Bausler Institut 01

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B.I

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BAUSLER INSTITUT Accademia di Belle Arti di Urbino Scuola di scenografia 2014-2015 con la collaborazione di :

Lucia Bramati Alberto Cannoni Francesca Di Serio Virginia Gidiucci Jurgen Koci Lucia Petroni Federica Torroni Irene Trenta Sofia Rossi Sofia Vernaleone Federica Bellazecca Daniela Ciaparrone Tommaso Nardin Maria Chiara Torcolacci Francesco Zanuccoli Alessandra Romagnoli Alice Pitonzo Valeria Iezzi Irene Furlan Jessica Fuina Lorenzo Bellelli Mattia Bonomi Sarah Menichini Alessandro Lucarini Federica Foglia Marcella Fiordegiglio Alice Castelli Lara Casalena Giada Tonioni Federica Serra Giulia Schiavone Monica Scaloni Angelica Sbrega Nike Sama Giacomo Sabatini Paola Piscopo

Teresa Pastore Mattia Michetti Camilla Di Pietro Aurelia D’Aessandro Giulia Astolfi Chiara Lavana Lorenzo Trucco Filippo Pirrello Jessica Pelucchini Nicolò Bagar Eleanora Claudia Colagiacomi Camilo Trincia Alessandro Doria Anthony Di Furia Paola Mariani Rinaldo Rinaldi Francesco Calcagnini Rossano Baronciani Pino Mascia Luisa Valentini Davide Riboli Giorgio Bramante Donini Francesca Gabucci Alberto Pancrazi Maria Paola Benedetti Monica Miniuucchi Emiliano Pascucci Massimo Castellucci



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Premessa

Benvenuti in un mondo buio. Procedere con cautela è altamente indicato, dal momento che, nell’ antro profondo ed inospitale del fastidio, atmosfera alquanto umidiccia dell’infanzia tardiva, si inciampa facilmente. Il peso di un corpo in fase di alterazione è cospicuo: passi ancora incerti non lo sostengono a dovere, anime cagionevoli ne sopportano l’incombenza assai lacrimose. Queste ultime sono in effetti terribili oltre che mistificatorie nelle vesti dell’innocenza, invero capaci e degne di ogni crimine.(Da attribuire al termine un senso letterale e non.) Si addice metaforicamente al caso in atto la pianta della mandragora (naturalmente intesa nella sua accezione leggendaria) piuttosto graziosa con i suoi fiorellini lilla nonostante la lieve rudezza del fogliame, tutto sommato rassicurante e gradevole. Clemenza valida solo fino alla sua indesiderata estirpazione dallo spazio occulto che aveva scelto di occupare: seguono urla strazianti della stessa, assolutamente letali per l’incauto avventore, così si narra. Non sorprende a ragion veduta che le illustrazioni medievali che la raffigurano sostituiscano spesso alla radice la figura di un infante. Piccolo, tenero, funesto. Dicevamo di muoverci con parsimonia: se creature così avventate possono in ogni caso recare danni più o meno permanenti a chi le circonda, è bene tenere a mente che se, come nello specifico, si dovesse trattare di esemplari prevalentemente muliebri il pericolo potrebbe accrescere esponenzialmente. È possibile dunque una condivisione degli spazi esclusivamente se valutata con ragionevolezza. Le suddette hanno spesso vissuto la realtà fenomenica solo attraverso svariati filtri, generati nella stessa misura dalla loro condizione di individui come dal raggruppamento obbligatorio un perimetro ben delineato per numerosi anni. Sito nell’Appenzell, come se non bastasse, vorrei vedere voi: quadrupedi , colline ed edifici che sembrano giocattoli. Per numerosi anni. Portano stringhe strette e piedi in crescita costante ed i pullover che indossano non sono mai abbastanza larghi da restituire loro la confortante sensazione di non poter essere viste realmente, come era prima di essere sradicate. La loro piccola esistenza è scandita in quattro tempi se non sbaglio, anzi no, sono diventati otto. Immaginate per un attimo che i vostri istinti siano regolati al metronomo e che ci sia una presenza costante che verifica quante volte battete le palpebre e se siete sincronizzati con la solitudine quando respirate. Se non avete inteso assolutamente nulla potete cercare risposte: - nelle 200 pagine conseguenti. - in uno spettacolo di durata X, che ha come protagonista X. - nei vostri ricordi, che non potranno mai essere troppo dissimili. Post scriptum: non è buio come sembra. Tranquilli. Sofia Vernaleone


CAPITOLO 1


Quando il fastidio è stretto


Fastìdio fastìdio s. m. [dal lat. fastidium, der. di fastus -us (che aveva anche i sign. di «orgoglio, disdegno»), prob. incrociato con taedium «tedio»].

a. Senso di molestia per cosa che dispiace o che mal si sopporta: dare, recare, sentire f.; ti dà f. il fumo?; mi dà f. vedermi sempre davanti quel seccatore; chiacchiera, si vanta fino a dare f., o anche fino al f.; disse tante cose di questa sua bellezza, che fu un f. a udire (Boccaccio); vorrei restare a tenerle compagnia, ma ... accoglie la mia presenza con malcelato f., e pare sollevata quando infine mi decido a congedarmi (Paola Capriolo); darsi f., assumersi un’incombenza noiosa, disturbarsi: non si dia f. per me. b. Noia, uggia, disgusto, sazietà: avere, pigliare in f. una persona o una cosa; venire in f.; l’abbondanza genera f.; negli uomini si rinnovellò quel f. delle cose loro che gli aveva travagliati avanti il diluvio (Leopardi); sentire f. della vita o di un genere di vita. c. Dispiacere, preoccupazione molesta, sofferenza, o anche ciò che è causa di dispiacere e preoccupazione o che provoca sofferenza: i f. della vecchiaia; altro rimedio non avea ’l mio core Contra i fastidi onde la vita è piena (Petrarca); prov., figlioli piccoli f. piccoli, figlioli grandi f. grandi. Abbastanza frequente nell’uso fam. l’espressione avere dei f. con qualcuno, avere noie, seccature, rapporti spiacevoli: ha avuto recentemente dei f. con la giustizia, con il fisco, con la finanza. d. Lieve disturbo o malessere fisico: non devo bere perché gli alcolici mi danno fastidio al fegato. 2. Ant., con senso concr. ed eufem. (solo al sing.), immondizia in genere: agli ambasciatori di catuno comune fu fatta vergogna e gittato addosso, cavalcando per la città, vituperoso f. (M. Villani). Dim. (per lo più scherz.) fastidiùccio.


Taedium Una classe di giovani fenotipi, non può che diventare all’occorrenza (Aula!)Teatro di nasi arricciati, sopracciglia aggrottate, bocche storte. L’adolescenza con tutti i suoi pruriti è certamente trascorsa da un pezzo, ma da buon Medioevo umano lascia alle sue spalle qualche piccola tortura, sia essa qualche foruncolo di troppo o semplicemente, un po’ di sano spirito del “non sono d’accordo, non sono per nulla al mondo d’accordo” (cit!). Tragico passaggio tra l’età in cui si vuole sempre avere ragione e l’età della ragione, tempi bui in cui la parola giudizio spesso e volentieri si riferisce solo ad un dente. Doloroso. Di sentimenti non si parla, è analogico. Così dicono. Viene fatta una sola eccezione, piuttosto frequente, a questo sistema di omissione emotiva, ed in effetti di qualcosa si discute molto: del FASTIDIO, signori. Non mi piace. Mi sta antipatica. Questo non mi sta bene. Che schifo. NO. NON. Qualcuno ha osservato la fauna studentesca, e ha capito che eviscerare la questione poteva essere una carta vincente. Esercizio: “Selezionare ed illustrare TRE cose che vi danno terribilmente fastidio. Solo tre.” Da qui un dubbio di grande importanza: qual è il confine entro il quale è lecito compiere questa analisi dell’urticante? Seguono dibattiti privati sui massimi sistemi, più o meno sui generis “Mi danno noia gli egoisti… anche i capelli unti…”. L’indomani scolastico portiamo in una stanza tutte le nostre insopportabili conclusioni, mandando a spasso i nostri disturbi su cartelloni 100x70. Qualcuno prova fastidio per la bestemmia, e dall’altra parte del banco un altro arrossisce sentendosi chiamato in causa (e non in qualità di Dio). Complicità di teste che annuiscono alle antipatie del prossimo. Scopriamo che spesso si confonde il fastidio con la misantropia. Imputate le oche giulive, diverse folle infestanti come la zizzania e gente con “Poca acutezza di sguardo” . La pena di morte e l’amore…ognuno ha le sue priorità. Il passo seguente è ricercare la medesima carica di irritazione nella letteratura e nella musica. Baudelaire ed altri signori vengono non solo scomodati in servizio del nostro sdegno, ma la declamazione dei loro scritti è seguita da agghiaccianti canzoncine infantili e metallari che “cosa urlano a fare, sbattendo quelle teste, che fastidio ”. Appunto. Per la prima (e speriamo ultima) volta nella storia, il Pulcino Pio e Joyce concorrono nello stesso ambito. Nel mettere ordine negli scaffali del nulla ci siamo accorti che tutte queste turbolente elucubrazioni necessitavano di un luogo di deposito differente dal cervello, poverello. Già che nell’aria aleggiava un che di ectoplasmatico (capirete in seguito il perché) ci siamo affidati ad un archivio “immateriale”, ovvero il virtuale: ecco specificata la nascita della pagina facebook intitolata ad oggi “Bausler Institut” , al principio “Taedium”. Qui riposano senza pace le parole, le note ed i volti di chi prima di noi (e meglio di noi) ha saputo inquadrare l’essenza di tutto ciò che di vescicante possa esistere. O essere esistito, tanto ormai il confine tra le due cose è labile.

