Geografie dell'abbandono_1.1

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1.1 Michela Bassanelli

Geografie dell’abbandono Il caso della Valle di Zeri


GEOGRAFIE DELL’ABBANDONO è un progetto del gruppo di ricerca: publicarchitecture@polimi DPA-Politecnico di Milano responsabile gruppo di ricerca: Gennaro Postiglione ricercatrice progetto: Michela Bassanelli tutors: Lorenzo Bini, Salvatore Porcaro in network con: Nicola Flora/Architettura Ascoli Piceno Paolo Giardiello/Architettura Napoli-Fedrico II

CC



GEOGRAFIE DELL’ABBANDONO LA DISMISSIONE DEIBORGHI IN ITALIA ABSTRACT PARTE 1: Indagine del fenomeno cap. 1 I Borghi in Italia

[oggetto di studio-fenomeno]

1.1 nascita dei borghi 1.2 declino & abbandono 1.3 la situazione attuale 1.4 le proposte di legge 1.5 diversi gradi di dismissione 1.6 mappa della dismissione in Italia 1.7 casi di riattivazione 1.7.1 casi italiani 1.7.2 casi europei 1.8 obiettivi del lavoro PARTE 2: Ricerca-Azione cap.2: Lettura del contesto 2.1 Leggere lo stato di fatto 2.1.1 La Valle di Zeri _esplorazione soggettiva _racconto abitanti _racconto degli altri _cartografia _dati (Istat, Comune) _persone _patrimonio edilizio _economia

[esperienziale] [oggettivo]

2.2 Ricostruire la storia dei luoghi 2.2.1 La Valle di Zeri (con conclusione sulla storia del borgo) _dati _racconti 2.3 Risorse potenziali _locali _non locali 2.3.1 La Valle di Zeri


2.4 conclusione generale 2.4.1 La Valle di Zeri _aspetti sociodemografici _aspetti economico-produttivi _aspetti territoriali cap.3: Strategie di riattivazione 3.1 raccolta pratiche 3.2 raccolta politiche cap.4: Una ipotesi operativa per la valle di Zeri(specifico, varia caso per caso) 4.1 metaprogetto 4.2 SWOT Analisys 4.3 attiva-azioni 4.4 suggestioni ambientali glossario bibliografia


PARTE 1


INDAGINE DEL FENOMENO



1 I BORGHI IN ITALIA

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1 I BORGHI IN ITALIA La prima parte della ricerca indaga il fenomeno della dismissione dei borghi in Italia. Per capire le cause che si nascondono dietro a questo fenomeno bisogna definire il concetto di “borgo”, ovvero bisogna capire il significato del termine e le valenze che si porta dietro. “Borgo” (vedi glossario)è qui inteso come sinonimo di centro storico minore. Nei secoli passati questa denominazione era spesso riservata ai paesi di importanza che possedevano un mercato ed una fortificazione; proprio la presenza di queste strutture lo differenziava dal “villaggio”. Il borgo nel periodo Medievale era costituito da un gruppo di case che sorgevano intorno ad una piazza, solitamente quella della chiesa o quella del palazzo del comune. Il tema del “minore” può essere affrontato secondo quattro punti di vista: i modi dell’insediarsi, i modi del costruire, i modi dell’abitare e i modi di formazione delle immagini. L’insediarsi fa riferimento alla fondazione dei luoghi, alla morfologia del terreno. Il secondo punto riguarda il costruire e quindi il rapporto con il sito, il radicarsi in un luogo. L’abitare è l’entrare in contatto e stabilire un rapporto con altri uomini. Tutti questi temi sono fondamentali per capire questi luoghi. Con il termine di borgo si fa riferimento nella ricerca a quei paesi che sono sparsi lungo tutta la penisola e che hanno determinate caratteristiche. Il fatto di non essere facilmente raggiungibili né costituisce un esempio; spesso infatti questi comuni si trovano sugli Appennini o nell’entroterra e sono distanti dalle principali vie di comunicazione. Il territorio italiano è costellato da un numero altissimo di piccoli comuni. Questi 5.835 piccoli centri non solo svolgono un’opera insostituibile di presidio e cura del territorio, ma sono portatori di cultura, saperi e tradizioni. La peculiarità del paesaggio italiano è proprio quella dei piccoli centri, dei borghi arroccati circondati da mura con i loro vicoli stretti, simbolo di un passato ricco di tradizioni. A causa di catastrofi ambientali o di motivi di carattere economico-demografico questi centri a partire dal secondo dopoguerra in avanti hanno cominciato a diminuire radicalmente la popolazione. In alcuni casi l’abbandono è stato completo e oggi restano i ruderi a testimonianza di una vita passata. In altri casi il fenomeno dell’abbandono è stato parziale e oggi sono per lo più abitati da una popolazione anziana che non è più in grado di portare avanti l’economia. Vito Teti nel testo “Il senso dei luoghi” descrive con grande passione i paesi abbandonati di Calabria attraverso le storie, le tradizioni e le usanze della popolazione che ha abitato e nello stesso tempo costruito quei luoghi. Leggendo le pagine del libro sembra di vivere quei paesi, di percorrere attraverso le sue parole il lungo cammino nei paesi di Calabria: “Quello dell’abbandono e della rinascita diventava un problema che meritava non solo attenzione e riflessione, ma mi impegnava in un nuovo modo di guardare e di descrivere la regione. Giungevo a questo interesse non perché sollecitato dalle tante emergenze archeologiche, ma a partire da storie minute, da un diverso sguardo sui resti del passato, sui piccoli centri che si spopolavano, sulle feste intime che si svolgevano tra poche casupole sventrate, rivestite da piante di fico e da erbe.”(1) Racconti come quello di Vito Teti o del giornalista Paolo Rumiz ci evidenziano come sia importante descrivere quella realtà italiana, più minuta ma nello stesso tempo ricca di storia, materiale e immateriale. Il giornalista di Reppublica, che ogni anno compie dei viaggi-reportage, ha fatto recentemente un viaggio lungo gli Appennini. “Ma la grande scoperta della mia vita di giornalista è stata l’Appennino, che ho percorso metro per metro nel 2006, dando vita a un’altra serie di reportage. Ho scoperto un arcipelago di meraviglie e


