Il Signor Bruschino

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IL SIGNOR BRUSCHINO Accademia di Belle Arti di Urbino + Rossini Opera Festival


IL SIGNOR BRUSCHINO

Accademia di Belle Arti di Urbino + Rossini Opera Festival 2012


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http://www.accademiadiurbino.it

Direttore Sebastiano Guerrera Uffici Direttore amministrativo Massimo Castellucci Direttore di Ragioneria Amneris De Angeli Segreteria del Personale Antonio Pruscini Segreteria didattica Maria Antonia Galeone Biblioteca Anna Fucili Consiglio di amministrazione Vittorio Sgarbi (Presidente) Cecilia Casadei (Vice Presidente) Sebastiano Guerrera (Direttore) Davide Rossi (Provincia di Pesaro e Urbino) Luigi Carboni (Docente) Massimo Castellucci (Segretario) Marinella Marinelli (Studente)

Consiglio accademico Sebastiano Guerrera (Direttore) Docenti Massimo Ceccarelli Enrico Ferdinando Londei Gianluca Muraseccchi Umberto Palestini Teresa Sorgente Massimo Tosello Studenti Erica Montorsi Michele Margiotta Studenti della Scuola di Scenografia che hanno aderito al progetto Valentina Azzarito Alberto Cannoni Francesco Cuomo Marco Fieni Valeria Intilangelo Sara Lenci Marina Manfredi Giorgi Martina Santucci Melania Erica Montorsi Lucia Mussoni Filippo Pirrello Adriana Renzi Lorenzo Trucco Celia Sarah Zanghi


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Studenti del biennio specialistico Visual e Motion Design che hanno documentato il progetto Oya Aydin, Andrea Caliendi Antonio D’Elisiis Docenti dell’Accademia che hanno aderito al progetto Scenografia Francesco Calcagnini Laboratorio di progettazione e realizzazione per il costume Paola Mariani Laboratorio di pittura Rinaldo Rinaldi Etica della comunicazione Rossano Baronciani Con l’affettiva collaborazione di Fotografia Massimo Tosello Metodologia della progettazione Marcello Signorile

Accademia di Belle Arti di Urbino

Con il contributo di Piero Guidi P.G.H S.p.A Schieti di Urbino Fondazione Cassa di Risparmio di Pesaro


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Teatro Rossini 12, 15, 18 e 21 agosto, ore 20.00

Progetto luci Roberto Cafaggini

Farsa giocosa di Giuseppe Foppa Musica di Gioachino Rossini Edizione critica Fondazione Rossini/ Ricordi, a cura di Arrigo Gazzaniga

Interpreti Maria Aleida Chiara Amar첫 Andrea Vincenzo Bonsignore Francisco Brito Roberto De Candia David Alegret Carlo Lepore

Direttore Daniele Rustioni Regia Teatro Sotterraneo Scene e Costumi Scuola di Scenografia Accademia di Belle Arti di Urbino

Orchestra Orchestra Sinfonica G. Rossini


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Scuola di Scenografia Progetto Valentina Azzarito Francesco Cuomo Marco Fieni Martina Giorgi Valeria Intilangelo Sara Lenci Marina Manfredi Erica Montorsi Lucia Mussoni Filippo Pirrello Melania Santucci Lorenzo Trucco Celia Sarah Zanghi Disegni tecnici a cura di Marco Fieni Lucia Mussoni Filippo Pirrello Illustrazione cartelli Melania Santucci Valeria Intilangelo

Accademia di Belle Arti di Urbino

Progetto costumi Valentina Azzarito Martina Giorgi Valeria Intilangelo Sara Lenci Marina Manfredi Erica Montorsi Lucia Mussoni Adriana Renzi Melania Santucci Celia Sarah Zanghi WebDesign e WebContent Management Renato Alberti http://spritehat.net


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Laboratori e Sartoria del Festival + Scuola di Scenografia Realizzazione delle scene Laboratorio del Festival Capo macchinista costruzioni Massimiliano Peyrone

Realizzazione dei costumi Sartoria del Festival Responsabile di sartoria Paola Mariani Sartoria Lorenzo Zambrano Nunzia Angelini Elena Carbonari Giulia Giannino Rosalba Maffei

Macchinista costruzioni Michele Loguercio Lorenzo Martinelli Adel Al Rehaoui Walter Brecciaroli Giacomo Rinaldi

con la complice collaborazione di Ambra Schumacher Elisa Serpilli

Capo scenografo realizzatore Silvano Santinelli

Parrucche Mario Audello, Torino

Scenografi realizzatori Lidia Trecento Andrea Moriani Francesca Paltrinieri Anna Gioia

Attrezzeria Laboratorio del Festival

Calzature Calzature Pompei, Roma


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Realizzazione delle scene Scuola di Scenografia Alberto Cannoni Francesco Cuomo Marco Fieni Filippo Pirrello Lorenzo Trucco

Accademia di Belle Arti di Urbino

Oltre al Sovrintendente Gianfranco Mariotti e al Direttore artistico Alberto Zedda un ringraziamento particolare alla Direzione tecnica del Rossini Opera Festival

Pittura di scena Valentina Azzarito Valeria Intilangelo Sara Lenci Marina Manfredi Giorgi Martina Erica Montorsi Lucia Mussoni Adriana Renzi Melania Santucci Celia Sarah Zanghi

Direzione tecnica Mauro Brecciaroli

Elaborazione costumi Marina Manfredi Melania Santucci Celia Sarah Zanghi Valentina Azzarito

Produzioni e Relazioni esterne Segreteria artistica Francesca Battistoni

Coordinamento produzione Erica Montorsi Documentazione video Oya Aydin Andrea Caliendi Antonio D’Elisii

