Queste istituzioni 0 bis - Anno 1973

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queste Istituzioni i Sergio Ristuccia

Sette mesi

Sette mesi 7 Marco Cimini, Marina Gigante Bilancio di un sondaggio

10 Una precisazione a « L'Espresso » 11 Queste Istituzioni/libri Gli ultimi volumi usciti:

Questione cattolica e scuola clericale In formazione e potere La casa di carta

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« Una legge contro Venezia »: cosa ne hanno detto

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Libri ricevuti

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Notizie del «gruppo di studio società e istituzioni »

A RIPERCORRERE gli avvenimenti dei sette mesi che vanno dal momento della chiusura in tipografia del « numero di sondaggio » del 1973 a questo inizio di maggio '74 è difficile sottrarsi alle forti impressioni che suscita il precipitoso susseguirsi dei fatti: che sono tali da aver coinvolto, in tante diverse parti del mondo, un assai gran numero di aspetti della vita sociale. E dappertutto le istituzioni sono in tale coinvolgimento. Si tratta di impressioni che, per la verità, rischiano di sommergere anche quell'atteggiamento inquirente, come lo abbiamo definito la volta scorsa, che nei confronti del funzionamento dello stato e degli apparati pubblici ci sembrava l'ultimo che, in positivo, trovasse fondamento nella coscienza sociale. S'accresce in sostanza lo smarrimento. In tali condizioni porsi lo scopo di individuare alla sveita il filo - se c'è - che lega questi fatti sarebbe una pretesa sciocca. Ricordiamo co.munque questi fatti con alcuni rapidi appunti secondo un modo di ricapitolare e fare il punto che sarà proprio di questo foglio. La nostra iniziativa editoriale infatti prosegue dopo il « sondaggio » compiuto con il numero del '73: per ora, con la collana di libri


2 pubblicata da « Officina Edizioni » e con tre numeri all'anno di questo fascicolo. Ci servirà questa pubblicazione periodica di' poche pagine: per fare da connettivo fra i libri riprendendone i temi e aggiornandone l'informazione; per dare notizia del lavoro di ricerca del « gruppo di studio su società e istituzioni »; per fare il punto, seppur brevemente, sulla condizione delle istituzioni che sono oggetto della nostra osservazione di operatori e di studiosi o, meglio, per esprimere quanto meno le impressioni che ci provengono da questa osservazione.

DISTRUZIONE DELLA DEMOCRAZIA in Cile per mano di un fascismo cstrense alimentato e guidato dall'imperialismo di rapina, guerra del Kippur e nuova competitività fra le superpotenze, aumenti a ripetizione del prezzo del petrolio e prima anticipazione' generale della crisi energetica, accelerazione fuori misura dei processi di propagazione internazionale dell'inflazione, esaltazione del mercato anarchico dei capitali ed 'egemonia delle finanziarie multinazionali, grande af fanno di molti governi europei e caduta verticale dell'« integrazione eu'ropea »: ci sono motivi siÀffic'ienti, nei fatti degli ultimi mesi, per sottolineare quali dimensioni abbia la crisi dei sistemi sociali e degli equilibri di potere che 'stiamo vivendo. Ciò sollecita naturalmente l'interessamento ad una diagnosi che dia conto della situazione nella prospettiva (e sulla scala) dell'epoca più che in quella dell'episodio. Attesa che rischia poi d'essere puntualmente. delusa per la complessità oggettiva dellé cose ma anche 'per l'impo-

lenza degli strumenti teorici È il momento,. allora, di quelle formule rappresentative che congelano alcune impressioni di fondo e con. ciò fanno fronte, in qualche modo, allo smarrimento. Ha così ripreso corso l'a formula della catastrofe del sistema capitalistico intesa come un crollo che, ormai mature tutte le condizioni, può prodursi repentinamente. Prevalente è però un'altra formula: quella dell'a lunga crisi, intesa come un declino non reversibile, sottoposto a forti accelerazioni in momenti come il. presente, ma tale comunque da lasciare molte possibil'ità di soste e di parziali recuperi. Sicchà da ,parte delle forze dominanti è possibile, alla fine,' un uso politico della crisi medesima giocando d'anticipo a protezione degli equilibri di potere esistenti. Quest'ultima formula sembra prevalere anche per la sua indeterminatezza che' consente numerose variazioni e soprattutt& giustifica i pù diversi atteggiamenti pratici. Non crediamo' che 'simili tentativi, in parte di definizione in parte di futuribile, possano attualmente approdare a molto. Esprimono tuttavia una, serie di problemi di fondo che vengono sentiti diffusamente in quanto'sono nelle cose. 'I. PRENDIAMO IL PROBLEMA della democrazia o, per essere sfumati come spesso è l'opinione della sinistra, il problema 'del « quadro » democratico dell'attività politica. Secondo quanto conosciamo e tenendo' conto di tutte le differenze nazionali, l'a democrazia è.quelia che è: un sistema che sembra capace di riproporre alternative al sistema capitalistico del potere ma poi si trova

queste istituzioni Direttore: SERGIO RISTUCCIA - Condirettore responsabile: GIOVANNI BECHELLONI. Redazione: MARCO CIMINI, ENNIO COLASANTI, MARINA GIGANTE, FRANCO SIDOTI. Segreteria organizzativa: RODOLFO DE ANGELIS. GRUPPO DI STUDIO SU SOCIETÀ E ISTITUZIONI N. 1/49846 - intestato

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La pubblicazione del fascicolo è stata finanziata con i contributi dei soci del « Gruppo di studio su so.cietà e istituzioni» al quale la testata appartiene. Periodico iscritto al registro della stampa del Tribunale di Roma al n. 14.847 (12 dicembre Spedizione in abbonamento postale - IV gruppo (Perugia) Anno 2° - 1° semestre 1974. STAMPA:

Stabilimento Tipografico Pliniana - Selci Umbro (Perugia).

1972).


sempre ad essere speculare ad esso. Eppure, intorno al problema della democrazia come problema della condizione attuale e della capacità a resistere e svilupparsi degli istituti democratici tradizionali 7 si sono addensate molte inquietudini anche da parte di chi prefigurava la possibilità di un. salto rivoluzionario al di là di questa «democrazia ». Non più o, quanto meno, non sempre la crisi è per l'opinione più radicalizzata un segno incoraggiante. A questo riguardo ha avuto molto peso il caso del Cile. Del resto, la lezione cilena ha riproposto crudamente il tema della percorribilità della « vI a legal » per la trasformazione -socialista del sistema sociale o anche, più semplicemente, della possibilità di rendere sostanziale una democrazia che, -seppure di lontane radici, era tale solo sul piano formale in quanto da lungo tempo governata da una direzione borghese rigorosamente uniclasse. Innanzitutto la tragedia cilena ha confermato in modo che si direbbe definitivo la realtà internazionale sia delle sfere di influenza (basta ricordare la cura con cui l'URSS s'è tenuta fuori da ogni coinvolgimento e l'eguale atteggiamento distaccato della Cina) sia del dominio imperialista nordamericano. questo anzi ha dato per l'occasione, un nuovo esempio di duttilità operativa. Infatti, pur avendo predisposto le tecniche per giugulare progressivamente l'economia cilena sui mercato internazionale, l'imperialismo ispirato dalle multinazionali nordamericane ha dato dimostrazione di pazienza tattica notevole: si può dire abbia fondato la sua politica di non intervento (di cui le sfere governative USA si sono più volte vantate) su una analisi di classe accurata, lasciando maturare i processi di reazione che nella situazione cilena avevano come volano principale la crescente e particolare precarietà della. condizione delle classi medie (come effetto di una difficile -situazione non certo per volontà del governo Allende che, al contrario, ne aveva privilegiato -alcuni settori). Pur tenendo conto di tutti gli aspetti specifici .ella situazione cilena nel contesto geopolitico latino-americano, l'esperienza allendista ha riproposto col suo drammatico scacco tutti i problemi della via democratica: quale uso de-bba essere fatto delle leggi e degli apparati per un'azione di riforma, quale misura minima di forza sia necessaria (Allende

