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ACCADEMIA DI BELLE ARTI DI URBINO - SCUOLA DI SCENOGRAFIA

IN UNA FORESTA DI SEGNI





Indice Premessa

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Città

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Planimetria

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Progetto

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1.1 Radici 1.2 Dimensioni 1.3 A misura d’uomo

2.1 Disposizione nello spazio 2.2 Variazioni sul tema 2.3 Soggettiva sulla città

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3.1 I quartieri 3.3 Il modulo e gli snodi 3.4 La carta come costante

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Conclusione

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Biografia

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Premessa La visione del film Il cielo sopra Berlino di Wim Wenders, ha fatto nascere in noi l’esigenza di soffermarci sui pensieri che abitano le città, con l’intento di ridefinire i confini delle stesse in assenza di coordinate spazio temporali. Il flusso di immagini che si muove nella mente di ogni uomo è il meccanismo che determina la nascita del pensiero, attraverso il quale le esigenze dell’uomo prendono forma. Abbiamo cercato di trasportare tale moto della mente nella dimensione di uno spettacolo teatrale, creando nuove coordinate per l’organizzazione dello spazio. Il progetto ha preso forma attraverso la rielaborazione del linguaggio su cui si fonda la nostra realtà

traducendo desideri, paure, e sensazioni dell’uomo in costruzioni che si ergono su più piani. Tale dimensione “visionaria” della città si dispone in uno spazio lontano dal concetto del reale, nel quale esili costruzioni si sviluppano verticalmente come connessione tra terra e cielo. Le strutture dei quartieri generati dal pensiero subiscono inevitabilmente la sua forza costruttiva e trasformatrice fino alla disintegrazione delle stesse. Abbiamo deciso di realizzare gli edifici seguendo delle dimensioni che permettano allo spettatore una visione completa dei quartieri e complessiva dell’aula. Strade, facciate, monumenti e ogni altro elemento

della città, presenta un chiaro segno del passaggio del flusso di pensieri, per quanto siano essi inafferrabili. Così come su una tela bianca l’insieme di linee dà vita ad un’immagine che comunica, allo stesso modo i segni tracciati dal passaggio dei pensieri sulla carta genera dei racconti. Sono proprio questi frammenti di carta che ricoprono gli edifici a svelare la foresta di segni allo spettatore, guidandolo nella conoscenza della trama dello spettacolo.

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CITTÀ

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1.1 Radici Città (ant. cittade) s. f. [lat. civĭtas -atis «condizione di civis» e «insieme di cives»; al sign. di «aggregato di abitazioni» la parola giunse per metonimia, sostituendo urbs]. Centro abitato di notevole estensione, con edifici disposti più o meno regolarmente, in modo da formare vie di comoda transitabilità, selciate o lastricate o asfaltate, fornite di servizi pubblici e di quanto altro sia necessario per offrire condizioni favorevoli alla vita sociale.

Alcune scuole di pensiero dell’urbanistica e della sociologia urbana affermano che non sono né le dimensioni dell’abitato né il numero di abitanti a stabilire quando un agglomerato urbano possa assumere il titolo di città. Il manifestarsi del bisogno di vita sociale comune, con la conseguente costituzione di una comunità, determina l’evoluzione del semplice appellativo di agglomerato urbano in città. Questa, che nel corso del Medioevo abbiamo sempre visto essere considerata luogo della vita e delle attività sociali e commerciali, assume nel Rinascimento un valore simbolico più ampio e complesso. Tale periodo è caratterizzato da maggiore attenzione alla

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rigorosa geometrizzazione della scelta urbanistica, riflessa nel modello etico e gerarchico diffuso in una società che respinge i conflitti. Possiamo considerare che l’idea di una città ideale nasce, in primo luogo, con la volontà di rispettare un equilibrio di forme e proporzioni e in secondo luogo con l’intento militare di consolidare le strutture difensive. Tuttavia le caratteristiche del luogo, in cui nasce la città, possono determinare l’aspetto, i punti di forza e la struttura della stessa. Ogni città, indipendentemente dal luogo geografico in cui si sviluppa, presenta determinate caratteristiche che la accomunano alle altre, in particolare l’organizzazione della struttura e dell’ irradiamento. Questi due elementi favoriscono l’estensione dell’agglomerato urbano

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andando a consolidare la mappatura della città. Con il passare del tempo si manifestano sempre diversi aspetti e conseguenze della globalizzazione e dell’industrializzazione, i quali determinano un cambiamento della città e della scansione del tempo nella vita dell’uomo che la abita. Si tratta di un processo che sembra subire una continua accelerazione, e noi siamo ormai abituati sia ai cambiamenti che alla rapidità con cui si verificano. Ma contemporaneamente all’ambiente urbano cambiano appunto anche le immagini. Forse si può addirittura affermare che le immagini e le città si evolvono in maniera analoga, probabilmente parallela1.

W. Wenders, in Wim Wenders, L’atto di vedere, archphoto.it, consultato il 2 marzo 2021, cfr. 1


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1.2 Dimensioni «Il cinema è una cultura urbana, nata sul finire del secolo scorso e cresciuta parallelamente all’espansione delle metropoli. Il cinema e le città sono cresciute e diventate adulte insieme, e i film sono testimonianze dei grandi mutamenti che hanno trasformato le eleganti città del fine secolo nelle difficili e nevrotiche megalopoli odierne»2.

W. Wenders, in Wim Wenders, L’atto di vedere, archphoto.it. 3  Ibidem. 2

La città, con le sue strutture, pensieri, sapori e colori, si rivela essere un soggetto di grande interesse nel panorama cinematografico, letterario e musicale. Wim Wenders, nella raccolta L’atto di vedere, esprime la sua esigenza di soffermarsi sull’idea di città attraverso il linguaggio del cinema, pone l’accento sull’importanza delle immagini, ossia frammenti che permettono di leggere la rapida trasformazione della realtà in cui si vive. Nei suoi film la città, intesa come insieme di architetture, ospita fra le strade i racconti del passato, fa da scenario alla vita degli uomini nel presente e andrà «a forgiare il loro mondo di immagini e desideri»3 per un domani. Infatti il regista considera fondamentale il ruolo delle nuove città e dei

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nuovi edifici come «mezzo per aiutare la gente a migliorare la propria vita e a rendere l’umanità migliore»4. Wim Wenders sostiene l’idea di cinema come cultura urbana, in quanto contribuisce alla formazione dell’individuo sul piano umano e all’acquisizione della consapevolezza di stretta relazione con l’ambiente che abita. L’industrializzazione ha alimentato “l’insaziabilità dello sguardo”, producendo così una sovrabbondanza di immagini e trasformazioni visive che hanno contribuito al danneggiamento dello sguardo dell’uomo, indirizzato oramai alla visione superficiale del territorio. Il regista si ripropone, attraverso la fotografia, di estrapolare dal quotidiano delle immagini di partenza che portino l’uomo a riflettere sull’ accecante sovrabbondanza di costruzioni, indirizzandolo

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verso un nuovo equilibrio basato su spazi vuoti, liberi e ideali. Wenders crede sia necessario dar voce a strade, piazze e muri berlinesi proprio attraverso la visione dei due angeli protagonisti, poiché è caratterizzata da maggiore leggerezza rispetto al pesante punto di vista umano. I due angeli Damiel e Cassiel, a differenza dell’uomo, sono in grado di vedere la reale essenza delle cose che ogni persona si trova a vivere banalmente ogni giorno all’interno della propria città. Frammenti di pensieri, superano i confini dettati da edifici e costruzioni, andando a delineare la struttura della città di Berlino. La fotografia di Henri Alekan realizza riprese aeree dei più deserti luoghi berlinesi, apparentemente vuoti, che racchiudono in realtà tantissime storie, pensieri e 4  W. Wenders, in Wim Wenders, musiche. L’atto di vedere, archphoto.it.


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«Una strada, una fila di case, una montagna, un ponte, un fiume, sono più di un semplice sfondo. Possiedono infatti una storia, una personalità, un’identità che deve essere presa sul serio; e influenzano il carattere degli uomini che vivono in quell’ambiente, evocano un’atmosfera, un sentimento del tempo, una particolare emozione»3.

W. Wenders, in Wim Wenders, L’atto di vedere, archphoto.it, consultato il 2 marzo 2021. 3

Nei film di Wenders l’occhio della telecamera si muove fra le vie della città e si immerge nell’interiorità dell’uomo, permettendo una profonda analisi riflessiva che supera il processo di osservazione. Oltre a soffermarsi sui primi piani dei personaggi, l’attenzione si posa soprattutto sui loro pensieri creando una connessione con l’architettura. Sono questi i particolari che mettono a fuoco le emozioni dei personaggi, scandiscono lo scorrere del tempo, i dialoghi, gli sguardi e che ricoprono un ruolo fondamentale nei fotogrammi dei suoi film. Il rischio che si assume l’acrobata Marion, svolgendo il suo numero senza rete, sembra necessario per opporre resistenza e reagire alla malattia del tempo che colpisce la condizione umana. Viaggiare attraverso i luoghi più significativi di Berlino, dando spazio ai

pensieri delle persone che li vivono, contribuisce a realizzare l’effetto finale di un coro sacro nel tempio della cultura. Tali luoghi non dimenticano e hanno la necessità di urlare a gran voce la tragedia della Berlino rasa al suolo alla fine della seconda guerra mondiale. Le questioni legate alla vita dell’uomo in relazione alle trasformazioni urbane, non sono indifferenti né a Wenders né a Calvino. Tra le diverse tematiche affrontate all’interno del testo Le città invisibili troviamo anche il rapporto tra la città, l’uomo e l’ambiente circostante. Le città di Calvino possono sembrare lontane dalla nostra attuale concezione di città, ma si rivelano essere una fedele ricostruzione della realtà e della  dinamicità delle megalopoli contemporanee, attraverso un linguaggio semplice arricchito da elementi di fantasia.

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Attraverso un innovativo punto di vista, Calvino, riesce a delineare dei quartieri le cui strutture rappresentano ricordi, desideri, dialoghi e un costante scambio di idee. Il lettore non è portato a soffermarsi né sul luogo né sul tempo che caratterizza ogni città, ma piuttosto sulla sua essenza e il suo aspetto. Si tratta di città irreali ed intangibili che, attraverso un linguaggio simbolico, si rivelano fonte d’ispirazione per la vita dell’uomo, indicando la via d’uscita da un mondo oppressore che egli stesso ha creato. Il cinema e la letteratura hanno il compito di essere testimoni della realtà. Attraverso la trasposizione dei fatti quotidiani, grazie ai linguaggi adottati così semplici e diretti quanto sovversivi e rivoluzionari, si innesca nello spettatore una riflessione sociale e personale.

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Così come Wenders, che con le sue riprese riesce a farci vivere a pieno le strade berlinesi poco prima della caduta del muro, anche Calvino ci rende partecipi del viaggio di Marco Polo attraverso i racconti di quest’ultimo a Kublai Kan. Le dettagliate descrizioni dell’essenza delle diverse città incontrate dal viandante, ci permettono di conoscere il percorso interiore che ogni abitante intraprende in relazione allo “spirito” dell’ambiente in cui abita. L’analisi delle qualità e delle caratteristiche di ogni città avviene attraverso il dispiegarsi di figure simboliche, che possono cadere in contraddizione e significare tutto il contrario di tutto. Viene presentata un’immagine dall’aspetto variabile del mondo e delle città, un mondo in cui si ha l’impressione che niente è quel che appare o quel che vuol apparire.


«L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio»4.

I. Calvino, Le città invisibili (Mondadori 1996), Mondadori, 2012, p. 160. 4

Veniamo trasportati in luoghi, che per essere compresi a pieno, richiedono al lettore e allo stesso Kublai Kan una dose non indifferente di fantasia. Le storie narrate e l’insieme di pensieri che abitano le città descritte sono frutto dell’inventiva di Marco Polo, a volte molto lontane dalla realtà, così che lo spettatore è spesso portato ad interrogarsi sulla veridicità del racconto. Si delineano i diversi aspetti di ogni città, a volte ci si sofferma sullo stato d’animo che si prova nel raggiungerla, altre su degli episodi che si verificano sul suo territorio e altre ancora sul modo in cui si stabilisce una connessione con essa. La grande fantasia dello scrittore riesce a creare una giusta ed appropriata dimora per tutti gli aspetti e pulsioni che caratterizzano l’esistenza di ogni uomo.

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Le città e i segni, le città e il nome, le città e il desiderio, le città e gli scambi sono solo alcune delle città inventate da Calvino, le cui caratteristiche hanno catturato il nostro interesse portandoci a sviluppare delle riflessioni. L’insieme delle città, apparentemente invisibili, racchiude il complesso meccanismo che muove il delicato ecosistema e le articolate architetture, propri di ogni realtà cittadina. Le città descritte da Calvino, così come le città che viviamo quotidianamente, sono realtà regolate da un continuo movimento che determina il loro processo di evoluzione. Il cinema si è rivelato uno dei mezzi d’espressione più efficaci con cui esprimere il complesso cambiamento che si verifica in ogni città, i film svolgono il fondamentale ruolo d’archivio degli avvenimenti storici del nostro tempo.

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«La settima arte è stata in grado più di ogni altra di catturare l’essenza, il clima e le tendenze del suo tempo, anche le speranze, le paure e i sogni, articolandoli in un linguaggio universalmente comprensibile. Ma è anche divertimento, e il divertimento è l’esigenza urbana per eccellenza: la città doveva inventare il cinema per non annoiarsi a morte»5.

W. Wenders, in Wim Wenders, L’atto di vedere, archphoto.it, consultato il 2 marzo 2021. 5


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1.3 A misura d’uomo «La città è come una grande casa, e la casa a sua volta una piccola città» sostiene Leon Battista Alberti in De re ædificatoria.

La città si rivela essere un’ instancabile fabbrica di immagini, un contenitore di storie che custodisce gelosamente pensieri, emozioni, paure e desideri, restituendoli sempre al momento più opportuno. Durante il nostro studio abbiamo sentito la necessità di soffermarci sul legame che si crea tra la città e le persone che la vivono, tra la città e i pensieri degli uomini che la abitano. Il nostro gruppo ha approfondito un percorso che vede l’uomo come punto di partenza e la definizione della sua città come punto d’arrivo. Se fossero proprio le caratteristiche dei personaggi che abbiamo immaginato a determinare le linee della città che abitano?

La nostra analisi si è concentrata non solo sul significato delle immagini, ma soprattutto sull’ingranaggio che ne permette la creazione. Ogni identità, attraverso le caratteristiche del proprio profilo psicologico e funzione narrante, pone le basi per la nascita di un quartiere, la cui forma e struttura è determinata dall’impronta della propria interiorità. Avendo approfondito queste tematiche, sono stati delineati, all’interno di una Foresta di segni, i punti cardine fondamentali per costruire adeguate e calzanti dimore destinate ai pensieri.

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Uscendo da un’impronta spiccatamente sociologica, l’intento è quello di delineare figure con desideri e pulsioni umane, che guidino la costruzione di una città rispondente ai loro bisogni. Partendo da spunti cinematografici e teatrali e, sfruttando il bagaglio di conoscenze di ognuna di noi, abbiamo immaginato dei personaggi con particolari caratteristiche che possano inserirsi nella nostra città. Per citarne alcuni, possiamo iniziare dalla figura del vecchio custode. Abitudinario, da tanti anni continua a compiere le stesse azioni che lo tengono legato ai medesimi luoghi. Ricerca guizzi del proprio tempo passato ripercorrendo strade deserte ma profondamente familiari. Monumenti, profili di edifici e piccoli dettagli cancellati del tutto o invecchiati dallo scorrere

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del tempo, non fanno altro che riportare alla mente momenti della propria vita, che proprio tra queste strade hanno avuto modo di verificarsi. Il mimo, quel personaggio che si incontra per caso passeggiando per le strade cittadine, trova efficace la sua arte come espediente con cui comunicare ed esprimersi; unica soluzione possibile all’interno di una società sempre più intenta ad isolarsi. Nei momenti di immobilità, previsti nei suoi numeri, sembra voler dare spazio alla sua esigenza di divenire un elemento statico, fino a mimetizzarsi con i diversi elementi della città come edifici, balconi, porte e monumenti. Spesso abbiamo bisogno di silenzio, indossiamo cuffiette isolandoci, per non sentire rumori di strade che tuttavia amiamo percorrere.


