutto nel corso delle giornate di impegno, sia nella sede principale di Sarcedo che nella struttura di Zugliano e nei campi, 30 ettari in tutto dislocati in più terreni. Assolutamente da ricordare, infine, che gli utili dell’attività vitivinicola dei marchi proposti vanno a confluire nella fondazione che sostiene centri di supporto a persone con difficoltà cognitive e disabilità gravi come “Casa Enrico” appunto. ◆ [O.D.M.]



[22] ◆ Thiene

Tony Conte, fondatore dell’associazione Manna Mima, con un gruppo di bambini nel villaggio in Burkina Faso

Attualità Nel villaggio del Burkina Faso, dopo aver portato prima l’acqua attraverso un pozzo e poi la corrente elettrica, è stata costruita una scuola per i bimbi e avviate delle coltivazioni moderne.

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Omar Dal Maso

n quadro dal significato profondo, un progetto benefico lodevole, e il patto tra un’apprezzata artista altovicentina di Zugliano e un noto ristoratore e barman thienese sullo sfondo. Un bel mix di “colori” e buone intenzioni sfociato in un’asta on line su Ebay, finalizzata alla raccolta fondi per l’associazione solidale “Oasi Villaggio Mama Mima”, che tradotto in atti concreti significa in favore di bambini africani (e le loro famiglie) di un’area difficile del Burkina Faso, piccolo stato dell’Africa Occidentale. Un contributo ben accolto ovviamente dall’associazione, che dal gennaio 2017, a suon di viaggi e donazioni, sta realizzando il sogno di rendere autonomo un piccolo villaggio nel paese africano. Dopo aver portato prima l’acqua attraverso un pozzo e poi la corrente elettrica, è stata costruita una scuola per i bimbi e avviate delle coltivazioni moderne. Servizi igienici e cucina nella scuola sono i prossimi obiettivi. L’iniziativa solidale, in scena tra dicembre e i primi di gennaio 2021, si adatta ai tempi di emergenza sanitaria e insieme approfitta delle frontiere digitali. I fautori sono stati Federica Elipanni e Antonio “Tony” Conte, titolare di un pub/osteria che porta il suo (cog)nome nel centro città. A farli incontrare, anche se finora solo al telefono, un filo invisibile che lega gli animi gene-

Un dipinto per il Burkina Faso Un quadro della pittrice di Zugliano Federica Elipanni è stato donato, con un’asta su Ebay, alla causa dell’associazione “Mamma Mima” fondata da Tony Conte, che sta realizzando il sogno di rendere autonomo un piccolo villaggio nel paese africano. rosi: nel caso specifico l’idea è venuta a Federica, mamma-artista di 43 anni, che ha voluto dedicare alla missione genuina del villaggio il proprio lavoro già incorniciato. Il dipinto è intitolato “Il cerchio dell’indifferenza”. L’opera ritrae due bambini di una decina d’anni o giù di lì. Uguali tra loro per dignità, ma non per le opportunità loro offerte: la discriminante è il diverso luogo di nascita. Entrambi sono ritratti con solo oggetto in mano simbolo del proprio status, se così si può dire, ciascuno denso di significati: un piccone per il ragazzino dagli occhi e la pelle scura e uno smartphone per il coetaneo biondo con il viso illuminato dal display. Il primo scava alla ricerca del Coltan, minerale utilizzato nell’industria elettronica ad esempio per computer e telefonini, come quello con cui si estranea il ragazzino sulla destra. Entrambi “fotografati” in contrapposti attimi di solitudine: l’uno in un tunnel reale senza la libertà di vivere la sua fanciullezza, l’altro in una dimensione virtuale, luminosa ma solo in apparenza. Due facce, in ogni senso, della stessa medaglia.

