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queste ìstìtuzìunì
Il "federalismo amministrativo" oltre le leggi
Le pubbliche amministrazioni nella fatica del cambiamento labio Giglioizi, Amick Magniei; Francesca Gagliarducci, Luca Lo Schiavo
Indici 1994-1997
queste istituzioni rivista del Gruppo di Studio Società e Istituzioni Anno XXV n. 112 (ottobre-dicembre 1997) Direttore: SERGIO RISTUCCIA Condirettore: ANTONIO DI MAJO Vice Direttori: MASSIMO A. CONTE, FRANCESCO SID0TI Comitato scientifico: MASSIMO De FELICE, BRUNO DENTE, SERGIO LARICCIA, MARIA TERESA SALVEMINI, UMBERTO SERAFINI
Redattore Capo: SAVERIA ADDOTTA Comitato di redazione: ANTONIO CE-UzzONITI, ROSALBA CORI, ADELE MAGRO, BARBARA NEPITELLI, GIORGIO PAGANO, IGNAZIO PORTELLI, MASSIMO RJBAUDO, CRISTIANO A. RISTIJCCIA, ANDRILA SPADETTA
Responsabile organizzazione: GIORGIO PAGANO Responsabile relazioni esterne: MASSIMO RIBAUDO Segretaria amministrativa: PAOlA ZACCHINI Amministrazione e Redazione: Via Ennio Quirino Visconti, 20 - 00193 Roma TeL 0613208732-3215325 - Fax 0613208628 Periodico iscritto al registro della Stampa del Tribunale di Roma al n. 14.847 (12 dicembre 1972) Responsabile: GIOVANNI BECHELLONI Editore: QUES.I.RE sri QUESTE ISTITUZIONI RICERCHE ISSN 1121-3353 Stampa: SAVINI - Via G.E. Rizzo, 18 - Roma Chiuso in tipografla il 28Febbraio 1998 In Copertina: Fotografia di Enrico Natoli Associato all'Uspi: Unione Stampa Periodica Italiana
N. 112 1997
Indice
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Il "federalismo amministrativo" oltre le leggi
Le pubbliche amministrazioni nella fatica del cambiamento L'informatizzazione, la dirigenza e i cittadini Fabio Giglioni 41
Quali leader per la ricostruzione delle autonomie locali AnnickMagnier
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Il come, il quanto e i risultati dell'operare pubblico Francesca Gagliarducci Reinventare i progetti pilota Luca Lo Schiavo
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Indice degli autori
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Indice dei soggetti
editoriale
Il "federalismo amministrativo" oltre le leggi
Le trasformazioni che stanno coinvolgendo tutto il mondo delle amministrazioni pubbliche e dei servizi pubblici non sono semplici né di breve durata. Al contrario, costituiscono un insieme tale di processi diversi che è difficile averne un quadro esatto e sarà sempre più complicato monitorarne gli sviluppi. Ci si può chiedere, innanzitutto, se questi processi potranno avere quel carattere di "radicalità" nella concezione e di rapidità nell'attuazione che sono state predicate dal Ministro Bassanini come necessità storica e come logica politica della nuova operazione normativa che prende le mosse dalle due leggi che portano il suo nome. Nel campo della politica dell'Amministrazione, la linea di "queste istituzioni" è nota ai lettori per essere stataripetuta in vari momenti nel corso degli ultimi anni. Possiamo riferirci, comunque, per una esposizione più sistematica alla parte dell'editoriale del numero 106-107 (Scienze Sociali e Agenda per l'Italia) dedicata ai problemi delle pubbliche amministrazioni. Il cuore del nostro discorso è stato questo: puntare a una strategia complessiva volta alla ricerca e "rianimazione" delle energie vive che esistono nelle pubbliche amministrazioni attraverso un disegno di obiettivi precisi da raggiungere sotto la guida di una dirigenza politica chiamata a durare nel tempo più di quanto mai fosse avvenuto in precedenza in vigenza del sistema politico fondato sul proporzionale. Insomma, ci sentivamo di scommettere sulla semplice durata del Governo e dei governi locali (i sindaci eletti direttamente dalla popolazione) per un'azione forte di rinascita delle pubbliche amministrazioni. Le ragioni per poter fare questa scommessa erano perlomeno due: da una parte, la diffusa convinzione che sulle pubbliche amministrazioni si dovesse agire alla svelta (in questo senso è da tempo orientata l'opinione prevalente del mondo imprenditoriale) anche in ragione di un modo diverso di percepire le pubbliche amministrazioni come infrastrutture collettive necessarie e, dall'altra, il radicato
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convincimento che molto si potesse fare anche a legislazione vigente. Anzi, a quest'ultimo proposito, il convincimento era (ed è) che non bisogna continuare a dare spazio all'insaziabile voglia dileggi che caratterizza l'atteggiamento di burocrati e amministratori pubblici in genere (chi non ha sentito, a proposito ma più spesso a sproposito, la battuta "non si può fare: ci vuole una norma di legge"?). In questo senso il problema non è la delegificazione, ma lo stop alla normazione continua e la capacità di usare bene ie leggi (che non sono un vademecum dove c'è scritto tutto quello che si deve fare, a conforto di pigri e codardi) e di prendere le decisioni giuste e sempre ben motivate. Quel che è avvenuto con il Governo Prodi sembra, a prima vista, lontanissimo dalla nostra proposta. Si è, infatti, imposta l'esigenza di una nuova grande ondata legislativa. Ne è stato propulsore tenace e coerente Franco Bassanini, Ministro della Funzione Pubblica e degli Affari Regionali. Le ragioni di questa nuova grande ondata normativa sono politiche (e, in verità, di buona ed alta politica): prendere atto della crisi dello Stato centrale (il Leviatano stanco e sfasciato) e provvedere con determinazione ad un vero e profondo decentramento, quale in questo Paese non c'era mai stato. L'importanza di anticipare i tempi confronto alle riforme istituzionali per via di cambiamento della Costituzione è tale da poter essere ben accolta come ragione del nuovo grande impegno normativo. È chiaro che, sulla scia di questa forte motivazione, vale anche muoversi per eliminare una serie di ostacoli che erano stati frapposti alle precedenti prove di riforma dalla normale capacità di resistenza degli interessi e delle posizioni acquisite. Pensiamo alla dirigenza pubblica e alla ristrutturazione dell'organizzazione per ministeri. Dunque, dobbiamo dichiararci convinti della linea seguita dal Ministro Bassanini, al quale va riconosciuto il merito di una grande determinazione anche nei momenti in cui è parso essere più solo. Il punto che vogliamo rimarcare è, tuttavia, ben preciso: la stessa logica di grande politica istituzionale che ha guidato e sta guidando l'operazione chiamata del "federalismo amministrativo" deve essere il criterio selettivo di tutta la fase di normative attuative e consequenziali che stanno seguendo le "leggi Bassanini". C'è un forte rischio, infatti, nell'ampiezza delle possibilità di intervento normativo da esse consentite: che facciano breccia visioni riformistiche ingiustificate o perché superflue o perché dettate da interessi minori o addirittura corporativi. Rigoroso dev'essere, dunque, il filtro selettivo. In secondo luogo, se la ragione della nuova fase normativa è quella di non rin-
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viare ancora un radicale cambiamento del sistema amministrativo occorre assicurarsi che in questa "radicalità" rientri appieno la rottura drastica del circolo vizioso per cui le leggi aprono la strada ad altre leggi, in una sequenza ininterrotta e infinita. Non si tratta di dare alle norme di legge più forza e magari "sacralità" di quanto non possano avere (la desacralizzazione è un fatto compiuto da cui non tornare indietro) in modo da renderle intangibili per più lunghi periodi di tempo. No, si tratta di ricostruire la fisionomia delle amministrazioni sulla base di saperi e di professionalità proprie che vanno misurate nell'attività concreta di servizio ai cittadini. Vorremmo che la lunga strada di una reinvenzione delle amministrazioni come organismi che devono rispondere dei propri risultati, una volta imboccata, fosse percorsa con la massima-decisione. Su questa strada, che non sarà breve, c'è da recuperare tutta quella capacità di stimolo e di "animazione" delle energie migliori che sono nelle pubbliche amministrazioni che ci auspicavamo venisse dimostrata da governi durevoli. Al Ministro Bassanini (e non solo a lui, ovviamente) si presentano ora compiti non meno impegnativi, di non minor importanza di quelli legislativi: essi si riassumono nell'esigenza di promuovere il maggior numero possibile di iniziative per creare la nuova cultura amministrativa alla quale ancorare il cambiamento. Ma come - aiutare le pubbliche amministrazioni a cambiare? Questo è l'importante quesito a cui cercheremo di dare, nel prossimo futuro, una risposta compiuta.
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dossier
Le pubbliche amministrazioni nella fatica del cambiàmento Il presente numero di "queste istituzioni "è un po' speciale. Innanzitutto, presentiamo un solo dossier. La scelta si è imposta dal momento che i quattro articoli che presentiamo parIzno tutti di cambiamenti nella pubblica amministrazione. Il primo ) poi, è un corposo resoconto di due incontri promossi dalla Rivista nel corso del 1997 e delle ultime Giornate di Cortona di cui non potevamo non dar conto a conclusione d'anno. Ciò, purtroppo, ha anche comportato il ritardo con cui viene presentato questo fascicolo. Ma riteniamo ne sia valsa la pena: l'articolo di Giglioni presenta una dettagliata e puntuale presentazione di quanto si è discusso, in particolare delle giornate cortonesi che lo scorso anno hanno compiuto il decimo anno di vita. E anche per festeggiare questo anniversario che abbiamo voluto aggiornare i nostri Indici che si sono rivelati, nel tempo, un utile strumento. Abbiamo, così, continuato il nostro discorso a partire da dove eravamo arrivati con i precedenti numeri: dal n. 97 del 1994. Un numero, quindi, anche per festeggiare.
L'informatizzazione, la dirigenza, i cittadini Cronache di tre " incontri in redazione" di Fabio Giglioni* Per "queste istituzioni" e per gli amici del "Gruppo di Studio Società e Istituzioni" il 1997 ha rappresentato un anno di intenso lavoro. Infatti, oltre al consueto incontro svoltosi a Cortona, che l'il e il 12 ottobre celebrava il decimo anniversario delle Giornate di Studio, la Rivista ha organizzato nei mesi precedenti altri due appuntamenti su alcuni aspetti dei processi di riforma dell'amministrazione. L'anno che si sta per concludere ha portato numerose innovazioni dal punto di vista normativo, proprio per questo la Rivista ha ritenuto utile fornire ulteriori momenti di riflessione comune per ragionare sui cambiamenti in corso e dare contributi di competenza ed esperienza. Il primo di questi incontri è stato promosso anche dalla Commissione per le Pubbliche Amministrazioni del Consiglio Italiano per le Scienze Sociali, con la collaborazione dell'ApE (Associazione Pubblica Efficienza) e si è svolto il 19 maggio nella Sala della Maggioranza del Ministero del Tesoro. Tema della giornata "L'informatizzazione nelle pubbliche amministrazioni".
* Dottorando di ricerca in Diritto Amministrativo, Università di Milano.
Le relazioni hanno riguardato i temi suggeriti da Guido Rey, presidente dell'AIPA, che ha fatto un resoconto della situazione a quattro anni dalla legge istitutiva dell'AIPA, esaltando in particolare modo le potenzialità che il processo di informatizzazione può comportare all interno dell amministrazione. Hanno aderito all'incontro, oltre che singoli studiosi e professionisti, molti dirigenti della pubblica amministrazione ai quali pi1 direttamente era rivolta l'iniziativa. Sempre nella stessa sede, il 17 luglio si è svolto un "Convegno sulla riforma della dirigenza amministrativa". Il dibattito, organizzato con la collaborazione di alcune associazioni di dirigenti di pubblica amministrazioni l'APE, l'ADIGE (Associazione Direttori Generali), "Mario Rossi" - è stato introdotto da Bruno Dente. Naturalmente, nel corso delle varie relazioni sono state prese in considerazione le leggi Bassanini - ancor fresche di stampa sulla Gazzetta Ufficiale - che incidono molto sui tema, benché rimandino ai decreti di attuazione per la loro effettiva applicazione. Il Ministro Bassanini ha partecipato all'incontro chiudendolo con un suo intervento.
Il terzo incontro, come si è detto, si è svolto a Cortona e ha avuto come tema "La trasformazione dei rapporti tra pubblica amministrazione e cittadini dopo il 1990'. Il dibattito, condotto da Sergio Lariccia, si è svolto sulla base di due relazioni: una di Guido Corso sull'interpretazione della legge 8 agosto 1990, n. 241;l'altra di Gregorio Arena sulla prospettazione di un modello di amministrazione denominato "amministrazione condivisa". Per il decennale delle Giornate cortonesi, dunque, gli organizzatori hanno ripreso un argomento squisitamente amministrativo, anche se visto in un'ottica che comprende anche contributi di altre dottrine scientifiche, lasciando temi più politico-costituzionali riferiti ai problemi della democrazia. Al dibattito hanno partecipato, oltre agli amici del Gruppo di Studio, studiosi, professionisti, amministratori di Enti locali, funzionari pubblici e magistrati. Prima di vedere nel dettaglio i tre incontri, è opportuno evidenziare alcuni elementi comuni che possono agevolare la lettura successiva. Innanzitutto si può scorgere dai temi trattati che, mentre quelli dei primi due incontri fanno riferimento alle questioni riguardanti le strutture della pubblica amministrazione centrale (sia pure in una prospettiva di rafforzamento del decentramento amministrativo), il terzo tema è più trasversale, ha un oggetto di riferimento se si vuole, più indefinito, abbracciando una moltitu2
dine di istituti amministrativi. Se si assumesse come riferimento lo "sportello" di un'amministrazione qualsiasi, si dovrebbe dire che i primi due temi riguardano tutto ciò che. è posto dietro lo sportello, mentre il terzo ciò che è di fronte. Tuttavia, se si potesse trarre una conclusione unica dei tre incontri, si dovrebbe dire che non esiste una netta distinzione tra i profili dell'organizzazione e quella dell'attività della pubblica amministrazione. I confini sono molto più sfumati di quanto le semplificazioni classificatorie facciano supporre. Infine, l'informatizzazione, la dirigenza, il rapporto con i cittadini costituiscono tre aspetti diversi e autonomi delle tematiche proprie della pubblica amministrazione, ma possono essere visti anche in modo complementare, come tre aspetti di un unico rapporto: la dirigenza che incarna l'anima dell'amministrazione, l'informatizzazione che rappresenta i mezzi con cui essa opera, i cittadini che si presentano come interlocutori o "interfacce" dei servizi da essa offerti. I tre aspetti, cioè, in modo sintetico, ripercorrono gli elementi essenziali dell'amministrare: i soggetti che amministrano, gli strumenti di amministrazione e gli amministrati chiamati a cooperare e a interagire. Visti così, gli incontri che ora si tratteranno in modo separato possono ritrovare un filo rosso interessante.
1. LINFORMATIZZAZIONE NELLE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI: CAPIRNE GLI EFFETTI E LE POTENZIALITÀ
Il fenomeno della "globalizzaziohe" è un tratto distintivo delle società di questo fine secolo tanto che, qualsiasi sia il campo di osservazione, uno studio serio sui mutamenti dei comportamenti e delle strutture sociali non può prescindere da un'analisi che parta dalle cause di quel fenomeno e, dunque, in primo luogo, dall'affermarsi della società dell'informazione. Se poi quale campo d'indagine sociale si osserva la pubblica amministrazione, si ricava la sensazione che il solo parlare di informatizzazione all'interno della pubblica amministrazione implica una grande novità per una struttura sociale che, specie nel nostro Paese, si è distinta per la sua chiusura e la gelosia dei suoi linguaggi e delle sue forme d'espressione. D'altronde, appare sempre più persuasiva l'idea che i processi di innovazione nella pubblica amministrazione discendano più che dal piano normativo, la cui importanza comunque è indiscutibile, da quello fattuale dei comportamenti e dei modelli di relazione che hanno per protagonisti chi detiene effettivamente ruoli di responsabilità. Se questa è la premessa intuitiva, occorre successivamente indagare su quale ruolo specifico l'informatizzazione gioca all'interno dell'ammini-
strazione pubblica. Purtroppo l'idea, piuttosto semplice, che l'informatizzazione comporti semplicemente l'introduzione di nuove attrezzature o l'acquisizione di software è, a oltre quattro anni dall'approvazione della legge che ha istituito 1'AJPA, ancora prevalente. Ciò si deve sia al deficit di formazione specifica che riguarda il personale e la dirigenza della pubblica amministrazione, sia alle resistenze di tipo culturale che rendono l'amministrazione una struttura in cui l'attività si informa, più che altrove, a criteri cartacei e formali. In questo senso, traspare dagli sforzi di. Guido Rey il tentativo di valorizzare tutte le implicazione dell'informatizzazione sui processi decisionali dell'amministrazione, sottolineando con ciò le ripercussioni organizzative dei modi di lavorare all'interno di un plesso amministrativo ma, soprattutto, nei rapporti tra amministrazioni. È lo stesso Rey che fotografa con precisione lo stato dei processi decisionali della pubblica amministrazione: "I processi decisionali vengono fatti e presi sulla base di documenti cartacei, sull'elaborazione di documenti cartacci senza nemmeno la percezione che l'informatizzazione possa modificare profondamente il processo decisionale. È evidente che il processo decisionale è caratterizzato ed è stato pensato come una meccanizzazione di attività manuali e non è stato pensato come una revisione dei processi di lavoro". 3
Rete contro frammentazione Nella situazione attuale le pubbliche amministrazioni, anche in forza degli strumenti di cui vengono dotate, sono in possesso di un'enorme mole di dati, i quali, però, non vengono sfruttati adeguatamente perché non è chiara l'implicazione dei processi decisionali che da essi prendono le mosse. La messa in rete delle informazioni ha la concreta possibilità di superare la gestione frammentaria e lenta delle procedure amministrative, rafforzandone invece i caratteri di efficienza, rha tutto ciò dovrebbe avere come effetto un ripensamento dei modelli organizzativi. Perché ciò avvenga, Rey individua alcune condizioni che appaiono perlopiù condivise dal resto degli esperti di pubblica amministrazione. Un primo aspetto da considerare è che non esiste la pubblica amministrazione ma che esistono più pubbliche amministrazioni, dotate ciascuna di missioni specifiche in grado di mettersi direttamente in relazione con l'esterno, senza dover ripercorrere obbligatoriamente modelli organizzativi precostituiti e organizzati su base verticale. L'amministrazione di missione specifica implica naturalmente l'obbligo di procedere attraverso una procedura che fissa degli obiettivi a cui vincola la propria azione. In questo modo l'amministrazione, al momento di fissare gli obiettivi, deve poter acquisire quanta più informazione possibile affinché questi possano risultare realistirii
ci e deve riorganizzare gli uffici in modo che questi possano condividere quegli obiettivi e avere gli stimoli opportuni per conseguirli. Si tratta di un'informazione la cui importanza non si misura solo in termini quantitativi, ma ben più in termini qualitativi di r4onto e di misurazione delle possibilitì. È necessario avere per questo una banca dati che consenta di leggere in comparazione i dati e ricavarne un'indicazione per l'attività futura e, allo stesso tempo, porre queste informazioni al sicuro da ogni variazione normativa che, quando si verifica, comporta sempre la distruzione delle vecchie informazioni e dei relativi cambiamenti procedurali. C'è un secondo aspetto da considerare. Dice Rey: "Normalmente avviene che ogni volta che si modificano le regole si distrugge il software e se volete la informatizzazione connessa a quelle regole, ma anche - cosa inconcepibile - il risultato di questa. Ne consegue un continuo lavorio legato a questa trasformazione che rende difficoltoso il lavoro delle amministrazioni perché genera situazioni di incertezza, di ansia e di tensione, dal momento che non si sa come gestire questo passaggio". Naturalmente un'amministrazione non può rimanere così configurata: deve, invece, essere in grado 'di dialogare con l'esterno e deve aprirsi per diventare davvero servizio, piuttosto che somma di organi dotati di potere a cui rispondere secondo criteri gerarchici. Risulta
così che un'amministrazione configurata per attività programmata è un'amministrazione con un alto tasso di responsabilità diretta, in cui l'informatizzazione gioca un ruolo fondamentale nell'offrire spunti di analisi che permettano a essa di gestire al meglio un'organizzazione complessa. Secondo Rey: "La quan.tificazione, la misurazione sono un modo parziale di vedere il sistema, ma se accanto a questi temi di natura quantitativa ci mettiamo anche una valutazione di natura qualitativa, una valutazione di confronto nel tempo e nello spazio, il sistema di informazione si arricchisce e nuovamente il processo decisionale non è più soltanto nelle mani di colui che ha 'i cordoni della borsa', ma è di chi deve prendere la decisione ed è responsabile di attuare gli obiettivi. Su questo punto diventa coerente il fatto che non ci sia un sistema informativo decisionale, perché fino ad oggi l'unico sistema decisionale era quello finanziario, ma tutto il resto era misconosciuto. Ermanno Granelli rileva, tuttavia, che sul punto lo stato delle amministrazioni è, a dir poco, arretrato: "Un altro deficit enorme che abbiamo nelle nostre pubbliche amministrazioni è il cosiddetto deficit di reporting, perché nelle nostre amministrazioni non c'è Ci sulle attività l'abitudine al e non c'è perché néi casi in cui è abbozzato questo sistema si fa per via cartolare e anche perché non c'è l'abitudine a seguire i processi decisionali
nel percorso attuativo con continui elementi di raffronto con gli obiettivi programmati; e nella più parte delle volte non c'è neanche la definizione degli obiettivi".
Spazio e tempo come opportunità Gaetano D'Auria ha peraltro osservato che l'informatizzazione è un processo che comporta inevitabilmente un cambiamento della percezione dello spazio e del tempo o, meglio, comporta una modificazione della considerazione di queste due variabili: non più come vincoli, ma come opportunità. Ne consegue che un riflesso strisciante dell'informatizzazione è anche quello di un'organizzazione più razionale che fissa sin dai suoi livelli più bassi e più vicini ai privati i centri decisionali, con un forte incremento dell'efficienza e della responsabilità amministrativa. Lo spostamento dei centri decisionali ha una ripercussione fondamentale sugli stessi processi, ma appare ancora più in linea con quella tendenza che è in atto, specie con la I. 59/1997, di procedere verso un maggiore decentramento. "Dentro tutti questi procedimenti non si dimentichi che siamo in una logica di sdrammatizzazione del tema del decentramento e del federalismo, perché l'informatica ci consente, volendo, di delocalizzare, decentralizzare attraverso reti. Cominciare ad introdurre nei nostri ragionamenti elementi di sdrammatizzazione come questo, 5
ho la sensazione che ci possa aiutare anche a lavorare in concreto per fare qualche operazione di razionalizzazione sensata". Ancora più dirompente è la modificazione dell'elemento tempo che, mentre finora aveva una definizione statica, convenzionale, di mero vincolo, potrebbe assumere ora, grazie alla riforma dell'amministrazione improntata sulla diffusione dei mezzi informatici, una connotazione dinamica a garanzia di procedure e di misure d'intervento più efficienti. In questo senso la variabile del tempo entra a far parte delle procedure amministrative e ne diventa un carattere gestibile dai responsabili al fine di sfruttarne le potenzialità qualitative. Secondo Guido Rey: "Oggi, l'unico riferimento che noi abbiamo, l'unico momento in cui scatta l'elemento tempo, e lo fa in maniera distorta, riguarda la contabilità di Stato e il tema dei residui, che, se vogliamo, è proprio la negazione del concetto di tempo. Ciò è perché riteniamo di non essere in grado di gestire la dimensione tempo e quindi mettiamo dei vincoli che fanno capo, di nuovo, a questo schema di program.mazione finanziaria
Che ne è del concetto di "interesse pubblico"? Tuttavia non mancano rilievi critici da chi, pur condividendo l'importanza e il ruolo dell'informatica nei mutamenti dei processi decisionali, sostiene
che l'evoluzione attinente all'amministrazione sia da ricondurre non in modo prevalente all'informatizzazione quanto all'antica quaestio del significato da dare all'interesse pubblico. Per Sergio Lariccia: CCÈ difficile poter pensare che attraverso il ruolo della tecnologia e dell'informatica si possa arrivare a dei risultati positivi se non si scioglieranno i nodi su questo problema circa i fini dello Stato. Questo è un aspetto fondamentale. Sono molti a ritenere che ancora sia valido nel diritto amministrativo e nella scienza delle amministrazioni il principio dell'interesse pubblico come all'inizio del secolo lo avevano fotografato studiosi come Ranelletti, e cioè non come interesse dei privati, della collettività, come dovrebbe dedursi da una reale lettura della Carta costituzionale, ma come un interesse dello Stato, un interesse facente capo alla persona giuridica pubblica. Se non si supera questa logica è difficile che il risultato possa arrivare a dei buoni obiettivi.