una rete di uomini-eroi che si ostinano a resistere in quota perché hanno la lucida certezza che l’equilibrio del nostro Paese dipende dalle terre alte. Un’Italia minore, dimenticata dal potere, della quale temo che il nuovo federalismo in auge servirà solo a sdoganare il saccheggio. Il simbolo di questa aggressività suicida del Paese verso la sua montagna l’ho visto incarnato nella pastorizia, massacrata di divieti e schiacciata da un’alleanza fra burocrati di provincia e una grande distribuzione che spaccia nei nostri negozi carne straniera senza nome e senza qualità. La pastorizia, cenerentola dimenticata, dopo essere stata per secoli inestimabile ricchezza del Paese. Sempre più spesso capita che ai piccoli comuni spopolati e in bolletta si presentino emissari di grandi aziende che, in nome dell’equilibrio ambientale e altre cause nobili come l’abbattimento del CO2 o il salvataggio delle acque, propongano la costruzione di piccole o grandi centrali, come quella a biomasse che presto stravolgerà la parte più intatta dell’Appennino parmense.”(2) Questi sono esempi di coloro che hanno descritto parti diverse di una stessa Italia caratterizzata da piccoli centri a rischio di abbandono o già abbandonati. Sono infatti centinaia i piccoli borghi che rischiano lo spopolamento ed il conseguente degrado a causa di una situazione di marginalità rispetto agli interessi economici che gravitano intorno al movimento turistico e commerciale. È l’Italia minore, quella a volte più sconosciuta e nascosta, che rappresenta al meglio il dipanarsi della storia millenaria che ha lasciato i suoi segni indelebili soprattutto in questi luoghi rimasti emarginati dallo sviluppo e dalla modernità. Dal recente rapporto sul disagio insediativo in Italia emerge chiaramente la situazione presente e futura del Bel Paese. Il fenomeno viene segnalato dal rapporto di Confcommercio-Legambiente sull’Italia del disagio insediativo, “1996/2016 - Eccellenze e ghost town nell’Italia dei piccoli comuni” realizzato in collaborazione con Serico-Gruppo Cresme(3). Se nel 1996 il “disagio insediativo” colpiva 2.830 comuni, nel 2006 ne ha interessati 3.556 e la previsione è di 4.395 comuni per il 2016, in pratica uno su due. Si parla infatti per il 2016 di 1650 città fantasma, ovvero a rischio di estinzione. È una realtà che spaventa se non troviamo il modo di valorizzare questi piccoli centri. Le condizioni che portano al disagio in molti comuni italiani sono da ricercare, spiega il Rapporto, oltre che in una debolezza insediativa della popolazione residente (calo delle nascite, aumento della popolazione anziana, ecc.) anche in condizioni evidenti di impoverimento delle potenzialità produttive e dei talenti, con indici economici che segnalano la debolezza strutturale di queste aree da cui deriva lo scarso appeal verso l’esterno e, di conseguenza, la capacità di attrarre e accogliere nuovi cittadini, nuovi abitanti, nuove famiglie ed imprese. Ci sono alcune associazioni già attive nel campo della valorizzazione di queste realtà come Borghi più belli d’Italia, Unpli, Borghi d’Italia. In altri casi esistono alcuni esempi di riattivazione “site-specific” di singoli borghi che vengono promossi da un punto di vista turistico come “albergo diffuso”, altri sono sede di comunità di artisti e artigiani, altri ancora sono degli ecovillaggi. Nonostante esistano delle iniziative, queste sono ancora limitate e non coordinate all’interno di un piano strategico più generale. (1) (2) (3)

Vito teti, Il senso dei luoghi. Paolo Rumiz, Lettera aperta al presidente del Cai Annibale Salsa. Confcommercio-Legambiente,1996/2016 - Eccellenze e ghost town nell’Italia dei piccoli comuni.


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1.1NASCITA DEI BORGHI Sono un panorama classico italiano, i piccoli borghi arrampicati sulle rupi, che un tempo proteggevano signorie locali da incursioni nemiche. O ancora le mura che circondano le città vecchie, i centri storici ricchi di storia, gli stemmi araldici. I primi borghi italiani risalgono al periodo medioevale, quando le condizioni sociali e l’instabilità politica obbligavano la popolazione a preoccuparsi ogni giorno della propria sicurezza. L’ ambiente che si configurava allora era infatti di pura sussistenza, in cui si aveva a che fare quotidianamente con problemi legati alla carenza di cibo, alla presenza di malattie, all’incombere delle guerre. Tutta l’Europa era frammentata in diversi stati e la guerra, i conflitti interni erano qualcosa con cui si aveva a che fare tutti i giorni. Gli insediamenti perciò erano costruiti e strutturati in modo da agevolare la vita in queste condizioni, chiudendo i villaggi nelle mura e lasciando nell’immediato intor¬no i campi, le coltivazioni, la vita rurale. L’immagine che si presenta è dunque quella di cittadine concentrate in una superficie limitata che sfruttano la morfologia del territorio naturale su cui si stabilisco¬no. Questo territorio poteva ad esempio essere un’altura ripida e scoscesa, difficile da raggiungere e difficile anche come terreno su cui costruire. In questo modo però gli abitanti si assicuravano una “inattaccabilità”, una condizione di sicurezza.


pp

La morfologia di questi luoghi è ricorrente. Essi sono in genere molto piccoli, dato che si devono adattare alla superficie limitata del luogo in cui sono collocati. La densità è molto alta, le vie sono molto strette, giusto lo spazio per lasciare passare i carri o i cavalli, in salita. Nella maggior parte dei casi sono anche circondate da mura alte e spesse, dalle quali si presidiava il territorio che circondava la “città” principale. Nelle immediate vicinanze infatti erano i campi di competenza del vil¬laggio, nei quali risiedeva la parte povera della popolazione, la cui vita era basata sulla coltivazione della terra. In caso di attacco nemico, anche questa parte di po¬polazione si rifugiava all’interno delle mura. La vita all’interno dei borghi è molto semplice; all’interno di essi si è costretti so¬stanzialmente ad una convivenza di massa data la relativa estensione del territorio cittadino. L’attività principale è quella legata all’agricoltura, che avviene appunto nei pressi del villaggio. I “contadini” lavorano nei campi, risiedono al di fuori delle mura, e portano i prodotti all’interno delle mura per venderli. In caso villaggi sul mare, una delle attività principali era la pesca. I pescatori scendevano a valle durante il giorno per poi vendere il ricavato all’interno del villaggio. Per quanto riguarda l’interno delle mura, una presenza ricorrente è quella delle botteghe. Ciò che si vende in queste piccole botteghe deriva ovviamente ed è stret¬tamente legato al territorio. Nelle mura risiedono poi i “signori” locali, l’aristocrazia, che risponde spesso ad un’autorità più alta, che risiede però lontano dal villaggio. La vita della gente comune è sostanzialmente di pure sussistenza. Lo stretto e indispensabile legame con la terra conduce infatti ad una vita di stenti. Essa è sen¬sibile ai fenomeni naturali, al cambiamento climatico. Il verificarsi di un semplice fenomeno meteorologico può influenzare la produzione agricola, diminuirla, ridurla al minimo, portando all’insorgere di carestie, epidemie. La dimensione della vita era ridotta alla dimensione fisica dei villaggi. Da un borgo all’altro, anche lontano pochi chilometri, cambiavano spesso usi e costumi. I com¬ponenti di comunità poco distanti venivano considerati estranei, “forestieri”, diversi. I soli legami con l’esterno erano legati alla situazione politica. Ma anche dal punto di vista politico i legami erano limitati. Infatti, anche se il “signore” della città rispondeva ad un’autorità più alta, essa era lontana, distante dalla vita di tutti i giorni.


borgo

f p p

attività artigianali

AT T I V I TA’ N E I B O R G H I Le attività che si svolgono all’interno del villaggio sono per lo più botteghe artigianali, agricoltura e pesca per quelli vicino al mare. Ogni borgo presenta attività particolari che derivano dal luogo e dalle risorse che può offrire. Dalla specificità di queste attività si può ripartire per pensare ad una rinascita dei borghi.