era espressione di una maggioranza relativa) e quanto questa debba essere omogenea (Unidad Popular era una coalizione con forti tensioni interne) e dunque quale organizzazione di massa debba essere realizzata con quali radici nel sociale e per quale progetto politico. Problemi gravissimi cioè decisivi: certo, la loro soluzione è ben più complessa di quanto faccia ritenere la proposta di un « compromesso storico » fra sinistra e cattolici che anche laggiù, si è affermato, sarebbe stato proponibile per tempo e, se realizzato, avrebbe costituito la salvezza di quella democrazia. III. VENIAMO ALLA SITUAZIONE ITALIANA. È

inutile ricordare, seppure per sommi capi, cause, caratteristiche, misura e qualità della crisi sociale ed economica del nostro paese. Diciamo che da qualche tempo è in corso un tentativo d-i venirne a capo: è quello che, dopo il patto di palazzo Giustiniani, va compiendo l'oligarchia democristiana sotto la leadership di Fanfani. È un tentativo che si va operando nell'unico modo concepibile per tale oligarchia: ridare efficienza al proprio potere rinnovando la capacità di direzione del sistema politico. Il primo problema da risolvere era quello del controllo e della governabilità dcilo -stesso partito democristiano. La recente legge di finanziamento dei partiti che, come ha ricordato Almirante alla televisione, per l'interesse di tutti è stata approvata in un -mese (qualcuno, nella perfida Albione, l'ha però chiamata « corruption bili »), sembra a questo riguardo un primo efficace strumento. Sono infatti nelle mani del Segretario del partito -i cordoni della borsa con in più le possibilità di controllo e di ricatto nei confronti delle correnti, offerte da un'eventuale accorta messa in azione delle sanzioni penali. L'opera dovrebbe continuare, come è stato - dichiarato, con -la riforma dello statuto: nomina del segretario della DC da parte del Congresso e sua designazione automatica alla guida del governo. Con sussiego si è parlato di modello anglosassone. Escludendo che nell'immediato potessero sorgere gravi problemi sul lato della sinistra (i socialisti, sempre in crisi di identità, sarebbero -stati tranquillizzati con l'assegno vita!lizio del finanziamento e con nuove pro-


4 messe di lottizzazione, l'opposizione « dura» dei comunisti dopo quella « diversa », è abbastanza prevedibile, almeno all'inizio, neile sue modalità), l'oligarchia democristiana si è preoccupata di quegli strappi, all'apparenza assai consistenti ed inediti, che si sono verificati nei meccanismi del consenso: l'iniziativa dei pretori che tenta di riattivare nei confronti dei politici di governo forme del tutto desuete di responsabilità penale, e una maggiore autonomia di alcuni giornali e delle nùove generazioni di giornalisti. La controffensiva è in atto ma non è agevole. Magari facilitati da qualche leggerezza ed ingenuità dei pretori, un bel numero di procedimenti disciplinari sono introdotti a carico dei magistrati dissenzienti, mentre l'opera di concentrazione delle testate, a sua volta facilitata dai deficit economici delle aziende giornalistiche, mira a ripristinare un più valido controllo sulla stampa. Ma la controffensiva contava su una prova generale decisiva: il referendum del 12 maggio. L'esito catastrofico per l'oligarchia democristiana di questa prova le toglie un punto di forza fondamentale: anzi, può cambiare del tutto la fisionomia del quadro politico italiano. IV. LA NOVITÀ DI QUESTI ultimi anni è stata l'ascesa dei sindacati a soggetti del sistema politico. Sul punto bisogna soffermarsi. La prima cosa da rilevare è questa: il ritorno al centro-sinistra è avvenuto nel '73 all'insegna di un dialogo diretto governo-sindacati che ha fatto dire a qualche studioso che eravamo di fronte al primo esempio di «governo laborista ». Volendo con ciò significare due fenomeni: uno, che lo stato più che mai è .gestore - buono o cattivo, capace o incapace, non conta - del « capitale »; due, che di conseguenza, il sindacato è divenuto diretto e naturale interlocutore deI governo. Posta in questi termini, l'osservazione vorrebbe un ben più ampio discorso. In termini diversi, altri hanno detto che l'inserimnto dei •sindacato fra i soggetti principali del sistema politico è un processo ormai compiuto. Senonchè nel corso di questi sette mesi quel che sembrava un fatto acquisito, ben rapidamente s'è rivelato precario. L'aggravarsi della crisi economica ha riproposto al sindacato l'urgenza della difesa del salario

non tanto a scapito - neile rivendicazioni degli obiettivi generali come « riforme» e politica dei servizi pubblici e sociali quanto come capacità effettiva di imporre un riordinamento a fondo della scala delle priorità a favore di questi ultimi. A parte, naturalmen'te, la questione di quanto ciò sia possibile in questo sistema economico. Del resto, molte conquiste normative della stagione contrattuale post-69 rischiano di perdere efficacia quando, per esempio i la corsa agli straordinari per far fronte al taglieggiamento delle buste paga ad opera dell'inflazione sconv6lge le modifiche introdotte nella stessa organizzazione del lavoro. Quanto alla dialettica fra vertici confederali e sindacati di categoria, la crisi ne ha bloccato lo sviluppo. Da una parte la crisi sembra favorire, come fenomeno generale, l'accentramento dei poteri al vertice e di qui nasce un'occasione per quanti vo-, gliono qualificare il sindacato come soggetto del macro sistema politico frenando le innovazioni sul piano degli organi di base territoriali e di fabbrica (si consideri l'impasse del dibattito sui consigli di fabbrica e l'arresto quasi completo dei consigli di zona). Tuttavia la forza del sindacato come soggetto del sistema politico deriva anche dalla sua capacità di radicarsi nella base e di ottenerne un rinnovo di delega: infatti il sindacato non gode come i partiti di quelle deleghe automatiche e formali che derivano dal sistema parlamentare e dai meccanismi della rappresentanza elettorale. O meglio: malgrado alcuni tentativi di procurarsi garanzie e forme di sostegno anche formali, il sindacato è dipendente dal suo sostrato sociale in modo sempre diretto e vincolante. Nell'impossibilità di tornare indietro sul piano di una presenza traente nèl sistema politico, così come di avanzare, il sindacato sopporta la ripresa d'iniziativa dei soggetti tradizionali del sistema politico (significativa l'iniziativa di Fanfani per una presenza della D.C. nel «mondo del lavoro» anche perchè contemporanea allo svuotamento degli incontri fra governo e sindacato) Ciò' spiega come si ripropongano proprio nell'ambito del sindacato iniziative di corrente che non sembrano impedite, ma, anzi talora agevolate, dalle regole formali dell'incompatibilità fra ruoli sindacali e ruoli politici.


5:

v LA CRISI ECONOMICA ha soprattutto bloccato il processo di riqualificazione in senso classista del sindacato che si stava operando anche attraverso la presa di coscienza delle differenziazioni d'interessi fra lavoro produttivo e lavoro improduttivo. I discorsi che sono stati fatti intorno alle rendite parassitarie e alla piccola e media borghesia che ne fruirebbero,- sono stati molti: come spesso avviene quando un aspetto della vita sociale per l'innanzi trascurato e sconosciuto viene posto in primo piano nel dibattito politico, il parlare tiene luogo del conoscere. Sta di fatto che se l'unico modo serio è approfondire il discorso nell'ambito del sindacato perchè è solo al suo interno che la questione può trovare soluzione e chiarezza, attraversò un'egemonia delle categorie industriali e un esercizio da parte di queste di un ruolo politico, l'inflazione e l'attacco all'occupazione stanno travolgendò la possibilità di fare passi in avanti. Quale che sia la « giungla retributiva », tutto il lavoro subordinato è posto sulla difensiva e sarà difficile impedire che le singole categorie sindacalizzate della classe media giochino autonomamente le proprie carte difendendo ad oltranza le posizioni raggiunte.