Il ciclo programmazione/controllo La seconda condizione per avere una modifica dei processi decisionali attraverso l'impiego dei mezzi informatici è strettamente conseguenziale a quella relativa alla programmazione: dal momento che l'azione deve fissarsi per obiettivi da raggiungere, questi poi devono rendersi in qualche modo misurabili e verificabili attraverso un'azione di controllo. Il controllo, dun-
que, è l'altra condizione necessaria, dove però di esso bisogna dare un'accezione ben diversa da quella finora condivisa. Mentre, infatti, la programmazione è un tipo di attività praticamente mai affermatesi nell'amministrazione, a differenza di quanto avviene nelle imprese private, l'attività di controllo è stata sempre presente nella pubblica amministrazione. Tuttavia, il concetto di controllo che in questa sede si vuole difendere è completamente diverso: esso non deve essere né esterno, né formale, ma deve imputarsi a una finalità che è di collaborazione e di verifica dei risultati rispetto agli obiettivi prefissati. Il controllo di legittifTlità che, esercitato o dalla Corte dei conti o dagli organi d'ispezione, atteneva a una concezione dell'amministrazione che la vedeva come integrata verticalmente, in cui l'unica responsabilità era verso il superiore gerarchico, è del tutto inadeguato a rendere possibile una forte riforma dei processi decisionali perché è ispirato a una logica repressiva che non stimola la responsabilità ma, piuttosto, il timore di agire. La logica dei controlli deve essere dunque diversa: si deve rafforzare quella tendenza alla diffusione dei controlli interni che sono orientati alla collaborazione con gli uffici per il fine pensato in comune. Ne consegue che l'eventuale riscontro negativo dell'azione di controllo deve comportare la mera correzione di indirizzo e non il blocco
dell'azione. In questo senso la gestione dei dati si libererebbe di un'enorme potenzialità d'impiego al fine di soddisfare nel modo più adeguato le esigenze che sono oggetto dell'azione amministrativa. La correzione durante il processo ha, infatti, la capacità di responsabilizzare i vertici dell'amministrazione e di concentrare l'attenzione maggiormente sui risultati, Ancora per Rey: "Il controllo per definizione non deve essere mai punitivo, il controllo punitivo non fa mai capo al disegno programmazione/cofltrollo ma fa capo, semmai, all'ispezione, all'ispettorato, alla repressione degli aspetti di illegalità. Nel momento in cui noi inseriamo l'elemento punitivo, noi distorciamo tutto. Il ciclo programmazione/controllO è invece esattamente opposto: lo scostamento fra l'obiettivo previsto e il consuntivo realizzato deve essere fondamentale per correggere e quindi procedere in relazione allo scostamento. Questo è un elemento fondamentale che porta a dire che il controllo deve essere interno mai esterno, deve far capo al processo di aggiustamento che è rilevante per i modelli decisionali. Per Ermanno Granelli: "In questo ciclo di pianificazione e controllo è evidente che il controllo non può essere punitivo e tuttavia il nostro sistema, ancora oggi, anche quello dei controlli interni, si è orientato ad adottare tecniche di controllo che sono ispirate alla repressione piuttosto che al sugge7
rimento. Occorre una definizione dei ruoli delle funzioni di controllo interno tra le funzioni di controllo gestionale e le funzioni ispettive e poi le altre connesse con il processo di pianificazione e, infine, tra quelle relative al controllo di gestione. Inoltre bisognerà definire una volta per tutte i rapporti tra i controlli direzionali, i controlli interni e i controlli esterni, la Corte dei conti, il sistema delle ragionerie, distinguendo le diverse funzioni in modo da esaltare l'aspetto dF promozione rispetto a quello repressivo Gli esempi di possibilità d'impiego dei nuclei di controllo interno non mancano, avendo vista la loro istituzione col ciclo di riforme avvenuto nel '93, e, tuttavia, anche quando sono state insediate queste nuove figure, non sono mancati atteggiamenti che in realtà hanno ripercorso quelli classici repressivi tradendo le aspettative che in esse si riponevano. Per Antonio Di Majo: "Ad esempio gli uffici che si stanno mettendo nelle università, che si chiamano nuclei di valutazione interna, ho l'impressione che siano altra cosa perché in prima approssimazione sono stati intesi come ispettorati". Una nuova cultura del controllo, dun-' que, agevolerebbe una riforma dell'amministrazione improntata su sistemi decisionali assolutamente innovativi e forieri di un rapporto pi1 moderno fra amministrazione e privati. 8
Privatizzazione come confronto con il mercato Un'altra condizione per una modifica radicale dei processi interni di decisione è la privatizzazione, intesa non come trasformazione giuridica di imprese e neppure come cessione della gestione di servizi a privati, quanto piuttosto come apertura al confronto col mercato. La privatizzazione comporta, infatti, soprattutto la necessità di raffrontarsi con le esigenze di mercato, sia pure speciale quale può essere quello dell'amministrazione classica. In ogni caso, l'amministrazione ha l'obbligo di verificare il raggiungimento dei suoi obiettivi non solo tramite un giudizio elaborato con parametri interni, ma anche in relazione al grado di soddisfazione che riesce a realizzare nei destinatari dei suoi servizi. Se non si vuole che l'amministrazione sia solo un apparato di potere occorre che passi l'idea che le procedure decisionali devono rapportarsi pure alle influenze e al grado di soddisfacimento che i suoi utenti ricevono da quell'azione. Certamente, qui c'è il problema di approntare un sistema che possa rilevare il gradimento del mercato rispetto a "prodotti" che sono privi intrinsecamente di un valore economico, ma questo è un passaggio cruciale per una riforma dell'amministrazione tesa ad affermarne una maggiore responsabilità. Sostiene Guido Rey: "L'idea che mi sono fatto sul concetto di privatizzazione è che esso deve essere legato al-
la verifica della domanda, perché si privatizza se si ritiene che il mercato sia in grado di darmi degli indicatori rapidamente e correttamente sui funzionamento di un'impresa. Sembrerebbe che la pubblica amministrazione sia incapace di avere questo tipo di segnale, ma io ritengo che, invece, un sistema informativo creato, pensato, ideato e realizzato consente di fornire dei segnali che hanno un valore interpretativo analogo a quello che viene fornito dal mercato con i prezzi o con i profitti. Credo che sia abbastanza facile per un economista, nel momento in cui io ho delle code, delle risorse inutilizzate, poter considerare questi come indicatori alla stregua dei prezzi o del tasso di disoccupazione. La rapidità e l'adeguatezza che impone qualsiasi mercato, perfino quello dei "certificati", sono dei requisiti indicativi per misurare la capacità della pubblica amministrazione di soddisfare i suoi utenti. Comprendere le rfrme Infine, ma non meno importante, è piuttosto unanime la considerazione sull'inefficacia delle riforme "normative" senza l'adeguata comprensione e condivisione del personale amministrativo. Per ottenere ciò è opportuno che essi siano motivati alla responsabilità dei risultati e che sia predisposto un piano di formazione che ricomprenda in primo luogo il vertice dirigenziale.
Si è notato, infatti, come sia necessario che a concorrere al successo delle riforme vi sia un ampio consenso che deve partire proprio dal vertice degli apparati fino ai livelli più bassi. Per Roberto Finuola: "È necessaria una sensibilizzazione dell'alta dirigenza che sia in un certo qual modo coattiva (sulla forma e sui modi non sta a me decidere) poiché le amministrazioni sono piramidali. Dal momento che al vertice della piramide abbiamo un politico bisogna convincere questo che la dirigenza non deve essere cambiata ma deve essere costretta a misurarsi col mercato e, quindi, ad informarsi non solo di commi e articoli, ma anche di che cosa la tecnologia può fare per migliorare". A cui risponde Giuseppe Cogliandro: "Il vero nodo è quello delle risorse umane, perché tutti gli altri elementi del sistema normativo sono risolvibili mediante legge: organizzazione, procedure, bilancio, controlli. Sennonché la legge poi deve essere attuata e per l'attuazione occorre che ci sia del personale colto, motivato, capace di rischiare, capace di attrezzarsi culturalmente e professionalmente ed è proprio questo il problema: fare una seconda rivoluzione culturale. In questo caso il pessimismo si giustifica col fatto di avere a che fare con una burocrazia poco motivata, poco stimolata, poco colta contemporaneamente ma, soprattutto, che non ha voglia di rischiare anche perché il sistema dei 9
controlli ed altre cose sono stati strutturati e pensati per disincentivare il rischio personale. C'è poi un problema politico per la gestione di queste riforme riguardanti il personale che deve essere affrontato preliminarmente e senza il quale ogni tentativo di riforma corre il serio rischio di annacquarsi. Ricorda Giorgio Pagano: «Non ci puo essere innovazione se al vertice burocratico delle amministrazioni non ci sono gli innovatori, ma non solo gli innovatori nella scrittura delle norme. Io credo che il discorso che oggi è sull'alta dirigenza dell'amministrazione deve scendere sulla dirigenza di livello più basso. Privatizzare significa, in questo senso, andare sul mercato alla ricerca di persone che sappiano fare, per un periodo di 4-5 anni, interventi nelle varie strutture. Il che non dico riguardi tutta l'alta dirigenza, però certamente quella che organizza la struttura. Possiamo costruire grandi progetti tecnologici (ormai sappiamo che questi progetti sono alla portata) ma il problema è il comando di questi progetti, è l'autorità politica che deve trovare gli uomini che hanno la capacità culturale e gestionale di condurre i processi. Si evince dal dibattito scaturito che, affinché si dispieghino totalmente le potenzialità insite nel processo di informatizzazione nella pubblica amministrazione, è necessario che si avverino alcune condizioni relative alle 10
strutture interne all'amministrazione e una maggiore sensibilizzazione dei vertici aziendali sui temi di efficacia ed efficienza che finora sono stati trascurati. Queste condizioni preparano il terreno a una riforma « informaticd' che abbia come obiettivo una maggiore razionalizzazione delle risorse interne e una maggiore capacità di soddisfare i bisogni di una comunità. Il successo delle riforme dipenderà poi dalle risorse ché si vorranno mettere in campo per accompagnare questo processo, giacché strutture di accom pagnamento saranno sicuramente necessarie. Il problema che si pone è se esse debbano essere all'interno di ogni amministrazione o piuttosto un'unica struttura che coordini il processo nel suo insieme. Si deduce che l'esito delle rforme dipende sempre meno da ciò che il legislatore scrive e sempre più dagli input che i vertici amministrativi vorranno inviare al complesso delle amministrazioni che presiedono. In questo senso anche l'opera dello studioso dovrà sempre più spostarsi dalla mera valutazione formale-normativa, alla verifica fattuale dei mutamenti dei comportamenti e delle attività concrete. Le considerazioni e gli studi che si concentrano sempre più sulle reali condizioni delle amministrazioni renderanno meglio il senso del processo riformistico.
2. LA QUARTA FASE DELLA RIFORMA DELLA DIRIGENZA DELLA PUBBLICA AMMINIST1AZIONE
La recente legge del 15 marzo 1997, n. 59, può essere considerata come il pilastro della quarta fase della riforma della dirigenza amministrativa, ovvero il quarto tentativo di riforma. Le precedenti fasi si sono avute con il d.PR 10 gennaio 1957, n. 3, con la legge 18 marzo 1968, n. 249 e con il d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29. Tanto pit importante è quest'ultima fase per i suoi specifici caratteri innovatori, esaltati dal fatto che le precedenti hanno avuto nella pratica uno scarso riscontro. Di qui è scaturita un'enorme attesa. In questo senso, la spinta verso l'applicazione di regole privatistiche suona oltre che come effetto di una naturale tendenza del diritto amministrativo, an-. che come il riconoscimento che il processo di ammodernamento non può derivare dalla conservazione delle strutture fondamentali di tipo tradizionale. Tuttavia, queste novità - pure importanti - non spiegherebbero completamente il bisogno di tornare a considerare proprio l'aspetto di riforma riguardante la dirigenza, dal momento che le due leggi, dette Bassanini, presentano tanti altri elementi di interesse e considerazione. Le ragioni per cui si indugia a riflette re ancora su questi aspetti sono almeno tre: a) la presa di coscienza - alme-
no in tema di dirigenza - dell'insufficienza delle "riforme per decreto"; b) la necessità che alcuni elementi innovatori passino per un'innovazione del patrimonio culturale del personale che ne è interessato e, in primis, dei vertici dirigenziali; c) la pressione derivante dall'integrazione europea. La prima ragione è alla base, come già ci è detto, delk spiegazione del perché sia stata necessaria una quarta fase. Le variazioni norm,ative hanno avuto spesso il merito di ratificare princìpi di cui dottrina e giurisprudenza reclamavano l'applicazione, ma si sono dimostrate scarsamente utili per scardinare sistemi comportamentali e organizzativi sedimentati da anni. Le norme hanno il compito, quando sono chiare e per quel che sono chiare, di indicare una strada, percorrere la quale è però rimesso agli uomini che su quella strada si trovano. D'altro canto, si può rilevare che la proliferazione normativa sulla pubblica amministrazione, avutasi negli ultimi anni, ha un effetto paradossale, poiché ormai i princìpi e i mezzi messi a disposizione per le singole amministrazioni sono talmente ampi che appaiono quasi ripetitivi e, talvolta, possono apparire inservibili. La vera svolta consiste invece nel renderli concreti. Per Sergio Ristuccia: "È un invito a non polarizzare l'attenzione, le capacità, le energie solo sulla meccanica degli aggiustamenti normativi, delle normative secondarie che abbiamo di 11
fronte come percorso necessario delle leggipiù recenti, ma cercare di cogliere le opportunità per avere il massimo ventaglio di possibilità di innovazione del sistema. Oggi vanno raccolte tutte le occasioni per superare una serie di ostacoli - anche intellettuali, culturali - sempre frapposti. Bisogna saper usare, realizzare e valorizzare le norme. Guai a ritenere, come finora è stato, che tutto si esaurisca in una continua produzione normativa". Aggiornare culture e competenze La seconda ragione è strettamente collegata alla precedente: ciò che le norme non possono cambiare è la sensibilità culturale delle persone a cui sono rivolte, ma è esattamente di questo che si sente il bisogno. Dunque: agire direttamente sugli uomini, a partire dai livelli più alti, in modo che si diffonda un nuovo complesso di competenze. In questo senso l'attenzione sulla dirigenza della pubblica amministrazione è facilmente spiegata. La necessità che lo spirito riformatore passi attraverso le menti di chi ricopre ruoli di responsabilità giustifica l'intervento sulle risorse umane, specie per ciò che concerne la loro formazione. Per Fabio Trizzino: "È necessario partire subito con delle attività formative a tappeto, perché se è vero che abbiamo riformato la legge di biLncio è anche vero che a livello di classe dirigenziale nel suo complesso, non siamo abituati a ragionare per budget e que12
sto non si può imparare autonomamente. C'è quindi necessità di non aspettare la riforma della Scuola superiore della pubblica amministrazione, accettando implicitamente la situazione attuale. Si deve affermare l'idea che si possa ricorrere anche ai privati per l'attività formativa. La scuola superiore della pubblica amministrazione potrà diventare il cervello dell'attività formativa nella pubblica amministrazione, ma ora c'è la necessità di non attendere invano questo momento". Per Giorgio Tino: "Io sono francamente più pessimista dei miei colleghi - e lo dico con coraggio. C'è per fortuna una presa di coscienza da parte di parecchi, che pare vadano aumentando, circa il loro ruolo, circa la loro responsabilità, circa l'accettazione di determinate regole, ma rappresentano ancora dei tentativi timidi. Il principio cardine del decreto 29, cioè la distinzione tra potere, dovere di indirizzo, controllo e gestione, in effetti, è ancora allo stato latente con grossissime responsabilità della dirigenza di vertice. Le resistenze al controllo di gestione, le resistenze alla responsabilizzazione, le resistenze diffuse all'accettazione di logiche e di strumenti che effettivamente possono fissare degli obiettivi, intercettare le responsabilità e far rispondere dei risultati anche pagando, nel caso in cui le cose vadano male, non sono ancora patrimonio della dirigenza generale". Sulla riforma della pubblica ammini-
strazione incide pure l'integrazione europea, dal momento che la disciplina dei mercati e della concorrenza delle imprese implica un riflesso sul sistema organizzativo nella sua complessità e, quindi, anche sulla pubblica amministrazione. Ciò è vero perlomeno in un duplice senso: prima di tutto, l'amministrazione è parte del sistema dei mercati, per cui il suo modo di essere non può essere considerato neutrale per la regolazione di quelli; in secondo luogo, l'ordinamento comunitario spinge verso l'affermazione di regole comuni che disciplinino su uno stesso piano i soggetti pubblici e quelli privati. L'integrazione europea, puntando sull'omogeneità dei sistemi produttivi nazionali, sicuramente incide sull'amministrazione nella direzione di regole più semplici, che sono quelle privatistiche dell'efficienza e della diretta responsabilità. Ne consegue che a esserne influenzata non è solo l'amministrazione nella sua struttura, ma anche il modo di fare amministrazione, che inevitabilmente coinvolge anche i dirigenti della pubblica amministrazione. Si pensi a quanto possa essere difficile conciliare un'amministrazione chiusa e organizzata gerarchicamente col bisogno di comunicare con le altre amministrazioni e gli altri sistemi amministrativi, come l'integrazione europea inevitabilmente comporta e, ancor più, comporterà. Per Federico Cempella: "Questo pro-
cesso di internazionalizzazione accompagnato dalla globalizzazione dell'economia pone, non soltanto, il mondo delle imprese a rapportarsi con quello internazionale, ma anche quello della pubblica amministrazione. Infatti, questa entra in un circuito in cui la qualità dei servizi incide sempre più fortemente sulla qualità della vita dei cittadini, che è il fine ultimo della pubblica amministrazione quale interprete dell'interesse generale. Certo i parametri di raffronto non possono essere identici a quelli vigenti in àmbito economico ma la tendenza alla razionalizzazione e alla semplificazione è inevitabile". Se questi sono alcuni dei motivi per cui appare necessaria una riflessione approfondita sul tema della dirigenza della pubblica amministrazione, sono ora da individuare gli obiettivi della nuova fase di riforma.
In che modo riequilibrare politica e amministrazione' In questo senso sembra ancora una volta necessario definire in modo più chiaro la distinzione fra àmbito politico e àmbito amministrativo. La distinzione fra le due istanze è stata promossa e appoggiata dalla 1. 8 giugno 1990, n.142 e dal d.lgs. 29/1993, ma risulta ancora insufficiente nella sua applicazione reale. Ciò appare dovuto soprattutto al fatto che le precedenti leggi - ma, anche una certa convinzione diffusa - si sono limitate a riba13
dire il principio, quasi a sottintendere che la realizzazione di questo fosse da chiedersi semplicemente a un ritiro della sfera politica. In realtà l'equilibrio fra la sfera dei poteri (di intervento programmatorio, di controllo e di reale gestione dei processi amministrativi) andrebbe valorizzato pensando a un rafforzamento dell'amministrazione; nel senso di un rafforzamento della sua capacità di auto-riformarsi e di leggere autonomamente i processi reali su cui agisce; Questo presuppone che attraverso la valorizzazione dell'autonomia dell'amministrazione si concretizzi una cultura della gestione, ben fondata sull'analisi dei costi e dei rendimenti. In un certo qual senso per recuperare un giusto equilibrio tra politica e amministrazione si deve realizzare un paradosso: a fronte di un'organizzazione pesante e tuttora molto stratificata con una diffusa cultura dell'irresponsabilità, si deve tendere a dar fiducia agli uomini di quella stessa amministrazione - e, quindi, in parte agli stessi responsabili di questa organizzazione affinché con un maggior potere nelle loro mani sentano la necessità di autoresponsabilizzarsi. Può sembrare un paradosso, ma la cultura della gestiore non si ottiene né avallando politiche di depoliticizzazione estrema, né con politiche di contenimento di spese con parametri economici etero-determinati, né, infine, con un semplice azzeramento dei vertici - ammesso, e non 14
concesso, che questo sia possibile -, ma piuttosto con un'opera - sicuramente pii complessa che, partendo dalla situazione attuale, punti a valorizzare le risorse interne e a spingerle a una maggiore responsabilizzazione. Secondo Bruno Dente: "Da questo punto di vista si capisce naturalmente la debolezza di avere immaginato che la qualità del ceto politico fosse di un certo tipo: perché se la qualità del ceto politico cambia (in meglio) tutte le norme che mirano a depotenziare la politica incontrano alcune difficoltà. Quindi, il punto centrale di questa nuova fase di riforma è quello di vedere il riequilibrio del rapporto tra politica e amministrazione non sul versante dell'indebolimento della politica, bensì sul rafforzamento dell'amministrazione". Afferma Stefano Parisi: "Credo che la vera partita della riforma della pubblica amministrazione si gioca intorno alla questione della gestione. Fino a oggi nella pubblica amministrazione la questione della gestione è stata negata, essendo stata negata la questione della responsabilità, nel senso che non c'è stata la responsabilizzazione dei vertici dell'amministrazione e non si è mai dato nessuno strumento per poter far sì che i vertici della pubblica amministrazione potessero gestire in modo efficiente le propfie amministrazioni. Il concetto di gestione può risolvere due grandi problemi della pubblica amministrazione: il problema dei costi
e quello dell'efficienza. Solo l'autonomia gestionale può consentire l'utilizzo dei mezzi più appropriati che nello specifico sono: la flessibilità dell'uso delle risorse e la capacità di coinvolgere tutti i livelli d'impiego nel perseguimento di obiettivi predeterminati". Per questa ragione, non è convincente una certa tendenza che è sembrata prevalente negli ultimi di anni, di porre al vertice delle amministrazioni dei tecnici, perché il problema non è tanto quello di "neutralizzare" le nomine o le promozioni con il manto della tecnicità professionale, quanto il bisogno di creare dei manager di una struttura che deve essere pensata in termini diversi. Non si tratta di fare una guerra tra professioni ma di chiarire gli obiettivi: se lo scopo è quello di rendere l'aniministrazione una struttura efficiente cd economica, è chiaro che il profilo del dirigente dovrà essere quello di gestore d'impresa, che può anche avere le conoscenze tecniche ma che deve, soprattutto, creare le condizioni per una struttura che sia in grado di soddisfare i bisogni dei soggetti che ne richiedono l'intervento. Giorgio Tino afferma: "Mi è molto piaciuto Stefano Parisi quando ha alluso a una cosa che io giudico di una gravità notevole, e cioè alla confusione che talvolta si fa a livello di top manager tra i manager e i tecnici. Vi sono parecchie persone - anche molto autorevoli della classe politica - che pensano che i dirigenti di vertice debbano
essere prima di tutto dei buoni tecnici, ovvero degli specializzati. È evidentemente una cosa molto grave: prima di tutto, i dirigenti generali devono essere degli ottimi manager, cioè dei gestori delle macchine spesso complesse che costano molto e che sono poste a loro disposizione, poi se sono anche dei tecnici di particolare valore tanto meglio". In altri termini, si nega al momento l'esistenza in sé di un tecnico della gestione amministrativa e si nega, comunque, che questo possa essere assimilato ad un esperto della materia, cui si riferisce l'azione amministrativa.