agricoltura

allevamento


f p p pesca


f pp p pp p borgo

1.2 DECLINO DEI BORGHI I borghi italiani purtroppo stanno subendo il fenomeno dell’abbandono, con il conseguente declino, per motivi storici o naturali. In particolare il maggior spopolamento risale alla fine della seconda guerra mondiale quando la gente emigrava verso i grandi centri urbani per cercare possibilità di lavoro e benessere. L’isolamanto infatti, che in passato era una necessità, è sempre più un ostacolo nella vita di questi paesi, che rimangono fuori dai progressi che sta affrontando la società. La stessa situazione di isolamento caratterizza oggi questi centri che sono privi di legami con il mondo esterno. L’accessibilità a questi insedianti è difficile e faticosa, spesso sono mal collegati e non ci sono mezzi di trasporto utili. L’avvento degli anni cinquanta coincide con una profonda modificazione del rapporto tra popolazione e territorio. In particolare ci sono tre dinamiche demografiche: un diffuso e prepotente esodo rurale, un grande processo di redi¬stribuzione regionale della popolazione e un generale processo di urbanizzazione concentrata. In questi anni l’Italia sta vivendo il periodo segnato dalla rivoluzione industriale e dallo sviluppo dei trasporti. Le nuove infrastrutture ferroviarie sono la spinta iniziale all’abbandono dei centri isolati per il trasferimento a zone più collegate al resto del mondo. Lo sviluppo fer¬roviario costituisce un “avamposto” alla nascita dei nuovi e grandi centri urbani, in quanto negli anni ’50 lo sviluppo economico era ancora limitato. Ciò che succede in questi anni è una sorta di “duplicazione” degli insediamenti; parte della popolazione infatti inizia a spostarsi a valle, e parte rimane nei villaggi. Negli anni ’60 e ’70, con il vero e proprio boom economico, le cose iniziano a cam¬biare definitivamente.


città

In città infatti i simboli del benessere, la televisione, l’auto¬mobile, iniziano ad essere alla portata di tutti. Tutti hanno a disposizione il tempo libero, le vacanze. Uno dei cambamenti più importanti è la diffusione dell’automobile, che permette lo spostamento, il viaggio, la possibilità di raggiungere luoghi lontani. All’automobile è chiaramente connesso lo svilupparsi delle nuove infrastrutture.La lontananza dalle nuove infrastrutture, il legame indissolubile alla terra della vita dei centri, l’impossi¬bilità di raggiungere facilmente i nuovi simboli del benessere sono elementi deter¬minanti nell’inizio dell’esodo dai villaggi e dai borghi verso la città. A partire da questi anni i centri iniziano a svuotarsi, fino ad arrivare all’abbandono totale. Naturalmente molti di questi luoghi sono stati abbandonati anche per altre ragioni. Molto spesso si è trattato del verificarsi di fenomeni naturali, ad esempio terremo¬ti. Questi borghi abbandonati, rimasti inalterati nella loro estensione, sono tutt’ oggi presenti ma vuoti, e ostentano il fascino decadente dell’abbandono. Il fenomeno è in qualche modo ancora in corso. I piccoli comuni in cui è rimasta la popolazione anziana continuano a svuotarsi, dato che le condizioni sono ancora difficili, e le difficili condizioni economiche portano di nuovo all’abbandono. La presenza di questi luoghi “fantasma” è riscontrabile in tutta la penisola italiana e soprattutto nel centro sud.


Per capire in modo più approfondito il fenomeno dello spopolamento basta osservare i dati sulla popolazione dei comuni italiani rilevati nei censimenti dal 1861. Il riferimento alle dinamiche dalle popolazione fornisce utili indicazioni sulle modificazioni intervenute nelle capacità di attrazione dei singoli comuni poichè “la popolazione è l’indice più semplice dell’importanza e dello sviluppo delle città”. Quello che si nota dalla lettura della tabella 1 è che i comuni con una popolazione inferiore ai 5000 ab. sono progressivamente diminuiti dal 1861 al 1991. Dalla tabella 2 si nota come i centri con meno di 5000 ab. perdono sempre più importanza nella scelta localizzativa degli italiani. Infatti in questi centri era residente nel 1861 il 48,5% della popolazione e nel 1991 questa quota è pari al 19%.


Tab 1.- La struttura insediativa della popolazione ai censimenti: 1861, 1936, 1981, 1991(%) 1861

1936

1981

1991

Comuni > 100.000 ab.

0,1

0,3

0,6

0,6

Comuni tra 20-100.000 ab.

1,1

2,6

4,7

5

Comuni tra 5-20.000 ab.

12,3

20,3

21

21,5

Comuni < 5000 ab.

86,5

76,8

73,7

72,9

Tab 2.- La distribuzione della popolazione complessiva per classe dimensionale dei comuni ai censimenti: 1861, 1936, 1981, 1991(%) 1861 1936 1981 1991 Comuni > 100.000 ab.

8,2

18,3

28,1

25,6

Comuni tra 20-100.000 ab.

11,5

18,2

25,3

27,3

Comuni tra 5-20.000 ab.

31,8

32,9

27,1

28,1

Comuni < 5000 ab.

48,5

30,6

19,5

19

Tab 3.- Le caratteristiche altimetriche dei comuni< 5000 ab.che hanno perso popolazione nel periodo 1951-1981(%) N-O N-E C S Montagna interna

39,4

48,4

37,8

44,6

Montagna litoranea

0,2

0,0

0,2

3,8

Collina interna

29,8

18,1

48,6

36,4

Collina litoranea

0,8

1,1

13,2

13,5

Pianura

29,8

32,4

0,2

1,7


1.3 SITUAZIONE ATTUALE Non esistono studi approfonditi e nemmeno bibliografie specifiche riguardo all’argomento della dismissione dei borghi in Italia. Ci sono studi fatti da società pubbliche (Legambiente)e private (gruppo Norman) che mettono in evidenza alcuni aspetti del problema. In particolare i maggiori contributi sono i seguenti: - PiccolaGrandeItalia di Legambiente; - L’Italia del disagio insediativo 1996-2005 (Confcommercio, Legambiente); - L’Italia del disagio insediativo 1996-2016 (Confcommercio, Legambiente); - Paesi Fantasma (gruppo Norman Brian). Gli studi di Legambiente e Confcommercio danno una lettura a larga scala del problema indagando la situazione complessiva dell’Italia. Il gruppo Norman, invece, si occupa nello specifico di questi paesi fantasma, ricercando per ognuno le cause di dismissione. Il loro studio in particolare da un contributo fondamentale a questa ricerca in quanto ha permesso di impliare lo spettro dei paesi abbandonati o a rischio di abbandono.