Un vaso di Pandora dove presenti ed assenti danno libero sfogo allo scibile dis-umano.


Bestiari medioevali PENA DI MORTE L’assunzione di tale responsabilità,la presunzione di decidere chi può vivere e chi no. La mancanza di libertà muta così in mancanza di vita. Un intero processo che converge in un unico atto, gesto fatale che annulla ogni come e ogni perché di un essere

L’EGOCENTRICO Nella sua natura di esser al centro, ha la paura.Non si vuole far avvicinar per non aprire alla propria vacuità

UNA TV PER AMICA Fenomeno sociale di necessaria accensione dell tv, acuitosi negli anni con il dilagare di maxi schermi, piatti, curvi, effetto cinema..Anche in luoghi pubblici. Per una “cura del silenzio sempre più diffusa.

PERBENISMO Atteggiamento, modo di vita di chi desidera apparire persona perbene secondo la morale borghese, comportandosi perlopiù in modo ipocrita e conformistico UNA TV PER AMICA Fenomeno sociale di necessaria accensione dell tv, acuitosi negli anni con il dilagare di maxi schermi, piatti, curvi, effetto cinema..Anche in luoghi pubblici. Per una “cura del silenzio sempre più diffusa.


IL RUFFIANO Ha la maniera d’ottenere ciò che gli piace pur essendo un incapace.

MANIA DELLA CONDIVISIONE Mania sviluppatasi con la massiccia diffusione della tecnologia, colpisce trasversalmente tutte le fasce d’età tecno-dipendente con comportamenti compulsivi sfociati nei social network di : eventi, malanni, pioggia, sonni, pranzi e cene , sole. Il soggetto è ben riconoscibile dalla protesi a forma di telefono ben saldata nell’arto, visibile in qualsiasi situazione o ambito.

UNA TV PER AMICA Fenomeno sociale di necessaria accensione dell tv, acuitosi negli anni con il dilagare di maxi schermi, piatti, curvi, effetto cinema..Anche in luoghi pubblici. Per una “cura del silenzio sempre più diffusa.

CRISI DA STERILIZZAZIONE AMBULATORIALE Vera e propria ossessione che colpisce parte della popolazione femminile, a causa di insegnamenti o fissazioni personali a volte completamente infondate, che portano il soggetto colpito a vivere con strofinaccio in una mano e il detergente nell’altra, per debellare ogni singolo microbo esistente. Il soggetto è riconoscibile da un’innata smorfia di disgusto atrofizzat nel volto, nei confronti di tutto e tutti.


MASSA Quantità indiscriminata la cui consistenza o dimensione non sono valutate o sono considerate sfavorevoli. Fenomeni collettivi nei quali una moltitudine, radunatasi per varia natura, dà vita a comportamenti fortemente emotivi o irrazionali, considerati in genere tipici delle folle.

NON-CURANZA L’essere non curante non prende in conto, trascura ciò che invece si dovrebbe seguire, osservare, rispettare. Indifferenza, menefreghismo e ignobile perseveranza dell’obbrobriosa indifferenza. Sinonimo di negligenza,viene spesso rappresentata così come riportata nell’iconologia di Cesare Ripa: <<Donna vestita di abito tutto squarciato e rotto, sarà scapigliata stando a giacere con un orologio da polvere di traverso, o in mano o per terra. Stare a giacere significa desiderio di riposo, a tal punto che l’orologio è posto in modo che non l’arena indicando il tempo perso. Questo vizio è figliolo dell’accidia; verrà dipinta con una testuggine che le cammina per la veste,per esser lenta e negligente. W MULTITUDO Quella mostruosità molteplice che, presa un pezzo alla volta, sembran uomini, ragionevoli creature di dio, ma confusa insieme, fa una sola grande belva…un mostro più tremendo dell’idra.


OCA GIULIVA A te devo le lodi delle donne muta divina. Con la gola ben aperta lanci il tuo rito, non preferisci altro se non il tuo stridulo grido.

RIDONDANZA: L’essere sovrabbondante, eccessivo. Riscontrabile anche nell’arte greca e nei motivi decorativi che impongono come principio costruttivo ordinatore interno, il ritmo. Fastidio per questo, visivo e sonoro.

IPOCRISIA: “La stoltezza, l’errore, il peccato, l’avarizia dominano le nostre menti e travagliano i nostri corpi; e noi alimentiamo i nostri amabili rimorsi come i mendicanti nutrono i loro insetti immondi. I nostri peccati sono ostinati, i nostri pentimenti vili; ci facciamo pagare lautamente le nostre confessioni e allegramente ritorniamo nel sentiero melmoso, illudendoci di poter lavare con lagrime meschine tutte le nostre macchie.(…)”


“Certi tramonti, è vero, non torneranno più, ché appena il disincanto adolescente alza dal pavimento dell’infanzia il suo volto confuso, ha già negli occhi il suo ultimo tramonto.” Carmelo Bene.

La porta della gabbia era ormai a pochi centimetri. I topi sapevano quello che stava per accadere. Uno di loro saltava su e giù; l’altro, uno squamoso veterano delle fogne, ero ritto in piedi, le zampe contro la grata, e fiutava l’aria con un cipiglio feroce. Winston ne poteva vedere i baffi e i denti gialli.Di nuovo fu assalito dal panico più totale. Era cieco,inerme, folle.” (George Orwell , 1984)

Solo una sciagurata volta, all’alba di un giorno infausto, una donna delle pulizie che spolverava e lucidava la scrivania presidenziale, il servizio da scrittura in argento, i fermacarte, i tagliacarte, la grande agenda delle udienze… che spolverava dunque piegandosi troppo in avanti, poveretta, magari per fervore, forse per il desiderio di far bene [...] cadde di slancio a sedere sopra di me, che dovetti sentirla tutta grassa e molle anche se tesa dallo spasimo. E per l’urto del grosso corpo di quella donna e per lo scatto che feci di repulsione e per tentare di sottrarmi a quella contaminazione indecente e purulenta, capitò che le mie rotelle furono così tanto e velocemente spinte all’indietro che traversai in un baleno anche degli acciai dei miei braccioli, inarrestabileW, tutto lo spazio dietro di me. “Le mosche del capitale” di P. Volponi

“Riposava sulla schiena, dura come una corazza, e sollevando un poco il capo vedeva il suo ventre arcuato, bruno e diviso in tanti segmenti ricurvi, in cima a cui la coperta da letto, vicina a scivolar giù tutta, si manteneva a fatica. Le gambe, numerose e sottili da far pietà, rispetto alla sua corporatura normale, tremolavano senza tregua in un confuso luccichio dinanzi ai suoi occhi” le metamorfosi, franz kafka

Mi è accaduto qualcosa, non posso più dubitare. E’ sorta in me come una malattia, non come una certezza ordinaria, non come un’evidenza.S’è insinuata subdolamente, a poco a poco, mi son sentito un po’ strano, un po’ impacciato ecco tutto. Una volta istallata non si è più mossa, è rimasta cheta, ed io ho potuto persuadermi che non avevo nulla, ch’era un falso allarme. Ma ecco che ora si espande. [..] Stamane in biblioteca quando l’Autodidatta è venuto a dirmi buon giorno, mi sono occorsi dieci secondi per riconoscerlo. Vedevo un volto sconosciuto, semplicemente un volto. E poi la sua mano, come un grosso verme bianco, nella mia mano. L’ho abbandonata subito e il braccio è ricaduto mollemente. Anche nelle strade c’è una quantità di rumori sospetti che strisciano.”

(...) da queste mie madonne straordinarie, nell’ora che doveva essere la mia felicità, quando rientrato in quel monte di tabacco che mi aspettava ed era la mia casa, mi ritrovavo in una bolgia dantesca, in un interferenza che non vedevo l’ora cessasse per tornare a quell’altra mia vita meravigliosa,religiosa, inesistente. Quest’interferenza era fatta di nudi femminili che poi si rivestivano di certe specie di tute sollevate fino al pube, che sguazzavano nel letame. Le ragazze, cento, duecento, trecento, si divertivano ad acchiappare topacci enormi dilaniandoli coi denti, se li lanciavano: era questo il loro gioco preferito (e che io trovo un gioco che tutt’oggi si addice alle sane fanciulle della campagna, e alle donne che la natura matrigna ha destinate a restar prive in eterno della femminilità).

“La nausea” di J-P. Sartre

“Sono apparso alla Madonna”.Carmelo Bene,


ALCESTE: “Io no, non scherzo, e non sono disposto a risparmiar nessuno. La mia vista è ferita;sia a corte che in città non trovo che motivi per scaldarmi la bile; mi viene l’umor nero,una rabbia profonda, nel veder come vivono gli uomini fra di loro; dovunque solamente vile adulazione, ingiustizia,egoismo,tradimento,furbizia; non ci reggo,impazzisco, mi viene la voglia di caricare a testa bassa il genere umano.” (...) “é notorio che quello zotico ripulito in società si è fatto strada con mezzi ignobili, grazie ai quali si è messo in buona luce, trucchi che gli fruttan successi davanti ai quali il merito sfigura e la virtù arrossisce. Gli danno ogni sorta di epiteti vergognosi, nessuno che si sprechi a difenderne l’onore insozzato; chiamatelo canaglia,infame,farabutto, tutti sempre d’accordo, nessuno mai si oppone. Eppure,quel suo ceffo ipocrita si insinua dovunque,è benvenuto,viene accolto dovunque col sorriso; e se c’è qualche carica in ballo da disputare a forza di intrallazzi,la vince a danno del miglior galantuomo. Che diavolo! mi fa star male,mi,sì, mi ferisce a morte veder trattare il vizio con tanti riguardi; e ho sempre più spesso l’impulso di fuggire dal contatto degli uomini andando in un deserto”. “Il Misantropo”, Molière.

