Presentazione Studio Vagnozzi In una foresta di_segni

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ACCADEMIA DI BELLE ARTI DI URBINO - SCUOLA DI SCENOGRAFIA

IN UNA FORESTA DI SEGNI



Indice Premessa

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Città

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Planimetria

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Progetto

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1.1 Radici 1.2 Dimensioni 1.3 A misura d’uomo

2.1 Disposizione nello spazio 2.2 Variazioni sul tema 2.3 Soggettiva sulla città

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3.1 I quartieri 3.3 Il modulo e gli snodi 3.4 La carta come costante

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Conclusione

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Biografia

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Premessa La visione del film Il cielo sopra Berlino di Wim Wenders, ha fatto nascere in noi l’esigenza di soffermarci sui pensieri che abitano le città, con l’intento di ridefinire i confini delle stesse in assenza di coordinate spazio temporali. Il flusso di immagini che si muove nella mente di ogni uomo è il meccanismo che determina la nascita del pensiero, attraverso il quale le esigenze dell’uomo prendono forma. Abbiamo cercato di trasportare tale moto della mente nella dimensione di uno spettacolo teatrale, creando nuove coordinate per l’organizzazione dello spazio. Il progetto ha preso forma attraverso la rielaborazione del linguaggio su cui si fonda la nostra realtà

traducendo desideri, paure, e sensazioni dell’uomo in costruzioni che si ergono su più piani. Tale dimensione “visionaria” della città si dispone in uno spazio lontano dal concetto del reale, nel quale esili costruzioni si sviluppano verticalmente come connessione tra terra e cielo. Le strutture dei quartieri generati dal pensiero subiscono inevitabilmente la sua forza costruttiva e trasformatrice fino alla disintegrazione delle stesse. Abbiamo deciso di realizzare gli edifici seguendo delle dimensioni che permettano allo spettatore una visione completa dei quartieri e complessiva dell’aula. Strade, facciate, monumenti e ogni altro elemento

della città, presenta un chiaro segno del passaggio del flusso di pensieri, per quanto siano essi inafferrabili. Così come su una tela bianca l’insieme di linee dà vita ad un’immagine che comunica, allo stesso modo i segni tracciati dal passaggio dei pensieri sulla carta genera dei racconti. Sono proprio questi frammenti di carta che ricoprono gli edifici a svelare la foresta di segni allo spettatore, guidandolo nella conoscenza della trama dello spettacolo.

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CITTÀ

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1.1 Radici Città (ant. cittade) s. f. [lat. civĭtas -atis «condizione di civis» e «insieme di cives»; al sign. di «aggregato di abitazioni» la parola giunse per metonimia, sostituendo urbs]. Centro abitato di notevole estensione, con edifici disposti più o meno regolarmente, in modo da formare vie di comoda transitabilità, selciate o lastricate o asfaltate, fornite di servizi pubblici e di quanto altro sia necessario per offrire condizioni favorevoli alla vita sociale.

Alcune scuole di pensiero dell’urbanistica e della sociologia urbana affermano che non sono né le dimensioni dell’abitato né il numero di abitanti a stabilire quando un agglomerato urbano possa assumere il titolo di città. Il manifestarsi del bisogno di vita sociale comune, con la conseguente costituzione di una comunità, determina l’evoluzione del semplice appellativo di agglomerato urbano in città. Questa, che nel corso del Medioevo abbiamo sempre visto essere considerata luogo della vita e delle attività sociali e commerciali, assume nel Rinascimento un valore simbolico più ampio e complesso. Tale periodo è caratterizzato da maggiore attenzione alla

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rigorosa geometrizzazione della scelta urbanistica, riflessa nel modello etico e gerarchico diffuso in una società che respinge i conflitti. Possiamo considerare che l’idea di una città ideale nasce, in primo luogo, con la volontà di rispettare un equilibrio di forme e proporzioni e in secondo luogo con l’intento militare di consolidare le strutture difensive. Tuttavia le caratteristiche del luogo, in cui nasce la città, possono determinare l’aspetto, i punti di forza e la struttura della stessa. Ogni città, indipendentemente dal luogo geografico in cui si sviluppa, presenta determinate caratteristiche che la accomunano alle altre, in particolare l’organizzazione della struttura e dell’ irradiamento. Questi due elementi favoriscono l’estensione dell’agglomerato urbano

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andando a consolidare la mappatura della città. Con il passare del tempo si manifestano sempre diversi aspetti e conseguenze della globalizzazione e dell’industrializzazione, i quali determinano un cambiamento della città e della scansione del tempo nella vita dell’uomo che la abita. Si tratta di un processo che sembra subire una continua accelerazione, e noi siamo ormai abituati sia ai cambiamenti che alla rapidità con cui si verificano. Ma contemporaneamente all’ambiente urbano cambiano appunto anche le immagini. Forse si può addirittura affermare che le immagini e le città si evolvono in maniera analoga, probabilmente parallela1.

W. Wenders, in Wim Wenders, L’atto di vedere, archphoto.it, consultato il 2 marzo 2021, cfr. 1


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1.2 Dimensioni «Il cinema è una cultura urbana, nata sul finire del secolo scorso e cresciuta parallelamente all’espansione delle metropoli. Il cinema e le città sono cresciute e diventate adulte insieme, e i film sono testimonianze dei grandi mutamenti che hanno trasformato le eleganti città del fine secolo nelle difficili e nevrotiche megalopoli odierne»2.

W. Wenders, in Wim Wenders, L’atto di vedere, archphoto.it. 3  Ibidem. 2

La città, con le sue strutture, pensieri, sapori e colori, si rivela essere un soggetto di grande interesse nel panorama cinematografico, letterario e musicale. Wim Wenders, nella raccolta L’atto di vedere, esprime la sua esigenza di soffermarsi sull’idea di città attraverso il linguaggio del cinema, pone l’accento sull’importanza delle immagini, ossia frammenti che permettono di leggere la rapida trasformazione della realtà in cui si vive. Nei suoi film la città, intesa come insieme di architetture, ospita fra le strade i racconti del passato, fa da scenario alla vita degli uomini nel presente e andrà «a forgiare il loro mondo di immagini e desideri»3 per un domani. Infatti il regista considera fondamentale il ruolo delle nuove città e dei

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nuovi edifici come «mezzo per aiutare la gente a migliorare la propria vita e a rendere l’umanità migliore»4. Wim Wenders sostiene l’idea di cinema come cultura urbana, in quanto contribuisce alla formazione dell’individuo sul piano umano e all’acquisizione della consapevolezza di stretta relazione con l’ambiente che abita. L’industrializzazione ha alimentato “l’insaziabilità dello sguardo”, producendo così una sovrabbondanza di immagini e trasformazioni visive che hanno contribuito al danneggiamento dello sguardo dell’uomo, indirizzato oramai alla visione superficiale del territorio. Il regista si ripropone, attraverso la fotografia, di estrapolare dal quotidiano delle immagini di partenza che portino l’uomo a riflettere sull’ accecante sovrabbondanza di costruzioni, indirizzandolo

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verso un nuovo equilibrio basato su spazi vuoti, liberi e ideali. Wenders crede sia necessario dar voce a strade, piazze e muri berlinesi proprio attraverso la visione dei due angeli protagonisti, poiché è caratterizzata da maggiore leggerezza rispetto al pesante punto di vista umano. I due angeli Damiel e Cassiel, a differenza dell’uomo, sono in grado di vedere la reale essenza delle cose che ogni persona si trova a vivere banalmente ogni giorno all’interno della propria città. Frammenti di pensieri, superano i confini dettati da edifici e costruzioni, andando a delineare la struttura della città di Berlino. La fotografia di Henri Alekan realizza riprese aeree dei più deserti luoghi berlinesi, apparentemente vuoti, che racchiudono in realtà tantissime storie, pensieri e 4  W. Wenders, in Wim Wenders, musiche. L’atto di vedere, archphoto.it.


