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Meise

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Kaouenn

Kaouenn

Un ep omonimo e la paura di essere frainteso: il giovane cantautore tra le opportunità della comunicazione e le speranze per il futuro

l’intervista

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“Meise non è altro che l’esternazione dei miei sentimenti, senza la paura di essere giudicato o frainteso”: così ti presenti in sede di comunicato stampa. Quindi la paura di essere giudicato o frainteso caratterizza la tua vita “non artistica”?

Sicuramente sono più attento a cosa dico, con le canzoni posso anche comunicare tra le righe mentre durante la vita di tutti i giorni a volte si è anche troppo impegnati dal lavoro o dallo studio per parlare dei propri sentimenti.

Ci racconti la genesi dell’ep “Meise”?

Rappresenta una parte di me di cui volevo parlare e che non ho mai fatto prima. Ho “sfruttato” un periodo dove forzatamente dovevo stare a casa per registrare i provini e trovare Grifo Dischi.

Racconti le canzoni dell’ep come una sorta di terapia contro i disagi del lockdown. Ti sei rimesso a scrivere anche durante la seconda ondata? E funziona ancora allo stesso modo?

Scrivo ogni volta che mi viene in mente qualcosa da dire, non funziona allo stesso modo altrimenti rifarei lo stesso ep con le stesse emozioni. Dipende da quello che sto vivendo nel momento in cui scrivo, credo, cerco comunque di imprimere il mio mood nella maniera più coerente possibile.

Tre nomi di artisti italiani che ti piacciono particolarmente?

Non ho un grande cultura musicale italiana, direi i Tre Allegri Ragazzi Morti, Young Miles, Taxi B. Altri nomi non mi vengono in mente ma semplicemente perché non ascolto spesso musica italiana, mi piace molto la scena alternativa estera.

Che cosa ti aspetti dal 2021?

Spero di poter andare avanti con il mio percorso e scrivere ancora, vorrei anche esibirmi dal vivo.

BEPPE CUNICO

“Passion, Love, Heart & Soul” è l’ultimo lavoro del musicista, influenzato dal prog ma con brani basati sull’oggi

l’intervista

Ci presenti il tuo progetto? Il progetto nasce per dar voce e musica alle sensazioni provate durante il concerto di Steven Wilson del 26 aprile 2016, al Rossetti di Trieste. Quella serata magica mi ha trasformato in un cantautore. E da li è iniziato un percorso molto impegnativo. Da bat-

terista prima e sound engineer poi, ho iniziato a studiare chitarra e canto. comporre le canzoni, sfruttando ogni frame libero della giornata.

Le canzoni che scrivi nascono spesso da esperienze personali dirette. Trovi naturale raccontare di te o ti trovi meglio a scrivere di storie altrui?

Sicuramente interpretare le mie esperienze mi riesce più coinvol-

gente, perché vengono dal profondo. Poi alcune storie riguardano altri, ma in ogni modo sono fatti che mi hanno colpito e quindi fatto riflettere e prendere una posizione al riguardo.

Ci racconti qualcosa di più di “Silent Heroes”, primo singolo del disco?

Dopo aver completato la pre-produzione a casa di circa 20 brani, ho scelto le 10 da mettere in “bella copia”. Ma appena vista l’ultima puntata della serie HBO su Chernobyl, ho preso la mia Martin e composto di getto musica e testo di Silent Heroes. A distanza di anni ho rivissuto quei momenti, ma con una consapevolezza molto maggiore della gravità dell’accaduto e mi ha fatto riflettere sullo spirito altruista e di abnegazione delle persone semplici e di come il regime mentisse alla popolazione, per puro ego imperialista. Ad ogni modo, le stesse parole valgono anche per gli attuali schieramenti politici, dove la menzogna, l’avidità e la corruzione dilagano e a farne le spese è sempre il cittadino onesto.

Ti ispiri apertamente al prog degli anni ‘70. Non c’è niente che salveresti della musica di oggi?

C’è sempre buona musica da salvare, basta cercare. Sicuramente le major e i network promuovono principalmente brani usa e getta, dove importanti sono l’estetica, le visualizzazioni e NON la qualità artistica e la ricerca sonora. Fare musica suonata e ricercata comporta impegno e tempo e solo pochi hanno la voglia di cimentarsi e poi di questi tempi, molti sono frenati dalla precarietà insita nel mondo attuale della musica.

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