Coordinamento tecnico Claudia Falcioni Ufficio tecnico Katia Ugolini Assistente del Sovrintendente Maria Rita Silvestrini

Responsabile Segreteria artistica Sabrina Signoretti Edizioni e Archivio storico Carla Di Carlo


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Analisi logica 16 giugno 2012

di Francesco Calcagnini Soggetto (ANZI) sOGGETTI Il Rossini Opera Festival è il Rossini Opera Festival. L’Accademia di Belle Arti di Urbino è un’Accademia dal passato recente che ha attraversato le esperienze artistiche più diverse, dall’Arte Povera e dalla Pop Art degli esordi, per il concettuale e il postmoderno … fino all’attualità delle nuove tecnologie applicate all’arte. La scuola di Scenografia ivi contenuta ha costruito solidi legami con il territorio, cogliendo le migliori opportunità offerte dai più importanti teatri e dai festival internazionali. Geograficamente nel cuore di una rete di teatri, la scuola di Scenografia prepara professionisti per l’officina reale della scena favorendo

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un percorso didattico che comprende le maggiori conoscenze di tutte le fasi della progettazione e dell’allestimento dello spettacolo. Il Teatro Sotterraneo è un collettivo di ricerca teatrale formatosi a Firenze nel 2004. Con lo spettacolo 11/10 in apnea entra a far parte della Generazione Premio Scenario 2005. Negli anni successivi il gruppo produce nell’ordine: Post-it (2007), La Cosa 1 (2008), il Dittico sulla specie composto da Dies irae _ 5 episodi intorno alla fine della specie (2009) e L’origine delle specie _ da Charles Darwin (2010), La Repubblica dei bambini (produzione per l’infanzia, 2011) e Homo ridens (2011). Dal 2008 Teatro Sotterraneo fa parte del progetto Fies Factory curato da Centrale Fies e riceve il finanziamento annuale della Regione Toscana per giovani compagnie teatrali. Nel biennio 2008-2009 è sostenuto dal progetto ETI “Nuove Creatività”. Nel 2009 riceve il Premio Lo Straniero e il Premio Ubu Speciale,


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nel 2010 il premio Hystrio-Castel dei Mondi, nel 2011 il Silver Laurel Wreath Award al Mess Festival di Sarajevo per Dies irae _ 5 episodi intorno alla fine della specie e nel 2012 l’Eolo Award come miglior novità per La Repubblica dei bambini. Predicato Verbale L’Accademia di Belle Arti di Urbino e il Rossini Opera Festival hanno avviato un rapporto di collaborazione volto alla formazione degli studenti, al fine di favorire ed agevolare le loro scelte professionali mediante la conoscenza diretta del lavoro di produzione liricoteatrale e inoltre di realizzare momenti di alternanza tra studio e lavoro. Per questo la Scuola di Scenografia ha curato la progettazione delle scene e dei costumi, con la relativa parziale realizzazione dell’opera Il signor Bruschino di Gioachino Rossini prevista nel programma del Rossini Opera Festival 2012.

Il signor Bruschino / L’idea

Complemento oggetto In questo quaderno convergono contributi appunti e frammenti destrutturati. Solo le date provano a conferire automaticamente agli avvenimenti il loro carattere naturamente artificioso. L’oggetto in questione è Il signor Bruschino nel suo farsi.


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Dizionario minimo 15 giugno 2012

di Teatro Sotterraneo Dizionario minimo per la costruzione di un ipercollettivo, di un parco a tema e di altre cose non precisate. Il signor Bruschino: (farsa giocosa di Giuseppe Foppa e Gioachino Rossini) Nei pezzi che seguono non si parla di quest’opera se non in modo marginale. Questo dizionario minimo riguarda il lavoro e il legame che Teatro Sotterraneo ha sviluppato con l’Accademia di Belle Arti di Urbino. Rossini e il suo genio sono ragione, scopo e contesto di riferimento, ma li lasceremo sullo sfondo, come un graffito mentre cammini per strada, a tratti corri e a un certo punto prendi proprio l’autobus. Spaziotempo:(s.m.) Se rappresentassimo il lavoro fatto insieme in questi mesi come un video in fast-forward tutto cambierebbe continuamente: sfondo, luce, fisionomia delle persone. I nostri continui dialoghi sono in qualche modo una mappa: c’incontriamo la prima volta con Calcagnini a Milano, poi con tutti i ragazzi a Urbino, poi Erica ci raggiunge a Firenze, poi di nuovo ci vediamo tutti a Urbino dove ci raggiunge il sovrintendente Mariotti per parlarci delle profondità di Rossini, poi ci rivediamo a Urbino ed è la prima volta che vediamo il modellino, poi ci rivediamo con Calcagnini e alcuni dei ragazzi a Perugia semplicemente perché noi siamo in replica con uno spettacolo e quella è l’unica geografia possibile, quindi ci rivediamo a Pesaro per la presentazione e di seguito a Parma con Calcagnini ed Erica, per alcuni dettagli, per chiudere i conti, e infine di nuovo a Pesaro per visitare il laboratorio, il cantiere, il luogo dove viene costruito il mondo a cui abbiamo pensato insieme. Dimentichiamo qualcosa?