PiccolaGrandeItalia LEGAMBIENTE (tratto dagli atti del convegno “Paesi Fantasma. Tesori nascosti dell’Italia minore”, 23 giugno 2005) “Il 72% degli oltre 8.000 comuni italiani conta meno di 5.000 abitanti. Un’Italia dove vivono 10 milioni e mezzo di cittadini e che rappresenta oltre il 55% del territorio nazionale, fatto di zone di pregio naturalistico, parchi e aree protette. Questi 5.835 piccoli centri non solo svolgono un’opera insostituibile di presidio e cura del territorio, ma sono portatori di cultura, saperi e tradizioni, oltre che fucine di sperimentazione e fattori di coesione sociale. Una costellazione solo apparentemente minore, che brilla per la straordinaria varietà ambientale e per l’inestimabile patrimonio artistico custodito. Ricchezze ad oggi poco note e perciò da valorizzare. Per assicurare un futuro a questa parte del Paese, Legambiente ha promosso PiccolaGrandeItalia. Una campagna il cui obiettivo è tutelare l’ambiente e la qualità della vita dei cittadini che vivono in questi centri, valorizzando le risorse e il patrimonio d’arte e tradizioni che essi custodiscono e combattendo la rarefazione dei servizi e lo spopolamento che colpiscono questi territori. Affinché non esistano aree deboli, ma comunità messe in condizione di competere. La PiccolaGrandeItalia è anche quella dei comuni minori, degli antichi centri che contano ormai poche centinaia di abitanti, dei borghi in via d’estinzione: l’Italia che rischia di sparire, con tutta la ricchezza di storia e tradizioni che costitiusce uno dei sostrati principali della cultura del nostro paese ma in alcuni casi sono a rischio di estinzione. Secondo una ricerca commissionata da Legambiente nel 2001 al Gruppo Serico- Cresme sono 2831 i comuni a rischio di estinzione in Italia. Coprono una superficie di circa 100.000 Kmq, pari ad un terzo dell’area del paese. Sono i “paesi fantasma”, paesi che non esistono più, le cui case sono per lo più disabitate, in cui talvolta sopravvive solo qualche ostinato anziano signore. Non tutti ovviamente corrono il rischio di estinzione, ma le realtà che soffrono maggiormente l’isolamento e il progressivo abbandono sono i centri di montagna e delle aree interne. Secondo gli esperti, lo spopolamento di vaste aree- sopratutto pedemontane, montane e insulari- ha nel secondo dopoguerra assunto caratteri strutturali, delineando un’Italia che è stata definita “del disagio insediativo”. Un fenomeno che interessa tutto l’arco alpino- soprattutto quello ligure, piemontese, lombardo e friulano- si concentra lungo la dorsale appenninica ligure, tosco-emiliana e centro meridionale, nelle parti montuose della Sicilia e della Sardegna; attecchisce nel robusto piede d’appoggio meridionale, risale gli Appennini dalla Calabria all’Abruzzo, interessando pesantemente la Basilicata, dove 97 comuni sono a rischio progressivo di estinzione, e si apre affievolendosi verso nord , secondo una biforcazione che tocca aree interne delle Marche e della Toscana meridionale. Il fenomeno è insomma di ampia portata e, se è difficile fare una mappa esaustiva dei centri abbandonati, appare evidente che il problema interessa quasi tutte le regioni italiane. Recuperare e valorizzare queste realtà, alcune centinaia, dislocate su tutto il territorio nazionale, è un’opportunità straordinaria anche per i contesti territoriali che li racchiudono e li conservano. Per assicurare un futuro a questa Italia, Legambiente ha promosso PiccolaGrandeItalia, una campagna il cui obiettivo è tutelare l’ambiente e la qualità della vita in questi centri e valorizzarne le risorse e il patrimonio d’arte e tradizioni che custodiscono. Un’iniziativa che vuole valorizzare questo immenso patrimonio immobiliare ed utilizzarlo anche come offerta turistica innovativa e sostenibile affinchè non esistano più aree deboli ma aree messe in condizione di competere.


Chi è Legambiente Legambiente è l’associazione ambientalista più diffusa in Italia, con oltre 1.000 gruppi locali, 20 comitati regionali e circa 150.000 tra soci e sostenitori. Tra le iniziative più importanti e popolari spiccano le grandi campagne di analisi e informazione sull’inquinamento; le attività di volontariato e turismo ambientale; le attività di educazione ambientale e di formazione che coinvolgono migliaia di insegnanti e di ragazzi.

I Comuni della PiccolaGrandeItalia Il Censimento 2001 Secondo l’ultimo censimento della popolazione legale della Repubblica del 21 ottobre 2001 il numero di comuni aventi una popolazione inferiore a 5000 abitanti è pari a 5835 comuni, 7 in più rispetto al precedente censimento del 1991. Risulta quindi che i piccoli comuni sono il 72% dei comuni italiani degli 8100 comuni italiani (successivamente al censimento è stato istituito il comune di San Siro dalla fusione di due comuni quindi il numero dei comuni, inizialmente 8101, è passato a 8100). La Regione con più piccoli comuni è la Lombardia con 1152 piccoli comuni (75% rispetto al totale dei suoi comuni) seguita dal Piemonte con 1077 (89%). Mentre la Regione avente maggiore percentuale di piccoli comuni è La Valle d’Aosta (99%), seguita dal Tentino Alto Adige(92%) e dal Molise (91%). In questi territori vivono 10590728 di cittadini che rappresenta più di un quinto della popolazione italiana. In alcune regioni come per esempio la Valle d’Aosta il 71% della popolazione regionale vive in piccoli comuni, oppure il Trentino e il Molise in cui oltre il 48% della popolazione. Gran parte di questi comuni, ben 1198 al 21% dei piccoli comuni ricade in aree protette, percentuale molto alta in quanto rappresenta il 69% dei comuni ricadenti in aree protette. Un dato interessante emerge dal raffronto tra l’ultimo censimento e il precedente del 1991, ossia che nei piccoli comuni la popolazione è cresciuta in un decennio dello 0,83% che rappresenta più del doppio della crescita nazionale che si attesta sul 0,38%.”

1.mappa dell’Italia con numero di piccoli comuni per regione.


312 162

73

1152

329

1077 183

165

141 63

179 253

259

124 338

87 97

316

326

199


n. piccoli comu-

n. comuni totali

n.pop. piccoli comuni

niAbruzzo

253

305

376143

Basilicata

97

131

199175

Calabria

326

409

687232

Campania

338

551

721927

Emilia Romagna

165

341

450301

Friuli Venezia Giulia

162

219

308796

Lazio

259

378

465932

Liguria

183

253

237774

Lombardia

1152

1545

2220081

Marche

179

246

334325

Molise

124

136

156824

Piemonte

1077

1206

1283152

Puglia

87

258

237570

Sardegna

316

377

549750

Sicilia

199

390

500910

Toscana

141

287

344535

Trentino

312

339

460496

Umbria

63

92

137392

Valle d’Aosta

73

74

85486

Veneto

329

581

832900


abruzzo

lazio

puglia

valle d’aosta

basilicata

liguria

sardegna

veneto

calabria

lombardia

sicilia

campania

marche

toscana

emiliaromagna

molise

trentino

piccoli comuni comuni totali friuli venezia giulia

piemonte

umbria


DISAGIO INSEDIATIVO (Tratto da: Secondo Rapporto di Indagine a cura di Serico–Gruppo Cresme, Roma, 7 marzo 2007) materiale protetto da copyright

“L’armonica distribuzione della popolazione sul territorio è una ricchezza insediativa che rappresenta: • una peculiarità e una garanzia del nostro sistema sociale e culturale; • una certezza nella manutenzione del territorio; • una opportunità di sviluppo economico. Se, in Europa, Francia e Italia sono le nazioni dove la popolazione è maggiormente distribuita, nel nostro Paese ben il 98,3% dei comuni ha meno di 10.000 abitanti. Popoliamo un territorio che conta oltre 22.000 centri abitati, quasi 33.000 nuclei insediativi, senza considerare le caratteristiche di tanta parte del nostro sistema agricolo composto di “case sparse”. Viviamo una ricchezza insediativa che il Cattaneo ha descritto come “l’opera di diffondere equabilmente la popolazione”, “frutto di secoli” e di una “civiltà generale, piena e radicata” che ha favorito la distribuzione “generosamente su tutta la faccia del Paese”. Ma lo spopolamento e l’impoverimento di vaste aree - soprattutto pedemontane, montane e insulari - ha nel secondo dopoguerra assunto caratteri strutturali delineando un’Italia del “Disagio insediativo”. (dall’introduzione del primo rapporto sull’Italia del disagio insediativo,anno 2000) CHE COSA È IL DISAGIO INSEDIATIVO L’indice di “disagio insediativo” è stato elaborato per la prima volta nel 1999; la sua originalità consiste: - nell’approccio di sistema (i 53 indicatori individuati riguardano 7 famiglie principali: dati strutturali e di popolazione, istruzione, assistenza sociale e sanitaria, produzione, commercio e pubblici esercizi, turismo, ricchezza). La scelta di tali indicatori permette di analizzare i caratteri dei singoli comuni e delle province, a partire dai dati demografici dei loro abitanti, per giungere al livello dei servizi erogati (istruzione, assistenza sociale e sanitaria, commercio) e il dinamismo produttivo (produzione, turismo e ricchezza). In un concetto la qualità dei servizi territoriali diffusi e la possibilità di competere per uno sviluppo coerente con le proprie risorse ed identità; - nella metodologia statistica innovativa detta “analisi neurale”, che ha consentito di individuare nove gruppi, o “tipi”, omogenei di comuni (o province) presenti sul territorio nazionale, connotati al loro interno da forti peculiarità condivise da tutti gli appartenenti: • tre di questi gruppi (1, 4, 7) presentano fenomeni di disagio insediativo tali da richiedere interventi strutturali e tempestivi; • due gruppi (6, 9) sono caratterizzati dalle migliori performance insediative; • la medietà italiana è rappresentata dai restanti gruppi (2, 3, 5, 8).