Estratti letterari


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Robin Thicke ft. T.I., Pharrell “Blurred Lines”

“Meno male che Silvio c’è”

“Il pulcino pio”

Trio “da da da”

Pitbull ft. Ke$ha “Timber”

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Miley Cyrus “Wrecking Ball”

Claudio Cecchetto “Gioca jouer “

Crazy Frog “Axel F”

Giuseppe Povia “l bambini fanno ooh!”

Madagascar 3 Soundtrack “Afro I Like To Move It”


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Pharrell Williams “Happy”

Tiziano Ferro “Rosso relativo”

Canzoni per bambini “Se sei Felice “

Cugini di Campagna “Anima mia”

The Trashmen “Surfin Bird “

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Bandabardò “Se mi rilasso collasso”

Colonna sonora ”Lo squalo”

MARDUK “Souls For Belial”

Kraftwerk “The Man Machine“

Nicki Minaj “Stupid Hoe”

Melodie fastidiose


“Il lavoro consecutivo l’analisi microscopica dell’ incomodo è partito con una decisione determinante: quale strada seguire davanti ad un bivio. Posto che gli impulsi negativi funzionavano in maniera ineccepibile bisognava fissare la direzione entro la quale porsi per mettere in scena un sistema così complesso di suggestioni, lasciandole materializzarsi, ma non senza istruzioni per l’uso. Le vie del sentimento sono innumerabili ed in assenza di confini il rischio era smarrirsi. In gioco due indirizzi differenti: -affrontare un tema fortemente intimo, ovvero utilizzare come spunto una storia che raccontasse lo stato interiore di un individuo in relazione al suo vissuto personale, ad una vicenda che, per quanto potesse accomunare gran parte dell’umanità, riguardasse il binomio tra persona coinvolta ed un dolore/malessere che in quel momento riguarda soltanto quest’utlima. -trattare un argomento di interesse collettivo, ovvero stabilire un incipit per presentare una accaduto più vicino al concetto di esperienza complessiva: in sostanza indirizzarsi verso la presa in esame di emozioni che nella maggior parte dei casi toccano la vita di tutti (se pur in momenti ben determinati) ma sempre in rapporto al contatto con il contesto esterno. Solitudine emotiva estrema da una parte, minaccia su più fronti dall’altra.

STABAT MATER di Pergolesi

E’una preghiera cattolica in lingua latina risalente il XIII secolo, comunemente attribuita a Jacopone da Todi e posta in musica da compositori quali Pergolesi e Rossini. Il canto descrive in termini commoventi e patetici l’afflizione della Vergine Maria, che contempla il corpo straziato di Gesù Cristo in croce. Il supplicante, chiede alla donna di renderlo partecipe della sua sofferenza di madre e di quella del figlio morente, ma in un frangente che recita: “O Vergine gloriosa fra le vergini Non essere aspra con me Fammi piangere con te” è possibile dedurre quanto il dolore di essa sia cieco e non ammetta condivisione, poiché nessuno può realmente provare la medesima angoscia della sua incommensurabile perdita. Questo è un male che richiede la comprensione dell’isolamento. Per quanto il testo sia ricco di suggerimenti interessanti, l’azione presenta un episodio nel quale abbiamo da subito intravisto qualche demarcazione di troppo rispetto al nostro vissuto attuale, e, volendo mettere a fuoco qualcosa che dialogasse in maniera più concreta con noi la scelta è stata votata ad un ambito più corale.


I BEATI ANNI DEL CASTIGO di Fleur Jaeggy

In breve, e senza svelare troppo ai futuri lettori ed astanti, la storia narra le vicende interne ad un collegio femminile sito nell’Appenzell, il Bausler Institut, finestre listate di bianco e vaste distese di verde ed acqua da contemplare, già che non c’è molto altro da fare. La voce narrante è un ex allieva della scuola, una fanciulla senza nome, che da voce alla sua pubertà liberando fra le righe smanie, repellenze ed estrogeni. Ci sono polpacci grossi e seni appuntiti, odori forti e mani da vecchia e tutti questi umori turbano la sua quiete. E soprattutto, c’è Frèdèrique : allieva più grande, più affascinante, più intelligente delle altre. Frèdèrique che scrive con la sua bella calligrafia “ti abbraccio” ma nella “Realtà” è come priva di arti, di epidermide, di cuore. La studentessa X che ne soffre oltre ogni dire, e ripiega su un rapporto pseudo intellettuale, sfogando tuttavia il suo bisogno di affetto in conoscenze meno raffinate ma capaci di ridere, sudare e trasmettere calore. Atletico slalom e salto dell’ostacolo per non dichiarare particolari scomodi di alcun genere, invero risulta questa la volontà del romanzo, che nega ancor prima di aver affermato. Ci ritroviamo al cospetto di immaginarie educande, ed inizia il gioco dei neuroni specchio . Le nostre intenzioni vanno stranamente “all’unisono”, il fastidio ha messo d’accordo tutti e la Jaeggy ha messo in accordo tutti i fastidi: il Bausler Institut ospiterà il nostro spettacolo.


CAPITOLO 2


Gli anni della Jaeggy


BIOGRAFIA: Fleur Jaeggy (Zurigo, 31 luglio 1940) è una scrittrice svizzera di madrelingua italiana. Importante figura del panorama letterario contemporaneo. Dopo aver trascorso gli anni dell’infanzia e dell’adolescenza in vari collegi svizzeri, negli anni sessanta si trasferisce a Roma. Qui diventa intima amica della scrittrice austriaca Ingeborg Bachmann e conosce alcuni tra i maggiori scrittori dell’epoca come Thomas Bernhard. Dal 1968 vive a Milano, ed inizia la sua collaborazione con la casa editrice Adelphi. Il successo arriva con I beati anni del castigo, premio Bagutta 1990. All’attività di narratrice affianca quella di traduttrice e saggista. Traduce Marcel Schwob, Thomas de Quincey, Robert Schumann e scrive su John Keats e Robert Walser. I suoi romanzi sono tradotti in diciotto lingue. Ha scritto inoltre per il teatro: Un tram che si chiama Tallulah è stato presentato nel 1975 al Festival dei Due Mondi di Spoleto (per la regia di Giorgio Marini) e nel 1984 a Lugano al Teatro La Maschera, per la regia di Alberto Canetta. In musica, ha collaborato ai testi per Franco Battiato usando spesso lo pseudonimo di Carlotta Wieck. Proleterka è stato scelto libro dell’anno nel 2003 dal Times Literary Supplement. Fleur Jaeggy è sposata con lo scrittore ed editore Roberto Calasso. Nel 2014 pubblica il suo nuovo libro, Sono il fratello di XX. “Intinta nell’inchiostro blu dell’adolescenza, la penna di Fleur Jaeggy è il bulino di un incisore che disegna le radici, i ramoscelli e i rami dell’albero della follia che cresce nello splendido isolamento del piccolo giardino svizzero della conoscenza fino ad oscurare col suo fogliame ogni prospettiva. Una prosa straordinaria. Durata della lettura: circa quattro ore. Durata del ricordo, come per l’autrice: il resto della vita.” (Iosif Brodskij in merito al romanzo “I beati anni del castigo”).”


Ogni cosa è destinata inesorabilmente ad uno spazio preciso (e ad un eterno ritorno ad esso). Una constatazione apparentemente così ordinaria definisce alcuni quesiti, penosi e non poco che, da quando abbiamo intrapreso tale gioco di ruolo con il remoto, si insinuano nei nostri pensieri con la pedanteria ossessiva di un orologio a cucù. In effetti, pensando a noi stessi in quanto entità analoghe al corpus educande il senso di apprensione ed empatia per le polverose esistenze trascorse di queste ultime non poteva che risultare amplificato, e se per queste presenze il senso di possessione era generato da ordine e disciplina, il nostro è riconducibile alle loro fattezze mute che deridono le nostre più ferme e scettiche convinzioni. Noi come loro, e come il genere umano tutto (“anche se in un collegio non si può parlare di genere umano”), nel perturbante equivoco che la vita altro non sia che un ciclo inarrestabile fatto di ripetizioni e doppi. Semplici creature quali siamo, prepotentemente ancorate alle nostre conoscenze pregresse che non contemplano sciocche credenze sui fantasmi , ci ritroviamo noi medesimi materia inconsistente ed aerea di una realtà che reitera le sue leggi. Per non parlare poi dello scherzo del destino che un dì di primavera ci mette a conoscenza del trascorso della nostra Aula Teatro, nemmeno a farlo apposta: ex riformatorio e palestra per la formazione della gioventù. L’ennesima seccatura. Il fatto che sia ancora possibile trovare pertiche, cerchi e clavette, testimonia la veridicità di questa suggestione. E con timore sfogliamo le foto in bianco e nero di ciò che contenevano le pareti alte di una stanza che frequentiamo ogni giorno, pregando un entità X (in cui nella maggior parte dei casi non crediamo) che non faccia spuntar fuori i nostri volti in uno scatto del 1900 perché “non gli permetto di resuscitare i morti…sarebbe terribile se i morti rivivessero!”(cit!). Con questi presupposti ben piantati in mente che ci siamo rapportati al testo, a dispetto di quanto espresso fin ora senza tristezza, ma divertendoci a sfidare questa sequenza ininterrotta di facce, nomi, calligrafie e ambienti già narrati in passato. L’ingenuità è gettarsi in qualcosa di imprudente con il sorriso a trentadue denti.