VI IL TEMA DEL SINDACATO riporta a quello delle classi medie. Oggetto queste ultime di attenzioni ed indagini numerose nell'arco degli ultimi anni. Se ripensiamo alla prima metà del '72 quando in chiave di analisi della dinamica delle classi medie proponevamo, nell'ambito ristretto del nostro « gruppo », una ipotesi 'di lavoro culturale' intorno alle istituzioni e notavamo l'incredibile mancanza di un quadro minimo di elementi co noscitivi, bisogna riconoscere che dati e analisi sono venuti. Per dire se sono sufficienti, si può partire da un'osservazione che riguarda ancora i sindacati: la loro storia recente è, per buona parte, quella della sindacalizzazione di alcuni importanti strati delle classi medie, in particolare di quelli che trovano occupazione negli apparati pubblici. Ed è attraverso questo processo di sindacalizzazione che una parte della middie class si è data un volto ed una capacità di presenza

e di potere. Dunque da una parte il sindacato diviene istituzione esponenziale di questa area sociale, dall'altra l'intreccio della sua attività con i modi d'essere di quegli apparati pone un problema di ricognizione per niente semplice e di facile soluzione. Cogliere il peso e la capacità di condizionamenio che queste classi medie hanno nella società significa riuscire a fare il profilo di molti ingranaggi e di molte modalità d'azione. Nelle amministrazioni pubbliche l'intreccio fra presenza sindacalizzata, gestione dégli apparati, fòrme di organizzazione burocratica è fittissimo: la contrattazione collettiva nel pubblico impiego ha caratteristiche miste di bargainin,g sindacale in senso proprio e di lobbying ministeriale e parlamentare. Perciò non basta una ricognizione di tipo sociografico e statistico di •alcuni strati o di alcuni campioni di classi medie come si è fatto finora. Nè bastano quei meri procedimenti di qualificazione nominalistica del fenomeno « colletti bianchi » e classi medie che si rifanno all'idea della « proletarizzazione » attraverso analogie generiche. VII. LA PARALISI GIÀ IN ATTO da anni, e via via più grave, di fondamentali servizi pubblici, dagli ospedali alle poste, (dovuta in gran parte ad una gestione del personale caotica, frammentaria e senza i più elementari strumenti di previsione) aveva da tempo preparato il campo a quello che sembra uno sbocco inevitabile della crisi economica: i servizi pubblici, in appalto. L'inceppamento dell'industria automobilistica, tradizionale settore trainante della nostra economia ; ha posto il problema dei consumi collettivi come possibile oggetto di una politica di sostegno industriale. Si tratta di attivare una politica delle commesse statali alla grande industria che 'consenta di evitarne collassi

o de/aillances. Sotto i motivi di urgenza che sono spesso i soli a dettare le decisioni politiche sembra a questo punto possibile far passare anche gli insediamenti nel Mezzogiorno di' nuove iniziative industriali. La presenza in prima fila nella politica meridionalista deI nuovo notabilato democristiano deriva da una convinzione che l'occasione, questa volta, è buona.


Nell'imminente fase delle nuove grandi commesse e dei «progetti speciali » trovano la loro conclusione alcuni processi da tempo iniziati. Innanzitutto, abbiamo l'estinzione di ogni residua differenza fra settore pubblico e settore privato dell'economia sul piano sia formale che sostanziale e con ciò la ricomposizione di un fronte unico della classe dirigente imprenditoriale dopo che è stata riconosciuta, a tutti i livelli, piena legittimazione all'imprenditorialità di estrazione partitica e burocratica. La ricomposizione avviene soprattutto nella diménsjone della grande impresa o meglio delle grandi holdings. In secondo luogb, l'era delle grandi commesse suggella l'egemonia del sistema delle partecipazioni statali in quanto co-stituisce l'allargamento a tutto il sistema industriale del modello, per ora soprattutto comportamentistico, proprio dell'impresa pubblica. In futuro, con opportuni aggiustamenti, non mancheranno riallineamenti an•che sul piano formale. Del resto quel che conta è soprattutto il modello comportamentistico e sostanziale come dimostra, a parte il recente sviluppo intorno all'I.M.I. del sistema detto delle para-partecipazioni statali, il modo con cui si realizza la ristrutturazione della Montedison: è nelle leggi di aumento dei fondi di dotazione degli enti di gestione che si trovano infatti i finanziamenti di questa ristrutturazione (a questi enti sono stati passati i rami secchi della « grande malata »). Senonchè se la logica del momento è in qualche modo quella di salvare il salvabile, l'era delle grandi commesse non s'annunzia propizia non si dice a risolvere - ma neppure ad affrontare le due crisi verticali: del sistema imprenditoriale, da una parte, e del sistema amministrativo pubblico, dall'altra. L'imprendjtorjaljtà « pubblica » va aggiungendo i suoi propri difetti a quelli dell'imprenditorialità « privata ». La corsa alla funzione di grande « stazione appaltante » dello Stato in materia di edilizia, per fare u•n esempio, maturava da anni. Con la motivazione dichiarata e nobile di offrire un grande servizio ai paese che, privo di una pubblica amministrazione efficiente, non è in grado di fruire delle opere programmate.

Ma la corsa alla funzione dell'appaltante, più sicura e redditizia, copre l'affanno o il fallimento nei settori dell'imprenditorialità innovativa. Basta considerare come nei settori delle tecnologie avanzate l'impresa pubblica sia quasi esclusivamente licenziataria ed importatrice di know how. In realtà, la formula imprenditoriale si risolve slo in una libertà e scioltezza d'azione che gli apparati tradizionali non hanno. Ma è ormai chiaro che per preservare tale libertà e scioltezza come formula mitica d'efficienza, in realtà come del tutto funzionale ai più diversi interessi dello stesso sistema politico, la riforma del sistema amministrativo almeno nei suoi punti strategici non ha mai avuto il benchè minimo sostegno. L'imprenditorialità pubblica ha avuto sempre facile gioco nel confrontarsi con un'amministrazione che è vecchia e sempre più collassata per il combinarsi di un insieme di fattori: la logica della sottoccupazione che ha governato il nostro sviluppo economico e ha gonfiato i ruoli del personale pubblico, la rozzezza culturale e la miopia politica delle classi burocratiche amministrative, la logica di insediamento dei sindacati impiegatizi. Ormai scoperto il trucco della brillantezza dell'impresa pu,'bblica e resi del tutto intercambiabili i ruoli dell'alta « imprenditonalità > pubblica-privata si spiega la corsa generale alle grandi commesse e con ciò la necessità di una cartellizzazione del sistema industriale. Se si tiene conto dell'andamento più recente della nostra economia che, con l'accrescersi fuori misura del deficit della bilancia dei pagamenti, ha reso necessario il ricorso a misure protezionistiche. l'ipotesi di Franco Momigliano che abbiamo raccolto nel precedente fascicolo diviene ormai impressionantemente vicina alla realtà. Siamo alla « pressione progressiva verso una politica del governo che incominci a privilegiare, con precise azioni di protezione., in particolari settori industriali, singole 'imprese pubbliche con politiche di sostegno, destinate anche a compensare la debolezza nell'area oligopolistica mondiale, di queste nostre imprese assunte a livello di quasi-monopoli nazionali ».