Tabella di sintesi Gruppi 1, 7, 4: il disagio Gruppo 1: I contesti deboli Il gruppo, in ultima posizione tra i 9 individuati, è caratterizzato dall’ultima posizione nelle famiglie: - della produzione (indice standardizzato costruito per l’indagine) particolarmente negativa; - dell’assistenza, pur con un gap non grave come nella produzione; - del commercio; - del turismo, particolarmente pesante; - della ricchezza, certamente marcata. Nulla possono, nel recupero di posizioni rispetto agli altri 8 gruppi, i risultati per la famiglia dell’istruzione (addetti all’istruzione primaria) e quelli, nella media, delle variabili strutturali. Gruppo 7: Il Vecchio Mondo Antico Si tratta di un gruppo che, al contrario del precedente, è svantaggiato proprio nelle due variabili di struttura e di istruzione; una costellazione di paesi piccoli a bassa densità demografica, con popolazione anziana e scarsa dinamicità migratoria e naturale. Il gruppo risente limitatamente della migliore esposizione alle famiglie dell’assistenza sociale e sanitaria (2° posizione), della ricchezza (5°) e del turismo (4°). Un’aggravante è costituita dal livello di istruzione,poiché la carenza di laureati è molto forte. Le case non occupate sono molte. La struttura commerciale è polverizzata, con una presenza di numerosi esercizi commerciali di piccolissima dimensione distribuiti sul territorio senza particolari concentrazioni. Anche il turismo non costituisce un elemento di forza per queste aree. Vi è una situazione di vero e proprio shock demografico, rischio palese nel breve periodo. Gruppo 4: Le sabbie (poco) mobili Con una distribuzione sul territorio nazionale che amplia e consolida le criticità proprie dei due precedenti gruppi, le caratteristiche indicano una certa uniformità interna. Si tratta di indici a minore criticità, rispetto a quelli dei gruppi 1 e 7, ma l’aggravante è costituita dal fatto che tutti i segni sono negativi. Così è per il turismo che non emerge in alcun modo. In questo gruppo si nascondono caratteri del gruppo 7 (media elevata altezza sul livello del mare, bassa densità demografica, rilevante numero di case non occupate, ridotta incidenza dei pubblici esercizi per unità di territorio) ma anche del gruppo 1 (pochi contribuenti in condizione agiata, molti addetti alle istituzioni sul totale). A differenza di questi due gruppi non è, però, immediatamente individuabile cogliere segnali decisi su cui far leva per il rilancio del territorio. Gruppi 9, 6: l’eccellenza Gruppo 9: Bravi ma statici Il gruppo è solo 5° nella classifica delle variabili strutturali e dell’istruzione, mettendo in evidenza la scarsa connessione tra i livelli educativi e del disagio insediativo. Per le altre famiglie (tranne quella della produzione, per la quale il gruppo è al secondo posto) si colloca al vertice della graduatoria, ma le due posizioni di retroguardia consentono solamente di parificare il punteggio standardizzato globale del gruppo 6, più omogeneo su posizioni di scarso disagio insediativo globale. La cons stente struttura commerciale (rapporto massimo tra abitanti e addetti e unità locali), la priorità dell’impatto del turismo sia in domanda che in offerta, dei servizi bancari, i consumi maggiorati delle famiglie, l’assistenza medica e sociale abbondantemente sopra gli altri gruppi sono elementi che distinguono i comuni di questo gruppo fornendo la prova di una loro minore esposizione globale


al disagio insediativo. Tale posizione è, come detto, parzialmente limitata da una minore dinamicità di questi comuni alle trasformazioni demografiche e, conseguentemente, dell’istruzione. Gruppo 6: I centri urbani di media-grande dimensione. Con stesso punteggio standardizzato del gruppo 9 si colloca il gruppo 6. Tutte le famiglie, tranne quella della ricchezza, vedono questo gruppo nelle prime due posizioni. La densità massima di popolazione, la bassa percentuale di ultrasessantacinquenni e di case non occupate, la massima percentuale di laureati e di flussi intercensuari di migrazione sembra chiaramente intendere che ci troviamo di fronte a comuni a grande capacità di attrazione per opportunità di lavoro e di reddito: i comuni capoluogo e l’intera area periferica che li circonda. Il reddito medio pro capite massimo, la grande distribuzione, la concentrazione di pubblici esercizi, i servizi alle imprese, la ricchezza immobiliare e patrimoniale, un’alta utilizzazione delle strutture ricettive ma un impatto sulla vita quotidiana ridotto di queste presenze, la bassa incidenza delle istituzioni nella produttività globale degli addetti sono aspetti che descrivono le caratteristiche di questi comuni e ne confermano la dinamicità.

Gruppi 2, 3, 5, 8: le medietà italiane Gruppo 2 E’ il gruppo che presenta il livello di maggiore criticità tra quelli della medietà. Tale criticità si localizza in prevalenza nel Sud Italia, tra Puglia, Campania, Sardegna e Sicilia, e sembra condizionata da un basso livello di ricchezza, ed una certa difficoltà per i parametri che afferiscono alle famiglie dell’assistenza e della produzione. Al posizionamento contribuisce anche un dimensionamento medio-basso del comparto commerciale e volumi turistici non significativi. Solo lievemente migliori i connotati delle variabili strutturali, derivanti soprattutto dalla maggiore incidenza di popolazione in giovane età. Gruppo 3 E’ invece il gruppo che più degli altri si avvicina all’area del benessere e dell’eccellenza. Si concentra fortemente nelle periferie urbane di Roma e Napoli ma si presenta in maniera rilevante anche nella pianura padana veneta, nelle aree tra Bari e Brindisi e soprattutto nell’Alto Adige. Emerge sicuramente per questo gruppo la più elevata vocazione per i parametri strutturali, che dimostrano una elevata incidenza di popolazione giovane e una più contenuta esposizione agli anziani, un tasso di laureati e diplomati superiore e tassi di crescita demografica e di consistenza familiare superiori agli altri gruppi in esame. In posizione medio-alta si collocano anche gli aspetti connessi all’istruzione, al commercio e al turismo, mentre l’esclusione dell’area del benessere appare condizionato ai minimi livelli di assistenza sociale e sanitaria tra i gruppi in esame (insieme al gruppo 1) e al più contratto livello di ricchezza prodotto, negli aspetti integrati che lo compongono. Gruppo 5 Rappresenta la medietà della medietà italiana; sono comuni localizzati nel Centro Italia con qualche condensamento anche nelle aree interne ma non montane del Veneto e del Friuli. Non emerge per particolari esposizioni negative ma neanche positive di alcuna delle famiglie in esame, se si eccettua un punto di criticità per l’attivazione turistica e per i livelli di istruzione. Centrali tutti i posizionamenti delle famiglie di indicatori con una migliore capacità di questi comuni per la famiglia della ricchezza, soprattutto per la veste immobiliare e per i maggiori consumi elettrici della popola-