Da dzpendenti a professionisti L'alto profilo del dirigente, che così viene a richiedersi, implica lo spostamento della figura giuridica del dirigente da lavoratore dipendente - sia pure anomalo - a professionista, il quale è vincolato al raggiungimento degli obiettivi e alla qualità dei risultati. Il professionista deve avere la capacità di analizzare i bisogni che deve soddisfare ma, soprattutto, deve avere la capacità di predisporre i mezzi adeguati per il soddisfacimento di quei bisogni al minor costo possibile. In questo seiuo, l'amministratore moderno deve organizzare su un modello diverso le amministrazioni e, cioè, non più per comparti integrati verticalmente, ma per direzioni orizzontali. I dirigenti professionisti non devono avere più remore a usare strumenti 15
quali il controllo di gestione ma, soprattutto, devono essere in grado di utilizzarli in modo efficace per governare al meglio le strutture di cui sono a capo. Ne consegue un cambiamento dei caratteri qualificanti dell'azione dei dirigenti: essa deve ispirarsi a criteri di programmazione del lavoro, deve avere obiettivi chiari e deve vincolare la permanenza e la riconferma dei suoi responsabili al raggiungimento di quegli obiettivi. La trasformazione del dirigente in professionista - sia pure con le accortezze del caso - significa rendere il rapporto tra questo e l'amministrazione assai più flessibile. Ciò si traduce inevitabilmente anche nella disponibilità automatica del dirigente a rinunciare alla sua posizione nel caso risultassero mancati determinati obiettivi: in questo modo si abbatte uno dei princìpi che regolano da sempre, come pilastri importanti, i rapporti della dirigenza della pubblica amministrazione, cioè quello dell'inamovibilità. La responsabilità del dirigente deve diventare molto più semplice da accertare e da far valere, sia nel caso in cui il riscontro dell'azione da lui guidata sia positiva; il che avrebbe naturalmente effetti premiali; sia nel caso in cui sia negativa, cosa che avrebbe effetti, invece, penalizzanti. Naturalmente, perché questo sia possibile è necessario dotare i dirigenti di mezzi adeguati e, soprattutto, bisogna che si renda flessibile l'utilizzazione delle risorse. 16
Per Giorgio Tino: "Gli incentivi economici devono essere sempre più significativi rispetto alla parte fissa e devono essere attribuiti discrezionalmente all'amministratore delegato dell'azienda o al ministro, in modo da attivare una sana competizione tra soggetti. Dirigenti professionali significa: chi ha ben lavorato, chi ha dimostrato di ben lavorare può e deve evidentemente aspirare a posizioni di maggior rilievo sia nella stessa amministrazione, sia in altre amministrazioni". Per decentrare occorrono negoziatori Altro obiettivo della riforma è da leggere in relazione con la generale tendenza dell'ordinamento e in particolare delle ultime leggi, dette Bassanini, di decentrare i poteri e, soprattutto, con la generale tendenza di affermare con l'affermazione del principio di sussidiarietà. È noto che con tale principio si sostiene la necessità di fissare i centri decisionali al livello più basso e più vicino alle collettività di riferimento, presupponendo, dunque, un rafforzamento delle autonomie delle strutture di amministrazione. Questo fa sì che chi si pone ai vertici di queste strutture avrà a che fare non tanto con organi superiori o inferiori secondo il modello tradizionale gerarchico ministeriale, quanto con altri responsabili di altre strutture autonome con cui necessariamentesi deve confrontare. Tutto, ciò implica che il dirigente che si profila
deve avere grandi doti di negoziatore più che di "esecutore" di ordini. Questa figura del negoziatore presuppone - ancora una volta - un'ampia possibilità di impiego delle risorse e, allo stesso tempo, impone al responsabile di rendere partecipe della propria azione tutti i livelli di amministrazione con un'opera di fòrte motivazione. Ne discende una maggiore responsabilizzazione del dirigente dalla cui abilità negoziatrice dipende il raggiungimento dei propri obiettivi e una rete di relazione di coordinamento. A differenza del passato, dove tutti gli interventi e le attività che coinvolgevano più soggetti dell'amministrazione, oltre a essere di un'enorme complicazione burocratica, erano ammessi soltanto attraverso l'intervento politico, ora, con la prospettiva di un forte impulso delle autonomie, le opere di coordinamento dipendono direttamente dai dirigenti delle amministrazioni coinvolte, con possibilità di soddisfare al meglio le reciproche esigenze. Si vede, da questa trasformazione, come sarà sempre più importante per l'attività amministrativa l'attività consensuale, piuttosto che quella provvedimentale e per atti, e questo implica una rimodulazione dei modelli organizzativi con uno spiccato rafforzamento delle linee direzionali orizzontali (proprio come se si trattasse di un'azienda). Secondo Bruno Dente: "La prima cosa da dire è, naturalmente, la condizione perché tutto ciò si verifichi. La condi-
zione è che si abbandoni l'ideale che è stato a lungo perseguito, anche in maniera molto autorevole, di forti amministrazioni, magari snelle, ma integrate verticalmente. Bisogna andare verso quella cosa che è stata definita lo "spacchettamento dell'amministrazione pubblica", che significa sostanzialmente la creazione di strutture autonome nel perseguimento di missioni stabilite dall'autorità di governo. Dall'ideale del grande ministero, del segretario generale che controlla i direttori generali, che a loro volta controllano i direttori di divisione ecc., si va verso una logica in cui l'indirizzo politico si esprime attraverso la definizione di missioni, mentre l'iniziativa e l'innovazione vengono da strutture che probabilmente devono avere delle dimensioni minime per poter mettere in moto alcuni processi di apprendimento. La legge 5911997, soprattutto come novellata dalla 12711997, consente in sede di decreti delegati, entro il 31luglio 1998, di fare rigorosamente quello che si vuole. Infatti, benché appaia ad alcuni costituzionalmente dubbio, si possono fare agenzie autonome, dipartimenti e altro e sarà interessante vedere ciò che rimarrà allo Stato. Uno degli effetti di questo disegno complessivo è che i dirigenti dello Stato o delle amministrazioni superiori non avranno sotto di sé macchine o strutture organizzative che forniscono dei servizi a svantaggio dei cittadini, bensì strutture operative le quali si interfacciano con 17
altri dirigenti, con assessori regionali, con assessori comunali, con i sindacati, con le forze sociali, con le organizzazioni non governative. È implicito nelle scelte del legislatore il passaggio a un pluralità di amministrazioni che tra di loro negoziano.
Un rapporto professionale legato ai risultati In sintesi si può dire che destinazione finale di tutto questo processo di riforma è il vincolare sempre più il rapporto professionale tra dirigenti e pubblica amministrazione al conseguimento dei risultati, in una logica di efficienza più che di garanzia. Afferma Stefano Parisi: "Credo che il sistema della responsabilizzazione rispetto ai risultati sia un valore talmente importante che accentui ovviamente l'esigenza di autonomia e, conseguentemente, di mettere in piedi dègli strumenti per l'accesso che siano il più possibile legati ai livelli di professionalità". Affinché sia possibile trarre dal complesso delle riforme questo tipo di dirigenza è necessario ricorrere all'uso 'di diversi strumenti che risultano molto importanti: la formazione, l'uso estremo della contrattualizzazione, la ridefinizione delle politiche sindacali, nuovi criteri di selezione, la garanzia della sicurezza dai controlli invadenti, la definizione delle competenze della magistratura. Per ciò che riguarda la formazione il discorso mostra un duplice aspetto: il
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primo si riferisce all'apprendimento di una cultura del rischio e dei risultati che si può avere solo con un lento processo di mutamenti dei comportamenti e che, in pratica, si risolve nel ricorrere al mercato per reclutare le personalità, da questo punto di vista, già formate (ma ciò attiene più propriamente alla questione della selezione del personale su cui si tornerà dopo); il secondo fa invece riferimento all'opera di riforma che investe i centri di formazione della burocrazia e, in particolare, la Scuola superiore della pubblica amministrazione.
Dirigenti a 7ormazione permanente" C'è la necessità di trasformare questa scuola come punto di riferimento non solo per la selezione del personale dirigenziale ma, soprattutto, per rendere possibile un'opera di formazione continua, rivolta ai dirigenti sul modello dell' école administratffrancese. Naturalmente perché ciò avvenga passeranno ancora degli anni, per cui appare necessario porre rimedio da subito a questo annoso problema ricorrendo alle risorse private, sia nel senso di utilizzare, scuole private di formazione, sia nel senso di apprendere, attraverso un contatto diretto, quelle esperienze del mondo privato che hanno dato buona dimostrazione di sé nel campo dell'amministrazione. Non è da escludere che questo ruolo guida possa essere esercitato dalle ammini-
strazioni pubbliche che hanno dato già buoni risultati, sia attraverso forme di pubblicità degli esempi migliori, sia attraverso una vasta pperazione di mobilità che renda possibile una circolarità dei migliori dirigenti. Sostiene Bruno Dente: "Io credo che uno dei punti centrali del processo di trasformazione, che come tutte le trasformazioni non finisce mai, è la creazione di qualche luogo e qualche situazione nella quale il top-management dello Stato abbia occasione d'incontro, di dibattito, di scambio di esperienze, di farsi formazione reciproca dal momento che tutto sommato è difficile trovare qualcuno che possa fare formazione a essi. Io credo che oggi abbiamo di fronte un periodo di trasformazione che, se le previsioni sono giuste, durerà per i prossimi 4 o 5 anni e alla cui fine quasi nulla di quello che noi abbiamo conosciuto nella nostra vita lavorativa come pubblica amministrazione dovrebbe rimanere uguale. Sarebbe perciò di grande importanza che la dirigenza rivendicasse la necessità di avere strutture e funzioni che sono capaci di fare questo. La scuola superiore non mi pare che si interessi di questo, e tuttavia bisogna creare una logica istituzionale di formazione, sotto forma di associazioni, club e luoghi senza alcun tipo di monopolio. Questa esigenza - vi assicuro - è molto sentita nel settore privato, per cui o nel settore pubblico non è sentita, e allora è grave, o è sentita ma
non si è capaci di tradurla in pratica, e quindi è ancora più grave". Gli risponde Fabio Trizzino: "Sulla base dell'esperienza maturata all'interrio del mio ente bisogna cercare di essere gruppo e accettare la leadership' di quelli che riconosciamo che sono più avanti e, in sostanza, socializzare scambiandoci le esperienze. Questo perché è necessario portare sul terreno dell'innovazione la classe dirigente del Paese intero.
La base contrattuale del rapporto di clirigenza La legge 5911997 spinge, attraverso l'emanazione di futuri decreti legislativi, verso un uso massiccio della forma contrattuale per tutti gli aspetti riguardanti il rapporto tra pubblica amministrazione e pubblica dirigenza. In questo senso essa valorizza il processo iniziato col decreto legislativo 29/1993, anche se, come più volte chiarito, ora tali norme ancora attendono di essere portate a esecuzione. L'importanza di questa accelerazione risiede non soltanto nel fatto che, attraverso la contrattazione dei compensi economici, è possibile computare una percentuale maggiore della retribuzione nella voce contrattuale riservata agli incentivi per risultati (spingendo così, attraverso la leva economica, a una maggiore professionalizzazione del rapporto), ma anche nel fatto che possono essere co-decise anche nuove formule di selezione del perso19
nale, può essere ampliato il ricorso ai rapporti a tempo determinato accrescendo la competizione del personale e così di seguito. La base contrattuale del rapporto dirigenziale costituisce un mezzo essenziale per acquisire una dirigenza che badi prevalentemente ai risultati, che sia fortemente responsabilizzata e che possa essere valutata per i soli risultati. Inoltre, sull'esenlpio di quanto avviene nel mondo privato, nella contrattazione collettiva possono essere definite nuove forme di garanzia, impegnando, ad esempio, il governo a ratificare nuovi strumenti per la trasparenza della valutazione selettiva e di quella afferente alla verifica dei risultati, oppure si può impegnare il governo ad alleggerire le forme di controllo o a tenere conto in modo diverso ovvero anche a non tenere conto di quei controlli di legittimità che hanno un effeito negativo sull'azione dell'amministrazione, alleggerendo la responsabilità degli amministratori. Si tratta di rivoluzionare completamente un modo di concepire il rapporto tra amministrazione pubblica e i suoi dipendenti, ma questo passaggio appare necessario e coerente con l'ampliamento che la stessa legge fa delle competenze del giudice ordinario nella materia di pubblico impiego, anche per quegli aspetti, come si legge nell'art. 11, che hanno per presupposti atti amministrativi. Per Maurizio Sacconi: Loccasione del contratto deve essere fortemente 20
enfatizzata da entrambe le parti e io mi auguro che entrambe le parti lo voiranno fare: da una parte una dirigenza auto-organizzata con una piattaforma credibile e dall'altra il governo, anch'esso con una piattaforma da far valere, come nelle migliori relazioni indistriali. Due piattaforme per un accordo che abbia carattere non solo economico ma che può avere anche una parte relativa agli impegni che il governo prende con la dirigenza, in ordine anche a processi normativi e comportamentali". Uno dei limi:i maggiori per il rinnovamento del ruolo dei dirigenti della pubblica amministrazione è stata, finora, la rigidità con cui si sono fissati i livelli di responsabilità e di impiego nella pubblica amministrazione, con aspetti talvolta degenerativi e cominque in totale disuguaglianz nei confronti dei pari privati. Lo sviluppò di una diffusa contrattualizzazione e di una nuova figura professionale di dirigente implica che si adottino due forme di coiitrattazione una collettiva, che si preoccupi di fissare i limiti retributivi minimi e gli aspetti normativi essenziali, e l'altra individuale, che si curi di definire nel dettaglio gli aspetti economici, in particolare quelli premiali, e gli aspetti normativi per quanto di competenza. Ciò consentirebbe alla figura dirigenziale di avere un livello contrattuale a tutela sindacale, che più opportunamente definisce gli aspetti generali, e
uno specifico, invece, che sarebbe caratterizzato da un rapporto diretto tra amministrazione e dirigente senza intervento della rappresentanza sindacale. Questo disegno permette, in parte, di continuare la tradizione garantista del nostro ordinamento rispetto all'esigenza di tutelare la paritarietà di figure lavorative omogenee e, dall'altro, risulterebbe più adeguato per l'affermazione della nuova figura professionale. In questo modo ci sarebbe anche il superamento di un eccesso di sindacalizzazione che nei pubblico impiego ha rappresentato un freno nel processo di riforma. Peraltro, il largo uso della contrattazione individuale ha la potenzialità di risaltare le diversità vigenti nei diversi comparti o nelle diverse strutture, adeguando con più oculatezza i bisogni delle parti e, soprattutto, incentivando la cosiddetta contrattazione premiale. Non può, però, essere sottaciuto - a questo punto - un elemento di forte ambiguità: i dirigenti, per una parte, usufruiscono della tutela sindacale nel rapporto col governo, ma, dall'altra, esercitano il ruolo di datori di lavoro nei contratti di comparto con gli impiegati pubblici. Il paradosso è che spesso i sindacati che essi si trovano a fronteggiare da cdatori di lavoro" sono gli stessi che tutelano loro medesimi nei confronti del governo.. Bisogna evitare che ciò si riproponga ancora, magari favorendo nuove associazioni di rappresentanza per i dirigenti.
Afferma Bruno Dente: "Terzo elemento, assolutamente implicito in quello che ho detto finora, è il problema della costruzione dei rapporti di lavoro, che a livello di top-management non potranno che essere rapporti di lavoro individuali. Francamente non riesco a vedere come si faccia a fare il contratto collettivo dei direttori generali con un sistema che prevede la stessa rappresentanza sindacale del resto dei dipendenti". Gli fa eco Giorgio Tino: "È necessario attivare sin da subito il contratto individuale. Evidentemente nel periodo transitorio esso si può orientare su una specie di contratto collettivo, in cui la controparte non sia il sindacato dei lavoratori, ma associazioni di categoria particolarmente rappresentative: tuttavia l'interesse primario rimane quello di far partire subito il contratto individuale. E per Stefano Parisi: "L'unico modo per raggiungere la flessibilità nell'utilizzo dei fattori è quello di sciogliere le rigidità del rapporto con il sindacato, rappresentativo degli impiegati e dei dirigenti. Infatti se è vero che bisogna avere un rapporto di flessibilità nei confronti dell'utilizzo delle risorse umane, il rapporto deve essere chiaro nei confronti delle organizzazioni sindacali che rappresentano tali risorse. È necessario distinguere i sindacati che difendono i dirigenti da quelli che tutelano gli impiegati, perché altrimenti si ripropone quella situazione ambi21
gua di rapporto non corretto tra chi è datore di lavoro che contratta con l'altra parte che è anche sua organizzazione di tutela". Nuovi percorsi di selezione e reclutamento Altro punto fondamentale del discorso sulla dirigenza è quello relativo ai processi di selezione. Il ricorso ai concorsi pubblici quale unico criterio di selezione, come finora è stato, non appare più coerente con gli obiettivi che si sono fissati, perché, da. una parte, essi non sono sufficientemente al riparo da obiezioni sulla trasparenza, ma, soprattutto, perché la ricerca di un professionista, quale deve essere il nuovo dirigente, necessita di un'attività valutativa che vada ben oltre il patrimonio nozionistico o la capacità di elaborare tematiche astratte, e che faccia piuttosto riferimento all'esperienza professionale e al curriculum. È necessario, cioè, che la selezione avvenga con un confronto nel merito fra più esperienze professionali, che metta in risalto le qualità di un soggetto rispetto a un altro sulla base del raffronto di ciò che è stato fatto. Finora, invece, si è posto, a livello di base, la selezione per concorsi. Poi, una volta all'interno, si può accedere ai ruoli dirigenziali senza che vi sia più una procedura di selezione, essendo sufficiente che si trovi un accordo con chi deve fare le nomine. Questo sistema è, da una parte, poco trasparente e, dall'al22
tro, inefficiente, dal momento che così facendo si scartano automaticamente le risorse esterne o quelle che hanno maturato sul campo un'esperienza rilevante sotto il profilo professionale. Afferma Bruno Dente" "Io ho sempre trovato, dopo il decreto 29, assolutamente paradossale che per assumere dei signori che avevano uno status di dipendenti privati ci voleva il concorso e per assumere invece dei signori che avevano uno status di dipendenti pubblici questo non era necessario. Infatti, non solo del concorso c'era bisogno, ma c'era bisogno di pubblicità e di valutazione comparativa ed è demenziale che noi non abbiamo la pubblicità dei posti di maggiore rilevanza che si vogliono ricoprire nell'amministrazione dello Stato. Se io dovessi mettere un principio nella Costituzione, direi che: a) il concorso non è il modo normale di reclutamento dei dipendenti pubblici; b) per i posti di maggiore responsabilità bisogna garantire la pubblicità e la valutazione comparativa dei curriculum. Questo è il modo normale con cui si trova gente brava e capace a tutti i livelli, mentre ora funziona che prima si fanno concorsi un po' insensati, nel corso dei quali l'unica cosa che non conta è ciò che hai fatto prima, ovvero i risultati che hai ottenuto nel mestiere che hai fatto prima, poi si può valutare quanto hai imparato il diritto amministrativo o qualcosa di questo genere e, infine, basta mettersi d'accor-
do per ricoprire posti di responsabilità. Mi rendo conto che così facendo si tolgono dei livelli di flessibilità, ma credo che ogni tanto certi vincoli sono opportuni e se fossi un dirigente dello Stato lo rivendicherei un p0' . Chiederei che qualcuno valuti il mio curriculum in confronto con qualcun altro, valutando, non se sappia il diritto amministrativo, ma cosa ho combinato in altri posti". Per Giorgio Tino: "È necessario andare verso forme di reclutamento aperte che privilegino, almeno in una fase transitoria, quelli che già sono presso le amministrazioni pubbliche. Si può prevedere l'istituzione di un ruolo unico che costituisca un serbatoio da cui attingere i manager per le diverse amministrazioni, secondo chiamata diretta (il singolo amministratore delegato o il capo azienda chiama un dirigente che in quel momento può essere eventualmente anche in servizio presso un altro ministero) o libera. Cosa, quest'ultima, ancora impraticabile ma verso cui si deve tendere".