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Meteo: (s.m.) All’inizio ci siamo visti d’autunno, con gli alberi morenti. La prima presentazione a Pesaro fu annullata per neve, perché il paese era in emergenza e a dividerci c’era l’epicentro del freddo che comunemente chiamiamo Appennino. Adesso, giugno, i ragazzi sudano con le temperature già torride del capannone e al momento dei saluti ci siamo dati appuntamento ad agosto. Evidentemente i cicli climatici restano imperturbabili di fronte al nostro progetto. Collettivo: (s.m.) La prima cosa che abbiamo fatto presente a tutti è che noi Teatro Sotterraneo siamo un collettivo. Non c’è una gerarchia interna, c’è solo un’allenata capacità di ascolto e sintesi. Quindi parliamo come soggetto multiplo, cercando di mantenere sempre un alto grado di coerenza. Questo non ha spaventato né il ROF, ne tantomeno Calcagnini e i ragazzi dell’Accademia: anche loro sono un collettivo. Quindi il centro di tutto è quello che Jean-Luc Nancy chiama clinamen, la necessaria inclinazione dell’uno verso l’altro, attraverso l’altro, inclinazione dell’essere-con che costituisce ciò che siamo adesso: una comunità temporanea. Corpo-a-corpo: la comunità implica anche il conflitto. Non sappiamo immaginare le ferite lasciate nel lavoro dell’Accademia da ogni nostra scelta. Elementi delle scene che vengono rimossi, colori proposti che vengono modificati, esempi grafici e oggettuali che vengono negati. In qualche modo è un match suddiviso in diversi round, una lotta confusa con l’abbraccio come in un vecchio film di Pasolini di cui non ricordo il titolo e non importa. Noi come ‘regista collettivo’ abbiamo la visione e dobbiamo piegare le scelte alle leggi interne di quella visione. Loro come ‘scenografo collettivo’ hanno lo sguardo sui materiali e devono piegarlo alle leggi intrinseche delle cose.


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Dove sta la possibilità di traduzione e dialogo? Ancora non ci è chiaro, ma ci siamo parlati, spesso, molto, a fondo, con franchezza. Se Wittgenstein si domandava come è possibile condividere un dolore attraverso il linguaggio allora noi spostiamo un po’ la questione, perché un’opera d’arte è qualcosa che non esiste ancora: quindi come si fa a condividere col linguaggio qualcosa che non esiste? Forse alcuni neuro-scienziati potrebbero usarci come cavie, studiare i processi mentali, registrare le scariche elettriche, e chiedere un biglietto omaggio per la Generale. Telecomunicazioni: (s.f.p.) Cellulari standard, smartphone, skype (chat e telefonata), mail da n account, software di file sharing (wetransfer, dropbox), blog, sms, foto, video, youtube e potremmo continuare. Come facevano a fare questo mestiere 20 anni fa? Noi, noi due collettivi, abbiamo usato l’intera gamma delle tecnologie comunicative a nostra disposizione. Abbiamo prodotto un patrimonio virtuale di materiali, riferimenti, pensieri che per restituirlo oralmente servirebbe un simposio di un mese. E tutto questo è lì, da qualche parte nella rete, nei server, nelle sim e nelle smart – “oltre Benjamin”: non solo l’opera diventa tecnicamente riproducibile, ma anche l’insieme di gesti creativi che la precedono. Questo blog ha il merito di fermare qualcosa, come una capsula del tempo che potremo dissotterrare fra anni per capire se le nostre azioni erano figlie del nostro tempo o già cenni di futuro. Sarebbe affascinante darsi appuntamento al 12 agosto 2022 e ripercorrere questi appunti, sorridere, stupirsi, e ripensare a tutto. Merce: (s.f.) Che è esattamente ciò di cui parlavamo nel punto precedente. Il nostro Bruschino è ambientato in un parco-tematico, tempio assoluto della merce, luogo esatto del divertimento nel senso etimologico di de-vertere,

Il signor Bruschino / L’idea

habitat primario per il consumo e lo svago. Anche perché a noi sembrano “svagati”, i personaggi del Bruschino, ci parlano come gli automi di un meccanismo che si ripete compulsivamente, come gli scheletri che ti esplodono davanti nella galleria degli orrori del luna park: anche se il trenino che passa è vuoto, anche se siamo tutti fuori al sole e l’attrazione horror è deserta, lo scheletro scatta comunque, salta fuori, urla, oscilla, esercita un effetto paura fine a sé stesso. La merce, la Società dello Spettacolo, il mainstream, la mappa di loghi e griffe che condizionano i comportamenti, tutto questo è materia che ci parla dell’oggi, è materia in cui siamo immersi e che entra nel lavoro, ma colonizza anche le relazioni: quando avvertirò Calcagnini di aver scritto questo pezzo in fondo all’sms ci sarà scritto “inviato da iPhone”. Questo è il monstrum ma questo è il nostro tempo: e qui ci siamo incontrati, con Calcagnini, coi ragazzi, con l’immaginario che abbiamo in comune, con le forme di manipolazione che ci rendono simili: cittadini che per alcuni mesi condividono l’atto più inutile e necessario che la specie abbia mai compiuto: la creazione artistica. Fake, pop, re-enactment: (anglismi vari) Finzione, immaginario collettivo, copia, ancora una volta un dizionario per parlare del nostro tempo. Una volta un amico scrittore, durante un suo intervento a seminario, ci indicò sul fondo sala dicendo: sono convinto che se cerco la prima cosa che ho in comune coi ragazzi del Sotterraneo e che entrambi abbiamo con tutta la nostra generazione, il primo ricordo che ci accomuna tutti e ci permette di comunicare immediatamente, saltano fuori i cartoni animati con cui ci hanno bombardati da piccoli. C’è forse qualcos’altro di cui sia urgente parlare? Questo coi ragazzi è stato chiaro da subito: siamo arrivati con una serie di immagini, foto rintracciate su google,


