FORESTA
DI SEGNI
1 1 2 3 5 8 13 21 34 55 89 144 233 377 610 987 1597 2584
ACCADEMIA DI BELLE ARTI DI URBINO - SCUOLA DI SCENOGRAFIA
IN UNA
Indice
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Premessa
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Specchi, dune e onde
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Viaggi
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Cieli
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Biografia: Studio Spada Stefano Spada Sofia Salomoni Erica Calò
2.1 Centri 2.2 Deserto 2.3 Mare 2.4 Incontri
3.1 Città 3.2 Finestre 3.3 Paesaggi
4.1 Bozzetti 4.2 Prove su carta
PREMESSA
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La città muta e si muove incessantemente, è distrutta e ricostruita, ma il centro, ossia la sua origine, rimane pressoché immutato. Il centro di una città è la matrice della sua natura, il fulcro a cui tutta la popolazione, anche la più geograficamente lontana, tende fisicamente e inconsciamente. Dopo un lungo lavoro, e molti errori, il Mare è diventato il fulcro della città, il motivo della sua nascita e la sua via futura - e insieme al Mare, e a causa di esso, sono nate emozioni, problematiche, domande. Una città sul Mare non può a lungo mantenere una singola identità: per la propria natura di scalo e crocevia diverrà necessariamente una chimera, o, in senso
positivo, un mondo in miniatura. Popoli si incastreranno e si scontreranno al suo interno, attirerà stranieri, diverrà la meta di mille ricordi che a lei torneranno. In un luogo del genere la moderazione non può esistere, ed esso sarà la casa di un’immensa decadenza, nel peggiore dei casi. Oppure, come più spesso accade, di una bellezza inimitabile e misteriosa. 03.03.2021
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SPECCHI, DUNE E ONDE
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2.1 Centri Ideare il centro di una città significa idearne la visione del mondo: costruire una città lungo un fiume significa consegnarla nelle mani di un fenomeno che ritmicamente ne sancisce le sorti, significa dare ai suoi cittadini una mentalità, una filosofia, una corporatura ben precise – gli Egizi alle sponde del Nilo, alla mercè di “un’unica grande forza naturale”, “erano così gravi e sereni, come nessuno dopo di loro”, come ricorda Hofmannsthal. Se una Biblioteca infinita occupasse il centro della città, sancendone così i confini illimitati, i suoi abitanti vivrebbero in un mondo di incubo in cui l’impossibilità della conoscenza è una certezza, e dove sarebbe postulabile l’esistenza di popoli che non
sarà mai possibile vedere o contattare. Oppure, appunto, questi abitanti avrebbero creato metodi di comunicazione nuovi, proprio per superare queste distanze incalcolabili e ominose. Inutile dire che, essendo la città infinita, essa non potrebbe esistere sulla Terra, ma dovrebbe occupare un universo a sé, con leggi fisiche proprie e possibilmente variabili all’interno della città stessa. E quali rapporti sociali vigerebbero tra gli abitanti di una torre impossibilmente alta? Rimarrebbe in vigore la valenza simbolica dell’altezza, per cui i potenti occuperebbero i piani più alti? È anche possibile che, come nei teatri all’italiana, il popolo sarebbe ammassato nei punti di massima altezza
e bassezza: i luoghi più faticosamente raggiungibili e quelli a diretto contatto con la feccia, per cui i detentori del potere, nel luogo mediano, sarebbero stretti tra due forze capaci di annientarli al minimo errore. La base violenta di una democrazia.
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2.2 Deserto Ma la città, si formi essa a fianco della Natura o sia progettata da mani di ferro che spianano monti, riempiono valli e deviano fiumi, sembra quasi sempre rifiutare di essere vista dall’alto, ossia di essere navigata con facilità. In essa le strade si riuniscono inaspettatamente, portano a vicoli ciechi, si schiudono su paesaggi inaspettati – compaiono una foresta, una chiesa bizantina, un palazzo informe del ventunesimo secolo, una caserma del ventesimo. Labirinto di forme e labirinto di genti, labirinto di influenze, la vera città non appartiene ad un solo popolo ma diviene la casa di molti – quanti viaggiatori italiani si lasciarono meravigliare dalla Costantinopoli del 1600,
dove un califfo risolveva in un giorno problemi che avrebbero causato anni di guerre in Europa. Certo un ricordo di quella città, da cui passarono i destini di tutti i popoli del Mediterraneo, li perseguitò tutta la vita. Certo perseguitò Kantemir, quell’ambasciatore moldavo, che trascrisse nel Libro de la Ciencia de la Mùsica i tesori della tradizione musicale ottomana e sefardita. Ma tradurre in scena questo brulicare di popoli incastrati gli uni sugli altri e gli uni negli altri è un compito gravoso, e non sempre l’enorme e lo smisurato valgono a rendere l’estensione estrema di un fenomeno: talvolta un oggetto, un simbolo, un’immagine minuti possono contenere
e rappresentare i desideri e i moti di popoli interi. Per dar corpo ai fitti rapporti di Normanni, Arabi, Bizantini e popoli italici conta poco stilare un libro che ne contenga tutte le rotte, gli incontri, gli scontri, gli scambi (sebbene sarebbe certo interessantissimo): basta fotografare il Duomo di Amalfi. La città, dunque, diviene un labirinto, ma è impossibile rappresentare un labirinto in uno spazio minuscolo come un’aula di scuola: Borges risolve la questione, semplicemente, argutamente, rimuovendo le mura della struttura e sostituendole con la sabbia. Il più grande labirinto, egli dice, altro non è che il Deserto.