Sergio Ristuccia


Bilancio di. un sondaggio ALLA FINE di marzo abbiamo considerato concluso il sondaggio di opinioni legato alla proposta di lavoro presentata con il fascicolo unico del 1973. L'esito di questo sondaggio ci sembra possa essere giudicato soddisfacente, quando si tenga conto, da un lato, che il questionano accluso al fascicolo, coinvolgendo il lettore in prima persona, risultava piuttosto impegnativo; e dall'altro che la percentuale di ritorno non si discosta da quella ottenuta da altri sondaggi di questo tipo effettuati da riviste di lunga tradizione e che godono già di un loro pubblico. In breve, alcune cifre: oltre 200 lettori ci hanno inviato le 1.000 lire corrispondenti al prezzo della rivista e 96 ci hanno restituito il questionario compilato; ci sono inoltre pervenute una quindicina di lettere di osservazioni e critiche più articolate. Delle 96 persone che hanno risposto attraverso il questionario 83 hanno ritenuto convincenti le ipotesi di lavoro di « Queste Istituzioni », 47 si sono dichiarate disposte a collaborare, inviando osservazioni e proposte (27) e/o informazioni e materiali (31); 90 hanno comunque richiesto di essere informate sugli sviluppi dell'iniziativa; Per quanto riguarda la 'disponibilità a partecipare all'impresa sul piano del contributo finanziario, 26 persone si sono dichiarate pronte a sottoscrivere quote annue di 20.000 lire nel caso che il « Gruppo di studio » decidesse di trasformarsi in società cooperativa di redattori, 69 si sono dette dispo nibili a sottoscrivere un abbonamento biennale e 30 hanno ritenuto interessante un eventuale abbonamento cumulativo al periodico e all'omonima collana di libri. Quel che più ci interessava erano, naturalmente, le risposte alla domanda: « quali sono, a vostro giudizio, gli interlocutori possibili dell'iniziativa? ». Queste risposte, più di ogni altra, ci avrebbero consentito, infatti, una verifica sul grado di rispondenza delle nostre ipotesi di lavoro - quali eravamo riusciti ad indicare nel fascicolo di

sondaggio - in relazione al pubblico che in qualche modo avevamo scelto. Bisogna innanzitutto notare che • le risposte risentono inevitabilmente della probiernaticità (qualcuno ha detto: della « estrema problematicità ») delle nostre proposte, ma concordano in definitiva con noi nel-: l'individuare due livelli di aggregazione di' pubblico: da un lato i quadri della sinistra istituzionale là dove esistono fermenti e istanze di rinnovamento e processi di ricam bio; dall'altro i « quadri » che chiameremodei processi sociali. Con quest'ultima espressione intendiamo riferirci al fatto che il rinnovo delle generazioni ma soprattutto i comportamenti collettivi di lotta che si sono verificati nell'ultimo decennio hanno creato' possibilità di iniziative politiche non riconducibili all'egemonia delle forze politiche tradizionali, anche se di « opposizione . Si tratta di iniziative che hanno, qualche volta, prodotto « quadri» in senso proprio, cioè elementi dotati di leadership; in ogni casa hanno costituito un fenomeno nuovo di approccio (o di socializzazione) alla politica: non necessariamente al di fuori delle istituzioni, molto più spesso all'interno. Nell'ambito della prima area (i quadri' della sinistra istituzionale) ci sono alcune risposte che privilegiano come interlocutori i settori di sinistra dei partiti della sinistra; nell'ambito della seconda area c'è insistente il richiamo ai « giovani » (magistrati, amministratori, docenti) inseriti nelle istituzioni pubbliche. Da alcuni è stata sottolineata la forte domanda di analisi sulle istituzioni che proviene da questo pubblico: domanda che, per « i militanti politici dal '68 in poi » - secondo una delle risposte - diventa autentica « fame ». COME SI È DETTO, oltre ai questionari compilati, abbiamo ricevuto anche numerose osservazioni critiche più articolate. Da queste emergono sostanzialmente tre ordini di considerazioni: riguardo al linguaggio, ri-


F. .guardo al taglio- dell'analisi e alla scelta dei temi, e riguardo allo strumento editoriale adottato. Quanto al primo punto, è stato sottolineato il carattere « complesso» e talvolta troppo «da élite » del -linguaggio, che è stato anche definito « involuto, denso, con troppi riferimenti e troppo accennati »; secondo questa ottica gli argomenti dovrebbero essere svolti «più didatticamente » e quindi i concetti dovrebbero essere maggiormente «diluiti». È noto come il problema della difficoltà del linguaggio sia uno dei nodi, per lo più irrisolti, e sempre ricorrenti della pubblicistica della sinistra; è vero d'altra parte, che nel « fascicolo di sondaggio » non si è fatto abbastanza in questo senso, e che in alcuni casi i riferimenti e gli accenni divengono -allusioni che non contribuiscono alla comprensibilità del testo. Bisogna comunque ricordare che se il problema vero è quello della -chiarezza, non necessariamente chiarezza equivale a semplicità, tanto più che questa facilmente decade in semplicismo. Il problema del linguaggio è stato poi giustamente ricollegato a quello dell'individuazioné degli interlocutori: e ciò, o nel -senso che una loro individuazione ancora vaga e incerta da parte nostra avrebbe in-ciso sull'uso promiscuo di diversi « livelli » di linguaggio; oppure nel senso che - ammesso che da parte nostra sia stato effettivamente individuato un certo pubblico il linguaggio usato rischierebbe invece di compromettere la scelta fatta. -

IL SECONDO GRUPPO di considerazioni -- incentrato sulla scelta dei temi e sulla metodologia dell'analisi - esprime un so-stanziale accordo sul fatto che « una critica delle istituzioni e in genere del sistema p0litico debba andare al di là di esse. Occorre -cercare di cogliere la dinamica delle strutture sociali che condizionano le istituzioni, -a partire dalle strutture di classe - donde la centralità delle classi medie, problema i...] ancora studiato ben poco, o in modo -dilettantistico o dogmatico ». Il proposito di fornire un contributo per la definizione della classe media nel nostro paese e nella società 'occidentale è - stato da altri considerato rilevante non solo -per il suo valore conoscitivo, ma soprattutto per quello politico, « nella -

misura in cui la questione dei ceti medi è oggi terreno di scontro e diversificazione strategica tra la linea politica riformista e quella rivoluzionaria, nonostante la scarsa conoscenza che, in pratica, sia le forze riformiste che quelle rivoluzionarie continuano ad avere dei ceti medi ». Il valore politico dell'obiettivo «. non toglie d'altra parte validità al principio metodologico di attenersi ad un rigoroso realismo critico, estraneo a qualsiasi placet ». Chi, invece, nell'ambito di un discorso sulle istituzioni non privilegia tanto il tema « classi medie », quanto l'analisi dell'amministrazione nella prospettiva di progettazioni istituzionali alternative, è portato a ritenere che tale discorso « per non essere un semplice spòstamento a sinistra di una metodologia che già ha fatto le sue prove (spesso ottime) sul Mulino, su Politica del Diritto e su altre pubblicazioni, deve innanzitutto rendere più ampio e più analitico il proprio oggetto. Finora l'oggetto di questi approaches o è un indistinto mondo politico, o è un altrettanto totalitario Stato (magari: Stato e parastato); oppure sono protagonisti canonici: il parlamento, il governo, la magistratura, i sindacati, la corte costituzionale, qualche impresa o holding pubblica. Bisognerebbe invece esaminare l'INPS e l'Azienda delle Ferrovie, i singoli ministeri (specie i più remoti dall'immagine ottocentesca), le stesse Camere in quanto sistema di uffici e di funzionari, questo o quell'ente locale; ecc. . . . », articolare l'analisi « su una folla di drarnatis personae e quasi censirle ». La diversità di ottica con cui si sono considerate le ragioni e le finalità di un discorso sulle istituzioni - che nel primo caso ha di mira la problematicadelle classi medie come condizionamento strutturale delle istituzioni e del sistema politico, mentre nel secondo tende a privilegiare gli aspetti sovrastrutturali e più interni all'istituzione si attenùano fortemente quando si passi ad esaminare le considerazioni sull'oggetto e sul metodo dell'analisi. Chi sostiene la prima impostazione non. manca infatti di rilevare il pericolo che si vada « troppo al di là nel senso di sottovalutare il fatto che il problema sta ' dentro ' le istituzioni non meno che "fuori'. Se c'è un dato che inficia la maggior parte delle analisi correnti del sistema politico,