Controlli di legittimità duri a morire I dirigenti lamentano un'ancora eccessiva invadenza dei controlli di legittimità, in particolare quelli che provengono dall'esterno. Tali tipi di controllo sono stati predisposti in una fase in cui l'aspetto garantistico dell'azione amministrativa prevaleva su quello dell'efficienza. Ora, dal momento che si cerca di avere dei professionisti diri-
genti che sappiano rischiare, che siano valutati per i risultati, è ovvio che queste forme di controllo debbano essere riviste. Bisogna sviluppare nuove forme di controllo che, innanzitutto, siano interne e che, soprattutto, abbiano a riferimento non la legalità delle procedure ma misurino 1 efficienza e 1 efficacia dell'azione. Si tratta di passare da una cultura del controllo di carattere censorio e punitivo a una cultura della misura dell'azione amministrativa che abbia come obiettivo quello di verificare il raggiungimento di obiettivi ed, eventualmente, di correggere - non bloccare - l'attività in corso. Ci sono poi da utilizzare nuovi strumenti di controllo come il controllo di gestione, il cui ricorso, sebbene venga sollecitato anche per via legislativa (da ultimo si veda la legge 3 aprile 1997, n. 94 e il decreto legislativo 5 dicembre 1997, n. 430), appare ancora scarso. In sostanza questi nuovi strumenti di controllo hanno la funzione di aiutare chi ricopre posti di responsabilità a individuare gli obiettivi e ad adottare le politiche necessarie per raggiungerli. Per Stefano Parisi: "Il terzo tema è quello che io chiamo della sicurezza, per cui un dirigente generale deve essere messo al riparo dalle 'molestie' che normalmente subisce. Parlo del sistema dei controlli, di una giurisdizione di diritto penale che renda sostanzialmente il vertice delle amministrazioni deresponsabilizzato, dal momen-
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to che interesse dei dirigenti diventa quello di accattivarsi il consenso di quelli che li controllano, piuttosto che di raggiungere un buon risultato. E questo è molto importante, perché se è vero che dobbiamo mirare a procedure e ad azioni delle amministrazioni che siano mirate ai risultati, allora è molto importante che la legittimità e il controllo di legittimità vengano dopo il risultato. Non voglio dire che bisogna raggiungere i risultati con azioni illegittime, ma il fatto che ci siano delle legittimità formali alle quali si può derogare è un valore positivo, .se questo consente di raggiungere il risultato prefissato". Ricorda, poi, Giuseppe Favale: "L'altro aspetto fondamentale sono i controlli. Anche qui sta per uscire un decreto legislativo ai sensi dell'art. 7 della legge n. 94 del 1997. L'ho intravisto, e già si scorgono elementi di incertezza. Le ragionerie centrali non sono solo più organo di controllo di legalità; ma si mantiene invariato il controllo sugli impegni, la cui verifica ai sensi dell'art. 20 della 1. 468/1978 richiede l'obbligazione giuridicamente perfetta. Se così è allora non è cambiato niente perché resta la verifica dell'obbligazione giuridicamente per.. fetta, anzi la si è ancora più complicata. Altro elemento incerto è la trasformazione delle ragionerie centrali in un organo di controllo di gestione, perché è certo che esso vada perfezionato, ma questo lo deve fare la stessa ammi24
nistrazione che gestisce. I servizi di controllo interno finalmente cominciano a vedersi nelle amministrazioni, ma ora si dice loro di collaborare con le ragionerie centrali il che è un assurdo dal momento che è già difficile far lavorare insieme due divisioni della stessa direzione generale, figuriamoci due organi di ministeri diversi". Ribadisce il ministro Franco Bassanini: "A quest'ultimo riguardo vorrei dire, non per polemica nei confronti di alcune interpretazioni, che l'art. 7 della 1. 94 parla chiaramente di controlli di gestione interni alle singole amministrazioni che provvedono alla specifica elaborazione di indicatori di efficienza, efficacia e di economicità, nonché la valutazione dei costi, dei rendimenti e dei risultati di ciascuna amministrazione". E Fabio Trizzino: "La riforma del '94 ha trasformato la Corte dei conti stabilendo che la responsabilità contabile c'è solo per colpa grave e per dolo, però il comportamento dei magistrati ditale corte continua a essere ispirato al controllo di legittimità tanto da indurre il dirigente a non decidere". Infine un accenno merita pure, sempre .nell'àrnbito della delimitazione dei controlli, la magistratura e, in particolare, quella penale. Spesso è stata vista la sua azione come un'azione di invadenza della sfera amministrativa in quanto, anziché concentrarsi sull'effettiva violazione della legalità, ha sindacato la ragionevolezza delle scelte
fatte dalle amministrazioni. Ovviamente questo ha un effetto inibitorio nei confronti dei dirigenti che sono chiamati a fare scelte delicate. Per questa ragione appare necessaria una maggiore specificazione dèi confini di competenza dell'autorità giudiziaria. A questo scopo, peraltro, si è provveduto recentemente con la modifica dell'art. 323 del codice penale, avente in oggetto la figura dell abuso d ufficio che più di altre ha suscitato perplessità per la sua genericità. Le ragioni forti di una rforma L'incontro si è concluso con l'intervento del ministro Bassanini che, oltre a toccare i vari punti della riforma delle leggi che portano il suo nome, ha naturalmente sviluppato un discorso di ordine più politico, circa la necessità della riforma stessa e delle modalità della sua realizzazione. A differenza del passato questa fase di riforma necessita di una rapidità 'maggiore perché, innanzitutto, 'sono mutate le esigenze sociali e il contesto storico, e poi perché esistono vincoli internazionali più forti. Secondo il Ministro, in particolare, sono quattro le ragioni che inducono ad affrontare questa fase con una particolare decisione: a) la ristrettezza dei tempi d'azione per, via dei vincoli internazionali ed europei; "Non c'è dubbio che la preparazione del ceto politico e anche di una parte della dirigenza pubblica costituisce un
problema perché i tempi che sono molto ristretti. Non possiamo permerterci un processo riformatore che si distende nel tempo, come sarebbe necessario, perché il morso della competizione globale e del processo di convergenza europeo ci impone di fare tutto rapidamente" le difficoltà nascenti dal rapporto di sfiducia che c'è nel Paese; r i r. necessaria una rirorma moito coraggiosa altrimenti succederà una serie di cose, compreso un qualche tipo di secessione di una parte del Paese, che è dovuta innanzitutto ad una protesta nei confronti dell'inefficienza, più che dell'amministrazione, del "sistema" amministrativo, dell'attività e del tipo di organizzazione amministrativa" la condivisione di questo processo di riforma con un'autorevole fetta d'opinione pubblica, sebbene minoritaria; "A me pare che questo sia un momento nel quale forse soltanto una minoranza consapevole dell'opinione pubblica - tuttavia abbastanza importante, perché comprende i gruppi dirigenti di tutte le grandi organizzazioni collettive, imprenditoriali, sindacali e così via - vuole e sostiene la riforma, incalza per la riforma. Questa è sicuramente una carta da giocare, perché probabilmente non c'era dieci anni fa" la consapevolezza che anche buona parte del parlamento si rende conto dell'urgenza della riforma; "Forse per la prima volta abbiamo ottenuto dal parlamento la possibilità 25
ma questo non significa che l'abbiamo fatto, anzi siamo ancora lontani dall'averlo fatto - di utilizzare tutta la gamma degli strumenti necessari per un'operazione di riforma e modernizzazione molto coraggiosa". Questa necessità di rendere celere l'attuazione delle riforme è un elemento che può essere vissuto con ansietà a scapito della qualità della riforma, ma può essere visto anche come una grande opportunità, come è già successo per il risanamento pubblico. Saranno gli stessi interessati a cercare di far prevalere l'aspetto di opportunità su quello di vincolo. Un altro aspetto - sottolineato dal Ministro - riguarda anche la modalità con cui politicamente ci si accinge a operare. C'è la necessità di una profonda radicalità del cambiamento, un intervento che sia determinato ad andare fino in fondo al processo riformatorio, in modo che il discrirnine tra chi farà parte di questo processo e chi no sia determinato non dal grado di tutela sociale o dall'appartenenza politica che uno può rivendicare, ma piuttosto dalla capacità di mettere in discussione le proprie capacità e conoscenze. Un passaggio graduale delle riforme rischierebbe di lasciare tutto a metà, con ripercussioni ben più gravi rispetto al passato, dal momento che oggi i sistemi istituzionali e sociali sono sempre più integrati e in competizione. Afferma Franco Bassanini: "io credo che nel '92-'93 sia stata fatta una 26
grande riforma, ma oggi i tempi si sono accorciati, la pressione e la domanda sono più forti. Questo comporta una grande opportunità insieme all'impossibilità di usare un gradualismo che allora era necessario e utile, perché se oggi ci si ferma a metà strada il rischio è che si moltiplichino soltanto le controreazioni negative. Si richiede anche un grande sforzo collettivo e quindi anche la creazione di un consenso diffuso, oltre che di collaborazione, di concorso di idee, di esperienze e di proposte. Tuttavia mi pare difficile che si possa fare con il consenso di tutta l'attuale dirigenza pubblica, perché se la riforma manterrà la sua necessaria radicalità spaccherà dirigenza e dipendenti pubblici, ma non per schieramenti politici, quanto in relazione alla cultura e alla capacità di rinnovare le proprie conoscenze professionali. 3. I
RAPPORTI TRA PUBBLICA
AMMINISTRAZIONE E CITTADINI DOPO IL
1990 Quando si parla dei rapporti fra amministrazione pubblica e cittadini, non si può prescindere ormai dall'analisi della 1. 241190 che ha disciplinato i princìpi del procedimento amministrativo. L'importanza di questa risalta, innanzitutto, per il fatto che si tratta di una legge che, a differenza di
quelle che si sono succedute dopo i! 1993, non ha come obiettivo le strutture dell'amministrazione pubblica, ma, più precisamente, il modo di amministrare e i comportamenti nei confronti dei privati. La ragione di questa scelta è stata individuata nella consapevolezza del fallimento delle altre linee di riforma, che avevano puntato su un intervento diretto nelle strutture, cozzando contro la resistenza di apparati e corporazioni. Ricorda Guido Corso: "L'intervento all'interno delle strutture non ha mai raggiunto i risultati auspicati. La I. 241, sotto questo profilo, rappresenta l'espressione di una filosofia diversa, cioè a dire, non un intervento sulle strutture ma sulle attività. Un intervento, cioè, che, muovendo sostanzialmente dall'idea di una sorta di irredimibilità delle strutture, impone una serie di vincoli sull'attività. La 1. 241 è una legge che trova applicazione a organizzazione invariata; le altre leggi, delle quali - ripeto - il d.lgs. 29/93 costituisce l'ultima espressione, finora muovono, invece, dall'idea che, perché l'amministrazione muti, devono carribiare le regole sulla sua struttura". Cambiare le attività più che le strutture In realtà, tale considerazione rischia di provocare conclusioni inesatte se si deducesse che le riforme aventi riguardo l'azione amministrativa siano più efficaci perché, da una parte, i precedenti lo smentiscono e, dall'altra, una
modifica delle strutture appare inevitabile al fine di conseguire anche un mutamento dei comportamenti dell'amministrazione. D'altronde, questo è l'insegnamento che ci viene dal padre putativo di quella stessa legge, Mario Nigro, il quale considerava il momento dell'organizzazione non del tutto separato da quello dell'attività, individuandone analiticamente gli aspetti di diretta influenza. Valga, al riguardo, una breve citazione: «Come complesso di mezzi per la cura degli interessi generali, l'organizzazione è 'modellata' sugli interessi che deve curare, e quindi necessariamente dipende, nella sua concreta configurazione, dal tipo di interessi che sono considerati (che valgono) come generali. Il sistema degli interessi (dai più generali - politici - a quelli settoriali o di raggio ancora più stretto) - o, che è lo stesso, dei fini del gruppo (perché i fini non sono che la consapevolezza degli interessi) - esprime la sua massima ed immediata validità (vigenza) nel pretendere una 'propria' organizzazione, un'organizzazione che sia idonea a concretarli e ad attuarli; ma, per questa stessa immediata derivazione dalla realtà sostanziale e per lo stesso rapporto di funzionalità che esiste fra mezzo organizzativo ed interesse da curare, l'organizzazione si pone non come mera preparazione (Vorbereitun o possibilizzazione (Ermòglichung) dell'attività sostanziale - se condo un noto ed autorevolissimo in27
segnamento - e nemmeno come creazione delle condizioni ( Verbindung) di essa, ma come 'una presa di coscienza' dei fini, una prefigurazione dell'attività a quei fini o, meglio ancora, come un modo di essere, inizio della stessa attività" (M. Nigro, Studi sulla flinzione organizzatrice della pubblica amministrazione, Milano, Giuffré 1965, pp. 125-127). Peraltro quello della riforma delle strutture dell'amministrazione appare un nodo centrale, giacché l'organizzazione, i costi, le procedure interne di decisione dell'amministrazione soio apparentemente non si riverberano sul rapporto con i cittadini. Nella realtà un'amministrazione inefficiente o inefficace pesa sui suoi rendimenti e, di conseguenza, anche sui cittadini. Appare inverosimile - e, di fatto, lo è - che l'amministrazione possa modificare le proprie strutture sulla sola spinta dell'azione e della domanda di servizi dei privati, perché questo presupporrebbe una sensibilità ai risultati e alla responsabilità che difficilmente è rintracciabile, allo stato delle cose. La 1. 24 1/90 esprime una tendenza, pertanto, che è totalmente opposta a quella più recente che, ad esempio, ha posto particolare attenzione a strumenti quali quello del controllo interno. Questi appaiono meglio idonei a implicare un effetto innovativo nell'amministrazione nel senso, peraltro, indicato dallo stesso art. 1 della 1. 241190 e, cioè, dell'efficacia e dell'efficienza.
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L'insufficienza degli strumenti che garantiscono l'efficacia della legge, rende questa inidonea a un giudizio complessivo sulla capacità di riformare i comportamenti dell'amministrazione. Per Giuseppe Cogliandro: "Probabilmente il sistema amministrativo è troppo complesso perché si possa pensare che sia suscettibile di razionalizzarsi solamente sulla base di un risultato previsto dalla legge, previsto dal cittadino. Le strutture oggi più intelligenti, più duttili, meglio attrezzate per questo còmpito di ammodernamento e d innovazione dall interno sono quelle del controllo interno. La posizione di Corso rischia di essere illuministica perché è vero che la legge prevede il termine, che prevede il responsabile del procedimento, ma se l'amministrazione non ce la fa, l'amministrazione scoppia e il risultato non si consegue La legalità che conta e quella che non conta La legalità, almeno in un certo grado, non solo non deve essere considerata un fine in sé dell'amministrazione ma, in alcuni casi, deve essere piegata alla logica dei risultati e degli obiettivi da raggiungere. Non c'è, infatti, migliore garanzia per i privati che avere un'amministrazione che raggiunga i propri fini ccn il più alto grado di efficienza ed efficacia. Afferma ancora Giuseppe Cogliandro: "Se il funzionario si orienta sulla legit-
timità valorizzerà consapevolmente gli elementi di ordine formale, la procedura, l'organizzazione; laddove, invece, se si pone in un'ottica sostanzialista di obiettivi da risolvere, cercherà di valutare le norme strumentali organizative, le norme procedurali, al fine di renderle funzionali e preordinate al conseguimento del risultato. Con la conseguenza che, se quelle normative strumentali non fossero congrue, dovrà nella nuova logica dell'autonomia del dirigente, prendere le iniziative necessarie per migliorare le normative strumentali e renderle congrue all'obiettivo da conseguire. Badate che la differenza tra norme struentaii e norme finali, norme di obiettivo, norme che valutano e considerano i princìpi dei diritti fo-ìdamenta1i è stata presa in considerazione dalla riforma americana, sulla base di una vasta opera di delegificazione svolta nel 1993. Clinton ha detto che, mentre le norme di principio, che scno tutela ci diritti dei cittadini non possono s:e:. violate, se le norme strurncn1aI violate, non si deve disperare. Lambisce questo aspetto dell'analisi il riferimento alla verifica dell'applicazione della legge, verso la quale si sottolineano tre considerazioni differenti. La prima, che è la prevalente, sottolinea come la legge non ha avuto nessun séguito pratico e ciò non può essere trascurato nel momento in cui si discute di essa, non già per sminuire il valore della legge stessa, quanto per
porre in evidenza che una legge - sia pure importante - non può valutarsi pienamente se non riesce a conseguire cambiamenti effettivi. In questo senso la sordità alla sua applicazione si deve rintracciare nella tardività con cui i dirigen ti amministrativi hanno reagito alle sollecitazioni presenti nella legge, impartendo, spesso, indirizzi non conformi cn quelle che erano ic finalità delle regoie poste dalla legge. Peraltro, a sfavore della stessa legge, ha giocato la mancanza di sanzioni in caso di inottemperanza. Sostiene Giovanni Muscatiello: "Ritengo la 241 una delle innovazioni più importanti apportate nel nostro ordinamento nella pubblica amministrazione dal dopoguerra a oggi. Ritengo, altresì, che ci sia stato molto poco di giacobino, forse molto di romantico, anche sicuramente molto di illusorio, non conoscendosi casi di eutanasia degli apparati, come prevedere una legge così innovativa senza nessun tipo di sahzione rispetto alle resistenze alle inpplicazioni Per una circoLirità delle informazioni È stato, altresì, osservato che uno dei principali ostacoli all'applicazione della legge è dovuto al fatto che, a fronte di un testo che rimetteva la chiave della riforma all'azione del cittadino, si è contrapposta un'attività pratica che ha messo ai margini il cittadino stesso, avendo l'amministrazione fatto scarso uso di un mezzo fondamentale 29
qual è l'informazione. Tant'è che la legge ha trovato, invece, una lodevole applicazione in quei casi in cui il raggio d'azione dell'amministrazione è relativamente delimitato e dove la comunicazione è stata pii facile da realizzare. Se devono essere i cittadini ad imprimere una svolta innovativa nei comportamenti dell'amministrazione, allora è importante che si crei una circolarità di informazioni, che vada dall'amministrazione al cittadino, ma anche nella direzione cntraria. Lutilizzazione di strumenti, che '.anno sotto il nome di customer satisfaction sono particolarmente adatti a recepire i giudizi c le valutazioni che i privati fanno dei servizi loro prestati, ponendoli in questo modo al centro di osservazione dell'attività amministrativa. I cittadini, infatti, non sono gli ultimi destinatari di una serie di ordini gerarchicamente impartiti, ma un fulcro dinamico e un vincolo per l'amministrazione. Afferma Francesca Gagliarducci: "A me sembra, è un'impressione forse superficiale, che l'insuccesso, del quale si è parlato, rispetto all'attuazione delle disposizioni previste nella 1. 241 e, quindi, alla mancanza di un vero rapporto tra pubblica amministrazione e cittadini sia in parte dovuto al fatto che del cittadino stesso l'amministrazione, in molti casi, si dimentica. Io mi domando: il cittadino sa che è in atto un processo sostanziale di trasformazione della pubblica amministra30
zione? Il cittadino sa che ha accesso a determinati documenti, sa che può partecipare, che può chiedere che gli venga indicato il responsabile del procedimento? Dal mio punto di osservazione questo non accade. Io credo che sia un problema enorme perché come dimostra l'attuazione soprattutto nell'àmbito locale delle carte dei servizi, laddove la comunicazione e l'informazione sono state maggiori, c'è stato un successo notevole sul piano della collaborazione fra il cittadino e l'amminitrazione. Tra l'altro, proprio la diretiva del Presidente del consiglio relativa alla carta dei servizi indica come presupposto fondamentale la ridefinizione degli standard non solo in considerazione delle osservazioni dell'amministrazione, ma anche in considerazione delle osservazioni dei cittadini. Qui c'è anche il richiamo alle analisi di custmer satisfaction". La "selezione" dei precetti di legge A dispetto di chi ritiene che la legge sia rimasta lettera morta, altri fanno un'osservazione ben differente. Ci si riferisce alla reazione della dirigenza amministrativa di fronte ai processi di riforma che non è di totale chiusura, bensì di selezione. Normalmente si fa una selezione fra le norme che hanno una diretta applicabilità - da cui, di soiito, discendono immediate sanzioni - e quelle che si ritiene abbiano invece un'ePìcacia differita o indiretta. Mentre n'l primo caso ci si adopera per
un'immediata realizzazione dei precetti, nel secondo il comportamento è molto più dilatorio, con il rischio di vanificare i risultati che con quella norma si erano prefissati. Dunque, non corrisponde totalmente al vero che la I. 24 1/90 sia stata di fatto inosservata, perché ciò vale soio per alcuni dei suoi precetti, quelli che rinviavano, in qualche modo, a un'applicazione successiva da parte dell'amministrazione. Per Gregorio Arena: "Non è vero che la 241 non è stata applicata, ma è stata applicata dall'amministrazione, selettivamente, secondo la cultura dell'amministrazione che è una cultura dell'adempimento più che del risultato. Della 241 sono state applicate quelle disposizioni che per l'amministrazione era troppo rischioso non applicare e quelle che le venivano richieste di applicare dai cittadini. Nella prima categoria rientrano tutte quelle norme che riguardano istituti come i termini, la comunicazione di avvio del procedimento, la motivazione, cioè tutte quelle disposizioni che, se non fossero state applicate, avrebbero provocato da parte del giudice amministrativo degli interventi per l'amministrazione devastanti. Nella seconda categoria rientrano le norme sul diritto d'accesso che sono state applicate solamente perché migliaia di cittadini hanno richiesto l'accesso dei documenti. Se non l'avessero fatto, sarebbe successo quello che è accaduto per le autocertificazioni".
Infine, c'è chi ritiene che la questione dell'applicazione della 1. 24 1/90 sia un falso problema. Questa legge, infatti, ha avuto una lettura e un'applicazione del tutto distorta. Anziché essere vista come legge di riforma dell'amministrazione, è stata vista come una legge contro l'amministrazione, che andassero a snaturare il suo stesso ruolo. Afferma Federico Spantigati: 'A me sembra, che si faccia un esercizio di retorica quando si separa il giudizio sull'applicazione e il giudiziò sui princìpi ispiratori della legge, in quanto il fatto che la 1. 241 non ha avuto l'applicazione si deve a come questa 241 è stata letta ed è stata poi divulgata. Quindi la valutazione che 'si dà della non applicazione significa che c'è una contrapposizione netta tra il modo di leggerla di alcuni e quello, invece, con cui è stata generalmente letta. Ed è in questo il motivo della non applicazione".
L'amministrazione secondo il disegno della legge 24111990 Ma andiamo, dunque, al disegno complessivo che si ricava dalla lettura della 1. 24 1/90. È quello di un'amministrazione che, attraverso la modifica di alcuni princìpi che governano la sua azione, si vede rideterminata gli spazi riservati alla propria competenza a vantaggio del privato. Di questa tendenza sono un esempiò tutti i principali istituti della legge, secondo l'interpretazione data da Guido Corso: a) partecipazione del pri vato al procedi31
mento: l'intervento diretto del privato e dei suoi interessi nel procedimento condotto dalla pubblica amministrazione muta la rilevanza degli interessi in gioco, facendo assumere all'amministrazione il ruolo di giudice imparziale fra gli interessi molteplici. In questo caso, l'interesse pubblico è quello che si sviluppa nella dialettica che si instaura all'interno del procedimento; istruttoria d'ufficio: l'obbligo d'azione da parte dell'amministrazione, in taluni casi, e l'obbligo di accedere ai dati e ai documenti già in possesso di altre amministrazioni comportano un'inversione dell'onere della prova. Quella prova che finora era richiesta al privato quale soggetto esterno all'attività amministrativa; conclusione del procedimento: la legge dispone che i procedimenti debbano concludersi con provvedimento espresso, e in termini certi prede.terminati dall'amministrazione o, in mancanza, entro 30 giorni. Questi elementi consentono di porre fine all'equiparazione fra silenzio e provvedimento negativo, prevedendo anche sanzioni penali per il dipendente che non si attenesse a questo obbligo. Inoltre, essi consentono di porre un vincolo temporale rilevabile immediatamente dal privato, che può farlo valere alla stregua di quanto previsto dall'art. 1183 cod. civ.; obbligo di motivazione viene ampliata la categoria degli atti sottoposti 32
a questo obbligo ma, soprattutto, la motivazione diventa esternazione delle valutazioni che l'amministrazione è obbligata a fare sulle osservazioni e le memorie presentate dal privato nel procedimento. È da considerare, infatti, che l'obbligo di valutazione da parte dell'amministrazione dei documenti presentati dal privato può essere omesso solo nel caso in cui questi non siano pertinenti all'oggetto del procedimento, ma non a discrezione dell'amministrazione; semplificazione: si fa rientrare in questo termine tanto la conferenza dei servizi, quanto la soppressione di alcuni adempimenti procedurali con la pretermissione di pareri o valutazioni tecniche. Per quanto riguarda la conferenza dei servizi, in virtù anche della recente 1. 127197, si consolida il principio di maggioranza, attraverso il quale si supera l'impostazione tradizionale secondo cui tutti gli interessi pubblici hanno pari significatività. L'abbattimento di alcuni adempimenti procedurali mira, invece, a sostenere il principio della prevalenza degli interessi preponderanti contro il rischio di paralisi che deriverebbe dal considerare tutti gli interessi di pari valore e forza; autorizzazioni: la modifica della disciplina punta a liberalizzare l'attività dei privati, rendendo residuale il controllo dell'amministrazione e, comunque, successivo all'inizio dell'attività.