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2.3 Mare Il Deserto, tuttavia, non rispecchia abbastanza precisamente quella sensazione di una fitta rete di popoli e relazioni, da noi ricercata, vuoi per la sua tendenza ad evocare immagini tanto esotiche quanto distorte da Mille e una notte, davvero lontane dal nostro obiettivo, vuoi per quella secolare parentesi ascetica dei Padri del Deserto, che ha contribuito a marchiarlo, per sempre, come il luogo per antonomasia contrario al mondo. Dal Deserto si è passati al Mare, suo simile e contrario, non luogo dei miracoli ma delle scoperte, non di Dio ma dell’uomo, e specificamente al palmo blu del Mediterraneo, che sulle proprie coste ha accolto le ambizioni e le vite di metà
del mondo. Come già detto, per materializzare un popolo intero basta una sua opera: la nostra decisione è caduta sull’Architettura, da sé un pozzo quasi inesauribile. Una gran quantità di piante architettoniche disegnate e sagomate sono poste l’una sopra l’altra e accompagnate da un album di fotografie, simbolo archetipico della memoria, a formare una stratigrafia dello sviluppo della città, con tutte le sue contraddizioni, ricostruzioni, demolizioni, passaggi di potere.
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2.4 Incontri Gli abitanti della città sono Odisseo quanto, millenni ormai tutti morti, o non più tardi, quello di Georges sono mai esistiti, ma gli echi Simenon. delle loro parole o delle loro imprese continuano a risuonare nel paesaggio, continuano ad attirare verso il Mare. Un Ulisse indeciso, diviso in quattro, combatte contro sé stesso per decidere se salpare o rimanere fedele, fino alla morte, alle proprie radici; uno sconosciuto invitato a tornare a casa da spettri passeggia sul molo, indeciso anch’egli se restare, aspettare o andarsene; figure della letteratura e della mitologia si incontrano e discutono, come se si fossero sempre conosciuti. Il Mediterraneo accoglie in sé tutti i tipi e i loro contrari; come un polo magnetico, ha attirato tanto l’ago di
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VIAGGI
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3.1 Città Il Mediterraneo è un Mare circondato di monti. I monti diventano pianure e le pianure subito spiaggia, alle volte i monti stessi, friabili e vittime di continue frane, si gettano direttamente nel Mare. In Estate dal Sahara salgono i venti caldi e portano una stagione rovente, gli Inverni sono gelidi; il Mare segna il ritmo dell’esistenza, la sua lentezza e velocità, determina la flora autoctona, che è naturalmente poco variegata e solo a volte adatta al consumo. Ma lo stesso Mare rende possibile la navigazione, e dunque la flora, e la fauna, cambiano, le abitudini mutano e le usanze si rinnovano continuamente. Il destino della città è questo – edifici fatiscenti,
fatti più di aria che di mattoni, suscettibili al vento e ridotti ad una semplicità estrema. Sotto di loro una terra che ha ceduto quasi del tutto al Mare. Un Duomo, un Porto, un Teatro, un Faro, i simboli di una città che si può chiamare mediterranea.
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Il Duomo
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Il Porto
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Il Teatro
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Il Faro
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3.2 Finestre La città è fatta di carta e le un briciolo di senso della sue mura sono vittima del magia. vento e dell’acqua; la carta è fragile e antica, bianca come un muro intonacato, scura come pietra bruciata dal Sole o impalpabile come spirito. Quale paesaggio vedranno i suoi abitanti da finestre fatte anch’esse di carta? Certamente vedranno il Mare, ma nascosto, innanzitutto da anni e anni di memorie, viaggi, incontri, di cui il Mediterraneo è sfondo e apparentemente inanimato fautore. Vedranno calato sopra al paesaggio un velo di malinconia, o di nostalgia, un’urgenza di avventura, emozioni che è impossibile non provare di fronte alla piana (che una volta era infinita) del Mare – impossibile, per lo meno, per chi ancora abbia in sé
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3.3 Paesaggi Le città sono molteplici e non è detto che ognuna guardi su uno stesso paesaggio: ci sono città tra le nuvole, città sull’acqua, città sul Mare, in foreste, tese su ragnatele, mezzo sotterrate. Impossibile pensare che esista un paesaggio così variegato – si è dunque pensato di proporli tutti, in sequenza, sotto forma di fotografie, periodicamente illuminati da una luce che imiti il levarsi e lo scendere del Sole.
provenienti dalla flora, dalla fauna, dagli esseri umani, da mezzi di costruzione.