Gruppo 8 Proprio la ricchezza rappresenta l’elemento di eccellenza di questa famiglia, che si evidenzia per un alto reddito disponibile pro capite ed il massimo livello di dotazione di sportelli bancari, ma anche per una significativa intensità di depositi bancari e di incidenza di contribuenti di media intensità. Ai margini dell’eccellenza anche gli aspetti relativi all’assistenza sociale e sanitaria mentre la criticità evidente è assegnata alle variabili strutturali (popolazione anziana, scarsa dinamicità nei tassi demografici, bassi livelli di densità demografica e di componenti familiari) e all’istruzione uola primaria che in quella secondaria. Sono comuni dell’Appennino Tosco Emiliano e delle aree pedemontane di gran parte dell’arco alpino. “

aree benessere disagio insediativo comuni della medietà


ECCELLENZE E GHOST TOWN (Tratto da: Rapporto sull’Italia del disagio insediativo, Confcommercio Legambiente, agosto 2008) materiale protetto da copyright

“La montagna regola la pianura, dice un vecchio proverbio, ma se viene abbandonata a soffrirne saranno tutti”. (Mario Rigoni Stern) Il segreto del miracolo italiano è stata la capacità di produrre all’ombra dei campanili cose che piacciono al mondo. Bisognerebbe semplicemente ripartire da qui. (Carlo De Benedetti) Negli ultimi anni i comuni del disagio insediativo stanno aumentando sempre più e la previsione è quella di avere tra una decina d’anni un vasto numero di “città fantasma” nel territorio italiano. QUALI SONO I CARATTERI DEL DISAGIO? Le condizioni strutturali che portano al disagio non sono date solo da una debolezza insediativa della popolazione residente (calo delle nascite, aumento della popolazione anziana, ecc.) ma anche da condizioni evidenti di depauperamento delle potenzialità produttive e di depotenziamento dei propri talenti, con indici soprattutto economici che mettono in luce una condizione di debolezza strutturale di queste aree. Vi è una debolezza intrinseca rappresentata anche dallo scarso appeal che queste stesse aree, poco vitali dal punto di vista produttivo, esercitano sull’esterno e dunque sulla capacità di attrarre e accogliere nuovi cittadini, nuovi abitanti, nuove famiglie ed imprese. Sono territori che non riescono a promuovere una propria identità turistica, nonostante una dotazione del sistema dell’offerta che supera ampiamente la domanda generata.In questo quadro generale emerge anche l’accentuazione del divario nord-sud e una sorta di radicalizzazione delle differenze non tanto tra montagna, collina, pianura e città, quanto all’interno delle medesime categorie, ovvero tra montagna ricca e montagna impoverita, tra collina valorizzata e collina dimenticata, tra città al passo con i cambiamenti imposti dall’economia della globalizzazione e città in forte ritardo.


L’Italia del “Disagio insediativo” nell’anno 2006

3.556 comuni su 8.101 (di cui 3.408 con meno di 10mila abitanti) 128 mila kmq pari al 42,5% del territorio italiano 8,7 milioni di abitanti una media di 2.500 residenti per comune.

Il disagio insediativo nel 2006 e previsioni al 2016 a parità di condizioni

2006

2016

3.556 comuni

4.395 comuni

128.000 Kmq

158.000 Kmq

8,7 milioni di abitanti

14,1 milioni di abitanti

2.500 residenti

3.250 residenti


I Comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti “Un approfondimento dell’analisi ai comuni con meno di 5.000 abitanti conferma quanto affermato. Sono infatti 3.145 i comuni con meno di 5.000 abitanti con presenza di disagio insediativo, ovvero il 38,8% dei comuni italiani e l’88,4% dei comuni con meno di 10.000 abitanti. L’aspetto dimensionale è dunque profondamente connesso con l’area del disagio. In questi comuni: - risiede il 7,4% della popolazione; - a fronte del 7% della popolazione sotto i 14 anni di età è presente il 9% del totale nazionale degli over 65, un valore superiore di oltre il 20% alla media italiana; - risiede solo il 3,5% dei residenti stranieri; - si esprime un reddito che influisce a livello nazionale solo per il 5,8%, con una redditività media delle zone a disagio inferiore del 22% rispetto al totale Italia; - è in diminuzione la percentuale di studenti che frequentano la scuola dell’obbligo, pari al 6% della popolazione nazionale a fronte dell’8% di soli 7 anni prima; - si rileva una presenza pari allo 0,8% dei letti negli istituti di cura pubblici e privati; - si localizza il 17,5% delle pensioni di invalidità italiane e il 15,9% degli importi; - si realizza solo il 4,3% delle entrate tributarie a fronte di un valore omogeneo al peso demografico per le entrate totali (8,3%); evidenziano ancora una volta l’ingente peso dei trasferimenti; - si riscontrano 19 milioni di presenze turistiche ufficiali, il 5,6% del totale nazionale a fronte del 7,1% e 12,5% delle ricettività alberghiera e extralberghiera - tra le forme extralberghiere il 17,5% degli agriturismo, e il 21% della disponibilità ricettiva nelle abitazioni per vacanza, sottolineano la scarsa utilizzazione patrimoniale; - sono presenti 445mila unità locali (il 7,3% del totale nazionale) ma è occupato solamente il 3,6% degli addetti; un indice che evidenzia una minore capacità occupazionale rispetto alla media nazionale; - sono presenti solamente 90mila unità locali al commercio, pari al 5,2% del totale nazionale ma solo il 2,4% degli addetti nazionali, evidenziando una netta rarefazione occupazionale e dell’offerta; - sono registrati 2,83 milioni di contribuenti, un valore in linea con il peso demografico, che apportano il 5,1% dell’ammontare della contribuzione, mettendo in evidenza una differenza media rispetto al totale nazionale del 32%. - si esprimono depositi bancari pari a solo all’1,9% del totale nazionale, con una propensione al deposito ridotto dei due terzi rispetto al reddito prodotto, ed un tasso di incidenza degli impieghi bancari che non supera lo 0,7%.” (Tratto da: Rapporto sull’Italia del disagio insediativo, Confcommercio Legambiente, agosto 2008)


GHOST TOWN Dei comuni del disagio nella proiezione al 2016, 1.650 comuni saranno probabili ghost town, città fantasma a “rischio estinzione”, perchè non raggiungerebbero la soglia minima di “sopravvivenza” nelle diverse categorie demografiche, sociali, economiche e dei servizi. Esse sono: - un quinto dei comuni italiani; - un sesto della superficie territoriale; - il 4,2% della popolazione; - vi risiedono 560mila persone oltre i 65 anni, il 20% in più rispetto alla media nazionale e solo il 2% degli stranieri residenti in Italia (evidenziando una scarsa capacità di attrazione rispetto a questa dinamica domanda di insediamento). - si registra una situazione negativa per tutte le variabili della ricchezza; - vi lavora il 2,1% degli addetti italiani (esprimendo metà della propensione media al lavoro); - l’offerta di esercizi commerciali occupa solo l’1,5% degli addetti nel settore; - si registrano oltre il doppio delle pensioni di invalidità mediamente erogate sul territorio nazionale; - l’opportunità turistica è sporadica vista la grande disponibilità di abitazioni non utilizzate (1,5 volte in più del territorio nazionale) e le limitate presenze nelle strutture ricettive (-23%). - vi è una carenza complessiva nel sistema scolastico, sia dal punto di vista della domanda (studenti) che dell’offerta (scuole); - vi è una forte carenza dal punto di vista dei presidi sanitari (più comprensibile è l’assenza di istituti di cura pubblici e privati, di unità locali e di addetti nel settore). Imitando la rappresentazione dell’innalzamento del livello marino per cause ambientali, nella pianta sottostante si è dato ai 1650 comuni delle presunte ghost town del 2016 il colore del mare. Il solo colpo d’occhio ci aiuta a capire come il disagio insediativo rappresenti un rischio primario o, nella più corretta logica del progetto, un talento sotterrato che il Paese non si può permettere di non utilizzare.