Sgonfiare l'amministrazione Ciò che si desume dall'analisi di questi istituti è che la legge 241/90 instaura una serie di princìpi che hanno la possibilità di rendere i rapporti tra amministrazione e privati improntati su criteri più liberali. Infatti, da una parte, pare modificarsi il ruolo dell'amministrazione che, da monopolista dell'interesse pubblico diviene arbitro degli interessi privati che si manifestano all'avvio di un procedimento, oppure, nel caso delle autorizzazioni, da amministrazione onnisciente e onnipotente confina i suoi poteri al momento del controllo piuttosto che a quello del consenso preventivo e, dall'altra, laddove l'amministrazione conserva una certa potestà d'intervento, le vengono tagliate le unghie, affidando al privato il potere d'incidere e vincolare direttamente il percorso dell'attività amministrativa. Così in uno sguardo più complessivo, lo spostamento del baricentro dell'azione amministrativa e, a volte, la trasposizione del centro decisionale dal pubblico al privato - la cosiddetta sussidiarietà orizzontale - non sono altro che i segni di una trasformazione che punta ad assegnare al privato un ruolo assai maggiore che in passato. Per Guido Corso: "Dalla 1. 241, letta nel modo in cui l'ho letta io e la leggo io, si ricava un suggerimento fondamentale: l'idea di uno sgonfiamento della pubblica amministrazione. Un'amministrazione ipertrofica che de-
ve essere radicalmente falcidiata, non nel senso che le sue funzioni devono essere ripartite fra più amministrazioni, che continua a essere la logica bassaniniana della 59 e della 127, ma nel senso che devono essere radicalmente ridefiniti i confini tra pubblico e privato e ridotto enormemente il perimetro all'interno del quale il pubblico si muove Questo processo si accompagna con alcuni istituti di derivazione più spiccatamente privatistica, come è quello degli accordi procedimentali o provvedimentali, in cui ancor più risalta l'aspetto della co-determinazione delle soluzioni tra potere pubblico e privati in funzione di una maggiore liberalizzazione dei rapporti. Non è, infatti, un caso che qualcuno abbia richiamato gli studi sul procedimento fatti da Miele. Sostiene Manin Carabba: "In riferimento a questa accentuazione del peso del privato nel procedimento sull'incontro quasi negozialc delle volontà fra pubblico e privato, non sarebbe il caso di riprenderci in mano quel tentativo, che il mio maestro (Renato Miele che, per fortuna, gode di ottima salute fisica) fece nell'immediato dopoguerra? Mi chiedo se qualche spunto di ritorno alla dottrina generale del negozio, alla quale far ricorso per la fenomenologia dell'atto e del procedimento amministrativo, non sia una suggestione che possa cssere presa in considerazione
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L'amministrazione coidivisa Come si è detto, nc1l'incontr cortonese il dibattito si è svolto anche in relazione alla prospettazione dell'amministrazione condivisa - che ha come oggetto proprio il rapporto fra amministrazione pubblica e cittadini - avanzata dal prof. Arena. Il punto di partenza di questa prospettazione è dato dall'osservazione che la società contemporanea si carattcrizza per un notevole pluralismo sociale e istituzionale, la cui ragione consiste nel rendere più ampi i mezzi con cui soddisfare i bisogni individuali. Il rapporto fra queste due istanze sociali - quella istituzionale e quella delle formazioni sociali - è stato finora caratterizzato dalla separazione e, quindi, dalla scarsità di dialogo. Sono stati posti in evidenza sempre gli elementi differenziali di struttura delle due parti. Ne consegue che, necessariamente, l'unico raccordo possibile è stato quello autoritario e unidirezionale che i soggetti pubblici e l'amministrazione pubblica hanno istituito nei confronti dei privati. Ora, questo modello di relazione ha mostrato sempre più elementi distorsivi, soprattutto dal punto di vista dell'efficienza e dell'efficacia, e appare in particolare difficoltà, nel momento in cui, in piena crisi del modello dello Stato sociale, la difficoltà maggiore dell'amministrazione si rintraccia nel reperire le risorse economiche per sostenere gli alti costi della burocrazia. L'ipotesi di correzione di questo siste34
ma attraverso l'amministrazione condivisa si basa sulla necessità di considerare i privati non più soggetti passivi del rapporto con l'amministrazione, ma dei soggetti da cui poter trarre direttamente delle risorse per trovare soluzioni a specifici problemi. In sostanza, l'amministrazione condivisa è un'ipotesi di soluzione in cui tanto al privato quanto all'amministrazione pubblica si prospettano dei vantaggi reciproci (non necessariamente di carattere economico) che li stimolano ad agire e a recitare ognuno la sua parte in modo che, seppure da obiettivi diversi - eventualmente, anche contrapposti trovino una soluzione a un problema collettivo più generale. È questo il caso della prevenzione nel campo sanitario. Se si considera la tutela sanitaria come l'intervento che si determina soltanto dal momento del venir meno del buono stato di salute è chiaro che il rapporto non può che essere unidirezionale e le risorse non possono essere che determinate dai costi ospedalieri, ma se si convince i privati che la tutela della salute è tanto più garantita quanto più si presta attenzione alla prevenzione avremo perlomeno tre effetti: a) il privato potrà godere di un migliore stato di salute per un periodo di vita più lungo, con l'unico costo di avere prestato parte del suo tempo e delle sue attenzioni su aspetti che prima non considerava; b) i costi dell'amministrazione scendono decisamente con possibilità di
impiegare tali risparmi in altri investimenti; c l'amministrazione avrà trovato un altro modo di risolvere il problema comune a tanti cittadini. Per Gregorio Arena: "Almeno parzialmente e con risultati diversi a seconda del settore, pare che il problema (scarsità delle risorse finanziarie) può essere meno drammatico se le amministrazioni imparano a fare affidamento sui 'giacimenti', con un brutto termine, presenti nella società e che hanno caratteristiche sconosciute rispetto a quelle da cui le amministrazioni tradizionalmente attingono. ( ... ) Il livello di partenza dei singoli utenti non è zero ma varia come dice lo stesso art. 3 cost. a seconda del sesso, della razza, della lingua. Le persone sono diverse in positivo, oltre che per i problemi di eliminazione delle disuguaglianze. In positivo, questa varietà si esprime in una diversa dotazione di capacità. E questo significa che le amministrazioni dovrebbero imparare a usare le ri sorse pubbliche in maniera mirata, anziché indifferenziata. Le amministrazioni, se imparassero a gestire le risorse con i cittadini in maniera mirata, risparmierebbero risorse e, allo stesso tempo, attiverebbero risorse che ci sono, ma che sono state trascurate. In breve, se i cittadini sono considerati non solo come destinatari di ordini pensati autonomamente dall'amministrazione, ma come dei soggetti portatori di capacità, risorse e conoscenze e, quindi, soggetti dialogici, capaci di in -
tervenire per trovare soluzioni a problemi generali di una comunità intera, si può attivare un circuito virtuoso. D'altro canto, il rilievo della varietà sociale e della varietà secifica dei bisogni, quando viene preso in considerazione, consente di moduiare anche le prestazioni dell'amministrazione nei confronti dei privati. In questo modo esse non saranno piiii omogenee per tutti, ma specifiche per ogni problema, ottenendo, di conseguenza, un più alto grado di appropriatezza. La comunicazione è necessaria Affinché questo processo positivo possa instaurarsi è indispensabile maggiore comunicazione. La comunicazione amministrativa ha lo scopo di convin cere i cittadini a capire la "virtù" del sacrificio che si chiede al fine di ren derli partecipi di un processo più ge nerale, in cui la responsabilità che si chiede ai privati è fondàta sull'evidenza che il tempo e l'attenzione aggiun tiva che si chiede loro è vantaggiosa. Per questo la comunicazione è da considerare come un elemento essenziale. Afferma Gregorio Arena: "La comuni cazione amministrativa è una comunicazione che serve ad amministrare convincendo. Che vuoi dire convince re? Convincere vuoi dire "vincere insieme". Risolvere insieme un problema di interesse generale. A me pare che c 'è una serie di problemi in cui esser pubblico è un dato oggettivo, cioè dipende dal fatto che la loro soluzione è un da35
to di interesse di tutti. È necessario il contributo di tutti per risolverli perché nessuno può risolverli da solo. Questi sono problemi di sistemi. Per definizione questi problemi richiedono lo sforzo congiunto di piii soggetti, ognuno dei quali potrà contribuire alla soluzione con un proprio contributo di esperienza, di capacità e di competenza. La cosa interessante è che l'insieme di questi contributi non dà il risultato che è la somma di quei contributi, ma la loro moltiplicazione, un forte valore aggiunto. Voi avete un soggetto astratto, collettivo, che è diverso da quello che avevate prima. ( ... ) Non è un caso che comunicazione e comunità abbiano la stessa radice: perché, in realtà, comunicando si crea una comunità, sia pure astratta, una comunità di persone che còndividono, sia pure in parte, la visione del mondo. In questo senso il successo della comunicazione non dipende tanto dalla quantità d'informazioni inviate all'altro, ma dalla risposta che si riceve modificando il comportamento". La prospettiva dell'amministrazione condivisa - secondo l'autore che la propone - trova un ancoraggio nella Costituzione e, specificamente: a) nell'art. 3 lI comma, dove si elabora il principio di uguaglianza sostanziale che mette su uno stesso piano i privati con la loro diversità e le esigenze dell'amministrazione, che sui bisogni dei privati deve modulare la propria azione; b) nel principio di autonomia, 36
inteso non tanto come autonomia organizzativa delle strutture, ma come autonomia relazionale, secondo la quale ogni soggetto è portatore di un valore e di risorse che può scambiare con un'infinità di altri soggetti per soddisfare proprie esigenze; c) nel principio di responsabilità che, sebbene non espressamente menzionato, è insito in quello di autonomia e dove, però, per esso, non deve valutarsi l'aspetto negativo, sanzionatorio, quanto quello positivo di dare una risposta a chi chiede un intervento diretto per risolvere problemi. Afferma, ancora, Gregorio Arena: "L'ultimo principio è quello della responsabilità. Non è un principio che si può trovare nella Costituzione con un rilievo pari a quello dei due precedenti, però, a me pare essenziale il ruolo della responsabilità. Perché? Perché se una delle caratteristiche essenziali dell'amministrazione condivisa è che i soggetti che coamministrano godano di autonomia, allora, se c'è autonomia deve esserci responsabilità. Autonomia e responsabilità sono due facce della stessa medaglia. ( ... ) Essere responsabile vuoi dire, letteralmente, dal latino "rispondere di o per qualcosa". Nell'uso comune e nell'amministrazione è prevalso il profilo negativo, per cui quando si dice che qualcuno è responsabile si pensa sempre a chi deve pagare se succede qualcosa di storto. In realtà, il profilo fisiologico della responsabilità positiva andrebbe ac-
centuato, perché questo la società si aspetta dai responsabili. Quando si dice che qualcuno è responsabile per qualcosa, innanzitutto, si sta dicendo che quel qualcuno è colui o colei da cui si sta aspettando una risposta.
Amministrazione condivisa per i servizi pubblici Tuttavia, va precisato che l'ipotesi dell'amministrazione condivisa è una soluzione per alcuni problemi e non la soluzione di tutti i problemi, meno che mai di tutti quelli, derivanti dalla crisi dello Stato sociale. Il ricorso alle risorse extra-economiche dell'amministrazione condivisa lascia sicuramente insoluto il problema della limitatezza di quelle finanziarie, ma sposta il problema su un'altra dimensione dei rapporti con i privati. La soluzione qui prospettata non sta nel trovare le risorse, ma nel convincere che in un problema comune si riesce sempre a rintracciare aspetti positivi di vantaggio per più soggetti che, se coinvolti, agevoleranno la ricerca della soluzione idonea. Certamente essa appare particolarmente adatta a risolvere problemi relativi ai servizi pubblici, che per loro natura toccano più direttamente i cittadini e sui quali è più facile raccogliere consenso. Ma non mancano ipotesi di "amministrazione condivisa" anche nei casi di forte conflitto come è, ad esempio, il rapporto tra il contribuente e l'amministrazione tributaria. Per Gregorio Arena: "Anche in Italia si
sta valutando la possibilità di contrapporre l'interesse dei cittadini contribuenti, estendendo maggiormente meccanismi di detraibilità delle imposte o della parziale deducibilità di alcune spese dal reddito imponibile. Veniamo a quel che viene chiamato contrasto di interessi. Si mettono due contribuenti l'uno contro l'altro, supponendo che uno va dal medico e si fa rilasciare la ricevuta, così la potrà detrarre dalle tasse. In questo modo chiaramente fallisce, perché l'alleanza che si crea è fra i due contribuenti contro l'amministrazione fiscale. È l'impostazione teorica che è sbagliata, perché parla di contrasto di interessi. Provate a ribaltare l'ottica. Invece di parlare di contrasto di interessi, parliamo di alleanza fra cittadini e amministrazione, di amministrazione condivisa, in cui il cittadino ha interesse ad avere la ricevuta per poter detrarre dal proprio reddito. Colui che fornisce l'attestazione della prestazione comprende l'interesse di quell'altro, non lo 'rcde come nemico, non lo vede come qualcuno che lo fa apposta per procurargli un danno, come è oggi per la ricevuta fiscale. La collaborazione è fra l'amministrazione fiscale e il contribuente contro l'evasore". Peraltro, questo esempio dimostrerebbe che anche nel caso di contrasto di interessi tra privato e amministrazione, l'amministrazione condivisa può funzionare, a patto che la comunicazione sia efficace (nel senso prima in(...)
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dicato, cioè di convincere). Certo, è presumibile che al privato singolo noti interessa il problema in generale ma si convince che per lui è utile cooperare. Il contribuente non è mosso dalla prospettiva di combattere l'evasione denunciando i presunti evasori,è invece interessato a quei comportamenti da cui trae un vantaggio in termini di risparmio di imposta. Leffetto indiretto della sua azione sulla lotta all'evasione fiscale non lo riguarda, ma l'amministrazione può ben essere soddisfatta di aver comunque conseguito il suo obiettivo con la collaborazione dei cittadini, risparmiando notevolmente sui costi. Per finire di esporre il pensiero di Arena, occorre dire che, a suo parere, non rientrano nell'ipotesi di amministrazione condivisa i casi di intervento delle associazioni non-profit, giacché nei casi in cui l'amministrazione ricorre a tali associazioni punta solo a scambiare il soggetto di intervento non la qualità del rapporto che deve intercorrere fra l'amministrazione e i privati. Con le associazioni non-profit non c'è quel carattere di scambio vantaggioso personale che è necessario nell'amministrazione condivisa, ma, usando una terminologia civilistica, c'è semplicemente una cessione soggettiva del rapporto. Così come è erroneo equiparare all'amministrazione condivisa ie ipotesi di accordi procedimentali, ex art. 111. 241/90, perché, in questi casi, il pri-
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vato è solo coinvolto nel procedimento che serve a manifestare il potere dell'amministrazione e non a ricercare, a monte, la soluzione alternativa a un problema. Si è in due casi completamente diversi, perché in uno si fa uso del potere in termini tradizionali, con mere variazioni di procedure, nell'altro si ricorre a prospettive del tutto innovative.
L'amministrazione condivisa come prospettiva politica Nel dibattito poi sono emersi alcuni punti critici pii generali. Si tratta di tesi particolari, che ad altri sono apparse discutibili e poco convincenti, sulla delineazione del modello di amministrazione condivisa, che sono apparsi particolarmente calzanti. Uno di questi è quello della responsabilità, giacché, sebbene sia interessante il concetto di responsabilità positiva, rimane il fatto che l'amministrazione ha specifici obiettivi da perseguire sui quali deve far valere la responsabilità dei dirigenti. Questa responsabilità è certamente espressa in termini negativi, ,ma la sua importanza, al fine dell efficacia dell azione amministrativa, è indubitabile. Il pericolo è, dunqu, che con l'amministrazione condivisa il problema della responsabilità, della responsabilità per risultati, venga meno, potendo imputare il mancato raggiungimento di un obiettivo a cause ecterne, avviando un ennesimo processo di deresponsabilizzazione.
Per Antonio Zucaro: «Va benissimo la responsabilità in positivo e pure la responsabilità dei cittadini, ma la responsabilità nell'agire amministrativo è, innanzitutto, degli amministratori e l'amministrazione condivisa non può significare abdicazione a questa responsabilità. Alla fine dobbiamo decidere: come sindaci, dirigenti, ecc.". Altro aspetto critico è quello riguardante la comunicazione che nell'amministrazione condivisa è essenziale, ma che non per questo può essere vista in modo astratto. Le ricerche scientifiche dimostrano che anche la comunicazione ha in sé un forte carattere asimmetrico: chi comunica la fa non può conoscere e prevedere i comportamenti dei suoi interlocutori e rischia, dunque, di provocare effetti controproducenti. Afferma Antonio Di Majo: "Capisco che si metta ben in evidenza l'attenzione sulla comunicazione. Se, però, vogliamo ragionare da economisti, dobbiamo ricordare che l'informazione è asimmetrica. Il più grosso problema è proprio questo, se vogliamo restare agli amministratori pubblici, che operano nell'amministrazione pubblica. Esistono dei problemi che si chiamano - si sono fatte anche varie distinzioni - moral hazard, selezione avversa. È quando quello che determina gli obiettivi vuol sapere come si comporterà l'agente. La teoria dei giochi, in questi casi, non ci dà soluzioni definitive. La conclusione non è che non c'è
nulla da fare. Bisogna accettare, piuttosto, la vecchia massima che, spesso, il meglio è nemico del bene e, quindi, non cercare delle strane soluzioni ottimali, ma cercare soluzioni di compromesso Infine, un altro rilievo critico riguarda più in generale la natura della prospettazione di amministrazione condivisa che sarebbe da intendere come indicazione politica di finalità e, quindi, come prospettiva di indirizzo. I mezzi da essa espressi attengono a una tendenza generale dei rapporti su cui si vuole influire, ma non possono essere considerati come strumenti specifici di soluzione di problemi d'amministrazione. Si può dire che questo modello attiene più al campo delle scienze politiche che a quello proprio del diritto amministrativo. Sostiene Guido Corso: "Al cittadino che ha a che fare con la giustizia non sembra appropriato proporgli il problema generale della giustizia, perché il problema che lo toccherà sarà il suo problema. Ecco perché il tema dell'amministrazione condivisa è un tema che riguarda la teoria politica generale, piuttosto che l'approccio concreto cittadino-amministrazione. Secondo me, costituisce un capitolo dell'idea della persuasione politica come un valore che va incrementato attraverso le forme di comunicazione che, in modo suggestivo, Arena ci ha delineato". In definitiva, di là da ogni rilievo critico, l'amministrazione condivisa è quel39
l'amministrazione che, pur tenendo conto delle sue possibilità anche di tipo autoritarivo, fa un uso del potere assolutamente discreto. L'esercizio del potere non sarebbe così il normale modo di amministrare ma è l'eccezione che si manifesta nel momento di una patologia: un uso distorto delle autonomie personali. Fin quando tali patologie non si manifestano, il rapporto si deve basare su una reciproca fiducia e collaborazione. Afferma Gregorio Arena: "Il mio tentativo è'quello di immaginare un'amministrazione che ha un rapporto con i cittadini che non è basato unicamente sull'esercizio del potere, l'obbligo, la sanzione, la minaccia, ma un'amministrazione che, come diceva Teddy Roosvelt, cammina in punta di piedi e
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porta un grosso bastone dietro la schiena. Il potere è una risorsa così preziosa che va usato soltanto in casi estremi". Si evince, dunque, dal dibattito generale, che la tendenza dei rapporti tra amministrazione e privati si sta indirizzando fortemente verso una maggiore paritarietà, in cui i'uso del potere diviene sempre più circoscritto a vantaggio di regole autodeterminate liberamente dalle parti. Quello che una volta dagli studiosi del diritto amministrativo era considerata un'eresia diviene sempre più realtà. Questo è il disegno normativo e culturale che sta dietro certi cambiamenti secondò la lettura che abbiamo riportato in queste cronache di dibattiti promossi da queste istituzioni .
Quali leader per la ricostruzione delle autonomie locali di Annick M agnier*
Negli ultimi vent'anni anni, la direzione amministrativa dei Comuni è stata oggetto di innovazione istituzionale in numerosi Paesi occidentali: prima dell'Italia, e della riforma del ruolo e del reclutamento del Segretario comunale e l'introduzione della figura del direttore promossi dalla 127/97, vi procedettero ad esempio il Portogallo (che pose formalmente fine all'esperienza di coordinamento dal Segretario comunale nel 1984 a nome della difesa delle autonomie locali), la Francia (che nella scia del consolidamento delle autonomie locali del 1982 travolse il sistema di reclutamento a favore della scelta del sindaco), la Norvegia (che nel 1993 istituzionalizzò invece i ruoli di leadership burocratica, pur aumentando le libertà di definizione del 'ruolo, ma anche di reclutamento dei politici), il Belgio (che nel 1990 ritoccò, ma molto leggermente, i confini del ruolo e del reclutamento); su questa strada sembra che si avvii anche la Spagna. Innovazioni istituzionali spesso ampie
* Docente Sociologia Urbana, Facoltà di Scienze Politiche, Università di Firenze.