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elementi immediati e d’immaginario collettivo (sic). Nel parlare a tutti loro abbiamo usato un vocabolario che restituisse la complessità di una riflessione su tutto questo e li abbiamo visti annuire, intuire, riconoscere il senso che cercavamo in questa operazione: il fattore non l’età anagrafica, è il tempo in cui siamo abituati ad agire ed essere agiti. Generazione: (s.f.) Però la vicinanza anagrafica aiuta, perché diventa vicinanza culturale automatica. Non abbiamo certo chiesto l’età di tutti, ma noi siamo sui 30 e loro sono universitari, la distanza è minima e i consumi culturali (e non) probabilmente affini. Questo di per sé non è una garanzia di comprensione reciproca, ma siamo

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convinti che ci sia qualcosa in quest’ultimo ventennio, qualche fenomeno profondo che rende i nati & cresciuti fra gli ’80 e i ’90 intuitivi nel rapportarsi gli uni agli altri. Forse è il puro Caos, ma sapere che ci siamo tutti abituati non è poco. Francesco Calcagnini: (nome proprio di persona: scenografo, docente, blogger, 1962-20??) Certe persone vivono attraverso le generazioni, sempre ancorati al tempo in cui si trovano, ed è un bene che costoro operino nel campo dell’arte e/o dell’insegnamento. Ha raccolto la sfida e la follia di avere noi come ‘regista multiplo’ in modo visionario e maniacale come piace a noi, e ci diverte ricordarlo con la sua prima frase al telefono: dovete dirci se


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io e i ragazzi possiamo esservi utili. Superfluo trascrivere la risposta. Formazione: (s.f.) o meglio: se avessi voluto fare lo scenografo avrei voluto studiare all’Accademia di Urbino in un progetto di Calcagnini come ad esempio Il Signor Bruschino. Se penso alla quantità di cose che stiamo imparando noi Teatro Sotterraneo con questo progetto posso immaginare che gli studenti stiano ricevendo altrettanto. Nel laboratorio li ho visti costruire davvero un parco tematico, li ho visti tirare su muri e insegne, poi saranno con noi in prova, si scontreranno coi problemi reali di una produzione e di un debutto, soffriranno con noi su ogni singolo intoppo. L’esperienza di un lavoro reale, lo stare faccia a

Il signor Bruschino / L’idea

faccia col rischio della sconfitta, le nostre pressanti richieste sull’adagio beckettiano fallire, fallire ancora, fallire meglio – secondo noi è un bene che un’Accademia non li preservi da tutto questo. Sacrificio: (s.f.) o meglio: se avessi voluto fare lo scenografo non avrei voluto prendere il pullman delle 5 del mattino per lavorare in laboratorio sul progetto Il signor Bruschino. Per questo e per tutto il resto noi possiamo dire due cose apparentemente banali: la prima è grazie, la seconda è ancora più pop: no pain no gain, che questa è la potenza intrinseca del sacrificio: è una condanna, ma letteralmente rende sacro il gesto che si sta compiendo.


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Dall’idea al suo modello novembre-dicembre 2011 di Autori vari

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Ouverture

16 dicembre 2011 di Autori vari C’è stato un attimo che tu mi sei sembrata niente Dancing, Paolo Conte

11.43 Siamo nell’aula di scenografia in Via Timoteo Viti 1, ad Urbino. Nella nostra aula che, con divertita esagerazione chiamiamo aulateatro, rimbomba ancora l’aspirapolvere. Giornata di grandi pulizie e di consegne. Da circa una settimana tutte le persone impegnate nella scenografia del Bruschino hanno dimenticato l’orologio. L’orologio appeso l’ha capita e ha ben pensato di scaricare la sua pila segnando sempre le setteequarantacinque. Agli appuntamenti si arriva sempre trafelati -non c’è scampo- in ordine, puliti e profumati se è possibile. Non una formalità ma una questione di forma e dunque anche di aspirapolvere e spruzzino. Insomma nell’aula non c’era più nulla da fare. Il modellino offerto come un totem nel

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centro del tavolo è in attesa di venire capito; i pixel invisibili nelle stampe dei render rivelavano la loro presenza intercettando granelli di polvere; gli amici tecnologicamente avanzati di Multimediale, che documentano il nostro lavoro, avevano puntato luci, telecamere e computer. Tutto è in stand by. Lo so che si può dire anche in italiano: in attesa, parola magnifica. Più da elettrodomestico, “stand by” lampeggia nella mente intermittente. Un led che pulsa. Il Teatro Sotterraneo in formazione ridotta (3 quinti per l’esattezza) ha appena valicato gli Appennini e si sta arrampicando su ad Urbino. Il granducato pretende sempre una particolare pazienza per gli arrivi e per le partenze. Il loro navigatore sul cruscotto segna l’orario dell’arrivo previsto. Non succede dunque nulla e tutti stiamo aspettando. Si avverte il peso di questa aria leggermente nervosa ed è per questo che proviamo a raccontarla. Non è quella dei corridoi delle scuole il giorno dell’esame, con frenetico stropiccio di appunti. È quasi nulla o la sua sensazione esatta. In quel quasi c’è una differenza senza oggetto. Un ufo. Ieri sera, quando abbiamo finito il modellino, è arrivato in aula un mio collega, il professore Tosello. Un terrestre nato analogico che scatta fotografie con macchine digitali. Ha accolto una mia richiesta disperata con un sorriso ed è arrivato con due o tre ore in ritardo, ma sicuramente in anticipo rispetto a tutte le cose che ha da fare. Purtroppo qui a scenografia nessuno è capace di fare una fotografia decorosa ad un modellino e l’incontro, oltre che ad essere utile, elementarmente sottolinea tutto quello che non sappiamo fare: mettere in bolla un cavalletto, registrare il bianco, cose semplici -dunque terribili- nel rinculo dell’orgoglio. Due ore bellissime di esitazione stupenda. Per tutti gli esseri umani la fotografia è un gesto sbrigativo. Compleannotorta-foto.