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Ogni città ospita in sé, più o meno velatamente, un pizzico di follia. Il personaggio dell’equilibrista vive il suo presente su una fune di un futuro incerto. Tra la folla cittadina che lo osserva si distinguono i più attenti, intenti ad ammirarlo con il naso all’insù, e coloro che sembrano inarrestabili, mossi dalla fretta, che camminano con frenesia calpestando le proprie ombre, come se stessero rincorrendo un tempo che sfugge costantemente di mano… Veramente non hanno più tempo? Questa è la domanda che riecheggia nella sua mente durante l’arco di tutta la giornata. Tuttavia, non tutti i personaggi riescono ad integrarsi perfettamente nel tessuto cittadino, qualcuno sente l’esigenza di allontanarsi. La città non si rivela sempre accogliente con tutti, anzi spesso le sue stesse architetture sono

potenzialmente pericolose per alcuni dei suoi abitanti. La figura del narcolettico rappresenta tale problematica. Si addormenta ovunque e spesso sono proprio le irregolari architetture della città a rivelarsi per lui fonte di pericolo. In città ogni singolo dettaglio si trasforma e muta costantemente. Passeggiando abitualmente davanti agli stessi edifici, monumenti, incroci e semafori si possono cogliere quotidianamente delle sfumature diverse, a volte quasi impercettibili. Così come gli impressionisti, attraverso la pittura di vedute urbane e non, cercavano di catturare un particolare guizzo, anche gli uomini cercano attraverso la fotografia di catturare atmosfere urbane. Il fotografo è colui che tenta di catturare particolari apparizioni momentanee, che svaniscono sempre

più velocemente con l’aumentare della frenesia nelle città. Se la città è un organismo in continua evoluzione possiamo affermare che l’artefice di tale mutamento non è un singolo uomo ma l’intera società che la abita.

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Dopo aver analizzato diverse fonti cinematografiche e teatrali ci è sembrato inoltre opportuno andare ad approfondire alcune fonti letterarie, grazie alle quali abbiamo immaginato un incontro tra personaggi e un dialogo di circa dieci minuti. Il maestro e Margherita di Bulgakov, Il castello dei destini incrociati di Calvino, La carriola di Pirandello e infine la leggenda Jīng wèi tián hǎi (Jinwei riempie il mare) appartenente alla cultura cinese, sono i principali testi dai quali abbiamo tratto delle caratteristiche che ci sono sembrate interessanti per forgiare tali profili. L’incontro tra i quattro personaggi avviene all’interno di un chiosco dai colori vivaci situato in un quartiere di periferia. Tre uomini, ognuno con la propria storia, vi giungono con l’intento di ristorarsi.

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10 minuti Storia di un incontro In uno dei diciotto quartieri, che costituiscono la città, si trova un chiosco dai colori vivaci del quale nessuno ha mai saputo il nome, in quanto non presenta alcuna insegna, bensì un semplice cartello sulla strada con incise le parole “BIRRA E ACQUE”. Un uomo di mezza età, in cammino già da qualche ora, è il primo cliente della giornata. Si dirige con passo sicuro al bancone, dove la donna del chiosco è intenta ad asciugare energicamente i bicchieri canticchiando sottovoce. Ripone con cura il bicchiere sulla mensola,

sistema il panno al solito posto, alza lo sguardo e scorge davanti a sé l’uomo colorato in viso da un’espressione solitaria, dai capelli arruffati e con indosso un completo di lino chiaro a cui si aggiunge una borsa di tela dello stesso tono. Chiede gentilmente all’uomo cosa desidera ed egli, accennando un sorriso, estrae dalla tasca interna della giacca, poggiandolo sul bancone, un arnese puntuto con la punta in giù, che a guardarlo bene somiglia di più ad uno stilo o calamo o matita ben temperata o addirittura

una penna a sfera. Pur non proferendo parola, l’uomo chiede gentilmente della birra indicando la spina dietro al bancone, ricevendo però una risposta lievemente brusca da parte della donna che, con tono leggermente indispettito dice di non averla, poiché la birra è una bevanda che le consegnano solamente la sera e lo invita quindi ad attendere l’arrivo della merce. Senza scomporsi, l’uomo fissa la donna con l’espressione di chi non vede l’ora di presentarsi, quindi senza neanche aspettare che lei possa chiedergli quale fosse la sua


provenienza, si definisce un viaggiatore, descrivendosi non attraverso l’uso della parola bensì tramite le carte del mazzo di tarocchi Marsiglia che porta sempre in tasca. Scrutandolo attentamente, indaga per capire la sua storia e, nonostante il comportamento di primo acchitto bizzarro , decide di comunicare con lui utilizzando il suo stesso linguaggio delle carte. Da dove viene? Questa è la domanda che la donna continua a porsi e, d’istinto, decide di proporre al viaggiatore la carta del nove di bastoni, nella quale l’intrico di rami su una rada vegetazione di foglie e fiorellini selvatici, continua a ricordarle l’immagine del bosco adiacente al chiosco. Contro ogni aspettativa, il viaggiatore sembra capire al volo la domanda e con gli occhi pieni di felicità, risponde con un cenno del capo come se volesse dire,

sì vengo dal bosco. Tra i due si instaura un dialogo ricco di intesa, colorata dalle carte dei tarocchi, le cui immagini sembrano essere l’unico strumento di scambio e di comunicazione. Il viaggiatore si siede in attesa ma con l’aria di chi non ha nessuna fretta e, per ingannare il tempo fino all’arrivo dell’ora della birra, estrae il mazzo di tarocchi dalla tasca, li posa sul tavolo ordinandoli continuamente secondo delle regole che si diverte a mutare di continuo, fino al punto in cui le palpebre diventano troppo pesanti per restare aperte. Addormentarsi sulla sedia sembra inevitabile. Proprio quando il sonno diventa più intenso e inizia quasi a sognare, il passo deciso e frettoloso del secondo cliente lo sveglia di soprassalto. Si tratta di un uomo distinto vestito di tutto punto che

si avvicina con fare furtivo al bancone, continuando a guardarsi intorno come se qualcuno lo stesse inseguendo. La donna lo osserva con occhi grandi, perplessa e, un po’ preoccupata, chiede allo strano individuo se avesse bisogno di qualcosa. La sua risposta arriva solo dopo profondi respiri e attimi di silenzio, quando con gli occhi spalancati, balbetta una frase del tipo… ‹ m-m-ma n-non mi hanno visto, v-vero!?› Impaziente la donna non riesce a trattenersi e lo incalza con più decisione, chiedendo se si sentisse bene. Scuotendo la testa come se si fosse improvvisamente svegliato da un sogno ad occhi aperti, l’uomo dice con tono dimesso di aver bisogno di un bicchiere di birra bella fresca. Costretta a deludere nuovamente la richiesta del cliente, la donna invita


anch’egli a sedersi e ad attendere la consegna della birra, che ormai non dovrebbe tardare molto, infondo. L’uomo si abbandona sulla sedia senza replicare, posizionandosi proprio accanto al primo cliente, il quale non può fare a meno di notare la sua espressione preoccupata. Il viaggiatore gli accenna un sorriso, ma l’uomo resta rigido, a disagio, non ricambia affatto e, per di più, distoglie lo sguardo andando a fissare il pavimento. Interviene la donna che, con tono dolce e comprensivo, chiede quale fosse la sua preoccupazione. Egli, con un filo di voce, rivela di essere avvocato e professore di diritto, costretto a fuggire poiché è stato scoperto il suo segreto: per sopportare l’atroce afa della vita ha l’abitudine di prendere la cagna che dorme lì per le zampe posteriori e di farle

fare “la carriola” per una decina di passi. Per tanti anni è riuscito a tenere nascosta la sua piccola trasgressione, ma proprio quella mattina qualcosa è andato storto, forse i figli lo hanno scoperto, ha avuto la sensazione di essere spiato dalla porta socchiusa, proprio mentre stava per riposizionare la cagnolina al proprio posto. A quel punto il suo istinto e il profondo imbarazzo lo hanno portato a fuggire lontano, giungendo al chiosco ancora tremante. La donna ascolta le parole dell’uomo e mentre cerca invano di dare un senso al suo racconto si accorge, invece, che il viaggiatore sembra comprendere perfettamente il dramma dell’avvocato illustrando per mezzo dei tarocchi la storia da lui raccontata, posizionando sul bancone le carte che rappresentano stati d’animo, passioni e


luoghi delle vicende narrate. Continua a descrivere con angoscia e affanno la spaventosa consapevolezza a cui è giunto, secondo la quale non si può uscire dal ruolo che il mondo ci ha, in un modo o nell’altro, assegnato, ognuno di noi vive l’imposizione sociale della sua maschera e la repressione di ogni suo tentativo di evaderne. Mentre i pensieri dell’avvocato scorrono fuori come un fiume in piena, giunge al chiosco un terzo cliente dalla fisionomia orientale. Avvicinatosi al bancone, la donna si accorge che l’uomo porta con sé uno strano volatile delicatamente posato sulla sua spalla, che non sembra essere minimamente spaventato dalla presenza umana, al contrario, si rivela un complice compagno dell’uomo. Si accomoda con aria riflessiva, resta in silenzio, e osserva gli altri due clienti con discrezione.

Il viaggiatore, per rompere il ghiaccio, decide di porgere all’uomo la carta dei tarocchi che rappresenta la sintonia tra uomo e natura. Un tempo era un abile pescatore, YanHuang, si presenta ponendo una mano sul petto chinando leggermente il capo. Senza neanche dare all’uomo il tempo di ordinare una birra, l’avvocato lo precede invitandolo a sedersi con loro in quanto per la birra bisogna aspettare ancora un po’. YanHuang si siede con fare paziente e inizia raccontare la sua storia partendo ovviamente dall’animale sulla propria spalla, uno strano uccello con un becco bianco e le zampe rosse. Con gli occhi lucidi racconta il suo grande dolore…Jingwei, sua figlia stava nuotando nel mare orientale, ma non è stata in grado di tornare a riva. Secondo il mito della sua


tradizione orientale si è trasformata nell’uccello che lo accompagna nei suoi viaggi. Egli ha promesso di aiutare l’animale a trasportare regolarmente ramoscelli e pietre dalle montagne occidentali per riempire il mare orientale, affinché a nessun altro capiti lo stesso destino che è toccato alla ragazza. Spesso gli capita di dialogare a lungo con l’animale ma non riesce a dire con certezza se si trattasse di sogni o di realtà, a volte il suo cinguettio sembra confondersi con la soave voce della ragazza. Ad interrompere il racconto nostalgico dell’uomo, è proprio l’arrivo della donna del chiosco con in mano un vassoio pieno di calici. Per l’ennesima volta le aspettative dei clienti vengono deluse poiché non si tratta della tanto agognata birra, bensì di acqua all’albicocca che produce tanta schiuma,

un odore che riporta all’ambiente di un negozio da parrucchiere e procura il singhiozzo. Tuttavia i clienti sembrano non dargli importanza e, felici di essersi incontrati, brindano gustando insieme la fresca bevanda. Il viaggiatore estrae la carta dei denari e la porge alla donna indicando i suoi nuovi amici, lasciando quindi intendere di voler pagare la consumazione di tutti. La donna la accoglie e con un sorriso di approvazione lo ringrazia. Sono rimaste poche carte, il viaggiatore ha infatti assegnato ad ogni racconto una carta che potesse descrivere al meglio le vicende attraverso colori simboli e sfumature. Certamente anche la mia storia è contenuta in questo intreccio di carte, passato presente e futuro, ma io non so più distinguerla dalle altre, questa era la frase che echeggiava nella testa del viaggiatore ogni volta che

ritrovava un collegamento tra le storie dei clienti e le sue carte, quelle carte sono grado di narrare. Ma ora, sa bene che le poche carte rimaste sul suo palmo, sono quelle che lo rappresentano, finalmente anche lui può raccontare la sua storia. Felice di averle individuate le ripone in tasca con l’aria soddisfatta di chi sente di aver finalmente ritrovato sé stesso, meta del suo lungo viaggio. Preso dall’entusiasmo, il viaggiatore rovescia sbadatamente la carta di coppe sul bancone, mostra subito la sua faccia buffa e dispiaciuta alla donna del chiosco, che prontamente regge il suo gioco fingendosi imbronciata e intenta a ripulire subito il bancone, agitando un vecchio panno giallo, per poi strizzare l’occhio con intesa complice mentre riempie nuovamente il calice dell’uomo.



PLANIMETRIA

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2.1 Disposizione nello spazio Prima di stabilire e descrivere le strutture degli edifici a cui siamo giunte, è opportuno descrivere il percorso che abbiamo intrapreso, sviluppando varie riflessioni che vedono come punto di partenza la nostra analisi di interessanti suggestioni iconografiche. Il primo approccio con cui abbiamo iniziato il progetto ha visto una necessaria ricerca, volta a cogliere gli aspetti più profondi, non soffermandosi quindi sull’aspetto tecnico e progettuale. A seguito delle prime presentazioni individuali abbiamo deciso di soffermarci e di approfondire tre tematiche comuni: l’idea di città come labirinto e i suoi percorsi, l’idea di città con una pianta dalla struttura regolare o

irregolare e infine l’idea di una città caratterizzata dalla sospensione di alcuni suoi elementi. Dopo l’approfondimento di questi argomenti abbiamo sviluppato una pianta la cui forma, dimensione e sviluppo della città li riassume nella maniera più funzionale ed efficace. Abbiamo immaginato di suddividere l’aula in tre zone, caratterizzate da diversi gradi d’ordine, nelle quali sono posizionati diciotto praticabili. L’intero spazio presenta, nella forma, una continua disintegrazione dell’ordine, fino a giungere all’estrema distruzione della struttura, comportando l’eliminazione del piano.

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L’idea è guidata da un continuo fluire di pensieri che crescono, mutano e arrivano a distruggere le fondamenta, dove verranno in seguito assemblati gli scheletri degli edifici. La disposizione dei praticabili secondo un rigido ordine si rivela essere troppo costrittiva per la grande varietà di pensieri ed emozioni che danno vita alla città. Sembra quindi necessario un processo di rottura dell’equilibrio iniziale, la cui evoluzione si può suddividere in tre fasi. Possiamo definire “area sinistra” dell’aula, la porzione di spazio che si trova alla sinistra dello spettatore di spalle rispetto all’ingresso in Via Timoteo Viti 1 e, di conseguenza, con l’espressione “area destra” facciamo riferimento alla porzione di spazio opposta. Varcata la soglia d’ingresso, il pubblico si trova a realizzare un vero e proprio

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percorso partendo dall’area sinistra, passando quindi per il centro e giungendo infine nell’area destra. Una minore concentrazione di praticabili all’interno dell’area centrale, determina la creazione di grandi zone di vuoto, che permettono allo spettatore di vivere una condizione di “pausa visiva” rispetto alle due aree adiacenti. L’iniziale disposizione ordinata e simmetrica dei praticabili viene improvvisamente stravolta nell’area centrale dell’aula nella quale l’equilibrio visivo subisce una rottura, iniziando a sgretolarsi. La rottura dell’ordine causa inevitabilmente uno sconvolgimento della disposizione dei praticabili nell’area destra, dove si sente forte la sensazione di caos, data non solo dalla disposizione casuale dei praticabili ma anche dalla scomposizione di alcune loro componenti strutturali.