L’artista thienese Federica Elipanni e, a sinistra, il quadro realizzato e venduto su Ebay per sostenere l’attività di “Mamma Mina”

Il quadro, di dimensioni 70x70 centimetri, è stato realizzato dalla pittrice vicentina con tecnica mista, in pastelli e acrilici, presentato tra l’altro anche alla rassegna pittorica “Premio Mestre 2020” e giunto tra le opere finaliste. Un lavoro di sicuro apprezzabile anche dai meno esperti in tema di arte e dintorni, per il messaggio sotteso alle pennellate di colore. “L’ispirazione di questo dipinto – spiega la pittrice – è nato da una chiacchierata con un amico sul Coltan, e vuole dare voce a tutti quei bambini che ogni giorno lottano per avere una vita serena. Ho seguito le iniziative di Tony Conte sui social e ho poi pensato di contattarlo e proporgli la mia idea e la mia opera, per dare una mano, mettendo a disposizione un quadro che aveva già avuto un buon riscontro e con un significato forte. Sono felice che l’abbia accolta con entusiasmo e che le offerte su e-bay siano arrivate“. L’acquirente – si chiama Laura e non diciamo nulla di più in accordo con l’autrice - ha voluto così fare un doppio regalo, dando valore all’opera di Federica e insieme destinando una donazione di 374 euro all’associazione Mamma Mima, con modalità interessanti e, perché no, da replicare per fini solidali. Un lavoro fatto con il cuore, oltre che con il pennello, “costato” ore di pennellate ma di cui l’autrice si è privata volentieri vista la nobile causa. “Tenerlo per me sarebbe forse stato un po’ egoista sapendo che poteva contribuire a far del bene nel mio piccolo. Se sono soddisfatta dell’esito? Certo, anche perché di questi tempi non si tratta di una somma da poco”. ◆


Thiene ◆ [23]

Arrivano parkour e fitness

Sport

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Passi avanti a Thiene per la pratica del parkour e per quella del fitness all’aperto, che ora dispongono di un’area attrezzata. E in primavera sono in programma lavori per calcio a 5 e skate park. Omar Dal Maso

a moderna pratica del parkour e quella senza tempo del fitness all’aperto possono disporre ora di un’area attrezzata anche a Thiene. Con l’altra disciplina moderna dello skateboard “alla finestra”, in attesa di rampe e gradoni su cui saggiare l’abilità degli appassionati, e pure gli appassionati dell’inossidabile “calcetto” anche loro in… rampa di lancio. È stata completata infatti a dicembre l’installazione di una serie di strumenti fissati al suolo (con una pavimentazione nuova) a disposizione dei cittadini thienesi. Perlomeno dei più sportivi che vorranno beneficiarne respirando all’aria aperta e con accesso libero. A “spuntare” in area Vianelle (quartiere dei Cappuccini) è la nuova piastra polivalente, completata nel primo stralcio dei lavori conclusi su commissione del Comune di Thiene, finanziati con un investimento da circa 130 mila euro. Si tratta di una delle opere inserite nel piano triennale dei lavori pubblici 2020/2022. L’impianto outdoor rinnovato di via Trentino è stato inaugurato senza cerimonie, visto l’incalzare delle restrizioni anticontagio, una manciata di giorni prima di Natale. Un “dono” alla città che magari verrà “scartato” appieno con le prime temperature primaverili, anche se qualche giovanotto temprato al clima rigido invernale ha già testato gli attrezzi verniciati di verde, intanto con l’obbligo di mascherina di protezione delle vie aeree e di igienizzare le mani. Una piattaforma adatta in doppio sito al parkour, come si diceva, e al fitness a seconda delle installazioni che si utilizzano per evoluzioni, salti, arrampicate e altro, oppure esercizi di potenziamento muscolare. Non servirà comunque essere cultori esperti delle due discipline per sperimentare la novità, fare un po’ di movimento sano all’aria aperta e ripopolare un luogo di ritrovo dietro che annovera anche il mini campo da calcio in erba e la piattaforma in cemento che ospita anche un court di pallacanestro già di lunga data, apprezzato dai giovani della zona.