ed importanti ma che appaiono come semplici correttivi, in fondo, se confrontati ai mutamenti del contesto. La direzione amministrativa dei municipi, in effetti, è stata sottoposta a tutti i grandi processi di mutamento che hanno attraversato il mondo delle autonomie locali: dei processi differenziati di decentramento o accentramento nei rapporti centro-periferia del sistema politico; dei processi uniformi, di natura organizzativa come quello dell'esternalizzazione dei servizi; o di natura prettamente politica come quello del declino dei partiti di massa. Privatizzazione e contracting out tendono a trasformare i Comuni da organizzazioni, pii o meno efficienti ed ampie per la produzione di servizi in agenzie di regolazione, nei Paesi di esteso e consolidato Welfare come in quelli del Sud Europa. Il lavoro politico e il lavoro amministrativo alla periferia del sistema ne vengono anch'essi trasformati, il policy making focalizzandosi sempre di più sulle grandi scelte strategiche e la pratica burocratica essendo sempre più determinata dalle forme di coordinamento delle dirigenze. Similmente, la trasfor41
mazione, ma soprattutto la moltiplicazione delle formazioni di espressione della domanda e la perdita di influenza dei grandi partiti, portano ovunque ad una frammentazione degli scenari di maggioranza, ad un indebolimento della sfera politica che suggerisce per contrasto un nuovo accentramento delle competenze esecutive Descrivere le trasformazioni deli macchine organizzative comunali e delle condizioni di esercizio della democrazia locale partendo da un punto di vista specifico, quello dei responsabili delle burocrazie: tale era l'obbiettivo della ricerca comparata promossa quattro anni fa dall'Università di Odense, sulla base di precedenti esperienze locali, sui ChiefExecutive Officers locali; espressione con la quale, secondo i termini del progetto, sono designati gli attori formalmente posti al vertice dell'amministrazione dei municipi. La categoria è composita poiché include sia figure vicine a quella del city-rnanager americano, sia figure come il Segretario Comunale belga, francese, spagnolo o italiano (almeno nel momento dell'indagine) dalle funzioni di coordinamento mal definite nel quadro di un ruolo prevalentemente delineato come ruolo di controllo; figure di Chief Administrative Officers come figure di veri e propri Chief Executive Officers. Tutti questi attori sono tuttavia accomunati da una posizione di vertice e da funzioni generalistiche all'interno dei municipi (Mouritzen 1997). 42
La descrizione della categoria prevedeva l'analisi dei ruoli di leadership (funzioni prevalenti, interpretazione del rapporto con i politici, con i collaboratori).; del comportamento innovativo (propensione al cambiamento, strategie innovative, atteggiamenti verso le riforme del governo locale); del processo di decision-making (struttura del potere analizzata in specifiche aree di policy, criteri di scelta, mutamenti nella cultura amministrativa), delle reti relazionali, vale a dire delle configurazioni di attori che scaturiscono dai contatti abituali per motivi di lavoro (reti orientate verso l'interno e verso l'esterno, orizzontali e verticali, dipendenza e conflitti, fonti di ispirazioni). Svolto con l'appoggio dell'Union des Dirigeants Territoriaux de l'Europe e delle sue associazioni nazionali e per questo motivo enigmaticamente battezzato Udite Leadership Study, il progetto si è esteso in un prima tappa all'insieme degli Otto Paesi nei quali era attiva l'Associazione e si è allargato successivamente a quasi tutti i Paesi europei, ai quali si sono aggiunte, riferimenti preziosi, alcune democrazie occidentali che rappresentano modelli tradizionali nell'analisi dei sistemi politici e amministrativi locali. Al totale sedici Paesi nei quali sono stati coinvolti altrettante équipe nazionali di ricerca. Si è ricorso ad una molteplicità di strumenti: analisi secondaria, analisi documentaria (in particolare laddove esistano degli appelli di candidatura), inter-
view e osservazione, survey tramite questionario postale spedito ad ampi campioni nazionali, con un totale di 4000 questionari raccolti. Il progetto, ormai in fase conclusiva, era quindi originale e ambizioso. Sono ancora rare le indagini sulla democrazia locale in Europa che superino la dimensione della ricerca binazionale. Una dimensione, quest'ultima, adatta, e lo ha ampiamente dimostrato, a promuovere nuove ipotesi e rilanciare la ricerca; ma che non risponde del tutto ad un bisogno di conoscenza sui tratti contemporanei della governance locale che acquista dimensioni territoriali nuove. L'emergere del livello europeo di governo, in particolare, la ricerca di principi nuovi di sovranità e di suddivisione territoriale delle competenze, richiedono una riflessione se non unitaria almeno piiii ampia sui fondamenti della democrazia locale in Europa e sulle sue metamorfosi. Uno sguardo alle evoluzioni istituzionali nei Paesi occidentali studiati indica, al di là delle varietà delle situazioni attuali delle autonomie locali nei sistemi politici, nonché degli assetti pòlitici locali, due tratti evolutivi dominanti: una tendenza al consolidamento della leadership bùrocratica (con eccezione del Portogallo), una tendenza alla dif fusione dei meccanismi di spoil system per questo livello organizzativo, con scelta da parte del sindaco del leader dell'amministrazione. Il processo di istituzionalizzazione di tale forma di
direzione amministrativa si esprime in alcune regolarità di vita quotidiana che accomunano i Chief Executive Officers studiati. L'analisi delle reti relazionali di questi attori, le cui competenze e il cui reclutamento sono il prodotto di costruzioni istituzionali secolari differenziate, fa infatti emergere una sostanziale uniformità di ruolo: sono reti dense e larghe centrate sulle relazioni quotidiane con il sindaco e i dirigenti dell'amministrazione municipale, su relazioni settimanali con una grande varietà di attori della comunità locale, inclusi i singoli cittadini. Uno sguardo alle rappresentazioni di questi processi, da parte degli interessati e da parte dei team nazionali di ricerca, restituisce tuttavia al quadro la sua, concreta, eterogeneità culturale; eterogeneità significativa in particolare per la riflessione contemporanea sul caso italiano. La tendenza all'accentramento delle competenze di controllo e lo sviluppo delle funzioni di coordinamento amministrativo, vale a dire la costituzione o il consolidamento della leadership amministrativa, tutt'altro che inedita, appare così associata, a seconda dei Paesi, a momenti specifici e diversi dei dibattito sulle autonomie locali. L'ethos della leadership amministrativa al livello del Comune si ispira in breve, a seconda dei momenti della storia delle istituzioni, a concezioni contrastanti del rapporto tra centro e periferia del sistema politico-ammini43
strativo nonché del rapporto tra amministrazione e politica. L'ingegneria istituzionale dovrebbe, tra l'altro, portare all'adeguamento delle istituzioni ai processi evolutivi, pur se uniformi, nel rispetto di queste, specifiche, espressioni storiche di culture democratiche altrettanto specifiche. Molti dei modelli attuali di riferimento in materia di direzione amministrativa locale sono nati in altri contesti, e tra l'altro negli anni Settanta, un periodo che segna in buona parte l'avvio dei processi che oggi mutano il mondo dei Comuni, ma che erano allora interpretati sulla base di un'esperienza assai diversa. Nel contesto britannico ad esempio, il consolidamento della leadership amministrativa municipale si sviluppa allora nel quadro dei dibattiti sul management system, i cui principi avevano già ispirato tra le due guerre numerosi esperimenti in contesto inglese o irlandese, ma viene rilanciato successivamente in associazione con la deregulation auspicata dai Conservatori. Il modello, come sviluppato sulla base delle denunce delle carenze di funzionamento rilevate dal Bains Committee, prevede una separazione netta tra il settore di competenza dei politici (inteso come quello della definizione delle policies) e quello della loro attuazione; una distinzione quindi tra due ambiti decisionali da gestire con procedure snellite e accentrate: il primo tramite comitati numericamente ridotti, il secondo trami44
te un nucleo, anch'esso ridotto, di dirigenti capeggiati da un Chief Executive Officer. Il town clerk viene sottoposto ad ampia trasformazione, mentre avviene quell'altra metamorfosi, insita nel modello del management locale Conservatore, del cittadino in consumatore; il tutto sottò il controllo vigile del governo centrale. Il leader amministrativo è qui agente della modernizzazione coatta. Non siamo molto lontani dall'idealtipo napoleonico, la cui influenza rimane pregnante nelle istituzioni dell'Europa del Sud: l'idealtipo che frappone alle velleità di autonomie il controllo di una leadership amministrativa locale forte della sua capacità di mediazione con il governo centrale e dell'indipendenza garantita dai processi di carriera. Diverso ethos porta senz'altro alla costituzione di una direzione amministrativa forte nei Comuni statunitensi, siano essi retti dal sistema council-manager che dal sistema council-mayor. Gerarchia e imprenditorialità per lo sviluppo della comunità locale sono i valori dominanti che portano all'esaltazione della leadership, sia essa amministrativa che politica: il city-manager "must show himself to be a leader", sancisce il second6 Model City Charter (Woodruff, 1919, 130; Svara 1990). Se l.idea della separazione delle sfere di influenza viene richiamata spesso a fondamento del modello. council-mayor, il modello premia principalmente l'imprenditorialità, in un
contesto di concorrenza o cooperazione in caso di sindaco forte. Ne risulta un modello diverso da quello anti-segmentativo che contraddistingue più tradizionalmente Comuni dalle burocrazie ampie, forti e nelle quali è cruciale il problema del coordinamento e della costituzione di un interlocutore unico per la sfera politica: come nel caso della Olanda o del Belgio, nella sua versione più recente. Essi non possono realmente richiamare l'ethos della supplenza che anima alcune recenti riforme nordiche: Norvegia, Finlandia, forse anche Danimarca, nelle quali alla frammentazione della sfera politica si tende ad opporre una sfera amministrativa forte e stabile (anche in collegamento con un relativo accentramento dei poteri nelle mani del sindaco nella sfera complementare). Modernizzazione coatta, generico achievement, supplenza comunitaria, cooperazione, questi alcuni dei motivi per l'azione degli imprenditori istituzionali che sembrano essere all'origine degli interventi per la costruzione di una leadership amministrativa forte nel Comune. Essi si associano a diverse concezioni dei rapporti tra centro e periferia, ma anche delle relazioni con gli attori politici e con la cittadinanza, che sono più o meno recepite dai Chief Executive Officers studiati nell'Udite Leadership Study (Mouritzen 1997, Thoenig 1997). All'indagine italiana dell'Udite Leadership Study, svolta all'inizio del
1996, hanno collaborato più di cinquecento Segretari comunali. I dati raccolti propongono una descrizione a tutto tondo dei Segretari in carica prima della riforma, vale a dire del personale che andrà a costituire la dopera" della nuova Agenzia. Il primo rapporto di ricerca italiano (Magnier, 1997) rappresenta un contributo alla descrizione dei ceti burocratici nazionali, una descrizione le cui lacune, malgrado innovative ricerche nazionali, come quelle promosse nel quadro del progetto finalizzato CNR sulla pubblica amministrazione (cfr. ad esempio Cerase 1994), contrastano ancora con la posizione della riforma della pubblica amministrazione nell'agenda politica nazionale. Ma, orientato a un rapido confronto con l'attualità normativa, poiché tratta esclusivamente dei dati riferiti al ruolo e alla figura del Segretario comunale, esso suggerisce, anche, alla luce delle considerazioni comparate permesse dall'indagine internazionale, alcune osservazioni sul significato stesso della riforma della direzione amministrativa comunale nel contesto italiano. Le tendenze internazionali, al consolidamento della leadership amministrativa e all'istituzionalizzazione nel reclutamento del legame funzionale col sindaco, si esprimono a pieno anche nella Bassanini. L'introduzione della figura del direttore è risorsa ulteriore del sindaco in caso di fallimento nella costituzione di una leadership ammi45
nistrativa a lui consona. Ma non sono stati sciolti tutti i nodi problematici caratteristici dell'ordinamento e delle innovazioni precedenti; le ambiguità della legge per quanto riguarda la definizione delle funzioni - e la suddivisione di queste ultime tra i due elementi dell'eventuale leadership bifronte - hanno già suscitato ampi e documentati commenti. Soltanto la pratica, che dipenderà dall'ordinamento della carriera e dalla formazione da definire in seno all'agenzia, potranno a lungo termine decidere delle vere connotazioni della leadership associata alla posizione. I dati dell'Udite Leadership Study descrivono la pratica che si era venuta a creare nella direzione del Comune italiano e offrono suggerimenti sull'inflessione che gli attuali detentori del ruolo sono suscettibili di infondere in tale pratica, in un quadro di relativa incertezza normativa. Essi illustrano innanzitutto una forte consapevolezza della necessità di ammodernare il proprio ruolo, nonché una indubbia soddisfazione a contribuire alla sua affermazione (Magnier 1997). L'uniformità di ceto, conseguenza della struttura della carriera, che si afferma ripetutamente nel campione, è però dominata da un'interpretazione generalistica del ruolo che porta a riflettere sui meccanismi di innovazione amministrativa. Tale interpretazione, generalistica che esclude però, e rigidamente, qualsiasi consiglio politico ai politici, poteva es46
sere considerata come l'effetto delle carenze in risorse umane tipiche del piccolo Comune, che condanna il Segre tario a diventare il tuttofare del municipio; ma, dominante nell'insieme del campione e perfino più sensibile nel grande Comune, essa sembra essere piuttosto il risultato di un disorientamento culturale; la carenza di modelli ricchi e contrapposti approfondisce l'effetto di desiderabilità sociale per cui non si può ammettere di trascurare nessuna mansione e nessuna esigenza. Se alcune configurazioni valoriali a sostegno del consolidamento della leadership amministrativa sembrano orientare saldamente gli attori in altri contesti nazionali, il caso italiano, in breve, sembra caratterizzarsi principalmente per le carenze del dibattito scientifico e politico su questi temi, carenze che portano spesso all'adozione acritica di fnodelli internazionali di intervento e lascia gli attori sprovvisti di orientamento concreto. I dati raccolti sottolineano in particolare la rispondenza specifica del ceto studiato (e la necessità di adeguare la costruzione istituzionale e le pratiche di formazione, in Italia come altrove) a quei problemi "internazionali" nuovi della leadership amministrativa locale: l'astrattezza crescente delle decisioni, che nasce dai rapporti diversi che si vengono spesso a creare con i produttori di servizi, chiede professionalità maggiore e diversa (una formazione giuridica più solida, l'assuefazio-
ne ad alcune tecniche di management delle risorse una volta esclusiva del settore privato); la frammentazione della sfera politica e il declino del partito, non tanto come luogo della selezione del personale politico quanto come veicolo di domanda, indeboliscono la sfera politica e rendono problematica l'espressione dei non joiners. L'interpretazione dei ruoli in tutti i Paesi studiati, e in Italia come altrove, denuncia da parte dei Chief Executive Officers locali significativi interventi nel settore della policy e della formazione del consenso, assecondato da un crescente senso di responsabilità verso la comunità; questi tratti sono recepiti nella costruzione istituzionale soltanto
sulla base dell'ethos della supplenza comunitaria tipica di alcuni Paesi nordici. Tra i suggerimenti di ricerca offerti dall'Udite Leadership Study, i pii significativi, per il processo di costruzione istituzionale, e per la ricerca sociologia empirica, in particolare nel caso italiano, sono forse attinenti all'area tematjca delle relazioni con la cittadinanza. Sulle trasformazioni delle funzioni amministrative nell'area della rappresentanza, la sociologia politica italiana dovrà pur approfondire la sua analisi, rilanciando in particolare, sull'esempio britannico, la riflessione sui "valori del governo locale" (Judge, Stoker, Wolman 1995; King, Stoker 1996; Pratchett, Wilsin 1996).
Note bibliografiche
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Il come, il quanto e i risultati dell'operare pubblico di Francesca Gagliarducci*
In un clima di incertezza economica, di crescita costante della disoccupazione e di diffuso malcontento nei confronti dell'attività dei pubblici apparati, è ormai sempre più frequente che nel dibattito inerente alla riforma dell'amministrazione si faccia riferimento alla necessità di procedere ad una dettagliata valutazione dei risultati conseguiti. Valutazione orientata a verificare "come", "quanto" e "con quali effetti" i soggetti pubblici operano concretamente nel contesto socio-produttivo. A ciò si aggiunge il fatto che un numero crescente di riferimenti formativi e giurisprudenziali individuano nelI efficienza, nell efficacia e nell economicità i parametri generali in base ai quali organizzare l'attività amministrativa e misurarne successivamente il rendimento. Un particolare rilievo è da attribuire alla direttiva della presidenza del Consiglio dei ministri del 27 gennaio 1994, intitolata "Principi sull'erogazione dei pubblici servizi"; alle due leggi n. 19 e 20 del 1994, introduttive dell'innovativo "controllo *
Specializzanda in Diritto amministrativo e Scienza dell'amministrazione, Università di Bologna.
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di gestione"; alla sentenza della Corte costituzionale n. 29 del 1995, che ha definitivamente dichiarato la conformità ai principi costituzionali del nuovo sistema di verifica dell'operato pubblico, ed al d.lgs. n. 77 del 1995, concernente l'ordinamento finanziario e contabile degli Enti locali. Tali disposizioni hanno ribadito la necessità di introdurre nuove tecniche di organizzazione dell'attività amministrativa ed hanno determinato l'ampliamento degli obiettivi del controllo al di là del tradizionale riscontro della "legittimità" degli atti, rendendo necessario il distacco dall'idea di un'amministrazione "non produttiva" perdefinizione e l'adozione di una prospettiva di analisi interdisciplinare, fondata sull'impiego di metodologie non esclusivamente giuridiche, ma frequentemente derivate anche dall'ambito economico o statistico-matematico. CARATrERJSTICHE GENERALI DELLA MISURAZIONE
Oggetto della valutazione è la grandezza "produttività", comunemente definita come rapporto tra i risultati
conseguiti ed i fattori produttivi impiegati a tal fine, o anche come rapporto tra i risultati conseguiti e gli obiettivi prestabiliti nell'ambito di un sistema organizzativo in un certo lasso di tempo'. In modo più sintetico è possibile indicare la produttività, secondo il punto di vista dal quale la si considera, tramite le formule "outputlinput" o «goallinput", intendendosi per input le risorse, per output il prodotto o risultato (distinguibile in intermedio o finale, estintivo o modificativo del bisogno) e per goal gli obiettivi2 Nel primo caso si concentra l'attenzione sull'analisi della cosiddetta "produttività-efficienza" (è efficiente l'organizzazione che ottimizza l'impiego delle risorse, ossia raggiunge i suoi obiettivi minimizzando il consumo di utilità economiche 3), mentre nel secondo caso viene presa in considerazione la cosiddetta "produttività-efficacia" (nell'ambito della quale sono fatte rientrare, accanto allo studio dei risultati conseguiti, le valutazioni del livello di soddisfazione manifestato dagli utenti e della qualità delle prestazioni rese). La costruzione di un adeguato sistema di misurazione è strettamente dipendente dalla disponibilità di un complesso di informazioni idoneo a consentire la conoscenza dettagliata delle caratteristiche peculiari del fenomeno oggetto di osservazione, presupposto indispensabile all'individuazione di .
funzionalità e carenze su cui intervenire ai diversi livelli di articolazione dei processi decisionali 4 I responsabili degli indirizzi di gestione necessitano, infatti, di un sufficiente ammontare di dati per orientarsi nella valutazione dell'attività amministrativa ed adottare le scelte più adeguate ai contesti in cui essi intervengono (ridefinizione degli obiettivi, riprogettazione dei processi, riallocazione delle risorse ecc.) 5 . La conoscenza completa degli ambiti di intervento consente pertanto di garantire la qualità e la trasparenza dei risultati conservando, così, il consenso della collettività all'operato pubblico. Una delle tecniche più frequentemente utilizzate per raccogliere ogni notizia utile a rivelare la realtà oggetto di indagine si fonda sull'identificazione delle liste dei "processi di servizio" in cui si articola l'azione amministrativa. Il processo di servizio è costituito da una successione di attività operative poste in essere da una specifica unità organizzativa, caratterizzate da input ed output ben definiti ed orientate al conseguimento di un risultato di tipo finale o intermedio, avente generalmente valore all'esterno dell'articolazione che lo ha realizzato 6 Individuati i processi di servizio caratteristici dell'attività di un certo soggetto è possibile definire gli standard di riferimento a cui paragonare i dati successivamente desunti dalle rilevazioni periodicamente realizzate, in .
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modo da identificare le fasi nell'ambito delle quali si manifestano delle discrepanze tangibili rispetto alla predefinita performance ottimale, analizzarne le cause ed intervenire per eliminarle. Sempre al fine di realizzare un adeguato sistema di verifica e di monitoraggio andrebbero sviluppati gli strumenti del budgeting (cioè l'impiego di tecniche adeguate alla redazione e alla gestione dei bilanci) e del reporting (cioè il ricorso a costanti relazioni sull'attività svolta), rispettivamente utilizzabili per contrattare le risorse da attribuire alle varie unità operative responsabili del loro impiego e per controllare la rispondenza dei risultati agli obiettivi prestabiliti, pur nella consapevolezza delle rilevanti difficoltà che derivano dalla mancanza di una soddisfacente integrazione tra i vari livelli gestionali8 . LE PRINCIPALI TECNICHE DI VALUTAZIONE DELLA PRODUTrIVITÀ
Al momento attuale, gli studi sulla produttività delle pubbliche amministrazioni si fondano su due tipi principali di indagine empirica: l'analisi econometrica e gli indicatori. La prima tecnica consente di valutare graficamente la performance concretamente conseguita da ogni operatore considerato tramite una "funzione di produzione" detta fdp, ottenuta rappresentando su un piano cartesiano le 50
varie combinazioni di input utilizzati e di corrispondenti quantità di output prodotte. Tale performance può essere messa a confronto con una funzione di riferimento indicativa degli standard ottimali di produzione (fdp di frontiera): in questo modo l'analisi econometrica permette di rilevare l'esistenza di eventuali scarti tra il rendimento ideale e quello effettivamente conseguito, facilita l'individuazione delle cause di tali scostamenti e consente di definire il contributo specifico di ogni fattore alla determinazione del livello di produttività globalmente raggiunto (ciononostante, la necessità di ricorrere a strumenti matematici di una certa complessità rappresenta spesso un ostacolo insormontabile al suo diffuso utilizzo da parte del personale amministrativo, in possesso di una preparazione di tipo prevalentemente giuridico). Il secondo metodo di indagine empirica è invece piui largamente accessibile, data la maggiore semplicità degli indicatori Per indicatore si intende comunementeun "misuratore" di performance, e piu precisamente «uno strumento operativo della valutazione, rappresentato da numeri o percentuali che sintetizzano le variabili fondamentali dell'oggetto di valutazione e consentono un confronto temporale o territoriale, quantitativo e qualitativo". L'utilizzo di questo genere di misure deve essere "calibrato" in relazione ad
ogni specifico contesto osservato, in modo da definire un numero di indici sufficientemente elevato da consentire che ogni aspetto del fenomeno possa essere considerato senza tralasciare alcun particolare significativo ed evitare, allo stesso tempo, che una quantità eccessiva di rilevazioni renda oltremodo difficoltosa l'analisi. Indipendentemente dall'ambito di utilizzo, la scelta di un adeguato sistema di indicatori si fonda su alcuni criteri generali: 1). la validità-accuratezza, cioè l'attitudine dello strumento individuato a misurare una specifica realtà oggetto di studio ed a farlo con un accettabile grado di precisione (il che comporta l'ulteriore necessità di curare nei dettagli la fase di raccolta dei dati); la comprensibilità, indispensabile al fine di garantire una diffusa conoscenza delle informazioni desunte dall'analisi ed un uso appropriato delle misure rilevate; la tempestività, ossia la possibilità di costruire un indicatore a partire da informazioni reperibili in tempi adeguati alle esigenze di conoscenza dei soggetti che devono farne uso; la possibilità di incoraggiare dei comportamenti aberranti, identificabile con la tendenza manifestata da alcuni misuratori ad incentivare prassi contrastanti con lefinalità proprie dell'attività esaminata (una misura come il "numero di multe per agente della polizia stradale'°", ad esempio, potrebbe
probabilmente incoraggiare la vessazione dei cittadini); l'unicità, ossia la capacità di evidenziare un aspetto del fenomeno considerato altrimenti, non identificabile (e di evitare, così, inutili ripetizioni di rilevazioni); il costo della raccolta dei dati, che deve essere giustificato dalla rilevanza delle misurazioni al fine di individuare eventuali carenze gestionali e di intervenire poi a correggerle; la con trollabilità, cioè la scelta di strumenti di indagine riferiti a caratteristiche operative su cui l'agente ha una effettiva possibilità di incidere, in quanto rièntrano nell'ambito delle sue competenze (come il numero dei dipendenti impegnati nello svolgimento di un certo lavoro); l'estensione, consistente nell'attitudine del sistema di misura prescelto a prendere in considerazione ogni aspetto della peiformance rtenuto rilevante; la replicabilità nel tempo della misurazione effettuata, che, permette di realizzare delle comparzioni tra i risultati ottenuti dallo stesso operatore in momenti successivi o tra soggetti diversi; una conflgirazione realistica, da intendersi quale concreta possibilità di impiego dello strumento di analisi prescelto e quale sua conformità agli obiettivi specifici del ricercatore' i; l'immediatezza, caratteristica propria di quelle misure che rappresentano direttamente la grandezza considerata; 51
l'invarianza, corrispondente alla capacità di un indicatore di modificarsi solo in presenza di effettive trasformazioni del fenomeno considerato 12 ; l'integrabilità, cioè la capacità di apportare il proprio specifico contributo al completamento di un sistema di misure coerentemente finalizzato allo studio dello stesso fenomeno; l'accessibilità, che garantisce la possibilità di fruire in un ambito allargato delle informazioni fornite dall'indice individuato e di utilizzarle, ad esempio, al fine di realizzare delle utili comparazioni. Nell'ampio genere delle misure di produttività sono compresi indicatori di tipo oggettivo ed indicatori di tipo soggettivo (i primi elaborati sulla base di dati statistici, i secondi elaborati sulla base di valutazioni individuali), indicatori di tipo quantitativo e di tipo qualitativo, indicatori specifici e generici, calcolati sulla base di metodologie di tipo analitico o di tipo aggregato che si fondano, rispettivamente, sulla considerazione di uno solo o dei complesso dei fattori produttivi impiegati nel processo di produzione. I dati desunti dall'analisi degli indici utilizzati permettono di confrontare nel tempo e nello spazio le prestazioni successivamente conseguite dallo stesso soggetto pubblico o il rendimento di soggetti differenti. A tal fine si fa ricorso a specifici indicatori "seriali", che paragonano i tratti peculiari di diversi andamenti gestionali senza misu52
rare alcun tipo di scostamento da obiettivi prestabiliti, consentendo, così, di valutare i risultati ottenuti "in senso lato "13. Nell'ambito di tali comparazioni è possibile ricorrere ad indici di tipo statico o ad indici di tipo dinamico: i primi permettono di raffrontare situazioni separatamente e staticamente considerate (si può fare riferimento, ad esempio, a misure della produttività dello stesso soggetto calcolate in momenti differenti), mentre i secondi rilevano l'evoluzione del fenomeno considerato nel corso del tempo (evidenziando, ad esempio, il tasso di trasformazione delle grandezze di riferimento) 14
CLASSIFIcAZIONE DEI PIU DIFFUSI INDICATORI DI EFFICIENZA
Una volta raccolte le informazioni necessarie si può procedere al calcolo dei diversi indici di produttività da utilizzare nell'ambito della valutazione dell'attività amministrativa, tenendo presente che nelle categorie degli input e degli output pubblici sono principalmente compresi: - per quel che riguarda gli inpuz i fattori produttivi e le energie utilizzati per realizzare l'azione amministrativa (tenendo contemporaneamente conto dei processi di servizio principali e di quelli ausiliari), le prestazioni ed i beni strumentali forniti da terzi, i materiali necessari alla manutenzione, le risorse attinte dalle scorte ecc. 1 5;
degli output riferiti all'azione amministrativa in ogni differente contesto, principalmente ostacolata dalla presenza di linee di attività solitamente numerose, estremamente complesse e frequentemente poco definite. Per quanto riguarda gli input il problema può essere diversamente affrontato a seconda del fatto che si considerino le risorse impiegate singolarmente o nella loro totalità, in modo da calcolare, rispettivamente, la produttività parziale o quella globale. Gli indici di produttività parziale sono ulteriormente distinguibili in: - indici della produttività parziale generica, che consentono di correlare la produzione complessiva all'apporto di uno solo dei fattori produttivi cui si è fatto ricorso; - indici della produttività parziale specifica, che consentono di correlare a ciascuna risorsa la quota di produzione ad essa direttamente È possibile osservare che in ambito pubblico è molto frequente la scelta Indicatori elaborati a partire dal calcolo del lavoro come principale fattore delle risorse impiegate e del corrispon- produttivo di riferimento, data la sua generale preponderanza rispetto agli dente livello di produzione conseguito. altri beni impiegati. La misurazione di Tali indicatori, considerati le più tratale grandezza può essere realizzata dizionali misure di efficienza, si preutilizzando varie tecniche, tra cui l'insentano generalmente come rapporti dividuazione del numero degli addetti tra quantità di prodotto ottenuta e effettivamente assegnati ad ogni attiquantità di fattori produttivi impiegavità od il calcolo del numero delle ore ti a tal fine. di lavoro complessivamente prestate Le principali difficoltà inerenti al caldai dipendenti (differenziati o meno colo di queste misure sono legate alla sulla base della qualità delle mansioni individuazione degli specifici input e
- per quanto riguarda gli output l'emanazione di norme che disciplinano la vita della collettività, le attività "istituzionali" di certificazione e di tutela dei diritti e degli interessi riconosciuti ai cittadini, le attività dirette alla ricostituzione delle scorte e dei capitali necessari alla manutenzione ordinaria e straordinaria delle strutture pubbliche, i trasferimenti di ricchezza finalizzati alla redistribuzione del reddito, gli interventi di politica economica orientati ad obiettivi di pubblico interesse (come il sostegno a determinati settori produttivi o a fasce di popolazione in condizioni di disagio), ecc. 16 Pur partendo dal presupposto che un sistema di indicatori risulta essere più utile e comprensibile se è costruito su misura rispetto alla realtà in cui deve essere utilizzato 17, è comunque possibile realizzare una classificazione generale degli indici di produttività-efficienza ai quali viene fatto più frequentemente ricorso. .