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«Una strada, una fila di case, una montagna, un ponte, un fiume, sono più di un semplice sfondo. Possiedono infatti una storia, una personalità, un’identità che deve essere presa sul serio; e influenzano il carattere degli uomini che vivono in quell’ambiente, evocano un’atmosfera, un sentimento del tempo, una particolare emozione»3.

W. Wenders, in Wim Wenders, L’atto di vedere, archphoto.it, consultato il 2 marzo 2021. 3

Nei film di Wenders l’occhio della telecamera si muove fra le vie della città e si immerge nell’interiorità dell’uomo, permettendo una profonda analisi riflessiva che supera il processo di osservazione. Oltre a soffermarsi sui primi piani dei personaggi, l’attenzione si posa soprattutto sui loro pensieri creando una connessione con l’architettura. Sono questi i particolari che mettono a fuoco le emozioni dei personaggi, scandiscono lo scorrere del tempo, i dialoghi, gli sguardi e che ricoprono un ruolo fondamentale nei fotogrammi dei suoi film. Il rischio che si assume l’acrobata Marion, svolgendo il suo numero senza rete, sembra necessario per opporre resistenza e reagire alla malattia del tempo che colpisce la condizione umana. Viaggiare attraverso i luoghi più significativi di Berlino, dando spazio ai

pensieri delle persone che li vivono, contribuisce a realizzare l’effetto finale di un coro sacro nel tempio della cultura. Tali luoghi non dimenticano e hanno la necessità di urlare a gran voce la tragedia della Berlino rasa al suolo alla fine della seconda guerra mondiale. Le questioni legate alla vita dell’uomo in relazione alle trasformazioni urbane, non sono indifferenti né a Wenders né a Calvino. Tra le diverse tematiche affrontate all’interno del testo Le città invisibili troviamo anche il rapporto tra la città, l’uomo e l’ambiente circostante. Le città di Calvino possono sembrare lontane dalla nostra attuale concezione di città, ma si rivelano essere una fedele ricostruzione della realtà e della  dinamicità delle megalopoli contemporanee, attraverso un linguaggio semplice arricchito da elementi di fantasia.

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Attraverso un innovativo punto di vista, Calvino, riesce a delineare dei quartieri le cui strutture rappresentano ricordi, desideri, dialoghi e un costante scambio di idee. Il lettore non è portato a soffermarsi né sul luogo né sul tempo che caratterizza ogni città, ma piuttosto sulla sua essenza e il suo aspetto. Si tratta di città irreali ed intangibili che, attraverso un linguaggio simbolico, si rivelano fonte d’ispirazione per la vita dell’uomo, indicando la via d’uscita da un mondo oppressore che egli stesso ha creato. Il cinema e la letteratura hanno il compito di essere testimoni della realtà. Attraverso la trasposizione dei fatti quotidiani, grazie ai linguaggi adottati così semplici e diretti quanto sovversivi e rivoluzionari, si innesca nello spettatore una riflessione sociale e personale.

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Così come Wenders, che con le sue riprese riesce a farci vivere a pieno le strade berlinesi poco prima della caduta del muro, anche Calvino ci rende partecipi del viaggio di Marco Polo attraverso i racconti di quest’ultimo a Kublai Kan. Le dettagliate descrizioni dell’essenza delle diverse città incontrate dal viandante, ci permettono di conoscere il percorso interiore che ogni abitante intraprende in relazione allo “spirito” dell’ambiente in cui abita. L’analisi delle qualità e delle caratteristiche di ogni città avviene attraverso il dispiegarsi di figure simboliche, che possono cadere in contraddizione e significare tutto il contrario di tutto. Viene presentata un’immagine dall’aspetto variabile del mondo e delle città, un mondo in cui si ha l’impressione che niente è quel che appare o quel che vuol apparire.


«L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio»4.

I. Calvino, Le città invisibili (Mondadori 1996), Mondadori, 2012, p. 160. 4

Veniamo trasportati in luoghi, che per essere compresi a pieno, richiedono al lettore e allo stesso Kublai Kan una dose non indifferente di fantasia. Le storie narrate e l’insieme di pensieri che abitano le città descritte sono frutto dell’inventiva di Marco Polo, a volte molto lontane dalla realtà, così che lo spettatore è spesso portato ad interrogarsi sulla veridicità del racconto. Si delineano i diversi aspetti di ogni città, a volte ci si sofferma sullo stato d’animo che si prova nel raggiungerla, altre su degli episodi che si verificano sul suo territorio e altre ancora sul modo in cui si stabilisce una connessione con essa. La grande fantasia dello scrittore riesce a creare una giusta ed appropriata dimora per tutti gli aspetti e pulsioni che caratterizzano l’esistenza di ogni uomo.

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Le città e i segni, le città e il nome, le città e il desiderio, le città e gli scambi sono solo alcune delle città inventate da Calvino, le cui caratteristiche hanno catturato il nostro interesse portandoci a sviluppare delle riflessioni. L’insieme delle città, apparentemente invisibili, racchiude il complesso meccanismo che muove il delicato ecosistema e le articolate architetture, propri di ogni realtà cittadina. Le città descritte da Calvino, così come le città che viviamo quotidianamente, sono realtà regolate da un continuo movimento che determina il loro processo di evoluzione. Il cinema si è rivelato uno dei mezzi d’espressione più efficaci con cui esprimere il complesso cambiamento che si verifica in ogni città, i film svolgono il fondamentale ruolo d’archivio degli avvenimenti storici del nostro tempo.

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«La settima arte è stata in grado più di ogni altra di catturare l’essenza, il clima e le tendenze del suo tempo, anche le speranze, le paure e i sogni, articolandoli in un linguaggio universalmente comprensibile. Ma è anche divertimento, e il divertimento è l’esigenza urbana per eccellenza: la città doveva inventare il cinema per non annoiarsi a morte»5.

W. Wenders, in Wim Wenders, L’atto di vedere, archphoto.it, consultato il 2 marzo 2021. 5


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1.3 A misura d’uomo «La città è come una grande casa, e la casa a sua volta una piccola città» sostiene Leon Battista Alberti in De re ædificatoria.

La città si rivela essere un’ instancabile fabbrica di immagini, un contenitore di storie che custodisce gelosamente pensieri, emozioni, paure e desideri, restituendoli sempre al momento più opportuno. Durante il nostro studio abbiamo sentito la necessità di soffermarci sul legame che si crea tra la città e le persone che la vivono, tra la città e i pensieri degli uomini che la abitano. Il nostro gruppo ha approfondito un percorso che vede l’uomo come punto di partenza e la definizione della sua città come punto d’arrivo. Se fossero proprio le caratteristiche dei personaggi che abbiamo immaginato a determinare le linee della città che abitano?