9 questo è la sottovalutazione 'del potere autonomo e incontrollato di gran parte dell'apparato giuridico-amministrativo dello stato italiano, detenuto in concreto dai funzionari medi e alti - una ' nuova' classe che permette una perfetta saldatura tra i peggiori aspetti del capitalismo franante e del socialismo burocratico E ... 11. Ipotizzare che le riforme non si fanno soltanto perchè non si è ancora costruita una efficace coalizione tra i lavoratori e determinati settori delle classi medie temo sia tremendamente miope, quando diventa di giorno in giorno più palese l'impotenza dei politici per attuare decisioni già prese sul piano dei rapporti politici» e conclude: « la ricerca che vorrei finalmente vedere, . . .j è una ricerca sui meccanismi di decisione, di potere, di influenza, che attraverso tutto l'apparato burocratico dei ministeri, delle corti, dei consigli, delle ragionerie, ecc., condizionano in concreto quali leggi si attuano e quali no, come Si attuano, come faffiscono per ritardo di spesa, come si traducono in regolamenti [ ... ]. Su tutti questi meccanismi non sappiamo quasi nulla ». D'altra parte, chi considera il discorso sulle istituzioni prevalentemente come ana'usi sociologica e ideologica, nella prospettiva di una progettazione istituzionale di nuovo riformismo, sottolinea che esso « non può esser chiuso nell'ambito dell'orizzonte giuridico e filosofico (filosofia del diritto, filosofia della politica). Bisogna sottrarre una serie di temi all'asettica ' scienza dell'amministrazione ', affrontare in termini politici (e nei loro risvolti ideologici) i problemi tecnici, i problemi organizzativi, ecc. ». «Non si può considerare le istituzioni alla stregua di ' black boxes ', delle quali ci ìnteressi solamente l'esterna configurazione giuridica E ... 1 ». E ancora « . . .1 se non si è capaci di fare in termini di critica politica i discorsi sulle procedure, sui circuiti decisionali, sulle funzioni, si ricade nel discorso settecentesco (magari giacobino) E ... ]». «Una progettazione alternativa suppone anche un modo diverso di studiare e di diagnosticare, un discorso che faccia proprie tutte le acquisizioni (la ricerca operativa, la modellistica, la cbernetica e che so io), non per inventarsi alibi ' scientisti' e tecnocratici', ma proprio per dare un san4

gue nuovo all'analisi e alla protesta politica E...] ». IL TERZO NODO di problemi riguarda lo strumento editoriale da noi adottato, la rivista semestrale; su questo punto si è concentrato il maggior numero di perplessità, di critiche, di dissensi, riguardanti volta a volta la idoneità, la praticabilità, l'opportunità dello strumento-rivista. La vivacità del dibattito su questo punto dimostra poi che esso va al di là della reazione contingente sulla nostra iniziativa, per esprimere un più ampio senso di malessere che investe le strutture e le immagini tradizionali di trasmissione e socializzazione di conoscenze, acquisizioni, esperienze. Accanto a perplessità legate' a « Queste Istituzioni » in particolare (periodicità troppo «lunga », disuguaglianza e superficialità nella distribuzione e trattazione delle « rubriche », taglio culturale eccessivamente eclettico •e quindi poco incisivo, eccessiva astrattezza) sussistono quindi dissensi più radicali e più generali. Si rileva come nessuno più, in Italia, legga le riviste e come, d'altra parte, «pochi scrivano a tempo e bene per una rivista », per cui « molte delle ipotesi così ben tratteggiate nel numero zero resteranno tali ». Sembra « molto più utile l'altro strumento che viene proposto: la collana editoriale. Titoli definitivi, argomenti monografici, volumi E ... ] destinati, oltre che a un pubblico di studiosi e di studenti, a coloro che ' stanno in quella istituzione di cui si parla nel libro e che quindi vogliono saperne di più, ma che non desiderano che quel libro e non gliene importa niente della corona di saggi sulle (al plurale) istituzioni « Per esperienza so quanto una rivista possa uscire improvvisata; come incida poco; come resti ' poco: è una questione anche materiale di fruibilità E ... 1. Il libro non correrà mai il rischio di essere un fascio di opinioni come rischia sempre di diventare una rivista ». Accantà a chi rifiuta tout court lo strumento rivista, a favore di un impegno esclusivo nella collana di libri, si pongono i suggerimenti e le proposte di chi invece tenta l'elaborazione di uno strumento culturale sostanzialmente nuovo, che tenga conto delle trasformazioni che il maggiore saggio di accumulazione politico-culturale e


10 scientifica sta provocando sulle strutture tradizionali della rivista periodica; queste trasformazioni avvengono, sinteticamente, attraverso « la tendenziale monograficità dei fascicoli attorno ad un tema trattato con approcci multidisciplinari, comparativi, ecc. . . . », attraverso « il legame particolarmente stretto con gli operatori colti nel vivo della loro esperienza (prassi sociale, politica, culturale, scientifica) »; infine attraverso l'utilizzazione dello strumento editoriale « -come acquisizione di strutture organizzative in trasformazione e socializzazione dopo un moto sociale che ne ha messo in crisi le strutture e le immagini ' tradizionali ». Se a queste considerazioni circa le tendenze generali degli strumenti editoriali nelle forme della rivista periodica si aggiunge per quanto riguarda in particolare l'oggetto di analisi della nostra iniziativa - il fatto che « La, tematica istituzionale è per definizione un anlbito di inchiesta politica ' orizzontnle ' » e che « non deve essere perduta l'occasione di praticare in modo sistematico,

attraverso un gruppo di lavoro 'non settario', un approccio alle istituzioni che valo-. rizzi lo specifico tecnico-analitico esistente » le conclusioni sono nel senso che la rivista deve evitare « di nascere come tale, cioè come espressione centralizzata e, necessaria-mente, ' leaderistica ' del 'movimento' »; essa può invece porsi «come struttura di servizio (non ' servente ' » rispetto agli strumenti editoriali (ma poi, perchè solo editoriali?) che si stanno evolvendo secondo le lineesopra tracciate e a quanti altri saranno individuati con unà indagine più seria e sistematica. A questa impostazione consegue poi 'l necessità di individuare « un 'parco interventi ' da smistare alle unità editoriali ser-vite. Il ' parco interventi, si forma e si sviluppa tramite un processo iterativo di confronto tra programmi editori-ali delle unità servite e il lavoro del gruppo ' Queste Isti-tuzioni ' ».

Marco Cimini - Marina Gigante-

Una precisazione a « L'Espresso ». All'inizio dell'anno L'Espresso ha dato notizia dell'uscita del numero unico 1973 di Queste Istituzioni sotto un titoletto PCI / SI DISCUTE IL COMPROMESSO STORICO, presentando la nostra iniziativa come una di quelle sollecitate dalla necessità di prendere posizione sulla proposta del partito comunista:

Non è vero invece che l'iniziativa editoriale « Queste Istituzioni » promossa dal-l'associazione «gruppo di studio su societàe istituzioni» sia sorta per discutere il « compromesso storico » come si dice nella rubrica«Se ne parlerà domani» sul numero del 6 gennaio. Anche se al tema delle classi mediesiamo molto interessati: la rivista edita direttamente dal gruppo e l'omonima collanaA correggere il modo con cui la notizia di libri intendono riproporre all'attenzione' è stata data abbiamo inviato una lettera a della sinistra e soprattutto dei quadri poL'Espresso (e questo l'ha'pubblicata sul nu- litici e sindacali di più recente formazionemero del 17 febbraio 1974). Eccone il testo: il funzionamento concreto delle istituzioni at È vero che discutere il « compromesso sto- traverso cronache periodiche della loro atti-rico » - proposto da Berlin'guer (un compro- vità e, insieme, la dinamica delle classi mediemesso sempre più ipotetico nella sua acce- che agiscono dentro e intorno alle istituzioni. zione diciamo così più nobile: un patto Su una linea « laica e di sinistra », comechiaro .e giusto fra le grandi « forze popolari dice « L'Espresso' »: cioè collegando il rigore» nazionali ») comporta in qualche modo una della critica democratica con la coscienza ediscussione sul suo sos trato sociale, cioè sulle l'analisi di classe. classi medie.


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QUESTE ISTITUZIONI

/ LIBRI

'Officina edizioni MARINA GIGANTE - D0LCIN0 FAVI -

Questione cattolica e scuola clericale. Introduzione di SERGIO LARIccIA,

l« Associazione per Io sviluppo delle scienze religiose in Italia », la sentenza della Corte costituzionale sul « caso Cordero ».