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svolte o dei tipo di responsabilità e di retribuzione ad esse connesse). Ogni criterio adottato comporta alcuni limiti legati alle sue specifiche caratteristiche: - nel caso in cui si facesse riferimento al numero degli addetti, ad esempio, un eventuale prolungamento dell'orario di lavoro non potrebbe essere rilevato, e porterebbe pertanto a valutare il corrispondente incremento della quantità e della qualità dell'output come una crescita della produttività complessiva; - nel caso in cui si facesse riferimento al solo numero delle ore di lavoro prestate, un loro eventuale aumento non potrebbe dare conto del verificarsi di mutamenti sul piano qualitativo; - nel caso in cui si prendesse invece in considerazione il numero delle ore di lavoro effettuate, ponderandole rispetto alle differenze retributive, si avrebbro tendenzialmente delle misure più accurate ma sarebbe comunque possibile incappare in errori legati, tra l'altro, al fatto che alcuni tipi di prestazioni potrebbero risultare sovrastimati per via del forte potere sindacale o elettorale che una determinata categoria di lavoratori detiene in alcuni settori. Un ulteriore criterio di quantificazione della risorsa "lavoro" impiegata fa riferimento alle somme di denaro che in ciascuna articolazione organizzativa sono corrisposte ai dipendenti a titolo di retribuzione. In questo caso si tralascia la considerazione della durata ef54
fettiva e della qualità delle prestazioni erogate, incorrendo, però, nel rischio di incappare in alcuni errori di valutazione sostanziali. Ciò potrebbe accadere, in particolar modo, qualora si analizzassero le attività di due amministrazioni simili sul piano della struttura interna del personale, dell'articolazione degli orari di lavoro e delle mansioni assegnate, ma nettamente differenziate per quanto riguarda la presenza di dipendenti "anziani » e pertanto più esperti, che farebbe sembrare l'attività svolta in uno dei due contesti più produttiva rispetto all'altro pur essendosi rilevato che in essi si lavora allo stesso modo 19 Sempre in riferimento agli input è infine necessario rilevare che, generalmente, l'omogeneizzazione delle diverse risorse utilizzate si ottiene espri mendo ogni fattore produttivo in ter mini monetari, sommandolo agli altri e rapportando l'aggregazione così ottenuta alla produzione complessiva, in modo da poter valutare la quantità di output realizzata in corrispondenza di ogni unità elementare di spesa. Molto più difficoltosa è invece la definizione del prodotto dell'operato pubblico, sia dal punto di vista quantitativo che dal punto di vista qualitativo. L'estrema variabilità ed il differente livello di accertabilità degli output amministrativi (legato al tipo di mansioni svolte, al livello di autonomia e di responsabilità dei personale ecc.) determinano in primo luogo l'esigenza .
di definire un'unità di misura di riferimento, che di volta in volta incide sulla significatività degli indicatori elaborati. Tale unità di misura può essere fissata in relazione all'output diretto o a quello indiretto. Nel primo caso si cerca di fare riferimento ad elementi di facile quantificazione, con caratteri fisici ben specificati e chiaramente identificabili all'interno del processo produttivo (come il numero di visite ai malati realizzato da un servizio di guardia medica); nel secondo caso, invece, si può utilizzare un criterio generale ed assumere come output gli effetti dei servizi pubblici; In questo modo si tenta di tenere anche conto dell'aspetto qualitativo dell'azione amministrativa, considerando la percezione che ne hanno gli utenti ed al grado di conseguimento degli obiettivi prefissati (in relazione al caso della guardia medica non si valuterebbe più il solo numero delle visite effettuate, ma si presterebbe ulteriore attenzione alle conseguenze sullo stato di salute degli assistiti). È necessario osservare che spesso l'utilizzazione di misure di output diretto può comportare delle rilevanti limitazioni, legate essenzialmente al fatto che esse: - non consentono generalmente di evidenziare le differenze qualitative sussistenti tra più prodotti; - non corrispondono necessariamente ai risultati attesi (come accade nel caso
in cui, ad esempio, un malato venga sottoposto ad una serie di cure sbagliate che rallentino i tempi della guarigione2 0). Gli indici di produttività si differenziano a seconda che si adotti l'una o l'altra definizione di outpu1 nel caso in cui si facesse ricorso al prodotto diretto verrebbe evidenziato l'aspetto della produttività-efficienza (concentrando così l'attenzione, come più voite ripetuto, sull'ambito delle considerazioni tecniche e di organizzazione delle risorse); mentre nei caso in cui venisse considerata anche la dimensione qualitativa risulterebbe evidenziato l'aspetto della produttività-efficacia (cioè della corrispondenza del servizio pubblico ai fini prestabiliti ed alle esigenze emergenti nel contesto civile). Si tenga presente che l'unità di misura della peformance conseguita deve essere fissata in relazione a dei requisiti qualitativi minimi della realtà oggetto di analisi, in modo da garantire la possibilità di realizzare delle attendibili comparazioni nel tempo e nello spazio. La sua individuazione è particolarmente complessa qualora si consideri l'attività burocratica generalmente svolta negli ùffici ministeriali, posto che in molti casi lavori ugualmente denominati possono presentare differenze sostanziali in relazione alle diverse procedure di cui essi si compongono, alla quantità di tempo o alla qualità degli atti necessari per la loro realizzazione. 55
La misurazione dei risultati conseguiti in ambito pubblico è ulteriormente complicata dall'esistenza di alcuni problemi legati all'influenza di fattori esterni sulla produttività dell'attività amministrativa, alla presenza di esternalità spesso numerose e reciproche, alla soggettività dei giudizi espressi dai valutatori, al ritardo con cui molti effetti si manifestano rispetto al momento dell'intervento, alla mancanza di criteri dettagliati in base ai quali ponderare la rilevanza delle molteplici funzioni-obiettivo e alla necessità di ricorrere a delle adeguate metodologie di aggregazione di "prodotti" eterogenei. Non può essere inoltre dimenticato che per realizzare una corretta valutazione dell'output bisogna innanzitutto stabilire a quale grado di disaggregazione dell'attività produttiva si intende riferirsi, essendo possibile considerare l'operato di un intero settore, l'insieme dei servizi forniti da un'amministrazione o la singola prestazione, il funzionamento di una sezione, di un reparto o di un solo dipendente. Ogni scelta comporta differenti vantaggi e svantaggi: l'analisi a livello aggregato, ad esempio, implica tendenzialmente un maggior rischio di uso ripetitivo degli stessi dati in dipendenza della difficoltà di distinguere con precisione gli output intermedi da quelli finali, ma al tempo stesso consente di avere un quadro generale della performance pubblica e di calcolare l'entità delle attività finali che assu-
mono un effettivo rilievo al di fuori dell'amministrazione (il contrario accade, invece, quando si realizza lo studio ad un livello più disaggregato) 21 Per questa serie di motivi, ogni ricerca fornisce dei dati validi esclusivamente in rapporto al livello di analisi prescelto ed ai fattori che sono stati effettivamente studiati, considerando gli altri immutati in un'ipotesi di ceteris paribus. Operando in tal modo, si evita di trasferire senza alcun criterio da un'articolazione produttiva ad un'altra delle informazioni raccolte sulla base di metodi diversi e pertanto difficilmente comparabili ovviando, così, ad ulteriori complicazioni del processo di valutazione 22 È utile osservare che le misure di efficienza calcolate a partire dall'ammontare di risorse complessivamente impiegate per la realizzazione di un certo numero di output dovrebbero essere sempre utilizzate congiuntamente ad altri tipi di rilevazioni, in modo da evitare di fraintenderne delle variazioni. Se infatti si correlassero, ad esempio, gli incrementi salariali ad un incremento generico della produttività, i dipendenti beneficerebbero di aumenti della retribuzione anche qualora non avessero influito in alcun modo sul miglioramento delle prestazioni, come nei casi di utilizzo di una maggiore intensità di capitale o della realizzazione di economie di scala. Per ovviare a tali rischi si cerca spesso di impiegare quei già menzionati indica.
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tori detti di "produttività totale dei fattori", che si basano su una metodologia di analisi aggregata al fine di calcolare contemporaneamente il contributo apportato da tutte le risorse impiegate alla realizzazione di un'attività ed al miglioramento della sua efficienza 23 .
Indicatori di utilizzo. Strutturati in modo tale da fornire informazioni specifiche sul livello di sfruttamento delle varie risorse. Questi indici sono tendenzialmente omogenei, presentandosi generalmente sotto forma di rapporti tra "il servizio reso dal capitale e la sua entità fisica" 24 Tramite il loro impiego è possibile dare congiuntamente conto delle normali prestazioni fornite dagli operatori pubblici e di quelle superiori o inferiori allo standard di riferimento (come il lavoro straordinario, il tasso di assenza del personale, l'incidenza dei guasti del capitale ecc.).
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Indicatori di intensità di capitale. Costruiti come rapporti fra il fattore lavoro ed il capitale contemporaneamente utilizzati, ed orientati all'individuazione della "formula produttiva" 25 adottata dal soggetto considerato. Indici di composizione. Che rappresentano in dettaglio la tipologia delle risorse impiegate dalle amministrazioni, consentendo di valutare l'opportunità delle scelte organizzative effettuate (come accade nel caso in cui si consideri il rapporto sussistente tra il nu-
mero dei dipendenti impiegati propriamente nella produzione ed il numero dei dipendenti impiegati, invece, in lavori di segreteria, nelle relazioni con il pubblico ecc.).
Indici di qualità26. Che permettono di verificare se eventuali aumenti della produzione (a parità di risorse impiegate) o la riduzione dei costi (a parità di output realizzato) non siano legati ad un peggioramento della qualità delle prestazioni fornite, consentendo inoltre di valutare le caratteristiche delle tecniche procedimentali adottate. Il fatto che sia cresciuto il numero degli arresti realizzati in riferimento ad uno stesso tempo base di riferimento, ad esempio, non significa che sia aumentato il livello di efficienza del corpo di polizia. Potrebbe verificarsi infatti un contemporaneo calo della percentuale di condanne pronunciate, che rivelerebbe un incremento degli errori compiuti da parte delle Forze dell'ordine e la conseguente diminuzione della qualità del servizio 27 .
Indicatori basati sul rapporto uso/disponibilità. Che rendono possibile rilevare i cosiddetti «tempi passivi nell impiego degli strumenti tecnici e le "ore improduttive" nel lavoro del personale (come quelle trascorse in attesa del materiale necessario per svolgere specifici compiti). Queste misure vanno analizzate attentamente per verificare che alla riduzio.57
ne .dei tempi morti corrisponda un reale aumento della produttività o un calo delle spese, poiché in caso contrario esse non darebbero eff4'ttivamente canto di un miglioramento del servizio 28
ri, con la superficie o con il volume assegnati ad ogni divisione, reparto, gruppo di lavoro ecc. 31 Tra i principali indici di costo sono generalmente fatti rientrare:
Indici di costo29. Corrispondenti al rapporto tra uno specifico livello di spese effettuate ed uno spcifico livello di risultati corrispondentemente ottenuto (consumo per unità di output) o un periodo di tempo di riferimento (consumo orario, giornaliero, annuale ecc.) 30 La verifica dell'eventuale divario esistente tra costi previsti e costi realmente sostenuti è un'indicazione di generale utilità, pur non dicendo nulla rispetto al grado di efficienza o di efficacia conseguito. Solo se relazionato ad altri parametri (come il corrispondente livello di produzione ottenuto) l'ammontare delle spese affrontate consente di valutare in termini di produttività le prestazioni di un operatore. Il costo singolarmente considerato, pertanto, non può essere assunto come misura di performance Va tenuto presente che spesso la contabilità degli acquisti (specie di capitali immobili) non permette di individuare immediatamente le spese da imputare alle diverse articolazioni organizzative che beneficiano contemporaneamente dei nuovi beni, per cui può essere necessario adottare dei ragionevoli sistemi di ripartizione che si rifacciano, ad esempio, a criteri di proporzionalità con il numero degli operato-
l'indicarore di costo medio di prestazione
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costo numero di prestazioni
l'indicatore marginale ifidicarore di costo indicatore di ricavo
l'indicatore di costo medio unitario del personale costo del personale numero dipendenti 32
Si tenga presente che nell'ambito della valutazione dei costi è possibile fare ricorso a differenti criteri, tra cui: - la valutazione del costoffettivo, che assicura un elevato grado di precisione, ma comporta delle spese notevoli e può risultare eccessivamente onerosa in fase di programmaiione; - la valutazione del costo medio teorico, che può essere utilizzato con affidabilità solo nel caso in cui il personale sia qualitativamente omogeneo, per non incorrere in generalizzazioni scarsamente attendibili; - la valutazione del costo medio per qualifica o per livello, che consente di realizzare un'adeguata programmazione delle spese e di rappresentare abbastanza fedelmente i diversi costi del personale corrispondenti alle differen-
ze sussistenti tra i vari tipi di lavoro, anche se presenta il limite di non essere in grado di tener conto di altri fattori individuali che influiscono sulla retribuzione (come l'anzianità) 33 .
Indici di attesa, riferiti al tempo necessario ad erogare un servizio richiesto. Indici di produttività-efficienza basati sul calcolo di alcuni tempi particolari, generalmente corrispondenti a rapporti che mettono in relazione il tempo produttivo" con le altre varie configurazioni del tempo lavorato dal personale amministrativo. In riferimento a tali indicatori, è opportuno tenere presente che la misurazione del tempo produttivo comporta spesso notevoli difficoltà, legate in particolar modo alla frequente complessità dell'individuazione di tutte le fasi elementari dei processi di servizio in cui si scompongono le varie linee di attività amministrativa, all'incidenza di errori dovuti alla presenza di atti non ripetitivi, all'elevata variabilità e alla molteplicità dei fattori quali-quantita," tivi da considerare nonche all aupicità", che rende alcuni comportamenti difficilmente standardizzabili 34 . Nonostante tali inconvenienti, può essere molto utile procedere all'elaborazione di un "bilancio generale dei tempi caratteristici di ciascuna attività amministrativa", in modo da poter disporre delle informazioni necessarie alla costruzione di indicatori del livel,
lo di utilizzazione della risorsa lavoro di cui si dispone e dei principali fattori che la influenzano. A questo genere di misure appartengono, ad esempio, gli indici rappresentativi di grandezze quali: il grado di utilizzazione del perso nale tempo netto di presenza tempo lavorabile
l'incidenza della mancanta presenza tempo di mancata presenza tempo di lavoro
Il bilancio dei tempi consente, inoltre, di individuare gli standard necessari allo svolgimento di ogni fase dei processi di servizio definiti, rendendo possibile esprimere in termini omogenei (quantità di tempo produttivo impiegata) e non in termini fisici (numero di atti) la misura dell'operato di ciascuna linea di attività, corrispondente alla somma dei tempi impiegati per la realizzazione del complesso degli atti elementari che la compongono35 . Si tenga presente che la rilevanza di questo criterio di omogeneizzazione dell'output amministrativo è strettamente dipendente dalla presenza di alcuni presupposti, quali: - la possibilità di definire a priori dei tempi standard ponderati rispetto alle diverse qualità del fattore produttivo lavoro - l'essenzialità dei processi di servizio adottati per la realizzazione dell'output
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- l'esistenza di rendimenti di scala equiparabili; - la presenza di tipologie di lavoro qualitativamente omogenee; - la stabilità del rapporto proporzionale sussistente tra le quantità dei differenti input utilizzati all'interno di ogni processo produttiv0 36. Nell'ambito di ogni linea di attività è anche possibile costruire degli indicatori sintetici di produttività-efficienza del lavoro, ottenuti confrontando il tempo produttivo con le altre grandezze temporali individuate. In questa specifica categoria di misure possono rientrare: L'indice diprodurtiuità-efficienz4 lorda
tempo produttivo tempo lavorabile
l'indice di produttività_efficieza netto o di efficienza produttiva
tempo produttivo tempo netto di presenza37
Non può comunque dimenticarsi che nonostante la loro validità generale questi indici presentano alcuni limiti non trascurabili, come l'incapacità di rendere co'nto delle trasformazioni qualitative delle grandezze considerate, la mancata considerazione di grandezze difficilmente quantificabili, in quanto atipiche 38 , l'esclusione della valutazione dei tempi tecnici di attesa e l'adozione di differenti tecniche di ,, CC misurazione ciei numeratore e ae "denominatore" dei rapporti consideIl
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rati, da cui può derivare una "amplificazione" degli eventuali errori di rilevazione (che si verificherebbe nel caso in cui vi fossero delle imprecisioni nel calcolo di entrambe le grandezze)39. È anche possibile notare che gli indicatori di produttività-efficienza elaborati a partire da input ed output espressi nella stessa unità di misura40 si caratterizzano come misuratori aciimensionali", interpretabili come rapporti di rendimento tra tempo assegnato e tempo impiegato che consentono un'immediata misura percentuale del fenomeno esaminato (il che rende possibile effettuare delle attendibili comparazioni anche tra le attività di amministrazioniproduttrici di output non omogenei, a condizione che si utilizzi sempre la stessa tecnica di calcolo delle grandezze poste in relazione). Se si dividessero, infatti, numeratore e denominatore del primo rapporto precedentemente individuato per il tempo standard necessario alla realizzazione di un atto finale, si avrebbe, ad esempio, che: CC
tempo produttivo
I.
ltempo standard finale per atto =
tempo di presenza n. di atti teorici standard ottenuti n. di atti teorici che si sarebbero dovuti ottenere
da cui si deduce che il rendimento menzionato sarebbe espresso in termini fisici sotto forma di rapporto tra numero di atti teorici ottenuti ("produttività consuntive") e numero di atti
teorici che si sarebbero invece dovuti realizzare nel tempo di presenza a disposizione ("produtti'rità prefissate")4 I. CLASSIFICAZIONE DEI PIU COMUNI INDICATORI DI EFFICACIA
Anch per gli indici di efficacia è possibile fare riferimento ad una classificazione generale, comprendente: indicatori di contesto, che forniscono delle informazioni sull'ambiente in cui si realizza l'attività amministrativa. Tra i pii diffusi indicatori di contesto si individuano quelli di carattere socio-economico elaborati in relazione ad una specifica area geografica, accanto ai quali è anche frequentemente possibile rinvenire misure quali gli indicatori elementari di accessibilità, tra cui l'"indice elementare di accessibilità" calcolato in riferimento all'ammontare degli utenti che impiegano un certo lasso di tempo per raggiungere il luogo in cui viene erogato il servizio o viene svolta l'attività amministrativa di loro interesse 42, o quello che si riferisce alla durata dell'apertura al pubblico degli uffici da cui è fornita la prestazione richiesta (al quale è spesso affiancata l'analisi dell'opinione degli utenti rispetto alla "comodità dell'orario di servizio") 43 . indicatori di domanda, che consentono di valutare l'azione amministrativa in relazione alla sua capacità di soddisfare le esigenze che si manifestano nel contesto sociale (con riferimento all'aspetto quantitativo).
In questa categoria di indici, anche definiti "indicatori di utilizzo" 44, rientrano misure quali: l'indicatore del grado di soddisfacimento degli utenti potenziali numero dei fruitori numero richiedenti potenziali
l'indicatore del grado di utilizzo dei risultati numero di fruitori numero prestazioni prodotte 45
l'indicatore del grado di capacità di soddisfacimento della richiesta numero richiedenti prestazioni erogate
Indicatori diflessibilità, che misurano la capacità di un soggetto di modificare la propria organizzazione in relazione alle trasformazioni del contesto in cui opera46. Indicatori di dotazione (o di risorse), ulteriormente distinguibili in: - indicatori di dotazione strutturale47 tra cui possono essere inclusi quelli finalizzati alla misurazione del comfort garantito agli utenti attraverso un adeguato sistema di segnalazioni, una razionale disposizione degli uffici, accessi specifici per i portatori di handicap, posti a sedere nelle sale di attesa, disponibilità di servizi sanitari ecc. 48 - indicatori di qualità delle strutture, tra cui sono compresi quelli che si riferiscono allo stato di manutenzione ed al livello di pulizia di beni mobili ed immobili; ,
;
61
- indicatori di dotazione tecnologica, che si riferiscono al rapporto tra la quantità di apparecchiature a disposizione per lo svolgimento dell'attività amministrativa ed il numero degli addetti alloro impiego e/o degli utenti che se ne devono avvalere, alla frequenza dei guasti, alla lunghezza dei tempi di riparazione ecc.; - indicatori di dotazione di risorse umane, tra cui sono compresi il rapporto tra il numero degli utenti che devono essere soddisfatti ed il numero dei dipendenti preposti a tal compito, il rapporto tra la quantità di apparecchiature tecnologiche ed il numero di dipendenti capace di utilizzarle, il rapporto tra l'entità del personale impiegato in forma precaria e la totalità del personale dipendente; - indicatori di dotazione di risorse nanziarie, tra cui rientrano i rapporti tra l'ammontare di denaro a disposizione ed il numero degli utenti del servizio o tra l'ammontare di denaro erogato e quello impegnato. 5) indicatori di processo (o di attività), utilizzati al fine di poter costantemente disporre di dati relativi alle modalità di realizzazione del lavoro, alle decisioni inerenti al modo di impiego dei fattori produttivi (umani, strutturali e finanziari) e ai comportamenti operativi che ne conseguono. Tali indici sono elaborati a partire dal presupposto che le modalità di utilizzo delle risorse disponibili sono estremamente variabili, così che possono
fi-
62
determinarsi, di volta in volta, diverse conseguenze e diverse reazioni a fronte delle scelte adottate nel processo di produzione. Anche queste misure sono ulteriormente distinguibili in: - indicatori relativi al tempo, utilizzati per valutare la rapidità dell'operato amministrativo, la puntualità, i periodi di attesa ecc.; - indicatori relativi alla semplicità delle procedure, che includono misure relative alla disponibilità di informazioni riguardanti i servizi di interesse dell'utente, alla comprensibilità dei moduli da compilare, alle modalità di accesso alle prestazioni necessarie (prenotazione manuale, telefonica, informatizzata ... ) ecc. 49 ; - indicatori relativi all'informazione circa i servizi resi, anch'essi a volte detti di "accessibilità" in quanto comprendono valutazioni del tipo di accoglienza predisposta all'utente nell'ambito delle strutture pubbliche, del livello della comprensibilità, della chiarezza e della completezza delle informazioni che sono fornite dagli addetti, nonché del tipo di difficoltà incontrato nel reperirle; - indicatori relativi alla qualità delle relazioni sociali intercorrenti tra soggetto erogatore e destinatari del servizio, che consentono di esaminare il rapporto utente/amministrazione sul piano "umano", riferendosi a caratteristiche quali la cortesia, la disponibilità ecc. 50 . 6) Indicatori di prodotto o di risultato,
tramite i quali è possibile tenere conto di specifici tratti qualitativi dell'output amministrativo, tra cui: - la capacità di evitare effetti negativi che possono essere connessi alla fornitura di un servizio; - il conseguimento di una equa distribuzione delle prestazioni rese; - il grado di soddisfazione manifestata dagli utenti51 - il livello di professionalità del personale dipendente; - la stabilità nel tempo e l'omogeneità nello spazio di adeguati standard qualitativi. - il grado di conseguimento di una finalità prestabilita o dei progressi realizzati in tal senso 52. È possibile osservare che queste particolari misure consentono di individuare sia il calo di fattori negativi (come l'inquinamento ò il numero dei reati), sia l'incremento di fattori positivi (come la crescita del numero degli studenti iscritti all'ultimo anno della scuola secondaria superiore che conseguono la maturità)5 3 Nel caso in cui il loro calcolo risultasse impossibile o eccessivamente oneroso, potrebbe farsi ricorso a quegli specifici indici di qualità deli'input che sono frequentemente assunti come proxyS 4 del livello qualitativo complessivo dell'attività svolta (e ricoprono, quindi, un ruolo secondario, qualora sia possibile analizzare delle informazioni direttamente riferite all'attività considerata). Tra questi in;
.
dicatori si possono individuare quelli di "affidabilità" e quelli di "qualità intrinseca". I primi sono legati alla valutazione delle risorse impiegate dal punto di vista della sicurezza e della continuità del servizio, mentre i secondi evidenziano l'influenza delle caratteristiche intrinseche dei fattori produttivi dal punto di vista della loro funzionalità La particolare attenzione dedicata all'analisi della qualità è giustificata anche dal fatto che spesso il giudizio degli utenti sull'efficacia di un servizio è determinato prevalentemente proprio dalla considerazione di questo elemento55, piuttosto che dalla valutazione del miglioramento complessivo delle prestazioni offerte dagli operatori pubblici 56 . Si deve tenere presente che generalmente quella che viene valutata non è tanto la qualità di un singolo servizio, ma la qualità di un "pacchetto" di servizi, posto che normalmente ci sono varie prestazioni di "contorno" che vengono fornite congiuntamente ad una prestazione principale" (nel caso dei trasporti, ad esempio, il servizio principale può essere rappresentato dal volo in aereo, dal viaggio in nave o in treno, mentre servizi periferici possono essere la pulizia, la comodità, il trattamento dei bagagli ecc.) 57. È infine opportuno rilevare, richiamando alcune osservazioni precedentemente espresse, che soprattutto in riferimento alla definizione degli indi63
catori di efficacia si risente della difficoltà legata alla distinzione tra gli effetti provocati dall'azione amministrativa e quelli legati ad altre variabili, come la frequente presenza di esternalità, i diversi atteggiamenti assunti dai valutatori nei confronti dell'oggetto delle loro analisi e la mancanza di un sistema di coordinamento dell'azione di diversi operatori pubblici 58 . L'esistenza di tali inconvenienti, invece di generare sfiducia nei confronti della possibilità di conseguire del risultati soddisfacenti, dovrebbe piuttosto rappresentare uno stimolo costante all'approfondimento della conoscenza delle specifiche realtà oggetto di interesse ed alla realizzazione di analisi ad essi adeguate. Al momento attuale l'elaborazione. di tecniche e di correlati strumenti di
misurazione dell'attività amministrativa è ancora in corso. Gli studi realizzati negli ultimi anni sono stati e sono tuttora condotti da gruppi di ricerca interdisciplinari, il cui lavoro si fonda sull'apporto di diverse conoscenze specifiche e di numerose esperienze maturate nell'ambito politico, nell'ambito statistico-economico e nell'ambito della scienza dell'amministrazione 59 . Le indicazioni e gli stimoli contenuti nella legislazione pii recente hanno fornito vari spunti di discussione agli esperti e ai soggetti istituzionali coinvolti nella riforma in atto. Ad essi spetta ora il compito di moltiplicare le sperimentazioni, di sostenere il cambiamento e di contribuire a diffondere un nuovo modo di concepire e valutare l'azione delle pubbliche amministrazioni.