La nostra analisi si è concentrata non solo sul significato delle immagini, ma soprattutto sull’ingranaggio che ne permette la creazione. Ogni identità, attraverso le caratteristiche del proprio profilo psicologico e funzione narrante, pone le basi per la nascita di un quartiere, la cui forma e struttura è determinata dall’impronta della propria interiorità. Avendo approfondito queste tematiche, sono stati delineati, all’interno di una Foresta di segni, i punti cardine fondamentali per costruire adeguate e calzanti dimore destinate ai pensieri.

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Uscendo da un’impronta spiccatamente sociologica, l’intento è quello di delineare figure con desideri e pulsioni umane, che guidino la costruzione di una città rispondente ai loro bisogni. Partendo da spunti cinematografici e teatrali e, sfruttando il bagaglio di conoscenze di ognuna di noi, abbiamo immaginato dei personaggi con particolari caratteristiche che possano inserirsi nella nostra città. Per citarne alcuni, possiamo iniziare dalla figura del vecchio custode. Abitudinario, da tanti anni continua a compiere le stesse azioni che lo tengono legato ai medesimi luoghi. Ricerca guizzi del proprio tempo passato ripercorrendo strade deserte ma profondamente familiari. Monumenti, profili di edifici e piccoli dettagli cancellati del tutto o invecchiati dallo scorrere

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del tempo, non fanno altro che riportare alla mente momenti della propria vita, che proprio tra queste strade hanno avuto modo di verificarsi. Il mimo, quel personaggio che si incontra per caso passeggiando per le strade cittadine, trova efficace la sua arte come espediente con cui comunicare ed esprimersi; unica soluzione possibile all’interno di una società sempre più intenta ad isolarsi. Nei momenti di immobilità, previsti nei suoi numeri, sembra voler dare spazio alla sua esigenza di divenire un elemento statico, fino a mimetizzarsi con i diversi elementi della città come edifici, balconi, porte e monumenti. Spesso abbiamo bisogno di silenzio, indossiamo cuffiette isolandoci, per non sentire rumori di strade che tuttavia amiamo percorrere.


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Ogni città ospita in sé, più o meno velatamente, un pizzico di follia. Il personaggio dell’equilibrista vive il suo presente su una fune di un futuro incerto. Tra la folla cittadina che lo osserva si distinguono i più attenti, intenti ad ammirarlo con il naso all’insù, e coloro che sembrano inarrestabili, mossi dalla fretta, che camminano con frenesia calpestando le proprie ombre, come se stessero rincorrendo un tempo che sfugge costantemente di mano… Veramente non hanno più tempo? Questa è la domanda che riecheggia nella sua mente durante l’arco di tutta la giornata. Tuttavia, non tutti i personaggi riescono ad integrarsi perfettamente nel tessuto cittadino, qualcuno sente l’esigenza di allontanarsi. La città non si rivela sempre accogliente con tutti, anzi spesso le sue stesse architetture sono

potenzialmente pericolose per alcuni dei suoi abitanti. La figura del narcolettico rappresenta tale problematica. Si addormenta ovunque e spesso sono proprio le irregolari architetture della città a rivelarsi per lui fonte di pericolo. In città ogni singolo dettaglio si trasforma e muta costantemente. Passeggiando abitualmente davanti agli stessi edifici, monumenti, incroci e semafori si possono cogliere quotidianamente delle sfumature diverse, a volte quasi impercettibili. Così come gli impressionisti, attraverso la pittura di vedute urbane e non, cercavano di catturare un particolare guizzo, anche gli uomini cercano attraverso la fotografia di catturare atmosfere urbane. Il fotografo è colui che tenta di catturare particolari apparizioni momentanee, che svaniscono sempre

più velocemente con l’aumentare della frenesia nelle città. Se la città è un organismo in continua evoluzione possiamo affermare che l’artefice di tale mutamento non è un singolo uomo ma l’intera società che la abita.

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Dopo aver analizzato diverse fonti cinematografiche e teatrali ci è sembrato inoltre opportuno andare ad approfondire alcune fonti letterarie, grazie alle quali abbiamo immaginato un incontro tra personaggi e un dialogo di circa dieci minuti. Il maestro e Margherita di Bulgakov, Il castello dei destini incrociati di Calvino, La carriola di Pirandello e infine la leggenda Jīng wèi tián hǎi (Jinwei riempie il mare) appartenente alla cultura cinese, sono i principali testi dai quali abbiamo tratto delle caratteristiche che ci sono sembrate interessanti per forgiare tali profili. L’incontro tra i quattro personaggi avviene all’interno di un chiosco dai colori vivaci situato in un quartiere di periferia. Tre uomini, ognuno con la propria storia, vi giungono con l’intento di ristorarsi.

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10 minuti Storia di un incontro In uno dei diciotto quartieri, che costituiscono la città, si trova un chiosco dai colori vivaci del quale nessuno ha mai saputo il nome, in quanto non presenta alcuna insegna, bensì un semplice cartello sulla strada con incise le parole “BIRRA E ACQUE”. Un uomo di mezza età, in cammino già da qualche ora, è il primo cliente della giornata. Si dirige con passo sicuro al bancone, dove la donna del chiosco è intenta ad asciugare energicamente i bicchieri canticchiando sottovoce. Ripone con cura il bicchiere sulla mensola,

sistema il panno al solito posto, alza lo sguardo e scorge davanti a sé l’uomo colorato in viso da un’espressione solitaria, dai capelli arruffati e con indosso un completo di lino chiaro a cui si aggiunge una borsa di tela dello stesso tono. Chiede gentilmente all’uomo cosa desidera ed egli, accennando un sorriso, estrae dalla tasca interna della giacca, poggiandolo sul bancone, un arnese puntuto con la punta in giù, che a guardarlo bene somiglia di più ad uno stilo o calamo o matita ben temperata o addirittura

una penna a sfera. Pur non proferendo parola, l’uomo chiede gentilmente della birra indicando la spina dietro al bancone, ricevendo però una risposta lievemente brusca da parte della donna che, con tono leggermente indispettito dice di non averla, poiché la birra è una bevanda che le consegnano solamente la sera e lo invita quindi ad attendere l’arrivo della merce. Senza scomporsi, l’uomo fissa la donna con l’espressione di chi non vede l’ora di presentarsi, quindi senza neanche aspettare che lei possa chiedergli quale fosse la sua


provenienza, si definisce un viaggiatore, descrivendosi non attraverso l’uso della parola bensì tramite le carte del mazzo di tarocchi Marsiglia che porta sempre in tasca. Scrutandolo attentamente, indaga per capire la sua storia e, nonostante il comportamento di primo acchitto bizzarro , decide di comunicare con lui utilizzando il suo stesso linguaggio delle carte. Da dove viene? Questa è la domanda che la donna continua a porsi e, d’istinto, decide di proporre al viaggiatore la carta del nove di bastoni, nella quale l’intrico di rami su una rada vegetazione di foglie e fiorellini selvatici, continua a ricordarle l’immagine del bosco adiacente al chiosco. Contro ogni aspettativa, il viaggiatore sembra capire al volo la domanda e con gli occhi pieni di felicità, risponde con un cenno del capo come se volesse dire,

sì vengo dal bosco. Tra i due si instaura un dialogo ricco di intesa, colorata dalle carte dei tarocchi, le cui immagini sembrano essere l’unico strumento di scambio e di comunicazione. Il viaggiatore si siede in attesa ma con l’aria di chi non ha nessuna fretta e, per ingannare il tempo fino all’arrivo dell’ora della birra, estrae il mazzo di tarocchi dalla tasca, li posa sul tavolo ordinandoli continuamente secondo delle regole che si diverte a mutare di continuo, fino al punto in cui le palpebre diventano troppo pesanti per restare aperte. Addormentarsi sulla sedia sembra inevitabile. Proprio quando il sonno diventa più intenso e inizia quasi a sognare, il passo deciso e frettoloso del secondo cliente lo sveglia di soprassalto. Si tratta di un uomo distinto vestito di tutto punto che

