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FIMMINA Fotografie di Pucci Scafidi

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Letture

Sottile

Giuseppe

di Carrobio

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Calabrò

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Cavallaro

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Savatteri

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Francesca

Antonio

Felice

Gaetano

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A mio padre. Una vita a sua immagine.

NICOLA SCAFIDI

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FIMMINA

Giuseppe

Sottile L’uomo della Rolleiflex Saro Mineo, il fattorino che aveva l’incarico di soppesare con una occhiata gli ospiti da introdurre nella stanza del direttore, era un sottoproletario ruvido e ringhioso che un giorno riuscì persino a fare spazientire Elio Vittorini. “Lei fa Vittorino di nome o di cognome?”, gli chiese con innocente malacreanza, dopo averlo inchiodato per una mezz’oretta su un divano della sala d’attesa. Ma quando arrivava l’avvocato Nino Sorgi, il buon Mineo abbandonava ogni procedura caporalesca e correva subito ad aprire la porta di Vittorio Nisticò: “Direttore, c’è l’avvocatissimo”, annunciava. E dietro quel debordante superlativo c’era tutta la familiarità, la stima e il rispetto che tutti noi de L’Ora, giornalisti e tipografi, avevamo per quell’uomo in doppiopetto che, con pazienza e professionalità, veniva a tirarci dai guai. Si era negli anni Sessanta e L’Ora di Palermo era il giornale che s’era messo in testa di combattere la mafia, di rivelare i legami malsani con la politica e di invocare la nomina di una commissione parlamentare che finalmente scavasse negli intrighi e nelle connivenze di una classe dirigente ancora subordinata agli interessi delle cosche. Altro che coraggioso. Il giornale viveva ogni giorno un azzardo. I potenti, come Salvo Lima o Giovanni Gioia o Vito Ciancimino, ci accerchiavano con le querele o con i messaggi obliqui. Mentre i mafiosi passavano spesso dall’intimidazione all’avvertimento e dall’avvertimento al tritolo. Come quello piazzato davanti alla saracinesca della tipografia la notte del

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The Rolleiflex man Saro Mineo, the usher who was in charge of weighing the guests to be brought into the director’s room with a glance, was a rough and growling lumpenproletarian who one day even managed to make Elio Vittorini feel impatient: “Is Vittorino your name or last name?”, he asked him with innocent impoliteness, after having left him for half an hour on a sofa in the waiting room. But when the lawyer Nino Sorgi would come in, the good Mineo would leave aside every bad-mannered procedure and immediately run to open Vittorio Nisticò’s door: “Director, here’s the super-lawyer,” he would announce. And behind that overflowing superlative was all the familiarity, esteem and respect that all of us at L’Ora, journalists and printers, had for that double-breast-suited man who, with patience and professionalism, came to get us out of trouble. It was back in the sixties and Palermo’s L’Ora was the newspaper that had set out to fight the Mafia, to reveal the criminal ties with politics and to call for the appointment of a parliamentary committee that would finally dig into the intrigue and connivance of a ruling class that was still at the behest of the Mafia families. They were more than brave. The newspaper was taking a gamble every day. The powerful, such as Salvo Lima or Giovanni Gioia or Vito Ciancimino, flooded us with lawsuits or shady messages. While the mobsters often went from intimidations to warnings and from warnings to bombs. Like the one placed in front of the printing shop’s shutter on the night of October 19, 1958. The bomb exploded at 4:52 a.m.

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19 ottobre del 1958. La bomba esplose alle 4,52 e buttò giù dal letto l’intera popolazione del centro di Palermo. Ma Nisticò – un calabrese tosto spedito giovanissimo in Sicilia da Amerigo Terenzi, editore e padre padrone dei giornali che facevano capo al Pci – non si arrese. Anzi. Il giorno dopo stese sulla prima pagina una foto enorme di Luciano Liggio, un boss di Corleone ancora poco conosciuto, e ci inchiodò sopra un titolo composto di una sola parola: Pericoloso! Una sfida. Che il direttore de L’Ora non si sarebbe mai intestata senza i consigli e il conforto di Nino Sorgi. Il quale, tra l’altro, aveva contribuito in prima persona a scrivere la monumentale inchiesta che, subito dopo la terza puntata, avrebbe spinto i boss a rispondere con l’attentato alla tipografia. Ma l’avvocatissimo non era soltanto il penalista che davanti all’arroganza della mafia aveva scelto di stare dalla parte opposta, dalla parte cioè di chi subiva i sorprusi e le violenze. Era soprattutto un intellettuale borghese che, avendo fatto nell’immediato dopoguerra una scelta politica di sinistra, si era ritrovato a vivere da vicino le tragedie e le speranze

della Sicilia. Aveva cominciato, giovanissimo, col difendere nelle aule di giustizia quei contadini che, scavalcando le minacce dei sovrastanti e le lupare dei campieri, avevano avuto l’ardire di occupare i feudi dei capimafia. Un’epopea della miseria. Che di fatto aveva trasformato Sorgi in un “avvocato dei torti”, generoso e solitario, al quale facevano riferimento non solo i deboli e i disperati che, nell’asprezza degli scontri di classe o di piazza, si ritenevano dei perseguitati; ma anche quel vago e vasto mondo ¬–¬ scrittori, registi, attori, grandi inviati ¬– che, con curiosità e passione, sbarcava a Palermo per raccontare la nuova Sicilia: quella di Nisticò e delle campagne de L’Ora; quella che, con Danilo Dolci, tentava di affrancarsi da antiche sudditanze e quella colta e malinconica descritta nei primi romanzi di Leonardo Sciascia. L’ avvocatissimo era sempre lì. Ad aiutare Francesco Rosi, venuto a Montelepre per gira-

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and woke up the entire population of Palermo’s downtown. But Nisticò - a tough Calabrian sent to Sicily at a very young age by Amerigo Terenzi, editor and boss of the newspapers that were owned by the Italian Communist Party - did not give up. On the contrary. The next day he spread a huge photo of Luciano Liggio, a still little known boss from Corleone, on the front page and nailed on it a headline in a single word: Dangerous! It was a challenge. And the director of L’Ora would never have taken it on without Nino Sorgi’s advice and support. Among other things, he had personally contributed to writing the monumental inquiry, which, immediately after the third episode, would have driven the Mafia bosses to respond with an attack on the press. But the super-lawyer was not only an expert in criminal law who, faced with the arrogance of the Mafia, had chosen to stand on the opposite side: that is, on the side of those who suffered its abuse and violence. He was above all a bourgeois intellectual who, having made a left-wing political choice in the immediate post-war period, found himself experiencing the tragedies and hopes of Sicily first hand. At a very young age, he had begun to defend in court those farmers who, despite the threats of their betters and the shotguns of the landowners’ foremen, had had the audacity to occupy the lands of the Mafia bosses. An epic of misery. And it had transformed Sorgi into a generous and lone lawyer who fought injustice. He was the go-to man not only for the weak and desperate who, in the harshness of the class or street clashes, considered themselves to be persecuted, but also that vague and vast world of writers, directors, actors, and famous correspondents who, with curiosity and passion, landed in Palermo to tell of the new Sicily: that of Nisticò and the L’Ora’s campaigns, the Sicily that, with Danilo Dolci, tried to break free from ancient bonds and from the cultured and melancholic one described in Leonardo Sciascia’s early novels. The super-lawyer was always there. To help Francesco Rosi, who came to Montelepre to shoot, in the hostility of the entire town, the film about the outlaw Salvatore Giuliano. To explain the Mafia’s language to Claudia Cardinale, chosen by Damiano Damiani as the female protagonist of the movie Giorno della Civetta—The Day of the Owl. To cover the effects of certain inventions, obviously ingenious but very expensive, that an increasingly whimsical Luchino Visconti had concocted for his movie The Leopard. Nino Sorgi, the super-lawyer, and Saro Mineo, the rude-mannered guardian of the sacre-

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re, nell’ostilità dell’intero paese, il film sul bandito Salvatore Giuliano. A spiegare il linguaggio della mafia a Claudia Cardinale, scelta da Damiano Damiani come protagonista del Giorno della civetta. Ad ammortizzare gli effetti collaterali di certe trovate, ovviamente geniali ma costosissime, che un Luchino Visconti sempre più capriccioso aveva ipotizzato per il suo Gattopardo. Nino Sorgi, l’avvocatissimo, e Saro Mineo, il caporalesco guardiano della sacralità della stanza dove Nisticò macinava idee e menabò, erano due dei tanti personaggi che facevano da corona al direttore e alla redazione de L’Ora. Figure fondamentali e indimenticabili. Come Stefano Giannino, l’autista dei pronto soccorsi. La mattina presto, anzi prestissimo, faceva il giro in compagnia di un cronista di nera o di Aurelio Bruno, che era un giornalista di complemento, ma soprattutto un’enciclopedia vivente di sbirri e morti ammazzati. Cominciavano dal presidio di Piazza Marmi, di fronte al Tribunale, poi andavano al Civico, poi a Villa Sofia senza trascurare i minori, dalla Bandita a via Montalbo a via Roma. E lì sfogliavano i referti, alla ricerca di una notizia da pubblicare a una o a due colonne in cronaca. “Moto ape contro albero: due feriti”, ci si accontentava anche di queste minuzie. Ma l’obiettivo di Giannino – che poi passava il resto della sua giornata a mare, chiuso in una barchetta piccola piccola – era, come si dice, di alto livello: tenere vivo e vegeto il rapporto con medici e infermieri. Perché se poi succedeva un patapum – una sparatoria, un omicidio, una strage: roba da nove colonne in prima pagina – da quel pronto soccorso doveva comunque partire una telefonata al giornale: “Dica al signor Stefano che ho chiamato io; glielo dica: ha chiamato l’infermiere Casarubea, del pronto soccorso Politeama”. La telefonata del patapum mobilitava tutti, dal capocronista all’ultimo biondino. Ma il primo a scarrozzarsi sul luogo del delitto era lui, Nicolino Scafidi, il fotografo con la Rolleiflex sempre appesa al collo e un impermeabilino a tre quarti che lo incaramellava “come un pupo di zucchero”, così diceva. Un furetto. Della cronaca nera conosceva ogni anfratto e ogni debolezza, e non c’era tana dove non riusciva a inconigliarsi. Sapeva come affrontare i parenti del morto ammazzato che, manco a dirlo, maledicevano giornali e giornalisti; e sapeva come inquadrare di nascosto il delinquente che usciva dalla Squadra Mobile o come parare e sopportare gli sputi dei mafiosi ammanettati che varcavano il portone dell’Ucciardone. In un mondo di lupi voleva essere il più lupo di tutti. Voleva

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dness of the room where Nisticò was grinding ideas and paste-ups, were two of the many characters who surrounded the editor-in-chief and editorial staff at the L’Ora. They were crucial and unforgettable figures. Like Stefano Giannino, the ambulance driver. Early in the morning, or rather very early in the morning, he would drive around in the company of a crime reporter or Aurelio Bruno, who was a junior reporter, but above all a living encyclopedia of cops and murder victims. They would start from emergency unit in Piazza Marmi, in front of the Court, then went to Civico Hospital, then to Villa Sofia Hospital without forgetting children, from the Bandita, through via Montalbo, to via Roma. And there they would leaf through the reports, looking for a piece of news to be published in one or two columns in the news. “Three-wheel pick-up van against a tree: two injured,” they would also be satisfied with these minutiae. But Giannino’s goal - who then spent the rest of his day at sea, locked in a tiny boat - was, as they say, of top level: to keep the relationship with doctors

and nurses alive and well. Because if there was a shooting, a murder, or a massacre: stuff to cover nine columns on the front page - that emergency room had to call the newspaper: “Tell Mr. Stefano that I called; tell him: called nurse Casarubea, Politeama to the emergency room.” The phone call of a shooting would mobilize everyone, from the chief reporter to the last paperboy. But the first one to reach the scene of a crime would be him, Nicolino Scafidi, the photographer with the Rolleiflex always hanging around his neck and a three-quarter-length raincoat that would wrap him up “like a sugar puppet,” as he would say. A ferret. He knew every crevice and every weakness of crime news, and never there was never a place he could not get into. He knew how to deal with the relatives of a murdered man who, needless to say, cursed newspapers and journalists; and he knew how to secretly get a shot of a cri-

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appartenere a quel popolo “cavo, giallo e infossato”, per dirla con Balzac, che non aveva paura né della vita né della malavita. E del suo cinismo era persino orgoglioso. Raccontava di quando Nisticò, il terribile Nisticò, lo rispedì in via Perpignano, in casa del morto ammazzato Calogero Manzella, perché tra le foto non c’era “quella della madre che piange”. E lui ci ritornò. Ma la mamma non piangeva. E allora lui, per farla piangere, cominciò a imprecare, nel pieno del lutto, contro i “cornuti assassini” e a disperarsi come fosse un parente stretto: “Così si ammazza il padre di quattro figli?... Così si ammazza un galantuomo?”. E andò avanti e ancora avanti fino a quando la donna, povera donna, non scoppiò in un urlo ancora più disperato, di lacrime e sangue, e lui sparò finalmente il flash, fissando nella sua Rolleiflex quello strazio. Era il suo pezzo forte il racconto della mamma del cocchiere ucciso in via Perpignano. Era la sua gloria, perché Nisticò gli fece pure un regalo. Non soldi, ci mancherebbe altro; ma una firma: “Foto di Nicola Scafidi”. Quando la cronaca nera non lo chiamava in servizio, Nicola impiegava il suo tempo in un pellegrinaggio che prevedeva, come prima stazione del calvario, una sosta nella segreteria di redazione e in particolare un colloquio, difficile e pietroso, con Angela Fais. Una donna dolcissima ma di tenace concetto, amorevole ma intransigente. Era anche colta e appassionata, Angela. Ma era convinta, fermamente convinta che la sua missione principale fosse quella di vigilare affinchè, all’interno del giornale, non fosse mai scalfita la purezza della ortodossia comunista. Era una militante convinta del Pci e se ne vantava con la fierezza di chi sa di dovere testimoniare anche in partibus infidelium una fede incrollabile. Veniva dalla Sardegna e viveva le proprie radici come un privilegio, soprattutto quando a Botteghe Oscure si impose la leadership di Enrico Berlinguer. E guai a chi le toccava il giornale o Nisticò. Era come profanare il tempio che il partito aveva costruito in Sicilia per predicare – con gli articoli di Mario Farinella o di Marcello Cimino, di Giuliana Saladino o di Salvo Licata – il vangelo della classe operaia. E chi se ne fregava se Nicola Scafidi bussava ogni due o tre giorni alla sua porta per conteggiare le fotografie pubblicate e salire poi al terzo piano, dal ragioniere Girolamo Pinello, ad aspettare che ci fossero quattro soldi in cassa ed ottenere finalmente il saldo delle sue spettanze. Le chiamava proprio così: spettanze. Ma lo sapevano pure le pietre che la priorità nella palazzina di piazzale Ungheria era sempre e comunque della classe operaia, dei tipografi. Perché se gli stipendi non arrivano puntuali i linotipisti cominciavano a mugugnare e i rotativisti

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minal who was coming out of the Police Station or how to skirt and bear the spitting of the handcuffed mobsters who were crossing the gate of the Ucciardone prison. In a world of wolves he wanted to be the leader of the pack. He wanted to belong to that “hollow, yellow, and sunken” people, to put it in Balzac’s words, who were not afraid of life or the underworld. And he was even proud of his cynicism. He would tell of when Nisticò, the terrible Nisticò, sent him back to Via Perpignano, to the house of the murdered Calogero Manzella, because there was no photo of “the crying mother.” And he went back. But the mother wasn’t crying. So, to make her cry, he began to swear, in the midst of the mourning people, against those “bastard murderers” and to despair as if he were a close relative: “This is the way you kill the father of four children?... “Is that how you kill a gentleman?” And he went on and on until the woman, poor woman, burst into an even more desperate cry of tears and blood, and he finally shot the flash, capturing that torment with his Rolleiflex. The story of the mother of the coachman murdered in Via Perpignano was his finest. It was his greatest achievement because Nisticò even gave him a gift. Not money, obviously; but a signature: “Photo by Nicola Scafidi.” When the crime news office wouldn’t call him, Nicola would spend his time on a pilgrimage that included, as the first Station of the Cross, a stop at the secretary of the editorial office and in particular a difficult and harsh conversation with Angela Fais. A sweet but tenacious, loving but uncompromising woman. And Angela was even cultured and passionate. But she was convinced, firmly convinced that her main mission was to make sure that, at the newspaper, the purity of communist orthodoxy was never tarnished. She was a stalwart militant of the Italian Communist Party and boasted of it with the pride of those who knew they had to testify their unshakable faith even among non-believers. She came from Sardinia and lived her roots as a privilege, especially when Enrico Berlinguer became the leader at the Communist Party’s headquarters in Rome, Botteghe Oscure. And woe to those who touched the newspaper or Nisticò. It was like profaning the temple that the party had built in Sicily to preach - with articles by Mario Farinella or Marcello Cimino, Giuliana Saladino or Salvo Licata - the gospel of the working class. And who cares if Nicola Scafidi would knock every two or three days at her door to count the photos published and then go up to the third floor, to the accountant Girolamo Pinello, waiting until there was some money in the coffers and finally get what he was due. That’s what he would say. But even the stones knew that the priority at the building in Piazzale Ungheria was and would always be the

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non esitavano a fermare la stampa e a lasciare il giornale nei telai. Con grande dispiacere di Emanuele Manfrè, il proto, che alle cinque, prima dell’alba, cominciava già ad affannarsi perché gli si dovevano consegnare tre pagine da avviare alla composizione – guida film, esteri, spettacoli – e i redattori non rispettavano i tempi: cedevano al sonno del mattino e mettevano mano al lavoro non prima delle sei. E lui, Manfrè, che era una persona educata e un gran signore, per non lasciarsi prendere dall’ira saliva dai sotterranei del piombo, entrava nello stanzone della redazione e recitava una ninna nanna, ingenua e ossessiva, che suonava pressappoco così: “Mi piace mangiare, mi piace bere, travagghieddu non ne voglio, mi piace ‘a vovò”. E su quella vovò lasciava cadere un accento grave, pesante come un re minore. Era il suo rimprovero sottinteso, la sua fustigazione elegante. Il battere e levare di un uomo d’altri tempi in un giornale del secolo scorso.

Giuseppe Sottile

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working class, the printers. Because if salaries didn’t arrive on time, the linotypists would start to grumble and the rotary-press operators wouldn’t hesitate to stop the press and leave the newspaper in the press. And to the great disappointment of Emanuele Manfrè, the chief composer, who at five o’clock, before dawn, was already beginning to get anxious because he had to be given three pages to start composition - film guide, foreign affairs, and shows - and the editors were never on time: they would fall asleep in the morning and get back to work no earlier than six o’clock. And Manfrè, who was a polite person and a great gentleman, in order not to let his anger take him over would come up from the basement, enter the newsroom and sing a rather naive and obsessive lullaby, which sounded more or less like this: “I like to eat, I like to drink, I don’t want to work, I like to idle about.” And he would hit that ‘about’ with a grave D minor. It was his tacit reproach, his elegant flogging. The rhythm of a man of yesteryear in a newspaper of the last century.

Giuseppe Sottile

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FIMMINA

Francesca

di Carrobio Quando penso alla Sicilia, mi si scalda il cuore, un raggio di sole appare. Vedo quei paesaggi infiniti di campi di grano, di uliveti e vigneti. Sento i profumi intensi dei fiori d’arancio, del gelsomino, dei limoni. Lo splendore della natura siciliana mi abbaglia fino a perderne il soffio. Adoro il mare che la circonda, le sue isole tutte diverse, le montagnole bianche di sale abitate dai mulini a vento, le sue cittadine barocche, i suoi vicoli. Quando penso alla Sicilia improvvisamente il mio respiro cambia ritmo, rallenta, appaiono dei sorrisi, dei volti familiari, i ricordi lontani e vicini si intrecciano, si accavallano senza ricordare una vera cronologia. Sento i sapori della sua cucina così speciale, diversa, tipica che mischia naturalmente le tradizioni mediterranee. Quando penso alla Sicilia penso a Palermo, alla sua bellezza, città natale di mia madre, dove da bambina passavo le vacanze estive con le mie sorelle, dalla nonna Paola e dove trovavamo sempre la granita di limone fatta in casa da Carmela ma anche il carretto che ci portava in giro per la città, l’orto botanico e la spiaggia di Mondello con le sue ciambelle e le noci di cocco.

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I see those endless landscapes of wheat fields, olive groves and vineyards. I smell the intense scents of orange blossom, jasmine, and lemons. The splendor of Sicilian nature dazzles me until I lose my breath. I love the sea that surrounds it, its islands, each different from the other, the white mountains of salt populated by windmills, its baroque towns, its alleys. When I think of Sicily my breath suddenly changes rhythm, it slows down, some smiles appear, some familiar faces, close and distant memories blend together, overlap without remembering a real chronology. I taste the flavors of its cuisine, which is so special, different, and typical. It naturally mixes the traditions of the Mediterranean.

When I think of Sicily, I think of Palermo, its beauty, my mother’s birthplace, where as a child I spent my summer holidays with my sisters, with my grandmother Paola and where we always found lemon granita made by Carmela but also the cart that took us around the city, the botanical gardens, and the beach in Mondello with its donuts and coconuts.

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Quando penso alla Sicilia penso alle sue ceramiche, i coralli, l’ambra, i ricami per corredi, i vini dolci e pregiati, i panieri, i gelati, la pasta di mandorle a forma di frutta. Quando penso alla Sicilia penso a Pantelleria, la mia isola che amo tantissimo, selvaggia, ventosa e ribelle mi da forza ed energia. Quando penso alla Sicilia penso che sia il posto più sorprendente al mondo con la sua luce così dolce ma intensa che illumina luoghi carichi di storia e li rende preziosi; adoro perdermi e andare in giro senza meta ma solo per ammirare e scoprire tanta bellezza. La Sicilia è un mosaico multietnico di incontri tra culture e persone, vedere oggi che quest’ isola risveglia interesse da tutto il mondo e sentire nascere in questo luogo un desiderio d’innovazione e d’intraprendenza, mi rende felice.

Francesca di Carrobio

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When I think of Sicily I think of its ceramics, corals, amber, embroidery for trousseaus, sweet and fine wines, baskets, ice creams, and marzipan shaped like fruit.

When I think of Sicily, I think of Pantelleria, the island that I love so much. Wild, windy, and rebellious, it gives me strength and energy.

When I think of Sicily, I think of it as the most surprising place in the world, with its light so sweet but intense that it illuminates places full of history and makes them precious; I love to get lost and wander aimlessly, but only to admire and discover so much beauty. Sicily is a multi-ethnic mosaic of encounters between cultures and people; to see today that this island arouses interest from all over the world and to feel a desire for innovation and enterprise born in this place makes me happy.