L’opera conclusa nell’ultimo scorcio del 2020 e consegnata pochi giorni prima delle festività rientra nell’alveo della serie di interventi mirati alla riqualificazione di un polo pubblico frequentato dai thienesi, soprattutto in primavera e in estate. Conclusa questa prima parte importante, è prevista a breve una seconda fase di lavoriper realizzare un campo artificiale destinato alla pratica del calcio a 5, con reti para palloni sul perimetro, e lo skate park, dotato di rampe da skateboard conformi alle normative vigenti. Questo secondo stralcio sarà eseguito in primavera, quando le condizioni meteo, in modo particolare le temperature, consentiranno di procedere con le lavorazioni necessarie all’opera. Nell’area di proprietà del Comune dedicata allo sport a cielo aperto, dunque, al calcio, al pattinaggio e al basket si sono aggiunte le proposte del fitness e del parkour e, in prospettiva, del calcio a 5 e dello skateboard creando uno dei poli con spazi più variegati dell’Altovicentino. Con gli assessorati allo Sport e ai Lavori Pubblici locali a stringersi virtualmente la mano e le as-

sociazioni sportive locali a plaudere al rinnovamento. “Da tempo la piastra di via Trentino era mostro oggetto di attenzione – spiega Andrea Zorzan -. Abbiamo sviluppato un progetto che qualifica e amplia l’esistente dal punto di vista dell’offerta sportiva. Come per le riqualificazioni delle aree verdi cittadine, la giunta dimostra di voler rilanciare i luoghi di aggregazione all’interno dei singoli quartieri, sperando che possano presto tornare ad essere vissuti con serenità e libertà”. “Vogliamo porre la massima attenzione nei confronti dei nostri giovani – commenta Giampi Michelusi, assessore a Sport e tempo libero –. Soprattutto in questo momento così particolare in cui, a causa della pandemia, è possibile fare solo sport individuale, l’offerta di uno spazio attrezzato come l’area di via Trentino è veramente una ghiotta opportunità.Anche il Parco del Donatore ospiterà nei prossimi mesi strutture per il parkour. Lo sport a Thiene vuole fornire ampie possibilità anche in questo periodo”. ◆

Leo Club, Natale tra buoni spesa e solidarietà Il Leo Club Alto Vicentino ha chiuso il 2020 con un gesto di solidarietà che unisce tutti i club del Distretto Lions di cui fa parte anche quello del territorio. “Non potendo quest’anno dar vita a nuovi progetti data la particolare situazione di emergenza epidemiologica, abbiamo voluto mettere in campo le risorse a disposizione per sostenere le famiglie del nostro territorio – spiegano al Leo Club -. Durante il mese di dicembre, abbiamo deciso di investire 8mila per la creazione di buoni spesa. I buoni spesa derivanti sono stati divisi equamente tra i vari club, e ognuno ha avuto la possibilità di collaborare con il proprio comune per far arrivare un supporto a chi ne ha più bisogno. Il Leo Club AltoVicentino ha donato i buoni spesa al comune di Thiene. Questo service ci ha donato la possibili-

tà di fare del bene e sentirci vicini l’uno all’altro”. Anche quest’anno, inoltre, i giovani lionisti hanno pensato sia ai più piccoli che agli anziani: ai primi con l’iniziativa “BabboLeo”, che con renne e elfi hanno strappato un sorriso ai bambini e alle famiglie del reparto di pediatria e terapia intensiva neonatale dell’ospedale di Santorso portando loro regali e peluches; ai secondi portando un pizzico di dolcezza agli ospiti della casa di riposo di riposo di Poleo con uno scatolone di pandorini.


[24] ◆ Schio Sport Negli ultimi anni sempre più persone si sono avvicinate all’arrampicata, spinte dalla curiosità verso tutto ciò che ruota attorno alla montagna.

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Camilla Mantella

ata nel 2008, l’Associazione Zamberlan Arrampicata promuove un’attività sportiva – l’arrampicata appunto – che negli ultimi anni ha vissuto un boom di nuovi appassionati, in parallelo all’interesse crescente per la montagna e tutte le attività fisiche a essa connesse. A raccontarci di cosa si occupa il gruppo, che gestisce tra l’altro una delle primissime palestre per l’arrampicata dell’Alto Vicentino, è Thomas Scortegagna, uno dei suoi promotori. Attraversando Pievebelvicino è praticamente impossibile non notare l’alta torre accanto allo store Zamberlan costruita dalla vostra Associazione. Di cosa vi occupate?