S. Ristuccia.

pp. 201, L. 2800. La « questione cattolica » è per il nostro paese una caratteristica storica permanehte: Continua a riproporsi come un dilemma della vita politica anche quando si vorrebbe farne a meno. La cronaca che stiamo vivendo dal momento dell'approvazione della legge sul divorzio al referendum ed oltre è la dimostrazione di questo condizionamento pesante e, sembra, non eliminabile del nostro sistema politico. Comincia ad essere sempre più chiaro come l'articolo 7 della Costituzione, cioè la anomalia di una « pace religiosa » conseguita attraverso una sia pur parziale e indiretta costituzionalizzazione del Concordato, non ha risolto il problema. Né l'ha risolto, come si sperava, l'« aggiornamento» della chiesa romana nell'epoca conciliare. Come si sono preparate le forze politiche e soprattutto la sinistra ad affrontare il problema, che prima o poi era prevedibile tornasse alla ribalta, dei rapporti fra società civile e società religiosa? In verità è ancora da raccogliere l'invito, ripetuto nel 1972 da Lucio Lombardo Radice, a «suscitare in tempo un dibattito, e un chiarimento, sulla questione del Concordato tra i compagni comunisti e più in generale nello schieramento democratico Questo libro vuole essere un contributo a questci dibattito. Pur con notevoli differenze di giudizio i tre saggi contenuti nel volume affrontano un aspetto che per tradizione è al centro della « questione cattolica »: il problema delle istituzioni scolastiche confessionali. Sono saggi d'occasione, nel senso che si riferiscono a tre precise occasioni offerte dalle più recenti vicende politiche italiane: le prese di posizione di parte cattolica, in particolare della Congregazione per la dottrina cattolica, sul ruolo della scuola confessionale, la concessione di un contributo statale al-

Informazione e potere. Prefazione di E. Forcella. pp. 316, L. 4000.

GIOVANNI BECHELLONI,

Il problema della stampa quotidiana è esploso agli occhi dell'opinione pubblica, è venuto assumendo una centralità politica fino a pochi anni fa non prevedibile. Eppure la stampa quotidiana, per vicende connesse allo specifico sviluppo sia del sistema politico sia del sistema culturale, non ha mai raggiunto nel nostro paese quel pubblico di massa che caratterizza gli altri mass media e la stessa stampa quotidiana negli altri paesi industrializzati. Da questo libro - frutto di una lunga ricerca sociologica - emerge un panorama aggiornato fino alle più recenti vicende del giornalismo italiano: testate, tirature, proprietà, concentrazioni. L'indagine viene svolta privilegiando soprattutto lo studio dei meccanismi che regolano l'attività dell'« azienda culturale », che le ricerche specificamente sociologiche hanno per lo più lasciato in ombra: dai modelli organizzativi, ai circuiti decisionali, al ruolo svolto dagli agenti culturali che presiedono al suo funzionamento. Ricco di dati empirici e solidamente ancorato all'analisi della più importante letteratura sull'argomento, il libro consente al lettore di comprendere le caratteristiche specifiche del nostro sistema di informazione e in particolare della stampa quotidiana « amplificatrice e cassa di risonanza soprattutto di quel particolare settore della classe dirigente che è a diretto contatto con la classe politica ». Ma, mentre da un lato il libro offre alcune risposte, dall'altro apre interrogativi e prospetta ipotesi che solo nuove ricerche e nuovi dibattiti potranno risolvere o verificare. Emergono tuttavia con chiarezza le responsabilità del nostro g.iornalismo: più preoccupato di servire il potere che il pubblico in quella funzione di « traduttore» e mediatore che è poi una delle funzioni precipue dell'« informare ».


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La casa di carta. Prefazione di M. S. Giannini.

Una legge contro Venezia. Natura storia interessi nella questione della città e della laguna.

pp. 212, L. 2600.

pp. 527, L. 6000.

FRANCESCO MERLONI - PAOLO URBANI, WLADIMIRO D0RIG0,

Il libro è l'analisi di una vicenda inquietante: di come è avvenuto che una importante svolta nella politica delle abitazioni sia rimasta una semplice promessa, consegnata ad un testo di legge privo di effetti, o forse qualcosa di meno. Caso limite di riforma inattuata e -' si dice - inattuabile. Quali sono le ragioni? L'imperizia tecnica, la mancanza di fantasia e di concretezza nelle soluzioni normative e organizzative, l'incapacità di prevedere 'esiti ed effetti delle norme? O piuttosto è avvenuto che il processo di riassetto degli interessi intorno al servizio sociale « Casa », alla politica del territorio alla gestione urbana è stato interrotto per volontà politica? Il problema delle abitazioni in Italia, come si è posto con le lotte sociali del 1969, sembrava segnare l'inizio di un profondo mutamento politico che ha coinvolto in primo luogo l'azione sindacale. Gli scioperi operai per il rinnovo dei contratti nel.l'« autunno caldo », hanno posto al centro non più soltanto la monetizzazione delle rivendicazioni salariali, ma il salario inteso come l'insieme dei bisogni sociali dell'individuo. La grande domanda di abitazioni popolari che si è riversata sul mercato, l'insufficienza delle strutture pubbliche a soddisfare il bisogno edilizio, so'no problemi che non possono essere sganciati da quelli più generali dello sviluppo economico nel suo insieme. Al contrario vanno strettamente collegati al problema più ampio dell'assetto del territorio e degli squilibri territoriali. È in questo quadro che l'edilizia ha rivelato finora tutta la sua subordinazione al meccanismo di sviluppo squilibrato. Oggi i grandi gruppi monopolistici pubblici e privati, sono entrati massicciamente nel mercato dell'edilizia e si aggiornano le strategie delle grandi immobiliari. Si pone dunque per le Regioni il problema di rispondere ai tentativi di svuotamento della loro autonomia politica e di ribaltare questa 'linea di sviluppo squilibrato.

Cosa ne hanno detto: Maurizio Maddalena su Il manifesto del 23 agosto 1973: Molti (i lettori del « Corriere dello Zar ») possono credere che la battaglia per Venezia sia terminata vittoriosamente tramite la legge speciale » con la raggiunta salvaguardia del carattere storico e monumentale della città; pochi (gli ispiratori della campagna del « Corriere dello Zar ») si aspettano dalla «legge speciale » - purtroppo assai fondatamente - l'inizio della stagione delle vacche grasse per la speculazione edilizia e la destinazione turistica di Venezia; quelli poi che senbrerebbero i più colpiti dalla nuova legge (le industrie di Porto Marghera, con la Montedison alla testa) mentre da una parte si apprestano ad intascare i contributi loro scandalosamente concessi dalla « legge speciale » per « non » avere ottemperato alle norme antinquinamento vigenti, dall'altra già pensano a nuove «terre vergini » da colonizzare e sfruttare allo stesso modo di Porto Marghera. La realtà però è anche diversa: la battaglia per Venezia si apre ora, forse per la prima volta, effettivamente anche se da posizioni più difficili, che scontano il ritardo che ha caratterizzato il movimento operaio e 'le forze della sin'istra veneziana. Ora è possibile una iniziativa politica che coinvolga le masse proletarie e semiproletarie ancora presenti nel centro storico, le indirizzi contro l'avversarici che è ormai sceso allo scoperto 'rivelando il suo piano antioperaio e antipopolare di «riqualificazione » della città. Questo è 'il messaggio finale del libro che W. Dorigo, a sintesi di un ventennale impegno politico e civile sullo sviluppo della città, ha scritto ànchecome invito pressante alle forze progressiste perchè si assumano la direzione di un movimento di lotta contro