si avvicina con fare furtivo al bancone, continuando a guardarsi intorno come se qualcuno lo stesse inseguendo. La donna lo osserva con occhi grandi, perplessa e, un po’ preoccupata, chiede allo strano individuo se avesse bisogno di qualcosa. La sua risposta arriva solo dopo profondi respiri e attimi di silenzio, quando con gli occhi spalancati, balbetta una frase del tipo… ‹ m-m-ma n-non mi hanno visto, v-vero!?› Impaziente la donna non riesce a trattenersi e lo incalza con più decisione, chiedendo se si sentisse bene. Scuotendo la testa come se si fosse improvvisamente svegliato da un sogno ad occhi aperti, l’uomo dice con tono dimesso di aver bisogno di un bicchiere di birra bella fresca. Costretta a deludere nuovamente la richiesta del cliente, la donna invita


anch’egli a sedersi e ad attendere la consegna della birra, che ormai non dovrebbe tardare molto, infondo. L’uomo si abbandona sulla sedia senza replicare, posizionandosi proprio accanto al primo cliente, il quale non può fare a meno di notare la sua espressione preoccupata. Il viaggiatore gli accenna un sorriso, ma l’uomo resta rigido, a disagio, non ricambia affatto e, per di più, distoglie lo sguardo andando a fissare il pavimento. Interviene la donna che, con tono dolce e comprensivo, chiede quale fosse la sua preoccupazione. Egli, con un filo di voce, rivela di essere avvocato e professore di diritto, costretto a fuggire poiché è stato scoperto il suo segreto: per sopportare l’atroce afa della vita ha l’abitudine di prendere la cagna che dorme lì per le zampe posteriori e di farle

fare “la carriola” per una decina di passi. Per tanti anni è riuscito a tenere nascosta la sua piccola trasgressione, ma proprio quella mattina qualcosa è andato storto, forse i figli lo hanno scoperto, ha avuto la sensazione di essere spiato dalla porta socchiusa, proprio mentre stava per riposizionare la cagnolina al proprio posto. A quel punto il suo istinto e il profondo imbarazzo lo hanno portato a fuggire lontano, giungendo al chiosco ancora tremante. La donna ascolta le parole dell’uomo e mentre cerca invano di dare un senso al suo racconto si accorge, invece, che il viaggiatore sembra comprendere perfettamente il dramma dell’avvocato illustrando per mezzo dei tarocchi la storia da lui raccontata, posizionando sul bancone le carte che rappresentano stati d’animo, passioni e


luoghi delle vicende narrate. Continua a descrivere con angoscia e affanno la spaventosa consapevolezza a cui è giunto, secondo la quale non si può uscire dal ruolo che il mondo ci ha, in un modo o nell’altro, assegnato, ognuno di noi vive l’imposizione sociale della sua maschera e la repressione di ogni suo tentativo di evaderne. Mentre i pensieri dell’avvocato scorrono fuori come un fiume in piena, giunge al chiosco un terzo cliente dalla fisionomia orientale. Avvicinatosi al bancone, la donna si accorge che l’uomo porta con sé uno strano volatile delicatamente posato sulla sua spalla, che non sembra essere minimamente spaventato dalla presenza umana, al contrario, si rivela un complice compagno dell’uomo. Si accomoda con aria riflessiva, resta in silenzio, e osserva gli altri due clienti con discrezione.

Il viaggiatore, per rompere il ghiaccio, decide di porgere all’uomo la carta dei tarocchi che rappresenta la sintonia tra uomo e natura. Un tempo era un abile pescatore, YanHuang, si presenta ponendo una mano sul petto chinando leggermente il capo. Senza neanche dare all’uomo il tempo di ordinare una birra, l’avvocato lo precede invitandolo a sedersi con loro in quanto per la birra bisogna aspettare ancora un po’. YanHuang si siede con fare paziente e inizia raccontare la sua storia partendo ovviamente dall’animale sulla propria spalla, uno strano uccello con un becco bianco e le zampe rosse. Con gli occhi lucidi racconta il suo grande dolore…Jingwei, sua figlia stava nuotando nel mare orientale, ma non è stata in grado di tornare a riva. Secondo il mito della sua


tradizione orientale si è trasformata nell’uccello che lo accompagna nei suoi viaggi. Egli ha promesso di aiutare l’animale a trasportare regolarmente ramoscelli e pietre dalle montagne occidentali per riempire il mare orientale, affinché a nessun altro capiti lo stesso destino che è toccato alla ragazza. Spesso gli capita di dialogare a lungo con l’animale ma non riesce a dire con certezza se si trattasse di sogni o di realtà, a volte il suo cinguettio sembra confondersi con la soave voce della ragazza. Ad interrompere il racconto nostalgico dell’uomo, è proprio l’arrivo della donna del chiosco con in mano un vassoio pieno di calici. Per l’ennesima volta le aspettative dei clienti vengono deluse poiché non si tratta della tanto agognata birra, bensì di acqua all’albicocca che produce tanta schiuma,

un odore che riporta all’ambiente di un negozio da parrucchiere e procura il singhiozzo. Tuttavia i clienti sembrano non dargli importanza e, felici di essersi incontrati, brindano gustando insieme la fresca bevanda. Il viaggiatore estrae la carta dei denari e la porge alla donna indicando i suoi nuovi amici, lasciando quindi intendere di voler pagare la consumazione di tutti. La donna la accoglie e con un sorriso di approvazione lo ringrazia. Sono rimaste poche carte, il viaggiatore ha infatti assegnato ad ogni racconto una carta che potesse descrivere al meglio le vicende attraverso colori simboli e sfumature. Certamente anche la mia storia è contenuta in questo intreccio di carte, passato presente e futuro, ma io non so più distinguerla dalle altre, questa era la frase che echeggiava nella testa del viaggiatore ogni volta che

ritrovava un collegamento tra le storie dei clienti e le sue carte, quelle carte sono grado di narrare. Ma ora, sa bene che le poche carte rimaste sul suo palmo, sono quelle che lo rappresentano, finalmente anche lui può raccontare la sua storia. Felice di averle individuate le ripone in tasca con l’aria soddisfatta di chi sente di aver finalmente ritrovato sé stesso, meta del suo lungo viaggio. Preso dall’entusiasmo, il viaggiatore rovescia sbadatamente la carta di coppe sul bancone, mostra subito la sua faccia buffa e dispiaciuta alla donna del chiosco, che prontamente regge il suo gioco fingendosi imbronciata e intenta a ripulire subito il bancone, agitando un vecchio panno giallo, per poi strizzare l’occhio con intesa complice mentre riempie nuovamente il calice dell’uomo.