“Il nostro gruppo promuove l’arrampicata sportiva, in particolar modo quella che si svolge su strutture artificiali, proprio come la torre. La differenza, rispetto all’arrampicata in ambiente naturale – che è appannaggio delle guide alpine e dei loro insegnanti qualificati – sta nel fatto che la struttura artificiale permette diversi livelli di difficoltà e può essere esercitata con o senza corde e assicurazioni. La torre, ad esempio, è alta 20 metri e l’arrampicata che vi si pratica è quella tipica dell’immaginario comune, con corde e ganci. All’interno della nostra palestra, invece, abbiamo anche due sale boulder, dove si arrampica senza protezioni, date le altezze limitate, i diversi percorsi di difficoltà e, soprattutto, la presenza di materassi ad hoc che attutiscono in piena sicurezza eventuali cadute. Inoltre abbiamo attrezzato anche una torre di arrampicata “dry tooling”, che simula l’arrampicata su ghiaccio piantando ramponi e picozze sui tronchi di legno della parete. Quando arriva la stagione fredda, da circa un triennio, diamo vita a serate di arrampicata e prova materiali in collaborazione con gli sponsor Camp, Cassin, Ggrivel e Zamberlan”. Ma chi viene ad arrampicare?

“La palestra è aperta a persone di tutte le età: partiamo dai bambini dai 6 anni in su, che si avvicinano all’arrampicata sportiva

“Arrampicarsi ti dà più fiducia” Negli ultimi anni gli arrampicatori sportivi si sono moltiplicati. L’Associaizone Zamberlan Arrampicata gestisce a Pieve una delle più importanti palestre del territorio dedicate a questa attività.

grazie a progetti scolastici, a giornate trascorse qui durante i centri estivi o su stimolo di famiglie appassionate di montagna, fino ad adulti esperti che usufruiscono della palestra per tenersi allenati. La nostra associazione si occupa tanto di organizzare corsi tenuti da tecnici qualificati FASI – la Federazione Arrampicata Sportiva Italiana – quanto di garantire l’accesso alle sale a utenti già in grado di arrampicare liberamente, che si limitano a pagare un biglietto d’ingresso e che poi possono usufruire dei vari percorsi. Negli ultimi anni sempre più persone si sono avvicinate all’arrampicata, spinte dalla curiosità verso tutto ciò che ruota attorno alla montagna. Alcuni si limitano a frequentare un corso per poi capire che non è un’attività sportiva che fa per loro, ma molti continuano, invece, a specializzarsi e praticare, magari passando, col tempo, all’arrampicata in ambiente naturale. Sicuramente l’interesse è tanto”.

Eppure l’Associazione non si limita a gestire la palestra e i suoi corsi...

“No, il nostro obiettivo è quello di promuovere lo sport e uno stile di vita sano, organizzando eventi e iniziative e ospitando nelle nostre strutture anche sportivi di altre discipline. Al piano superiore della palestra si tengono periodicamente corsi di yoga o pilates, oltre ad altre specialità, con l’intento di mettere a disposizione i locali anche ad altri gruppi e associazioni. Inoltre dal 2018 organizziamo sulle Piccole Dolomiti, presso la Malga Bovetal nel comune di Vallarsa, il Bovetablock, una manifestazione di arrampicata boulder (ovvero di arrampicata sui massi senza l’utilizzo di corde ma con dei crash pad, materassi appositi per attutire le cadute). La prima edizione, nel 2018, ha visto circa 100 iscritti, la seconda circa 120, mentre l’ultima edizione, quella del 2020, ha avuto un tetto massimo di 130 iscrittti causa restrizioni Covid”. Insomma, non vi ferma nemmeno il virus...