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Carta d’identità-macchinetta-foto. Per un fotografo invece no. Vederlo all’opera per tutti quelli che sono affetti da qualsiasi forma di mania è un sollievo. Durante il rito dello scatto, organizzato con pochi proiettori che sembravano modernissimi nel secolo scorso, in un rigoroso silenzio dettato dall’attenzione e dalla stanchezza acquisita, volava ronzando un solo interrogativo inespresso ma rilevabile anche dall’esposimetro. La domanda sospesa sul rumore breve e secco di una reflex digitale è quella per cui vale la pena fare questo mestiere appassionante. Clic: “Scusi professore ma se domani tutto quello che abbiamo fatto fa schifo?”

11,45 Ora sono tutti seduti. In prima fila il Teatro Sotterraneo totalmente assorbito guarda il modellino. Dietro, a schiera, la scuola di scenografia mira i registi che osservano la scena. Ancora dietro con le telecamere stanno riprendendo i miei studenti intenti a guardare i registi che osservano la scenografia del Signor Bruschino. Appena fuori campo sono lì ad assaporare questa esitazione sospesa. Una frase qualsiasi rompe il silenzio e poi parliamo per un’ora esatta. 14,30 C’è stata una pausa pranzo e abbiamo

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impacchettato il modellino dentro uno scatolone del Conad: non vogliamo che lo veda il Sovrintendente. La presentazione è andata bene ma il manufatto, per diventare un progetto, deve passar di mano: ora se lo portano via, lo rimonteranno, ci giocheranno dentro ad abitare i loro pensieri e tutto verrà modificato dal passaggio ripetuto degli sguardi e delle attenzioni. Solo a quel punto il progetto sarà presentabile. Arriva il sovrintendente e ci sediamo tutti attorno a un tavolo per ascoltarlo. La conferenza scorre come una chiacchierata illuminante e arguta. Gianfranco Mariotti ci racconta chi è Gioachino Rossini, quali sono le impronte del suo genio, sorvola sull’aneddotica per esplorare con noi

le particolarità del suo linguaggio disorientante. La discussione parte riuscendo ad impaginare il difficile rapporto che la musica rossiniana instaura con la struttura emotiva del Romanticismo. Dentro un potrei ma non voglio, ipotetico titolo di questa discussione, vengono dipanati tutti i fili che collegano e scollegano il musicista alla tempesta romantica che sta per conquistare l’Europa: una questione più delicata di una resistenza o di una reticenza che si conclude con un Silenzio misterioso, interrogato ed interrogante. Rossini come è ben noto scrive la prima opera romantica, il Guillaume Tell, nel 1829 e approda a una fuga senza fine e senza soluzione che lo proiet-


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terà lontano dalle scene teatrali. La musica che ci ha consegnato Rossini ha una struttura anfibia ed assoluta. Una musica che nasce per il teatro e che quindi più di ogni altra è chiamata a confrontarsi con un senso che, genialmente, il musicista amministra in uno spericolato sistema di auto imprestiti, trasferendo idee musicali, innervando una grammatica estrema che modificherà per sempre il linguaggio dell’opera. La stessa frase musicale identica può tornare in diverse opere e cambiare di significato. Magicamente la sinfonia che apparentemente descriveva la piazza di Siviglia può essere usata senza alcun rischio, anzi ribattendo incisi drammatici che si inseriscono ed evidenziano tutt’altro contesto. Dopo anni di oblio e dopo tanti anni di studio che hanno riscoperto e proposto quasi tutta l’opera di Rossini si comprende la grandezza di questo linguaggio in cui

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la struttura tragica e quella buffa non sono una cosa differente. Materiale musicale come un tamgram che, giustapposto, produce forme diverse. Immaginiamo, per comprendere meglio questa complessità, di non cercare una speculazione geometrica e seriale ma una forma sempre puntuale dentro la quale vengono scandagliati gli affetti in musica, una macchina combinatoria con la struttura che si dissimula nella sua assenza e si scioglie in melodia, armonia e ritmo. Una follia organizzata e completa, frase di Stendhal spesa a proposito dell’Italiana in Algeri: un ossimoro a cui solo un genio come Rossini riesce a dare un senso ragionevole. Una follia semantica che si organizza perfettamente in linguaggio. Queste considerazioni aprono il ventaglio di mille quesiti su un teatro differente, fuori da ogni categoria. Se tutto ciò che serve alla tragedia è simile anzi identico a quello


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che cesella e struttura il divertimento, senza peraltro mai diventare generico, allora anche l’esile struttura del Signor Bruschino impagina delle possibilità che sono tutte ancora da percorrere. La conferenza termina con la definizione di nostalgia come desiderio senza oggetto: non un quesito filosofico ma un grimaldello per scardinare porte ermeticamente chiuse. Applausi. 18,00 Gli studenti hanno prosaicamente portato un panettone, altri dolcetti non omologati ed una bottiglia di spumante inqualificabile. Nessun concitato crescendo, solo del buon umore con qualche bollicina. Il tavolo dove prima trionfava il modellino ora è vuoto, qualcuno pulisce l’aula con gesti automatici e collaudati. Oggi, in un pomeriggio qualsiasi, con un’aria che promette neve, è successo qualcosa. Il Sovrintendente del Rossini Opera

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Festival ha discusso con un gruppo dell’ultimissima generazione di teatro e con la nostra scuola: ha lavorato assieme a noi per annodare dei fili e lo ha fatto con il pudore di chi tesse una rete e non una trappola. Noi siamo qui ad Urbino, luogo in cui due mondi apparentemente lontanissimi si stanno mescolando e abbiamo non un posto in prima fila ma un ruolo da protagonisti in questa vicenda che si avvale di una farsa per un magnifico azzardo. Appunto un Bruschino.