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Lo spettatore viene così trasportato in una situazione di “oppressione visiva” di agglomerati di strutture che si innalzano su piani, compenetrano nei praticabili e si presentano in continuo stato di trasformazione. «E l’immagine di paesaggi urbani che il cinema ha tracciato nel corso della sua storia sono molto diverse dall’aspetto reale che hanno assunto oggi; i film ci suggeriscono movimento e dinamismo, una realtà in completa trasformazione [...] noi siamo ormai abituati sia ai cambiamenti che alla rapidità con cui si verificano»6.

W. Wenders, in Wim Wenders, L’atto di vedere, archphoto.it. 6

che si dirama nei quartieri adiacenti. La prima, al centro dell’area sinistra, svolge la funzione di fulcro regolatore della disposizione ordinata e armonica dei praticabili. La seconda al contrario0 assume una posizione leggermente obliqua. La terza ed ultima vasca è posizionata sulle scale che precedono il soppalco, andando a formare un declivio, che rappresenta la situazione di instabilità dell’ultima area.

Un altro elemento oltre ai pensieri che smuove e ordina la disposizione dei praticabili è la vasca, simbolo comune che si ripete in tutte e le tre aree dell’aula. La sua posizione in ogni zona determina il punto d’origine che regola il flusso di pensieri

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2.2 Variazioni sul tema Consapevoli della caducità della vita, in cui l’unica certezza risiede nel cambiamento, abbiamo deciso di evidenziare questo aspetto della realtà. Il concetto di precarietà non regola la totalità dell’esistenza, poiché solo alcune sfere della vita umana subiscono la sua influenza. All’interno dell’aula abbiamo cercato di riproporre tale concetto di instabilità attraverso il meccanismo della sospensione, che si ritrova solo in alcuni dei quartieri per mezzo della sospensione di elementi e dell’eliminazione del piano d’appoggio. La struttura che permette la sospensione, sostenendo gli edifici, è pensata in ferro seguendo una costruzione geometrica.

Anche se il materiale di costruzione determina un’iniziale percezione di eccessiva pesantezza, tuttavia l’insieme di vuoti e linee sottili che costituiscono lo scheletro architettonico, conferisce un grande senso di leggerezza. Allo stesso modo tale caratteristica viene espressa attraverso il rivestimento delle strutture: l’impiego di differenti tipologie di carta vuole riproporre l’impercettibilità del pensiero. All’interno del praticabile, si crea così una fitta trama di linee che permette la sospensione di alcuni componenti strutturali del quartiere.

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Le sospensioni di elementi costitutivi dei quartieri subiscono continue variazioni nel corso dello spettacolo, in modo tale da far percepire l’idea di trasformazione. Un apposito sistema a tiro permette la sospensione degli elementi mobili della città. Questi, collegati ad un cavo si sollevano lungo una traiettoria dettata dalle guide poste su di una struttura in legno. In corrispondenza del tiro è posto un timone che consente di svelare allo spettatore il meccanismo che governa il movimento. Se da un lato la sospensione, basata sulla momentanea assenza della base d’appoggio, conferisce una sensazione di costante incertezza, dall’altra un particolare sistema che permette la rotazione di alcuni elementi, costringe lo spettatore ad un continuo cambiamento del punto di vista.

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La rotazione di una cornice all’interno del praticabile scandisce il tempo del quartiere e impedisce allo sguardo dello spettatore di cogliere l’immagine, farla propria e renderla duratura.


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2.3 Soggettiva sulla città

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La prima proposta nasce dalle riflessioni sviluppate in seguito all’analisi delle opere dell’illustratrice Amy Casey e del fotografo russo Alexey Bogolepov. Partendo dall’idea che gli edifici possano essere collegati attraverso dei fili, abbiamo ipotizzato la loro sospensione. Si è mmaginata una cittàburattino nella quale i quartieri sono sospesi a dei cavi, che vanno a riproporre lo stesso meccanismo con cui si muovono i burattini. La presenza di due assi, posizionate ad incrocio e sospese in graticcia, vanno ad occupare tutta la lunghezza dell’aula. L’altezza a cui si trovano i diciotto quartieri, varia in base alla tensione dei fili che li sospendono, affissi alle due assi soprastanti, mentre l’altezza delle mensole corrisponde alla linea di terra della città.

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La seconda proposta nasce dall’analisi di suggestioni iconografiche, quali Il nuotatore, una produzione di Studio azzurro, l’installazione sul lago d’Iseo di Christo e Jeanne-Claude e, infine, un particolare frame del film La sorgente del fiume di Theo Angelopoulos . Questa proposta prevede che i sei quartieri della zona centrale siano immersi in vasche piene d’acqua e che ne venga realizzata solo la struttura delle parti immerse, al contrario per le parti che ne fuoriescono, è prevista la completa realizzazione. Si formano delle strutture che seguono un’evoluzione verticale: partendo dalla base con elementi di costruzione, che ricordano la conformazione delle palafitte, si giunge ad elementi dalle fattezze più ricche e complesse.

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La terza proposta si concentra su quei frammenti di vita urbana che creano il quadro della città tratta dal film Il cielo sopra Berlino. Lo spazio è strutturato in modo tale che lo spettatore possa osservare lo spettacolo da due diverse prospettive. Nell’area sinistra dell’aula si trova un segno rosso sul pavimento, che sta ad indicare la precisa posizione dalla quale lo spettatore può avere una completa visione della città. La disposizione dei praticabili nello spazio è stata realizzata tenendo conto della tecnica dell’anamorfosi, secondo la quale l’immagine distorta acquista una forma veritiera solo se l’osservatore si pone in una determinata posizione. Varcata la soglia dell’ingresso principale, lo spettatore segue un percorso che si sviluppa in senso orario, dirigendosi per prima cosa verso le

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scale che conducono in falegnameria. Superata quest’ultima e, attraversato il giardino, lo spettatore rientra in aula utilizzando la seconda porta che permette l’accesso diretto al soppalco. Il pubblico può attraversare tutta l’aula dalla zona est alla zona ovest, aggirandosi in una città costituita da imponenti palazzi. I quartieri si presentano come delle istantanee di frammenti di vita urbana tra i quali si muovono due o più attori impegnati in varie azioni che aiutano lo spettatore ad immedesimarsi nella “realtà cittadina”. Concentrarsi su questi “dettagli di vita” prevede un metodo d’osservazione più microscopico, al contrario, l’osservazione del paesaggio urbano complessivo da una certa distanza, si basa su un metodo d’osservazione macroscopico.


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Per la realizzazione della quarta proposta è stato eseguito un attento studio di immagini legate al film Il cielo sopra Berlino di Wim Wenders; lasciandoci ispirare dalle parole di Marion: «Berlino: qui sono straniera e tuttavia è tutto così familiare. In ogni caso non ci si può perdere, s’arriva sempre al muro». L’idea non è quella di riproporre, secondo una trasposizione tecnica, la mappatura dei percorsi, ma quella di trasmettere l’impressione che regala la ripresa di Wenders. Lo spettatore è portato ad intraprendere questo percorso senza che ci sia alcuna regola che guidi la visita della città. Poiché alti pannelli impediscono la vista dell’intero isolato, si è pensato di creare un opuscolo che fornisca una visione completa aula. Ciò non solo porta a creare letture diversificate della

narrazione dei pensieri, ma evita anche il rischio di tralasciare frammenti dell’intero racconto. Il pubblico è invitato ad entrare in una sorta di labirinto per scovare anche le storie più nascoste che solo con la curiosità si possono “conquistare”. Basta saper osservare e lasciare che i profili delle mura del labirinto guidino lo sguardo dello spettatore in un percorso verso una città apparentemente nuova.

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PROGETTO

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3.1 I quartieri

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Lo spettacolo In una foresta di segni prevede la realizzazione di un’intera città costituita da diciotto quartieri secondo la disposizione dei praticabili nella pianta precedentemente illustrata. Allo stesso modo lo spettatore, spostando lo sguardo tra i quartieri dell’aula, può accorgersi di quanto l’oggetto della sua vista possa essere variabile. Il nostro studio si è concentrato su quattro quartieri che corrispondono, in successione nella sequenza numerica di Fibonacci a 1, 1, 3 e 2584. I primi due quartieri sono perfettamente speculari e, a loro volta, costituiti entrambi dalla suddivisione del piano d’appoggio in due zone. Nella prima si esprime il concetto di continuo cambiamento attraverso la rotazione di un piano mobile, caratterizzato

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dalla presenza di edifici sia nella parte superiore che inferiore. Nella seconda invece si vuole esprimere l’idea di immutabilità, vi sono infatti edifici di elevata altezza ben radicati al suolo proprio come gli elementi più antichi che costituiscono le città. L’equilibrio di questo quartiere è dato dalla contrapposizione di staticità e dinamismo, immutabilità ed evoluzione.


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Il terzo quartiere presenta uno stile architettonico tipico della cultura cinese, che prevede la realizzazione di edifici con una struttura palafitta denominati “DiaoJiaoLou”. La palafitta diventa un’esigenza per gli abitanti che vivono nei pressi di fiumi o di lagune e paludi che invadono gradualmente i loro spazi. L’utilizzo di pali in legno per sollevare le case dal suolo si rivela un ottimo espediente per evitare il contatto dell’abitazione con l’acqua. In questo quartiere, a differenza dei precedenti, si prevede una base costituita da molteplici strati diversi tra loro che, sovrapponendosi, determinano l’irregolarità del piano. L’elemento del vuoto si trova sia nelle strutture degli edifici che nella stratificazione del piano. La struttura apparentemente vuota ed inconsistente

nel volume, pone le sue fondamenta negli strati più profondi e si eleva, proprio come avviene con la costruzione dei pensieri. L’ultimo quartiere su cui abbiamo lavorato, vuole rappresentare sia il concetto di evoluzione ciclica che l’idea della duplice presenza. L’unico elemento del quartiere è un imponente edificio e il suo doppio, quest’ultimo ha la funzione di completare la costruzione e rendere funzionale il meccanismo. Le strutture presentano un’evoluzione verticale e, ruotando su se stesse, sembrano avvicinarsi l’una all’altra a causa di una forza d’attrazione. Questa forza ne determina l’oscillazione dando l’idea di precarietà.

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3.2 Il modulo e gli snodi Uno dei momenti fondamentali della progettazione è stato pensare a degli elementi semplici, la cui ripetizione dà origine a dei moduli per mezzo dei quali è possibile realizzare strutture più complesse. L’esigenza di creare un modulo è nata dall’idea di quartieri come strutture che potessero essere rivestite, in maniera parziale o completa, facendo risaltare o meno lo scheletro di ogni edificio. Questi modelli sono stati pensati tenendo conto della funzionalità, della resistenza, della facilità di costruzione e del costo. I moduli permettono di creare delle forme più o meno complesse, a seconda delle possibilità d’incastro dei pezzi e in base alla quantità necessaria di snodi

che la struttura presenta. Anche in questo caso, come per le idee e i pensieri legati ai quartieri, lo sviluppo del modulo è stato individuale e successivamente condiviso con l’intero studio. Si sono inizialmente realizzati moduli più semplici per poi giungere a quelli più complessi. Il primo modulo è stato pensato partendo dallo studio di una forma regolare, che potesse renderlo solido e pratico. Dopo diversi studi ci siamo soffermate sulla figura della lettera H, in quanto la sua forma e la sua ripetizione permettono la realizzazione di strutture semplici. Può essere realizzato in ferro, legno o cartoncino e, in base alla scelta del materiale, la composizione può essere piena o vuota.

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Il secondo modulo si basa sulla ripetizione di un quadrato non finito che può essere realizzato in legno, ferro o in filo di rame. La composizione risulta vuota e, attraverso questo modulo, si vuole rappresentare il concetto di infinita connessione ed evoluzione. Il terzo modulo si serve di due elementi fondamentali, quali un triangolo e la sua esatta metà che, se incastrati, possono originare esagoni, quadrati o rettangoli. Il ferro e il legno ci sono sembrati i materiali più adatti per la sua realizzazione. Infine il quarto modulo è composto da due piani, che insieme formano un disegno a forma di H. I due elementi sono legati tra di loro da un sistema ad incastro grazie ai tre tasselli di legno inseriti nelle loro lunghezze. La struttura necessita dell’utilizzo

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di soli quattro elementi e permette la continua evoluzione in altezza e in larghezza di un edificio. L’assemblaggio dei moduli può risultare stabile ma la sua inclinazione può alterare la geometria della costruzione rendendola apparentemente instabile. Dopo una serie di tentativi è stato scelto un metodo di costruzione unico per tutti gli studi. Il modulo può essere proposto in diverse forme, tenendo però invariato lo snodo che ne permette la costruzione. Ciò non esclude la possibilità di modificare tali elementi durante la costruzione degli edifici, optando per soluzioni più funzionali. L’idea è quella di utilizzare dei capicorda da elettricista unendoli tra loro con dei listelli di un materiale a scelta come legno o ferro. Dopo vari esperimenti, tale snodo ci è sembrato il più adatto, in quanto

permette l’unione di più listelli e quindi di incastri più complessi. Assemblando questi snodi avviene la creazione di telai su cui applicare la carta.


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3.3 Carta come costante Punto di partenza del nostro progetto è stato visualizzare la città come come foresta di segni, ossia un particolare intreccio di forme inconsistenti che muovono l’intera costruzione e trasformazione dell’ambiente. La completa conoscenza del territorio della città avviene attraverso la codifica di strutture, moduli e simboli che lo compongono. La costruzione di tali strutture permette la creazione di ambienti nei quali i pensieri sono liberi di nascere e di muoversi, creando delle narrazioni. Nel complesso della città convivono le atmosfere più variegate. Colori, stili e altezze sono le caratteristiche che ogni studio ha personalizzato per i propri quartieri.

Se le strutture degli edifici possono variare, unico elemento costante a tutti i quartieri è il materiale di rivestimento della carta. Ogni tipo di carta è concessa purchè si possa definire tale. L’utilizzo di carte di varia grammatura, colore, fantasia, forma e texture ha il proposito di andare a riproporre la grande varietà di pensieri che possono abitare una città. Ogni agglomerato architettonico presenta la sua essenza attraverso fogli, ritagli e frammenti come attestato d’identificazione. L’attenzione dello spettatore viene catturata dall’oscillazione della carta, il cui movimento è provocato dal passaggio dello stesso fra i praticabili.

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Nonostante sia l’unica costante della città il suo diverso utilizzo permette di descrivere architetture sempre nuove, in relazione alla presenza o assenza di fogli di rivestimento e alla percezione del volume che gli strati di carta creano. Come pagine di un racconto nel quale sono impresse, fra le righe, varie storie, anche le carte dei nostri quartieri si soffermano su precisi istanti catturati fra ritagli. Le carte che compongono il tessuto degli edifici colgono quei particolari che spesso sfuggono alla vista, proprio come accade nelle fotografie dove il volo degli uccelli è limitato dalla cornice dell’obiettivo. I fogli di carta sono espressione di un complesso intreccio di pensieri che permette allo sguardo di indagare a fondo e sviluppare una sovrapposizione di immagini.