“Purtroppo al momento la nostra palestra è chiusa, in ottemperanza all’ultimo Decreto. Ma continuiamo a darci da fare, perché l’arrampicata è uno sport meraviglioso. Arrampicare consente di esprimere il proprio corpo nello spazio, esercitando l’equilibrio, mettendo da parte la paura e staccando completamente la spina: insegna ad ascoltarsi, a rimanere focalizzati e tranquilli, a sviluppare una tecnica che regala fiducia nelle proprie possibilità”. ◆



[26] ◆ Schio Foto Luigi De Frenza

Spettacoli

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Mirella Dal Zotto

a Campus Company, progetto teatrale interamente dedicato ai giovani delle secondarie di secondo grado scledensi, è partito sedici anni fa da un’idea dell’allora assessore Lina Cocco e grazie all’organizzazione di Annalisa Carrara, ex direttore artistico della Fondazione Teatro Civico. Il primo formatore, rimasto fino al 2016, è stato l’attore professionista Andrea Pennacchi, affiancato negli anni dal collega Mirko Artuso, dal performer Thierry Parmentier, dal cantautore Andrea Mazzacavallo e da Mauro Lazzaretti. Ogni anno “la Campus” conta su una quarantina di partecipanti e nel corso del tempo circa 500 giovani hanno aderito al progetto; molti lo hanno seguito dalla prima alla quinta superiore, chiedendo poi di continuare il rapporto con la Fondazione. Per questo motivo lo scorso anno è nato il percorso Campus Pro per giovani over 18: un laboratorio condotto da Ketti Grunchi, arricchito da masterclass con attori professionisti. Tre anni fa è stato attivato inoltre il Campus Lab Officina delle Arti, per promuovere la creatività degli adolescenti in diversi ambiti teatrali: oggi coinvolge 150 ragazzi e i loro insegnanti. “Teen primi amori teatrali” è invece un percorso per spettatori dai 10 ai 14 anni, che dà la possibilità di approfondire gli argomenti e di incontrarsi con le compagnie che si avvicendano nei teatri scledensi. Con la pandemia, la sfera relazionale e le azioni collettive non si sono fermate, ma si è cercato di rimodularle on line, con invariata e lusinghiera partecipazione. “Sono entrata nella Campus nel 2005, al primo anno di liceo – racconta Chiara Pasin, ora insegnante d’italiano – e l’esperienza, che ho ripetuto per sette anni, mi ha dato fiducia in me stessa. Andrea Pennacchi ha saputo metterci al centro di tutto, con le nostre emozioni e le nostre esperienze. Si respirava rispetto e nessuno veniva mai giudicato. Lo spettacolo più emozionante che ricordo è stato quello basato sull’Odissea, pensato come un percorso all’interno del vecchio teatro, che era ancora da ristrutturare”. “Ho partecipato alla Campus per otto anni – interviene Giovanni Esposito - e l’esperienza mi ha trasmesso tanta forza d’animo; il teatro ha fatto emergere in me la

Ecco a voi il teatro fatto dai ragazzi Abbiamo raccolto alcune testimonianza dirette di giovani che da anni fanno parte di Campus Company, progetto teatrale interamente dedicato ai giovani delle secondarie di secondo grado scledensi.

spontaneità e la curiosità dei bambini. Sono convinto che serva a tutti e che con la sua magia possa entrare nei cuori di ognuno”. “Quattro sono stati i miei anni alla Campus, anch’io con Pennacchi e Artuso – dice Arianna Calgaro, unica fra gli intervistati ad avere intrapreso un’attività teatrale professionale – . L’esperienza mi ha trasmesso un grande senso di comunità. I laboratori erano maggiormente incentrati sull’aspetto umano piuttosto che strettamente professionale, com’era giusto che fosse, ma gli insegnanti non hanno trascurato di insegnarmi gli elementi di base del teatro: bilanciare lo spazio, usare un tono di voce adeguato, gestire il respiro e la scansione delle parole. Questo è stato per me fondamentale, dapprima per partecipare al corso di formazione al teatro Avogaria a Venezia e poi per essere ammessa all’Accademia Teatrale “Carlo Goldoni” del Teatro Stabile del Veneto, dove mi sono diplomata lo scorso settembre. Consiglierei il teatro a chiunque e se potessi lo renderei una materia scolastica. Trovo infatti abbia molto a che fare con l’educazione all’affettività, perché richiede di calarsi nei panni altrui”.