Francesca di Carrobio

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Silvia Dragotta

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Padre palermitano e madre catanese, inevitabilmente racchiudo l’amore per tutta la Sicilia. Vivo a Catania e, come il Vulcano che la caratterizza, la mia vita è alimentata dall’energia e dalla passione per tutto ciò che faccio. Affronto la vita con determinazione e accetto sfide sempre nuove, senza mai esitare. Vivendo contesti lavorativi dove la presenza maschile è assolutamente predominante, il carattere indubbiamente fa la differenza insieme alla preparazione. In tante occasioni ho messo in gioco la solarità che viene dalle mie radici per esprimere genuinità, ma al tempo stesso

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My father is from Palermo and my mother from Catania, so I inevitably love the whole of Sicily. I live in Catania and like the volcano that characterizes it, my life is fueled by energy and passion in everything I do. I face life with determination and accept new challenges, without ever hesitating. Having to work in contexts where the male presence is absolutely predominant, character undoubtedly makes the difference, along with training. On many occasions I have to tap into the brightness that comes from my roots to


forza e volontà ferrea. Questo mi ha permesso di prevalere e di guadagnarmi il massimo rispetto e sincera stima. Quando la stanchezza ha il sopravvento mi basta respirare l’aria del mare, fissarne i giochi delle onde, le sue infinite sfumature, e ascoltarne il rumore. Non importa dove mi trovi... che sia Catania, Palermo o altro luogo della Sicilia. Credo fermamente che il mare rappresenti la mia forza e l’essenza di ogni isolano. Vivo con la tipica passione siciliana i sentimenti, senza filtri e finzioni. Mi sento dire costantemente che i miei occhi parlano, rappresentano l’anima, e in effetti mi basta uno sguardo per far capire a chi ho davanti quello che penso. Anche sul lavoro... Che sia in un’aula di tribunale o in un consiglio di amministrazione. Odio l’ipocrisia e l’opportunismo, mali del nostro tempo e troppo spesso della gente della mia Terra. Ogni volta che ritorno, dopo giorni in giro per l’Italia o

express authenticity, and at the same time strength and an iron will. This has allowed me to prevail and to earn the greatest respect and sincere esteem. When I get tired, all I have to do is breathe the air of the sea, to stare at the waves as they play, at its infinite nuances, and to listen to its sound. It doesn’t matter where I am... whether it’s Catania, Palermo, or any other place in Sicily. I firmly believe that the sea is my strength and the essence of every Sicilian. I live with the typical Sicilian passion for feelings, without filters or duplicity. I am always told that my eyes speak for themselves, they represent the soul. In fact, I just need a glance to make it clear to those in front of me what I think. Even at work, whether it’s in a courtroom or at a board meeting. I hate hypocrisy and opportunism: these are the evils of our time and, too often, of the people of my land.

all’Estero, basta il primo sguardo dall’aereo rivolto alla nostra Muntagna, l’Etna, e al mare, per sentirmi a casa. Un posto del cuore ce l’ho. Ho scoperto solo alcuni anni fa Trapani (per ragioni di lavoro) ma è stato amore a prima vista, come se in un’altra vita avessi vissuto lì. Per questo, ogni qualvolta sento il bisogno di restare sola con me stessa corro in quei luoghi che sono diventati il mio rifugio preferito, un centro energetico naturale. PS. Spesso mi capita di essere scambiata per una straniera (russa, francese, rumena, etc). Negli aeroporti è diventato quasi divertente, frutto evidentemente delle dominazioni subite nella storia. Ma basta che sorrida e dica “guardi che sono siciliana e parlo italiano” per ribadire con fierezza il mio essere Fimmina Siciliana.

Every time I return, after days around Italy or abroad, just the first glance from the plane at our Muntagna, Mount Etna, and the sea, makes me feel at home. I have a place in my heart. I discovered Trapani only a few years ago (for business), but it was love at first sight, almost as if I had lived there in another life. So, whenever I feel the need to be alone with myself I run to those places that have become my favorite refuge, a natural energy center. P.S. Often I happen to be mistaken for a foreigner (Russian, French, Romanian, etc.), at airports. It has become almost fun, evidently the result of those who have dominated Sicily throughout history. But I just smile and say, “I’m Sicilian and I speak Italian” to proudly reaffirm my being a Sicilian woman.

Silvia Silvia Dragotta

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Alessia Bevilacqua

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La Sicilia è un isola bellissima che con il tempo ho imparato a conoscere. Quando parti e dici di essere siciliana chiunque ti sorride. La mia terra è questa, è il sorriso dello straniero e la smorfia di chi ci vive, è una dicotomia di luoghi, culture e persone. Quando la si percorre da est ad ovest è un meraviglioso catalogo da sfogliare: dai palazzi dei gattopardi ai templi greci, dalle spiagge con l’acqua cristallina alla montagna dell’Etna, dall’eterea donna bionda alla misteriosa bellezza bruna. Tuttavia il mio rapporto con la Sicilia, o meglio di una giovane donna siciliana che oggi ha deciso di viverci

Sicily is a beautiful island that I have learned to know well over time. When you leave and say you’re Sicilian, everyone smiles at you. My land is this, the smile of a foreigner and the grimace of those who live there; it is a dichotomy of places, cultures and people. When you travel across it from east to west, it is a wonderful catalogue to leaf through: from the palaces of the aristocrats to the Greek temples, from beaches with crystal-clear water to Mount Etna, from the ethereal blonde woman to the mysterious dark beauty. However, my relationship with Sicily, or rather that of a

Alessia e di investire sul proprio futuro professionale, è una contrapposizione fra l’amore e la delusione. Ma io sono testarda. Produrre vino sull’Etna rappresenta per me la voglia di raccontare la mia terra attraverso il nettare prodotto e bevuto in un calice di cristallo. É questo il modo con cui giorno dopo giorno sono felice di trasmettere il fascino e il mistero della Sicilia, evidenziando a tutti ed in particolare a chi ci abita che occorre credere con ottimismo al futuro di noi giovani, rimanendo legati alle origini, ma con gli occhi puntati sul mondo.

young Sicilian woman who has decided today to live there and invest in her professional future, is a contrast between love and disappointment. But I’m stubborn. Producing wine on Mount Etna is, for me, the desire to tell about my land through the nectar made and drunk in a crystal glass. This is how day after day I am happy to share the charm and mystery of Sicily, showing everyone, and in particular those who live there that we must be optimistic and believe in the future of us, young people, while holding on to our roots, but with our eyes pointed to the world.

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Maria Grazia Cucinotta

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Io sono la Sicilia in tutto il mio essere! Più che un ricordo è un mio modello di vita, fatto di quelle piccole semplici azioni che ti riempiono la vita e ti fanno sorridere al pensiero. Se chiudo gli occhi sento il profumo delle lasagne di mamma la domenica mattina, un incanto di fragranza e aromi mischiato al sapore della granita con la brioscia, i buongiorno urlati da un balcone all’al-

I am Sicily through and through! More than a memory, it is my model of life, made of those simple actions that fill your life and make you smile at the thought. If I close my eyes I can smell the scent of my mother’s lasagna on Sunday mornings, a magic of scents and aromas mixed with the taste of granita and brioche, the good mornings shouted from one balcony to another, the sincere smiles, the

Maria Grazia tro, i sorrisi sinceri, i piedi che scappavano sulla sabbia rovente per conquistare il refrigerio dell’acqua del mare. E sul quel mare la memoria torna a spalmare i colori dei tramonti più belli della mia vita. Quando pensavo di trovare il Paradiso al di là dello Stretto, anche se poi, guardandomi intorno, ho poi capito che il Paradiso me lo ero lasciato alle spalle...

feet running away on the hot sand to conquer the coolness of the seawater. And my memory goes back to that sea and spreads the colors of the most beautiful sunsets in my life. When I thought of finding paradise beyond the Strait of Messina, looking around, I realized that I had left paradise behind...

Maria Grazia Cucinotta 49


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Celeste Bertolino

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La donna siciliana è una donna che ti stupisce, che non ti aspetti e che ti lascia senza parole. È una donna che non si arrende mai e che tutto ciò che fa lo porta avanti con amore e tenacia. Determinata e volitiva, cosciente che in una terra come la nostra devi ancora lottare per importi e far valere la tua personalità, per riuscire ad essere protagonista nel mondo delle professioni, in realtà importanti. Il nostro contesto culturale spesso, non sempre fortunatamente, impone alla donna di dedicarsi alla cura della famiglia catalogandolo come unico progetto di vita, tralasciando e trascurando ciò che sono le sue aspirazioni personali e i suoi sogni... Per questo, come affermava Rita Levi Montalcini, le donne hanno sempre dovuto lottare doppiamente: “Hanno sempre dovuto portare due pesi, quello privato e quello sociale. Le donne sono la colonna vertebrale della società”. Fortunatamente sono cresciuta accanto ad un padre “innamorato” delle donne e questo ha agevolato molto la mia formazione spingendomi a credere in me stessa e a dare un valore assoluto alle

A Sicilian woman is a woman who amazes you, who takes you by surprise and leaves you speechless; she is a woman who never gives up and does everything with love and perseverance. She is a determined and strong-willed woman because in a land like ours where you still have to fight to make your way and assert your personality making a name for yourself is an admirable accomplishment. Our cultural context—often but luckily not always—requires a woman to devote herself to taking care of the family, considering it as the only possible way of life, neglecting what her personal dreams and aspirations are. That’s why, as Rita Levi Montalcini said, “Women have always had to fight twice, they have always had to carry two burdens, the private and the social. Women are the backbone of society.” Fortunately I would say. I grew up with a father who “loves” women, and this greatly facilitated my education, driving me to believe in myself and to value my skills that I have made the most of in the field of art

Celeste mie capacità che ho sfruttato nel campo dell’arte e del recupero di beni storici. Sin da bambina mi ha insegnato ad amare ed apprezzare il bello e oggi mi ha permesso di portare avanti insieme a mia sorella un grande progetto, nato da un sogno che oggi è divenuto realtà. Dopo aver restaurato con amore Palazzo Drago, oggi gestiamo nel cuore del Cassaro la nostra dimora storica da poco restituita alla città con tutto il suo antico splendore, frutto di un lungo lavoro di recupero curato in ogni minimo dettaglio prediligendo un restauro conservativo che ne ha preservato il fascino originario. Questo progetto è oggi testimonianza di grande coraggio nel volere ancora credere e quindi investire in una terra difficile ed aspra dove tutto risulta complesso e poco visibile. Nonostante le difficoltà reali ed il complesso adattamento lavorativo l’attaccamento alla mia terra è forte sin da quando ho deciso di proseguire i miei studi nella mia città pur avendo la possibilità di “evadere” e formarmi in un ambiente più promettente.

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and the conservation of historical heritage. Since I was a child he taught me to love and appreciate beauty, and this has allowed me today to engage in a great project with my sister, born of a dream that has now become a reality. After renovating with great love Palazzo Drago, we are now managing our historic residence in the Cassaro, the heart of the old town of Palermo, recently returned to the city in all its ancient glory. It is the fruit of long and painstaking work through a strictly conservative effort that has preserved the original charm. Today, this project bears witness to the great courage it took to believe and then invest in a challenging and tough land where everything is complex and not always transparent. Despite the real difficulties and the adaptation effort needed, the attachment to my land is strong since I decided to continue my studies in the city where I was born while having the opportunity to “escape” and train in a more promising environment. Today I am proud of my choices and I go about my work with


Oggi sono fiera delle mie scelte e porto avanti il mio lavoro con tanto entusiasmo. A breve all’interno di Palazzo Drago aprirà, gestito da me, un salotto d’artista dove si terranno mostre ed esposizioni di opere contemporanee, dove ci sarà la possibilità di assistere a lectio di arte insieme agli artisti protagonisti. I miei studi nel campo del restauro mi hanno permesso di partecipare attivamente al recupero della dimora storica e ricordo ancora quando con tutone bianco, elmetto e scarpe da cantiere mi presentavo al mattino presto come tutte le maestranze sul posto di lavoro. E senza mai poter contare su un trattamento di favore, con mio padre pronto a ripetermi ogni giorno: ”Ricordati, sei di esempio per tutti...”. Ho lavorato sodo... Anzi abbiamo lavorato sodo poiché i nostri risultati sono il prodotto di una straordinaria sinergia familiare che per me è alla base della riuscita di ogni progetto di vita.

great enthusiasm. Soon Palazzo Drago will host, under my management, an artist’s lounge where there will be exhibitions and shows of contemporary works and where art lectures by artists will be held. My studies in the field of conservation have allowed me to actively participate in the recovery of this historical residence, and I still remember when with white overalls, helmet, and safety shoes I would go to work early in the morning like all the other workers; I have never had any special treatment. My father would repeat to me every day, “Remember that you are an example for all ...” I worked hard. We all worked hard because our results are the fruit of an extraordinary family effort and that, for me, is the cornerstone of success in any life project.

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Sì, è così. Ho 33 anni ma ho deciso di vivere a Palermo, la città dove sono nata e cresciuta. Appartengo a una generazione cui sono state aperte le porte dell’Europa e del mondo. Ma io appartengo alla mia Terra, la Sicilia. E come lei sono contraddittoria. Ho sempre pensato di poter vivere in qualunque parte del pianeta, ma non ho mai creduto di andarmene davvero, neanche per un attimo. Ho visto tanti amici e colleghi lasciare Palermo per diventare “cittadini del mondo”. Qualcuno è poi tornato, molti altri no, ma mi accorgo che tutti comunque portano la Sicilia nel cuore… sempre! Perché quest’isola è così, ti conquista fin dal primo respiro. La nostra Terra è davvero capace di farti sentire la sua mancanza...l’ho provato sulla mia pelle nei due anni in cui ho vissuto a Milano e ho sentito nostalgia della mia città, che non era soltanto nostalgia di “casa” ma molto, molto di più. Allora ho deciso. Ho lasciato il prestigioso studio legale di diritto di famiglia in cui facevo un lavoro che amavo per tornare a Palermo a occuparmi di sanità, lavorando alla Clinica Andros, l’azienda di famiglia. Ho scelto così di dare continuità alla storia di mio padre, che da medico è diventato imprenditore. Io, da giovane avvocato, provo a mettermi in gioco investendo il mio futuro in Sicilia, nonostante le tante difficoltà di fare impresa al Sud. Perché sono così follemente innamorata della mia Terra? Perché Lei è spartana ed elegante, Lei ti avvolge con il calore della sua gente e con le vestigia della sua storia plurimillenaria, Lei ti rapisce in un sospiro di infinito guardando il tramonto di Stromboli o i mosaici del Duomo di Monreale. Ma ancor di più sono innamorata della mia Palermo, sfortunata e superba, nobile e povera, bella e dannata come una vera “fimmina”, complicata da morire ma il cui fascino incanta e seduce.

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FIMMINA

Antonio

Calabrò Faceva la maestra elementare, mia nonna Lucia. Aveva insegnato a leggere e a scrivere a centinaia di bambini, a Caronia, paese normanno tra i boschi e il Tirreno che, nelle belle giornate, svela all’orizzonte le isole Eolie. Mi era capitato, anni fa, in giro per lavoro nelle contrade dei Nebrodi e delle Madonie, di incontrare anziani che, al mio cognome, si ricordavano subito di quella signora pacata e paziente. “La mia maestra si chiamava così…”. “Era mia nonna…”. E ci apriva, insieme, al sorriso. Vado a trovarla, talvolta, salendo per i tornanti che s’inerpicano sulle colline, lasciata alle spalle l’autostrada verso Messina. Il cimitero, nei giorni limpidi d’inverno, è assolato. Silenzioso, nelle ore del tardo mattino. Poche persone, nei viali stretti tra le tombe. Lei sta lì, con la sua foto d’anziana severa eppur amorosa, la data di vita e quella di morte, 1944 e scritto lì, crudele, sulla lapide, il rimpianto per non aver fatto in tempo a rivedere il suo figlio prediletto, l’ultimo, mio padre, prigioniero in Africa. Me ne resto ogni volta in silenzio, a guardare la foto e cercare di fare ancora più mia la storia di questa donna che non ho mai conosciuto ma che è comunque parte profonda di me: un affetto, un’attitudine a insegnare, la forza della terra e delle radici, la testimonianza che ancora mi arriva, a distanza così grande di tempo, su cosa significhi, qui, proprio in quest’isola, essere donna, e madre, e maestra. Ha avuto diciotto figli, mia nonna. Tanti, perduti perfino ai ricordi, così da non averne

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My grandma Lucia was an elementary school teacher. She had taught hundreds of children how to read and write in Caronia, a town built by the Normans between the wooded hills and the Tyrrhenian Sea, which on fine days unveils the Aeolian Islands on the horizon. Years ago, when I was on my way to work in the area between the Nebrodi and Madonie mountains, I met elderly people who immediately remembered that calm and patient lady as soon as they heard my last name. “That was my teacher’s name...” “She was my grandmother...” And a smile would light up our faces. I go to visit her, sometimes driving up the hairpin bends that cling to the hills, leaving behind the highway to Messina. On clear winter days, the cemetery is a sunny place. Quiet, in the late hours of the morning. Few people in the narrow lanes between the graves. She is there, with her picture of a strict yet loving elderly woman, the date when she came into this world and the date when she left it, in 1944. And then there is the cruel epigraph on her tombstone, which expresses her regret for not having been able to see again her beloved lastborn son, my father, who was a prisoner of war in Africa. I stand there in silence every time, looking at the photo and trying to make the story of this woman I never met but who is still a deep part of me my own: an affection, a dedication to teaching, the strength of the land and roots, the real-life testimonies that still reach me, after so many years, on what it means, here, right on this island, to be a woman, a mother, and a teacher. My grandmother had eighteen children. Many of them, lost even to memory, because not

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mai tramandato neppure il nome, certamente morti bambini. E pochi, invece, affidati agli affetti familiari, Emilio e Alfredo uccisi nella Grande Guerra, Sara elegante e malinconica fiera del suo grande cappello, Graziella con la frangetta allegra a rendere un po’ disinvolta l’aria compunta, in piedi accanto alla madre in posa, nella consapevolezza di sé. E mio nonno Sebastiano, don Jano, baffi grandi e aria scanzonata, mai fatto nulla nella vita lunga e leggera se non andare a caccia e rallegrare le serate del circolo in paese, raccontando avventure. Conservo le loro foto nella scatola in cui le teneva già mio padre. E talvolta le tiro fuori con cura e le riguardo, con la lentezza adatta a ricordare le appartenenze. Ecco, nonna Lucia. Era lei, quella che lavorava. Governava la casa. Stava dietro ai figli. E ne portava addosso tutte le speranze e le fatiche, la crescita e la morte. Un’esistenza difficile, in certi anni drammatica, sino ad affievolirne il sorriso e smorzarne la vitalità. Per fortuna, c’erano pur sempre i bambini di scuola, cui fare imparare l’essenziale per diventare adulti sapendo più o meno usare lettere e numeri.

Donne che insegnano parole e dignità. E attraversano la vita, senza darsi per vinte. A dispetto di tutto. Sono storie così, quelle di tante donne in Sicilia. Mai una strada facile, una linea retta. Un arabesco, semmai. Tracciato nel dolore. E’ un matriarcato, la Sicilia, sosteneva anche Leonardo Sciascia. Femminile, il potere vero, al di là dell’apparenza del dominio maschile. Forse. E se mai fosse stato davvero così, il suo prezzo sarebbe stato altissimo, sino allo strazio. La memoria, che del potere è componente essenziale, è custodita dalla madre mediterranea: il passaggio di coscienza e ricordi, generazione dopo generazione, sta nelle sue parole e nell’abilità a intrecciare fatti e fantasie. E così la storia familiare trascolora nei racconti della sera, davanti a un camino o a un modesto braciere che spande l’odore delle

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even their names have been handed down. They certainly died as children. And few, instead, entrusted to the family’s affectionate memories, such as Emilio and Alfredo who died in the Great War, Sara elegant and melancholically proud of her big hat, Graziella with the happy fringe to brighten up her contrite expression, as she poses self-aware next to her mother. And my grandfather Sebastiano, Don Jano, a big mustache and an aura of light-heartedness, had never done anything in his long and carefree life except for going hunting and enlivening the evenings of the town’s club, telling tales of adventures. I keep their pictures in the box where my father used to keep them. And sometimes I take them out with care and respect, slowly to help remember who they are. Here, grandma Lucia. She was the one who worked. She ran the house. She took care of the children. And she carried all hopes and the burden of labor, growth, and death. It was a difficult life, dramatic some years, to the point of almost dulling her smile and dampening her vitality. Luckily, there were the schoolchildren to learn the essentials they needed to become adults knowing more or less how to use the alphabet and numbers. Women taught words and dignity. And they went through life, without ever giving up. Despite everything. The stories of so many women in Sicily are like these. Never an easy road, a straight line. Rather an arabesque. Traced out in pain. Even Leonardo Sciascia believed that Sicily was a matriarchy. True power is female, beyond the appearance of male supremacy. Perhaps. And if this had ever been the case, its price would have been very high, to the point of agony. Memory, which is an essential element of power, is cherished by Mediterranean mothers: the passage of consciousness and memories, one generation after the other, lies in their words and the ability to weave together facts and fantasies. And so the family history relives in the evening tales, in front of a fireplace or a modest brazier that spreads the smell of orange and tangerine peels cast among the ashes, in the courtyards under the bright skies of spring and summer, in the farmyards of peasant dwellings where, at sunset, beans, fava beans, and peas grow and those gathered around remember, out loud, that time... and that other time ... and that year when... Sicily is an infinite tale steeped in experience and imagination. Sicilian literature historically boasts mainly male writers, except for few exceptions—Dacia

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bucce di arance e mandarini buttate tra la cenere, nei cortili sotto i cieli luminosi di primavera e d’estate, nelle aie delle case contadine in cui, al tramonto, si sgranano fagioli, fave e piselli e si ricorda, ad alta voce, di quando… e di quell’altra volta… e di quell’anno in cui… La Sicilia è un infinito racconto denso d’esperienza e immaginazione. La nostra letteratura ha storicamente firme quasi sempre maschili, tranne rare accezioni (Dacia Maraini e Goliarda Sapienza, Maria Messina, Laura Di Falco e Teresa Carpinteri, Livia De Stefani, Maria Occhipinti, Giuliana Saladino e Luisa Adorno). Ma c’è comunque fortissima, in chi scrive, un’impronta delle tante storie narrate dalle madri e dalle nonne, dalle sorelle adulte e dalle vecchie zie. Una letteratura densa di corpose sensibilità femminili, anche se filtrate e trasformate e, perché no? talvolta falsate dalla lettura degli uomini (e impauriti, anche, nel complesso fallace del “Bell’Antonio”, colto con efficacia dalla vista lunga e sarcastica di Vitaliano Brancati). Le stagioni che cambiano e le nuove sensibilità e le più nette consapevolezze di sé fanno giustizia e costruiscono spazi per le pagine di Beatrice Monroy e Silvana La Spina, Simonetta Agnello Hornby e Stefania Auci, Giuseppina Torregrossa e Silvana Grasso, Simona Lo Iacono e Cristina Cassar Scalia, per fare solo pochi nomi tra tanti, sino all’attualità. Nel tempo, ci si riveleranno, certo, altre scritture, altri nomi. Qui, la memoria di questa notte di pensieri e scrittura mi regala il verso più denso di sensibilità femminile che la poesia siciliana abbia prodotto: “Pure il rovo ebbe la sua piegatura di dolcezza/ anche il pruno il suo candore”. E’ di Lucio Piccolo. Prezioso. Da imparare a rileggere. In una lungimirante poetica morale del “nonostante”. Una donna. E un uomo. Paterno è il nome che continua la famiglia. Materna, la cura per l’eredità degli affetti e dei dolori (talvolta, dei rancori) che d’una famiglia tradizionalmente costituiscono l’ordito e la trama. Paterno, l’orgoglio. Materno, l’amore. Almeno, così tradizione vuole. Anche se, poi, nelle storie minute d’ognuno di noi, d’un padre ci sovviene pure un’inaspettata fragilità, o un gesto e uno sguardo amoroso che ancora ci manca. E d’una madre una lezione di comportamento e di stile d’estremo rigore.