PLANIMETRIA

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2.1 Disposizione nello spazio Prima di stabilire e descrivere le strutture degli edifici a cui siamo giunte, è opportuno descrivere il percorso che abbiamo intrapreso, sviluppando varie riflessioni che vedono come punto di partenza la nostra analisi di interessanti suggestioni iconografiche. Il primo approccio con cui abbiamo iniziato il progetto ha visto una necessaria ricerca, volta a cogliere gli aspetti più profondi, non soffermandosi quindi sull’aspetto tecnico e progettuale. A seguito delle prime presentazioni individuali abbiamo deciso di soffermarci e di approfondire tre tematiche comuni: l’idea di città come labirinto e i suoi percorsi, l’idea di città con una pianta dalla struttura regolare o

irregolare e infine l’idea di una città caratterizzata dalla sospensione di alcuni suoi elementi. Dopo l’approfondimento di questi argomenti abbiamo sviluppato una pianta la cui forma, dimensione e sviluppo della città li riassume nella maniera più funzionale ed efficace. Abbiamo immaginato di suddividere l’aula in tre zone, caratterizzate da diversi gradi d’ordine, nelle quali sono posizionati diciotto praticabili. L’intero spazio presenta, nella forma, una continua disintegrazione dell’ordine, fino a giungere all’estrema distruzione della struttura, comportando l’eliminazione del piano.

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L’idea è guidata da un continuo fluire di pensieri che crescono, mutano e arrivano a distruggere le fondamenta, dove verranno in seguito assemblati gli scheletri degli edifici. La disposizione dei praticabili secondo un rigido ordine si rivela essere troppo costrittiva per la grande varietà di pensieri ed emozioni che danno vita alla città. Sembra quindi necessario un processo di rottura dell’equilibrio iniziale, la cui evoluzione si può suddividere in tre fasi. Possiamo definire “area sinistra” dell’aula, la porzione di spazio che si trova alla sinistra dello spettatore di spalle rispetto all’ingresso in Via Timoteo Viti 1 e, di conseguenza, con l’espressione “area destra” facciamo riferimento alla porzione di spazio opposta. Varcata la soglia d’ingresso, il pubblico si trova a realizzare un vero e proprio

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percorso partendo dall’area sinistra, passando quindi per il centro e giungendo infine nell’area destra. Una minore concentrazione di praticabili all’interno dell’area centrale, determina la creazione di grandi zone di vuoto, che permettono allo spettatore di vivere una condizione di “pausa visiva” rispetto alle due aree adiacenti. L’iniziale disposizione ordinata e simmetrica dei praticabili viene improvvisamente stravolta nell’area centrale dell’aula nella quale l’equilibrio visivo subisce una rottura, iniziando a sgretolarsi. La rottura dell’ordine causa inevitabilmente uno sconvolgimento della disposizione dei praticabili nell’area destra, dove si sente forte la sensazione di caos, data non solo dalla disposizione casuale dei praticabili ma anche dalla scomposizione di alcune loro componenti strutturali.


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Lo spettatore viene così trasportato in una situazione di “oppressione visiva” di agglomerati di strutture che si innalzano su piani, compenetrano nei praticabili e si presentano in continuo stato di trasformazione. «E l’immagine di paesaggi urbani che il cinema ha tracciato nel corso della sua storia sono molto diverse dall’aspetto reale che hanno assunto oggi; i film ci suggeriscono movimento e dinamismo, una realtà in completa trasformazione [...] noi siamo ormai abituati sia ai cambiamenti che alla rapidità con cui si verificano»6.

W. Wenders, in Wim Wenders, L’atto di vedere, archphoto.it. 6

che si dirama nei quartieri adiacenti. La prima, al centro dell’area sinistra, svolge la funzione di fulcro regolatore della disposizione ordinata e armonica dei praticabili. La seconda al contrario0 assume una posizione leggermente obliqua. La terza ed ultima vasca è posizionata sulle scale che precedono il soppalco, andando a formare un declivio, che rappresenta la situazione di instabilità dell’ultima area.

Un altro elemento oltre ai pensieri che smuove e ordina la disposizione dei praticabili è la vasca, simbolo comune che si ripete in tutte e le tre aree dell’aula. La sua posizione in ogni zona determina il punto d’origine che regola il flusso di pensieri

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2.2 Variazioni sul tema Consapevoli della caducità della vita, in cui l’unica certezza risiede nel cambiamento, abbiamo deciso di evidenziare questo aspetto della realtà. Il concetto di precarietà non regola la totalità dell’esistenza, poiché solo alcune sfere della vita umana subiscono la sua influenza. All’interno dell’aula abbiamo cercato di riproporre tale concetto di instabilità attraverso il meccanismo della sospensione, che si ritrova solo in alcuni dei quartieri per mezzo della sospensione di elementi e dell’eliminazione del piano d’appoggio. La struttura che permette la sospensione, sostenendo gli edifici, è pensata in ferro seguendo una costruzione geometrica.

Anche se il materiale di costruzione determina un’iniziale percezione di eccessiva pesantezza, tuttavia l’insieme di vuoti e linee sottili che costituiscono lo scheletro architettonico, conferisce un grande senso di leggerezza. Allo stesso modo tale caratteristica viene espressa attraverso il rivestimento delle strutture: l’impiego di differenti tipologie di carta vuole riproporre l’impercettibilità del pensiero. All’interno del praticabile, si crea così una fitta trama di linee che permette la sospensione di alcuni componenti strutturali del quartiere.

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Le sospensioni di elementi costitutivi dei quartieri subiscono continue variazioni nel corso dello spettacolo, in modo tale da far percepire l’idea di trasformazione. Un apposito sistema a tiro permette la sospensione degli elementi mobili della città. Questi, collegati ad un cavo si sollevano lungo una traiettoria dettata dalle guide poste su di una struttura in legno. In corrispondenza del tiro è posto un timone che consente di svelare allo spettatore il meccanismo che governa il movimento. Se da un lato la sospensione, basata sulla momentanea assenza della base d’appoggio, conferisce una sensazione di costante incertezza, dall’altra un particolare sistema che permette la rotazione di alcuni elementi, costringe lo spettatore ad un continuo cambiamento del punto di vista.

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La rotazione di una cornice all’interno del praticabile scandisce il tempo del quartiere e impedisce allo sguardo dello spettatore di cogliere l’immagine, farla propria e renderla duratura.


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2.3 Soggettiva sulla città

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La prima proposta nasce dalle riflessioni sviluppate in seguito all’analisi delle opere dell’illustratrice Amy Casey e del fotografo russo Alexey Bogolepov. Partendo dall’idea che gli edifici possano essere collegati attraverso dei fili, abbiamo ipotizzato la loro sospensione. Si è mmaginata una cittàburattino nella quale i quartieri sono sospesi a dei cavi, che vanno a riproporre lo stesso meccanismo con cui si muovono i burattini. La presenza di due assi, posizionate ad incrocio e sospese in graticcia, vanno ad occupare tutta la lunghezza dell’aula. L’altezza a cui si trovano i diciotto quartieri, varia in base alla tensione dei fili che li sospendono, affissi alle due assi soprastanti, mentre l’altezza delle mensole corrisponde alla linea di terra della città.

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La seconda proposta nasce dall’analisi di suggestioni iconografiche, quali Il nuotatore, una produzione di Studio azzurro, l’installazione sul lago d’Iseo di Christo e Jeanne-Claude e, infine, un particolare frame del film La sorgente del fiume di Theo Angelopoulos . Questa proposta prevede che i sei quartieri della zona centrale siano immersi in vasche piene d’acqua e che ne venga realizzata solo la struttura delle parti immerse, al contrario per le parti che ne fuoriescono, è prevista la completa realizzazione. Si formano delle strutture che seguono un’evoluzione verticale: partendo dalla base con elementi di costruzione, che ricordano la conformazione delle palafitte, si giunge ad elementi dalle fattezze più ricche e complesse.