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Figure simboliche si posano sulla carta adattandosi alle pieghe dei fogli e assumendo un aspetto leggero e delicato. Nei telai si creano delle riproduzioni quasi surreali. Lo sguardo dello spettatore non dovrà seguire un percorso obbligato nell’osservazione delle carte, bensì si soffermerà liberamente sulle carte più capaci di catturare la sua attenzione. La carta selezionata per rivestire ogni quartiere ha la funzione di rappresentare a pieno i pensieri che più lo caratterizzano, arricchendoli di ulteriori sensazioni. Partendo dalla semplice carta bianca abbiamo realizzato delle prove attraverso la manipolazione della carta e la sintesi di varie grafiche sul foglio. Il nostro percorso si è indirizzato da una parte verso l’esaltazione di linee geometriche che creano


dei reticolati, dall’altra verso una composizione armonica di immagini tratte dal mondo della natura affiancate da linee regolari di elementi architettonici. Molte carte presentano una griglia il cui sfondo, privo di immagine, innesca nella mente dello spettatore la fantasia, che rende personale la forma del contenuto. Le linee tracciate sulla carta creano una sorta di mappa che ricorda la disposizione della città in pianta. Ogni edificio porta con sé, nella struttura e nell’aspetto, i segni del tempo. La storia ci insegna che la costruzione di una città richiede del tempo, tuttavia la sua distruzione può avvenire in un battito di ciglia. Riflettendo su questo concetto abbiamo scelto di strappare dei fogli di carta, bruciare i bordi dei frammenti per poi ricucirli con del filo di cotone o di ferro.

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I pezzi di carta straccia riassemblati creano una particolare trama che va a rivestire alcuni edifici. I segni delle bruciature sulla carta simboleggiano le cicatrici del tempo sulla città. La presenza di immagini, le cui estremità risultano sfumate ed inafferrabili, indicano l’impossibilità, per l’uomo, di comprendere quale sia l’inizio del passato e la fine del futuro. Così come i giornali imprimono nero su bianco avvenimenti del tempo, anche i cerchi presenti nei tronchi degli alberi e i cambiamenti visibili delle città sono testimoni del corso della storia.

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CONCLUSIONE

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Conclusione

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Nel tentativo di considerare nuovi aspetti sui confini della società che viviamo, senza le coordinate dettate dallo spazio e dal tempo, ci siamo lasciate guidare dal concetto di città come flusso di pensieri. Attraverso il linguaggio del teatro abbiamo deciso di coinvolgere lo spettatore in una foresta di segni, ossia quell’intreccio di connessioni che trascende l’ambito sociale. Come Wim Wenders, ne Il cielo sopra Berlino, ci siamo permessi di “rubare” i pensieri degli uomini e collocarli in una dimensione cittadina atipica. Il progetto prende forma attraverso la rielaborazione del linguaggio su cui si fonda la realtà, secondo un ordine che scinde il concetto di tempo da quello di spazio. Il pensiero assimila la realtà oggettiva, elaborandone una propria concezione, attraverso un continuo processo di trasformazione,

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che non tiene conto di parametri ordinari. Il luogo in cui abitiamo non solo costruisce dinamiche relazionali verso gli altri, ma influisce sul nostro modo di vivere.


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Ne Il cielo sopra Berlino, Wim Wenders utilizza particolari inquadrature che sembrano essere una lente d’ingrandimento sui pensieri berlinesi e affida la narrazione a Damiel e Cassiel, due angeli che nel corso di tutto il film, fotografano precisi istanti che raccontano storie del presente. Guidati dal film abbiamo scelto di trasformare il nostro punto di vista e quello del pubblico, coinvolgendolo in prima persona in un percorso al di fuori del tessuto urbano e sociale. La foresta di segni ricopre l’intera superficie dell’aula, sovrastando lo sguardo di chi l’attraversa con alte strutture. Costruzioni apparentemente fragili regolano il nuovo concetto del reale, distogliendo la mente dello spettatore dalla propria concezione di città ideale, che sembra oramai distante ed irrealizzabile.

La pesantezza della figura umana risulta in contrasto con la leggerezza dell’agglomerato architettonico, tuttavia è il pensiero l’unica guida che rende possibile il movimento dello spettatore nello spazio. L’idea di non tracciare un percorso obbligato tra gli edifici permette di creare diramazioni sempre differenti, rendendo personale la trama che anima l’intera città. Lo spettacolo In una foresta di segni, apparentemente un intreccio di simboli e immagini da decifrare, ha l’ambizione di modificare la percezione che ognuno di noi ha dello spazio in cui vive abitualmente. Pertanto si vuole invitare lo spettatore ad avere, fuori dal contesto teatrale, una maggiore consapevolezza degli aspetti più profondi che costituiscono la città.

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BIOGRAFIA



Francesca Pontillo Nasce nel 1999 a Benevento, dove frequenta il liceo artistico Virgilio. Da sempre affascinata dal mondo dello spettacolo, decide di approfondire lo studio della scenografia teatrale presso la Scuola di Scenografia, Accademia di Belle Arti di Urbino, dove attualmente frequenta il terzo anno del triennio. Di madrelingua italiana, possiede una media padronanza della lingua spagnola. Si pone l'obiettivo di riportare in campo lavorativo le conoscenze e le esperienze acquisite durante il percorso di studi.

Born in 1999 in Benevento, where she attends the Artistic High School “Virgilio”. She has always been fascinated by the entertainment world so she decides to deepen the study of theatrical scenography at the School of Scenography, Fine Arts Academy, in Urbino, where she currently attends the third year of triennium. She is a native Italian speaker, and she has a medium level of fluency in Spanish. Her aim is to take advantage of the knowledges and experiences acquired during her course of studies, in the work field she wants to specialize.

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Rosaria De Donatis Studentessa e aspirante scenografa, nasce a Gagliano Del Capo nel 1995. Gli studi presso il liceo scientifico linguistico “Leonardo Da Vinci” di Jesi, le hanno permesso di approfondire la conoscenza delle lingue e delle culture straniere. Nutre da sempre grande passione per la storia dell’arte tanto da decidere di intraprendere il percorso triennale presso la facoltà di Scienze umanistiche. Discipline letterarie, artistiche e filosofiche. Attraverso la pratica della disciplina di acrobatica aerea si avvicina al mondo

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dello spettacolo teatrale e decide di approfondirne lo studio. Con l’intento di completare la sua formazione umanistica, frequenta il biennio specialistico presso la Scuola di Scenografia, Accademia di Belle Arti di Urbino. Di madrelingua italiana possiede una buona padronanza della lingua spagnola e una media padronanza della lingua inglese. Nel 2020 collabora al progetto digitale dello spettacolo Il Sex Appeal dell’Inorganico, realizzato presso la Scuola di

Scenografia di Urbino. Si augura di riuscire a mettere in pratica, in ambito lavorativo, le conoscenze apprese presso la scuola, arricchendo i suoi lavori per mezzo del suo bagaglio umanistico.


Student and aspiring set designer, she was born in Gagliano Del Capo in 1995. Her studies at the Scientific and Linguistic High School “Leonardo Da Vinci” in Jesi enabled her to deepen the knowledge of foreign cultures and languages. She has always been passionate about art history, so much that she decides to start the threeyear course at the Faculty of Humanities. Literary, Artistic and Philosophical Disciplines. Through the practice of the discipline of aerial acrobatics, she gets close to the world of theatrical entertainment and she decides to deepen her study in this field. Aimed to complete her

humanistic education, she attends the specialistic biennium at the School of Scenography, Fine Arts Academy in Urbino. She is a native Italian speaker and she has a high level of fluency in Spanish and a medium level of fluency in English. In 2020, she collaborates on the digital project of the show Il Sex Appeal dell’Inorganico, realized at the School of Scenography in Urbino. She hopes to be able to put into practice in the workplace all the knowledges learned at the school, enriching her works through her humanistic baggage.

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Francesca Vagnozzi Nasce a Giulianova nel 1998. Frequenta il liceo artistico “G. Montauti” di Teramo, dove ha avuto il suo primo approccio con il disegno e la pittura. Inconsapevole ma incuriosita dal mondo del teatro sceglie di intraprendere il corso di scenografia. Consegue la laurea triennale presso l’Accademia di Belle Arti di Urbino. Frequenta attualmente il biennio nella stessa facoltà con l’intento di approfondire a livello tecnico e teorico la pittura di scena. Nel corso di questi ultimi anni ha l’occasione

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di collaborare nella realizzazione dei fondali di scena e attrezzista nello spettacolo Impreparati (titolo provvisorio), nella stagione Teatro Oltre 2018, liberamente tratto da L’affaire Moro di Leonardo Sciascia, scritto e prodotto dalla Scuola di Scenografia di Urbino Nel 2019 ha l’opportunità di partecipare come attrezzista ne La Cambiale di Matrimonio di Gioacchino Rossini in occasione del Rossini Opera Festival, Edizione giovani, 2019. Nello stesso anno collabora come scenografa realizzatrice nello spettacolo

La Luna del Pomeriggio, tratto dall’omonimo scritto dai detenuti del carcere di Alta Sicurezza di Nuchis e curato da Giovanni Gelsomino, una produzione de La Luna del Pomeriggio, regia di Simone Gelsomino. Spera pertanto di continuare ad approfondire in contesto teatrale e cinematografico la pittura di scena.


Born in Giulianova in 1998. She attends the Artistic High School “G. Montauti” in Teramo, where she has her first contact with drawing and painting. Unaware but intrigued by the world of theater, she chooses to start the course of Scenography. She graduates in the three-year period course at the Fine Arts Academy in Urbino. She currently attends the biennium in the same department, aimed to deepen the scene painting at a technical and theoretical level. In recent years she has the chance to collaborate in the realization of scene backdrops and to work as toolmaker in the show “Imprerparati” (temporary title),

in the season Teatro Oltre 2018, continue to deepen the scene loosely based on L’affaire Moro painting in the theatrical and by Leonardo Sciascia, written cinematographic field. and produced by the School of Scenography of Urbino. In 2019 she has the opportunity to partecipate as a toolmaker in La Cambiale di Matrimonio, by Gioacchino Rossini, in occasion of Rossini Opera Festival, Youth Edition, 2019. In the same year, she contributes as set designer in the show La Luna del Pomeriggio, based on the homonym text, written by the inmates of the High Security Prison of Nuchis, edited by Giovanni Gelsomino, a production of La Luna del Pomeriggio, directed by Simone Gelsomino. Therefore she hopes to

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Wenyue Zhang Nasce a Handan, Hebei, Cina nel 1995. Frequenta il liceo artistico Fuchun. Arriva in Italia nel 2016 e studia la lingua italiana per un anno a Sarnano. Frequenta attualmente il terzo anno del triennio presso la Scuola di Scenografia, Accademia di Belle Arti di Urbino. Di madrelingua cinese, possiede una buona padronanza della lingua inglese e una media padronanza della lingua italiana. Ha l’occasione di collaborare come aiuto attrezzista e fotografo nello spettacolo Impreparati

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(titolo provvisorio) nella stagione Teatro Oltre 2018, scritto e progettato dalla Scuola di Scenografia di Urbino.


Born in Handan, Hebei, China in 1995. She attends the Artistic High School “Fuchun”. She arrives in Italy in 2016 and she studies the Italian language for a year in Sarnano. She currently attends the third year of triennium at the School of Scenography, Fine Arts Academy in Urbino. She is a native Chinese speaker; she has a good level of fluency in English and a medium level of fluency in Italian. She has the chance to collaborate as assistant toolmaker and photographer in the show Imprepati (temporary title), in the season Teatro Oltre 2018, written and designed by the School of Scenography in Urbino.

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FORESTA

DI SEGNI

1 1 2 3 5 8 13 21 34 55 89 144 233 377 610 987 1597 2584

ACCADEMIA DI BELLE ARTI DI URBINO - SCUOLA DI SCENOGRAFIA

IN UNA



Indice

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Premessa

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Specchi, dune e onde

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Viaggi

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Cieli

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Biografia: Studio Spada Stefano Spada Sofia Salomoni Erica Calò

2.1 Centri 2.2 Deserto 2.3 Mare 2.4 Incontri

3.1 Città 3.2 Finestre 3.3 Paesaggi

4.1 Bozzetti 4.2 Prove su carta



PREMESSA

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La città muta e si muove incessantemente, è distrutta e ricostruita, ma il centro, ossia la sua origine, rimane pressoché immutato. Il centro di una città è la matrice della sua natura, il fulcro a cui tutta la popolazione, anche la più geograficamente lontana, tende fisicamente e inconsciamente. Dopo un lungo lavoro, e molti errori, il Mare è diventato il fulcro della città, il motivo della sua nascita e la sua via futura - e insieme al Mare, e a causa di esso, sono nate emozioni, problematiche, domande. Una città sul Mare non può a lungo mantenere una singola identità: per la propria natura di scalo e crocevia diverrà necessariamente una chimera, o, in senso

positivo, un mondo in miniatura. Popoli si incastreranno e si scontreranno al suo interno, attirerà stranieri, diverrà la meta di mille ricordi che a lei torneranno. In un luogo del genere la moderazione non può esistere, ed esso sarà la casa di un’immensa decadenza, nel peggiore dei casi. Oppure, come più spesso accade, di una bellezza inimitabile e misteriosa. 03.03.2021

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SPECCHI, DUNE E ONDE

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2.1 Centri Ideare il centro di una città significa idearne la visione del mondo: costruire una città lungo un fiume significa consegnarla nelle mani di un fenomeno che ritmicamente ne sancisce le sorti, significa dare ai suoi cittadini una mentalità, una filosofia, una corporatura ben precise – gli Egizi alle sponde del Nilo, alla mercè di “un’unica grande forza naturale”, “erano così gravi e sereni, come nessuno dopo di loro”, come ricorda Hofmannsthal. Se una Biblioteca infinita occupasse il centro della città, sancendone così i confini illimitati, i suoi abitanti vivrebbero in un mondo di incubo in cui l’impossibilità della conoscenza è una certezza, e dove sarebbe postulabile l’esistenza di popoli che non

sarà mai possibile vedere o contattare. Oppure, appunto, questi abitanti avrebbero creato metodi di comunicazione nuovi, proprio per superare queste distanze incalcolabili e ominose. Inutile dire che, essendo la città infinita, essa non potrebbe esistere sulla Terra, ma dovrebbe occupare un universo a sé, con leggi fisiche proprie e possibilmente variabili all’interno della città stessa. E quali rapporti sociali vigerebbero tra gli abitanti di una torre impossibilmente alta? Rimarrebbe in vigore la valenza simbolica dell’altezza, per cui i potenti occuperebbero i piani più alti? È anche possibile che, come nei teatri all’italiana, il popolo sarebbe ammassato nei punti di massima altezza

e bassezza: i luoghi più faticosamente raggiungibili e quelli a diretto contatto con la feccia, per cui i detentori del potere, nel luogo mediano, sarebbero stretti tra due forze capaci di annientarli al minimo errore. La base violenta di una democrazia.

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2.2 Deserto Ma la città, si formi essa a fianco della Natura o sia progettata da mani di ferro che spianano monti, riempiono valli e deviano fiumi, sembra quasi sempre rifiutare di essere vista dall’alto, ossia di essere navigata con facilità. In essa le strade si riuniscono inaspettatamente, portano a vicoli ciechi, si schiudono su paesaggi inaspettati – compaiono una foresta, una chiesa bizantina, un palazzo informe del ventunesimo secolo, una caserma del ventesimo. Labirinto di forme e labirinto di genti, labirinto di influenze, la vera città non appartiene ad un solo popolo ma diviene la casa di molti – quanti viaggiatori italiani si lasciarono meravigliare dalla Costantinopoli del 1600,

dove un califfo risolveva in un giorno problemi che avrebbero causato anni di guerre in Europa. Certo un ricordo di quella città, da cui passarono i destini di tutti i popoli del Mediterraneo, li perseguitò tutta la vita. Certo perseguitò Kantemir, quell’ambasciatore moldavo, che trascrisse nel Libro de la Ciencia de la Mùsica i tesori della tradizione musicale ottomana e sefardita. Ma tradurre in scena questo brulicare di popoli incastrati gli uni sugli altri e gli uni negli altri è un compito gravoso, e non sempre l’enorme e lo smisurato valgono a rendere l’estensione estrema di un fenomeno: talvolta un oggetto, un simbolo, un’immagine minuti possono contenere

e rappresentare i desideri e i moti di popoli interi. Per dar corpo ai fitti rapporti di Normanni, Arabi, Bizantini e popoli italici conta poco stilare un libro che ne contenga tutte le rotte, gli incontri, gli scontri, gli scambi (sebbene sarebbe certo interessantissimo): basta fotografare il Duomo di Amalfi. La città, dunque, diviene un labirinto, ma è impossibile rappresentare un labirinto in uno spazio minuscolo come un’aula di scuola: Borges risolve la questione, semplicemente, argutamente, rimuovendo le mura della struttura e sostituendole con la sabbia. Il più grande labirinto, egli dice, altro non è che il Deserto.