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Maraini and Goliarda Sapienza, Maria Messina, Laura Di Falco and Teresa Carpinteri, Livia De Stefani, Maria Occhipinti, Giuliana Saladino and Luisa Adorno. But there is still a very strong imprint, in male writers, of the many stories told by mothers and grandmothers, adult sisters, and old aunts. It is a literature rich in full-bodied feminine sensitivity, even if filtered and transformed and, why not, at times distorted by the reading of men (and frightened, too, in the complex fallacy of the “Bell’Antonio”, the local Beau Brummel, shrewdly captured by Vitaliano Brancati’s farsighted and sarcastic vision). The changing seasons, the new sensitivity and the clearer self-awareness do justice and build spaces for the pages written by Beatrice Monroy and Silvana La Spina, Simonetta Agnello Hornby and Stefania Auci, Giuseppina Torregrossa and Silvana Grasso, Simona Lo Iacono and Cristina Cassar Scalia, just to mention a few to reach the present day. Over time, there will, of course, be other pages and other names. Here, the memory of this night of thoughts and writing brings to my mind the most sensitive feminine verse that Sicilian poetry has ever produced: “Even the bramble curved under sweetness/even the plum under its candor.” It is by Lucio Piccolo. Precious. To be learnt and reread. In a far-sighted moral poetics of “defiance”. A woman. A man. A family’s name is taken from the father’s side, while the care for the legacy of affection and pain (at times, even resentments) that traditionally make up a family’s warp and weft is maternal. Fatherly pride. Maternal love. At least that’s what it is supposed to be like by tradition. Even though in the little stories of a father we also recall an unexpected moment of fragility, or a gesture and a loving look that we still miss. And a mother who teaches how to behave with style and extreme rigor. After all, that’s what happens everywhere. In Sicily, suspended between light and mourning, the phenomena are only a little sharper and the intertwining of roots more twisted. And we, even when we are far away, find ourselves more burdened by controversial thoughts that are more melancholic, and shy away from memories. It is commonplace that Sicilian women are submissive. More stories could be told. Of proud, rebellious women. Let’s take Francesca Serio, for example.

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Succede, d’altronde, ovunque così. Nella Sicilia, sospesa tra la luce e il lutto, i fenomeni sono soltanto un po’ più taglienti, l’intreccio delle radici più contorto. E noi, anche quando ne siamo lontani, ci ritroviamo più affaticati da controversi pensieri, più malinconici e schivi ai ricordi. Dicono, i luoghi comuni, delle donne siciliane sottomesse. Altre storie, possono essere raccontate. Di donne orgogliose, fiere, ribelli. Francesca Serio, per esempio. E’ l’alba del 16 maggio del 1955 quando a Sciara, un paese antico ai piedi delle colline che vanno verso le Madonie, quattro killer uccidono a colpi di lupara Salvatore Carnevale, sindacalista, socialista, protagonista delle lotte contadine per la riforma agraria. Turiddu Carnevale. Un uomo giusto. Come tanti altri sindacalisti assassinati per mano di mafia. Da seppellire in fretta. E fare sparire nel silenzio impaurito o imbarazzato dei paesi, e cancellare per sempre nella dimenticanza. Ma c’è una donna, a rompere quel silenzio, rifiutare la prigione delle lacrime e del lutto muto, rivendicare giustizia. Francesca Serio, la madre. Quel figlio Francesca, vedova giovane, se l’era cresciuto da sola, tra stenti e fatica. L’aveva fatto studiare. E gli era sempre stata vicina, quand’era tornato dalla guerra e aveva fondato in paese la sezione del Partito Socialista, quand’era andato a guidare le occupazioni dei feudi lasciati dai baroni nelle mani rapaci dei gabelloti mafiosi, quando aveva vinto una battaglia e quando ne aveva persa un’altra, arrestato dai carabinieri per le proteste popolari. E adesso che era lì, morto, cunzato tra i ceri e i fiori in una povera camera da letto, poteva mai abbandonarlo, chiudendosi nella rassegnazione? Aveva denunciato i killer, Francesca Serio. I mandanti. I complici. Quelli che sapevano, tacevano, stravolgevano le indagini. Aveva parlato. Aveva trovato l’ascolto dei giornalisti de “L’Ora” e il conforto d’un grande scrittore come Carlo Levi nelle pagine di “Le parole sono pietre” e d’un poeta come Ignazio Buttitta, nel bellissimo “Lamento per la morte di Turiddu Carnevale”, poema civile. E soprattutto l’assistenza d’un avvocato appassionato, Sandro Pertini e d’un giovane penalista che sarebbe diventato, nel tempo, difensore di cronisti coraggiosi e poveri cristi finiti ingiustamente nei guai, Nino Sorgi. E li aveva portati in tribunale, quei mafiosi accusati d’assassinio, stando lì, intrepida e severa, in aula, fino alla loro condanna. “Me l’hanno ucciso di nuovo, mio figlio”, aveva gridato, a occhi asciutti, quando la Corte d’Appello e la Cassazione avevano ribaltato la sentenza di condanna: “Giustizia non è sta-

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It is the dawn of May 16, 1955 when in Sciara, an ancient village at the foot of the hills leading towards the Madonie mountains, four killers murder Salvatore Carnevale, a trade unionist, socialist, and leader of the struggle for agrarian reform. Turiddu Carnevale. A righteous man. Like so many other trade unionists murdered by the Mafia, he had to be sent to the graveyard quickly. To make them disappear in the scared or embarrassed silence of their towns, and erase them forever in oblivion. But there was a woman to break that silence, to reject the prison of tears and silent mourning, claiming justice. Francesca Serio, his mother. Francesca, a young widow, had raised that son on her own, among hardships and hard work. She had made him study. And she had always been close to him, when he returned from the war and founded the town’s local branch of the Socialist Party, when he went to lead the occupation of the lands abandoned by the local barons and now left to the rapacious hands of the Mafia’s thugs, when he won one battle and when he lost another, arrested by the Carabinieri for popular protests. And now that he was there, dead, dressed up between candles and flowers in a poor bedroom, how could she ever abandon him, shutting herself in resignation? She reported the killers. That’s what Francesca Serio did. The people who ordered the murder. The accomplices. Those who knew, those who kept quiet, and those who turned the investigation upside down. She talked. She found the journalists of the L’Ora daily newspaper who listened to her and the comfort of a great writer like Carlo Levi in the pages of Words Are Stones and of a poet like Ignazio Buttitta, in the beautiful civic poem Lamento per la morte di Turiddu Carnevale - Lament for the Death of Turiddu Carnevale. And above all the help of a passionate lawyer, Sandro Pertini, and a young criminal lawyer, Nino Sorgi, who would become, over time, the defender of courageous reporters and poor devils who wrongly ended up in trouble. And she brought them to court, those mobsters accused of murder, standing there, intrepid and austere, in the courtroom, until they were convicted. “They killed my son again,” she cried, with dry eyes, when the Court of Appeals and the Supreme Court overturned their convictions: “Justice has not been done.” And in the bitterness and pain of impotence, she never gave up. Saying, telling, and making that respected and beloved son live in popular memory. Talking about him again with reporters, writers and movie directors (A Man For Burning by Valentino Orsini and the brothers Paolo and Vittorio Taviani, with a young, very intense Gian Maria Volontè playing Turiddu). And testifying that you never really die, as long as there are words and memory. Old age brought

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ta fatta”. E nell’amarezza e nel dolore dell’impotenza, non s’era comunque mai rassegnata. Dire, raccontare, fare vivere, nella memoria popolare, quel figlio rispettato e amato. Parlarne ancora ai giornalisti e agli scrittori, ai registi (“Un uomo da bruciare” di Valentino Orsini e dei fratelli Paolo e Vittorio Taviani, con un giovane, intensissimo Gian Maria Volontè a interpretare Turiddu). E testimoniare che mai si muore davvero, finché ci sono parole e memoria. La vecchiaia le aveva riservato una lunga solitudine. Sino al luglio ’92. Aveva 89 anni. Quante altre madri, come Francesca Serio? Poche. Come Felicia Impastato, la madre di Peppino, anni e anni passati a dare battaglia contro i mafiosi di Cinisi del boss Tano Badalamenti, gli assassini del figlio. Finiti, loro sì, a pagare in galera. Tante altre, invece, hanno taciuto, inghiottito le lacrime, abbassato gli occhi e indossato il lutto senza parole. Il dolore della morte. Il silenzio impotente. Lo strazio della giustizia mancata. Donne che subiscono il nero. Altre che scelgono il bianco. Come quelle che a Palermo, nel drammatico 1992, hanno guidato la rivolta dei lenzuoli, appesi ai balconi e sventolati per strada, per gridare, con il candore e il colore simbolo dell’innocenza e della felicità, la voglia crescente di riscatto, dopo le stragi di Falcone e Borsellino, dopo la troppo lunga stagione della guerra di mafia. Una fotografa sempre lì, a testimoniare e a organizzare e a raccontare, con un destino nel nome, Letizia Battaglia. Le sue immagini, nel tempo, sanno ancora pungere. Immagini di donne addolorate. E di ragazze che prendono in mano la vita e non la cedono. Donne vittime. E donne liberatrici. Donne che liberano innanzitutto se stesse dall’umiliazione della violenza e dal ricatto della vergogna. Ricordarsene, di Franca Viola. Era una ragazza, Franca, 17 anni appena, quando, all’indomani del Natale del 1965, ad Alcamo, era stata rapita dal figlio d’una famiglia mafiosa, Filippo Melodia, furibondo per essere stato respinto. Era stata rinchiusa in un casolare e stuprata (sedotta, scrissero pudichi i giornali dell’epoca). Prigioniera, ridotta al silenzio, perché, con la violenza, accettasse la servitù. Alla vigilia di capodanno, i Melodia fanno sapere che Filippo è pronto alle “nozze riparatrici”. Ma Franca e i suoi familiari non si piegano. Denunciano il rapitore e i suoi complici, li fanno arrestare, vanno a testimoniare al processo anche se quasi tutto il paese è

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her a long solitude. Until July 1992. She was 89 years old. How many other mothers like Francesca Serio? Few. Like Felicia Impastato, Peppino’s mother, years and years spent fighting against the mobsters of Cinisi and the Mafia boss Tano Badalamenti, her son’s murderers. They instead ended up paying in jail. Many others, however, have kept quiet, swallowed their tears, lowered their eyes and mourned without saying a word. The pain of death. A helpless silence. The torment of justice never done. Women forced to wear black. Others who choose white. Like the ones who in Palermo, in that dramatic 1992, led the revolt of the bedsheets, hung from the balconies and waved in the streets, to shout out, with their whiteness to symbolize innocence and happiness, the growing desire for redemption, after the murders of the judges Falcone and Borsellino, after the never-ending season of the Mafia wars. A photographer was always there, to bear witness, to organize and to tell, with her fate written in her name, Letizia Battaglia, meaning battle. Her photos, across the years, still sting. Photos of grieving women. And girls who take

charge of their lives without ever giving up. Women who are victims. And women who are liberators. Women who free themselves above all from the humiliation of violence and the shackles of shame. Remember Franca Viola. Franca was just 17 years old, when the day after Christmas 1965, in Alcamo, she was kidnapped by the son of a Mafia boss, Filippo Melodia, furious because he had been rejected. She was locked up in a farmhouse and raped (‘seduced’, as the newspapers of the time wrote modestly). A prisoner, forced into silence, so that, with violence, she would accept slavery. On New Year’s Eve, the Melodia family communicated that Filippo was ready to ‘mend’ the situation by marrying her. But Franca and her family did not yield. They reported the

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contro di loro. E ne ottengono la condanna: undici anni di carcere. Diventa un simbolo, Franca. Di dignità e libertà. Di coraggio (nel ‘68 sposa un ex compagno di scuola e resta a vivere ad Alcamo). E di fierezza. La violenza l’ha ferita ma non ridotta in ginocchio. E quelle strade e quelle piazze di paese, dov’era additata come “la svergognata” sono lo spazio della sua nuova vita. Un’epifania di altre vite rivendicate, di altre libertà conquistate. La Sicilia è una donna forte. Le “fimminote” di Stefano D’Arrigo. E i personaggi femminili di Vittorini, da “Le donne di Messina” a quelle in viaggio per “Le città del mondo”. Le sante orgogliose dei miti sacri popolari, a cominciare da Rosalia, Agata, Lucia. E “la madonna delle milizie” armata, a cavallo, nella chiesa madre di Scicli, portata in processione nella festa di maggio. Le contadine che in prima fila, davanti ai loro uomini, andavano a occupare i feudi, sventolando bandiere e sfidando il rischio dei fucili dei carabinieri e dei campieri mafiosi. E le operaie delle fabbriche tessili che, negli anni Settanta, scendevano in sciopero per il loro posto di lavoro e un dignitoso salario. La storia siciliana, declinata al femminile, è una storia di riscatto. Storia di parole fiere, dunque. Lette, scritte, imparate a memoria, tramandate. Ricordo mia madre e i suoi libri sul tavolo del ricamo, la sera, nei momenti di riposo. Aveva imparato a leggere il francese, autodidatta, dopo che il nonno aveva deciso di non mandarla più a scuola. E proprio quei romanzi e quelle poesie, fin da ragazza, erano state la sua piccola protesta familiare, la sua dolcezza di libertà. E, nel tempo, la felicità di entrare, attraverso le pagine, dentro altre vite e altri mondi. Libro, d’altronde, si declina bene al femminile, in Sicilia. Storie di libraie che hanno nutrito di idee e buona letteratura un paio di generazioni di ragazzi curiosi, Luisa Ciuni, nella bella, affollata libreria di piazza Massimo. E storie di editrici originali, appassionate, indomite. A Elvira Sellerio e al marito Enzo, Palermo ha giustamente intitolato una strada. Anche impresa, è parola femminile. Come industria. E fabbrica. Storie di persone intraprendenti, pure qui. Di donne che hanno preso in mano le aziende dei padri, mia moglie, tra loro. E, nonostante tutto, le hanno fatte vivere e crescere, dal vino al legno, dall’agricoltura al turismo, dal commercio alla sanità. Le difficoltà temprano l’anima dell’imprenditrice, rafforzano l’impegno, stimolano la fantasia. E se è vero che le storie d’impresa in

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kidnapper and his accomplices, they had them arrested, they went on to testify at the trial despite the fact almost the entire town was against them. And they got a conviction: eleven years in prison. Franca became a symbol of dignity and freedom, of courage (in 1968 she married a former classmate and stayed in Alcamo). And of pride. The violence hurt her but did not bring her to her knees. And those town streets and squares where she was dubbed “shameless” are the space for her new life. An epiphany of other claimed lives, of other conquered freedoms. Sicily is a strong woman. Stefano D’Arrigo’s “fimminote.” And Vittorini’s female characters, from “The Women of Messina” to those traveling in “The Cities of the World.” The proud saints of popular religious myths, starting with Rosalia, Agatha, and Lucia. And the armed Madonna of the “militias,” on horseback, in the parish church of Scicli, carried in procession on the occasion of her feast in May. The peasant women who, in the front row, in front of their men, went to occupy the farmlands, waving flags and defying the rifles of the Carabinieri and the Mafia. And the women working in the textile factories who, in the seventies, went on strike for their jobs and a decent salary. Sicilian history made by women is a history of redemption. A history made of proud words. Read, written, learned by heart, and handed down. I remember my mother and her books on the embroidery table, at night, during her moments of rest. She had learned to read French by herself, after her grandfather had decided not to send her to school anymore. And those novels and poems, since she was a girl, had been her little domestic rebellion, her taste of sweet freedom. And, in time, the happiness of immersing herself into other lives and other worlds through those pages. On the other hand, Sicilian women have a special relationship with books. Stories of booksellers, like Luisa Ciuni, who have nourished a few of generations of curious young people with ideas and fine literature in the beautiful, crowded bookshop in Massimo Square. And stories of original, passionate, and indomitable publishers. Palermo has rightly named a street after Elvira Sellerio and her husband Enzo. Business too, in Italian, is a feminine word. Like industry. And factory. Here too stories of enterprising people. Of women who took over the businesses of their fathers, and my wife, among them. And, in spite of everything, they made them survive and grow, from wine to wood, from agriculture to tourism, from trade to health care. Difficulties temper a female

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Sicilia sono avventure di minoranza, è altrettanto vero che connotano con più forza il tempo, fanno sperare con più nettezza un migliore futuro. Anche le madri dei re sono state donne forti, capace di orientare il destino. Come Adelasia, arrivata dal Piemonte in Sicilia nel 1087, per sposare il Gran Conte normanno Ruggero I, signore guerriero di un’isola strappata agli arabi. Rimase vedova, quattordici anni dopo e regnò con sapienza, allevando un ragazzo che poi avrebbe costruito, con caratteri originali, l’inizio d’una lunga storia di Sicilia e d’Italia: Ruggero. Ruggero II, per ordine di casato. Ruggero I, come re normanno d’Italia, sovrano di Sicilia, l’uomo che aprì una delle più intense stagioni di splendore a Palermo: il cuore normanno, l’intelligenza dell’ascolto degli arabi, dei greci, degli ebrei e dei siciliani su cui costruire un governo magnifico e una corte sofisticata. La forza del dominio, la sapienza della legge e la creatività dell’arte. Proprio sotto il suo sigillo regale, s’incontrano, dialoganti, le grandi culture del Mediterraneo. L’intelligenza della madre passa nella conoscenza e nella qualità del potere del figlio. Amava la Sicilia, Adelasia. E la scrittura: sotto la sua reggenza fu redatto il documento di carta più antico d’Europa, il “Mandato” che porta il suo nome, scritto in arabo e in greco, per regolare questioni di terre tra un monastero e un comune. Un atto amministrativo ordinario, poco solenne, tanto da non meritare la preziosa pergamena. Ma, da allora, per gli storici, un atto di grande valore: per la testimonianza originale dell’uso della carta, appunto. La carta, oggetto industriale e popolare. La carta delle leggi. La carta dei libri. La carta degli accordi. E la carta dei sentimenti trasformati in pagine di letteratura, in poesia. La tomba di Adelasia sta nella cattedrale di Patti, il paese in cui sono nato, davanti al mare che guarda verso le isole Eolie. E qui il cerchio del racconto si chiude. L’orizzonte è azzurro, nelle belle giornate in cui i ricordi aiutano ad accennare un sorriso.

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entrepreneur’s soul, strengthening her commitment and stimulating her imagination. And while it is true that business stories in Sicily are minority adventures, it is equally true that they characterize time with even greater strength, and they make the hope for a better future even brighter. Even the mothers of kings were strong women, capable of setting the course of destiny. Like Adelasia, who arrived in Sicily from Piedmont in 1087 to marry the Norman Grand Count Roger I, the warrior lord of an island won over from the Arabs. She was widowed, fourteen years later, and reigned with wisdom, raising a boy who would later lay the foundations, with unique and original traits, for the long history of Sicily and Italy: Roger. Roger II in his family. Roger I, as Norman king of Italy, sovereign of Sicily, the man who ushered in one of the most intense seasons of splendor in Palermo: the Norman heart, the intelligence of listening to Arabs, Greeks, Jews, and Sicilians on whom to build a magnificent government and a refined court. The power of domination, the wisdom of the law, and the creativity of art. Under his regal seal, the great cultures of the Mediterranean met in dialogue. His mother’s intelligence was handed over in the knowledge and quality of her son’s rule. Adelasia loved Sicily. And writing: under her regency, Europe’s oldest paper document, the “Mandate,” was written. It bears her name, written in Arabic and Greek, to settle the land dispute between a monastery and a municipality. An ordinary administrative document, not very solemn, so much so as not to deserve a fine parchment. But, since then, for historians, it is an act of great value bearing testimony to the use of paper, precisely. Paper, an industrial and popular object. The paper of laws. The paper of books. The paper of agreements. And the paper made of emotions turned into pages of literature and poetry. Adelasia’s tomb is in the cathedral in Patti, the town where I was born, in front of the sea overlooking the Aeolian Islands. And here is where the story comes full circle. The horizon is blue on beautiful days when memories help bring a smile.