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La terza proposta si concentra su quei frammenti di vita urbana che creano il quadro della città tratta dal film Il cielo sopra Berlino. Lo spazio è strutturato in modo tale che lo spettatore possa osservare lo spettacolo da due diverse prospettive. Nell’area sinistra dell’aula si trova un segno rosso sul pavimento, che sta ad indicare la precisa posizione dalla quale lo spettatore può avere una completa visione della città. La disposizione dei praticabili nello spazio è stata realizzata tenendo conto della tecnica dell’anamorfosi, secondo la quale l’immagine distorta acquista una forma veritiera solo se l’osservatore si pone in una determinata posizione. Varcata la soglia dell’ingresso principale, lo spettatore segue un percorso che si sviluppa in senso orario, dirigendosi per prima cosa verso le

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scale che conducono in falegnameria. Superata quest’ultima e, attraversato il giardino, lo spettatore rientra in aula utilizzando la seconda porta che permette l’accesso diretto al soppalco. Il pubblico può attraversare tutta l’aula dalla zona est alla zona ovest, aggirandosi in una città costituita da imponenti palazzi. I quartieri si presentano come delle istantanee di frammenti di vita urbana tra i quali si muovono due o più attori impegnati in varie azioni che aiutano lo spettatore ad immedesimarsi nella “realtà cittadina”. Concentrarsi su questi “dettagli di vita” prevede un metodo d’osservazione più microscopico, al contrario, l’osservazione del paesaggio urbano complessivo da una certa distanza, si basa su un metodo d’osservazione macroscopico.


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Per la realizzazione della quarta proposta è stato eseguito un attento studio di immagini legate al film Il cielo sopra Berlino di Wim Wenders; lasciandoci ispirare dalle parole di Marion: «Berlino: qui sono straniera e tuttavia è tutto così familiare. In ogni caso non ci si può perdere, s’arriva sempre al muro». L’idea non è quella di riproporre, secondo una trasposizione tecnica, la mappatura dei percorsi, ma quella di trasmettere l’impressione che regala la ripresa di Wenders. Lo spettatore è portato ad intraprendere questo percorso senza che ci sia alcuna regola che guidi la visita della città. Poiché alti pannelli impediscono la vista dell’intero isolato, si è pensato di creare un opuscolo che fornisca una visione completa aula. Ciò non solo porta a creare letture diversificate della

narrazione dei pensieri, ma evita anche il rischio di tralasciare frammenti dell’intero racconto. Il pubblico è invitato ad entrare in una sorta di labirinto per scovare anche le storie più nascoste che solo con la curiosità si possono “conquistare”. Basta saper osservare e lasciare che i profili delle mura del labirinto guidino lo sguardo dello spettatore in un percorso verso una città apparentemente nuova.

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PROGETTO

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3.1 I quartieri

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Lo spettacolo In una foresta di segni prevede la realizzazione di un’intera città costituita da diciotto quartieri secondo la disposizione dei praticabili nella pianta precedentemente illustrata. Allo stesso modo lo spettatore, spostando lo sguardo tra i quartieri dell’aula, può accorgersi di quanto l’oggetto della sua vista possa essere variabile. Il nostro studio si è concentrato su quattro quartieri che corrispondono, in successione nella sequenza numerica di Fibonacci a 1, 1, 3 e 2584. I primi due quartieri sono perfettamente speculari e, a loro volta, costituiti entrambi dalla suddivisione del piano d’appoggio in due zone. Nella prima si esprime il concetto di continuo cambiamento attraverso la rotazione di un piano mobile, caratterizzato

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dalla presenza di edifici sia nella parte superiore che inferiore. Nella seconda invece si vuole esprimere l’idea di immutabilità, vi sono infatti edifici di elevata altezza ben radicati al suolo proprio come gli elementi più antichi che costituiscono le città. L’equilibrio di questo quartiere è dato dalla contrapposizione di staticità e dinamismo, immutabilità ed evoluzione.


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Il terzo quartiere presenta uno stile architettonico tipico della cultura cinese, che prevede la realizzazione di edifici con una struttura palafitta denominati “DiaoJiaoLou”. La palafitta diventa un’esigenza per gli abitanti che vivono nei pressi di fiumi o di lagune e paludi che invadono gradualmente i loro spazi. L’utilizzo di pali in legno per sollevare le case dal suolo si rivela un ottimo espediente per evitare il contatto dell’abitazione con l’acqua. In questo quartiere, a differenza dei precedenti, si prevede una base costituita da molteplici strati diversi tra loro che, sovrapponendosi, determinano l’irregolarità del piano. L’elemento del vuoto si trova sia nelle strutture degli edifici che nella stratificazione del piano. La struttura apparentemente vuota ed inconsistente

nel volume, pone le sue fondamenta negli strati più profondi e si eleva, proprio come avviene con la costruzione dei pensieri. L’ultimo quartiere su cui abbiamo lavorato, vuole rappresentare sia il concetto di evoluzione ciclica che l’idea della duplice presenza. L’unico elemento del quartiere è un imponente edificio e il suo doppio, quest’ultimo ha la funzione di completare la costruzione e rendere funzionale il meccanismo. Le strutture presentano un’evoluzione verticale e, ruotando su se stesse, sembrano avvicinarsi l’una all’altra a causa di una forza d’attrazione. Questa forza ne determina l’oscillazione dando l’idea di precarietà.

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3.2 Il modulo e gli snodi Uno dei momenti fondamentali della progettazione è stato pensare a degli elementi semplici, la cui ripetizione dà origine a dei moduli per mezzo dei quali è possibile realizzare strutture più complesse. L’esigenza di creare un modulo è nata dall’idea di quartieri come strutture che potessero essere rivestite, in maniera parziale o completa, facendo risaltare o meno lo scheletro di ogni edificio. Questi modelli sono stati pensati tenendo conto della funzionalità, della resistenza, della facilità di costruzione e del costo. I moduli permettono di creare delle forme più o meno complesse, a seconda delle possibilità d’incastro dei pezzi e in base alla quantità necessaria di snodi

che la struttura presenta. Anche in questo caso, come per le idee e i pensieri legati ai quartieri, lo sviluppo del modulo è stato individuale e successivamente condiviso con l’intero studio. Si sono inizialmente realizzati moduli più semplici per poi giungere a quelli più complessi. Il primo modulo è stato pensato partendo dallo studio di una forma regolare, che potesse renderlo solido e pratico. Dopo diversi studi ci siamo soffermate sulla figura della lettera H, in quanto la sua forma e la sua ripetizione permettono la realizzazione di strutture semplici. Può essere realizzato in ferro, legno o cartoncino e, in base alla scelta del materiale, la composizione può essere piena o vuota.