Maria Sole Corato è una new entry che, nonostante l’esperienza ridotta di questi ultimi tempi, trova comunque molto interessante partecipare alla Campus. “Mi sto confrontando con persone diverse da me e da cui posso sempre imparare qualcosa – asserisce –. Il laboratorio online che stiamo facendo serve a non perdere i contatti con i compagni e gli insegnanti. Vedersi di persona è un’altra cosa, però così non vanifichiamo quanto realizzato”. “Ho iniziato a occuparmi del progetto nel 2016 - conclude Ketti Grunchi, formatrice teatrale che ora coordina le attività - raccogliendo il lavoro e l’impegno di uno staff che per molti anni ha creduto nel valore e nell’importanza del teatro e del laboratorio teatrale per le nuove generazioni. Con i ragazzi c’è uno scambio continuo di anime e saperi, energia e competenze, sogni e speranze. Prima di fermarci a causa della pandemia stavamo lavorando a “Il Civico. Il racconto di un teatro”, incentrato sulla storia del teatro scledense e sul progetto della sua ultima ristrutturazione, Lotto Zero. I ragazzi non vedono l’ora di potersi ritrovare e per questo ci incontriamo sul web, nella speranza di poterlo presto fare di persona”. ◆



[28] ◆ Schio Spettacoli & Cultura

L’

amministrazione comunale ha proposto due appuntamenti on line per le festività natalizie e oltre, nel tentativo di tener vivo l’interesse per concerti e spettacoli teatrali. Dal giorno di Santo Stefano è stato possibile visionare “GrandessoCera-Phase 1”, un progetto con l’obiettivo di avvicinare un pubblico vasto ed eterogeneo alla sperimentazione musicale. I virtuosismi del sassofonista di fama internazionale Damiano Grandesso (turritano d’origine, ora direttore artistico di Alpen Classica Festival) si uniscono a un materiale musicale di derivazione techno, con la guida del sound designer Andrea Cera. La performance, che fonde musica classica, jazz ed elettronica, è stata registrata a Palazzo Fogazzaro e risulta originale e suggestiva. Ovviamente, le emozioni sarebbero di tutt’altro tipo se vissute all’interno del nostro palazzo ottocentesco. Per chi segue il teatro, invece, dal 30 dicembre è stato programmato un reading musicale su uno dei personaggi più importanti della città, troppo spesso dimenticato: il patriota e poeta Ar-

Spettacoli online, in attesa di tornare dal vivo naldo Fusinato, conosciuto soprattutto per “L’ultima ora di Venezia”, in cui con tristezza e drammaticità verseggia sulla resa della Serenissima all’Impero austroungarico. “Arnaldo Fusinato, non solo “morbo” e “pan che manca!”, è proprio il titolo scelto dall’attore e regista vicentino Pino Costalunga che, accompagnato da Giorgio Gobbo (voce e chitarra), propone un percorso nella vita e nell’opera poetica di Fusinato. Abbiamo conosciuto di più l’uomo, il poeta e il patriota, ma sono stati gli interventi musicali di Gobbo a sottolineare al meglio i vari passaggi. Un reading, che di per sé richiede ancor più concentrazione di uno spettacolo teatrale con attori in scena, sullo schermo dev’essere accattivante. Costalunga e Gobbo hanno provato a renderlo tale, ma sul palco sarebbe stata proprio un’altra cosa. C’è da portar pazienza, teatro e concerti non sono completi senza pubblico in sala

Pino Costalunga e Giorgio Gobbo nello spettacolo dedicato a Fusinato

e attori o musicisti in scena; non sono più “dal vivo”: mancano contatto, trasmissione, interazione. Per il momento, bisogna accontentarsi, per ritrovarsi, nel web. Per il momento, però. ◆ [M.D.Z.]