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Racconto d’inverno lunedì 6 febbraio di Autori vari Oggi 6 febbraio era prevista la consegna del progetto del Signor Bruschino, consegna momentaneamente slittata a data da destinarsi causa tempaccio. Nevica sulla dorsale appenninica, nevica sulle autostrade con obbligo di catene, sulle strade provinciali e sulle strade consolari. Nevica sui supermercati devastati da orde di gente impazzita e sulla signora che compera solo i biscottini, nevica sulle ordinanze dei sindaci che hanno disposto la chiusura su tutto il territorio comunale delle scuole di ogni ordine e grado, inclusi gli asili nido, fino a mercoledì 8 febbraio incluso. Nevica sui cittadini che proiettano le proprie angosce dalle finestre serrate dietro le quali appaiono lupi, orsi e fuochi barbari. Nevica

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anche su qualche incosciente divertito che si butta giù per via Raffaello e che, con slitte fuori ordinanza, recupera o regredisce ad un’allegria bambina, chiassosa, divertita e stonata in questa atmosfera di cupa angoscia televisiva. Nevica soprattutto in televisione nonostante il digitale terrestre. Il manto nevoso copre e cancella e derubrica ogni cosa, anche gli appuntamenti, e ovatta il rumore della fretta e l’ansia da prestazioni e regola il tempo Fuori Orario. La sigla è sempre Because the night, ovviamente cantata da Patty Smith. Riassumiamo dunque: nevica. Riassumiamo: la nostra scuola sta realizzando assieme al Teatro Sotterraneo la scenografia e i costumi per Il Signor Bruschino, Lo schizzospazio della scena dovrà mostrare un parco tematico dedicato all’opera del Maestro Rossini. Oviamente in questo parco non potrà mancare il ristorante, il negozio di souvenir, la macchinetta


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delle merendine e tutto l’armamentario compulsivo che caratterizza questi luoghi non. Scopo del gioco è quello di arrivare attraverso un’economia di segni a definire un contrasto, a disegnare l’incongruenza del giocattolo, oscillando continuamente fra dentro e fuori, creando dei mondi ma rivelandone sempre gli ingranaggi. Nel tentativo di dialettica fra le due dimensioni della rappresentazione non è presente il minimo intento dissacratorio: pensiamo piuttosto che musica, canto e la vicenda possano bucare la soglia di ambiguità su cui stiamo lavorando e stagliarsi sulla miseria contemporanea a cui questa allude. Scenografi e registi tutto declinato al plurale: sembra uno scherzo, in verità è una specie di unicum le cui misure ci stiamo provando ancora addosso. Abbiamo consegnato un primo modello prima delle vacanze di

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Natale, un giorno di festa e di lavori in corso che si è concluso con una meravigliosa lezione a briglie sciolte che il Sovrintendente del Rossini Opera Festival, il dottor Gianfranco Mariotti ha tenuto per tutti noi nell’Aulateatro di Urbino. Quel giorno ha segnato una specie di salto di qualità nei rapporti della squadra regia-scenografia. Non si è trattato più di definire cosa ma di stabilire elemento per elemento il suo rapporto finzionale con le necessità della regia. Prima di essere colti dalla neve stavamo per finire il secondo modello. Manca da incollare qualche cartoncino, verificare in pianta qualche traiettoria e qualche spazio, ma in buona sostanza siamo pronti. Riassunto: Nevica. Epoché.


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Una voce (poco) fa lunedì19 marzo

di Francesco Calcagnini Che rapporto ha l’arte con il sapere, che senso ha parlare delle possibilità di comprendere un capolavoro? Non sapremo mai che significato potesse avere per il suo creatore, perché anche ammettendo che ce ne abbia parlato può essere che in realtà fosse ignoto persino a lui. L’opera d’arte significa dunque ciò che significa per noi, non c’è altro criterio. Ernst Hans Gombrich

Giovedi 15 alle 15 abbiamo consegnato il progetto del Signor Bruschino al Rossini Opera Festival. Le presentazioni sono state fatte con calibrata polifonia dal Teatro Sotterraneo. Schierata al completo, come si confà per le grandi occasioni, era presente tutta la formazione della scuola di Scenografia, coadiuvata dal team del Biennio Specialistico in Visual & Motion Design che osserva, registra e documenta tutte le fasi di questo lavoro. L’ufficio tecnico era gremito: oltre al Sovrintendente Gianfranco Mariotti erano presenti al completo quasi tutti

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i collaboratori del Festival. In video conferenza dalla Coruña il Direttore artistico Alberto Zedda. Fuori dell’ufficio tecnico una bella giornata di primavera. Il progetto è stato discusso punto per punto, elemento per elemento: occhi e webcam puntate per circa due ore sul modellino che faceva bella mostra di sé. È una cosa singolare e complessa spiegare il progetto di uno spettacolo, nonostante la mia esperienza non saprei suggerire una strategia per sfuggire al fuoco incrociato di dubbi, perplessità ed euforie che in percentuali imprevedibili convergono verso l’imbarazzo. Uno spettacolo non si progetta e forse non si dice. Nonostante sia corredato da schemi, modelli, disegni preparatori e non, da piante quotate e misure, uno spettacolo ha sempre qualcosa che maleducatamente sfugge alla sua definizione. Niente di male di per sé tuttavia, essendo il melodramma una cosa meravigliosamente complessa e la complessità una pratica dispendiosa, non ci si può liberare dall’obbligo d’indagare qualcosa che di per sé è inafferrabile. Non sempre il teatro