1 51 l'applicazione della legge speciale che, difen- demoliti scientificamente e smascherati politicamente. Una città - qualsiasi città - in dendo le condizioni di vita delle masse poquanto costruzione umana che modifica la polari veneziane, viene a difendere anche la. vita stessa e le possibilità di un futuro natura storicizzandola, nè può essere bloccata per Venezia. Perchè di questo si tratta: la a un dato stadio dei suo sviluppo nè può destinazione turistica e più in generale ter- sussistere come complesso urbanistico a preziaria della città, l'espulsione da essa• dei scindere dagli abitanti che con le loro relaceti produttivi, operai e artigiani, con la di- zioni sociali l'hanno costruita e la tengono in struzione dell'artigianato ancora esistente nel vita. centro storico, il blocco allo sviluppo del porto commerciale e industriale preludio al successivo suo decadimento, il progressivo Alberto Pratelli su Parametro, ottobre 1973: smantellamento del centro industriale di Porto Marghera - questo « concretamente » Si tratta di un' vero e proprio dossier, significa la «legge speciale » - non possono che portare alla progressiva morte econo- che cerca e riesce a coprire, il più possibile mica, sociale e civile della città, chè altro in modo completo, l'arco dei dibattiti, degli non verrebbe a essere la « museificazione » o interessi, e della storia di quella che ormai si è costretti a chiamare, con enfasi, la « quemeglio « mummificazione » .proposta da « Italia nostra » e recepita dalla « legge speciale » stione » di Venezia. ) una documentazione scientifica, chiaper una Venezia in cui non vi sarebbe più ra ed esauriente, che può permettere di afposto per i suoi abitanti. Ancora una volta spetta al Movimento frontare con maggiore semplicità le polemioperaio farsi carico dci valori rivoluzionari che varie sorte intorno alla città lagunare.. Forse, come avverte l'autore, in questo che la borghesia ha lasciato cadere nel corso libro si potrebbero trovare ben pochi eledel suo cammino. Ma deve farsene carico all'interno della sua prospettiva sociale, e menti per confortarsi e per pensare che quindi non con uno sviluppo «nuovo » e quella perduta sulla « legge speciale » sia « qualificato » che rimane vuota, parola, ma solo una battaglia e non una guerra. Ma per Venezia comincia una nuova con una azione di massa che si proponga concretamente uno sviluppo equilibrato e fase storica « in cui forse la fine della città omogeneo, per definizione impossibile nel come comunità civile e, quindi, anche come sistema capitalistico e quindi tale da intac- forma urbana irripetibile, cui la nuova legge care i livelli di accumulazione del profitto. la condanna, potrebbe forse essere procraLe iniziative prese a partire dallo scorso stinata e impedita da una forte presa di autunno dai sindacati provinciali, seppure coscienza politica e culturale della gente di assai tarde e incapaci di influire sulla di- Venezia ». È prima di tutto giusto rivolgersi espresscussione parlamentare della «legge speciale », come pure il voto, contrario dell'in- samente alla gente di Venezia, ricercare al tera sinistra alla sua approvazione, non in suo interno eventuali colpe, ma anche e specialmente la forza di. sopravvivere. Ma grado peraltro di far dimenticare certe precedenti non lievi ambiguità, sono comunque è anche importante cominciare con un dosun fatto positivo. Ma il ritardo temporale sier come questo, che fa politica nel senso e la timidezza propositiva attuali chiedono, più proprio e meno trito del termine, dando per essere rapidamente superate, una cono- utili contributi a questa presa di coscienza, scenza precisa dei termini del problema. A in senso strumentale e non teorico, ambiquesto fine il libro di W. Dorigo fornisce un zioso o logorroico. È ancora una dimostracontributo di primissimo ordine, si vorrebbe zione di come la tecnica e la scienza, non potendo essere neutrali, vadano usate con dire esaustivo. Uno a uno gli argomenti sostenuti dalla rigore, per non correre il rischio, allontananpubblicistica borghese per imporre la « mum- dosene di realizzare prodotti di pura accademia. mificazione» della città, e che andavano tutti Il libro è stato licenziato mentre non si ad approdare al blocco del porto e allo smantellamento del centro industriale, vengono era messo in moto ancora nessun meccanismo'


14 organizzativo della legge; ma è proprio della fine di questo settembre l'approvazione dei decreti delegati, e quindi dello strumento ormai operante, per salvare Venezia dalla r o: vina, come hanno affermato gran parte dei quotidiani italiani. Ma la « rovina» è sempre molto vicina quando le vecchie armi della battaglia culturale, dalla salvaguardia all'ecologia, diventano a turno cavalli di Troia e strumenti delle forze stesse che hanno fino ad ora imposto la lenta « morte » di Venezia. Naturalmente non possiamo pretendere di ricevere sempre, la verità o la soluzione precostituita, tanto più trattandosi questo di un lavoro che potrebbe apparire come postumo, se la legge avesse l'influenza e le conseguenze che sembra poter avere. Ma queste pagine accertano della necessità di altri studi e di altre sperimentazioni, e con queste l'autore spera almeno di aver offerto ai suoi «concittadini che vogliono combattere, e agli amanti di Venezia che non sono disposti a rinunciare all'evidenza della ragione, uno strumento d'i infoÉmazione e di lotta 'utile e aggiornato, dei pezzi di verità e di soluzione comunque indispensabili ». Jacquelin Giraud su L'Express, 11-17 marzo

1974: La loi qui devait sauver la Cité des Doges risque de l'engloutir à jamais . . ., En fait il s'agit de savoir quelle Venise doir étre sauvée. Est-ce celle des touristes et des résidents aisés, italiens et étrangers, pour qui Venise se résume à la villa historique au milieu de la lagune, à la spiendeur de ses églises et de ses palais, . ... ? Ou bien est-ce la commune des vénitiens .. . ? De 1951 à 1971, la Venise insulaire a perdu 72.000 habitants . . . Le plan municipal leur. permettra-t-il de revenir? Un homme n'en croit rien, un ancien démocrate-chrétien connu pour ses démlés avec son ancien parti, M. Wladimiro Dorigo... Il vient d'écrire un livre virulent,.. . où il pronostique la mort de la cité, tuée par la loi qui prétend la sauver.

Sandro Magister su Sette giorni, 24 febbraio

1974: Dorigo non è tenero nel 'denunciare le scelte, culturali, politiche ed economiche, che hanno condotto Venezia alla sua attuale condizione. La sua critica di taluni miti, come quelli « ecologici », è corrosiva e impietosa. Ma corredata com'è da un apparato puntiglioso di dati dimostrativi, si presenta difficilmente contestabile, anche nelle pagine in cui la vivacità polemica dell'autore sembra prendere il sopravvento. Sono rari i volumi in cui, come qui, l'aridità dei dati statistici si trasforma in lettura appassionante. Un libro scritto contro tutti e tutto, contro •il « destino »? Le prime reazioni, alla uscita del volume, hanno tentato di accreditare l'immagine di 'un autore tentato dalle soluzioni « radicali », astrattamente perfette magari, ma slegate da una reale percezione delle condizioni storiche in cui Venezia può essere . effettivamente « salvata ». In realtà, nonostante ogni apparenza, le soluzioni proposte da Dorigo non hanno nulla dell'astrattezza che gli si rimprovera. Il capitolo su Marghera da questo punto di vista, 'è esemplare.. Nella difesa che l'autore compie della « dottrina » che a suo tempo ispirò l'avvio della seconda zona industriale, e nel suo appassionato rilancio della proposta di una terza, zona, a rigoroso controllo pubblico, non c'è 'nulla di utopistico o radicaleggiante. Al fondo, c'è il rifiuto di una pretesa « naturalità pura » e la sana accettazione, invece, dei rischi ma anche del valore creativo dell'< artificiale ». L'homo faber non può essere, a priori, il nemico di Venezia. Neanche per una città come Venezia la rivoluzione industriale può essere considerata « male » in assoluto. A meno che essa diventi il varco di passaggio di interessi prevaricatori: interessi che, guarda caso, coincidono con quelli per cui di fatto si agitano troppi paladini della « natura », che trascinano al proprio seguito le schiere degli ingenui.


LIBRI RICEVUTI

Queste schede non escludono una suc- Massimo Paci, Mercato del lavoro e classi sociali in Italia, Il Mulino, 1973, pp. 351, cessiva più approfondita analisi critica dei L. 3.000. volumi segnalati.