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Una storia di donne consapevoli che l’avvenire sta, innanzitutto, nella memoria

A Story of Women Who Have Lived in the Awareness That the Future Lies, First and Foremost, in Memory

Per raccontare una storia siciliana al femminile non posso che richiamare le radici e le ali che mi radicano e mi fanno volare nel nome di una donna straordinaria: Eva Sapuppo Candela. Il destino costrinse mia zia a proseguire giovanissima da sola, con tenacia e lucidità, lungo le orme tracciate dal marito: un uomo di rare doti intellettuali, andato via troppo presto ma non prima di avere dato una dimensione progettuale alla pionieristica idea d’impresa paterna. Ho raccolto un’eredità morale di inestimabile valore. Posso dire che nei 28 anni di impegno lavorativo non c’è stato un solo giorno nel quale non mi sia fatta assistere dalla memoria di chi mi ha preceduto. Parlo di un’avventura che, per me, non è stata solamente un’attività imprenditoriale ma, anche e soprattutto, un progetto di vita nel quale vissuto personale e professionale risultano consustanziali. Quello che oggi è, d’altra parte, non sarebbe tale se un Ettore, adesso giovanissimo ottuagenario, aldilà dei ruoli, non avesse saputo ricaricare, sempre, le energie, prima della zia Eva e poi mie, per darci la forza lungo un cammino che procede da 112 anni . In me e nella mia attività, passato, presente e futuro sono un unicum inscindibile e prezioso, un progetto di vita. La mia esperienza non può che rendermi fiera di avere lavorato nei corridoi di un ospedale, carico di storie e di vissuti umani, intensi, condivisi con centinaia di donne e uomini unici nel loro sapere e volere essere parte di un progetto. Oggi la Clinica Candela è una delle tessere della componente di diritto privato del SSN, il Servizio sanitario nazionale. Traguardo che l’Associazione italiana ospedalità privata ha perseguito con grande determinazione. L’avere avuto il privilegio di essere stata eletta la prima donna e prima siciliana Presidente nazionale di Aiop è condizione che mi rende fiera, come imprenditore, come siciliana e come donna. Una delle motivazioni per le quali il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, mi ha conferito l’onorificenza di Cavaliere del lavoro è stata l’impegno nel migliorare l’accessibilità alle cure per i cittadini nell’ambito del SSN. Vivere e lavorare oggi a Palermo e in Sicilia è per me motivo di vanto e di responsabilità. Palermo è sempre più decisa a liberarsi dagli stereotipi del passato, culla di civiltà e di accoglienza ma, altresì, grembo complesso, nel quale far nascere e sviluppare idee. Mi piace a questo punto tornare alla zia Eva. Se, a dispetto del-

To tell a Sicilian story about women, I can only recall the roots that bind me and the wings that make me fly in the name of an extraordinary woman: Eva Sapuppo Candela. Fate forced my aunt to continue all alone at a very young age, with tenacity and lucidity, following in her husband’s footsteps: he was a man of rare intellectual talents, who passed away too early, but not before having shaped his father’s pioneering business idea. I have taken up an invaluable moral legacy. In my 28 years of work, I can only say that there has not been a single day without being guided by the memory of those who came before me. I’m talking about an adventure that, for me, was not only a business activity but also, and above all, a life project in which personal and professional experience are one and the same thing. What exists today, on the other hand, would not have been possible if Hector, now a very young eighty-year-old man, regardless of the roles, had not been able to always give my aunt Eva, first, and now me, the energy and strength needed along a path spanning 112 years. In me and in my business, past, present and future are an inseparable and precious unicum, a project of life. My experience can only make me proud to have worked in the hallways of a hospital, full of intense stories and human experiences, shared with hundreds of men and women unique in their knowledge, and who wanted to be part of a project. Today, the Candela Clinic is one of the pieces of the private branch of the Italian National Health System. It is a goal that the Italian Association of Private Hospitals (AIOP) has pursued with great determination. Having had the privilege of being elected the first woman and the first Sicilian National President of AIOP makes me proud, as an entrepreneur, as a Sicilian, and as a woman. One of the reasons the President of the Italian Republic, Sergio Mattarella, awarded me the title of Cavaliere del Lavoro (an honorary title for businesspeople) was my commitment to improving the accessibility of citizens to health care within the Italian National Health System. Living and working today in Palermo and Sicily is a source of pride and responsibility for me. Palermo is increasingly determined to free itself from the stereotypes of the past, a cradle of civilization, and a place welcome to all, but also, a complex womb, in which to give birth to and develop ideas. Let me go back to my Aunt Eva now.


la sua immagine di donna fragile, non fosse stata determinata e tenace, oggi non potremmo farne un modello di parità concreta, che assume un valore particolare in un’Isola il cui nome ha un carattere, intensamente, femminile. A chi verrà dopo di me spero di potere lasciare la preziosa memoria di una storia.

If, despite her appearance of a fragile woman, she had not been determined and perseverant, today we women would not be a tangible model of equality, which is all the more important in an island whose name has an intensely feminine character. I hope I can leave the precious memory of a story to those who will come after me.

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Fin da piccola ho sempre avvertito l’esigenza di allontanarmi, di scoprire nuovi mondi, culture diverse e lontane dalla mia. Ad un tratto, però, ti rendi conto che questa sete costante di andare oltre può essere destabilizzante e hai bisogno di ritrovarti, di un caposaldo cui aggrapparti.. Credo proprio che sia il profondo senso di appartenenza, l’avere radici radicate in una terra unica, generosa e fiera, ciò che non mi fa perdere mai di vista, è la mia barra dritta.. la mia terra... la mia Sicilia.

Since I was a little girl, I have always felt the need to move, and to discover new worlds, different cultures that are far from mine. But all of a sudden, you realize that this constant longing to go further can be destabilizing and you need to find yourself, to find something to hold on to. I really believe that it is the deep sense of belonging, having roots in a unique, generous and proud land that always helps me keep the helm set straight on my route... My land... My Sicily.

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Pensare di racchiudere l’anima della Sicilia in poche righe è impossibile. L’isulidda, come la chiamo io, è un’entità così composita da sottrarsi a qualsiasi definizione. Basti pensare alla palette dei suoi colori: dal mare blu delle Egadi al nero assoluto di Stromboli, dal tufo ocra dei templi greci di Agrigento alle Madonie, dal bianco accecante di Siracusa fino al giallo grano del Belice, la Sicilia è un’entità imprevedibile. Eppure, in questa estrema varietà di paesaggi, che si riflette nei cambiamenti fatti o subiti dai suoi abitanti, e nelle storie che possiamo leggere nelle pietre o nel mare, c’è una cosa che mi ha sempre colpito e che, forse, è la chiave di volta per capire almeno in parte cosa significa essere siciliani. La Sicilia ha un rapporto del tutto peculiare con la morte. Lo si vede, per esempio, nel modo in cui, nei secoli, è stato

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The idea of capturing the soul of Sicily in a few lines is impossible. The isulidda—the little island—, as I call it, is an entity so composite as to escape any definition. Just think of the palette of its colors: from the blue sea of the Aegadian Islands to the total black of Stromboli, from the ochre limestone of the Greek temples in Agrigento to the Madonie mountains, from the blinding white of Syracuse to the golden wheat of the Belice Valley, Sicily is an unpredictable entity. Yet in this extreme variety of landscapes, which is reflected in the changes made or suffered by its inhabitants, and in the stories that we can read in the stones or in the sea, there is one thing that has always struck me and that, perhaps, is the key to understanding at least in part what it means to be Sicilian. Sicily has a very special relationship with death. You can see it, for example, in the way in which Mount Etna has been described


descritto l’Etna. Gli antichi greci vi avevano collocato l’ingresso dell’Oltretomba, eleggendolo quindi a zona di passaggio tra i viventi e le profondità della terra. Nel Medioevo, poi, il vulcano era diventato l’ingresso del Purgatorio, cioè del luogo più terreno dell’Aldilà, l’unico in cui i vivi potevano – in un certo senso – intervenire. Le leggende popolari sono piene di racconti sulle armicedde del Purgatorio e su fantasmi che sussurrano. Non è quindi un caso che la Commemorazione dei defunti diventi in Sicilia la “Festa dei Morti”, con dolcetti (le “ossa di morto” e la frutta martorana su tutti) e regali per i bambini portati da coloro che sono “passati dall’altra parte”. Certo, sono riti e consuetudini apotropaiche, ma sono soprattutto un modo per rafforzare un legame, riportare accanto a sé chi non c’è più, conservare la storia della famiglia e

over the centuries. The ancient Greeks believed that it was the entrance to the Underworld, making it an area of transition between the living and the depths of the earth. In the Middle Ages, the volcano became the entrance to Purgatory, that is, the most earthly place in the afterlife, the only place where the living could, in a sense, intervene. Folk legends are full of tales about the armicedde—the souls—of Purgatory and whispering ghosts. So, it is no coincidence that All Souls’ Day has become the “Feast of the Dead” in Sicily, with sweets (the “bones of the dead” and especially frutta martorana made of marzipan) and gifts for children brought by those who have “passed on the other side.” Of course, they are apotropaic rituals and customs, but they are above all a way of strengthening a bond, bringing back those who are no longer with us, preserving the history of a family and keeping its memory alive. No invader -

Stefania

mantenere in vita il ricordo. Nessun invasore – e sono stati tanti – è riuscito a sradicare questa visione, in bilico tra religiosità e superstizione, né a strappare il filo che lega l’Oltre al “qui e ora”. E poi ci sono i cimiteri. Guy de Maupassant ha detto: “I cimiteri mi piacciono, perché sono prodigiosamente abitati”. I siciliani non potrebbero essere più d’accordo. Anche se ormai non si fanno più pranzi tra le tombe, come succedeva nell’Ottocento, andare al cimitero, per un siciliano, significa andare a trovare l’altra famiglia, quella che non c’è più nella carne, ma che esiste ancora in spirito. Il filo si rafforza di nuovo, con un atteggiamento in perfetto equilibrio tra epos e leggerezza, tra rimpianto e allegria. La morte non è mai fine a se stessa, non è mai “soltanto” fonte di sofferenza: è, prima di tutto, una celebrazione della vita e del modo in cui essa è stata vissuta. Perché in Sicilia vita e morte si confondono, sono sorelle vere, non sorellastre. Perché, come dice una mia saggia vicina di casa: “Non c’è funerale senza risata, non c’è matrimonio senza pianto”.

and there have been many of them - has succeeded in eradicating this vision, poised between religiosity and superstition, nor in tearing the thread that binds the Beyond to the “here and now.” And then there are the cemeteries. Guy de Maupassant once said: “I like cemeteries because they’re marvelously inhabited.” And Sicilians couldn’t agree more. Even if people no longer eat meals between the tombs, as was the case in the nineteenth century, going to the cemetery, for a Sicilian, means going to visit the other family, the one that is no longer in flesh and bone, but still exists in spirit. The thread is strengthened again, with an attitude that is in perfect balance between epos and lightness, between regret and joy. Death is never an end in itself, it is never “only” a source of suffering: it is, first of all, a celebration of life and the way in which it was lived. Because in Sicily, life and death are blended, they are sisters, not stepsisters. Because, as a wise neighbor of mine says, “There’s no funeral without laughter, there’s no wedding without tears.”

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La mia storia in cucina comincia per caso e per gioco. Forse con quel pizzico di incoscienza che, quando sei giovane, ti fa affrontare qualsiasi cosa. Sicuramente non avevo idea di quanto mi sarei innamorata di questo lavoro anche se c’è voluta tanta forza e tanta determinazione. E comunque, niente di tutto ciò sarebbe successo se non avessi incontrato l’uomo che poi ho sposato e che mi ha fatto scoprire questo affascinante mondo. Così ho ripreso vecchie ricette, ho riportato alla memoria i piatti dell’infanzia. Ho preso spunto dal ricordo del profumo di cose buone che invadeva la mia casa nei giorni di festa. Ho capito che dovevo considerare la tradizione come linfa vitale per arrivare a una cucina innovativa da identificare con i simboli del mio Territorio. Mi sono fatta aiutare dalla mia terra dolcissima e terribile, che ti marchia con segni indelebili, dai suoi ingredienti unici, dai suoi profumi e dai suoi contrasti. Volevo che chi venisse a trovarci potesse fare un viaggio esperenzia-

My cooking story begins by accident, for fun. Maybe with that touch of recklessness that, when you’re young, makes you take on everything. I certainly had no idea how much I would fall in love with this job even though it took a lot of strength and determination. And anyway, none of this would have happened if I hadn’t met the man I married, and who led me to discover this fascinating world. So I went back to old recipes, and I remembered the dishes of my childhood. I took inspiration from the memory of the scent of good things that filled my house on holidays. I understood that I had to consider tradition as the lifeblood to develop an innovative cuisine to be identified with the symbols of my land. I let myself be helped by my sweet yet ferocious land, which marks you with indelible signs, its unique ingredients, its scents, and its contrasts. I wanted that those who came to visit us could go on an experiential and mouth-watering journey among Sicily’s specialties.

Patrizia

le e goloso tra le eccellenze della Sicilia. Ho cercato di mettere nei miei piatti tutto il mare che dà, a chi nasce su un’isola, un’identità unica. Sono passati tantissimi anni da allora e quel piccolo locale, aperto nel 1991, è diventato uno dei ristoranti più affermati della nostra città. Abbiamo fatto tanti sacrifici, è vero, ma siamo stati ripagati con tante soddisfazioni. L’emozione più grande quando è arrivato un telegramma dalla redazione della guida Michelin con l’invito a raggiungere Milano perché avevamo conquistato la stella. Ci siamo guardati increduli e poi la felicità ha fatto il resto: ce l‘avevamo fatta, avevamo riportato la stella Michelin a Palermo dopo vent’anni. Il bello di questo lavoro è che offre la possibilità di conoscere tanta gente e, come dice Pucci Scafidi, di regalare qualche emozione.

I tried to put in my dishes all that the sea has to give in terms of identity, just as it does to those born on an island. Many years have passed since then and that small restaurant, opened in 1991, has become one of the most famous restaurants in our city. True, we have made many sacrifices, but we have been rewarded with great satisfaction. The greatest emotion was when we received a telegram from the editorial staff of the Michelin guide with an invitation to go to Milan because we had been awarded a star. We looked at each other incredulously and then happiness did the rest: we had made it, we had brought the Michelin star back to Palermo after twenty years. The most beautiful aspect of this work is that it gives you the opportunity to meet so many people and, as Pucci Scafidi says, to give emotions.

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Toglietemi tutto ma non la mia Palermo. Io vivo da oltre vent’anni a Milano. Lavoro in una città ordinata, pulita, dove i trasporti e i servizi funzionano, dove non incontri le paludi di monnezza e non respiri altra violenza se non quella dei soldi: “Lavoro, guadagno, spendo, pretendo”. Ma torno sempre nella mia Palermo perché è la città dei giardini e dei capricci barocchi, delle delizie arabe e delle meraviglie normanne. Perché è la Palermo felicissima alla quale – me lo ricorda sempre mio padre – Ibn Hamdis non aveva voluto strappare per ricordo neanche un fiore di gelsomino: “Vuote le mani ma pieni gli occhi del ricordo di lei”, si limitò a scrivere nel suo diario lo sventurato poeta costretto dai nuovi invasori a tornarsene nella sua Arabia infelice.

Take everything from me, but not Palermo. I’ve lived in Milan for over twenty years. I work in an orderly, clean city, where transport and services work, where I don’t encounter the heaps of garbage, and I don’t breathe in any violence other than that of money: “I work, I earn, I spend, I demand.” But I always return to Palermo because it is the city of gardens and baroque fancy, Arab delights and Norman wonders. Because it is the Palermo felicissima— Palermo the blissful—in which, as my father always reminds me, Ibn Hamdis had refrained from snatching a jasmine flower as a token: “My hands are empty but my eyes are full of her memory,” the unfortunate poet forced by the new conquerors to return to his unhappy Arabia

La amo perché è la Palermo de “La Sicilie Illustrée”, di quella rivista patinata, tutta scritta in francese, inventata negli anni della Belle Epoque per raccontare al mondo i fasti e le civetterie di una borghesia, come quella dei Florio, che aveva in donna Franca la sua immagine più seducente. Quella gran dama portava addosso il fuoco lucido della bellezza. Ne rimase abbagliato persino Gabriele D’Annunzio che, dopo averla incontrata, non mancò di annotare “la falcata da levriero” con la quale lei amministrava il suo passo e le sue movenze. Perché, malgrado tutto, questa città è un arpeggio di fascino ed eleganza. Toglietemi tutto ma non la mia Palermo

wrote in his diary. I love it because it is the Palermo of “La Sicilie Illustrée,” of that glossy magazine, entirely written in French, invented in the years of the Belle Epoque to tell the world about the glories and whims of the bourgeois families, like the Florios, of whom Donna Franca was the most seductive image. That great lady wore the shining fire of beauty. Even Gabriele D’Annunzio was dazzled by her and, after meeting her, he did not fail to note her “greyhound stride” as she walked and moved. Because, in spite of everything, this city is an arpeggio of charm and elegance. Take everything from me, but not Palermo.

Alessia Alessia Sottile

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FIMMINA

Felice

Cavallaro Con le sue barche allineate, fra vele ed alberi che ondeggiano leggeri, il golfo a semicerchio, sembra Marsiglia in piccolo, la Cala di Palermo. Anche meglio. Come una boccetta di profumo prezioso. Abbracciata da banchine e prati ripuliti. A cornice del Castello a Mare un tempo soffocato da un centinaio di casupole abusive, ricettacolo di refurtiva per traffici con cuore nella vicina Kalsa. Ed è questo confronto, possibile per chi ha registrato da testimone il disastro e la rinascita della città, a far capire quanto grandi siano stati i passi che hanno condotto la città al traguardo di Capitale della Cultura. Ma per avere un’idea di cos’era Palermo negli anni del boom italiano, da queste parti rarefatto o inesistente, forse bisogna partire da Vicolo Pallone. La stradina dove alla fine degli anni Sessanta mi ritrovai per caso. Un budello che dalla piazza della Kalsa con una sorta di L porta a via Lincoln, rasentando il palazzo allora appena inaugurato del Giornale di Sicilia. Luogo poi frequentato per tanti tanti anni, ogni giorno, da cronista. Passando spesso da quella L dove la vecchia casbah araba appariva come l’anfratto di un villaggio beduino popolato da bambini nudi che giocavano fra rigagnoli nerastri con i maialini di una scrofa assicurata a una corda. Si era già agli anni Settanta e il tempo sembrava cristallizzato da quelle parti a una Sicilia arcaica, animata dagli scippatori che schizzavano come frecce dalla stradina ad L, assaltando i turisti diretti all’Orto botanico, a ridosso di Villa Giulia dove il ruggito di un leone in gabbia per la felicità dei bimbi echeggiava come il lamento di una ingiustizia incastonata fra rami e cancellate, aerea sopraffazione fra tante altre vistose e concrete arroganze.

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With its boats aligned, the sails and masts swaying delicately, and the semicircular gulf, the marina in Palermo feels like a small Marseilles. Even better. Like a precious perfume bottle. Embraced by the quays and tidy lawns. Framed by the Castello a Mare, the castle by the sea, once suffocated by hundreds of houses built without permits, a repository for stolen goods from trafficking in the nearby Kalsa. And this comparison that only someone who has witnessed the decline and rebirth of the city can make helps to understand what a quantum leap the city has made to become the Capital of Culture. But to get an idea of what Palermo was like during Italy’s boom years, which were rather rarefied or non-existent around here, you need to start with Vicolo Pallone, the street where I found myself, by chance, at the end of the sixties. It is a little alley shaped like an L that runs from Piazza Kalsa to Via Lincoln, running by the building that had been just inaugurated as the headquarters of the Giornale di Sicilia newspaper. It was a place I would go to every day, for many years, as a reporter. Often passing through that L-shaped alley where the old Arab Kasbah appeared to be the recess of a Bedouin village populated by naked children playing with the piglets of a sow tied to a rope amid trickles of blackish water. It was already the seventies and time seemed to have crystallized there in a sort of archaic Sicily, populated by muggers who raced through the alley, assaulting tourists on their way to the Botanical Garden, next to Villa Giulia where the roar of a lion in a cage to entertain the children echoed like the wail of an injustice nestled between branches and fences, an airborne oppression among many other glaring and concrete shows of arrogance. It was, and at times still seems to be, a world of its own, with die-hard rules from half a century earlier. Just imagine the days when the strength of the neighborhood’s economy was

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Era e a volte sembra esserlo ancora un mondo con le sue regole, dure a morire dopo mezzo secolo. Figurarsi allora, quando la forza dell’economia di quartiere era il contrabbando di sigarette con Spadaro il boss che, arrestato, per spiegare quanto bene avesse fatto, assicurando a modo suo lavoro ai “picciotti”, ad un incredulo magistrato, a Giuseppe Ayala, tratteggiò il confronto: “Agnelli Fiat, io Marlboro”. C’è anche questo nella storia della capitale della Cultura. Radici distorte che affondano in famiglie convinte di potere governare un’intera area della città, dal fiume Oreto a quel Castello a Mare da dove partiva il controllo sull’attiguo mercato del pesce e sui traffici del porto. Come sanno in tanti, a cominciare dagli Spadaro. Come sanno gli Abbate. Altro nucleo di una vecchia guardia che continua a sfornare eredi ad un trono fortunatamente traballante grazie ad una attività investigativa più attenta. Ci fu un tempo in cui le mani sporche di contrabbando ed estorsioni s’erano impossessate anche di gioielli come l’Oratorio dei Bianchi o lo Spasimo, la chiesa a cielo aperto nei secoli trasformata in sanatorio e nel dopo guerra ridotta a discarica pubblica. Come si accorse, con le prime esperienze amministrative del sindaco Leoluca Orlando, la grande fotografa nominata assessore al Verde, Letizia Battaglia, che allora riuscì a liberare lo Spasimo da mille camion di detriti rovesciati dentro le mura cinquecentesche. Primo straordinario embrione di una rinascita che allora apparve come un seme lanciato fra le due piazze del disastro, la Kalsa e la Magione, ostili e inospitali per forestieri a rischio, soprattutto a sera, fra lampioni in frantumi per agevolare ogni traffico. Ma da qui i nuovi amministratori decisero che bisognava fare ripartire la resurrezione di Palermo, anche coinvolgendo chi entrava ed usciva dall’Ucciardone, costituendo cooperative di ex detenuti per un recupero che andasse ben oltre quello delle pietre. Sano obiettivo con accidentati risultati, si scoprirà anni dopo. Ma allora, anche grazie a quelle cooperative, si salvò lo Spasimo per essere restituito alla città e, come farmaco salvavita, al cuore malato del quartiere. Ed è il nome degli Abbate che resta legato a doppia mandata con la storia di questo rifugio dorato dei Padri Olivetani ai quali, intorno al 1506, il giureconsulto Girolamo Basilicò donò terreni e rustici per erigere chiesa e convento, devoto della “Madonna che soffre dinanzi al Cristo in croce”, pronto a coinvolgere Raffaello Sanzio per dipingere una tela dispersa in un naufragio, infine approdata al Prado di Madrid, con la nicchia dello Spasimo rimasta vuota.

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cigarette smuggling for Don Spadaro, the Mafia boss who, after he had been arrested, told the dumbfounded judge, Giuseppe Ayala, “The Agnelli are Fiat; I’m Marlboro” as a way of explaining all the good he had done by giving work to his “picciotti,” his boys. This too is a piece of the history of the Capital of Culture. Distorted roots that anchor in families who were convinced that they could govern an entire area of the city, from the Oreto River to Castello a Mare, from which they controlled the adjoining fish market and trade in the port. As many well know, starting with the Spadaros. As the Abbates know. Another cornerstone of an old guard that continues to churn out heirs to a throne the power of which is fortunately waning more and more by the day thanks to thorough investigations. There was a time when the dirty hands of smuggling and extortion had taken over even jewels like the Oratory of the Bianchi or the Spasimo, the open-sky church, which over the centuries had been a sanatorium, and later a public landfill in the post-war. As Letizia Battaglia, the great photographer, appointed Parks Councilor by Mayor Leoluca Orlando during his early years of administration, realized. She succeeded in clearing the Spasimo

of thousands of truckloads of debris emptied inside the sixteenth-century walls. It was the first extraordinary germ of a rebirth that then appeared to be like a seed that had been cast between the two squares of the disaster, the Kalsa and Magione, both hostile and inhospitable to strangers, especially in the evening under lampposts with shattered bulbs to facilitate their illegal trades. But then the new city administration decided that this would be where Palermo’s rebirth would start, also involving those who kept entering and exiting the Ucciardone, the city’s historical prison, setting up cooperatives of former prisoners for a renovation that went well beyond that of the stones. It was an honest objective, with contrasting results, as would be discovered years later. But then, thanks also to those cooperatives, the Spasimo was saved and returned to the city and, like a lifesaving drug, to the neighborhood’s sick heart.