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ha dei caratteri così sinceri: si può ricalcare una fantasia di seconda mano e il borsellino della spesa dentro un usato sicuro e seriale. Ma siamo seduti tutti ad un tavolo importante: Rossini Opera Festival assieme al Teatro Sotterraneo + una Scuola di scenografia, un tavolo scaleno e se non proprio imprevedibile abbastanza imprevisto dalla consuetudine. Sorvolando per un attimo sulla nostra Scuola, che ha appena confezionato il centrotavola di questa discussione, ho come la netta sensazione che siamo nel posto e nel momento giusto dove entità distanti e distinte si sono date un appuntamento reale e poco ortodosso. Appare fin troppo evidente che questi mondi riassunti dalla parola teatro non si incontravano più da molti anni ed oggi non possiedono nemmeno un vocabolario in comune. Le parole: tradizione, tecnica, oppure la parola sicurezza potrebbero significare due cose completamente differenti e ricondurre a pratiche e ad automatismi sconosciuti. È lampante l’esigenza, da parte di ampi settori della società teatrale, di mutare pelle, di rigenerarsi scrive

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Renato Palazzi in un articolo del 2009 e senza grandi giri di parole afferma che un cambiamento è già in atto nel teatro, con una sostanziale rinuncia alla “macchina spettacolare” a favore di una rinnovata attenzione ai contenuti, con un superamento dell’idea di testo e di interpretazione di personaggi fittizi, e con un significativo abbandono dell’idea stessa di recitazione. È chiaro che la collisione di questa generazione con l’intero pacchetto del melodramma (e viceversa) dovrebbe essere oggetto di delicate attenzioni, affinché esista ancora un rapporto fondante tra creatività e tradizione. Non si tratta della “tradizione” contro “l’innovazione” né si tratterà di cercare la giusta dose dei due componenti per confondere l’antico con il moderno: pratiche basse che sono servite all’accanimento terapeutico nei confronti di un repertorio. Suppongo che la domanda sottintesa, sia: quando, dove, come ed in quali mani accorte consegnare l’ecosistema del teatro in musica? Questo è il posto giusto per provare delle risposte.


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Odissea pop in un paesaggio con figure

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Il traguardo Bruschino ha compreso per la Scuola di Scenografia, oltre alle scene, anche la staffetta-costume che è andata a completare e diversificare un’esperienza preziosa per gli studenti coinvolti. Le indicazioni per vestire i cantanti, comparse e figuranti dello spettacolo erano totalmente in linea con quelle scenografiche: la continua oscillazione fra rappresentazione e presentazione

tato, non un finto carnevalesco, ma piuttosto un finto dove è evidente la patinatura, l’irrealismo. Il tutto in maniera impeccabile”. L’equazione era sempre la stessa: 1800 + 2012 = stile impero + popstyle. La base di qualsiasi costruzione è la ricerca perciò ci siamo innanzitutto procurati una serie ampia di riferimenti storici fedeli ai quali attenerci, e il ventaglio della ricerca ha coperto gli ultimi decenni del 1700 fino al primo del 1800, mettendoci di fronte a una fetta di storia del costume incredibilmente variegata. Come trasformare il rigido, pomposo, ossequioso e impostato stile d’abito pre-imperiale in una versione pop di sé stesso? Stravolgerlo

che la regia affidata al Teatro Sotterraneo ha impostato portava a trasformare i cantanti non nei personaggi dell’opera, ma in reali attori incaricati di impersonare i personaggi dell’opera. La rivelazione dell’ingranaggio della finzione scenica doveva accoppiarsi allo smascheramento del costume. T.S. : “… il taglio generale ci piace pensarlo perfettamente ottocentesco per rendere l’idea dell’ambiente e dell’epoca, ma su questa base ci interesserebbe innestare un’estetica in qualche modo più pop. Questo per noi vuol dire pensare a costumi in cui l’elemento della finzione sia aumen-

lo snatura, rispettarne tutti i crismi è inefficace; cosa mantenere perché necessario al riconoscimento e cosa sacrificare sull’altare della pop art? Considerando l’atmosfera da raggiungere è parso necessario assegnare ad ogni personaggio una tavolozza cromatica che aiutasse anche il riconoscimento, basandoci sullo scarso approfondimento psicologico e secondo il loro ruolo: funzionava pensare a molti colori piatti che si muovono dentro la scenografia architettonica dominata dai toni grigi che avevamo impostato. Questa la preparazione per arrivare

lunedì 9 aprile

di Erica Montorsi


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alla partenza preparati, poi si è sparato lo start ed è partito un furioso round di Bozzetti-Senza-Frontiere. Le dinamiche dell’affollamento di partecipazioni alla progettazione sono sempre le medesime: 15 teste, 15 bocche e 30 mani. Come destreggiarsi? Il gruppo di scenografi deve lavorare al conseguimento del medesimo obiettivo senza perdere però nessuna delle visioni singolari, che meritano di essere espresse e vagliate e non accantonate per la fretta, perciò in questa prima fase del lavoro ognuno di noi ha elaborato individualmente alcune proposte, che sono poi state considerate collettivamente. Ri-definizione degli obiettivi e delle linee guida, per precisare le coordinate

cosi, perciò si è optato per tinte unite definite nei materiali contemporanei che le esaltassero al meglio, quelli che apparissero poco “tessuti”, poco “stoffe”. Ognuno degli otto personaggi presenti nell’opera andava ad incarnare quasi un prototipo del campionario di personaggi storici dello spettacolo, (la servetta, il giovanotto innamorato, il padre brontolone…), e grazie a questo è stato efficace caratterizzarli con pochi tratti, linearmente. Ma di contro ognuno di essi doveva mostrarsi anche in quanto vero-sé, cantante che è pagato per replicare una farsa e che indossa letteralmente il proprio ruolo: insomma il Bruschino nel Bruschino doveva diventare “un luogo attraver-