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2.3 Mare Il Deserto, tuttavia, non rispecchia abbastanza precisamente quella sensazione di una fitta rete di popoli e relazioni, da noi ricercata, vuoi per la sua tendenza ad evocare immagini tanto esotiche quanto distorte da Mille e una notte, davvero lontane dal nostro obiettivo, vuoi per quella secolare parentesi ascetica dei Padri del Deserto, che ha contribuito a marchiarlo, per sempre, come il luogo per antonomasia contrario al mondo. Dal Deserto si è passati al Mare, suo simile e contrario, non luogo dei miracoli ma delle scoperte, non di Dio ma dell’uomo, e specificamente al palmo blu del Mediterraneo, che sulle proprie coste ha accolto le ambizioni e le vite di metà

del mondo. Come già detto, per materializzare un popolo intero basta una sua opera: la nostra decisione è caduta sull’Architettura, da sé un pozzo quasi inesauribile. Una gran quantità di piante architettoniche disegnate e sagomate sono poste l’una sopra l’altra e accompagnate da un album di fotografie, simbolo archetipico della memoria, a formare una stratigrafia dello sviluppo della città, con tutte le sue contraddizioni, ricostruzioni, demolizioni, passaggi di potere.

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2.4 Incontri Gli abitanti della città sono Odisseo quanto, millenni ormai tutti morti, o non più tardi, quello di Georges sono mai esistiti, ma gli echi Simenon. delle loro parole o delle loro imprese continuano a risuonare nel paesaggio, continuano ad attirare verso il Mare. Un Ulisse indeciso, diviso in quattro, combatte contro sé stesso per decidere se salpare o rimanere fedele, fino alla morte, alle proprie radici; uno sconosciuto invitato a tornare a casa da spettri passeggia sul molo, indeciso anch’egli se restare, aspettare o andarsene; figure della letteratura e della mitologia si incontrano e discutono, come se si fossero sempre conosciuti. Il Mediterraneo accoglie in sé tutti i tipi e i loro contrari; come un polo magnetico, ha attirato tanto l’ago di

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VIAGGI

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3.1 Città Il Mediterraneo è un Mare circondato di monti. I monti diventano pianure e le pianure subito spiaggia, alle volte i monti stessi, friabili e vittime di continue frane, si gettano direttamente nel Mare. In Estate dal Sahara salgono i venti caldi e portano una stagione rovente, gli Inverni sono gelidi; il Mare segna il ritmo dell’esistenza, la sua lentezza e velocità, determina la flora autoctona, che è naturalmente poco variegata e solo a volte adatta al consumo. Ma lo stesso Mare rende possibile la navigazione, e dunque la flora, e la fauna, cambiano, le abitudini mutano e le usanze si rinnovano continuamente. Il destino della città è questo – edifici fatiscenti,

fatti più di aria che di mattoni, suscettibili al vento e ridotti ad una semplicità estrema. Sotto di loro una terra che ha ceduto quasi del tutto al Mare. Un Duomo, un Porto, un Teatro, un Faro, i simboli di una città che si può chiamare mediterranea.

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Il Duomo

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Il Porto

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Il Teatro

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Il Faro

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3.2 Finestre La città è fatta di carta e le un briciolo di senso della sue mura sono vittima del magia. vento e dell’acqua; la carta è fragile e antica, bianca come un muro intonacato, scura come pietra bruciata dal Sole o impalpabile come spirito. Quale paesaggio vedranno i suoi abitanti da finestre fatte anch’esse di carta? Certamente vedranno il Mare, ma nascosto, innanzitutto da anni e anni di memorie, viaggi, incontri, di cui il Mediterraneo è sfondo e apparentemente inanimato fautore. Vedranno calato sopra al paesaggio un velo di malinconia, o di nostalgia, un’urgenza di avventura, emozioni che è impossibile non provare di fronte alla piana (che una volta era infinita) del Mare – impossibile, per lo meno, per chi ancora abbia in sé

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3.3 Paesaggi Le città sono molteplici e non è detto che ognuna guardi su uno stesso paesaggio: ci sono città tra le nuvole, città sull’acqua, città sul Mare, in foreste, tese su ragnatele, mezzo sotterrate. Impossibile pensare che esista un paesaggio così variegato – si è dunque pensato di proporli tutti, in sequenza, sotto forma di fotografie, periodicamente illuminati da una luce che imiti il levarsi e lo scendere del Sole.

provenienti dalla flora, dalla fauna, dagli esseri umani, da mezzi di costruzione.

Oppure, una volta che la possibilità del figurativo viene meno, si possono utilizzare i suoni: il paesaggio diverrebbe allora l’insieme non delle sue forme e dei suoi colori, ma dei suoi rumori, siano essi

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CONCLUSIONE

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La città muta e si muove incessantemente, è distrutta e ricostruita, ma il centro, ossia la sua origine, rimane pressoché immutato. Da fondamenta comuni sono nati pensieri differenti che hanno dato forma a modi di abitare diversi, con tutto ciò che questo implica. Ogni città possiede un proprio cielo, vuoi che sia quello terso del deserto, o quello del Mare, sempre pronto a mutare, o un cielo grigio, mai scoperto - un cielo crea speranze o disperazioni, dona luce o la nega, e da un cielo stellato non è difficile trarre le basi di una teologia, o vedere in esso una mappa. La città attende paziente un cielo mai visto, una mappa che con linee immaginarie colleghi tutti i suoi edifici, ricongiunga tutti i pensieri

differenti e belli che l’hanno creata in un unico disegno, prima nascosto. Ma solo alla fine tale cielo propizio potrà essere visto: prima la città dovrà essere costruita.

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4.1 Bozzetti Segue la presentazione grafica dei quattro edifici scelti, che compongono la nostra città sul Mare. Il Duomo, il Porto, il Teatro e il Faro occupano i quattro praticabili assegnati all’interno dell’aula di scenografia, rispettivamente: F14, F7, F6, F12.

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Il Duomo (il campanile)

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Il Porto

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Il Teatro

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Il Faro

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4.2 Prove su carta Seguono alcune prove grafiche su carta rispettivamente su carta velina, carta da pacco e carta simil tipo vergata (Fabriano). La carta è stata scelta come supporto materiale per poter “rivestire” e/o “riempire” la struttura scheletrica dei moduli, con lo scopo di poter dare corpo e anima alle nostre città ed edifici.

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Il Duomo (il campanile)

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Il Duomo (l’arco del campanile)


Il Porto (1)

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Il Porto (2)

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Il Teatro (facciate fronte)

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Il Teatro (facciate retro)


Il Faro (parete fronte)


Il Faro (parete retro)



RENDER Cinema4d: impressione generale della struttura del campanile (Duomo)



BIOGRAFIA

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Stefano Spada - Nasce a Ravenna nel 1999, ha studiato Architettura al Liceo Artistico Nervi-Severini di Ravenna. Attualmente frequenta l’Accademia di Belle Arti di Urbino. Da tempo si occupa di Teatro e spera di lavorare in futuro nel settore della Scenografia teatrale.

Sofia Salomoni - Nasce a Merate (LC) nel 1999, ha studiato Arti Visive al Liceo Artistico Giacomo e Pio Manzù di Bergamo. Attualmente frequenta l’Accademia di Belle Arti di Urbino. Dagli studi teatrali attualmente in corso vorrebbe continuare la sua ricerca artistica-culturale nel cinema e spera di lavorare in futuro nel settore della Scenografia cinematografica. Inoltre, è attualmente impegnata nella creazione di un evento artistico-culturale, in un borgo tra le colline del Montefeltro, insieme ad altri cinque giovani ragazzi: il suo scopo è quello di poter unire culture e linguaggi distanti tra loro e far conoscere alcune delle ultime ricerche e innovazioni artistiche under 35 presenti sul territorio regionale e nazionale, mettendole in relazione all’importanza territoriale e morfologica del luogo ospitante.

Erica Calò - Nasce a Maglie (LE) nel 1997, ha studiato presso il Liceo Linguistico Francesca Capece di Maglie. Attualmente frequenta l’Accademia di Belle Arti di Urbino. Fin da piccola ha avuto l’aspirazione di lavorare nel mondo dello spettacolo. Grazie all’accademia di belle arti di Urbino ha avuto la possibilità di fare un’esperienza, come attrezzista, al teatro Rossini di Pesaro nel febbraio 2019 con la “Cambiale di Matrimonio”. Spera di lavorare in futuro nel settore della Scenografia teatrale portando innovazioni soprattutto meccaniche ed elettroniche.



STUDIO LILLINI

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ACCADEMIA DI BELLE ARTI DI URBINO - SCUOLA DI SCENOGRAFIA

IN UNA FORESTA DI SEGNI


“Chi mai, s’io grido, m’udrà dalle schiere celesti? E d’improvviso un angelo contro il suo cuore m’afferri, io svanirei di quel soffio più forte. Ché il bello è solo l’inizio del tremendo, che noi sopportiamo ancora ammirati perché sicuro disdegna di sgretolarci. Sono gli angeli tutti tremendi. Così mi rattengo e soffoco in gola il richiamo d’un oscuro singhiozzo. Chi mai ci aiuterà? Né gli angeli ahimè né gli umani e gli animali sagaci ormai sanno che non molto tranquilli noi stiamo di casa in una foresta di segni. [...]” “Elegie duinesi” di Rainer Maria Rilke, la prima elegia


Indice

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Fondamenta

2

Struttura

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Edificio

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Cielo

2.1 Piano Urbanistico 2.2 Proposte quartieri 2.3 Moduli e rivestimenti

3.1 Quartieri 5-34 3.2 Quartiere 21

Biografia



FONDAMENTA

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1. Fondamenta L’idea che ci ha guidate all’interno del concetto di città è stata quella di indagare il flusso di pensieri che di volta in volta si inscrive all’interno della geografia degli spazi urbani.

Si presenta così allo spettatore un mondo mutevole che varia ad ogni passo e ad ogni angolo.

La traccia visiva del percorso è Il cielo sopra Berlino di Wim Wenders, film nel quale si viene a creare un dialogo tra opposti: tra angeli e umani, città ideale e città reale, il visibile e l’invisibile, passato e futuro; il tutto girato all’interno di una città emblema del mondo spaccato in due. La colonna sonora è composta dal brusio di voci e pensieri dei cittadini che gli angeli afferrano mentre sorvolano le abitazioni berlinesi.

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D’ispirazione è stato il concetto di psicogeografia coniato e indagato dal movimento artistico dell’Internazionale Situazionista. La psicogeografia porta a risvegliare tutti i sensi sopiti mentre si attraversa uno spazio, ponendo l’attenzione all’influenza che un determinato territorio produce sui comportamenti emotivi di ognuno di noi. Il metodo d’indagine è la “deriva”: una tecnica di passaggio veloce attraverso svariati ambienti che permette di non avere un rapporto passivo con i luoghi, ma di attivare le sensazioni che affiorano spontanee durante il percorso. La geografia diventa così un organismo vivente capace di influenzare sempre in maniera differente chi lo attraversa.

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“Se l’ambiente è uno spazio fisico, l’ambience è uno spazio costantemente avvertito a lato di ogni gesto quotidiano, che cambia sottilmente con il cambiare degli spazi costruiti che attraversiamo e con il cambiare delle persone che incontriamo. Le ambience hanno qualcosa dell’atmosfera, solo che a differenza dell’atmosfera sono più concrete e permanenti e a differenza della domus cornea non sono esclusive, non sono esperibili solo come un’intimità incomunicabile, ci può entrare chiunque, si prestano all’ospitalità, a un’esperienza condivisa. A generarle non sono

solo gli ambienti fisici, gli edifici ad esempio in uno spazio aperto o l’arredamento in uno spazio chiuso, non sono solo gli incontri casuali o meno o le persone che stiamo frequentando, ma anche il tipo di illuminazione, i tipi di suoni, dal chiacchiericcio di sottofondo alle urla di un ubriaco, il rumore del traffico delle autostrade come quelli dell’autobus o della metro, gli odori che circoscrivono uno spazio e anche se si è di giorno di notte, di mattina, di pomeriggio o di sera, se fa freddo o caldo, se è primavera o autunno.” “Manuale di psicogeografia”, Daniele Vazquez

Sopra: Guy Debord, The Naked City, 1957; Centro: Ivan Chtcheglov, Métagraphie, 1952; Sotto: Collettivo Stalker, Arcipelago Roma, 1995.

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Questo pensiero prende forma graficamente in mappe, che appaiono come collage in cui i ritagli delle cartine vengono decontestualizzati e connessi da vettori, i quali localizzano gli stati d’animo soggettivamente percepiti dall’artista. Nel libro “Walkscapes” di Francesco Careri ritroviamo una configurazione della città in un’alternanza di zone piene e vuote. La mappa si presenta come un arcipelago in cui camminare equivale a navigare tra gli spazi pieni dello “stare” che galleggiano nel “vuoto” dell’andare, nel quale i percorsi rimangono segnati fino a quando non vengono cancellati dalla corrente di altri viandanti. E’ così che abbiamo immaginato la nostra città: composta da quartieri che ricordassero metaforicamente delle isole, attorno alle quali i visitatori potessero soffermarsi. 10


O AUTODESK VERSIONE PER STUDENTI

REALIZZATO CON UN PRODOTTO AUTODESK VERSIONE PER STUDENTI

Sopra: Proposta pianta n.1

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Nell’opera “Legarsi alla montagna”, Maria Lai fa passare un filo azzurro in tutte le case del suo paese d’origine, Ulassai, per poi farlo convergere alla montagna che sovrasta la città. All’artista era stato commissionato un monumento ai caduti di guerra, ma preferì realizzare un gesto simbolico che risvegliasse la memoria dei vivi, invece che dei morti. Ne “Il Cielo sopra Berlino” la caduta del muro lascia un vuoto pieno di speranza e rinascita. Il rapporto con la memoria è un elemento cardine per cogliere l’effetto che una città può suscitare in noi. Esistono memorie soggettive e collettive, mutevoli e apparentemente inconsistenti, ma capaci di prendere forma nelle azioni di chi le anima e arrivare a stratificarsi nella storia dei luoghi.

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“Lo spazio è un dubbio: devo continuamente individuarlo, designarlo. Non è mai mio, mai mi viene dato, devo conquistarlo. I miei spazi sono fragili: il tempo li consumerà, li distruggerà: niente somiglierà più a quel che era, i miei ricordi mi tradiranno, l’oblio s’infiltrerà nella mia memoria, guarderò senza riconoscerle alcune foto ingiallite dal bordo tutto strappato. [...] Come la sabbia scorre tra le dita, così fonde lo spazio. Il tempo lo porta via con sé e non me ne lascia che brandelli informi.” “Specie di Spazi”, Georges Perec


Sopra: Maria Lai, Legarsi alla montagna, Ulassai, 1981;

Sotto: Alberto Burri, Cretto di Gibellina vecchia, 1985.