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Assenza impossibile da notare per chi aveva contribuito a tirare fuori quei mille camion di rifiuti, scoprendo perfino un albero cresciuto dentro la navata scoperchiata dal tempo e dalle bombe della guerra. E non se ne era accorto nemmeno Filippo Abbate, alla guida dei cento ex detenuti impegnati dall’utopia della fotografa assessore. Fiero nel giorno dell’inaugurazione, vedendo arrivare nel tempio recuperato i signori eleganti della Palermo bene, dal Politeama, da viale Strasburgo, da Villa Sperlinga, tutti lì ad ammirare il gioiello ritrovato. Scrutava orgoglioso Abbate le signore estasiate quando le arie dei violini invasero le volte monumentali dell’abside e il resto della chiesa ripulita dalla sua squadra in tre mesi. E la sera dopo era tornato lì per vedere centinaia di giovani incuriositi dal tema della conversazione, con Vincenzo Consolo a parlare di letteratura siciliana maledicendo gli attacchi di Sebastiano Vassalli. Lui, Abbate, non afferrava tutto, ma era contento di vedere nella folla tanti ragazzi della Kalsa. Contaminazione salutare. Discorsi difficili, ma si cominciava a svegliare le coscienze. Sperava. E chiedeva a Letizia Battaglia consiglio su come far capire ai giovani che sbagliare significa soffrire. Col tuo esempio, replicava Letizia. Senza immaginare che tre giorni dopo lo Spasimo sarebbe diventato la camera ardente di Abbate, schiacciato dentro un furgoncino sull’autostrada di Cosenza insieme con la moglie e due figli. Si erano arrampicati fin sul tetto del municipio, avevano assediato Palazzo delle Aquile per mesi e mesi, intrufolandosi nell’ufficio del sindaco fino a strappare promesse e fiducia. Ripagate, allora. Senza assistenzialismo e pietismo incrociati. Scambiando lavoro vero con posti “produttivi”. Lo strumento scelto quello della cooperativa. Senza timore di definirla “cooperativa ex detenuti”. E ponendo sempre l’accento su quell’“ex” come fosse la pietra miliare piantata lungo la vita di chi ne sceglieva una nuova, così almeno sembrava. Ed era stato Filippo Abbate a sbracciarsi per tutti, a diventare un capopopolo, il simbolo di un riscatto possibile, a patto che qualcuno tendesse una mano. Digiuno di economia ed ignaro di welfare state, Abbate non chiedeva contributi o assistenza, ma offriva la dignità di una prestazione, di un’opera. Qualsiasi opera. Qualsiasi lavoro. E ce n’era di lavoro fra le quinte spettrali di palazzi cadenti con buchi neri al posto di balconi e finestre, come giganti accecati, piegati dagli squarci della seconda guerra mondiale. Dall’Ucciardone al lavoro. Per non tornare all’Ucciardone. E con loro Palermo provava a

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The name of the Abbates will also be inextricably tied to the history of this golden refuge of the Olivetan monks to whom, around 1506, the jurist Girolamo Basilicò donated the land and peasants to build a church and convent dedicated to Our Lady Who Suffers before Christ on the Cross, ready to hire Raphael Sanzio to paint a canvas that was lost in a shipwreck and is now on display at the Prado in Madrid, with the niche left empty at the Spasimo. It is a void that was impossible to note for those who helped dig out those thousands of truckloads of waste, discovering even a tree that had grown inside the nave, untouched by time and the bombs of war. Not even Filippo Abbate, as he managed the hundred former prisoners engaged in the utopia of the photographer councilor. He was proud on the day of the inauguration, as he watched Palermo’s elegant bigwigs flock from the Politeama, Viale Strasburgo, and Villa Sperlinga to the recovered place of worship to admire this jewel brought back to light. Abbate looked proudly at the astonished ladies when the arias played by the violins filled the monumental vaults of the apse and the rest of the Church cleaned by his team over a period of three months. And the following evening, he returned there to see hundreds of young people intrigued by the topic of the conversation with Vincenzo Consolo, who spoke of Sicilian literature, cursing attacks made by Sebastiano Vassalli. He, Abbate, didn’t understand everything, but he was glad to see so many young people from the Kalsa in the crowd. A healthy contamination. Difficult words, but consciences were starting to awaken. At least he had hoped. And he asked Letizia Battle for advice on how to make young people understand that making mistakes means suffering. By example, replied Letizia. Without imagining that three days later the Spasimo would become the funeral chamber for Abbate, who died crushed inside a van on a highway in Cosenza, together with his wife and two children. They had climbed up to the roof of the Town Hall, surrounded it for months and months, penetrated inside the mayor’s office to wrest promises and trust. And these were paid back. Without relying on welfare and charity. Exchanging real work for “productive” jobs. The chosen instrument was the cooperative. Without any fear of calling it “cooperative of former prisoners.” And always stressing the “former,” as if it were a milestone set along the life of someone who had chosen a new one. So, at least, it seemed. And it was Filippo Abbate who rolled up his sleeves for everyone, to become a leader, the symbol of a possible redemption if someone lent a hand. Abbate knew nothing of economics or the welfare state; he was not seeking money or assistance, but simply the dignity of labor,

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passare dal disastro al recupero. Ma il destino si oppose. E il capopopolo morì. Sembrava una scenografia aggiornata da Luchino Visconti. Come i pescatori di Acitrezza battuti dalla malasorte, qui tremò lo Spasimo quando i feretri arrivarono dalla Calabria. Era stata una corsa per recuperare dei pannelli che in estate nessuno vendeva, tranne una ditta oltre lo Stretto. Gli ultimi necessari lavori, subito dopo l’inaugurazione. Un’urgenza. Si offrì di andare col furgone Abbate, con moglie e figli, quasi una vacanza. Generoso e soddisfatto perché la Kalsa con lui e con i suoi “ex” appariva meno infida, anche la prima sera, al gran concerto di Giovanni Sollima. Bella gente e berline lucide fra i vicoli, senza timore di furti e vandalismi perché gli “ex” vigilavano e spiegavano che cominciava con quella risorsa la ricchezza della Kalsa. Tutti estasiati dalla melodia e dalle luci che avvolgevano l’abside interamente recuperata, maestosa, le volte rette da archi improvvisamente interrotti sulla navata col tetto a metà e le stelle accese per ricordare i disastri di una guerra lontana nella Palermo dove, però, le bombe esplodevano ancora dopo cinquant’anni. Fu il sogno frantumato di una notte di mezza estate. Il lutto pietrificò un intero quartiere. E, subito dopo la gioia dell’inaugurazione, il buio. Il ritorno di quattro bare, cento corone, cento “ex”, duemila persone in lacrime. Una drammatica scena cinematografica. Con un protagonista assoluto quando, al centro della navata, compare e incede il primogenito dei fratelli Abbate, Luigi, soprannominato “Gino ‘u Mitra” per la sua dimestichezza con le armi. In permesso dalla sua cella dell’Ucciardone. Detenuto, affranto, contratto, mormoreo. Pronto a fendere la folla procedendo come se i carabinieri che lo accompagnavano fossero paggi e le catene pendenti dai suoi polsi avvolti da mani incrociate galleggiassero, velate trecce modellate dall’andatura. I compagni della cooperativa in maglietta gialla. Lui in catene. Accanto, un figlio destinato a carriera mafiosa e carcere. Dieci, venti, cento magliette gialle, punteggiate da fasce nere all’avanbraccio. Le magliette, come una divisa. Indossate con una speranza che faceva già a cazzotti con la realtà. Mani che avevano rubato e trafficato. Ma gli “ex” erano fieri. A braccetto con le mogli. Senza nascondersi davanti alle telecamere, come accadeva quando i cameramen dei tigì curiosavano con i loro occhi elettronici dopo un delitto o un blitz. Sembrava il momento del riscatto per protagonisti di una storia finalmente senza vergogna. Aspettative e miraggi annullati, però, ogni volta in un’area dove la stessa ed altre famiglie

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of a project. Any project. Any job. And there was plenty of work to undertake among the spectral scenes of the crumbling buildings with black holes instead of balconies and windows, like blinded giants, wounded by World War II. From the Ucciardone to work. To not return to the Ucciardone. And, together with them, Palermo tried to take the road from disaster to recovery. But fate had other plans. And the leader died. It seemed like a sequel to a movie by Luchino Visconti. Like the fishermen of Acitrezza defeated by bad luck, here the Spasimo quaked when the coffins arrived from Calabria. It had been a race to retrieve some panels that no one sold in the summer, except a company across the Strait. The last necessary work, shortly after the inauguration. It was urgent. And Abbate had volunteered to go in a van, with his wife and children, almost on a sort of vacation. Generous and satisfied because the Kalsa appeared to be less treacherous to him and his workmates, even the evening before, at the great concert by Giovanni Sollima. Beautiful people and shiny sedans in the alleys, without fear of theft or vandalism because the “former prisoners” were watching and explaining that the wealth of the Kalsa started with that treasure. Everyone was captivated by the melody and the lights that bathed the entirely recovered, majestic apse, the vaults borne by arches suddenly interrupted on the nave with only half the roof, and the stars lit up to recall the disasters of a distant war in Palermo where the bombs were still bursting after fifty years. It was a crushed dream of a midsummer’s night. The mourning shocked an entire neighborhood. And darkness fell immediately after the joy of the inauguration. The return of the four coffins, hundreds of wreaths, a hundred former prisoners, and two thousand people in tears. A dramatic cinematic scene. The star of the event was the elder of the Abbate Brothers, Luigi, nicknamed “Gino ‘u Mitra” for its handiness with weapons, when he appeared and walked down the center of the nave. He had been granted special permission to leave his cell at the Ucciardone. In prison, brokenhearted, tense, almost like a marble statue. He cut through the crowd, proceeding as if the Carabinieri guarding him were his pages and the chains dangling from his wrists, wrapped by his crossed hands, almost seemed to float, like shrouded braids modeled by his pace. The members of the cooperative wore yellow t-shirts. He was in chains. Right beside him stood a son bound for a career in the Mafia and prison. Ten, twenty, a hundred yellow shirts, marked with black bands on the men’s forearms. Those shirts were a sort of uniform. They

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torneranno a fare parlare di loro, irredimibili. Fino al sequestro del chiosco in piazza, alla Kalsa. Con l’accusa di non vendere solo birra, base di commerci border line, prova di una presenza che Palermo mostra a volte con le sue paradossali contraddizioni. Come avvenne la prima sera in cui il Castello a Mare, liberato da abusivi e malavitosi, fu restituito nel 2010 alla città allestendo un palcoscenico sotto il presidio fortificato. Per la prima opera teatrale tratta da un libro di Pietro Grasso, “Per non morire di mafia”. Con il grande Sebastiano Lo Monaco impegnato in uno struggente monologo indossando i panni dell’autore, parlando degli anni di Grasso con Falcone e Borsellino. Tutti ignari che a controllare l’allestimento della scena, mentre gli agenti procedevano alle bonifiche, e poi per tutta la sera seduto in un angolo ad osservare ci fosse, come custode dell’area ufficialmente sottratta alla mafia, un altro fratello di “Gino ‘u Mitra”. E’ la commedia dell’assurdo che non cancella i passi, i piccoli e lenti passi in avanti compiuti nella città. Anche in vicolo del Pallone dove nell’anno della Capitale della cultura non ci sono più stalle, scrofe e bimbi nudi. Le casupole diventate B&B. Con un fiorire di

iniziative che danno nuova luce al cuore dello Spasimo, dell’Oratorio dei Bianchi, di una Magione accarezzata dal prato verde davanti a chiese e palazzi strappati alle macerie che fecero da fondale alle battaglie garibaldine ricostruite da Visconti per il Gattopardo con Alain Delon in combattimento. Si gira, a Palermo. Gira Wim Wenders, come girò Francis Ford Coppola. E ancora prima Germi, Damiani, Rosi. Zoomando su drammi e macchiette, da Faenza a Roberta Torre. Con l’occhio introspettivo di Tornatore o con quello scanzonato di Benigni e Pif, di Ficarra e Picone. Sfaccettature di città infida e accattivante. Come appare nel Manoscritto del Principe di Roberto Andò che racconta la decadenza di un contesto in cui si mosse invisibile il Gattopardo. Con il figlio adottivo di Tomasi di Lampedusa infine sorpreso da quanto accade anche accanto alla sua preziosa dimora di via Butera con i saloni a

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wore those shirts as a sign of hope that already clashed fiercely with reality. Those hands had stolen and smuggled. But the former prisoners were proud. They stood arm in arm with their wives. Without hiding in front of the cameras, as happened when the cameramen of the news teams would peek around with their electronic eyes after a crime or a police raid. It seemed to be the time of redemption for the characters of this story finally without shame. But these expectations and dreams would melt away each time in an area where the same and other families would make the news, without any hope of redemption. Up to the confiscation of the kiosk in the square at the Kalsa. The accusation was that it did not only sell beer, but was a base for dodgy transactions, a presence that Palermo shows at times with its paradoxical contradictions. As had happened the first night when Castello a Mare had been freed of illegal traders and mobsters, and returned, in 2010, to the city, setting up a stage at the feet of the fortress. A theatrical piece inspired by Peter Grasso’s book, Per non morire di mafia - To Not Die of the Mafia - was staged there. With the great Sebastiano Lo Monaco, who recited a tormented monologue, playing the author of the book, speaking of Grasso’s years with the judges Falcone and Borsellino. They were all unaware that, while the police had done their rounds, throughout the evening another brother of “Gino ‘u Mitra” had sat to watch as the guardian of an area that had been officially freed of the Mafia. It’s almost like a piece taken from the theater of the absurd, which, however doesn’t cancel out the small and slow steps forward made by the city. This is also true of Vicolo del Pallone, where in the year of the Capital of Culture there are no longer stables, sows, and naked children. The run-down houses have become B&B’s. There has been a flourishing of initiatives that give new light to the heart of the Spasimo, of the Oratory of the Bianchi, and the Church of the Magione, caressed by the green lawn in front of the churches and palaces freed of the rubble that served as the backdrop of the battles fought by Garibaldi’s men, and reconstructed by Visconti when he shot “The Leopard,” with Alain Delon engaged in a combat scene. And Palermo is an open-air movie set. Wim Wenders, Francis Ford Coppola, Germi, Damiani, and Rosi all filmed here. Zooming in on tragedies and parodies, from Faenza to Roberta Torre. With the introspective view of Tornatore or the light-hearted one of Benigni and Pif, or Ficarra and Picone. These are all facets of a treacherous and captivating city. As shown in the film “Manoscritto del Principe” - the Prince’s Manuscript - shot by Roberto Andò. It is the tale of the decadence of a world through which “The Leopard” moved invi-

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vista sulla Marina. Attigui alla abbandonata e rimessa a lucido residenza dei principi di Branciforte, il casato che affonda le origini ai tempi di Carlo Magno. Passato dai fasti del Settecento allo splendore della Belle Époque, fino a Raimondo Lanza di Trabia, una vita proiettata tra jet set e diplomazia internazionale, l’ultimo brillante dandy che ispirò Domenico Modugno per “l’uomo in frak”. Ci volevano due collezionisti e filantropi come Massimo e Francesca Valsecchi, cinquanta anni passati a raccogliere quadri, sculture e pregiate opere d’arte in ogni parte del mondo, per salvare uno dei più preziosi palazzi aristocratici di Palermo. Spalle alla Kalsa, procedendo verso piazza Cavalluccio Marino, si supera, sulla destra, un gioiellino come il teatro Ditirammu, sulla sinistra, una stupenda chiesa sconsacrata, un buon albergo, un ottimo ristorante e, di nuovo sulla destra, ecco il miracolo che Palermo compie incrociando la ricostruzione di questo gioiello con l’avvio di una doppia kermesse, tra Manifesta e Capitale della Cultura. Palazzo Butera, la dimora dei Branciforti, l’approdo dei Valsecchi è il miracolo in cui si specchia il futuro di una città che forse saprà davvero voltare le spalle ai clan, ovvero saprà riconquistare un pezzo dei quartieri infetti, come un giorno si provò a fare con il capo di una cooperativa che non morì sotto un mitra, ma sotto un camion. Allora, allo Spasimo il prodigio fu compiuto anche da una truppa di maestri muratori disoccupati e accorpati dal Comune sotto l’ombrello di una leggina assistenziale ma provvidenziale perché furono loro i primi a “grattare” una monumentale parete con gli ingressi dell’“infermeria”, della “sala suore”, della “corsia uomini”, scoprendo che quei locali erano stati realizzati coprendo con uno scempio biblico le massicce colonne infiorettate da preziosi capitelli, a sostegno degli archi tondeggianti di quello che appare come il tratto di un chiostro sepolto dal tempo, o forse cominciato e mai completato. Qualcosa di simile a quanto accaduto allo Spasimo, ormai tappa obbligata di turisti, sede di concerti e rassegne cinematografiche, si ripete per Palazzo Butera. Croste di magnificenze e decadenza sembravano avvolgere la dimora della marina dove alloggiò Goethe ammirando il promontorio di Monte Pellegrino dalla terrazza mozzafiato di mille metri quadri. Magico scenario per questa monumentale quinta ridotta, prima, in sede di una scuola, con volgari tramezzi tirati su fra saloni maestosi, e subito dopo degradata al rango di palazzo dei matrimoni. Con ricevimenti organizzati fra sale da dove erano spariti affreschi e decori. Adesso ripristinati con piglio chirurgico da uno stuolo

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sibly. With Tomasi di Lampedusa’s adoptive son who had been caught by surprise by what had been going on right next door to his precious residence in Via Butera, with its halls overlooking the marina. Adjacent to the abandoned and then renovated residence of the Princes of Branciforte, the family whose roots reach as far back as the days of Charlemagne. From the splendor of the eighteenth century to the magnificence of the Belle Époque, up to Raimondo Lanza di Trabia, a life spent in the jet set and international diplomacy, the last brilliant dandy, who inspired Domenico Modugno’s “Uomo in Frac,” the man in the tailcoat. It took two collectors and philanthropists like Massimo and Francesca Valsecchi, fifty years spent collecting paintings, sculptures, and valuable works of art in every part of the world, to save one of the finest aristocratic palazzos in Palermo. Behind the Kalsa, heading toward Piazza Cavalluccio Marino, on the right you walk by a gem like the Ditirammu Theater, and, on the left, a marvelous deconsecrated church, a good hotel, an excellent restaurant and, then again, on the right, the miracle that Palermo has wrought by combining the reconstruction of this jewel with the launch of a double event, Manifesta and Capital of Culture. Palazzo Butera, the residence of the Brancifortis. The arrival of the Valsecchis is the miracle that reflects the future of a city, which will perhaps truly turn its back to the Mafia families, i.e., will win back a piece of those infected neighborhoods, as it tried to do once with the head of a cooperative who died not because of a machine gun, but in a car accident. Back then, at the Spasimo, the miracle had also been wrought by a host of unemployed master masons who had been grouped together by the city under a law that was a godsend for them, because they were the first to clean a monumental wall with the entrances to the infirmary, to the nuns’ hall, and to the men’s ward, discovering that those premises had been built by shamefully covering up massive columns decorated with beautiful capitals, supporting the rounded arches of what appears to be the portion of a cloister buried by time, or perhaps started and never completed. Something similar to what happened to the Spasimo, now a mandatory stop for tourists, a venue for concerts and film festivals, is happening at Palazzo Butera. Layers of magnificence and decadence seemed to envelope the dwelling place in the marina, where Goethe lodged admiring the cape of Mount Pellegrino from the breathtaking terrace of one thousand square meters. Magical scenery for this monumental stage, which was used as a school with ugly partition walls between majestic halls, and immediately after degraded to the rank of a venue for wedding receptions organized in the halls from which

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di restauratori che Massimo e Francesca Valsecchi, straordinaria coppia di giovanissimi settantenni, hanno affidato alla guida di un ingegnere visionario, Marco Giammona, insieme all’architetto Giovanni Cappelletti. Pronti a recuperare perfino le radici di una sinuosa Jaracanda. Lasciando a vista sul pavimento, coperte dal vetro, lunghissime branchie legnose che cercano linfa sotto le maioliche, mentre il tronco svetta possente fuori le mura, sulla corte interna. Sulla rimessa delle carrozze di un tempo. Primo suggestivo ingresso di un polo museale e di ricerca costruito senza contributi pubblici, seppure con l’avallo di Comune e Università, “come laboratorio culturale in cui fare confluire artisti di tutto il mondo”, auspica il professore Valsecchi per tanti anni in cattedra, docente di Storia dell’arte a Milano e di Storia del disegno industriale a Siena. Una “casa museo” per ospitare la collezione privata di famiglia, spiega la signora Francesca, conteggiando così i loro spostamenti: “Quasi cinquant’anni in Inghilterra, venticinque negli Usa, pochi in Italia...”. Un peregrinare che approda a Palermo perché la signora scopre nel 2014 per la prima volta “questa meravigliosa città” accompagnando una sua amica decisa a comprare casa. Un colpo di fulmine. Un innamoramento immediato. Torna a Milano e scongiura il marito di seguirlo nella capitale dove l’incanto del percorso arabo normanno, un centro storico in ripresa, il mare riconquistato dopo l’abbattimento degli abusi, fanno da sfondo a continue iniziative di integrazione culturale. Lui diffida, ma parte. Stupito da una frase buttata lì dalla moglie: “Potremmo prendere casa anche noi a Palermo”. E così accade. Seguiti dal cicerone che alza il tiro, l’ingegnere. Perché mostra anche un palazzo a pezzi da dove nel Settecento il principe di Butera usciva con la “Carrozza d’oro” poi immortalata nel 1952 da Jean Renoir nel film con Anna Magnani e, infine, fortunatamente acquisita dall’Assemblea regionale che la custodisce a Palazzo dei Normanni per il piacere dei turisti in visita alla Cappella Palatina. E’ la somma di dettagli artistici e di riferimenti storici che cattura Valsecchi, una vita trascorsa fra pinacoteche ed atenei, compresi quelli inglesi di Cambridge e Oxford dove dona opere ai rispettivi musei, Fitzwilliam Museum e Ashmolean Museum. Scatta così l’idea di prendere casa o, meglio, prendere palazzo, contagiato dal mal di Palermo che lo stesso ingegnere trasmette spalancando lo sgarrupato portone dello storico edificio. Per riservarne una parte, la più spartana, a residenza privata, un’altra a foresteria

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the frescoes and decorations had disappeared. Now restored with surgical care by a team of restorers that Massimo and Francesca Valsecchi, an extraordinary couple of young people in their 70s, put together and entrusted to the guidance of a visionary engineer, Marco Giammona, together with the architect Giovanni Cappelletti. A team ready to save even the roots of a meandering jacaranda. Leaving on the glass-covered floor long woody gills that seek lymph under the majolica, while the trunk soars mightily outside the walls, on the courtyard. Overlooking the carriage shed of the days of yonder. The first breathtaking entrance to a museum and research complex built without public money, albeit with the endorsement of the city and the university “as a cultural workshop to bring together artists from all over the world,” as Professor Valsecchi hopes, after having taught art history in Milan and industrial design history in Siena. A “house museum” to accommodate the private family collection, explained Francesca, as she recounts her movements: “Almost fifty years in England, twenty-five in the United States, not very many in Italy.” This wandering brought them to Palermo when Francesca discovered “this wonderful city” in 2014 on a trip with a friend of hers who wanted to buy a home here. A lightning bolt. Love at first sight. She went back to Milan and begged her husband to follow her to the capital city, where the charm of Arab-Norman architecture, an old city center experiencing a renaissance, and the sea, returned to the city after razing all the illegal buildings, are the backdrop for a myriad of cultural integration initiatives. He was wary, but he followed. He was surprised by a his wife blurted out: “We too could go live in Palermo.” And so it was. Followed by the engineer, acting as a guide. Because he showed them a palazzo in ruins, from which, in the eighteenth century, the Prince of Butera would go out and about with the “golden carriage,” later immortalized, in 1952, by Jean Renoir in the film with Anna Magnani and, finally, acquired by the Sicilian Regional Assembly, which now preserves it at Palazzo dei Normanni for the pleasure of tourists who visit the Palatine Chapel. It is the sum of artistic details and historical references that captures Valsecchi, a life spent in portrait galleries and universities, including those in Cambridge and Oxford, where he donated works to the respective museums, the Fitzwilliam Museum and the Ashmolean Museum. So, they had the wild idea of finding a house or, better yet, an entire palace, once they had caught the Palermo blues after the engineer opened the rundown door of the historic buil-

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per artisti, ma trasformando più di 9 mila metri quadri di saloni “nel cuore dell’integrazione europea”. Con immigrazione e accoglienza, punti di fragilità dell’Unione Europea, che qui diventano punti di forza, in continuità con la storia di sempre, visto che ogni dominazione dai greci e dai fenici in poi ha arricchito la Sicilia, facendone fino all’Ottocento ed oltre realtà internazionale per scambi non solo commerciali. È l’obiettivo dichiarato di Valsecchi, milanese idealista e pragmatico allo stesso tempo, asciutto e affilato, l’ironia scolpita sui solchi di un viso ieratico, a tratti percorso da un beffardo disincanto che non gli impedisce di continuare a nutrire le sue fantasie, descrivendosi come “un finto professore di cultura”. Spiega che qui “per tremila anni si sono mischiati popoli di tutto il mondo, greci, fenici, arabi, normanni, spagnoli...”. Un mix sul quale allestire un vero e proprio “laboratorio per l’identità europea, per studiare la storia del mondo e di tutte le culture”. Eccitato, da nuovo cittadino palermitano, dall’idea dell’apertura delle prime sale con l’avvio di Manifesta. Cioè con la più importante biennale di arte contemporanea approdata in Sicilia proprio mentre la città diventa Capitale della Cultura. Una utopia ripetuta a magnifici rettori e governatori, sindaco e amministratori di una realtà che per un cittadino del mondo come Valsecchi ha imbroccato la giusta direttrice. Quella di una città che, vista dall’alto o dal basso, con i suoi paradossi o con i suoi passi lenti ma concreti, ammalia e conquista. Adesso, anche passando da Vicolo Pallone.