Mappa della previsione in Italia entro il 2016 delle ghost town

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Dal disagio insediativo alle ghost town In questa Italia a due dimensioni, l’elemento più critico è rappresentato non solo dall’aumento del numero dei comuni che da qui a dieci anni presenteranno condizioni di disagio insediativo, ma dal fatto che per alcuni comuni si prospettano condizioni di particolare criticità nel disagio, tali da configurare per essi un vero e proprio futuro da “ghost town”. Infatti, è evidente che al di sotto di determinate soglie degli indicatori socioeconomici locali non vi sono le condizioni minime non solo per garantire adeguate condizioni di vita, ma neppure aspettative di futuro. In questo senso complessivamente nel 2016, a parità di condizioni e secondo le proiezioni elaborate, in Italia: - l’ 85,1% dei comuni avrà meno di 10.000 abitanti; - il 70,5% dei comuni avrà meno di 5.000 abitanti; - il 50,0% dei comuni avrà meno di 2.400 abitanti; - il 44,5% dei comuni avrà meno di 2.000 abitanti; - il 25,1% dei comuni avrà meno di 1000 abitanti. La loro assenza comporterebbe la “sparizione” di ben 47.158 kmq di territorio, pari a poco meno di un sesto (15,6%) del territorio nazionale, rendendo la penisola italiana un vero e proprio arcipelago, ancora più frastagliato e immerso nel mare, con confini molto più aleatori e un territorio molto meno coeso e identitario.

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Mappa dell’indice di vecchiaia in Italia (Istat Entrambe queste carte mostrano come la percentuale di popolazione italiana che abita nella spina centrale del territorio sia molto anziana. Emerge chiaramente come lungo la dorsale appenninica sia presente una popolazione con un indice di vecchiaia elevato che costituisce esso stesso un freno alla possibile rinascita di questi luoghi.

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Mappa dell’indice di popolazione di 75 anni e più (Istat 2001)

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2001

2002

2003

20 GIUGNO 2001 CALCATA IL PAESE DEGLI ARTISTI

13 MARZO 2003 QUEI BORGHI D’ALTRI TEMPI

AL CONTRARIO DI QUELLO CHE DA MOLTE PARTI SI LEGGE , LA CITTA’ NON è MAI STATA ABBANDONATA DEL TUTTO. IL SUO FASCINO NON HA LASCIATO INDIFFERENTI I TANTI ARTISTI CHE ORA LA ABTANO, LE CUI BOTTEGHE SI SUSSEGUONO TRA I VICOLI. di Federico Orlandi

ARIA FRIZZANTE, ACQUA INCONTAMINATA, AMBIENTE TRANQUILLO, E PAESAGGIO VERDE. QUESTO BEN DI DIO E’ OFFERTO DAI PICCOLI CENTRI DELL’APPENNINO DUANO, CARI ANCHE AI TURISTI AMERICANI IN CERCA DI TRANQUILLITA’. di Michele Pizzillo

05 AGOSTO 2002 NEI PAESI FANTASMA C’E’UN TESORO FERRAZZA E RENEUZZI, DUE PAESINI NELLA VAL BORBERA, SONO RIMASTE DUE SOLE FAMIGLIE. I DUE PICCOLI CENTRI STANNO PER SEGUIRE LA SORTE DI MOLTI ALTRI, STANNO PER SCOMPARIRE DALLE STATISTICHE. SARANNO PAESI FANTASMA, ABITANTI ZERO. di Teresa Serrao

09 OTTOBRE 2003 VIAGGIO TRA I PAESI ABBANDONATI BORGHI DISABITATI, VILLAGGI FANTASMA, RIONI CROLLATI:LA PUGLIA DEL BOOM TURISTICO, LA BASILICATA DEL PETROLIO E DELLA FIAT, NASCONDONO LUOGHI DESERTI E RICCHI DI STORIA.SONO DECINE I VILLAGGI SILENZIOSI E DISABITATI, PERDUTI NELL’OBLIO DI UN’ECONOMIA IN TRAMONTO.

articoli di giornale tratti dagli archivi web di: il Corriere della Sera la Repubblica il Giornale il Sole 24 ore il Secolo XIX

2004


2005

2006

2007

2008

10 GENNAIO 2005 VOCI DA UN LUOGO ABBANDONATO

09 FEBBRAIO 2007 IL MIRACOLO DI COLLETTA

PER CAPIRE COME MUORE UN PAESE, E PERCHE’ MUORE, OCCORRE ARRAMPICARSI SUL SENTIERO DI BUCHE E SALIRE A PENDATTILO LA PUNTA ESTREMA DELLA CALABRIA. COMPARE COME UN INSIEME RUDE DI CASE, IMMOBILI E SPENTE, CHE UN TEMPO OSPITAVA LA VITA DI COMUNITA’. di Francesco Erbani

COLLETTA DI CASTELBIANCO FIGURAVA COME BORGO ABBANDONATO, QUEST’ANNO CI E’ TORNATA IN UN’ALTRA VESTE: BORGO TELEMATICO. IL SEGRETO DEL SUCCESSO DI COLLETTA E’ L’INTEGRAZIONE TRA TECNOLOGIA E SOCILAITA’. INGLESI E AMERICANI SI SONO INNAMORATI DI COLLETTA.

28 GENNAIO 2006 LE OPERE DI 14 ARTISTI PER CALCATA TESTIMONIANZA DI UNA REALTA’ RARA NEL MONDO DELL’ARTE QUALE è QUELLA ESPRESSA NEGLI ULTIMI DECENNI DA UN BRGO CHE SI E’ IMPOSTO PER I SUOI CONTENUTI ALL’ATTENZIONE INTERNAZIONALE. BORGO, IN PROVINCIA DI VITERBO, PRESCELTO DA UOMINI DI CULTURA, PAESAGGISTI, SCRITTORI E ARTISTI. di Giuseppe Rescifina

2009

05 MARZO 2007 L’HOTEL DIFFUSO IL COMUNE DI SANTO STEFANO DI SESSANIO E L’ENTE PARCO GRAN SASSO E MONTI DELLA LAGA HANNO FIRMATO UNA CONVENZIONE PER LA SALVAGUARDIA DEL PAESAGGIO AGRARIO CIRCOSTANTE. NESSUNO PUO’ COSTRUIRE INSOMMA MA SOLO COLTIVARE. DANIELE KHILGREN COMPRA I BORGHI ABBANDONATI. di Paola Jadeluca

17 OTTOBRE 2006 CODEGLIA, IL PAESE CHE DIVENTA HOTEL

06 AGOSTO 2009 L’UOMO CHE SALVA I BORGHI

L’HOTEL PAESE PER ADESSO SONO 22 CASE DI PIETRA. TRA QUINDICI MESI SARA’UN BORGO MEDIEVALE DA FAVOLA COMPLETAMENTE RISTRUTTURATO, CON 60 POSTI LETTO, UNA LOCANDA, DUE PISCINE.LA GESTIONE DELL’ALBERGO DIFFUSO SARA’ NELLE MANI DEGLI STESSI RESIDENTI. di Raffaele Niri

COLLETTA DI CASTELBIANCO FIGURAVA COME BORGO ABBANDONATO, QUEST’ANNO CI E’ TORNATA IN UN’ALTRA VESTE: BORGO TELEMATICO. IL SEGRETO DEL SUCCESSO DI COLLETTA E’ L’INTEGRAZIONE TRA TECNOLOGIA E SOCILAITA’. INGLESI E AMERICANI SI SONO INNAMORATI DI COLLETTA.