Ne “Il Cretto” di Burri a Gibellina, le rovine della città vecchia completamente distrutta dal terremoto del 1968, sono chiuse dentro blocchi di cemento, come un calco compatto e solido delle vie precedenti ormai ridotte in macerie. L’ intento era di congelare la memoria storica del paese e consegnarla ai posteri, attraverso un gesto pieno di significati e tuonante di un silenzio eloquente. Le città sono piene di nomi, di storia, di suoni e di odori e sono sempre più caratterizzate da una funzionalità dell’abitare, dello spostarsi con i mezzi, del consumismo mercificante... Oltre a questo accumulo volevamo lasciar intravedere uno spazio ideale ed onirico, dove l’immaginazione può correre libera come davanti ad un cielo stellato.

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STRUTTURA

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2.1 Piano Urbanistico Lo sguardo dall’alto in cui veniamo proiettati nel film “Il cielo sopra Berlino” rimanda al desiderio di poter cogliere la città a distanza, nel suo insieme. Sin dalle raffigurazioni prospettiche delle città ideali, troviamo questa ambizione della visione d’insieme: gli edifici convergono in un unico punto di fuga e l’occhio umano può cogliere la perfezione e la simmetria senza il rischio di perdersi. Ciò avviene invece nelle città contemporanee piene di punti di attrazione in cui tergiversa lo sguardo. La città-panorama resta comunque un artificio ottico. L’alto è riservato agli angeli, coscienti che per poter entrare in contatto

con la realtà, devono affrontare una caduta verso il basso e perdersi nella foresta di segni di noi umani.


REALIZZATO CON UN PRODOTTO AUTODESK VERSIONE PER STUDENTI

Fra le prime proposte per la disposizione dei praticabili nell’aula teatro, abbiamo presentato un percorso a circuito chiuso. Questo prevede una passerella sopra la quale lo spettatore abbia la possibilità di camminare e osservare dall’alto il formicaio che sotto di lui prende vita e si ricrea incessantemente.

Il percorso simula una cinta muraria di protezione e sorveglianza che, accerchiando la città, crea un sistema di contrasti tra interno e esterno, pieno e vuoto.

Sopra: Proposta pianta n.2; Pagina seguente: Proposta pianta n.3.

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IONE PER STUDENTI

Ispirate dagli studi sulle reminiscenze precedentemente citati, abbiamo elaborato l’idea di far dialogare quartieri e accumuli di pensieri suscitati dagli eventi impercettibili e inclassificabili degli ambienti cittadini. Disponendo i banchi in maniera progressivamente più disordinata, abbiamo proposto una pianta che potesse essere una metaforica fotografia REALIZZATO CON UN

della memoria, con una sfumatura dai ricordi più vicini e nitidi a quelli più lontani e confusi.

PRODOTTO AUTODESK VERSIONE PER STUDENTI

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2.2 Proposte quartieri Viviamo all’interno di città costruite dai nostri predecessori; luoghi solidi, statici, che contrastano con la fluidità della nostra società. Questo equilibrio precario ci fa oscillare tra la ricerca di stabilità e la preoccupazione per la incertezza del nostro futuro.

Sopra: Studio Città che affonda; Pagina seguente: Studio sui graffiti. 20


La necessità di lasciare un segno caratterizza tuttavia la nostra generazione. Una forma di intervento sulle facciate esterne delle città è la scrittura o il disegno sotto forma di graffito, tag e poster art. Il muro diventa il luogo su cui confessarsi, sfogarsi, esprimersi e

condividere con dei lettori sconosciuti un proprio pensiero. Questa pratica è da sempre soggetta ad ostilità, ma anche ammirazione, e quindi in continua evoluzione così come ciò che si trova in uno spazio pubblico, rendendo dinamica la realtà urbana. 21


Non potendo sempre costruire da zero nuovi spazi, ripieghiamo sull’ innalzare le nostre costruzioni e progettare altri edifici compatti. Le città intensificano le proprie strutture verticalmente, creando centri antichi caratterizzati dalla stratificazione storica e abitativa.

Sopra: Studio città in crescita; Pagina seguente sopra: Unitè d’habitation, Le Corbusier 1947/1952; Pagina seguente sotto: Studio città di finestre.

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L’architetto svizzero Le Corbusier, nel secondo dopoguerra, in un contesto di devastazione ed urgente necessità di ricostruire interi quartieri, propose un imponente progetto urbanistico. Questo prevedeva, nel caso dell’Unitè d’habitation a Marsiglia, l’ubicazione di 337 appartamenti distribuiti su 18 piani di altezza. L’idea proposta dallo studio, è quella di occupare l’intera area del praticabile con l’edificio; come una città lineare e ripetitiva che occupa tutto lo spazio libero a disposizione, finendo per chiudersi in se stessa come unico sistema abitativo. All’apparenza però la struttura di finestre è leggera, un muro non muro che unisce l’interno con l’esterno in uno scambio, talvolta inconsapevole tra vita privata e realtà collettiva.

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Il tema delle finestre è presente anche in un ulteriore progetto: la rielaborazione della facciata della Bauakademie di Berlino. L’intento era quello di rappresentare la vita mondana attraverso l’uso di giornali, che coprono in parte l’edificio e designano la sagoma dell’angelo Damiel: colui che nel film di Wenders abbandona la sua immortalità per diventare umano.

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La grande finestra presente sull’altro lato ci fa diventare dei voyeur, pronti a spiare le persone nella loro intimità, così come gli angeli nel film si interessano alle vite e ai pensieri degli umani. Il retro rimanda invece al muro di Berlino, come una barriera che invece di connettere le persone, le separa.


Pagina precedente: Studio intervento su Bauakademie; Sopra: Studio città fantasma.

In contrasto con le nuove strutture, i vecchi paesi vengono sempre più abbandonati, diventando quindi luoghi fantasma. L’anima della città sono le persone che vi abitano; quando queste se ne vanno essa perde la propria sostanza e quindi la propria solidità. Non resta altro che una facciata. 25


Gli edifici diventano come gusci vuoti, e i ricordi si depositano all’interno delle forme del passato, che ne custodiscono la memoria. Sopra: Studio calco di una città; Pagina seguente: Studio città in costruzione.

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Volendo di nuovo sottolineare il contrasto con la staticità dei centri storici, abbiamo progettato un’area costantemente in costruzione, divisa in due zone: lo scavo e le impalcature. In questa spaccatura tra pieno e vuoto troviamo un edificio incompiuto in sospensione, e dall’altra parte una voragine, simbolo di questo abbandono.

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REALIZZATO CON UN PRODOTTO AUTODESK VERSIONE PER STUDENTI

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REALIZZATO CON UN PRODOTTO AUTODESK VERSIONE PER STUDENTI

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Durante lo studio dei quartieri è sorta la necessità di trovare un modo semplice e veloce per realizzare le strutture; un metodo pratico, ma allo stesso tempo gradevole alla vista. Siamo giunti quindi alla progettazione di un modulo e di possibili rivestimenti che non coprissero lo scheletro interno degli edifici, ma lo valorizzassero, approfondendo inoltre il concetto di città come traduzione fisica di pensieri.

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2.3 Moduli e rivestimenti


Pagina precedente: Proposte per moduli; Pagina corrente: Studi di possibili strutture.

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Sopra: Rivestimento con pellicola fotografica; Sotto: Rivestimento con foto istantanee.

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Sopra: Prova di scomposizione volti; Sotto: Prova scomposizione con interventi.

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Sopra: Rivestimento con acqua; Sotto: Risvestimento con pellicola.


Studio di possibili agganci per rivestimenti.



EDIFICIO

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3.1 Quartieri 5-34

Sopra: Bozzetto iniziale.

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REALIZZATO CON UN PRODOTTO AUTO

TO AUTODESK VERSIONE PER STUDENTI

Il progetto per i quartieri n. 5 e n. 34 fonde due zone, crescendo ed espandendosi da un praticabile all’altro. La loro disposizione all’interno dello spazio è ideale perché avvolge lo spettatore con le imponenti strutture. Il primo quartiere include per metà una fossa all’interno del praticabile, dove sono accumulate delle aste metalliche, come quelle usate negli edifici.

Alcune delle stecche pendono dalla prima struttura, costruita proprio sul bordo del cratere e seguita da altre cinque, simili in aspetto ma di altezza crescente. Infine c’è anche un piccolo ponte, che unisce i due edifici sul ciglio dei loro rispettivi praticabili e, di conseguenza, lega i due quartieri. All’interno dei moduli delle strutture si trovano

delle fotografie istantanee appese ad un filo; queste ultime, mosse dall’aria prodotta dagli spostamenti dei visitatori, ruotano su loro stesse come in una danza.

REALIZZATO CON UN PRODOTTO AUTODESK VERSIONE PER STUDENTI

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Pagina precedente: Render. Immagine inferiore: Prospetto; Immagine superiore: Pianta; REALIZZATO CON UN PRODOTTO AUTODESK VER

REALIZZATO CON UN PRODOTTO AUTODESK VERSIONE P

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PRODOTTO AUTODESK VERSIONE PER STUDENTI


Pagina successiva: Bozzetto.

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3.2 Quartiere 21

Sopra: Bozzetto iniziale.

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REALIZZATO CON UN PRODOTTO AUTODESK VERSIONE PER STUDENTI

Tre alti campanili sono pressurizzato e forato, posizionati su un lato del che lascia cadere gocce praticabile, e pendono ritmicamente. Nei moduli gradualmente verso quello sottostanti, sono collocati opposto, come se il tempo materiali differenti, che REALIZZATO CON UN PRODOTTO AUTODESK VERSIONE PER STUDENTI si fosse fermato durante il colpiti dalle stesse gocce, momento del crollo. creano una sinfonia di Ogni edificio è formato suoni. da due strutture modulari Come il rintocco delle concentriche collegate da campane nel campanile, le sostegni. L’impalcatura gocce d’acqua che cadono centrale è più alta, e termina dalle cime delle strutture, con un tetto piramidale. segnano il passaggio del Alla base del tetto è fissato tempo creando una melodia un sacchetto pieno d’acqua, per gli spettatori.


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REALIZZATO CON UN PRODOTTO AUTODESK VERSIONE PER STUDENTI Pagina precedente: Disegno assonometrico. Immagine inferiore: Prospetto; REALIZZATO CON UN PRODOTTO AUTODESK

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DOTTO AUTODESK VERSIONE PER STUDENTI

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Immagine superiore: Pianta;


Pagina successiva: Bozzetto.

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CIELO

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4. Cielo Abbiamo seguito un percorso di analisi degli spazi attraverso segni grafici e a libere forme di espressione personali; per poi addentrarci nella “foresta di simboli”, nella Natura che secondo Baudelaire è un tempio, è la Madre, è la realtà delle cose. Possiamo pensare a questa foresta come l’insieme delle esistenze che popolano una città con le loro ramificazioni di pensieri, emozioni e sentimenti, che possono essere incerti, ma sempre vivi e familiari. Il nostro compito è fare i conti con essi, riportare a galla anche quelli più soppressi e imparare a conoscerli. I simboli e i segni fanno da tramite per questa conoscenza; tracciandoli possiamo evocare l’idea

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stessa della città, che è insita in ognuno di noi, varia a seconda dei nostri personali ricordi e delle associazioni mentali ricavate dalle singole esperienze di vita. Così si crea nella nostra mente una sorta di sinestesia per cui possiamo immaginare suoni, colori e odori della città. Diviene naturale quindi visualizzare nella propria mente immagini di bambini che giocano, del verde che orna di tanto in tanto gli spazi, dei percorsi che tracciano le persone con il loro camminare, dei profumi provenienti dai bar e i caffè, del brusio di mille voci che si coprono l’un l’altra. I cinque sensi sono chiamati a risvegliarsi per sperimentare e sentire appieno tutto ciò che la città rappresenta, e tutto ciò

che della città ci manca in questo particolare periodo: i luoghi, le persone, il contatto umano, la connessione che è l’essenza dei rapporti umani. Il nostro è un esperimento in cui è messa in gioco la nostra creatività attraverso il disegno e la rappresentazione di un pensiero, un’indagine nella mente umana, un modo per poter vivere interattivamente la città da noi creata e tutto ciò che contiene, nella speranza di poter presto tornare a vivere le città reali.


La Natura è un tempio dove incerte parole mormorano pilastri che sono vivi, una foresta di simboli che l’uomo attraversa nei raggi dei loro sguardi familiari. Come echi che a lungo e da lontano tendono a un’unità profonda e buia grande come le tenebre o la luce i suoni rispondono ai colori, i colori ai profumi. Profumi freschi come la pelle d’un bambino vellutati come l’oboe e verdi come i prati, altri d’una corrotta, trionfante ricchezza che tende a propagarsi senza fine- così l’ambra e il muschio, l’incenso e il benzoino a commentare le dolcezze estreme dello spirito e dei sensi. “Corrispondenze “, Charles Baudelaire

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BIOGRAFIA


Lucia Lancellotti, nata a San Marino nel 1996, ha frequentato il liceo classico a Bologna e il corso di laurea triennale in Arti Visive allo IUAV di Venezia, con uno scambio Erasmus presso l’école nationale supérieure des beaux-arts di Lione. Dal 2020 è iscritta al corso di laurea magistrale all’Accademia di Belle Arti di Urbino. Nel 2018 ha partecipato alla Biennale college teatro di Venezia con il duo RezzaMastrella e per tre anni ha fatto parte dello staff del festival internazionale Venice Open Stage. 54

Emma Gregori, nata a Rimini nel 1999. Ha compiuto gli studi presso il liceo artistico “A. Serpieri” nella stessa città, con specializzazione in scultura. Tra il 2016 e il 2017 ha frequentato l’anno scolastico all’estero presso Cy-Fair High School a Houston, Texas. Continuando gli studi artistici, dal 2018 è iscritta al corso di scenografia presso l’Accademia di Belle Arti di Urbino. Nel 2020 ha collaborato come stagista allo spettacolo lirico “Rigoletto” al Teatro Galli di Rimini, seguendo l’attrezzista e l’aiuto regista.


Valentina Lillini, nata ad Ancona nel 2000, ha conseguito il diploma di maturità al Liceo Artistico E.Mannucci della medesima città, con specializzazione in Arti Visive; Durante questo corso di studi ha avuto modo di esporre alla mostra “Le donne e il dolore”, avvenuta nel 2017. Incuriosita dal mondo dello spettacolo, nel 2018 ha iniziato il ciclo di studi presso l’Accademia di Belle Arti di Urbino, per conseguire la laurea di primo livello in Scenografia. Nel 2020 ha esposto alla mostra “Surprize” di Pesaro.

Francesca Della Martera, nata a Urbino nel 1998, consegue il diploma all’IPSAR “S. Marta” di Pesaro. Decide poi di seguire la sua passione per l’arte e il disegno iscrivendosi al corso triennale di Scenografia dell’Accademia di Belle Arti di Urbino. Nel 2017 ha ottenuto la certificazione di Inglese livello C1 (Advanced) di Cambridge English. Tra il 2015 e il 2016 ha seguito un corso di teatro presso la compagnia ”Teatro Accademia” di Pesaro.

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ACCADEMIA DI BELLE ARTI DI URBINO - SCUOLA DI SCENOGRAFIA

IN UNA FORESTA DI SEGNI



Indice

1 2 3 4 5

Prefazione

Metodo 2.1 Istruzioni per l’uso 2.2 Prime intuizioni 2.3 Canovaccio 2.4 Experimentum Crucis 2.5 Risoluzione Progetto 3.1 Città 233 3.2 Città 1597 3.3 Città 89 Epilogo 4.1 Colmare i vuoti 4.2 Note tecniche Biografie



PREFAZIONE

1



La Città non dev’essere Roccaforte per trasmettere conforto e protezione: l’abbraccio di mura alte e inespugnabili non è che la prima fra mille peculiari caratteristiche che la rendono asilo ideale. Al contrario, la serenità può essere trovata in cima a torrioni e campanili esposti alla luce e al vento speziato, o in ettari di terra calda e profumata che culla bulbi e semi di ogni sorta.