“Il cognome di Frédérique significa <<racconto>>. E, poiché il suo nome è racconto, mi lascio andare a pensare che sia lei a dettarlo, o a scriverlo, con il suo modo di ridere punitivo. Ho anche un inspiegabile presentimento che il racconto sia già stato scritto. Compiuto. Come le nostre vite. Come se l’umanità fosse un abecedario e ogni esistenza formata da lettere.” (estratto da “I beati anni del castigo”)


“A quattordici anni ero educanda in un collegio dell’Alpenzell. Luoghi dove Robert Walser aveva fatto molte passeggiate quando stava in manicomio, a Herisau, non lontano dal nostro istituto”. Nel primo pomeriggio del giorno di Natale del 1956, il corpo di Robert Walser, scrittore fragile e tenace, fu trovato nella neve, senza vita, lungo un sentiero nell’ Appenzell, Svizzera tedesca. Quando morì, all’ età di settantotto anni, era ricoverato da ventisette anni in una casa di cura per malattie mentali. Nei suoi scritti non si tratta di pazzia. No. L’ironia di Walser ci porta su un ambiguo sentiero in cui costantemente la stessa cosa e il suo contrario vengono affermate e subito negate. Le pagine sono costellate di “In realtà no; eppure sì”. Qualunque moto di ribellione fa giusto a tempo ad essere intuito dal lettore, che subito scompare.

Tale è il suo annullarsi, il suo piegarsi ad un’obbedienza cieca ed estatica, la sua opera di scientifica rimozione di qualunque traccia di personalità. Ricorderà l’ottusità, la noia, l’inutilità di certe giornate e di certe persone. Ma ricorderà pure che talvolta bastava fare finta. Fare finta di non pensare, di essere d’accordo, di marciare con convinzione. Annullarsi esteriormente per pensare di nascosto. Un po’ come accade in alcuni collegi. Un po’ come accade sia in “ Jakob von Gunten” di Robert Walser , che ne I beati anni del castigo della Jaeggy . Così come per le educande del Bausler Institut, anche a Jacob, il protagonista dell’istituto Benjamenta tocca entrare nel mondo. Nell’Istituto che “non insegna nulla” e che si trasforma allora nel teatro ideale dove Jakob-Robert può far risuonare il suo pensiero disorganizzato e divagante, un palcoscenico onirico dove i comprimari, gli eterogenei allievi della scuola, non sono altro che una emanazione dell’autore-protagonista. Le atmosfere claustrofobiche e quel misto di attesa, disagio e precarietà che si respira nel romanzo di Walser, poi, sono le ascendenti dirette degli scenari desolanti e tragici che verrano proposti anni dopo dalla Jaeggy. L’Istituto Benjamenta è un “non-luogo” che umilia ed esalta chiunque ne venga in contatto.


Fleur Jaeggy, anche lei svizzera e scrittrice, ne “I beati anni del castigo” ha dato conto della rigida educazione impartitale in un collegio di Teufen, sempre nell’ Appenzell: «Walser aveva la gaiezza dei disperati, che li porta a occultare la profondità e a tenere tutto in superficie. Per questo voleva sparire. Se penso che io ero lì vicino, in collegio, proprio nel 1956, e nessuno dei miei professori lo conosceva... In seguito, quando lavoravo al mio libro, sono voluta tornare nell’ Appenzell, sui luoghi delle sue camminate. E sono andata anche al manicomio di Herisau, per domandare sue notizie. Ma un’ infermiera mi ha allontanato, bruscamente».

Con Walser, poi, fischiare un fuorigioco clinico è ancora più facile. Con una costante frizione fra l’ assenza di qualsiasi finalità edificante dell’ azione umana e l’ imperturbabile compiacimento dei gesti quotidiani, frase dopo frase, Walser si muove verso le radici del sentimento intatto, verso un nulla perfetto e felice. Ma sempre senza drammi. Imparano a servire, i giovani allievi dell’Istituto. A tacere, ad avere un impeccabile contegno, a soffocare gli istinti di libertà. Ecco come ci si prepara alla vita. “Io come singolo individuo sono uno zero”(cit. Walser) potenza di un numero che in matematica è un indispensabile nulla.


CAPITOLO 3


Azioni, personaggi, luoghi


L’analisi (sarebbe più appropriato definirla messa a nudo) del testo, è risultata priorità assoluta al fine di individuare i punti cardinali che intendevamo porre in risalto. La prima fase è stata dedicata ad una serie di appunti inerenti tre gruppi di comprensione abbastanza ampi: azioni, personaggi e luoghi.


Dopo una lunga serie di riunioni comprensive di numerose letture del romanzo , il di gruppo drammaturgia ha condotto una ripartizione del libro in altri 10 argomenti imperativi per avanzare nel lavoro di messa in scena.


















CAPITOLO 4


Appunti per uno spettacolo


Ricostruire il Bausler Institut (nome del collegio incastonato nell’ Appenzell) e sovrapporlo alla nostra Aulateatro (incastonata dentro la cinta muraria di Urbino) è stato il punto di partenza di ogni speculazione. Pensare con le immagini e pensare con il testo (compresenza comparizione e comparazione) è un gioco d’azzardo imperfetto e perverso. Consiste di innumerevoli immagini, passaggi, significati, cose note, vaghezza, punti di riferimento che ci traducono inevitabilmente in un luogo altro. Omettere non è mentire (pagina 49 del romanzo) e dentro questo distinguo sottile tra due peccati le cose prendono forma e scompaiono. Poi ci sono le stanze, i corridoi, le aule e i boschi dell’Appenzel ma tutto è marcato come una chiave che indica un suono preciso che risulta dominante nel concerto degli accadimenti. Cosa occorre trasferire dalle pagine del racconto allo spazio agito della scena? Di chi è realmente la voce che narra queste vicende? In preda all’affanno non ci si fa mai mancare nulla: imponenti facciate di collegi, scalette di ferro per finestre cieche, alti fusti di alberi, un uomo decapitato, qualcosa che bruci, trenini a vapore, un pianoforte verticale, volti di educande, formano una raccolta di immagini e di suggestioni che improvvisamente reclamano una certa attinenza. Bausler Istitut: si sono costruiti modelli di istituti. Maniacalità e precisione: logo del Bausler Istitut, tovaglie, tovaglioli e confezioni del burro dell’Appenzel, divisa delle educande, modelli di boschi e relativi preventivi. Un lago Bianco e nero: lo spazio deve essere nero, nerissimo, notturno? Ma la nostra aula teatro è irrimediabilmente bianca. Si tratta di un discorso sull’esterno non conosciuto, ma anche di un certo buio sul mondo, sulla realtà e su di sé. L’aula è bianca e non vogliamo mettere le quinte. Geometrie: vorremmo suggerire non il dormitorio di un collegio ma (senza scivolare in un indefinitezza consolatoria) infondere il sospetto che in questo spazio forse è assolutamente esistito un collegio. Il perimetro approssimativo di queste vicende.


Jet lag: i tempi del racconto sono sfalsati. La voce del libro sembra avere l’età e la raffinatezza dell’autrice e non quella di una collegiale. Non è una grande scoperta. Avviene sovente nei romanzi ma tra beatitudine e castigo questo scarto crea un interferenza-disturbo che sembra calcolata nei minimi dettagli. Il signor Hofstetter: c’è una foto con un uomo decapitato e ai piedi ancora i calzini. La foto è di Joel Peter Witkin. Sicuramente ci servirà. Forse la ricostruiamo. Link: Con noi collabora graziosamente la professoressa Luisa Valentini. Lei è una raffinata scultrice ma non lo fa pesare. Con gli studenti del suo corso stiamo costruendo un copricapo a forma di bosco e una marionetta in fil di ferro. Una mamma che brucia Varie ed eventuali: Valigie e un cane dobermann sembra una delle ultime ossessioni accreditate. Video proiezioni: ci stiamo lavorando sodo. Indicazioni condivise: che non siano una didascalia, che non simulino una scenografia.




Fotografie modellino

La parola progetto non risponde ne corrisponde bene alle esigenze di un palcoscenico in relazione a un testo. Nello stesso tempo è un mezzo di indagine che spesso asseconda urgenze, manie, fissazioni, e contribuisce ad avere una percezione del fare. Seguiranno tra queste pagine innumerevoli stadi di progetto. Ognuno dei quali sottrae e aggiunge qualcosa ed inevitabilmente verrĂ fagocitato da quello successivo. Tutto il lavoro sul romanzo di Flaeur Jaeggy è un lavoro di sottrazioni, la ricerca del minimo e dell’eccesso necessari per la sua messa in scena.



- Progetto 1 Daniela Ciaparrone













- Progetto 2 Virginia Gidiucci












- Progetto 3 Irene Trenta










- Progetto 4 Federica Torroni

























- Progetto 5 Jurgen Koci



















- Progetto 6 Lucia Petroni











- Progetto 7 Sofia Rossi























- Progetto 8 Chiara Torcolacci
















- Progetto 9 Francesca Di Serio

B.I

ACCADEMIA DI BELLE ARTI DI URBINO scuola di scenografia


<< Omettere non è mentire >>


<< ...si ha l’impressione che dentro succeda qualcosa di fosco e un poco malato.