ed aggiustare eventualmente il tiro. A seguire si è nuovamente ricomposto il gruppo per un lavoro collettivo, coeso, in cui distribuirsi le competenze e le incombenze. È risultato che lasciare intatto lo stile e il taglio degli abiti, sia maschili che femminili, avrebbe veicolato l’appartenenza storica che ci occorreva, mentre per saggiare il terreno di un cartoonesco serio e disarmante abbiamo deciso di lavorare sui colori e i materiali, per andare a sfiorare una definizione da mascotte, quasi grafica. Culturalmente pop è l’uso di tinte patinate e piatte, colori vivaci e plasti-

sato da figure della contemporaneità capaci di far esplodere a livello visivo la simultaneità di epoche diverse”. Il discorso qui ha compreso la presenza delle comparse e dei compiti a loro assegnati: chi sono e come devono apparire? Da una turistica forse filologica fedeltà storica ad un frastornante caos di quotidianità. Andavano creandosi disegni sempre più convincenti, immagini di quelli che sarebbero diventati i panni indossati dai cantanti dell’opera, e nell’avvicinarsi al traguardo ci siamo imbattuti nella dimensione reale di ciò che ci cresceva tra le mani e tra le matite: il


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confrontarsi con un progetto che non è destinato ad una dipartita scolastica ma che ha l’intenzione e la necessità di giungere a materica realizzazione permette e mette in campo un confronto molto serio e molto inequivocabile con le proprietà fisiche del tempo, del denaro e dello spazio. Non si tratta di un grande momento-rivelazione,

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quanto di una serie di domande che ti colgono di soppiatto un po’ in tutte le fasi del lavoro. Sono piccoli e medi interrogativi che improvvisamente non sembrano più placidamente inconsistenti ma dispettosamente pungolanti, e con i quali confrontarsi è lo scopo di qualsiasi stage. Nel caso specifico dell’ambito di un


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tirocinio questa miriade di piccoli dilemmi a cui trovare in un modo o nell’altro soluzione è sorprendentemente variegata, e spesso francamente disarmante. Quanto tempo ci vuole ad un uomo adulto e in normali condizioni di salute per infilarsi un paio di stivali fuori scena? Quale difficoltà supplementare

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comporterà chiedergli che lo faccia A. senza accartocciarsi i pantaloni fino al ginocchio; B. in silenzio; C. senza nel frattempo doversi togliere giacca, cappello e guanti; D. senza storcersi la parrucca? È crudele chiedergli di farlo senza una sedia a disposizione?


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The Bus Brothers lunedì 14 maggio di Autori vari Inizia presto all’alba con un bus mattutino che scollina verso Pesaro. Una barista devitalizzata in un rifugio per uomini camion copia e incolla degli espresso: uno macchiato, tre normali. Con delle facce capolavoro si attraversano due isolati di soli capannoni. Una sigaretta, dopo essersi arrotolata da sola, si accende altrettanto, un simpatico bastardo alla catena intermittente abbaia nervosetto a questo maggio piovoso. In mezzo alle fabbrichette c’è il laboratorio del Festival, qui si costruiscono scenografie. Un capannone più in là fabbricano macchinette

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per le merendine. La dislocazione casuale dei luoghi origina la necessità delle mappe. Qui si svolge lo stage, o il tirocinio dove stiamo costruendo la scenografia del Signor Bruschino. Da domani, lunedì, scendono le truppe amazzoni e tutto entrerà nel vivo. Una cosa fantastica, comunque fuori dall’ordinario anche se a suo modo ordinata. La scuola è molto lontana, arriva solo l’eco del calendario d’esami e poi c’è un foglio firme. La scuola è in questi giorni un’evidenza invisibile che si rivela dietro le quinte: sicuramente qualcuno ha creato questo incastro, qualcuno avrà pensato all’assicurazione e all’assicurato insomma ha dissodato la burocrazia assieme al Rossini Opera Festival apparecchiando le condizioni di questa collaborazione.


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L’eccezione non è fare uno spettacolo, qui all’Accademia di Urbino è una consolidata pratica che si rinnova negli anni. Ci hanno pure scritto un libro. Bellissimo. Non è, per quanto sia prestigiosa la firma dell’ente che ci ospita, il nome in cartellone. Qui e ora ci è dato di verificare il progetto elemento per elemento e di farlo lavorando fisicamente affiancati da tecnici a cui non sfugge nulla, che quotano l’inesattezza con il fiuto, correggendo se è necessario qualcosa, insegnandoci a mettere le mani nelle macchine e soprattutto a toglierle. La connessione reale di queste condizioni ha qualcosa assolutamente fuori dell’ordinario. Studenti di scenografia che dopo aver fatto il progetto sono in un laboratorio prestigioso a fare cosa?

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A realizzarla. Alla fine delle prove usciremo a prenderne gli applausi o gli insulti perché non siamo solo degli apprendisti ma anche gli autori di questa scenografia. Dentro questo ordinario-straordinario ci siamo noi che godiamo il pregio e la fortuna di essere qui, approfittando di ogni inesattezza per correggere il progetto e di ogni difetto per sperimentare una soluzione randagia. Qui si lavora molto, molto nel senso di molto e in quello di bene. Alla sera non siamo stanchi ma ben predisposti a scivolare nel sonno e, tutti impolverati di segatura, guadagniamo un posto nell’Adria bus. Il resto sono racconti e aneddoti. Guardiamo le colline dondolare mentre dai finestrini corre il film del paesaggio che ci riaccompagna a casa.


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Pratica di fabricar scene, e machine ne’ teatri 9 maggio

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10 maggio

Souvenir

Locanda Casa Gaudenzio Aiuola

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16 maggio

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17 maggio

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21 maggio

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22 maggio

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11 giugno

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13 giugno

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