Mariano D'Antonio, Sviluppo e crisi del capitalismo itàliano 1951-1972, De Donato, 1973, pp. 282, L. 2.800. È innanzitutto la scelta di un pulblico ben determinato che ispira questa analisi delle prrncipali vicende dell'economia italiana nell'ultimo ventennio: essendo infatti destinata ai giovani e comunque a coloro che vogliono cominciare a studiare l'economia italiana, essa è svolta in modo stringato, ma risulta di agevole comprensione, ed è ricchissima di. dati, tabelle statistiche ragionate, e di indicazioni bibliografiche. La descrizione dei caratteri generali dell'economia italiana negli anni '51-72 viene inserita nel quadro della situazione economica internazionale e ricollegata alle vicende politiche interne ed estere. Attraverso la ricostruzione critica delle diverse interpretazioni che dello sviluppo e della crisi del capitalismo italiano hanno fornito le principali correnti del pensiero economico moderno, l'autore risale all'individuazione del modello di sviluppo perseguito dalla classe dirigente e imprenditoriale italiana, ponendone in risalto i caratteri peculiari, rispetto ai processi economici in atto nelle altre economie mature. Egli giunge così ad una dimostrazione concreta di come una coerente analisi economica non possa non confrontarsi costantemente con le variabili della realtà politica e sociale del paese. Il libro è dispiaciuto a Luciano Barca (Rinascita, 8 febbraio 1974). Questi rimprovera a D'Antonio di non avere adeguatamente considerato, nelle sue caratteristiche originali, la linea di politica economica del PCI. «Si può essere anche duramente critici del PCI e del suo marxismo; non ci si può tuttavia occupare, per capire lo sviluppo e la crisi del capitalismo italiano nel 1951-72, di Giorgio La Malfa e di Claudio Napoleoni e ignorare ciò che i comupisti, bene o male, hanno detto nei loro congressi, scritto, fatto ». D'Antonio, si noti, è fra gli economisti del gruppo di Claudio Napoleoni. Sarebbe inoltre segno «di cattivo gusto baronale» - a parere di Barca - la critica ai ministri per la scelta degli uomini della programmazione.

Vengono qui raccolti una serie di saggi, frutto di ricerche compiute dall'autore negli ultimi dieci anni e volti ad individuare attraverso l'analisi dell'evoluzione della struttura del mercato del lavoro i mutamenti verificatisi nella composizione del proletariato urbano negli anni del miracolo economico; gli squilibri del mercato del lavoro nel passaggio dall'espansione alla recessione e le prime avvisaglie della formazione di un mercato del lavoro. «marginale »; la ripresa economica del '69-70 ed il rafforzamento della classe operaia occupatà nel settore centrale della produzione industriale, anche in connessione col fenomeno della scolarizzazione di massa; infine, le caratteristiche ed il ruolo del proletariato industriale marginale nello sviluppo capitalistico italiano. Il lavoro rappresenta un importante contributo ad una definizione storicamente determinata. delle classi sociali in Italia: nella ricostruzione delle principali vicende della economia italiana dal dopoguerra ad oggi, rivissute dal lato dell'offerta di lavoro, si trdvano non pochi spunti per una ridiscussione delle più rilevanti interpretazioni dell'origine del dualismo del sistema economico italiano.

Segnaliamo inoltre: AA. VV., Scuola e mercato del lavoro, Il Mulino, 1973, pp. 234, L. 3.000.

Sergio Turone, Storia del sindacato in Italia: 19431969, Laterza, Collana Tempi Nuovi n. 61, maggio 1973, pp. 537, L. 1.900.

Rainer Hellmann, Europa e America: gli investimenti internazionali, Franco Angeli, collana Orizzonti 2000, 1973, pp. 187, L. 3.500. Claude Julien, Il suicidio delle democrazie, Il Saggiatore, 1973, pp. 301, L. 1.500.

Marino Raicich, La ri/orma della scuola media superiore, Editori Riuniti, gennaio 1973, pp. 103, L. 700. Heinz Timmermann, I comunisti italiani, De Donato, 1974, pp. 253, L. 2.000.

Statistiques des recettes publiques des pays membres de l'OCDE, OCDE, pp. 219, F 26. Hans Jiirgen Krahl, Costituzione e lotta di classe, Jaca Book, 1973, pp. 455, L. 6.000.


notizie del « gruppo »

1) 11 23 febbraio si è tenuta a Roma una riunione dei soci del « gruppo di studio », allargata ad altre persone interessate all'iniziativa (in tutto una trentina) per procedere ad una valutazione dei risultati del sondaggio e ad un bilancio dell'attività finora svolta, anche in relazione ad alcune possibili alternative sul piano editoriale. Al di là del consenso di massima sull'opportunità di proseguire l'iniziativa di informazione criica sulle istituzioni iniziata col numero di sondaggio pubblicato nel '73, è stata sottolineata la necessità di un collegamento tra un lavoro critico che si pone come esterno alla realtà operativa delle istituzioni e l'attività di quanti all'interno si muovono per una loro modificazione o per una loro diversa direzione politica. Un tale programma può essere realizzato solo come lavoro col.lettivo soprattutto per quanto riguarda la di:scussione dei testi da pubblicare. Occorre attenersi ad un metodo di attenta verifica -critica e politica delle analisi. Si è poi di-scusso sullo strumento editoriale e in par..ticolare sulla opportunità di trasformare la. rivista in •una collana di quaderni (di circa 80 pagine, a formato tascabile), sempre de'djcati all'analisi e alla critica delle istituzioni. Questa soluzione, che si presta ad un lavoro più agile, soprattutto in considerazione delle forze redazionali attualmente disponibili, è sembrata avere maggiori possibilità (e validità) di realizzaziQne rispetto all'ipotesi rivista. A base della collana-rivista dovrebbe essere comunque mantenuta l'idea delle « rubriche » di cronaca e interpretazione delle istituzioni maggiori (opportunamente ride finite). Ogni decisione• è stata rinviata al momento della messa a punto di un programma editoriale definito nei parti-. colari. Nel frattempo si è dato il via ad una « news letter » che faccia da strumento di raccordo fra le varie attività del « Gruppo »: questo fascicolo ne è il primo numero.

Nella collana « queste istituzioni saggi. e ricerche per la critica politica » uscirà in ottobre il libro di Pierre Avril: « Serve ancora il Parlamento? », preceduto da una introduzione critica e comparatistica di Alberto Predieri. Per l'occasione il Gruppo di studio organizzerà un dibattito, cui saranno invitati uomini politici, militanti, giornalisti ed esperti. Sarà un'occasione per fare il punto sugli aspetti specifici delle strutture parlamentari in Italia e più in generale sulle tendenze e sulle trasformazioni in atto ùel sistema politico italiano. Sempre nell'ambito delle iniziative del « Gruppo di studio su società e istituzioni », è stato costituito in marzo un collettivo di ricerca, con il compito di redigere un'ampia rassegna bibliografica ragionata concernente l'assetto dei poteri in Italia e in Europa, quale si è configurato a partire dalla metà degli anni '60 fino ad oggi. Del collettivo fanno parte Marcello Romei, Franco Sidoti., Marina Gigante, Paolo Mieli, Marco Cimini, Gabriella Pinnarò, Francesca Socrate, Giorgio Contino. Ogni rassegna riguarderà uno specifico settore istituzionale. Periodiche riunioni di lavoro consentiranno di risalire, dalle singole analisi settoriali, all'individuazione delle cause che hanno determinato il tramonto delle illusioni riformiste, nelle forme specifiche che queste hanno assunto negli anni '60. Nel campo della politica del territorio, dopo la recente uscita e il successo del libro « La casa di carta », Francesco Merloni e Paolo Urbani, insieme ad altri ricercatori, stanno preparando un'indagine sui casi di più grave « disamministrazione » del territorio nelle aree urbane italiane. Un modo per continuare, in concreto, l'analisi delle riforme inesistenti e della degenerazione delle ipotesi di intervento sul territorio.


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