>>


<< Salivo in alto e vedevo uno specchio d’acqua >>


<< Mi lasciò lÏ nella sala da pranzo... >>


<< Quando vidi la sua calligrafia rimasi senza parola >>


<< La nostra casa è il collegio. >>


<< Ci ritiriamo nelle nostre stanze. >>


<< Per Sant Nikolaus passammo tutto il pomeriggio fuori dal collegio. Nevicava. >>


<< Ogni educanda ha il suo tip tap. >>


<< Obbedienza e disciplina scandivano l’ordine al Bausler Institut. >>


<< Mi voltavo e tutti i visi erano seri. >>


<< Noi ci lavavamo molto in fretta, un pò come i militari, o gli ergastolani. >>


<< Una moltitudine di visi abita nei loculi, ricca pastura. >>


<< Sono l’ultima. >>


<< Ordine e sottomissione, non si può sapere quali risultati danno nell’etĂ adulta.

>>


<< Detestai la luce e mi ammalai. >>


- Progetto 10 Tommaso Nardin







- Progetto 11 Sofia vernaleone





CAPITOLO 5


Prove: Marciamo


Entrare in perfetta sincronia con la ripartizione metronomica dell’esistenza propria al Bausler Institut non è cosa di poco conto, dal momento che la cognizione spazio temporale possibile nell’Appenzell degli anni ’50, peraltro in una realtà a sé stante come quella collegiale, è palesemente ben distante da quella che determina la nostra contemporaneità. Occorreva dunque riappropriarsi della lentezza senza senso, ma simultaneamente apprendere il ritmo ossessivo e minuzioso della vita dell’internato, in cui i gesti di quotidiana amministrazione si coordinano impeccabili come in una danza. Ci esercitiamo, in assenza di attori e comparse, a stabilire un omogeneità di gruppo imparando a camminare, contare e muoverci all’unisono, in una schiera compatta… “non un centimetro fuori posto”. La musica, ma soprattutto il rumore modulato dei nostri passi, accompagna un incedere continuo e reiterato a metà tra una rigida marcia militare ed una frenesia di lingue, versacci e cottonfioc . Ma non è forse la pubertà età della scissione? Balliamo bendati e soli, come in una festa invisibile e mai incominciata, e qualche volta mastichiamo anche palline di carta. Non mangiamo quasi. Ci specchiamo nel nulla, infilando e sfilando una camicia da notte, ci grattiamo la pancia ed il naso poi arriva la notte e con essa un canone quasi infernale. Chiamiamo la mamma, ma è occupato.

Uno, leccata di gelato, sudore, scrollata, NO!, sei, sette e… saluti a tutti dall’ Appenzell.



“Memorial Michael Nyman” MARCIA 1 Durante la marcia si mantiene costantemente il tempo coi piedi.

1 GIRO : - Giro vuoto con numeri - 1 (contare) - leccata gelato con verso (direzione dx) - mano fronte (dx) - scrollata sudore (dx) - NO con movimento testa (direzione da dx a sx) - 6 (contare) - 7 (contare) - Avanzare con mano dx alta, salutando con bacetti - Arrivati alla fine del giro, ripetere per 8 volte NO, e correndo, urlarlo fino alla posizione iniziale.

2 GIRO : - 1 (contare) - leccata gelato con verso (direzione dx) - mano fronte (dx) - scrollata sudore (dx) - NO con movimento testa (direzione da dx a sx) - 6 (contare) - 7 (contare) - Avanzare con mani giunte, piegamento delle gambe e sguardo in alto - Arrivati alla fine del giro, ripetere per 8 volte NO, e correndo, urlarlo fino alla posizione iniziale.

3 GIRO : - 1 (contare) - leccata gelato con verso (direzione dx) - mano fronte (dx) - scrollata sudore (dx) - NO con movimento testa (direzione da dx a sx) - 6 (contare) - 7 (contare) - Avanzare sorridendo, dire “POOM” , e fare il gesto della pistola - Arrivati alla fine del giro, ripetere per 8 volte NO, e correndo, urlarlo fino alla posizione iniziale.


“ An eye for optical theory” MARCIA 2 Durante la marcia si mantiene velocemente il tempo con i piedi. I movimenti vengono ripetuti sia “fronte” che “retro”, voltandosi sempre in senso orario, facendo un passo avanti alla fine di ogni movimento.

1 GIRO : - Giro vuoto con numeri - Lavare le mani - Estrarre lo spazzolino con la mano dx, sfregare i denti in senso orizzontale, sputare a dx. Riporre lo spazzolino - Pettinare frangetta - Pulire orecchio con mano dx, e scrollare il cerume; voltandosi ripetere con la sx - Lavarsi ascella dx, voltandosi ripetere con la sx - Pulire narice con mano dx, e scrollare la caccola; voltandosi ripetere con la sx


“Interiors for a christmas tree” MARCIA 3 In una schiera divisa in due file, tutti sono stesi per terra, respirando pesantemente. Si alternano,lentamente, gesti quali: - Grattarsi il naso - Fare il solletico alla compagna vicina - Sollevare velocemente il busto con un sussulto, e riscendere lentamente - Crampo al piede con scatto della gamba - Accarezzare la testa delle altre - Partendo dall’ultima della schiera, rotolare una sull’altra a turno sino a metà dell’aula.


“Hans Zimmer Time” MARCIA 4 Il movimento si svolge a coppie. Uno è seduto e l’altro in piedi alle sue spalle. Durante la coreografia si tiene il tempo lentamente, contando fino ad 8.

1 GIRO : - 1 la persona seduta è chinata in avanti con la testa sulle ginocchia e le braccia penzoloni, la persona alle sue spalle inizia a sollevarla lentamente tirandola verso lo schienale. - 2-3-4-5-6 la persona seduta nel frattempo con la mano dx “graffia” la propria gamba, e scuote la testa, per tutta la risalita. - 7 la persona in piedi scopre il viso a quella seduta - 8 la accarezza e questa spalanca la bocca mimando un urlo; ritorna in posiziona iniziale

2 GIRO : Rimane tutto invariato, ad eccezione del fatto che al num. 1 la persona seduta gira il foglio che ha davati.

3 GIRO : Rimane tutto invariato, ad eccezione del fatto che al num. 1 la persona seduta prende il foglio, che strappa in due pezzi al num. 8 mentre finge l’urlo.

4 GIRO : Si ripetono le figure del 1 GIRO.

5 GIRO : Rimane tutto invariato, ad eccezione del fatto che al num. 1 la persona seduta afferra il foglio che accartoccia lentamente, al num. 7 lo mette in bocca, al num. 8 lo sputa, per poi ritornare alla posizione iniziale.




CAPITOLO 6


Collaborazioni


Dopo aver preso seriamente in considerazione alcune idee fissate durante la progettazione dello spettacolo, abbiamo constatato di necessitare dell’intervento di alcuni corsi dell’Accademia. Di base si è partiti inglobando all’interno di tutto questo processo post-progettazione, alcuni alunni del 1° e 2° anno di Scengrafia, che ci hanno accompagnato con mani meticolose e pazienti, a varie prove di intaglio di calligrafie. Successivamente, e nello specifico, è stato chiesto un contributo ai professori: Pino Mascia, Luisa Valentini (entrambi del corso di scultura) e Davide Riboli (del corso di Nuove Tecnologie dell’Arte), i quali hanno a loro volta selezionato alcuni dei loro studenti per partecipare al progetto. Per cominciare, abbiamo fatto con ognuno di essi una riunione esplicativa per chiarire l’entità delle nostre richieste, ed in seguito per aggiornarci circa lo svolgimento dei lavori. Abbiamo chiesto dunque alla professoressa Valentini e ai suoi allievi, di pensare e costruire un supporto per degli alberi finti che potesse essere indossato da una ragazza, dotato di una struttura rigida, ma allo stesso tempo leggera. Come ulteriori oggetti di scena ci occorrevano: una scala da arbitro, una protesi per gamba da far indossare ad una delle educande del collegio ed una bambola in ferro dagli arti mobili cui dare fuoco più volte. Il prof. Mascia, invece, è stato molto d’aiuto al gruppo che stava costruendo l’uomo decapitato ripreso da una foto di Witkin (famoso per aver ritratto in foto dei cadaveri). Il gruppo in una prima fase ha lavorato indipendente riscontrando delle difficoltà nella riproduzione fedele del modello, ma grazie all’esperienza e al giudizio del professore, il team è riuscito a portare a termine il calco realistico. Il contributo finale, è stato apportato anche da parte del prof. Riboli e di alcuni suoi allievi, che ci hanno istruiti per risolvere al meglio dei problemi tecnici inerenti la fonica, allo scopo di ottimizzare l’acustica all’interno dell’Aula Teatro. Lucia Bramati



Amici: qualche grafico che faccia la sigla del Bausler Institut? Non troppo raffinato: è un collegio svizzero anni 50 e non il Grand Budapest Hotel. Qualcosa da ricamare nelle lenzuola, nei taschini, una decalcomania per marchiare piatti e bicchieri.