Scoprire se stessi in un viaggio in Umbria N on occorre necessariamente andare dall’altra parte del mondo per mettersi alla ricerca di se stessi e del proprio posto nel “grande cerchio” della vita. Può bastare anche qualche ora di treno, ad esempio per raggiungere l’Umbria e immergersi nell’esperienza di una piccola comunità di volontariato attaccata alla terra e ai frutti che dona. È quel che ha fatto Tommaso Agricola, giovane scledense che a giorni compie 24 anni e che proprio in un breve periodo trascorso nel cuore verde d’Italia - a collaborare con l’associazione WWOOF Italia che si occupa della promozione dell’agricoltura biologica come stile di vita – ha concepito un libro che ora ha autopubblicato con il titolo “Dio tu ed io”.

A dispetto della giovane età dell’autore, in quarta di copertina spicca una frase che intende definire il romanzo: “Un intimo dialogo tra l’autore e il suo passato”. E se a 23-24 anni si intende già dialogare con il proprio passato vuol dire che di cose pensate, di esperienze maturate (non necessariamente avventure) e di sentimenti provati se ne ha dentro già una buona riserva. Nel caso dell’autore, purtroppo, anche a causa della prematura scomparsa della madre, a cui il romanzo è dedicato e la cui presenza-assenza informa tutto il racconto. Nel racconto Agricola dimostra già una buona capacità di pennellare immagini con le parole, anche se deve liberarsi di una certa esuberanza giovanile nell’uso degli agget-

tivi (less is more) e maturare (c’è tutto il tempo) nella costruzione dei dialoghi. I capitoli iniziali e quelli finali sono i migliori sia per stile che per contenuti. Tra i primi vale segnalare una frase che resta in memoria: “È solo quando riusciamo ad accettare di essere completamente soli in questo mondo e che come tali dipendiamo slamente dalle nostre scelte che cominciamo a vivere intensamente”. Tra i secondi emerge il racconto intenso della malattia e degli ultimi giorni di vita della madre. Agricola è un grande appassionato di montagna, dove va a camminare ogni volta che può. E infatti il suo sogno è diventare guida ambientale nel territorio della val Leogra. Non sarebbe male se tra qualche anno, arricchito di esperienza e di vita, si cimentasse con il genere della letteratura di montagna. Alcune premesse di questo suo primo libro e una frase in particolare - “Camminare in montagna è come vivere tutta una vita in poche ore” promettono bene. ◆ [S.T.]



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Cade la neve... ma se ne parla poco Sul Giornale di Vicenza di martedì 29 dicembre, oltre a Covid vaccini sì e no, dosi arrivate in ritardo causa neve e naturalmente la politica con i rischi di una renziana crisi di governo, in evidenza doverosamente anche la nevicata per certi versi eccezionale a Vicenza città e provincia. Da scledense DOC, “controllo” che Schio nel bene e nel male ci sia comunque sempre. Ma, ahimè! come spesso accade noi non ci siamo. A pagina 14 “La nevicata in provincia” si parla, oltre del capoluogo ovviamente, di: Montecchio, Arsiero, Valdagno, Isola Vicentina, Malo, Tonezza, Brendola, Thiene (con dettaglio di un F104 innevato ospitato al Ferrarin), Montebello, Trissino, Zovencedo, Chiampo, Montorso, Cogollo, Dueville, Valli del Pasubio, Nuova Gasparona. Ma anche: Campodalbero, Crespadoro, Altissimo, Nogarole, San Pietro Mussolino che, mi perdonino i loro abitanti, non sono certo metropoli! E, naturalmente, Breganze, Bassano, Asiago, la Valbrenta e la Valsugana. E... Schio? Mi si dirà: se Schio non è stata citata, vuol dire che non c’erano significativi motivi di nota o comunque alcuna criticità per cui si dovesse dire, nel bene o nel male, alcunchè. Ma a parte la suggestività degli alberi straripanti di bianca coltre e il fascino che comunque la neve porta con sé, strade e soprattutto marciapiedi non mi sono sembrati tempestivamente sgomberati, tenuto anche conto che il fenomeno previsto peraltro di forte intensità, come poi effettivamente si è manifestato, era stato ampiamente anticipato. Io abito a Magrè e, per dire, la mia via a tutt’oggi (29 tarda serata) è ancora con le “ruare de paceca” (vedi esatta traduzione su La Sapienza dei nostri Padri – Vocabolario tecnico-storico del dialetto del territorio Vicentino). Solo due articoletti, metà pagina, in quella dedicata solamente a Schio (già l’altra – metà - ora la dividiamo con Thiene) riguardanti comunque tutt’altro. A ben guardare, Schio in realtà è indirettamente citata in un sol, punto: “I vigili del fuoco di Schio sono intervenuti con una squadra ad Arsiero (provinciale n° 350) per soccorrere un’autocisterna scivolata e postasi di traverso sulla carreggiata a causa della perdita di una catena su una ruota”. Meno male che i sempre solerti e