Oppure, una volta che la possibilità del figurativo viene meno, si possono utilizzare i suoni: il paesaggio diverrebbe allora l’insieme non delle sue forme e dei suoi colori, ma dei suoi rumori, siano essi
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CONCLUSIONE
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La città muta e si muove incessantemente, è distrutta e ricostruita, ma il centro, ossia la sua origine, rimane pressoché immutato. Da fondamenta comuni sono nati pensieri differenti che hanno dato forma a modi di abitare diversi, con tutto ciò che questo implica. Ogni città possiede un proprio cielo, vuoi che sia quello terso del deserto, o quello del Mare, sempre pronto a mutare, o un cielo grigio, mai scoperto - un cielo crea speranze o disperazioni, dona luce o la nega, e da un cielo stellato non è difficile trarre le basi di una teologia, o vedere in esso una mappa. La città attende paziente un cielo mai visto, una mappa che con linee immaginarie colleghi tutti i suoi edifici, ricongiunga tutti i pensieri
differenti e belli che l’hanno creata in un unico disegno, prima nascosto. Ma solo alla fine tale cielo propizio potrà essere visto: prima la città dovrà essere costruita.
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4.1 Bozzetti Segue la presentazione grafica dei quattro edifici scelti, che compongono la nostra città sul Mare. Il Duomo, il Porto, il Teatro e il Faro occupano i quattro praticabili assegnati all’interno dell’aula di scenografia, rispettivamente: F14, F7, F6, F12.
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Il Duomo (il campanile)
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Il Porto
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Il Teatro
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Il Faro
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4.2 Prove su carta Seguono alcune prove grafiche su carta rispettivamente su carta velina, carta da pacco e carta simil tipo vergata (Fabriano). La carta è stata scelta come supporto materiale per poter “rivestire” e/o “riempire” la struttura scheletrica dei moduli, con lo scopo di poter dare corpo e anima alle nostre città ed edifici.
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Il Duomo (il campanile)
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Il Duomo (l’arco del campanile)
Il Porto (1)
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Il Porto (2)
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Il Teatro (facciate fronte)
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Il Teatro (facciate retro)
Il Faro (parete fronte)
Il Faro (parete retro)
RENDER Cinema4d: impressione generale della struttura del campanile (Duomo)
BIOGRAFIA
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Stefano Spada - Nasce a Ravenna nel 1999, ha studiato Architettura al Liceo Artistico Nervi-Severini di Ravenna. Attualmente frequenta l’Accademia di Belle Arti di Urbino. Da tempo si occupa di Teatro e spera di lavorare in futuro nel settore della Scenografia teatrale.
Sofia Salomoni - Nasce a Merate (LC) nel 1999, ha studiato Arti Visive al Liceo Artistico Giacomo e Pio Manzù di Bergamo. Attualmente frequenta l’Accademia di Belle Arti di Urbino. Dagli studi teatrali attualmente in corso vorrebbe continuare la sua ricerca artistica-culturale nel cinema e spera di lavorare in futuro nel settore della Scenografia cinematografica. Inoltre, è attualmente impegnata nella creazione di un evento artistico-culturale, in un borgo tra le colline del Montefeltro, insieme ad altri cinque giovani ragazzi: il suo scopo è quello di poter unire culture e linguaggi distanti tra loro e far conoscere alcune delle ultime ricerche e innovazioni artistiche under 35 presenti sul territorio regionale e nazionale, mettendole in relazione all’importanza territoriale e morfologica del luogo ospitante.
Erica Calò - Nasce a Maglie (LE) nel 1997, ha studiato presso il Liceo Linguistico Francesca Capece di Maglie. Attualmente frequenta l’Accademia di Belle Arti di Urbino. Fin da piccola ha avuto l’aspirazione di lavorare nel mondo dello spettacolo. Grazie all’accademia di belle arti di Urbino ha avuto la possibilità di fare un’esperienza, come attrezzista, al teatro Rossini di Pesaro nel febbraio 2019 con la “Cambiale di Matrimonio”. Spera di lavorare in futuro nel settore della Scenografia teatrale portando innovazioni soprattutto meccaniche ed elettroniche.