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Il secondo modulo si basa sulla ripetizione di un quadrato non finito che può essere realizzato in legno, ferro o in filo di rame. La composizione risulta vuota e, attraverso questo modulo, si vuole rappresentare il concetto di infinita connessione ed evoluzione. Il terzo modulo si serve di due elementi fondamentali, quali un triangolo e la sua esatta metà che, se incastrati, possono originare esagoni, quadrati o rettangoli. Il ferro e il legno ci sono sembrati i materiali più adatti per la sua realizzazione. Infine il quarto modulo è composto da due piani, che insieme formano un disegno a forma di H. I due elementi sono legati tra di loro da un sistema ad incastro grazie ai tre tasselli di legno inseriti nelle loro lunghezze. La struttura necessita dell’utilizzo

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di soli quattro elementi e permette la continua evoluzione in altezza e in larghezza di un edificio. L’assemblaggio dei moduli può risultare stabile ma la sua inclinazione può alterare la geometria della costruzione rendendola apparentemente instabile. Dopo una serie di tentativi è stato scelto un metodo di costruzione unico per tutti gli studi. Il modulo può essere proposto in diverse forme, tenendo però invariato lo snodo che ne permette la costruzione. Ciò non esclude la possibilità di modificare tali elementi durante la costruzione degli edifici, optando per soluzioni più funzionali. L’idea è quella di utilizzare dei capicorda da elettricista unendoli tra loro con dei listelli di un materiale a scelta come legno o ferro. Dopo vari esperimenti, tale snodo ci è sembrato il più adatto, in quanto

permette l’unione di più listelli e quindi di incastri più complessi. Assemblando questi snodi avviene la creazione di telai su cui applicare la carta.


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3.3 Carta come costante Punto di partenza del nostro progetto è stato visualizzare la città come come foresta di segni, ossia un particolare intreccio di forme inconsistenti che muovono l’intera costruzione e trasformazione dell’ambiente. La completa conoscenza del territorio della città avviene attraverso la codifica di strutture, moduli e simboli che lo compongono. La costruzione di tali strutture permette la creazione di ambienti nei quali i pensieri sono liberi di nascere e di muoversi, creando delle narrazioni. Nel complesso della città convivono le atmosfere più variegate. Colori, stili e altezze sono le caratteristiche che ogni studio ha personalizzato per i propri quartieri.

Se le strutture degli edifici possono variare, unico elemento costante a tutti i quartieri è il materiale di rivestimento della carta. Ogni tipo di carta è concessa purchè si possa definire tale. L’utilizzo di carte di varia grammatura, colore, fantasia, forma e texture ha il proposito di andare a riproporre la grande varietà di pensieri che possono abitare una città. Ogni agglomerato architettonico presenta la sua essenza attraverso fogli, ritagli e frammenti come attestato d’identificazione. L’attenzione dello spettatore viene catturata dall’oscillazione della carta, il cui movimento è provocato dal passaggio dello stesso fra i praticabili.

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Nonostante sia l’unica costante della città il suo diverso utilizzo permette di descrivere architetture sempre nuove, in relazione alla presenza o assenza di fogli di rivestimento e alla percezione del volume che gli strati di carta creano. Come pagine di un racconto nel quale sono impresse, fra le righe, varie storie, anche le carte dei nostri quartieri si soffermano su precisi istanti catturati fra ritagli. Le carte che compongono il tessuto degli edifici colgono quei particolari che spesso sfuggono alla vista, proprio come accade nelle fotografie dove il volo degli uccelli è limitato dalla cornice dell’obiettivo. I fogli di carta sono espressione di un complesso intreccio di pensieri che permette allo sguardo di indagare a fondo e sviluppare una sovrapposizione di immagini.

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Figure simboliche si posano sulla carta adattandosi alle pieghe dei fogli e assumendo un aspetto leggero e delicato. Nei telai si creano delle riproduzioni quasi surreali. Lo sguardo dello spettatore non dovrà seguire un percorso obbligato nell’osservazione delle carte, bensì si soffermerà liberamente sulle carte più capaci di catturare la sua attenzione. La carta selezionata per rivestire ogni quartiere ha la funzione di rappresentare a pieno i pensieri che più lo caratterizzano, arricchendoli di ulteriori sensazioni. Partendo dalla semplice carta bianca abbiamo realizzato delle prove attraverso la manipolazione della carta e la sintesi di varie grafiche sul foglio. Il nostro percorso si è indirizzato da una parte verso l’esaltazione di linee geometriche che creano


dei reticolati, dall’altra verso una composizione armonica di immagini tratte dal mondo della natura affiancate da linee regolari di elementi architettonici. Molte carte presentano una griglia il cui sfondo, privo di immagine, innesca nella mente dello spettatore la fantasia, che rende personale la forma del contenuto. Le linee tracciate sulla carta creano una sorta di mappa che ricorda la disposizione della città in pianta. Ogni edificio porta con sé, nella struttura e nell’aspetto, i segni del tempo. La storia ci insegna che la costruzione di una città richiede del tempo, tuttavia la sua distruzione può avvenire in un battito di ciglia. Riflettendo su questo concetto abbiamo scelto di strappare dei fogli di carta, bruciare i bordi dei frammenti per poi ricucirli con del filo di cotone o di ferro.

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I pezzi di carta straccia riassemblati creano una particolare trama che va a rivestire alcuni edifici. I segni delle bruciature sulla carta simboleggiano le cicatrici del tempo sulla città. La presenza di immagini, le cui estremità risultano sfumate ed inafferrabili, indicano l’impossibilità, per l’uomo, di comprendere quale sia l’inizio del passato e la fine del futuro. Così come i giornali imprimono nero su bianco avvenimenti del tempo, anche i cerchi presenti nei tronchi degli alberi e i cambiamenti visibili delle città sono testimoni del corso della storia.

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CONCLUSIONE

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Conclusione

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Nel tentativo di considerare nuovi aspetti sui confini della società che viviamo, senza le coordinate dettate dallo spazio e dal tempo, ci siamo lasciate guidare dal concetto di città come flusso di pensieri. Attraverso il linguaggio del teatro abbiamo deciso di coinvolgere lo spettatore in una foresta di segni, ossia quell’intreccio di connessioni che trascende l’ambito sociale. Come Wim Wenders, ne Il cielo sopra Berlino, ci siamo permessi di “rubare” i pensieri degli uomini e collocarli in una dimensione cittadina atipica. Il progetto prende forma attraverso la rielaborazione del linguaggio su cui si fonda la realtà, secondo un ordine che scinde il concetto di tempo da quello di spazio. Il pensiero assimila la realtà oggettiva, elaborandone una propria concezione, attraverso un continuo processo di trasformazione,

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che non tiene conto di parametri ordinari. Il luogo in cui abitiamo non solo costruisce dinamiche relazionali verso gli altri, ma influisce sul nostro modo di vivere.


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Ne Il cielo sopra Berlino, Wim Wenders utilizza particolari inquadrature che sembrano essere una lente d’ingrandimento sui pensieri berlinesi e affida la narrazione a Damiel e Cassiel, due angeli che nel corso di tutto il film, fotografano precisi istanti che raccontano storie del presente. Guidati dal film abbiamo scelto di trasformare il nostro punto di vista e quello del pubblico, coinvolgendolo in prima persona in un percorso al di fuori del tessuto urbano e sociale. La foresta di segni ricopre l’intera superficie dell’aula, sovrastando lo sguardo di chi l’attraversa con alte strutture. Costruzioni apparentemente fragili regolano il nuovo concetto del reale, distogliendo la mente dello spettatore dalla propria concezione di città ideale, che sembra oramai distante ed irrealizzabile.

La pesantezza della figura umana risulta in contrasto con la leggerezza dell’agglomerato architettonico, tuttavia è il pensiero l’unica guida che rende possibile il movimento dello spettatore nello spazio. L’idea di non tracciare un percorso obbligato tra gli edifici permette di creare diramazioni sempre differenti, rendendo personale la trama che anima l’intera città. Lo spettacolo In una foresta di segni, apparentemente un intreccio di simboli e immagini da decifrare, ha l’ambizione di modificare la percezione che ognuno di noi ha dello spazio in cui vive abitualmente. Pertanto si vuole invitare lo spettatore ad avere, fuori dal contesto teatrale, una maggiore consapevolezza degli aspetti più profondi che costituiscono la città.