1째 FASE


2° FASE Tra gli oggetti di scena da realizzare una scultura ispirata ad un’opera del fotografo statunitense Joel Peter Witkin , risalente al 1900, raffigurante l’immagine di un corpo decapitato posto su di una seduta. Affinchè la scultura risultasse verosimile alla foto di partenza è stato scelto un modello simile al soggetto fotografato da Witkin sul quale è stato eseguito un calco in garze gessate per ottenere un’anatomia abbastanza definita del corpo. Dopo i vari processi richiesti da questa pratica (ingrassatura, e divisioni anatomiche) è stato realizzato il positivo in plastoforma, una resina bicomponente all’acqua. Non ha solventi ed ha sicuri vantaggi per la sicurezza: bassa tossicità, nessuna immissione nell’ambiente ed è ininfiammabile. La dose ottimale è 5 parti di polvere e 2 di acqua(5:2). Durante la fase di lavoro ci sono state alcune problematiche legate alla realizzazione del calco che ha comportato una successiva esecuzione dell’intero processo su un secondo modello. Nella seconda fase, i singoli pezzi ottenuti nel primo passaggio, sono stati assemblati per creare la forma finale, al quale una volta estratto, sono stati definiti i vari particolari mancanti in argilla. A seguire un processo di levigatura per eliminare le imperfezioni e i pezzi in eccesso. Nella fase finale è stato eseguito un trattamento pittorico in collaborazione con il professore Rinaldo Rinaldi, per simulare l’effetto della pelle umana. Infine saranno aggiunti dettagli, tra i quali un calzino al piede destro e un cero posizionato in prossimità del collo. Sarah Menichini, Marcella Fiordegiglio, Jessica Fuina, Federica Foglia Il Demiurgo si innamorò di materiali sperimentati, perfezionati e complessi; noi daremo la preferenza alla paccottiglia. E questo semplicemente perché ci affascina, ci incanta il basso costo, la mediocrità, la volgarità del materiale. Capite, - domandava mio padre, - il senso profondo di questa debolezza, di questa passione per le veline variopinte, per la cartapesta, per la vernice, la stoppa e la segatura? Questo, - proseguiva con un sorriso doloroso, - è il nostro amore per la materia come tale, per la sua pelosità e porosità, per la sua unica, mistica consistenza. Il demiurgo, grande maestro e artista, la rende invisibile, la fa sparire dietro il gioco della vita; noi, invece, amiamo la sua dissonanza, la sua resistenza, la sua maldestra rozzezza. Ci piace vedere dietro ogni testo, ogni movimento, il suo sforzo greve, la sua inerzia, la sua mite goffaggine da orso. Le ragazze sedevano immobili, gli occhi di vetro. I loro volti erano tirati e istupiditi dal lungo ascoltare, le guance chiazzate di rosso: sarebbe stato difficile in quel momento valutare se appartenevano alla prima o alla seconda genesi. – In una parola, - concludeva mio padre, - noi vogliamo crear una seconda volta l’uomo, a immagine e somiglianza di un manichino. bruno Schulz,

“Trattato dei manichini ovvero secondo libro della Genesi”


Progetto “bosco sulla testa”


Progetto “Mamma brucia”


CAPITOLO 6


Video


Per l’elaborazione e la creazione dei video siamo partiti cercando di comprendere gli scopi per cui dovessero essere utilizzati e se fossero effettivamente necessari per uno spettacolo come il Bausler Institut. Ciò che è risultato dalle prime riunioni è stato che i video non avrebbero dovuto avere un semplice ruolo di sostituzione didascalica della scenografia ma che invece fossero parte integrante dell’azione, in modo che tra attore e proiezione ci fosse una sorta di interattività. Deciso ciò abbiamo cercato di capire quale tipologia di immagine usare e in quale punti dello spazio fosse più consono proiettare. Tale prova ci è servita anche per renderci conto di alcuni dati tecnici, ad esempio la potenza dei proiettori, la distanza in cui dovessero essere posti per dare una migliore resa visiva e la grandezza dei file da proiettare. Sempre per cercare di valutare empiricamente i risultati e le problematiche che sarebbero potute insorgere abbiamo deciso quale sarebbe stato il primo video, detto “Video0”, il cui soggetto era la colazione delle educande del Bausler. Così dopo aver fatto lo storyboard e dopo aver allestito il set lo abbiamo girato con telecamera fissa dall’alto e in seguito è stato montato e elaborato con i programmi Adobe Premiere e Adobe After Effects. Grazie a tale prova abbiamo deciso di girarlo una seconda volta utilizzando la tecnica del “passo uno” o “stop-motion”, in modo tale che gli oggetti (quali tazze, zuccheriere, cucchiai ecc…) sembrassero prendere vita da soli. Successivamente, in coordinazione con il gruppo di regia, abbiamo esaminato più e più volte il testo dello spettacolo con lo scopo di individuare i momenti e i soggetti dei video da realizzare in seguito. Sofia Rossi

PROVE VIDEO


“ Nelle vite di collegio...”

Video visi delle studentesse comenegli annuari scolastici. ( proiezione su armadio ) L’attore interagisce scrivendo sopra i volti e strappando il foglio su cui si proietta. “ Una ragazza era di colore...”

Ogni volta che vien detto “ 2 o 3...”

possono essere numeri, scritte, date, oggetti...


“ Un biglietto amoroso...”

Video di Her Hofstetter che mangia una testa di bambola

“ Non pensavo che alla prima colazione...”

Video colazione + tavole anatomiche

... DING DONG...

Video scanner


“ L’ordine era una possessione...”

Video mani che si lavano in modo ossessivo

“ Con Frederiquè non parlammo mai...”

“ Mio padre annotava su unn libro di tela azzurra...”

Video date di agenda anni ‘50


RICERCA VIDEO/TESTO << Era il Lago di Costanza...>> video su sacchetti d’acqua << Quando vidi la sua calligrafia..>> video con scritte + volti educande << La freccia l’avrebbe colpita al cuore..>> video scoccata di una freccia << 2 o 3 mi servivo il dessert..>> video numeri <<A quattordici anni..>> video bocca su vetro << Non pensavo che alla prima colazione..>> video colazione << Pensavo a una cosa sola: entrare nel mondo..>> video boxe femminile << Ballo..>> video polpacci << DING DONG..>> video scanner << Bisognava fare la fila..>> video mani che si lavano << Il giro degli occhi..>> video occhi girati << Quel giorno provai terrore..>> video crash << Il treno sembrava un giocattolo, partì..>> video treno





CAPITOLO 7


Ipotesi di regia 0


SCENA 0.1 Al principio dello spettacolo una donna con dobermann al guinzaglio, “costringerà” gli astanti, con fare severo ed compostamente minaccioso, a posizionarsi sulla parte DX dell’aula. La scena si presenterà nella seguente maniera: -I sacchetti d’acqua, indicazione simbolica circa la presenza del Lago di Costanza, non sono ancora issati dallo stangone ma parzialmente distesi sul pavimento. Dietro quest’elemento si intravedono due grandi strutture composte da letti a castello impilati uno sull’altro, ed in mezzo ad essi un’unica brandina. Le educande, giovani ed anziane, si troveranno già distese e sedute sui letti, tuttavia, come già accennato, saranno illuminate il meno possibile, affinché in un primo momento la loro presenza sia percepita ma non evidente. - Nell’area SX dell’aula sono disposti due binari, su ognuno dei quali potrà poi scorrere un praticabile. Sulla parete (nello specifico sulla mensola) un ingombro costituito da valigie, che si estende anche in altezza. Difronte ad essi, un piccolo banchetto scolastico dotato di sedia, quasi al centro della sala. Su quest’ultimo è appoggiato un registro , con penna e calamaio. Hofstetter (1) occupa questa postazione, e ripetendo a voce pacata i nomi riportati sulle etichette delle valigie, li annota sul registro. Giunto al termine dell’elenco, pronuncia anche le sue generalità, e scrive ancora. Inizia poi il suo breve monologo. Il bizzarro incipit in cui afferma“Omettere non è mentire: ero educanda in un collegio” giustifica il gesto che ha appena compiuto, ovvero quello di mettere il suo nome tra quello delle ragazze interne all’edificio. -Nella parte DX, in corrispondenza del terzo finestrone partendo dalla cripta, una scala a libretto.


SCENA 0.2 Tutto rimane piuttosto statico fino alla battuta “Chi copia diventa l’artefice”. In quel momento infatti entra il primo praticabile, sul quale vediamo il corpo mutilato alla Witkin, che si ferma proprio di fronte ad Hofstetter (1). L’uomo, a seguito di un primo sussulto di stupore, sembra rimanere alquanto indifferente all’ ingresso di questa figura inquietante. Arriva il momento in cui H. racconta delle passeggiate che compie nell’ Appenzell, e ad “Ogni mattina mi alzavo alle cinque per andare a passeggiare”, sale sulla scaletta a libretto fissando il finestrone, dove naturalmente non si vede nulla. In questo momento i sacchetti d’acqua si sollevano lentamente, e su di essi viene proiettata dell’acqua. Questa atmosfera fino ad ora piuttosto silente, a seguito del suo “Mangiavo una mela e camminavo” ,viene bruscamente interrotta da un fastidioso rumore di masticazione. H1 si volta di scatto, chiaramente preoccupato, ed assiste all’ingresso, sul secondo praticabile, della testa corrispettiva al corpo apparso poco prima: è Hofstetter (2), l’altro da sé malvagio, che si intromette senza posa. Questo stringe tra i denti, per l’appunto, una mela, così che ogni riferimento alla sua natura suina non rischi di sembrare puramente casuale. Il suo corpo mutilato sembra entrare in agitazione, e vediamo la sua mano intraprendere un movimento nervoso delle dita. H1 si precipita verso questo sinistro, cercando immediatamente di interdire la sua parola, ma senza successo. Infatti, quello che dal principio era un monologo, diventa a partire da questo indesiderato momento un dialogo, alquanto carico di disprezzo e sarcasmo, tra parti “contrastanti” del medesimo individuo. Un esempio: H2 sottolinea morbosamente il verbo “toccare”, H1 cerca di interromperlo dicendo “Non avrei mai osato accarezzare la bambina”.