In una Berlino del 1987 ad esempio, è l’occhio di riguardo di una creatura ineffabile ciò che rincuora gli spettatori dietro il teleschermo. Ne ‘’Il cielo sopra Berlino’’, Wim Wenders racconta di angeli immortali, testimoni dell’esaurirsi del mondo, incaricati di preservare e ricordare il fluire del tempo ascoltando il formicolare dei pensieri urbani dall’alto dei palazzi.

Questa dedizione incondizionata è il fulcro e l’oggetto d’interesse del nostro studio, nonché il punto di partenza, e l’Angelo di Wenders è trasposto in modo uguale e contrario in una forza riparatrice e conservatrice proveniente dalla terra piuttosto che dal cielo.

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METODO

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2.1 Istruzioni per l’uso A causa delle restrizioni imposte dall’emergenza sanitaria, il lavoro è stato svolto a distanza su piattaforme digitali, suddivisi in cinque studi i quali hanno lavorato ciascuno in modo indipendente. In seguito ad un’analisi collettiva della consegna assegnata, ciascun membro del nostro studio dava individualmente forma alle proprie idee con schizzi preparatori.

Durante un successivo incontro a studio riunito, si procedeva alla creazione e la consegna dell’elaborato finale, assegnando a ogni componente un compito differente: realizzazione accurata dei bozzetti, disegni tecnici , scrittura dei testi ed impaginazione.

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2.2 Prime Intuizioni Il quesito inziale fu l’individuare la miglior disposizione possibile per la collocazione di diciotto praticabili teatrali, mediante uno studio accurato dell’Aula Teatro di Via Timoteo Viti, al fine di gestire al meglio lo spazio a nostra disposizione. Inizialmente le nostre proposte prevedevano la creazione di blocchi geometricamente interessanti, ma infine risultati poco funzionali. Una volta individuata una conformazione soddisfacente in seguito al confronto a classe riunita, i diciotto praticabili sono stati divisi fra i cinque studi, tre dei quali affidati a noi.

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2.3 Canovaccio L’idea di partenza è stata per noi quella di una città viva, che cambiasse ed evolvesse secondo le necessità: una sorta di Creatura Protettrice in grado di difendersi da sola dal mondo esterno, sul cui dorso riposa una comunità. Il concetto di respiro e di adattabilità ci ha condotto verso forme che ricordassero una colonna vertebrale o un organismo corazzato e la disposizione dei praticabili prevedeva inizialmente un movimento oscillatorio (poi accantonato per il rimando troppo esplicito all’idea di sospensione) al fine di rendere l’idea di una struttura viva.

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Richiamare un esoscheletro o un guscio non è stata una scelta casuale. La famiglia dei rettili è infatti simbolicamente associata alla longevità, la pazienza, la resilienza e la tenacia; secondo il folklore cinese, sul guscio della tartaruga è appoggiato il mondo intero.


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2.4 Experimentum Crucis Al fine d’indentificare al meglio le città che volevamo progettare, è stato opportuno comprendere in primo luogo chi vi abitasse. Attraverso un esercizio di scrittura è stato possibile delineare in modo più accurato il nostro obiettivo finale. Il compito assegnatoci era descrivere quattro personaggi facendo riferimento a spunti comuni ai cinque studi riguardo problematiche sociali che sentivamo particolarmente vicine, al fine di cristallizzarne i pensieri, le gioie e le paure derivanti, all’interno delle maschere dei singoli personaggi.

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Dopo questo primo lavoro, sviluppato dal nostro studio in quattro personaggi battezzati rispettivamente “La Velina”, “L’Uomo Tuba”, “Il Re” e “La Ventriloqua”, è seguita una seconda fase: scegliendo personaggi presi da fonti letterarie preesistenti, il nostro scopo era unirli in una stessa narrazione, creando storie di individui che acquistino desideri e pulsioni umane rappresentative. La nostra scelta è ricaduta su tre testi che ben poco si assomigliano; i personaggi, sono stati uniti dal filo rosso della dimensione onirica e la stoica contemplazione dello scorrere della vita. - Il Professore (‘’L’Altro’’ da ‘’Il Libro di Sabbia’’, Jorge Luis Borges) -Axl e Beatrice (‘’Il Gigante Sepolto’’, Kazuo Ishiguro) -Il Narratore (‘’Il Golem’’, Gustav Meyrink)

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2.5 Risoluzione Nonostante la deviazione dalla struttura a esoscheletro, la collettiva riflessione sui concetti di ordine e disordine ci ha lasciato liberi mantenere un interesse per l’estetica dell’elemento naturale, termine decorativo ma al contempo simbolo della temporalità che abbiamo reso ricorrente nella ricerca. Nel nostro lavoro assume particolare rilevanza il confronto tra un’architettura curvilinea ed estrosa in cui la natura s’inserisce quale sostegno e conforto, e un mondo di distruzione in cui la vegetazione al contrario diventa un indice di abbandono e trasfigurazione. Abbiamo lasciato emergere le considerazioni che più rappresentavano le nostre esigenze, e i primi luoghi

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individuati sono stati una piazza, un cimitero, uno spazio verde e una zona industriale. Questi ambienti sono stati utilizzati come base per l’elaborazione di tre proposte definitive.


Menzione particolare va alla Città Ragnatela, appoggiata su un intreccio di fili fissati ai bordi del tavolato, come in una culla sospesa sul vuoto. Inizialmente pensata per essere posta all’interno di un praticabile senza copertura, poi come collegamento fra due di essi, e infine abbandonata.

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PROGETTO

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3.1 Città 233, Praticabile F13 La struttura si presenta come un’unica porzione di palazzo che si eleva sostenuta da rami o trattenuta da radici realizzate in filo di ferro rivestito.

Le piante verranno utilizzate per celare i veri sostegni del corpo dell’edificio, che dovrà apparire sospeso e il più possibile leggero.

La costruzione sarà posizionata al centro del praticabile, la cui superficie dovrà essere trattata pittoricamente per renderla simile a cemento o gesso frammentato.

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Città 233 Praticabile F13 Bozzetto e Pianta

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Città 233 Praticabile F13 Assonometria e Prospetti

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3.2 Città 1597, praticabile F17 Gli edifici sono sostenuti da palafitte per impedire una completa copertura di sabbia, che scende gradualmente dall’alto attraverso un meccanismo di ricaduta.

Le architetture verranno coperte dalla sabbia in maniera diversa poiché l’altezza delle palafitte varia per i singoli fabbricati. Per impedire alla sabbia di fuoriuscire, il perimetro del praticabile è circondato da un bordo di contenimento.

La disposizione prevede una schiera di palazzi di diverse altezze posti diagonalmente a unire le due estremità e due ali a base triangolare a completare gli altri angoli. Vengono così a formarsi, comprese tra i tre stabili, due strade parallele.

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Città 1597, praticabile F17 Bozzetto e Pianta

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Città 1597, praticabile F17 Assonometria e Prospetti

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3.3 Città 89, praticabile F11 Gli edifici vengono distribuiti su piani di sughero posti su sostegni con diverse altezze e inclinazioni che presentano nel complesso un dislivello verso il centro.

La superficie di base deve apparire rovinata e perciò presenterà dei pertugi e delle fratture. Per rendere la composizione più dinamica,

le varie abitazioni saranno posizionate senza controscivoli in modo da risultare in accordo con la pendenza dei rispettivi piani d’appoggio.

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Città 89, praticabile F11 Assonometria e Pianta

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Città 89, praticabile F11 Prospetti

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EPILOGO

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4.1 Colmare i vuoti La carta era già stata indicata come materiale da prediligere, ma tra le diverse consistenze disponibili abbiamo optato quasi interamente per cartone ondulato e carta velina.. Buona parte degli edifici sarà tuttavia composta da collage di texture differenti, ipotizzate attraverso numerose proposte grafiche: alcune sono semplici render di diversi tipi di carta o giustapposizioni di fogli di uso quotidiano come biglietti, liste della spesa e giornali; altre sono ottenute assemblando rettangoli colorati che lasciano spazi vuoti come possibili aperture; altre ancora hanno uno stile più evocativo e riproducono illustrazioni di Camillo Golgi sul sistema nervoso.

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4.2 Note tecniche Le pareti sono progettate per poter essere inserite con sistemi di aggancio alle stecche che compongono i moduli. Questi ultimi sono progettati come strutture di base delle unità e assemblati tramite snodi che permettano di raggiungere angolazioni variabili che possano dunque costituire altrettanti volumi di diversa forma. Per la struttura delle singole case abbiamo stabilito parallelepipedi irregolari anche con basi o lati di forma trapezoidale, per assecondare l’aspetto di apparente instabilità e rendere più dinamiche le strutture.

Il metodo di costruzione durante lo spettacolo consisterà nel montaggio dei rivestimenti sulle relative unità abitative, che andranno poi fissate le une sulle altre a formare le città nella loro interezza.

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Modulo di costruzione Pianta, Prospetto e Assonometrie

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Moduli per edifici

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BIOGRAFIE

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Maria Arena nasce a Bergamo il 15 novembre 1999, ma si diploma a Recanati (MC), presso il Liceo Linguistico Giacomo Leopardi ad indirizzo ESABAC. Di madrelingua italiana e inglese, padroneggia a livello B2 francese e spagnolo. Dal 2018 frequenta la Scuola di Scenografia dell’Accademia di Belle arti di Urbino con particolare trasporto per il costume di scena. Progetti teatrali pertinenti al percorso studi: 2020 America da Kafka Spazio Rossellini, Roma 2019 La Luna del Pomeriggio - Teatro Verdi, Sassari 2019 Vega - Teatro Sacro Cuore, Loreto 2019 A Christmas Carol Cineteatro Numana 2018 Le Troiane - Teatro Persiani, Recanati 2017 Serata Trash - Teatro Persiani, Recanati 2016 Il ritorno della Signora - Teatro Persiani, Recanati 46

Pierluigi Cantagallo nasce a Penne il 7 agosto 1999. Ha frequentato la scuola secondaria di primo grado presso l’Istituto Comprensivo Laura Ciulli Paratore, e successivamente il Liceo artistico Luca da Penne - Mario de Fiori con indirizzo Architettura e Ambiente. Attualmente frequenta la Scuola di Scenografia presso l’Accademia di Belle Arti di Urbino .


Clelia Cerboni Bajardi nasce a Urbino il 29 ottobre 1999 e si iscrive al corso di Scenografia presso l’Accademia di Belle Arti di Urbino dopo aver frequentato il Liceo artistico “Scuola del Libro” nella stessa città. Nell’ambito del suo percorso accademico partecipa nel 2019 alla prima edizione della mostra Surprize al Centro Arti Visive Pescheria di Pesaro e nel 2020 alla realizzazione dello spettacolo America da Kafka andato in scena allo Spazio Rossellini di Roma.

Elisa Marchetti nasce a Senigallia il 5 aprile 2000 e si appassiona al mondo teatrale fin dal suo primo approccio con esso, avvenuto in tenera età. Ama mettersi alla prova e sperimentare linguaggi e tecniche diverse, al fine di creare sempre qualcosa di nuovo. Frequentando l’indirizzo di scenografia al Liceo artistico Apolloni di Fano, apprende l’arte del disegno. Contribuisce alla realizzazione dello spettacolo Tutta Frusaglia di Fabio Tombari e allo spettacolo delle ombre Il Minotauro di Friedrich Durrenmatt. A partire dal 2019 intraprende il percorso accademico nella Scuola di Scenografia di Urbino, con l’ambizione di poter trasformare questa passione in un lavoro.

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ACCADEMIA DI BELLE ARTI DI URBINO - SCUOLA DI SCENOGRAFIA

IN UNA FORESTA DI SEGNI



Indice 1

Spettacolo

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Sviluppo

3

Progetto

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Conclusione

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Biografia

2.1 Piante 2.2 Proposte dei quartieri 2.3 Moduli 2.4 Personaggi

3.1 città 2 3.2 città 55 3.3 città 610 3.4 città 987



SPETTACOLO

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Spettacolo

“Le città come i sogni sono costruite di desideri e di paure, anche se il filo del loro discorso è il segreto, le loro regole assurde, le prospettive ingannevoli, e ogni cosa ne nasconde un’altra” - Italo Calvino Città vuote, strade, metropoli, stazioni deserte. All’alba dello scorso anno abbiamo assistito a un nuovo scenario caratterizzato da misure restrittive atte a contenere la dilagante pandemia in corso. È sulla base di questo tragico avvenimento che siamo stati chiamati a riflettere sul ruolo della città, sui suoi abitanti, sul proprio stile di vita. Le città con le loro piazze si svuotarono, per-

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dettero quella connotazione antica di luogo di incontro e di contatto umano. Sulle strade non c’era più nessuno. Un giorno però mi misi a guardare dalla finestra e iniziai a osservare che quelle strade, quei vicoli erano pieni di pensieri; la città stessa era un flusso di pensieri e dunque nella pesantezza dell’uomo odierno vi era la leggera invisibilità dell’essere. Il progetto “In una foresta di segni” ha per oggetto la città, in quanto nucleo abitato, protetto e racchiuso da dei confini. Tuttavia, non ci siamo limitati a soffermarci solo sulla città fisica fatta di mattoni e cemento, ma abbiamo posto al centro soprattutto i sentimenti e le idee delle persone che la abitano. Si è deciso così di creare una città fatta di carta, anziché di cemento, asfalto e mattoni. Ciò perché la carta è sin dalle sue origini il materiale prediletto a cui affidare

testi, lettere, pensieri e segreti, perciò il più adatto a restituire il concetto di una città che è soprattutto contenitore di idee e parole. Partendo dalla visione del film “Il cielo sopra Berlino”, diretto da Wim Wenders abbiamo colto questo lato poetico celato dagli spessi e grigi muri che costituiscono una città. In particolare la scena iniziale mostra il volo dell’angelo sopra Berlino attraverso una ripresa dall’alto dei quartieri, con le voci e i pensieri dei suoi cittadini in sottofondo. Anche nelle città che siamo andati a progettare è presente un’unione tra la realtà materiale di cui sono fatte le città (case, strade, negozi, parchi e così via, tutto ciò che risponde alle esigenze pratiche dei cittadini) e la parte metafisica, ovvero i flussi di pensieri che le abitano. Ciò perché spesso la forma della città influenza fortemente la forma mentis dei suoi

abitanti. Infatti, la sua struttura, cioè il posizionamento di certi edifici o monumenti e l’intreccio delle sue strade, determina le abitudini delle persone, rimanendo inconsciamente impressa nella loro memoria e condizionando le loro azioni e idee. Quando poi qualcuno nasce e cresce sempre nella stessa città o nello stesso quartiere, vi crea delle radici che difficilmente riuscirà a recidere del tutto, pur trasferendosi altrove. La città è un tema che ci accomuna tutti e che ci rimane addosso come un filo legato al dito. Lo spettacolo da noi ideato e progettato riflette proprio su queste tematiche trasformando lo spazio da noi condiviso abitualmente per le nostre lezioni come una vera e propria foresta di segni. Sui praticabili si ergeranno dunque città insolite, fatte di segni, che non sono altro che miniature di ciò che oggi ci è possibile vedere solo in rete.