Felice Cavallaro

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ding. So, they kept the more spartan part for themselves as their private residence; another part was used as guest quarters for visiting artists, while more than nine-thousand square meters of halls were converted into “the heart of European integration.” With immigration and reception as weaknesses of the European Union, here they become strengths, in keeping with history, since each domination ever since the Greeks and the Phoenicians onwards has enriched Sicily, making it an international reality not only in trade up to the nineteenth century and beyond. It is the declared objective of Valsecchi, an idealistic yet pragmatic Milanese, lean and sharp, with the irony sculpted in the wrinkles of a hieratic face, which at times lights up with a mocking disillusionment that does not stop him from continuing to fuel his fantasies, describing himself as “a fake professor of culture.” He explains that here “for three thousand years peoples from all over the world, Greeks, Phoenicians, Arabs, Normans, and Spaniards have mixed together.” A mix of which set up a veritable “laboratory for European identity, to study the history of the world and of all cultures.” This new citizen of Palermo is excited by the idea of the opening of the first halls with the launch of Manifesta, the most important contemporary art biennial to come to Sicily, precisely when the city has become the Capital of Culture. It is a utopic vision shared with rectors and politicians, the mayor, and the administrators of a reality, which, for a citizen of the world like Valsecchi, has taken the right path. That of a city that, seen from above or from below, bewitches and conquers with its paradoxes or with its slow yet concrete steps. Now, even passing through Vicolo Pallone.

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Carmela

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Sono Carmela Faro, ho iniziato il progetto imprenditoriale con mio marito nel settore del florovivaismo subito dopo il nostro matrimonio. Dal 2009 gestisco il Boutique Resort DonnaCarmela, che mi permette di promuovere ed esaltare le bellezze della mia terra. Una terra che fa parte di me sentendo sempre di appartenervi, anche durante i miei lunghi viaggi. I suoi colori, il blu del mare che bacia il cielo, il bianco della neve dell’Etna che si incastra con quello delle nuvole. I profumi degli agrumi ed i sapori di una cultura culinaria inimitabile nel resto del mondo. Il Resort DonnaCarmela è stato per me una sfida, perché con orgoglio posso dire di amare la mia Sicilia, con tutti i pro e i contro. Fin dove potrò, farò il possibile per esaltare le bellezze di un’isola baciata dal sole, inebriata dalla potenza di un vulcano ed abbracciata da un mare stupendo e generoso. Il mio non è solo lavoro, ma vera e pura passione. In tutto ciò che faccio metto il cuore e tanto impegno. Le mie carte vincenti sono state la dedizione, l’amore per il mio lavoro e la mia naturale propensione al bello.

My name is Carmela Faro and I started a business project with my husband in the floriculture sector right after our wedding. Since 2009 I have been running the DonnaCarmela Boutique Resort, which allows me to promote and exalt the beauty of my land. A land that, even on my long journeys, is part of me and that I feel that I belong to. Its colors, the blue of the sea that kisses the sky, the white of the snow-capped Mount Etna that blends into the clouds. The scents of citrus fruit and the flavors of a culinary culture that make it unique the world over. The DonnaCarmela Resort was a challenge for me, because I can proudly say that I love Sicily, with all its pros and cons, and as far as I can, I will do my best to exalt the beauty of an island kissed by the sun, intoxicated by the power of a volcano and embraced by a beautiful and generous sea. What I do is not just work, but a true and pure passion. I put my heart and a lot of commitment into everything I do. The keys to success have been my dedication, my love for my work, and my natural propensity for beauty.

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Creativa, molteplice, rispettosa, puntiforme, introspettiva, vulcanica: tutti aggettivi che mi contraddistinguono. Vivo sulla Terra ma anche tra il sole e la luna e mi nutro dei loro raggi, entrambi necessari per il mio equilibrio fisico e spirituale. Ammiro varie forme della natura che mi appassionano e costituiscono fonte di continua ispirazione per me personalmente e per il mio lavoro: Architettura e Design. Nella natura (anche in quella umana) ricerco l’armonia ed il bello e, filtrandola attraverso le emozioni, cerco di darle forma o semplicemente una definizione in ogni cosa che faccio. C’è

Creative, multifaceted, respectful, independent, introspective, and volcanic: all attributes which define me. I live on Earth, but recognize that by being between the Sun and the Moon, I nourish myself by their rays, which are equally necessary for my physical and spiritual health and balance. I admire all forms of nature; they intrigue me and represent a constant source of inspiration for me personally and professionally as an architect and designer. From nature, in all its manifestations, I search for harmony and beauty, which I then filter through my emotions, and use to give form or simply define nearly everything that I do.

Lavinia del bello e del brutto in tutto, ma con un pizzico di consapevolezza, coraggio (uscire dalla “comfort zone”) e profondità si può sempre sbilanciare questo equilibrio. E comunque non sempre il bello è così bello senza un po’ di sano “disturbo”...

There is goodness and badness in everything around us, but with a sense of consciousness, courage to move out of our “comfort zone”, and depth in viewing and understanding the reality which surrounds us, it is always possible to alter this balance. After all, not always beauty is so beautiful without some sort of “disturbance”.

Nata e cresciuta in Sicilia, negli States per 25 anni, ho adottato Pantelleria per il mio tempo più creativo ma anche più costoso: quello off-the-grid. Il più grande dei pericoli lì é essere avvolti dal vento o solo il riscoprire se stessi. Is it a problem ?!

Born and raised in Sicily, I lived in the United States for over 25 years, and adopted Pantelleria for my most creative as well as exclusive time: the one “off-the-grid”. The greatest danger there is to be embraced by the wind or simply to rediscover oneself. Is it a problem?

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Pantelleria Il mio calmante vulcanico
















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Vivo accanto al mare, quel mare dove Omero scrisse la sua Odissea, in Sicilia, nella terra che fu dei Normanni, dello Stupor Mundi, delle regine che hanno da sempre arricchito la mia creatività con la loro storia... nella terra delle tante dominazioni arabe, spagnole , francesi... la mia fonte d’ispirazione da sempre, la storia, la cultura, le bellezze naturali della Sicilia, la mia terra, densa di contaminazioni. Sono figlia dell’Etna. Vulcanica e appassionata del mio lavoro di ricerca stilistica, inseguo da sempre la bellezza che ritrovo in un motivo decorativo o architettonico, passeggiando per via dei Crociferi a Catania, piuttosto che guardando il mare e la vegetazione in una calda giornata estiva. Nella mia isola assolata, accecata dal sole, dove il grigio della pietra dell’Etna rincorre il bianco della pietra di Modica ritrovo la bellezza. In tutto ciò che mi circonda... le campagne sconfinate con le allegre vendemmie autunnali raccontate da Ercole Patti nel suo libro, “Un bellissimo novembre”, e gli odori pregnanti si impossessano di me... l’intensita’ della zagara nelle notti d’estate mi riporta alle Estati Felici, di Fulco di Verdura, agli autori sici-

I live next to the sea, that sea where Homer wrote his Odyssey, in Sicily, in the land that belonged to the Normans, the Stupor Mundi, the queens who have always enriched my creativity with their history... in the land of the many Arab, Spanish, and French conquests. My source of inspiration has always been the history, culture and nature of Sicily, my land, steeped in cultural crossbreeding. I am a daughter of Mount Etna, explosive and passionate in my stylistic research. I have always pursued beauty, which I find in a decorative or architectural motif, walking along Via dei Crociferi in Catania, or looking at the sea and vegetation on a hot summer day. I find beauty in my sunny, sun-blinded island, where the gray of Etna’s stone chases the whiteness of Modica stone. In everything that surrounds me - the boundless countryside with the cheerful autumn harvests told by Ercole Patti in Un bellissimo novembre (A Beautiful November) and the intense smells take over me... the intensity of the orange blossom in the summer nights brings me back to Estati Felici (Happy Summers)by Fulco di Verdura. Sicilian writers who have inspired

Mariella

liani che hanno ispirato le mie collezioni. Nel corso della mia ricerca famiglie importanti, come i Gattopardi, mi hanno dato degli spunti dedicando loro intere collezioni di abiti da sposa, dove le candide trame si intrecciano e i merletti siciliani trovano la giusta dimora... Abiti da Sposa da tramandare alle future generazioni perché parlano della nostra storia, dell’artigianalità di un isola dove le donne hanno sviluppato l’arte del telaio fin da tempi lontanissimi. Come i meravigliosi ricami che, nelle lunghe giornate vissute nei palazzi decorati, accompagnavano lo scandire delle ore delle nobili siciliane. Manufatti preziosi, oggi muti testimoni di un tempo passato ma sempre attuale dove manualità, capacità artigianale e rigore si fondono con la storia, la cultura, le tradizioni. Per una donna importante, volitiva, guerriera, ma anche contemporanea. Una donna che porta dentro una storia affascinante, ma che guarda con sicurezza al futuro.

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my collections. In the course of my research, important families, like the landed aristocracy, have given me ideas, to which I have dedicated entire collections of wedding dresses, where the white wefts are intertwined, and Sicilian lace find a worthy abode... Wedding dresses to be handed down to future generations because they speak of our history, the craftsmanship of an island where women have developed the art of the loom since ancient times, like the wonderful embroideries that, during the long days spent in the decorated palaces, accompanied the passing of the hours for noble ladies. Precious artifacts, now silent witnesses of a time past but always present where manual skill, craftsmanship, and rigor merge with history, culture, and traditions. For an important, strong-willed woman, a warrior, but also contemporary, who boasts a fascinating story but who looks to the future with confidence.

Mariella Gennarino


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Jennifer Casa

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Sono una modella italo tedesca. La mia terra é per metà la Germania e per metà l’Italia, ma é in Sicilia che le mie radici sono fondate. Sono cresciuta in una terra piena di bellezza, ricca e splendida, ma che rende ogni traguardo

I am an Italian-German model. My land is half Germany and half Italy, but it is in Sicily where my roots are. I grew up in a land full of beauty, rich and beautiful, but that makes every goal difficult to attain, and it is perhaps because of this difficulty that it keeps

Jennifer difficile. Forse proprio per questa difficoltà l’isola tiene vicino a sé le persone forti che hanno voglia di combattere e vincere in una terra dove nulla é ovvio. Sono una giovane donna che lavora nella moda in Sicilia e che in Sicilia vuole continuare a crescere.

strong people close it, those who want to fight to win in a land where nothing can be taken for granted. I am a young woman who works in fashion in Sicily and who wants to continue to grow in Sicily.

Jennifer Casa

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Ormai da anni promuovo e sostengo l“Economia della Bellezza” che trae spunto dall’Italia, il nostro Bel Paese. Proprio la Sicilia, la mia amata terra è un pezzo importante del nostro Bel Paese, sinonimo di Bellezza per patrimonio culturale, artistico, monumentale, paesaggistico, ma anche per la qualità di vita, per essere nel mondo punto di riferimento di “buon gusto”, di moda e di design di alto livello, per l’eccellenza della sua enogastronomia. Il concetto di bellezza ha attraversato tutta la storia dell’Occidente e dell’Oriente ed è sempre stata al centro del pensiero filosofico e teologico, sin dall’inizio della nostra civiltà. Mi piace ricordare che nel mondo greco, bellezza

For years now I have been promoting and supporting the “Economy of Beauty,” which is inspired by Italy, our beautiful country. Sicily, my beloved land, is an important part of Italy, which is synonymous with beauty for its cultural, artistic, monumental, and landscape heritage, but also for the quality of life, to be a point of reference in the world of “good taste,” of fashion and design at the highest level, for the excellence of its food and wine. The concept of beauty has crossed the entire history of the West and the East and has always been at the center of philosophical and theological thought, from the very

Patrizia si diceva con il termine kalós kai agatos che significa allo stesso tempo “bello” e “buono”, il bello che è anche buono e il buono che è anche bello, insomma un’inseparabe assonanza tra etica ed estetica, ciò che si afferma in Sicilia! Abbiamo un immenso patrimonio materiale di Bellezza. Una ricchezza unica che ci appartiene e che abbiamo il dovere di proteggere scommettendo su tutto ciò che rende la nostra Sicilia unica e desiderata nel mondo: cultura, qualità, conoscenza, innovazione, territorio e senso di comunità.

beginning of our civilization. I like to remember that in the Greek world, beauty was defined with the terms kalós kai agatos, which means both “beautiful” and “good,” beauty that is also good and good that is also beautiful, in short, an inseparable bond between ethics and aesthetics, which is what is affirmed in Sicily! We have an immense material heritage of beauty. A unique wealth that belongs to us all and that we have the duty to protect by promoting everything that makes our Sicily unique and desired around the world: culture, quality, knowledge, innovation, territory, and sense of community.

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FIMMINA

Gaetano

SAVATTERI Cara picciridda che avrai vent’anni tra vent’anni. Non riesco nemmeno a immaginare come ti chiameranno. Non credo Rosalia o Salvatrice, nemmeno Annunziata o Agata: mi dicono che sono nomi che non si usano più, nemmeno qui in Sicilia. Magari sarai una Lodovica o Carlotta o Noemi. Ma non conta come ti chiamerai. Conta invece quel che sarai, ciò che farai. Mai avrei immaginato di poterti scrivere. E non perché ci separino tantissimi anni, anche se sono sicura che un giorno ci incontreremo, da qualche parte e in qualche modo. Non lo avrei immaginato perché da ragazza non sapevo leggere né scrivere. Nella Sicilia dei miei vent’anni pochi sapevano usare penna e calamaio. E tra quei pochi le donne erano ancor meno. Ma poi a cosa serviva scrivere in quella Sicilia? C’era il sole, il mare, la campagna e la mia città era bianca e piena di gente. C’erano tante cose da fare: sognare, ad esempio. Una cosa che i giovani sanno fare benissimo. Io ho sempre parlato poco, ma avevo la testa piena di pensieri e di sogni. Sogni di una ragazza che non aveva mai letto un libro, ma per fantasticare i libri non servono. Di notte guardavo le stelle e cercavo di contarle. Di giorno guardavo i pesci spada che saltavano nel mio mare, e pensavo che mi sarebbe piaciuto essere un pesce o un uccello, per stare nel mare grande o nel cielo immenso. Mio padre mi raccontava la storia di Colapesce, il picciottello che sapeva rimanere sott’acqua e che ora tiene sulle spalle una delle colonne sulle quali si regge la Sicilia. Mi faceva pena saperlo là sotto, tutto piegato per farci camminare su questa nostra isola. Ma a quel tempo, quasi manco sapevo che la Sicilia era un’isola.

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My dearest little girl, you’ll be twenty in twenty years. I can’t even imagine what they’re going to call you. I don’t think Rosalia or Salvatrice, not even Annunziata or Agata: they tell me that these names are no longer used, not even here in Sicily. Maybe you’ll be a Lodovica, Carlotta or Noemi. But it doesn’t matter what your name is. What matters instead is who you will be, what you will do. I never thought I’d write to you. And not because we are so many years apart, although I am sure that one day we will meet, somewhere, somehow. I wouldn’t have imagined it because as a girl I couldn’t read or write. In the Sicily of my twenties, few people knew how to use a pen and inkstand. And there were even fewer women among those few. But then what was the point of writing in Sicily back then? There was the sun, the sea, the countryside and my city was white and full of people. There were so many things to do: dreaming, for example. Something young people do very well. I’ve always talked very little, but my head was full of thoughts and dreams. Dreams of a girl who had never read a book, but to daydream you don’t need books. At night I would look at the stars and try to count them. During the day I would look at the swordfish jumping in the sea, and I would think I would have liked to be a fish or a bird, to live in the great sea or in the immense sky. My father used to tell me the story of Colapesce, the little boy who knew how to stay underwater and who now holds one of the columns on which Sicily rests on his shoulders. It made me sad to hear that he was down there, all bent up to make us walk on this island of ours. But back then, I almost didn’t know that Sicily was an island.

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Mi chiamo Annunziata, non è un nome che mi piace molto. Ma è il mio nome, e ormai mi ci sono affezionata. Avrei preferito chiamarmi con uno dei nomi delle mie amiche. Nomi pieni di aria e di colore: Violante, Xuri, Florella, Contissa, Gratiosa, Margarita, Allegranza, Cara, Diamantes, Granata, Letitia, Luna, Millefiori, Palma, Ricca, Fiordivilla, Filigrana. Ai tempi miei in Sicilia questi erano i nomi delle bambine che poi si facevano donne. Ma qualche tempo dopo, non so perché, calò come una cappa nera sulle nostre teste. E questi nomi di aria e di colori furono cancellati, altri ne apparvero: Addolorata, Crocifissa, Santa, Catena, Incatenata, Immacolata. Io era Annunziata e restai tale. Ma forse no. Forse ti sto raccontando solo una favola bella, picciridda mia, per festeggiare i tuoi vent’anni. Nemmeno io so come mi chiamo, come mi chiamavo, anche se tutti ormai mi conoscono come Annunziata. Ma è passato tanto, tantissimo tempo. Ricordo però che era la domenica delle Palme e, come si usava ai tempi miei, andavamo in processione, con le vesti di Gesù e della Madonna, per mettere in scena la Passione di

Cristo. Quell’anno scelsero me per impersonare Maria. Avrò avuto sì e no sedici anni, meno di quelli che avrai tu quando leggerai questa lettera che viene da così lontano, così vicino. Andavo per strada tutta seria, il ramo di palme intrecciate in un mano, la mantella azzurra sulla testa. Tra la folla che seguiva la processione c’era un ragazzo, lo conoscevo perché era del mio quartiere: mi guardava. Ma io abbassavo gli occhi, per non incrociare i suoi, perché sapevo che sarei arrossita, confusa e spaventata, e magari sarei inciampata davanti a tutti. Qualche tempo dopo, venne a casa di mio padre un signore molto elegante. Doveva essere ricco, aveva vestiti costosi. Parlò con mio padre. Stavo ricamando qualcosa al tombolo. Capivo che parlavano di me, perché mio papà mi osservava preoccupato e titubante. L’uomo dopo lungo parlare doveva averlo convinto perché papà abbassò la testa. L’uomo mi si avvicinò. Stavo per alzarmi in piedi, ma fece un gesto perché rimanessi seduta. Mi

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My name is Annunziata. It’s not a name I really like. But it’s my name, and I’m fond of it now. I’d rather have called myself by one of my friends’ names. Names full of warm air and color: Violante, Xuri, Florella, Contissa, Gratiosa, Margarita, Allegranza, Cara, Diamantes, Granata, Letitia, Luna, Millefiori, Palma, Ricca, Fiordivilla, or Filigrana. In my days in Sicily these were the names of the girls who would then go on to become women. But some time later, I don’t know why, it came down like a black cape on our heads. And these names full of warm air and color were wiped away and others appeared: Addolorata, Crocifissa, Santa, Catena, Incatenata, or Immacolata. I was Annunziata and remained so. But maybe not. Maybe I’m just telling you a fairy tale, my little girl, to celebrate your twenties. Neither do I know what my name is or what it was, even though everyone knows me as Annunziata. But it’s been a long, long time. I remember, however, that it was Palm Sunday and, as was the custom in my time, we would go to the procession, dressed as Jesus or Our Lady, to stage the Passion of Christ. That year they chose me to be Mary. I must have been sixteen, younger than you will be when you read this letter that comes from so far away, from so nearby. I went out on the streets all serious, the branch of palm trees in one hand, the blue veil on my head. There was a boy in the crowd following the procession, I knew him because he was from my neighborhood: he was looking at me. But I lowered my eyes, to not cross his eyes, because I knew that I would blush, become confused and get frightened, and maybe I would stumble in front of everyone. Some time later, a very elegant gentleman came to my father’s house. He must have been rich; he had expensive clothes. He spoke to my father. I was embroidering something on the lace-pillow. I could tell they were talking about me, because my dad was watching me, worried and hesitant. After a long talk the man must have convinced him because my father lowered his head. The man approached me. I was about to get up, but he made a gesture for me to stay seated. He watched me for a long time. Then he said, “She’s perfect.” In the following days he came to our house carrying a canvas, brushes, and colors. He asked me to sit still. He made me wear the blue veil, the one from the holidays I used on Palm Sunday. And he put a book in front of me. Perhaps it was in those days that the conviction grew in me that I had to learn to read, because I wanted to know what book it was, what those black letters on the white paper meant. “White countryside, black seeds: the man who does it, always thinks of it.” It’s a riddle about writing that Mr. Antonello taught me, the elegant man who was a painter and my father