insostituibili Vigili del Fuoco del Distaccamento di Schio, ci hanno salvato e dato almeno l’onor del nome! Ottorino Orizzonte

Caro sig. Orizzonte, la sua simpatica lettera offre l’occasione – sostituendomi in parte ai colleghi del Giornale di Vicenza - per dare una modesta spiegazione di metodo giornalistico, che magari può interessare anche altri lettori. Sul fatto che da qualche tempo il giornale abbia una delle due pagine scledensi condivisa con Thiene, ho chiesto agli amici del Giornale e la spiegazione è che in questo periodo le pagine dedicate alla pandemia hanno tolto qualche spazio alla provincia, trattasi dunque di situazione contingente. Quanto alla nevicata, il giornale quel giorno aveva concentrato tutte le notizie in un’ap-

posita sezione di pagine, come si usa fare quando un evento (di solito appunto legato al maltempo) interessa l’intera provincia. In caso di nevicate o nubifragi, infatti, il criterio un po’ di tutti i giornali locali è quello di non darne conto nelle singole pagine territoriali (nel nostro caso Schio, Thiene, Montecchio, Bassano...) perché altrimenti a ogni piè sospinto il lettore si troverebbe con lo stesso tipo di notizia, ripetuta di continuo. Perciò si concentra tutto in un “pacchetto” di pagine, solitamente all’inizio. Sul fatto che ci fosse poco sulla neve a Schio non so dire, forse effettivamente i disagi qui sono stati minori o non sono arrivate segnalazioni. Ma guardiamo la cosa da un altro punto di vista: dopo decenni in cui ha preso piede il detto “Schio orinal de Dio” è comprensibile che la pioggia e anche la neve quando cadono da queste parti facciano meno notizia. Fuori penseranno:“Tanto, lì i xe abituài, no i s’in acorxe gnanca”. [S.T.]

Lo Schiocco Meno male che “panta rei” C’è chi da qualche tempo sembra aver scelto l’accesso secondario della chiesa di S.Benedetto a Magrè, nascosto alla vista in una via poco frequentata, come punto di ritrovo alternativo, cogliendo l’occasione per arricchirlo e personalizzarlo con le scritte e i disegnini che si possono immaginare. Per fortuna viviamo in un tempo in cui nulla è fatto per durare. Come dicevano i romani, “panta rei”, tutto scorre. Sicché l’inchiostro usato sul muro della chiesa non resisterà al tempo lungo della storia. Altrimenti chissà gli storici e gli archeologi dell’anno Quattromila

che idea si farebbero del nostro tempo se, portando alla luce i resti della chiesa di Magrè trovassero scritte come “voglio un c…o di fidanzato”. Immaginiamo già lo sconcerto e la domanda: ma che caspita di suppliche si facevano in chiesa a inizio terzio millennio? [S.T.]




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