SCENA 0.3 Alla battuta “Mi lasciò lì nella sala da pranzo…” i due praticabili si muovono velocemente facendo uscire di scena corpo mutilato e testa parlante di H2. “Quando vidi la sua calligrafia..” H1 torna al suo banchetto scolastico e comincia ad annotare qualcosa con minuzia e nervosismo , nel mentre sulla porta/armadio della cripta vengono proiettati degli esercizi di scrittura nero su bianco. La proiezione si trasforma in dissolvenza in un annuario scolastico, dopo poco Herr Hofstetter prende a strappare freneticamente dei fogli: in video l’annuario va in pezzi. “Una ragazza era di colore” , ingresso di Frau Hofstetter, Mutti. La donna arriva a passo sostenuto dalla porta di servizio e si dispone dinanzi ai sacchetti d’acqua, annaspando. Il suo volto è sfigurato da un insolita protuberanza guanciale (vedi: “Lady in the radiator” in “Ereaserhead” di David Lynch), ma la sua estetica in generale, fatta eccezione per questo dettaglio, è estremamente sobria ed austera. La stessa cosa dicasi per il suo comportamento, che varia da un fare rigoroso e fiero a delle movenze ed espressioni praticamente canine (ad esempio, la donna in qualche istante produce bava). Le protesi facciali stanno infatti a rendere curiosamente simili le sue fattezze a quelle di un bulldog. Mutti ripete solo le parole “Mein kind” con voce atteggiata ad un tono infantile. Videoproiezione di un cuore trafitto dalla freccia (il primo sulla porta/armadio, la seconda sui fili sospesi).


SCENA 0.4 “Qualche volta andavo a trovarla nella sua stanza…” Herr Hofstetter si muove in direzione della cripta, che si apre lentamente, scoprendo la figura di X, ferma in penombra. L’unico elemento di scena presente è un praticabile inclinato. “..è il bersaglio che ci colpisce”, ulteriore proiezione di cuore e freccia. Frau Hofestter nel frattempo, alla battuta “Mutti, la nostra casa è il collegio” esce di scena, sempre dalla porta di servizio. A quel punto H1 si introduce nella cripta e, a seguito della frase “La studentessa X detestava me”, si inoltra nel buio fino a sparire.


SCENA 0.5 Al contempo i sacchetti d’acqua salgono piÚ in alto possibile, scoprendo la pila di letti con le educande. Incomincia il monologo di X, durante il quale le 8 educande bisbigliano, intonano a voce molto bassa qualche nenia puerile e fanno versi.


SCENA 0.6 “L’arrivo di una nuova desta sempre una certa curiosità…” entra un praticabile che trasporta 4 sedie vuote. Le educande giovani si alzano, ne prendono una a testa e le posizionano in corrispondenza dei simboli sul pavimento. Dalla cripta giungono altre quattro ragazze con rispettive sedie che fanno lo stesso. “Suona la campanella, ci alziamo.” Parte la canzone della marcia e le educande intraprendono dei movimenti a metà tra una danza sincronizzata ed un addestramento militare. Le anziane scandiscono a voce il numero dei passi e tengono il conto con le dita. “Suona la campanella, dormiamo.”, le quattro educande venute dalla cripta escono di scena dalla stessa, le altre tornano nel loro “dormitorio”. Segue la parte inerente la frenesia alimentare di X, sintetizzata nella videoproiezione sul praticabile inclinato della cripta: una prima colazione.


SCENA 0.7 “Per Sant Nikolaus…” da un cubo bianco sospeso al centro dell’aula cadono dei piccoli pezzi di fogli ad indicare la neve dell’Appenzell. X si muove dalla cripta e si dirige verso il dormitorio. Occupa il letto singolo disposto tra le due grandi pile di letti e si addormenta.


SCENA 0.8 Ballo: entrano i due praticabili, uno trasporta il pianoforte (con musicista), l’altro la testa di Hofstetter(2). Le educande srotolano delle coperte nere dai letti, che vanno a ricoprire interamente creando una sorta di scatola nera, sulla quale avverrà poi la videoproiezione dei polpacci. Le quattro anziane si dispongono al centro dell’aula portando tra le mani una piccola dentiera a molla, che caricheranno e lasceranno vagare liberamente a terra. Al contempo, accenneranno dei movimenti inerenti le parole del monologo di X in quel frangente: biancheria, fianchi, mani da vecchia, impiccati… La testa di H2 scandisce il tutto urlando freneticamente “DING DONG”. Al termine della danza, tutte le educande escono di scena (dalla cripta), lo stesso dicasi per i praticabili.


SCENA 0.9 “Obbedienza e disciplina…” buio in aula, fatta eccezione per X, che invece viene illuminata. Mentre questa prosegue nel monologo (di spalle, seduta dov’era) macchinisti e attrezzisti disfano i letti privandoli di lenzuola e quant’altro, e arrotolano nuovamente le coperte nere, affinché in seguito gli astanti possano vedere che il collegio è stato messo in ordine al punto da far sparire qualunque effetto personale. “Tutti i visi erano seri…” il pubblico viene illuminato e X si volta di scatto a guardarlo.


SCENA 1.0 “Noi ci lavavamo molto in fretta…” : apertura della cripta, nella quale vediamo un sgocciolatoio con quattro “imbuti”. In corrispondenza di ciascuno di essi le educande giovani, due delle quali porterebbero un cappello/scultura fatto di alberi secchi. “Bisognava fare la fila”, videoproiezione sulle valigie di mani che si lavano ossessivamente. “Gute Nacht e Guten Tag” viene detto dalle ragazze, all’unisono. “Ci si vestiva e svestiva sempre difronte alla propria compagna…” ingresso di un praticabile con Mutti ed Hofstetter. “Posso fare questo? Mi da il permesso? Solo per gioco. Lei ordina, io obbedisco”: sia X che H1 pronunciano queste parole. “La vita marciava…” X si alza dal letto e sale sulle scalette, anche lei per fissare un ipotetico paesaggio. Nel mentre, le educande presenti in cripta cominciano a marciare avanti e indietro per l’aula, così che, data la presenza degli alberi sulle loro teste, l’effetto conferito sia quello di un bosco che sfila alle spalle di X. Al “DING DONG” scende nuovamente.


SCENA 1.1 Nel breve passaggio in cui si parla degli auspici che giungevano dal Brasile circa l’educazione di X, parlano alternatamente sia H1 che Mutti, il primo con sarcasmo e stizza, l’altra con freddezza e compunzione. “Con F. non parlammo mai…” entra l’altro praticabile con le quattro educande anziane, che si ferma difronte alla coppia. Queste, una volta raggiunte dalle giovani ed X, si mettono in posa come per una foto ricordo insieme ai loro insegnanti. Sulle valigie, una videoproiezione dello stesso scatto. “F. sarebbe partita…” H1 scende dal praticabile. Lui ed X siedono sul banchetto scuola, uno di fronte all’altro. Da questo momento parlano insieme, sovrapponendo le loro voci o ripetendo la frase appena pronunciata dall’altro. “La accompagnai alla stazione…” inizio proiezione dei treni in partenza, sulle valigie. “Il treno sembrava un giocattolo” , si aziona il trenino presente in cima alla cripta. (Nel caso in cui fosse disponibile). “La sua calligrafia dormiva come su una lapide”. Proiezione scritta sul praticabile inclinato della cripta. “L’inchiostro sbiadì” chiusura della cripta. “La negretta, come un automa inclinò il capo, e la sua mano accennò un saluto…” Mutti si congeda ed il praticabile esce di scena. In seguito, mentre X nomina tutte le partenze, vengono man mano messe in ombra le educande in posa, ed il loro corrispettivo in videoproiezione svanisce. “Adieu…” il praticabile che trasportava queste ultime le porta via. Sulla proiezione sono rimasti solo X e H1, fisicamente presenti anche in scena. “Le date della mia vita…” videoproiezione delle date sulla cripta. “A mia insaputa di vetusta infanzia” escono dalla porta di servizio anche X e H1, lasciando però sul banchetto il registratore.


SCENA 1.2 “Quel collegio è stato distrutto”: cadono tutte le valigie dalla mensola ed i letti vengono nuovamente coperti dai teli neri. Inizio del monologo di Madame, la quale voce viene udita inizialmente fuori campo, dalla cripta. “Si può diventare criminali..” la cripta si apre. La scena si presenta così, partendo in avanti per andare in profondità: - i due piccoli telai con vetro, appannati. - la vasca con bambola/manichino a sinistra, Madame seduta a destra. - il telaio grande, anch’esso appannato - il praticabile inclinato con attaccati alcuni degli oggetti nominati da Maman (come tazze e petit fours). “Sul tavolo ovale”, i due telai piccoli vengono spostati lateralmente (non a vista) , scoprendo la scena.


SCENA 1.3 “Frederique non aveva detto una parola”. Entra il corpo mutilato. “Prese una candela”, il manichino incomincia a prendere fuoco, e la mano del corpo di H2 agita nervosamente le dita. “Detestai la luce” buio totale, vediamo solo la fiamma accesa. “Nessuno è morto carina” si chiude la cripta.


Praticabile

V3 Bambola

V1

Madame

V2

PIANTA CRIPTA N.B. Ogni riferimento spaziale inerente DX e SX si riferisce ad un corpo posto in direzione della “cripta�.

SCENA 1.4 STAPPATA. Luce sul lettino di X che inizia a cigolare da solo. Una voce adolescenziale fuori campo declama la parte.