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osservò a lungo. Poi disse: è perfetta. Nei giorni successivi venne a casa nostra portandosi dietro una tela, pennelli e colori. Mi chiese di restare seduta, ferma. Mi fece indossare la mantella azzurra, quella delle feste che avevo usato nella domenica delle Palme. E mi mise davanti un libro. Forse proprio in quei giorni maturò dentro di me la convinzione che dovevo imparare a leggere, perché avrei voluto sapere che libro era, cosa significavano quei caratteri neri sulla carta bianca. “Bianca campagna, nivura simenza: l’omu chi la fa, sempri la penza”. E’ un indovinello sulla scrittura che mi insegnò il signor Antonello, quell’uomo elegante che faceva il pittore e mio padre diceva che era ricco, rispettato e aveva girato il mondo. Il signor Antonello, non so quale fosse il cognome, parlava poco, come me. Dipingeva e la sera i suoi aiutanti portavano via la tela. Me la fece vedere solo a lavoro finito. Restai un po’ delusa: mi aveva disegnata un po’ triste. A me invece piaceva ridere. Da allora sono Annunziata. Del resto della mia vita, fuori dal quadro di Antonello non ricordo molto. E’ passato troppo tempo. Ma ho visto moltissime cose. Ho visto cose belle e cose brutte. Ho visto ragazze mandate al rogo come streghe e fattucchiere. Ho visto come gli uomini della mia Sicilia si sono accaniti contro le donne. E mi sembrava di vedere i volti delle sante martiri, delle madonne con il cuore pugnalato in quei capelli e carni che prendevano fuoco, straziate e massacrate. Ho visto cambiare i nomi, come ti dicevo. Un secolo dopo essere diventata Annunziata – era la fine del Quattrocento, anno più, anno meno, per quello che contano gli anni quando la misura sono i secoli – arrivarono gli Spagnoli e portarono dietro i loro velluti pesanti, i loro drappi viola, i Cristi sanguinanti, le confraternite degli incappucciati. Calarono per mortificare le donne con nomi che sapevano di penitenza e di clausura. Qualcuno ha detto che odoro di chiostro e di ovile. E’ vero, anche se non sono mai stata una pecoraia e nemmeno una suora. Ma della pastorella e della suora ho sempre invidiato e ammirato la capacità di una vita semplice. E certo non era facile la vita delle ragazze siciliane costrette a monacarsi o mandate a pascolare capre. Da quando sono Annunziata per sempre ho capito quanto fosse faticoso essere donna nella mia Sicilia. Io avevo il privilegio di essere un’immagine, la rappresentazione di un sentimento di stupore e di attesa. Ma là fuori era terribile per molte donne. C’erano anche le duchesse, le principesse. C’era pure la moglie del viceré. E camminava in carrozza, magari in carrozza andava a vedere gli autodafé dove si portavano al supplizio le donnine

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said that he was rich, respected, and had travelled the world. Mr. Antonello—I don’t know what his last name was—spoke very little, like me. He would paint, and in the evening his assistants would take the canvas away. He showed it to me only once the work was done. I was a little disappointed. He depicted me a little sad. I liked to laugh instead. I’ve been Annunziata ever since. For the rest of my life, I don’t remember much besides Antonello’s painting. It was so long ago. But I’ve seen a lot of things. I’ve seen good and bad things. I’ve seen girls burned at the stake like witches and sorceresses. I’ve seen how the men of my Sicily have acted cruelly against women. And it seemed to me that I could see the faces of the holy martyrs, of the madonnas with their stabbed hearts in that hair and flesh that caught fire, torn and slaughtered. I saw the names as they changed, like I said. A century after becoming Annunziata - it was the end of the fifteenth century, more or less, for what years count when the measure of time is centuries - the Spaniards came and they brought along their heavy velvets, their purple drapes, the bleeding Christs, and the hooded brotherhoods. They came down to mortify women with names made of penance and seclusion. Someone said I smell like cloisters and sheepfolds. That’s true, even though I’ve never been a shepherdess or even a nun. But of the shepherdess and nun I have always envied and admired their ability to live a simple life. And certainly it was not an easy life for the Sicilian girls forced to become nuns or sent to graze goats. Since I became Annunziata forever, I’ve understood how hard it was to be a woman in Sicily. I had the privilege of being an image, the representation of a feeling of awe and expectation. But out there it was terrible for a lot of women. There were also duchesses and princesses. There was even the viceroy’s wife. And she would travel in a carriage. Maybe she would go to the public executions in a carriage to see the plebeian women be executed. They told me that there was one, they called her the old vinegar woman who sold poison to wives who wanted to get rid of their husbands. A killer for sure. But how could a woman free herself from an unwanted husband that she loathed? But these, my dear little girl, are bad stories from centuries ago. Now, from where I am, in one of the halls of Palazzo Abatellis in Palermo, I see today’s girls pass in front of my eyes (I look and look, but I pretend that I am looking elsewhere) and I see their courage in their eyes, their quick tongues, and their bold pose. These are the Sicilian girls I like. But I especially love the shy ones, those who are a bit more reserved, who don’t speak very much, just like me.

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del popolo. Mi dissero che ce ne fu una, la chiamavano la vecchia dell’Aceto che vendeva veleno alle mogli che volevano liberarsi dei mariti. Un’assassina, sicuro. Ma come doveva fare una donna a liberarsi da un marito non voluto, non desiderato, detestato? Ma questa, cara picciridda, sono storie brutte, vecchie di secoli. Adesso, da dove sto, in una sala del palazzo Abatellis a Palermo, vedo passare davanti ai miei occhi (guardo, guardo, ma faccio finta di guardare altrove) le ragazze di oggi e ne vedo il coraggio negli occhi, la parlata pronta, la posa spavalda. Sono queste le siciliane che mi piacciono. Ma amo anche le timide, un po’ riservate che parlano poco, proprio come me. Cara picciridda che avrai vent’anni tra vent’anni voglio farti un regalo. L’unico che posso farti. Raccontarti che la Sicilia è fimmina. E raccontarti le storie di tre donne che in qualche modo ho conosciuto, per quanto una madonna dentro un quadro può conoscere il mondo. Tre donne di Sicilia da portare con te, per sapere da dove vieni. La prima era una ragazzina di famiglia nobile, ne sentirai parlare. Si chiamava Rosalia Sinibaldi, visse e morì molto prima di me, quando in Sicilia c’erano i normanni. Santuzza ed eremita, fece il miracolo di salvare Palermo dalla peste. Qualcuno non ci crede, ma non importa. Quattro secoli dopo la sua morte, furono trovati i suoi resti su monte Pellegrino, portati in processione e il morbo che nel 1625 aveva ucciso migliaia di persone si placò. Saprai che ogni anno, Palermo ricorda quel miracolo con il festino per Rosalia. Magari qualcuno non ci crede, ma resta il fatto che la Sicilia e Palermo spesso tornano a invocare quella ragazzina con la testa ornata di una coroncina di rose per essere salvate. Dalla peste, dalla mafia, dal terremoto, dalla disperazione. Ci sarà sempre qualcosa da cui essere salvati. E sarà sempre una picciridda, che ha più o meno l’età che avevo io quando diventai immortale nel quadro di Antonello, a dare speranza. Perché in questa Sicilia di luce e di lutto, di ferocia e di morte, solo le donne portano vita. Questo dice il quadro di Antenello da Messina, questo dice il mio sguardo: una donna alla quale hanno appena annunciato che porta dentro un miracolo. La vita stessa non è miracolo? Non ti racconterò di Angelica, figlia di Galafrone, re del Catai. Saprai un giorno che è la donna contesa tra Orlando e Rinaldo, cugini e rivali per amore. Ma che c’entrano i paladini di Francia con la Sicilia? Quante volte, nel quartiere della Kalsa di Palermo dove ormai abito da molto tempo, ho sentito i cunti dell’Opra dei pupi, ho sentito lo sferragliare di spade dei combattimenti, ho sentito il suono delle teste di legno che cadevano giù sulle tavole del palco. La mia vita di Annunziata a volte è monotona: le voci dei pupari

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My dearest little girl who’ll be twenty in twenty years, I want to give you a present. The only one I can give you. To tell you that Sicily is a woman. And to tell you the stories of three women whom I have somehow met, as much as a madonna inside a painting can know the world. Three women from Sicily to take with you, to know where you’re from. The first was a young girl from a noble family. You’ll hear about it. Her name was Rosalia Sinibaldi. She lived and died long before me, when the Normans were in Sicily. A saint and a hermit, she performed the miracle of saving Palermo from the plague. Some people don’t believe that, but it doesn’t matter. Four centuries after her death, her remains were found on Mount Pellegrino, carried in procession and the disease that had killed thousands of people in 1625 vanished. You definitely know that every year Palermo remembers that miracle with the feast for Rosalia. Maybe someone may not believe it, but it is a matter of fact that Sicily and Palermo often invoke that little girl with her head adorned with a crown of roses when they need to be sa-

ved. From the plague, the mafia, the earthquake, or despair. There will always be something to be saved from. And it will always be a little girl, more or less the same age as I was when I became immortal in Antonello’s painting, who will give hope. Because in this Sicily of light and mourning, of savagery and death, only women bring life. This is what Antonello da Messina’s painting says, this is what my gaze says: a woman to whom they have just announced that she carries a miracle inside in her womb. Isn’t life itself a miracle? I won’t tell you about Angelica, daughter of Galafrone, the king of Cathay. You’ll know one day that she’s the woman disputed by Orlando and Rinaldo, cousins and rivals in love. But what do France’s paladins have to do with Sicily? You can’t belive how many times, in Palermo’s Kalsa district where I have been living for a long time now, I have heard the tales of the Puppet Theater, the clattering of swords in duels, and the sound of the wooden heads falling on the planks of the stage. My life as Annunziata is sometimes monotonous: the voices of the puppeteers coming from the alleys have kept me company.

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che salivano dai vicoli mi hanno fatto compagnia. Non volevo essere Angelica, sono già Annunziata. Ma fremevo a sentire la storia di Bradamante, sorella di Rinaldo, cugina di Orlando, guerriera armata di spada, i capelli raccolti sotto l’elmo, capace di sterminare i nemici e di abbattere terribili giganti. Il fragore della sua armature, dei colpi delle sua spada, mi scuotevano nel profondo. Ma sotto quella corazza c’era una donna, innamorata di un re pagano, Ruggiero, pazza di gelosia a sapere che quell’uomo si stava innamorando di un’altra. Confesso, ho sognato di essere Bradamante. Perché così sono le donne siciliane: guerriere anche nell’amore, perché quando vogliono sanno vincere i pregiudizi, superare gli ostacoli. Picciridda bedda, ricordati di essere un po’ Bradamante nella tua vita: la spada per vincere le avversità, il cuore per riconoscere la verità. Vecchie storie, vecchie leggende, penserai tu, cresciuta nel mondo che non crede più alle favole. Ti racconterò allora di una donna di Ragusa, né principessa né santa, ma guerriera. Si chiamava Maria Occhipinti e nel 1944 lottò per non far partire dalla Sicilia tanti giovani chiamati a combattere in un esercito che aveva già perduto la guerra – quella guerra, sento ancora il boato delle bombe che cadevano sulla città e sventravano case, vite e palazzi. Maria si gettò davanti alle ruote di un camion carico di ragazzi reclutati a forza: era incinta di cinque mesi. Finì in galera, fu mandata al confino nell’isola di Ustica. Per il resto della sua vita, come Bradamante, continuò a combattere per liberare le donne da ogni schiavitù. Lo fece con la spada e con la penna, scrivendo della sua vita. Come vedi, picciridda mia che avrai vent’anni tra vent’anni, essere donne di Sicilia significa portarsi dentro il dolore e il coraggio di tante altre donne. Sono sicura che vivrai bene, che sarai più libera e più forte di noi tutte. Ci incontreremo, da qualche parte e in qualche modo. Te lo prometto. Molti si chiedono dove si posi il mio sguardo, puntato fuori dalla tela di Antonello da Messina. E’ una domanda che non ha risposta. E’ lo sguardo di chi cerca qualcosa. E’ lo sguardo di tutte le donne che sanno vedere oltre le cose materiali, al di là delle apparenze. Fallo tuo. Ti aiuterà a diventare una donna di Sicilia. Non è facile, ma è magico.

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I didn’t want to be Angelica. I’m already Annunziata. But I would quiver with excitement to hear the story of Bradamante, Rinaldo’s sister and Orlando’s cousin, a female warrior armed with a sword, her hair gathered under the helmet, capable of wiping out her enemies and taking down terrible giants. The clashing of her armor and of the blows of her sword would shake me deep down. But under that armor there was a woman, in love with a pagan king, Ruggiero, mad with jealousy to know that the man was falling in love with another woman. I admit that I dreamt of being Bradamante. Because this is how Sicilian women are: warriors also in love, because when they want to overcome prejudices, they know how to overcome obstacles. My beautiful little girl, remember to be a little Bradamante in your life: the sword to overcome adversity, the heart to recognize the truth. Old stories, old legends, you might think, you have grown up in a world that no longer believes in fairy tales. So I will tell you about a woman from Ragusa. She was neither princess nor saint, but a warrior. Her name was Maria Occhipinti and in 1944 she fought to prevent many young people from leaving Sicily to fight in an army that had already lost the war that war, I still hear the roar of the bombs that fell on the city and gutted houses, lives, and palaces. Maria threw herself in front of the wheels of a truck loaded with young men recruited against their will: she was five months pregnant. She was put in jail and then interned on the island of Ustica. Like Bradamante, she spent the rest of her life continuing to fight to free women from all forms of slavery. She did it with the sword and the pen, writing about her life. As you can see, my dear little girl who will be twenty in twenty years, being a woman of Sicily means carrying the pain and courage of many other women. I’m sure you’ll live well, be freer and stronger than the rest of us. I am sure that one day we will meet, somewhere, somehow. I promise you. Many people wonder where I am looking with my gaze, pointing out of Antonello da Messina’s painting. That’s a question without an answer. It’s the look of someone seeking something. It’s the gaze of all the women who know how to look beyond material things, beyond appearances. Do it yourself. It will help you become a Sicilian woman. It’s not easy, but it’s magical.

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Ines

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Sono nata e vissuta in una famiglia in cui erano i comportamenti e i fatti a parlare più che le parole, e i cui valori vissuti, concreti, quotidiani erano la famiglia, il lavoro, il senso del dovere e delle proprie responsabilità, uniti a quell’irrinunciabile decoro d’altri tempi immancabile in ogni piccolo centro di provincia come la mia Licata, sebbene i miei genitori, entrambi dei fuoriclasse nel proprio àmbito, non abbiano mai badato alle apparenze ma solo alla sostanza. Adolescente, mi scoprìi fragile e forte allo stesso tempo, come credo accada un po’ a tutti, vulnerabile in ciò che

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I was born into and lived in a family where behavior and facts spoke more than words, and whose tangible values, lived out in daily life, were the family, work, and the sense of duty and responsibility, combined with that essential decorum of yesteryear that is present in every small town like my hometown Licata, though my parents, both of whom were stars in their fields, never paid attention to appearances but only to substance. As a teenager, I discovered that I was both fragile and strong at the same time, as I think happens a bit to everyone, vulnerable


vorremmo accadesse, e salda, tenace grazie a quella forza, a quell’energia naturali che scaturiscono dall’età e dall’affascinante immensità del futuro che tutto sanava e oltrepassava. Già all’università mi accorsi che quei principi e quei valori, messi in discussione negli anni del liceo, riaffioravano intatti, come se si fossero saggiamente occultati per un po’, in attesa di una maturità (con il senno di poi) forse un po’ precoce. Dall’università al lavoro in Banca il passaggio è stato naturale e sfidante al tempo stesso, perché gli studi e la preparazione sono indispensabili, ma il lavoro esige immediatamente che essi si trasformino, cambino subito pelle, e che siano veicoli del fare più che gingilli teorici e modelli irrealizzabili. Si intuisce, da queste poche righe, che sono una delle persone più pragmatiche, concrete, fattive che mi sia capitato di conoscere? Certo, è anche vero che certe volte, proprio per questo, mi capita di pensare al titolo di un romanzo di Herta Muller, “Questa mattina avrei preferito non incontrarmi”. La mia vita? Intensa, molto impegnativa, densa di decisioni difficili e responsabilità crescenti; ma non saprei immaginarne un’altra. Il sogno realizzato? Quello di poter vivere e lavorare in Sicilia, nella terra che amo, cui appartengo per natura e per scelta: fare banca nella nostra regione è molto più che fare banca in senso usuale, perché la Sicilia è una creatura complessa e affascinante, tra le più antiche e sagge del mondo, ma a volte irrefrenabile e imprevedibile come una misteriosa divinità, ricca di tesori, bellezze e talenti che essa stessa elargisce o dissipa con noncuranza, conosciuta e amata in tutto il mondo, ma restia a concedersi. Sono convinta che proprio questi tempi di mondializzazione siano i più propizi affinché la nostra Sicilia vada oltre i propri confini per ingegno, per la qualità crescente dei suoi prodotti, per l’incanto paesaggistico e storico-culturale, per l’arte e la letteratura, tra le maggiori del ‘900, ed è proprio ciò che la Banca Popolare Sant’Angelo, che l’anno prossimo, nel 2020, festeggerà i suoi 100 anni, cerca di fare quotidianamente, nel suo àmbito, con ogni cliente e con ogni impresa, per cercare di trasformare le nostre immense potenzialità in realtà. Il futuro? Vediamo se riuscite a intuire ciò che mi frulla in testa dalle foto realizzate e scelte da Pucci in questo suo bel volume!

in what we would like to happen, and steadfast and determined thanks to that strength and that natural energy that come from age and the fascinating immensity of the future that heals and overcomes everything. Already at university, I realized that those principles and values, challenged during my high school years, resurfaced intact, as if they had wisely hidden themselves for a while, waiting for maturity (with hindsight) that perhaps came early. After university I went to work in a bank. The transition was natural and challenging at the same time, because my studies and education were essential, but work immediately required for them to be transformed, to change skin immediately, and to become the vehicle for doing more than theoretical tinkering and designing unrealizable models. Can you guess, from these few lines, that I am one of the most pragmatic, concrete, and effective people I’ve ever met? Of course, sometimes, precisely for this reason, I happen to think of the title of a novel by Herta Muller which translates as This Morning I Would Have Preferred Not to Meet Myself. My life? Intense, very demanding, full of difficult decisions and increasing responsibilities; but I can’t imagine any other. A dream come true? To be able to live and work in Sicily, in the land I love, to which I belong by nature and by choice. To be a banker in Sicily is much more than being a banker in the usual sense, because Sicily is a complex and fascinating creature, one of the oldest and wisest in the world, but sometimes as irrepressible and unpredictable as a mysterious deity, rich in treasures, beauty, and talents that she gives or wastes with carelessness, known and loved throughout the world, but reluctant to surrender herself. I am convinced that these very times of globalization are the most promising for Sicily to go beyond its borders with ingenuity, the increasing quality of its products, the magic of its landscapes, history and culture, and art and literature, among the greatest of the twentieth century. This is precisely what the Banca Popolare Sant’Angelo, which next year, in 2020, will celebrate its 100th anniversary, tries to do every day, in its field, with every client and every business, to try to turn our immense potential into reality. The future? Let’s see if you can guess what thoughts are racing through my mind as I look at the photos taken and chosen by Pucci for this beautiful book!

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Amo la mia terra, non ho mai voluto abbandonarla spinta sempre dalla convinzione che anche qui fosse stato possibile coltivare il sogno di poter svolgere il mestiere che ami senza rinunciare alle bellezze straordinarie di queste terra. Ho un rapporto viscerale con questa isola, da milazzese e da eoliana d’adozione, (ci vado ogni anno da 40 anni), rapita da ogni angolo della Sicilia. Ne adoro la storia, la cultura, gli odori e i sapori e perfino le contraddizioni. Appena laureata tutti mi dicevano che se volevo sfondare in TV, avendo da sempre preferito il giornalismo televisivo

I love my land. I have never wanted to leave it, always driven by the belief that here too it was possible to cultivate the dream of being able to do the job you love without giving up to the extraordinary beauty of this land. I have a visceral relationship with this island, as someone born in Milazzo and now Aeolian by adoption, (I’ve been going there every year for 40 years). I am enraptured by every corner of Sicily. I love the history, culture, smells, and flavors and even the contradictions. As soon as I graduated, everyone told me that if I wanted to break through on

e la conduzione, dovevo trasferirmi a Milano, e in effetti forse avevano ragione ma oggi non me ne pento... sono una donna soddisfatta a livello professionale, sono orgogliosa di questa scelta, mi nutro della positività della mia terra e sono una donna felice... Mi ha sempre colpito una frase del grande Pino Caruso quando dice che “in Sicilia c’è tutto, è il resto che manca”. È vero. E il mio sogno è che un giorno quel resto arrivi perché la Sicilia è meravigliosa, ma non ci curiamo di saperlo come disse Federico secondo...

TV, since I have always had a preference for television journalism and management, I had to move to Milan, and maybe they were right but today I do not regret it. I’m a woman professionally satisfied, I’m proud of it, I tap into the positivity of my land and I am a happy woman. I was always struck by a phrase of the great Pino Caruso when he said that “in Sicily there is everything, it is everything else that is missing.” It’s true, and my dream is that one day that everything else will come too, because Sicily is wonderful but we do not care to know it, as Frederick II said.

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Solo adesso che sono una donna ho la consapevolezza del fatto che per me essere siciliana, essere nata a palermo e quindi essere cresciuta avvolta da un tripudio di profumi, sapori, arte e colori mi ha condizionato l’intera esistenza, come donna,come attrice ma anche come madre. Certo che se io fossi nata a bolzano non sarei stata la stessa roberta ! Quando arrivo al sud i miei occhi sentono una luce diversa quasi desertica, a volte questa luce può essere abbagliante, accecante come lo è stata con me tante volte, motivo per cui sono letteralmente scappata da questa città piena di contraddizioni per natura, forse un po’ mi rispecchio in lei... Palermo spesso non mi ha saputa accogliere in modo “sano”.

Only now that I am a woman am I aware of the fact that, for me, to be Sicilian, to be born in Palermo and then be raised wrapped in a feast of scents, flavors, art, and colors has influenced my entire life, as a woman, as an actress, but also as a mother. Of course, if I had been born in Bolzano, I wouldn’t have been the same person! When I arrive in the South my eyes feel a different light, almost like that of the desert; at times this light can be dazzling, blinding as it has been to me so many times, which is why I literally escaped from this city full of contradictions by nature. Perhaps I see myself a little in it... Palermo has not often welcomed me in a “healthy” way.