METODO

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2.1 Piante

La prima parte del lavoro vede impiegati gli studenti a organizzare lo spazio dell’aula teatro della scuola di scenografia per rendere funzionale questo progetto. È stato richiesto di proporre varie disposizioni di 18 praticabili all’interno dell’aula i quali rappresentano le sedi dei più disparati quartieri. Si è realizzato così un “piano regolatore”, ovvero una serie di piante tra cui scegliere poi quella definitiva. Le prime proposte di questo studio per la disposizione delle città sono state molteplici: alcune sono proposte semplici e regolari ideate per ricordare la sistemazione degli spazi espositivi. Altre invece sono state con-

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cepite sulla base dell’idea del labirinto con piante più o meno ordinate e regolari, o prendendo riferimento il meandro greco, simbolo dedalico. Infatti, l’intricata struttura del labirinto ricorda non solo la città contemporanea, ma è anche concettualmente assimilata alla mente umana. Il dedalo, quindi, come uno spazio mentale nei cui vicoli e cunicoli si intrecciano idee e pensieri, richiamando la complessità del cervello umano. Altre ancora si basano sull’idea che tutte possano essere connesse tra loro, ogni quartiere è collegato ad un altro grazie alla presenza di strade le quali possono essere collocate sui praticabili, a terra o sospese, questo perché ogni città non resti a sé stante ma ricordi che ognuna di esse, per quanto diversa dalle altre, è comunque parte dello stesso mondo. E infine è stata proposta l’idea di una città che potesse

essere collocata su più livelli, utilizzando quindi non solo la tavola del praticabile, ma anche una sedia e/o il pavimento in modo da creare diversi piani di appoggio e rendere la città più estesa. Dopo aver presentato queste proposte e dopo aver avuto un confronto con gli altri studi ci si è accorti che i concetti principali che erano emersi dai lavori di ognuno erano fondamentalmente quattro: il labirinto, l’antitesi tra regolarità e irregolarità, la città sospesa e la città con i suoi percorsi. Cercando di far confluire ognuno di questi elementi nel nostro progetto, abbiamo scelto una delle piante della città labirinto, sviluppando poi al suo interno più tipologie di quartieri, tra cui la città acquatica, la torre di Babele (che si sviluppa su più livelli, mettendo un praticabile sopra l’altro, con un quartiere sotterraneo e più nascosto e un altro sopraelevato, che può

essere visto solo salendo sul praticabile attraverso un percorso di scale) e la città sospesa e sottosopra, proponendo modi per lo spettatore o per l’attore di “entrare” materialmente nelle città salendo sui praticabili e percorrendone le vie.


2.2 Proposte delle città

Dopo un ulteriore confronto solo semplici libri appogcon gli altri studi, si è pervenugiati su di un praticabile, ti alla scelta di un’unica pianin realtà nascondono un ta comune ad ogni gruppo, intero quartiere che può ovvero quella proposta dallo essere scoperto dalle mani studio Vagnozzi (img. 1). La dello spettatore (img. 2-3) pianta è stata pensata come se l’aula teatro fosse un’unica • quella con edifici moderni grande città che va dal centro e ripetitivi; quartiere comstorico (posizionato a sinistra) posto da case identiche, in fino alla periferia e al porto modo da mettere in risalto (collocati nella parte destra). l’aspetto dell’urbanizzaTra le proposte portate elenzione che tende a favorire chiamo: il molteplice anziché il singolo • la città libro, pensata per essere realizzata con la • il quartiere dove c’è l’intecnica del Kirigami, una contro tra il vecchio/storitecnica orientale di intaco e nuovo, caratterizzato glio e piegatura della carta dalla presenza di una vecsimile a quella del pop up. chia entrata della città che Così quelli che sembrano si oppone ad edifici più

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moderni in cui è diventato facile smarrirsi

ne avesse una panoramica dall’alto

sulla terra ferma • due diverse proposte dove in entrambe si recupera l’idea di un quartiere a palafitta, posto su una struttura sorretta da fil di ferro. Poiché i quartieri sono posti in una vasca, il fil di ferro avrà un effetto di ruggine provocato dalla permanenza nell’acqua

• la città sospesa, poggiata • il quartiere con edifici stosopra ad un telo che si fletrici e moderni te verso il centro sul vuoto attraverso una struttura di • il quartiere delle favelas; barrette di ferro (img. 4) esso è caratterizzato dalla presenza di una serie di • la città pluridimensionale, cubi di dimensioni identiche si sviluppa sia orizche che, in base alla loro zontalmente sia verticalposizione, danno vita ad mente, accostando al prauna città povera e malfaticabile una tavola dove mata (img. 6-7) • il faro, testimonia la folle attaccare un compensato crescita dell’urbanizzaziopieghevole su cui si ada- • il quartiere povero con ne che è ormai arrivata gia il quartiere. Ciò regala abitazioni a mo’ di palafitovunque, anche nei posti maggiore dinamismo alla te, rialzate e sostenute da più sfavorevoli alla vita città, che si incurva verso legnetti o da spessi fili di dell’uomo, e non si ferl’alto in un’aspirazione di ferro, in cui gli edifici sono merà. L’uomo è arrivato leggerezza (img. 5) collegati tra loro attravercosì a costruire anche a so passerelle e scale ridosso di un faro, luogo • la città sotterranea, in cui il nel quale dovrebbe abitarperimetro della città è cir- • il cantiere navale abbanvi solo il guardiano, romcondato da quattro mura donato con porto mopendone la bellezza della di carta al cui interno si derno; praticabile diviso solitudine e della pace. trovano edifici senza tetto: in due: da una parte vi è in questo modo si viene un cantiere navale abbana creare una sorta di ladonato che è stato orbirinto che lo spettatore, mai raggiunto dall’acqua, sporgendosi, può guarmentre dall’altra parte è dare all’interno come se presente uno più recente


Immagine 4

Immagine 2

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Immagine 3


Immagine 5

Immagine 6

Immagine 1

Immagine 7


2.3 Moduli

È stato poi richiesto di immaginare e progettare un modulo standard con il quale costruire ed edificare gli edifici delle città. Si sono così realizzati vari moduli, alcuni semplici e altri più complessi, di diverse forme e dimensioni, ma che potessero essere utilizzati in qualsiasi direzione e che potessero poggiare su qualsiasi lato in modo da poter creare un numero ancor più maggiore di combinazioni per dar vita alle città.

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Si è poi pensato che ogni elemento debba essere formato da snodi e spigoli smontabili e rimontabili, in modo da creare le città con più facilità e dinamicità, e per rendere ogni quartiere, dei diversi studi, realizzato con lo stesso principio. L’accostamento di alcuni di questi moduli con alcune delle proposte dei quartieri citati precedentemente, ha dato origine alla formazione di quattro città definitive per questo progetto.


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2.4 Personaggi

Se la città è una rete di segni, prima di inventare una drammaturgia, viene chiesto ai vari studi di cristallizzare dei pensieri, paure e irrefrenabili gioie dentro alla maschera di personaggi inizialmente inventati per poi trasformarsi in quattro personaggi “rubati” a diverse fonti letterarie per farli incontrare in un unico scenario. L’incontro realizzato da 18

questo studio ha avuto luogo tra Clarissa Dalloway, personaggio presente nel libro “La signora Dalloway” di Virginia Wolf, Dorian Gray, dal libro “Il ritratto di Dorian Gray” di Oscar Wilde, Sigismondo, personaggio centrale nell’opera “La vita è sogno” di Calderon de la Barca, e l’uomo dal fiore in bocca, “rubato” appunto dall’opera “L’uomo dal fiore in bocca” di Luigi Pirandello.




PROGETTO

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3.1 Città 2

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“Lo sguardo percorre le vie come pagine scritte: la città dice tutto quello che devi pensare, ti fa ripetere il suo discorso, e mentre credi di visitarla non fai che registrare i nomi con cui essa definisce se stessa e tutte le sue parti. [...] Fuori s’estende la terra vuota fino all’orizzonte, s’apre il cielo dove corrono le nuvole. Nella forma che il caso e il vento danno alle nuvole l’uomo è già intento a riconoscere figure: un veliero, una mano, un elefante…” - Italo Calvino -

Questa città si erge leggera sulle pagine svolazzanti di un libro, al confine tra sogno e realtà. Una città onirica dove le parole diventano immagini e si dissolvono nella mente di chi la osserva. Uno spazio in cui ci si deve addentrare,

Prova su carta per il rivestimento della città

girarvi attorno, perdersi tra le miriadi di lettere che lo compongono, osservarlo, e infine, magari, sognare con esso. Solo così si potranno vedere edifici filiformi, torri pendenti e una grande luna che invita a osservare il cielo che ogni libro reca in sé.


3.2 Città 55

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“In ogni luogo di questa città si potrebbe volta a volta dormire, fabbricare arnesi, cucinare, accumulare monete d’oro, svestirsi, regnare , vendere, interrogare oracoli. Qualsiasi tetto a piramide potrebbe coprire tanto il lazzaretto dei lebbrosi quanto le terme delle odalische. Il viaggiatore gira e gira e non ha che dubbi: non riuscendo a distinguere i punti della città,anche i punti che egli tiene distinti nella mente gli si mescolano” - Italo Calvino Prova su carta per il rivestimento della città

Ogni città possiede il suo quartiere più degradato e povero. Quel quartiere visto spesso e unicamente come luogo dell’assenza e luogo della perdita. La linea d’ombra, il posto di frontiera tra città e campagna, senza radici ma nemmeno prospettive. Ricalcando le

conformazioni e le caratteristiche delle favelas, questo luogo di edifici ripetitivi e anonimi è una vera e propria città nella città. RIcoperte da leggere cartoline dai chiari riferimenti al Brasile, vuole essere punto di riflessione verso questi quartieri e i loro abitanti.


3.3 Città 610

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“È una città fatta solo d’eccezioni, preclusioni, contraddizioni, incongruenze, controsensi. Se una città così è quanto c’è di più improbabile, diminuendo il numero degli elementi abnormi si accrescono le probabilità che la città ci sia veramente. Dunque basta che io sottragga eccezioni al mio modello, e in qualsiasi ordine proceda arriverà a trovarmi davanti una delle città che, pur sempre in via d’eccezione, esistono. Ma non possono spingere la mia operazione oltre un certo limite: otterrei delle città troppo verosimili per essere vere.” - Italo Calvino Una città fondata sul paradosso e la contraddizione dove realtà e sogno si uniscono e confondono, permettendo il venir meno anche della più fondamentale delle leggi fisiche: quella della gravità. Il quar-

Prova su carta per il rivestimento della città

tiere si divide in una parte ordinaria dove le case si sviluppano ancora orizzontalmente, per poi iniziare a sollevarsi nel punto in cui l’immaginario e l’onirico si concretizzano. Diventa così possibile che anche l’asfalto

della strada si incurvi verso l’alto lungo un’altra dimensione. Per quanto riguarda il rivestimento degli edifici, si è deciso di usare pezzi di carta con contenuto astrologico, come mappe stellari di un cielo stellato.


3.4 Città 987

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“C’è un precipizio in mezzo a due montagne scoscese: la città è sul vuoto, legata alle due creste con funi e catene e passerelle. Si cammina sulle traversine di legno, attenti a non mettere il piede negli intervalli , o ci si aggrappa alle maglie di canapa. Sotto non c’è niente per centinaia e centinaia di metri: qualche nuvola scorre; s’intravede più in basso il fondo del burrone” [...] sospesa sull’abisso, la vita degli abitanti d’Ottavia è meno incerta che in altre città. Sanno che più di tanto la rete non regge” - Italo Calvino “Sembra che non sappiamo più costruire castelli in aria. Facciamo piccoli sogni, sogni a portata di mano.” Partendo da questa riflessione, si è voluto progettare una città parallela che si alzasse lassù, dove i fumi terrestri si dissolvono, dove i rumori dei clacson assordanti sva-

Prova su carta per il rivestimento della città

niscono soavemente. Una città sospesa dunque, immateriale, trasparente, leggera. Una città modellata con fili di ferro, stabile nella sua instabilità. Una città che si erge più in alto dei grattacieli: è la città dei castelli in aria, fatti di simboli e sogni di ciascuno di noi.



CONCLUSIONE

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4 Conclusione Fare Teatro in tempo di una pandemia globale non è cosa semplice né scontata. Per di più se la tematica di riflessione è appunto la città, il suo flusso di pensieri e i suoi contatti umani. Ma è proprio da questa negazione di poter vivere e attraversare la città, che possono nascere spunti riflessivi, suggerimenti, proposte non solo per pensare al ruolo svolto dal contemporaneo tessuto urbano ma anche per ideare e progettare uno spettacolo avente questo tema. In una foresta di segni sintetizza il legame fra la parola, i pensieri e i loro segni tangibili. Una foresta è un insieme caotico e irrazionale; i segni sono la rappresentazione grafica di questa irrazionalità che solo i pensieri, le idee, i sogni possono avere. 32

A tal proposito si è giunti a pensare come se il luogo di ritrovo per eccellenza delle nostre lezioni quotidiane, l’aula teatro, fosse abitata da una miriade di leggere città fatte di snodi e bastoncini, ricoperte da veli di carta che fissano per un momento l’immaterialità dei pensieri della gente che vi ci abita. Lo spettatore si ritroverà dunque catapultato in questa foresta di segni dove tra una carta che funge da parete e l’altra che funge da tetto ascolterà i flussi di pensieri di ogni quartiere e giungerà così alla sintesi che accanto alla necessaria pesantezza dell’uomo ci sia la leggera invisibilità dei suoi pensieri. Augurandoci che in questa fitta rete di segni e parole si possa intravedere il cielo dentro ciascuna stanza.




BIOGRAFIA CONCLUSIONE

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Elisa Pozzi Nata nel 1999, vive a Pesaro dove ha frequentato il liceo artistico Ferruccio Mengaroni specializzandosi in architettura e ambiente, ha così acquisito la conoscenza e l’esperienza del rilievo e della restituzione grafica e tridimensionale degli elementi dell’architettura. Dopo aver conseguito il diploma si è iscritta al corso di Scenografia dell’Accademia di Belle Arti di Urbino.

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Emanuele Rebecchini (Fossombrone,1997) è un giovane eclettico che ama cimentarsi in discipline e canali espressivi variegati. Sin da bambino frequenta corsi di teatro sotto la direzione di Fabrizio Bartolucci, Silvia Battaglio, Sandro Fabiani, Marco Florio e ancora oggi non rinuncia al palcoscenico e a tutto ciò che possa essere ricondotto all’arte in genere. Dopo la maturità scientifica ha conseguito la laurea triennale in Ingegneria del Cinema e dei Mezzi di comunicazione al Politecnico di Torino. Dallo scorso anno è iscritto alla Scuola di Scenografia dell’Accademia di Belle Arti di Urbino.

Lorenzo Rossi Nato a San Benedetto del Tronto, il 31/10/1998 di anni 22, ha frequentato il Liceo Artistico Preziotti Licini di fermo studiando Scenografia, successivamente si è iscritto all’Accademia di Belle Arti di Urbino al corso di Scenografia ed ha partecipato alla messa in scena dello spettacolo di Aldo Moro, La Cambiale di Matrimonio al Teatro Rossini di Pesaro e America di Kafka allo Spazio Rosellini di Roma. Nel tempo libero ama costruire modellini e disegnare.


Sofia Anasetti Nata a Terni, Sofia Anasetti ha 21 anni e ha frequentato l’indirizzo musicale alle medie partecipando a vari concorsi di pianoforte e orchestra, per poi scegliere il liceo classico dove ha conseguito il diploma. Quindi ha intrapreso gli studi di Scenografia all’Accademia di Belle Arti di Urbino. È di madrelingua italiana e possiede il livello B2 di inglese.

Lisa Leone 20 anni, consegue gli studi superiori presso l’ITE Toniolo di Manfredonia e contemporaneamente si diploma presso la Royal Academy of Dance per gli studi di danza classica e l’Imperial of Teachers of Dancing per gli studi di danza moderna collaborando con la compagnia teatrale di Carlo Tedeschi per vari stage, spettacoli e festival acquisendo inoltre nozioni base e professionali sulla fonica teatrale. Lingue conosciute quali inglese e francese. Attualmente studia presso l’Accademia di Belle Arti di Urbino, scuola di scenografia, secondo triennio.

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