Progetto di Lucia Bramati, Francesca Di Serio, Sofia Vernaleone Marzo 2015


CAPITOLO 8


Indispensabile



Per quanto riguarda l’attrezzeria, inizialmente, basandoci sul concetto di fastidio abbiamo deciso di introdurre nello spazio scenico numerosi letti ove gli spettatori erano invitati ad accomodarsi. Procedendo con l’analisi di altre ipotesi si è deciso di costruire un modellino dell’aula, per rendere una visione degli oggetti da inserire migliore e più possibile concreta e dei modellini che rappresentano la nostra idea dell’edificio del collegio, uno da inserire nella scena e uno da far indossare a un attore. Successivamente sono stati appesi a due stangoni al soffitto due file di sacchetti di terra ed altri acqua appesi con dei fili neri e bianchi, sostituendo la terra con l’acqua e i fili neri coi bianchi si è notato che l’effetto creatosi illuminandoli era molto simile ai giochi di luce riprodotti sulla superfice dell’acqua. Riferimento connesso a una delle citazioni contenute nel romanzo, e che i fili bianchi erano una particolare superfice per proiezioni di immagini. Altri oggetti utilizzati sono stati dei vetri appannati dietro cui degli attori compivano delle azioni, e altrettanto utili come piani per proiezioni. Altro elemento predominante nella scena che si è deciso di inserire è la formazione di un intera parete fatta di valige, che a un certo punto dello spettacolo sarebbe dovuta crollare a terra invadendo tutto lo spazio della scena. In seguito si è deciso di eliminare queste valige per concentrarsi su pochi oggetti apparentemente semplici ma essenziali. Per ricreare il contesto e l’epoca descritta dal romanzo, sono stati cercati degli oggetti tipici di quel tempo: alcune valige di cartone, dei telefoni a rotella, un letto, un pianoforte verticale e un trenino meccanico. Considerando il gran numero delle comparse in scena, sono stati anche cercati oggetti utili per compiere alcune azioni contemporaneamente, quali la colazione nel collegio, e l’atto di lavarsi la mattina. Lucia Petroni


Valige


Letto


Sacchetti di acqua


vetri appannati


telefono


trenino giocattolo


registratore a bobine


pianoforte


servizio colazione


bollitori


CAPITOLO 9


Chi narra tutto ciò


La ricerca e la progettazione dei costumi per il “Bausler Institut” ha avuto inizio già durante la lettura del testo originale contenente descrizioni e riferimenti a tipologie di vestiario che hanno subito attratto la nostra attenzione. Immediatamente, abbiamo avviato una vasta ricerca sugli abiti che avrebbero indossato i personaggi del libro negli anni ‘50, sulle divise di signorine, educande e collegiali. Il primo costume che ha preso forma, prima su carta e poi in stoffa, è quello che caratterizza sia X che le altre comparse. E’ stato pensato con lo stile della divisa, ma reso meno serioso da un’allacciatura posteriore con bretelle regolabili, più come quella di un grembiulino, e la gonna dal taglio anni ‘50 a portafoglio che muovendosi lascia intravedere la fodera grezza a contrasto. Per Maman abbiamo lavorato da subito su un abito da signora ma non troppo elegante e di colore scuro, mentre per l’istruttore di tennis ci siamo attenute ai pantaloni alla zuava, citati dalla Jaeggy, con applicata nella parte superiore la pettorina identica a quella dei costumi delle educande. Oltre a questi abbiamo creato anche dei mini-abiti identici a quello di Maman che saranno destinati a vestire la marionetta in ferro da 30cm, ed una divisa composta da giacca, camicia, gonnellino e brachette per una marionetta da 90cm. Virgini Gidiucci


Moda anni ‘50 eventi importanti:

Nel 1947 Christian Dior lancia il “New look”. La donna torna ad essere elegante e femminile: vita sottile attraversoil bustino e gonne ampissime e lunghe. Nel 1952 Giovanna Battista Giorgini inaugura la sfilata a Palazzo Pitti per compratori americani: così nasce e si sviluppa il concetto di Made in Italy. Dopo la seconda guerra mondiale, l’Europa guarda al boom economico americano e ne invidia il benessere. Per questo si desidera che la donna torni al focolare. Si ricercca la femminilità e il romanticismo.L’abbondanza e la ricchezza diffusa si esprimono nelle crinoline e nell’ampiezza delle gonne.


BOZZETTI ABITI EDUCANDE



BOZZETTI PERSONAGGI PRINCIPALI

X

Negretta

Pullover aderente prima dell’incontro con Frederiquè. Dopo maglioni larghi con differenti texture ma stessa tonalità. Gonna ampia e stretta in vita + cintura.

Corpetto stretto + gonna a campana + giacchetto azzurro di contone con polsini e colletto di velluto blu


Frederique

Gonna grigia + camicetta e pullover larghi delle tonalitĂ del grigio, blu, azzurro. Duffle coat, soprabito ispirato alla marina inglese , con cappuccio + tasche + guanti in lana

Maman

Abito lungo e austero, con vita sottolineata da cintura, e crinolinaa per gonfiare la gonna.


PERSONAGGIO: X, educande, macchinisti, attrezzisti CAMPIONATURA: cotone leggero nero : abito cotone leggero bianco : camicia cencio di nonna ecr첫 : fodera

COSTUMI di Federica Torroni e Virginia Gidiucci


PERSONAGGIO : Maestro di ginnastica CAMPIONATURA: cotone leggero nero: abito maglina bianca : maglia cotone giallo fluo : calzettoni

PERSONAGGIO : Maman CAMPIONATURA: cotone leggero nero : abito


DIVISE EDUCANDE abito con spalline e vita regolabili fodera interna bianca


ABITO DI MAMAN Collo riportato interno allacciatura frontale con bottoni nascosti volume inferiore dato dal sottogonna


ABITO MARIONETTA H 90 - Pullover con finto colletto di camicia - Gonna a pieghe - Mutandoni -Scarpine in feltro

N. B. -Marionetta a fili - Testa e mani devono essere movibili - Capelli di stoppa



CAPITOLO 10


Storyboard e tavole tecniche


BOSCO IN CRIPTA

DISEGNI di Lucia Bramati e Jurgen Koci


CAMERATA DA COLLEGIO


CASELLARI E VASCA D’ACQUA


LETTI PER SPETTATTORI


MODELLONE COLLEGIO CHIUSO


MODELLONE COLLEGIO APERTO


BOSCO SU PRATICABILI FACCIATA COLLEGI SU ARMADI


SACCHETTI - LAGO DI COSTANZA


PARETE DI PAGELLE E PRATICABILE PER VIDEO


PARETE DI VALIGE


BOZZETTO DEFINITIVO 1


BOZZETTO DEFINITIVO 2


TAVOLA TECNICA MODELLO BAUSLER (SPONDA)


TAVOLA TECNICA MODELLO BAUSLER (FACCIATA)


TAVOLA TECNICA MENSOLA VALIGE


TAVOLA TECNICA MENSOLA PRATICABILE


TAVOLA TECNICA CARRO BAUSLER


TAVOLA TECNICA SCALA FINESTRA


1 . 1 Conclusioni

Ma come si rappresenta il vuoto? È forse la contraffazione di ogni luogo originario? Questa domanda è incastonata dentro il romanzo della Jaeggy e agisce indipendentemente dal fatto che si sia posta attenzione. L’estensione di un luogo originario da contraffare è soprattutto un’ ipotesi incantevole che contiene più incognite della stessa domanda. In un primo momento lavorando a “I Beati anni del Castigo” abbiamo involontariamente ignorato di sottolineare la domanda. La scrittura che narra le vicende di X dentro il collegio, è una lunga e velata esposizione di come sia possibile declinare questa contraffazione. Ciò nonostante prima di approdare a questa sintesi, altre tracce, altri interrogativi hanno guidato le nostre analisi. Il racconto trattiene molte più cose di quanto non dica, ed anche l’encomiabile esercizio di raffigurarsi cose e luoghi documenta sempre un’esattezza insoddisfacente. Ma spingere le intuizioni dentro un recinto ha il suo fascino, ed è stato bello e produttivo immaginare, o dedurre, la disposizione dei letti nelle camere, la forma delle mattonelle, il colore delle pareti, lo stile del servizio delle stoviglie in uso al Bausler Institut. Qualsiasi indagine incomincia inviando la scientifica che rileva le impronte laddove apparentemente non c’è nulla, ed anche setacciando con scrupolo è quasi inevitabile che si configuri solo una verifica incerta. L’autrice nell’esercizio delle sue funzioni non fa abuso di descrizioni, e nello stesso tempo sembra non tralasciare ogni dettaglio. Quasi in controluce, stacca per il lettore la dinamica dei fatti e degli affetti inclusi tra la parentesi della beatitudine e del castigo che custodiscono un tempo dispari. La scrittura ricostruisce le impressioni di un adolescente ma la sintassi, diversamente giovane, non è mimetica ed è protesa, se possibile, a sottolineare e a marcare l’insicurezza di questa differenza, né si astrae né si ritrae nello specchio di un io narrante. Credo che questa schizo-precisione sia stata l’ incognita che non ha mai abbandonato questo progetto. Riguardando tutte le tavole ed i disegni nelle loro evoluzioni successive, è facile accorgersi che gli elementi che strutturavano il progetto sono sempre gli stessi, ed è nella ripetizione, come ampiamente dimostrato, che hanno fatto le differenze. Se i primi disegni e le prime tavole cercavano di descrivere il luogo di questi accadimenti, lo spazio che abbiamo determinato attraverso questo tempo sembra invece proteggere la letteratura da qualsiasi complemento oggetto. La natura di questa scelta non è di natura speculativa, ma è avvenuta per sottrazioni silenziose andando a costituire non uno spazio neutro ma un luogo di epifanie e di collisioni che aspetta di essere abitato ed agito. Francesco Calcagnini






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