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BIOGRAFIA



Francesca Pontillo Nasce nel 1999 a Benevento, dove frequenta il liceo artistico Virgilio. Da sempre affascinata dal mondo dello spettacolo, decide di approfondire lo studio della scenografia teatrale presso la Scuola di Scenografia, Accademia di Belle Arti di Urbino, dove attualmente frequenta il terzo anno del triennio. Di madrelingua italiana, possiede una media padronanza della lingua spagnola. Si pone l'obiettivo di riportare in campo lavorativo le conoscenze e le esperienze acquisite durante il percorso di studi.

Born in 1999 in Benevento, where she attends the Artistic High School “Virgilio”. She has always been fascinated by the entertainment world so she decides to deepen the study of theatrical scenography at the School of Scenography, Fine Arts Academy, in Urbino, where she currently attends the third year of triennium. She is a native Italian speaker, and she has a medium level of fluency in Spanish. Her aim is to take advantage of the knowledges and experiences acquired during her course of studies, in the work field she wants to specialize.

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Rosaria De Donatis Studentessa e aspirante scenografa, nasce a Gagliano Del Capo nel 1995. Gli studi presso il liceo scientifico linguistico “Leonardo Da Vinci” di Jesi, le hanno permesso di approfondire la conoscenza delle lingue e delle culture straniere. Nutre da sempre grande passione per la storia dell’arte tanto da decidere di intraprendere il percorso triennale presso la facoltà di Scienze umanistiche. Discipline letterarie, artistiche e filosofiche. Attraverso la pratica della disciplina di acrobatica aerea si avvicina al mondo

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dello spettacolo teatrale e decide di approfondirne lo studio. Con l’intento di completare la sua formazione umanistica, frequenta il biennio specialistico presso la Scuola di Scenografia, Accademia di Belle Arti di Urbino. Di madrelingua italiana possiede una buona padronanza della lingua spagnola e una media padronanza della lingua inglese. Nel 2020 collabora al progetto digitale dello spettacolo Il Sex Appeal dell’Inorganico, realizzato presso la Scuola di

Scenografia di Urbino. Si augura di riuscire a mettere in pratica, in ambito lavorativo, le conoscenze apprese presso la scuola, arricchendo i suoi lavori per mezzo del suo bagaglio umanistico.


Student and aspiring set designer, she was born in Gagliano Del Capo in 1995. Her studies at the Scientific and Linguistic High School “Leonardo Da Vinci” in Jesi enabled her to deepen the knowledge of foreign cultures and languages. She has always been passionate about art history, so much that she decides to start the threeyear course at the Faculty of Humanities. Literary, Artistic and Philosophical Disciplines. Through the practice of the discipline of aerial acrobatics, she gets close to the world of theatrical entertainment and she decides to deepen her study in this field. Aimed to complete her

humanistic education, she attends the specialistic biennium at the School of Scenography, Fine Arts Academy in Urbino. She is a native Italian speaker and she has a high level of fluency in Spanish and a medium level of fluency in English. In 2020, she collaborates on the digital project of the show Il Sex Appeal dell’Inorganico, realized at the School of Scenography in Urbino. She hopes to be able to put into practice in the workplace all the knowledges learned at the school, enriching her works through her humanistic baggage.

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Francesca Vagnozzi Nasce a Giulianova nel 1998. Frequenta il liceo artistico “G. Montauti” di Teramo, dove ha avuto il suo primo approccio con il disegno e la pittura. Inconsapevole ma incuriosita dal mondo del teatro sceglie di intraprendere il corso di scenografia. Consegue la laurea triennale presso l’Accademia di Belle Arti di Urbino. Frequenta attualmente il biennio nella stessa facoltà con l’intento di approfondire a livello tecnico e teorico la pittura di scena. Nel corso di questi ultimi anni ha l’occasione

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di collaborare nella realizzazione dei fondali di scena e attrezzista nello spettacolo Impreparati (titolo provvisorio), nella stagione Teatro Oltre 2018, liberamente tratto da L’affaire Moro di Leonardo Sciascia, scritto e prodotto dalla Scuola di Scenografia di Urbino Nel 2019 ha l’opportunità di partecipare come attrezzista ne La Cambiale di Matrimonio di Gioacchino Rossini in occasione del Rossini Opera Festival, Edizione giovani, 2019. Nello stesso anno collabora come scenografa realizzatrice nello spettacolo

La Luna del Pomeriggio, tratto dall’omonimo scritto dai detenuti del carcere di Alta Sicurezza di Nuchis e curato da Giovanni Gelsomino, una produzione de La Luna del Pomeriggio, regia di Simone Gelsomino. Spera pertanto di continuare ad approfondire in contesto teatrale e cinematografico la pittura di scena.


Born in Giulianova in 1998. She attends the Artistic High School “G. Montauti” in Teramo, where she has her first contact with drawing and painting. Unaware but intrigued by the world of theater, she chooses to start the course of Scenography. She graduates in the three-year period course at the Fine Arts Academy in Urbino. She currently attends the biennium in the same department, aimed to deepen the scene painting at a technical and theoretical level. In recent years she has the chance to collaborate in the realization of scene backdrops and to work as toolmaker in the show “Imprerparati” (temporary title),

in the season Teatro Oltre 2018, continue to deepen the scene loosely based on L’affaire Moro painting in the theatrical and by Leonardo Sciascia, written cinematographic field. and produced by the School of Scenography of Urbino. In 2019 she has the opportunity to partecipate as a toolmaker in La Cambiale di Matrimonio, by Gioacchino Rossini, in occasion of Rossini Opera Festival, Youth Edition, 2019. In the same year, she contributes as set designer in the show La Luna del Pomeriggio, based on the homonym text, written by the inmates of the High Security Prison of Nuchis, edited by Giovanni Gelsomino, a production of La Luna del Pomeriggio, directed by Simone Gelsomino. Therefore she hopes to

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Wenyue Zhang Nasce a Handan, Hebei, Cina nel 1995. Frequenta il liceo artistico Fuchun. Arriva in Italia nel 2016 e studia la lingua italiana per un anno a Sarnano. Frequenta attualmente il terzo anno del triennio presso la Scuola di Scenografia, Accademia di Belle Arti di Urbino. Di madrelingua cinese, possiede una buona padronanza della lingua inglese e una media padronanza della lingua italiana. Ha l’occasione di collaborare come aiuto attrezzista e fotografo nello spettacolo Impreparati

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(titolo provvisorio) nella stagione Teatro Oltre 2018, scritto e progettato dalla Scuola di Scenografia di Urbino.


Born in Handan, Hebei, China in 1995. She attends the Artistic High School “Fuchun”. She arrives in Italy in 2016 and she studies the Italian language for a year in Sarnano. She currently attends the third year of triennium at the School of Scenography, Fine Arts Academy in Urbino. She is a native Chinese speaker; she has a good level of fluency in English and a medium level of fluency in Italian. She has the chance to collaborate as assistant toolmaker and photographer in the show Imprepati (temporary title), in the season Teatro Oltre 2018, written and designed by the School of Scenography in Urbino.

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