22 SETTEMBRE 2007 CALITRI, IL BORGO ADOTTATO INGLESI, AMERICANI, NORDEUROPEI E, SINORA, SOLO DUE ITALIANI. ECCO CHI STA COMPRANDO CASA NEL CENTRO STORICO DI CALITRI, QUASI ABBANDONATO DOPO CHE GLI ABITANTI SI SONO TRASFERITI NELLA PARTE NUOVA COSTRUITA DOPO IL TERREMOTO. CALITRI SI STA TRASFORMANDO IN ALBERGO DIFFUSO.

08 SETTEMBRE 2009 TORRI SUPERIORE UN BORGO MEDIEVALE STUDIATO PER CERCARE LA SOSTENIBILITA’ SOCIALE, ECONOMICA, ECOLOGICA. UN VILLAGGIO CHE CONTAVA NEL ‘89 UNA SOLA PERSONA.UNA COMUNITA’ CHE CONTA OGGI CIRCA VENTI MEMBRI PERMANENTI, TRA CUI 5 BAMBINI. UN LUOGO DELL’ANIMA DOVE I RESIDENTI SVILUPPANO PROGRAMMI DI AGRICOLTURA E DI PERMACOLTURA.




1.4 PROPOSTE DI LEGGE (Tratto da:PROGRAMMA Fo.Cu.S.Centro di ricerca sulla valorizzazione dei centri storici minori e relativi sistemi paesaggistico-ambientali) “Le politiche messe in atto nel nostro Paese per la valorizzazione di queste aree sono disarticolate, frammentate e difficilmente riconducibili ad una unitarietà. Se partiamo dalla situazione nazionale, la questione appare piuttosto “indietro”. Si pensi al disegno di legge “Disposizioni per il recupero e la riqualificazione dei centri storici” (approvato alla Camera nel luglio 2005); alla cosiddetta proposta di legge Realacci sui piccoli comuni; alla prevista riduzione dei finanziamenti per i beni culturali che caratterizzerà probabilmente la prossima stagione della programmazione europea 2007-2013; all’impostazione del documento strategico nazionale predisposta dal Ministero delle infrastrutture e trasporti (che sembra puntare su sistemi di città intermedie, comunque forti); al Piano strategico nazionale dello sviluppo rurale che appare come elemento distinto da un programma strategico nazionale, come se le aree rurali e le relative comunità fossero soggetti di “dignità” diversa dalle città (grandi o medie che siano) e non si ponesse un problema di integrazione. Riguardo alle prime due proposte di legge, appare critica la circostanza che –nonostante tutte le esperienze che hanno ruotato intorno ai programmi integrati e alla programmazione negoziata e che hanno visto anche importanti applicazioni ai centri storici (compresi quelli minori) – si ragioni su provvedimenti di così poca lungimiranza rispetto al territorio e al suo sviluppo: come ritagliando piccoli francobolli, per l’appunto di piccoli comuni, come se tutto fosse isolato, come se non ci fossero tessuti connettivi, spinte locali all’attività e al rinnovamento, come se ogni intervento fosse una questione a sé. Se dalle proposte nazionali scendiamo a livello regionale, le sperimentazioni appaiono numerose, interessanti e sensibilmente più ricche: le regioni sono attori importanti, così come le amministrazioni comunali e provinciali, che spesso vengono coinvolte nelle reti delle buone pratiche europee, da Urban a Interreg. Altre iniziative appaiono più settoriali, come i borghi più belli o i distretti culturali, e altre ancora restringono gli ambiti senza lasciare un respiro più ampio allo sviluppo e al coinvolgimento intersettoriale o puntano a operazioni di squisita natura immobiliaristica. Emergono, in tale contesto, come innovative le esperienze di valorizzazione in senso ampio che, oltre al centro storico, hanno coinvolto anche il sistema ambientale e paesaggistico e le risorse territoriali a scala vasta; che hanno coinvolto i cittadini in processi di partecipazione condivisa sulle trasformazioni e valorizzazioni, sulla decisione di nuove funzioni da localizzare; che hanno visto le amministrazioni lavorare su modalità di comunicazione tese a creare condivisione e ad attivare forme varie di governance, volte a ricostituire le identità territoriali. E’ anche sulla stretta coniugazione tra strutture fisiche ed erogazione di servizi che si gioca l’integrazione; è opportuno non pensare solo alla riqualificazione fisica, al restauro dei monumenti, ma anche alla valorizzazione del territorio e della comunità locale in termini di produzione di servizi che creano rete, inducendo attività e occupazione e producendo forme nuove di attrazione territoriale. Il possibile restringimento del canale europeo, ma anche le difficoltà finanziarie in cui versano le amministrazioni locali (tanto più i piccoli comuni) postula la necessità di auto-organizzazione, di mettere a frutto esperienze e buone pratiche di confrontarsi rispetto a politiche attive in cui siano


coinvolti anche i soggetti privati. Inoltre va considerato che i finanziamenti che arrivano da soggetti “esterni” all’amministrazione locale, nazionali ed europei (anche gli stessi Urban), pongono con forza un problema, quello della gestione. Gestione di quanto realizzato (con tali finanziamenti) significa rendere forte e consapevole l’humus locale, significa costruire e scoprire le risorse endogene, economiche, fisiche e soprattutto umane su cui puntare per fare azione di valorizzazione contestualmente a quella di presidio dei territori.” A livello nazionale è attiva dal 1°agosto 2009 la “Direzione generale per la valorizzazione del Patrimonio Culturale” e costituisce la maggior innovazione all’interno del MIBAC. La visione che ispirerà l’azione del Direttore Mario Resca si articola su tre principi strettamente correlati. In primo luogo, è necessario prendere piena consapevolezza di quanto la cultura costituisca l’identità della nostra Nazione(fig.1). Inoltre, adempiendo al dettato costituzionale che affida alla Repubblica il compito di tutelare il patrimonio storico e artistico dell’Italia(fig.2) e di promuovere lo sviluppo della cultura, è doveroso avvicinare il più possibile i cittadini italiani e stranieri alla conoscenza delle ricchezze artistiche del nostro Paese. Infine, l’Italia, forte di uno dei maggiori patrimoni culturali al mondo fatto di città d’arte, siti archeologici, musei e monumenti frutto delle numerose civiltà che si sono avvicendate nei millenni nel nostro territorio, deve puntare al primato della valorizzazione nel contesto internazionale. La missione della nuova Direzione Generale è orientata da diversi fattori. Innanzitutto la constatazione che la domanda di turismo culturale è in aumento in tutto il mondo. In Europa costituisce il 50% della motivazione turistica. In Italia in 10 anni (1997 – 2007) è cresciuta dal 18 % al 35%. I beni storici, artistici e archeologici potranno contribuire in modo determinante e competitivo al rilancio dell’economia italiana, nel pieno rispetto dell’identità.

fig.1Siti italiani Unesco

fig.2 Beni immobili (archeologici e architettonici) vincolati (1909-2004)


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