Roberta A volte però questa luce può essere dolce e ti cattura l’anima come fossi di sua proprietà, ti culla, ti coccola e tu vorresti non andar più via . Ma non posso devo fuggire e scappare dalla bocca del leone !

Other times, however, this light can be sweet, and captures your soul as if you belonged to it; it cradles you, cuddles you and you would never want to leave. But I can’t. I have to run away and escape from the lion’s jaws!

Qui però ho i miei genitori, la mia sorellina, la mia nonnina, i miei zii e i cugini che mi aiutano a non perdere il contatto profondo con me stessa e con la bambina che c’è in me. In fondo mi capita di ritornare perché ho un urgente bisogno di sentire.

But here I have my parents, my little sister, my grandmother, my uncles, and cousins who help me not to lose the deep contact with myself and with the child in me. After all, I happen to come back because I have an urgent need to “feel.”

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Maria Giovanna Gulino

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Amo concretezza, correttezza e sincerità nella vita lavorativa e relazionale: il mio rapporto con la Sicilia è di forte contraddizione: Amore ed Avversione, Bellezza e Delusione, Dipendenza e Distacco. La mia terra la sogno profondamente diversa da come è, ma questo dipende da noi. Il mio vissuto all’estero e la mia mentalità aperta a culture diverse per certi versi mi fanno sentire un’aliena, e per altri mi spronano ad impegnarmi nel quotidiano per poter contribuire ad un cambiamento.

I love concreteness, fairness, and sincerity in both my professional and relational life: my relationship with Sicily is extremely contradictory: love and aversion, beauty and disappointment, dependence and detachment. My dream land is profoundly different from how it is, but it depends on us. My experience abroad and my openness to different cultures in some ways make me feel like an alien, and in others drives me to engage in daily life to contribute to change.

Maria Giovanna Il mare, i profumi, la luce di questa terra mi appartengono: in un sogno di perfezione penso che questa terra potrebbe essere unica, una terra del fare e non del distruggere, una terra che premia chi si impegna e che lavora per produrre ricchezza, una terra di meritocrazia, una terra dove la cultura vera, la storia e le passioni si fondono nell’amore che ognuno di noi nutre verso il bello, una terra dove il sapere è il pilastro portante delle relazioni: vorrei che fosse

The sea, the scents, and the light of this land are a part of me: in a dream of perfection I think that this land could be unique, a land of action and not of destruction, a land that rewards those who work to produce wealth and that works to produce wealth, a land of meritocracy, a land where true culture, history and passions merge in the love that each of us nurtures for beauty, a land where knowledge is the cornerstone of relationships: I wish this were my land!

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Marcella

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Il mio rapporto con la Sicilia è un rapporto viscerale, un po’ di amore/odio, come quei sentimenti contrastanti che sono due facce della stessa medaglia. Negli anni ‘80 mi trasferii a Ferrara e lì ho iniziato la mia vita lavorativa e di relazioni, ma il ricordo della mia terra, sebbene fosse in quegli anni martoriata da fatti di cronaca, non mi abbandonava, anche se un po’, ne avevo timore. Poi, sono tornata. Per amore di un uomo, mio marito. Ma, appena tornata, quegli odori, quei colori, mi hanno inebriata ed ho capito che i grandi Amori, seppur sopiti dal tempo e dalle circostanze, non finiscono mai. E basta uno scorcio, a farti nuovamente innamorare. Come quello di un piccolo b&b a Salina, la mia isola del cuore. Ci andavo spesso, anni fa. Adesso, però, non esiste più. Quando mi resi conto che non avrei più dormito in quella stanza dalla quale, aprendo soltanto le imposte, entrava letteralmente la luce ed il mare, ho sentito forte una fitta al petto, come un dolore fisico. La bellezza, la semplicità di quel posto, mi aveva sempre incantata. Salina, con i suoi contrasti, i suoi colori ‘forti’, la terra nera, la vegetazione di un verde intenso ed il mare blu profondo sono per me la più bella ‘sintesi’ di questa terra che dona magia agli occhi e riempie il cuore.

My relationship with Sicily is a visceral on: a bit of love and hate, like those contrasting feelings that are two sides of the same coin. In the ‘80s I moved to Ferrara, and there I started my career and relationships, but the memory of my land, though it was a land in those years tormented by bad news, did not leave me, even though I was a little afraid of it. Then I came back. For the love of a man, my husband, but immediately returning those smells, those colors, I was intoxicated and I understood that great loves, though subdued by time and circumstances, never end. And all it takes is a glimpse to make you fall in love again. Like a small B&B on Salina, the island of my heart. I used to go there often, many years ago, but it’s closed now. When I realized that I would no longer sleep in that room where, simply opening the shutters, the light and the sea would penetrate, I felt a strong pang of pain in the chest, almost a physical pain. The beauty and simplicity of that place had always enchanted me. Salina, with its contrasts, its bold colors, the black earth, the vegetation of an intense green, and the deep blue sea, are, for me, the most beautiful “synthesis” of this land, which fills the eyes with magic and overwhelms the heart.

Marcella Cannariato

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Natalia

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Sicilia bella, Sicilia cara, Sicilia mia.

Beautiful Sicily, dear Sicily, Sicily of mine.

Abbiamo uno strano rapporto io e te. Alcune volte ci cer-

You and I have a strange relationship. Sometimes we look for each other, and other times we push one another away. But in the end, the force that brings us together is stronger than our desire to stay apart. That is why, you and I, my beautiful Sicily, are once again sharing spaces, emotions, smells, colors, lights and flavors. Mondello, Pantelleria, Stromboli, Gratteri, Cefalù...oh Cefalù, with you I have such a special relationship, as when we are together, I feel serene, inspired and free.

chiamo, altre, ci respingiamo. Ma alla fine, il cercarsi, vince sempre sul respingersi e così, da qualche tempo a questa parte, io e te, Sicilia bella, abbiamo ripreso a condividere spazi, emozioni, odori, colori, luci e sapori. Mondello, Pantelleria, Stromboli, Gratteri, Cefalù...oh Cefalù, il rapporto che ho con te è speciale, tu mi rassereni, mi ispiri e mi liberi. È proprio vero, Sicilia cara, in fondo io e te ci apparteniamo, siamo congiunte da un legame che difficilmente potrà dissolversi, in quanto tu, Sicilia mia, ovunque io sia, scor-

Overall it’s true, dear Sicily, in the end, you and I belong together; we are joined by a bond that can hardly fade away, because Sicily of mine, no matter where I’ll end up being, you will always flow in my veins.

rerai sempre nelle mie vene.

Natalia Fici

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Francesca di Carrobio Amministratore Delegato di Hermés Italie e Direttore Generale delle filiali di Grecia e Turchia. Nata a Losanna nel 1961 da genitori italiani. Si trasferisce in Belgio con la famiglia. Intraprende gli studi in Scienze Politiche e si laurea all’Université Catholique de Louvain la Neuve. Nel 1987 anno di apertura del primo flagship store a Milano viene chiamata in Italia da Hermès come Responsabile Ufficio Stampa la sua carriera si sviluppa in contemporanea con lo sviluppo della filiale Hermès Italia. Riceve nel 2013 dall’Ambasciata di Francia la “Medaille de l’Ordre du Merite”. Curiosa ed effervescente di natura, è da sempre attenta attiva con diversi incarichi istituzionali tra cui Membro del consiglio Direttivo di Indicam, Istituto creato da Centromarca per la lotta alla contraffazione; Membro del Consiglio di Civita, associazione attiva nella promozione dei beni e delle attività culturali; Membro dell’Advisory Board per la responsabilità sociale delle imprese di Assolombarda; Socio dell’associazione Mondo IULM. Università IULM, Membro del Consiglio del Museo Poldi Pezzoli di Milano.

Managing Director of Hermés Italie and General Manager of the branches in Greece and Turkey. Born in Lausanne in 1961 to Italian parents. He moved to Belgium with her family. She began her studies in Political Sciences and graduated at the Université Catholique de Louvain la Neuve. In 1987, the year in which the first flagship store was opened in Milan, Hermès was called to Italy as Press Office Manager. Her career developed simultaneously with the development of the Hermès Italia branch. In 2013 she received the “Medaille de l’Ordre du Merite” from the French Embassy. Curious and sparkling by nature, she has always been attentive and active with various institutional positions, including a Member of the Directive Council of Indicam, an institute created by Centromarca for the fight against counterfeiting; Member of the Civita Council, an association active in the promotion of cultural assets and activities; Member of the Advisory Board for corporate social responsibility of Assolombarda; Member of the Mondo IULM association. IULM University, Member of the Council of the Poldi Pezzoli Museum in Milan.

Antonio Calabrò Giornalista e scrittore (Patti, 1950), vive e lavora a Milano. È direttore della Fondazione Pirelli, Vicepresidente di Assolombarda, Presidente di Museimpresa e della società editrice de “Il Cittadino” e membro dei board di una serie di società e fondazioni (Nomisma, Touring Club, Associazione delle aziende familiari, Centro per la cultura d’impresa, Unipolis, Orchestra Verdi, etc.).

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Journalist and writer (Patti, 1950), lives and works in Milan. He is director of the Pirelli Foundation, Vice President of Assolombarda, President of Museimpresa and of the publishing company of “Il Cittadino” e membro dei board di una serie di società e fondazioni (Nomisma, Touring Club, Associazione delle aziende familiari, Centro per la cultura


È stato Direttore editoriale del Gruppo “Il Sole24Ore” e Direttore dell’agenzia di stampa “ApCom” e del settimanale “Lettera finanziaria”. Ha lavorato a “la Repubblica”, “Il Mondo” e “L’Ora”. Scrive di cultura d’impresa su “Huffington Post” e di libri sul “Giornale di Sicilia”, “Il Piccolo”, “La Nuova Sardegna”. Insegna alle Università Cattolica di Milano. Tra i suoi libri: “Agnelli - Una storia italiana”, Rizzoli 2004; “Orgoglio industriale”, Mondadori, 2009; “Bandeirantes - Il Brasile alla conquista dell’economia mondiale”, Laterza 2011 (con Carlo Calabrò); “La morale del tornio”, Università Bocconi Editore, 2015, “I mille morti di Paler-

d’impresa, Unipolis, Orchestra Verdi, etc.).. He was Editorial Director of the “Il Sole24Ore” Group and Director of the “ApCom” news agency and of the weekly “Lettera finanziaria”. He worked in “la Repubblica”, “Il Mondo” and “L’Ora”. He writes about corporate culture on “Huffington Post” and books on the “Giornale di Sicilia”, “Il Piccolo”, “La Nuova Sardegna”. He teaches at the Catholic University of Milan. Among his books: “Agnelli - Una storia italiana”, Rizzoli 2004; “Orgoglio industriale”, Mondadori, 2009; “Bandeirantes - Il Brasile alla conquista dell’economia mondiale”, Laterza 2011 (with Carlo Calabrò); “La morale del tornio”,

Felice Cavallaro mo”, Mondadori 2016 e “L’impresa riformista”, Università Bocconi Editore 2019. Felice Cavallaro ha seguito sin dagli anni Settanta per il Corriere della Sera soprattutto cronache e grandi processi di mafia. Nato a Grotte, in provincia di Agrigento, ha affetti e radici nel paese di Leonardo Sciascia, Racalmuto. Ha cominciato la sua attività frequentando il giornale L’Ora, a Palermo. Ha lavorato per diciotto anni al Giornale di Sicilia e, contemporaneamente, come corrispondente del Corriere della Sera dove è poi transitato, da inviato speciale. È stato inviato negli Usa, in Libia, Tunisia, Marocco, Pakistan, Iraq. Ha scritto numerosi libri fra i quali “Mafia, Album di Cosa Nostra” per Rizzoli, “La guerra dei giusti” per Mondadori, “Il caso Contrada” per Rubbettino, “Vi perdono ma inginocchiatevi” e “Oltre il buio” con Rosaria Schifani, “Il corag-

Università Bocconi Editore, 2015, “I mille morti di Palermo”, Mondadori 2016 and “L’impresa riformista”, Bocconi University Publisher 2019. Felice Cavallaro has been following the Corriere della Sera since the seventies above all with chronicles and major mafia trials. Born in Grotte, in the province of Agrigento, he has affections and roots in the country of Leonardo Sciascia, Racalmuto. He started his activity attending the newspaper L’Ora, in Palermo. He worked for eighteen years at the Giornale di Sicilia and, at the same time, as correspondent of the Corriere della Sera where he then passed, as a special correspondent. He was sent to the USA, Libya, Tunisia, Morocco, Pakistan, Iraq. He has written numerous books including “Mafia, Album of Cosa Nostra” for Rizzoli, “La guerra dei giusti” for Mondadori, “Il caso Contrada” for Rubbettino, “Vi perdono ma

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gio e l’esempio”. Nel maggio 2012 ha realizzato per la Rai il documentario “Ho vinto io”. Nel novembre 2019 per la casa editrice Solferino ha pubblicato “Sciascia, l’eretico”, un affresco sulla vita dello scrittore a trent’anni dalla scomparsa. Autore di numerose opere teatrali, è stato docente a contratto all’Università di Palermo. Componente per molti anni del Consiglio di amministrazione della Fondazione Leonardo Sciascia. Membro del consiglio di amministrazione della Fondazione Federico II con sede a Palazzo dei Normanni, Palermo. Promotore di progetti culturali finalizzati al rilancio sociale, culturale ed economico della Sicilia, protagonista di un forte impegno che ruota attorno ai luoghi natii di Sciascia, Pirandello, Camilleri e tanti altri autori, ha ideato e dirige la “Strada degli scrittori”.

inginocchiatevi” and “Oltre il buio” with Rosaria Schifani , “Il coraggio e l’esempio”. In May 2012 he made the documentary “Ho vinto io” for Rai. In November 2019 for the Solferino publishing house he published “Sciascia, the heretic”, a fresco on the life of the writer thirty years after his death. Author of numerous plays, he was a lecturer at the University of Palermo. Member of the Leonardo Sciascia Foundation Board of Directors for many years. Member of the board of the Federico II Foundation based in Palazzo dei Normanni, Palermo. Promoter of cultural projects aimed at the social, cultural and economic revival of Sicily, the protagonist of a strong commitment that revolves around the native places of Sciascia, Pirandello, Camilleri and many other authors, he conceived and directs the “Strada degli scrittori”.

Gaetano Savatteri Gaetano Savatteri, nato a Milano nel 1964 da genitori di Racalmuto, cresciuto in Sicilia, vive a Roma. Giornalista, ha iniziato giovanissimo a lavorare a Palermo. Ha scritto saggi e romanzi. Ha pubblicato, tra l’altro, con Sellerio: “La congiura dei loquaci” (2001); “La ferita di Vishinskij” (2003); “Gli uomini che non si voltano” (2006); “Uno per tutti” (2008); “La fabbrica delle stelle” (2016). Per l’editrice Laterza è autore di “Non c’è più la Sicilia di una volta” (2017) e curatore di “Potere criminale”, “Intervista sulla storia della mafia” di Salvatore Lupo (2010) e, ancora, de “Il contagio” di Giuseppe Pignatone e Michele Prestipino (2012). Cronista a Matrix, è direttore artistico a Lamezia Terme di “Trame, festival di libri sulle mafie”.

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Gaetano Savatteri, born in Milan in 1964 from parents of Racalmuto, who grew up in Sicily, lives in Rome. Journalist, he started working in Palermo very young. He has written essays and novels. He has published, among other things, with Sellerio: “La congiura dei loquaci” (2001); “La ferita di Vishinskij” (2003); “Gli uomini che non si voltano” (2006); “Uno per tutti” (2008); “La fabbrica delle stelle” (2016). For the editor Laterza is the author of “Non c’è più la Sicilia di una volta” (2017) and curator of “Potere criminale”, “Intervista sulla storia della mafia” by Salvatore Lupo (2010) and, again, de “Il contagio” by Giuseppe Pignatone and Michele Prestipino (2012). Reporter at Matrix, he is the artistic director in Lamezia Terme of “Trame, festival di libri sulle mafie”.


Giuseppe Sottile Giuseppe Sottile ha lavorato per 23 anni a Palermo. Prima a “L’Ora” di Vittorio Nisticò, per il quale ha condotto numerose inchieste sulle guerre di mafia, e poi al “Giornale di Sicilia”, del quale è stato capocronista e vicedirettore. Dopo undici anni vissuti intensamente a Milano, – è stato caporedattore del “Giorno” e di “Studio Aperto” – è approdato al “Foglio” di Giuliano Ferrara. E lì è rimasto per curare l’inserto culturale del sabato. Per Einaudi ha scritto anche un romanzo, “Nostra signora della Necessità”, pubblicato nel 2006, dove il racconto di Palermo e del suo respiro marcio diventa la rappresentazione teatrale di vite scellerate e morti ammazzati, di intrighi e tradimenti, di tragedie e sceneggiate. Un palcoscenico di evanescenze, sul quale si muovono indifferentemente boss di Cosa nostra e picciotti di malavita, nobili decaduti e borghesi lucidati a festa, cronisti di grandi fervori e teatranti di grandi illusioni. Tutti alle prese con i misteri e i piaceri di una città lussuriosa, senza certezze e senza misericordia.

Giuseppe Sottile worked for 23 years in Palermo. First at “L’Ora” by Vittorio Nisticò, for which he conducted numerous surveys on the mafia wars, and then at the “Giornale di Sicilia”, of which he was editor-in-chief and deputy director. After eleven years of intense experience in Milan, - he was editor-in-chief of the “Giorno” and of “Studio Aperto” - he landed on Giuliano Ferrara’s “Foglio”. And he stayed there to take care of the Saturday cultural insert. For Einaudi he also wrote a novel, “Nostra signora della Necessità”, published in 2006, where the story of Palermo and of its rotten breath becomes the theatrical representation of wicked lives and murder victims, of intrigues and betrayals, of tragedies and dramas. A stage of evanescence, on which there are indifferently bosses of Cosa Nostra and “picciotti” of underworld, decayed and bourgeois nobles polished to party, chroniclers of great fervor and theatricals of great illusions. All grappling with the mysteries and pleasures of a lustful city, without certainties and without mercy.

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Pucci Scafidi

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Nasce a Palermo nel 1969. Segue le orme del padre fotografo. Da professionista collabora con riviste italiane e straniere realizzando diverse mostre in tutto il mondo: “La Sicilia dei Gattopardi” a Tokyo; “Un Popolo in Cammino” a New York; “Tres puntos de vista sobre Sicilia” a Buenos Aires; “Favolosa Palermo” per Hermès presso la Galleria d’Arte Moderna di Palermo. Nel 2015 esegue la regia del docu-film “Terra Madre” narrato dalla voce di Giancarlo Giannini e proiettato a Milano in occasione dell’EXPO 2015. Tra le sue pubblicazioni: “Eolie”, “Gusto Siciliano”, “Pantelleria”, “Tradizioni di Famiglia”, “Targa Florio”, “Bedda Fuddia”, “I Luoghi della nobiltà”, “Favolosa Palermo”, “Sicily my Life”, “La Sicilia degli Scafidi”, “Terra Madre”, “Le Isole dell’Isola”, “Olio Nostrum”, “Pantelleria, Il Gusto delle Contrade”, “Sua Altezza Palermo”, “Sopra i tetti”, “Il sapore della rinascita”. Vive a Palermo. Nel suo studio, nel cuore della città, le idee si animano e prendono forma accogliendo il contributo artistico ed intellettuale delle figure più eminenti del panorama culturale contemporaneo.

Was born in Palermo in 1969. Following in his father’s footsteps. He collaborated for the most important Italian newspapers and realized photographic exibition all over the world: “La Sicilia dei Gattopardi” in Tokyo; “Un Popolo in Cammino” in New York; “Tres puntos de vista sobre Sicilia” in Buenos Aires; “Favolosa Palermo” for Hermès in Modern Art Gallery in Palermo. In 2015, he directed the docu-film “Terra Madre” narrated by Giancarlo Giannini and screened in Milan on the occasion of EXPO 2015. The most important publications are: “Eolie”, “Gusto Siciliano”, “Pantelleria”, “Tradizioni di Famiglia”, “Targa Florio”, “Bedda Fuddia”, “I Luoghi della nobiltà”, “Favolosa Palermo”, “Sicily my Life”, “La Sicilia degli Scafidi”, “Terra Madre”, “Le Isole dell’Isola”, “Olio Nostrum” , “Pantelleria, Il Gusto delle Contrade”, “Sua Altezza Palermo” , “Sopra i tetti”, “Il sapore della rinascita”. He lives in Palermo. In his studio, in the heart of the city, ideas are animated and shaped by welcoming the artistic and intellectual contribution of the most eminent figures of the contemporary cultural scenery.

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FIMMINA

Fotografie di Pucci Scafidi Fotografie di Pucci Scafidi impaginazione Gabriele Esposito / Pucciscafidi.com segreteria di produzione Cristina Scarlet Traduzione Joe Calio Palermo novembre 2019 Si ringraziano: Giornale di Sicilia, Piante Faro, Ferramenta, Villa Adriana, Giglio.com, Brass Group, Real Teatro Santa Cecilia, Natale Giunta, Mediacom, Donna Carmela, Andros, Clinica Candela, Ma.Vi., Nuova Sport Auto, Firriato, Terrazze dell’Etna, Fondazione Witacher, Banca Sant’Angelo, Locorotondo, Palazzo Natoli, Fineco, Palazzo Asmundo di Gisira, Buttanissima Sicilia, Premiati Oleifici Barbera, Visiva, Orto Botanico. Un particolare ringraziamento: Francesca di Carrobio, Antonio Calabrò, Felice Cavallaro, Gaetano Savatteri, Giuseppe Sottile, Marida Berlingeri, Enrica Parisi, Fabio Lannino, Ignazio Garsia, Fabio Giambrone, Salvo Pogliese, Giuseppe Pagoto, Germana Nasta, Maria Alda Berlingieri, Federica Drago, Stefania Filosto, Marco Giammona, Raffaele Bonsignore, Paolo Inglese, Antonella Cataldo. Ringrazio Stefania Auci, Giorgia Allegra, Celeste Bertolino, Marcella Cannariato, Barbara Cittadini, Alessia Bevilacqua, Jennifer Casa, Maria Grazia Cucinotta, Ines Curella, Irene Di Gaetano Firriato, Patrizia Di Benedetto, Patrizia Di Dio, Silvia Dragotta , Carmela Faro, Lavinia Fici, Natalia Fici, Mariella Gennarino, Maria Giovanna Gulino, Nadia La Malfa, Roberta Procida, Alessia Sottile, tutte le mie Fimmine che hanno contribuito -dedicandomi il loro prezioso tempo- per la realizzazione del mio libro. © Pucciscafidi.com S.r.l. Tutti i diritti di riproduzione, anche parziale del testo e delle immagini, sono riservati in tutto il mondo. www.pucciscafidi.com

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