Per alcune definizioni dei concetti di efficacia e di
spec. pp. 32-6; G. FAvA, L'efficienza e qualità: teorie e tecniche per lo studio del controllo di gestione, Milano, Angeli, 1989, pp. 190, spec. pp. 23-8; A. LEMMI, A. QUArANTA e A. VIvIANI, La misura della produttività: questioni di metodo ed evidenze empiriche, Siena, Nuova immagine editrice, 1991, pp. 201, spec. pp. 11-5; P. NEGRO, Economicità delle azioni pubbliche problemi di valutazione, Milano, Angeli, 1992, pp. 148, spec. pp. 36-7; G. CoGLIaDRo, I controlli sul bilancio dell'Unione europea, in Nuovo sistema di controlli sulla spesa pubblica (Atti del convegno di studi di Perugia del 9-10 giugno 1994), Roma. Banca d'Italia, 1994, pp. XV+431, spec. p. 685; Dipartimento per la Funzione Pubblica (cur.), Tecniche per la misurazione dei costi e del rendimento nelle pubbliche amministrazioni, Roma, Istituto Poligrafìco e Zecca dello Stato, 1994, pp. 56, spec. pp. 16-7.
I
efficienza cfr. R. BETTINI, L'efficienza come valore dell'organizzazione, in «Rivista trimestrale di Scienza dell'Amministrazione», 27 (1980), n. 1, pp. 121125, spec. pp. 122-3; Commissione per lo studio dei problemi inerenti alla misurazione della produttivit nella pubblica amministrazione (cur.), Relazione finale, in «Rivista trimestrale di diritto pubblico», 31 (1982), pp. 935-67, spec. pp. 935-6; F. SCACCIATI, Analisi dei costi e delle attività; individuazione degli indicatori di produttività: ristrutturazione del bilancio negli enti locali, in «Il nuovo governo locale», 2 (1984), n. 2, pp. 55-86, spec. pp. 55-6; IsAs (cur.), La produttività nella pubblica amministrazione: nuove prospettive, Palermo, IsAs, 1988, pp. XVI+172, spec. pp. 77-81; L. D'ALESSIO, Il controlla di efficienza nelle aziende pubbliche, Napoli, Liguori, 1989, pp. 191,
64
2
Cfr. -R. BEirnNl, op. cit., p. 122. Si osservi che in alcuni casi è necessario distinguere tra output intermedi, rappresentativi dell'attitudine ad erogare determinati servizi pubblici (quali il numero diletti disponibili nelle strutture ospedaliere o delle sedi scolastiche), ed output finali, corrispondenti ai risultati veri e propri del servizio. Il rapporto tra output intermedi e output finali può dare un'idea del grado di utilizzazione della capacità di cui si dispone: cfr. N.
La misura della performance nei servizi del settore pubblico, in «Il nuovo governo locale», 5(1987),
FLYNN,
n. 1, pp. 28-48, spec. p. 35. L'ottimizzazione nell'impiego dei fattori produttivi si ottiene quando si adottano le soluzioni tecniche più adeguate e si utilizzano al meglio le risorse umane e strumentali di cui si dispone: cfr. G. C0GLIANDRO, op. cit., p. 685. È possibile notare che molto frequentemente la produttività-efficienza può essere espressa anche in termini di costo unitario calcolato attraverso il rapporto "input/output", poiché un soggetto opera certamente in modo più efficiente se riesce ad ottenere ciascuna unità di prodotto con una spesa minore: cfr. Dipartimento per la Funzione Pubblica (cur.), op. cit., p. 17. Cfr. A. ZULIANI, La misurazione dell'attività amministrativa, relazione al convegno di studi "Indicatori di efficacia e di efficienza dell'attività amministrativa" (Roma, sede del CNEL, 29-30 settembre 1995), pp. 25, spec. p. 2. 5 In proposito è possibile osservare che una delle cause di inefficienza amministrativa più frequentemente rilevate è proprio la disinformazione dei decisori politici rispetto alla realtà in cui essi sono chiamati ad intervenire, da cui derivano delle manifeste disfìinzioni: cfr. A. Mj',s'JcINI, Problemi di metodo per la misurazione dell'efficienza e dell'efficacia, in CNEL (cur.), Stru-
menti di misurazione dell'efficienza e dell'efficacia dei servizi pubblic locali (Atti del forum di Roma dcl 18 dicembre 1991), pp. 1-29, spec. p. 9. Le attività prese in considerazione possono essere dei servizi esterni o interni: i servizi esterni soddisfano direttamente le esigenze degli utenti o di altri soggetti amministrativi rispetto ai quali svolgono una funzione ausiliaria; i servizi interni corrispondono, invece, alle attività necessarie a produrre i servizi esterni. Per un ulteriore approfondimento sul tema cfr. Foiu»iez (cur.), Laproduttività nella pubblica amministrazione. Rapporto al CNEL, Milano, Edizioni Sole 24 Ore, 1987, pp. 198, spec. p. 41. C
Si parla di standard generali quando i valori di riferimento riguardano l'insieme dei servizi che vengono erogati a favore dei cittadini, mentre si parla di standard specifici in relazione a singole prestazioni: cfr. A. ZULIAN!, op. cit., P. 13. 8 Cfr. A. ZULIANI, op. cit., pp. 20-1. 9 Cfr. CNEL (gruppo di lavoro sulla misurazione dell'attività amministrativa) (cur.), Le parole della misurazione (quaderno di documentazione), CNEL, Roma, 1995, pp. 124, spec. p. 64. IO Cfr. H. HARTY, Misurazione della performance: princ:pi e tecniche, in »Problemi di Amministrazione Pubblica», 7(1982), n. 2, pp. 63-107, spec. p. 67. I Cfr. H. HATRY, op. cit., pp. 66-9; CNEL (gruppo di lavoro sulla misurazione dell'attività amministrativa) (cur.), op. cit., p. 9-10; A. TAiADEL, Indicatori di efficacia, relazione al convegno di studi" Indicatori di efficacia e di efficienza dell'attività amministrativa" (Roma, sede del CNEL, 29-30 settembre 1995), pp. 23, spec. pp. 8 e 16. 2 Cfr. A. LEMMI, A. QUARANTA e A. VIvIANI, op. cit., p. 26. 3 Cfr. M. CIAccIA, La misurazione dell'attività: indi7
catori di gestione, indici di bilancio, indicatori finanziari di autonomia efinzionalità gestoria, in »Il Consiglio diStato)), 46 (1995), pp. 2339-2348, spec. p. 2342. In alcuni casi le espressioni "indici statici" ed "indici dinamici" sono invece riferite, rispettivamente, alla struttura di un'organizzazione e alla sua attività. 15 Cfr. R. BEUINI, Recenti contributi in tema di produttività pubblica, in »Rivista trimestrale di Scienza dell'Amministrazione», 29(1982), n. 314, pp. 17392, spec. p. 181. Si tenga presente che l'ammontare dei materiali a cui si è fatto ricorso è generalmente espresso attraverso unità di misura appropriate alle risorse di cui ci si serve (come i litri di prodotti chimici utilizzati per depurare le acque, i litri di carburante impiegati per la circolazione dei mezzi di trasporto urbani ecc.). L'uso del capitale è invece espresso in termini di impiego o di numero di unità strumentali attive (come il numero degli autobus circolanti in un certo lasso di tempo): cfr. R. BOYLE, Indicatori usuali
nella misura della produttività dei servizi locali negli Stati Uniti. Una rassegna critica, in FORMEZ (cur.), Efficienza e produttività della pubblica amministrazione: concetti teorici ed analisi empiriche, in »Quaderni della rivista Problcmi di Amministrazione Pubblica», 10 (1985), n. 10, pp. 401-50, spec. p. 405.
16 Cfr. E. BoRGoNovi (cur.),
La pubblica amministrazione come sistema di aziende composte pubbliche, in Introduzione all 'conomia delle amministrazioni pub-
economica nella pubblica amministrazione, Salerno, Università di Salerno (Dipartimento di studi econo-
bliche, III ed., Giuffré, Milano 1984, pp. XVI+400,
24 Cfr. G. MALTINTI, op. cit., p.26. 25 Cfr. G. MALTINTI, op. cit., p. 27.
spec. p. 8-9. 17 Cfr. N. CARTER,
Come misurare la performance: l'impiego degli indicatori all'interno delle organizzazio-
ni, in «Problemi di Amministrazione Pubblica», 17 (1992), pp. 237-71, spec. p. 255, dove si osserva che non esistono misure utili di per se stesse, ma solo indici più o meno capaci di avvicinare all'obiettivo prestabilito. 18 Cfr. A. LEMMI, A. QUARANTA e A. VIvIANI, op. cit., 19-20, dove si fa osservare che spesso la semplicità tipica del calcolo di questi indicatori rischia di determinare una scarsa attendibilità dei dati da loro forniti, anche perché essa non consente in alcun modo di tener conto di eventuali variabili esterne capaci di determinare una crescita della produttività che non può essere direttamente imputabile al fattore considerato. 19 Cfr. IsAs, op. cit., pp. 92-6. 20 Cfr. G. NRo, "Aspetti e misure della produttività nei servizi pubblici locali", Messina, Università degli studi di Messina (laboratorio di statistica applicata e ricerca operativa), 1990, pp. 39, spec. p. 6. Una possibile soluzione semplificatrice ed uniforme da adottare per individuare l'output potrebbe essere quella di fare costantemente ricorso ai servizi o agli atti rilevanti verso l'esterno dell'articolazione or21
ganizzativa di volta in volta considerata: cfr. A. MAJ4CINI e F.R. PIzzUTI (1983), Problemi di misura-
zione della produttività: il caso della Pubblica Anzministrazione, in «Note Economiche», 13(1983), n. 3, pp.lO2-23, spec. 108. 22 Cfr. A. MANCINI e F.R. PIZZUTI, op. cit., 107-10. 23 "Un esempio del primo tipo si può trovare nei trasporti urbani, dove addetti al movimento e autobus sono altamente rappresentativi della formula adottata, mentre un esempio calzante de!la seconda situazione si ha nell'assistenza ospedaliera, dove il lavoro è rappresentato, almeno, da medici, tecnici ed infermieri, e il capitale da una notevole congerie di attrezzature difficilmente aggregabili. Evidentemente una stima monetaria del capitale per addetto è quasi sempre impossibile, perché frequentemente nun si dispone di una valutazione affìdabilc del capitale": cfr. G. MALTINTI, La valutazione economica ne/la pro-
duzione dei servizi pubblici: raccomandazioni e proposte, in G. PENNELLA (cur.), Tecniche di valutazione 66
mici), 1993, pp. 3-49, spec. p. 27.
26
Ulteriormente suddivisibili in: indicatori di affidabilità; indicatori di qualità intrinseca; indicatori di accessibilità; indicatori di qualità estrinseca: cfr. G. MALTINTI, op. cit., p. 27. Secondo alcuni autori la qualità "si rispecchia nell'ammontare dei beni che i consumatori sono desiderosi di comprare e nel prezzo che sono disposti a pagare per ottenerli": cfr. E. SONIAT e B. USILANER, La misura della produttività, in FORMEZ, Efficienza e produttività della pubblica
amministrazione: concetti teorici ed analisi empiriche, in »Quaderni della rivista Problemi di Amministrazione Pubblica», 10 (1985), n. 10, pp. 179-210, spec. p. 180. 27 Cfr. H. HATRY, La situazione corrente dei metodi di misurazione della produttività nel settore pubblico, in «Problemi di Amministrazione Pubblica», 3 (1978), n. 314, pp. 22 1-40, spec. p. 222. 28 Per questo motivo alcuni autori sostengono che tali indici dovrebbero considerarsi meramente "sostimtivi" di altre misure più accurate: cfr. H. HATRY, ult. op. cit., p. 223. Da non confondersi con quelli precedentemente menzionati, che sono misure assolute della spesa non
29
rapportate ad altre grandezze. 30 Cfr. G.
Lu, Indicatori di efficienza, relazione al convegno di studi "Indicatori di efficacia e di efficienza dell'attività amministrativa" (Roma, sede del CNEL, 29-30 novembre 1995), pp. 14, spec. p. 8. 3' Cfr. FoRMEZ (cur.), op. cit., p.48. 32 Cfr. M. CIACCIA, op. cit., p. 2343. 33 Cfr. DIP. FUN. PUB. (cur.), op. cit., p. 26. 34 Cfr. L. BIGGERI e A. ZULIANI, La misura della produttività-efficienza nella pubblica amministrazione italiana: i risultati di una ricerca, in »Città e Regione», 9 (1983), n. 3, pp. 39-72, spec. p. 52, dove è anche illustrato un generale "bilancio dei tempi di lavoro" riferibile ad ogni contesto ed utilizzabile come schema di analisi dell'attività di ogni operatore (p. 49). 35 Indicando con TJP il tempo produttivo totale di reahzzazion di una certa linea di attività "ellesima", con Aj/la frequenza con cui il singolo atto elemeritare js (j= 1,2 ...z) viene posto in essere nel periodo di tempo considerato, e con tjl il tempo unitario srandard necessario al suo compimento si ha, infatti, che:
z
p
Tj
S
Ajl x tjl
=
un intero servizio cade interamente sotto l'applicabilità del metodo": cfr. A. MARTINI, La produttività
nella pubblica amministrazione: aspetti teorici ed un caso di applicazione empirica, in «Economia pubbli-
J= 1 (In base a cui si calcola il tempo totale come sommatoria degli "j" tempi• ' ellesimi" standard che compongono una linea di attività moltiplicati per la loro
ca», 12 (1982), pp.l85-93, spec. pi88. 36 cfr. L. BIGGERI e A. ZULIANI, op. cit., p51. 37 Tale misura è viziata dalla mancata esclusione dal
Frequenza) Moltiplicando TjP per la quantità di prodotto ottenuta in un certo periodo di tempo si può calcolare il tempo produttivo tecnico Tt, corrispondente a: Tt = TJP xQ(con.Q= outpureale) Tt rappresenta il tempo di cui si avrebbe bisogno se ogni atto elementare Fosse realizzato rispettando esattamente i tempi standard ad esso necessari.
computo del tempo netto di presenza dei tempi impiegati in attività non lavorative, dalla mancata con-
Tale grandezza può essere rapportata al "tempo complessivo lordo" di cui si dispone in base al contratto di lavoro per calcolare il cosiddetto "grado di utilizzo
zione e alla mobilità del personale amministrativo, sulle quali è spesso molto difficile influire con successo per via, ad esempio, della stagionalità tipica della prestazione di alcuni servizi: cfr, L. BIGGERI e
del lavoro" (G): Tt
siderazione delle capacità, dell'idoneità e dell'impegno dci lavoratori, dall'organizzazione delle attività, con particolare riguardo ai tempi tecnici di attesa ed all'entità e continuità dei carichi di lavoro. La considerazione di questi elementi riporta inevitabilmente a problematiche quali quella inerente alla distribu-
A. ZuLIANI, op. cit., 54-5. 30 Come il tempo impiegato nelle missioni, che sono pur sempre delle attività lavorative.
G= Tc (tempo contrattuale) Si deve tenere presente che il tempo produttivo tecnico (Tt) rischia di essere spesso sovra o sotto stimato in relazione al Fatto che nel periodo di analisi di riferimento si concluda la realizzazione di attività alle quali si era già precedentemente dato inizio o si avvii quella di altre che saranno solo successivamente poitate a termine: cfr. FORMEZ (ed.),op. cit., p. 44; A. MANCINI e A.F. PizzuTI, op. cit., p.ì4. Non bisogna, inoltre, dimenticare che nel calcolo del tempo totale di realizzazione di un'attività vanno tenuti pre-
Analisi dei tempi e dei costi del lavoro amministrativo, Napoli, Formez, 1984, docu-
39 Cfr. Foruz (cur.),
mento Formez n. 4, pp. 48, spec. pi2. 40 Ad esempio Il "numero delle ore impiegate" ed il
"numero delle ore lavorate". 41 Cfr. L. BIGGERI e A. ZuLIANI, op. cit., p. 54-5; A. MARTINI, op. cit., p. 189. 42 Cfr. A. TARADEL, op. cit., P. 9. 43 È possibile distinguere tra un'acccssibilità "teori-
ca", normalmentedisciplinata dalla miormativa relativa alle c:ini di servizi pubblici, ed uii'acccssibilità 'concreta", inerente alle "modalità concrete di acces-
senti solo quegli atti effettivamente necessari alla produzione di successivi atti finali, eliminando quelli che non possono essere ritenuti essenziali. Alcuni autori hanno osservato che condizioni indispensabili per la definizione di un tempo standard sono la "ripetitività
so al servizio": cfr. L. PRosI'ER.FrrI, La qualità dei servizi, relazione all'incontro di presentazione del 6° Forum della PA (Roma, presidenza del consiglio dei ministri, sala del Cenacolo, 22 febbraio 1994), pp.
e la standardizzazione delle operazioni, la scarsa variabilità del tempo necessario a compkrle, l'assenza di attese operative". Restano esclusi dall'applicazione di
44 Cfr. G. MALTINTI, op. cir., p. 29. 45 Cfr. M. CIACCIA, op. cit., p. 2343. 46 Cfr. F. BornNo, M. CIPOLLONI, S. FABIANO e R.
questo metodo l'istruzione, i servizi sanitari (a parte alcuni settori marginali), gran parte dei servizi locali e in genere tutte quelle mansioni che implicano attesa, sorveglianza, direzione e coordinamento, attività di
MONTAGNUOLO,
studio o di ricerca, lo stare a disposizione per situazioni di emergenza, l'insegnare qualcosa, l'assistere qualcuno, ecc. Quindi, assai raramente l'attività di
5,spec.p. I.
Le tecniche di controllo nel sistema FEPJI: NTG4 (indici di efficacia), NTG5 (indici di efficienza), relazione al convegno di conclusione e pre-
sentazione dei risultati del progetto FEPA, Rimini, cinemaAstoria, 20-21 marzo 1990, pp.11, spec. p.6. 47 Queste misure sono spesso costruite derivando approssimativamente l'efficacia del servizio dal rappor67
ro tra il fattore produttivo più significativo e la domanda potenziale di prestazioni: cfr. G. MALTINTI, op. cit., p. 30. 48 Cfr. A. TAJOADEL, op. cit., p. 11. 9 Cfr. A. TARWEL, op. cit., p. 13. 50 Cfr. G. MALTINT!, op. cit., 29; A. TARADEL, op. cir., p. 13. 5' Cfr. E. SON!AT e B. USILANER, op. cit., p. 181. 52 Tra i misurarori di questo tipo si hanno, ad esempio, il "numero di utenti realmente soddisfatti per ora/addetto" (invece del "numero di utenti 'trattati' per ora/addetto") o il "numero di arresti per agenti di polizia seguiti da condanne" (piuttostò che il "numero di arresti per agenti di polizia"). 53 Cfr. E. S0NIAT e B. US!LANER, op. cit., p. 181; G. MALTINTI, op. cit., p. 29; A. TARADEL, up. dt., p. 14. 54 Ossia come misura approssimativa. 55 La pulizia delle strade, ad esempio, è valutata in modo negativo anche se solo pochi cestini dei rifiuti rimangono stracolmi o qualche tratto di marciapiede è imbrattato. 56 Come nel caso in cui, ad esempio, siano aumentati significativamente il numero dei contenitori dislocati sul territorio o si sia incrementata la frequenza del passaggio delle squadre di dipendenti addette alla raccolta dei rifiuti: cfr. CNEL (ed.), Valutazione di ri-
68
sultato attraverso il giudizio degli utenti, Roma,
CNEL,
1995, pp.l24, spec. p. 82. 5' Cfr. CNEL (ed.), op. cit., pp.20-1, dove viene anche illustrata la tecnica dell'applicazione della fun-
zione di qualità" (Quality Function Deployment), consistente nella definizione delle caratteristiche peculiari del servizio pubblico a partire dai bisogni dell'utenza che sono stati precedentemente rilevati. Ciò significa che "dopo avere stabilito 'cosa' interessa all'utente potenziale, si stabilisce 'come' soddisfarlo": ivi, 22-3. 50 Cfr. A. TARADEL, op. cir., p. 21; A. ZuUAN!, op. cit., p. 19. Si tenga presente che l'analisi svolta fino a questo punto va riferita sia all'attività amministrativa di front-office (che comporta, cioè, delle relazioni con l'esterno) che all'attività amministrativa di back-offlce (che non comporta, cioè, relazioni con l'esterno). 5' Tra i quali è possibile ricordare: il gruppo di lavoro interistituzionale sulla misurazione dell'azione ammiiiistrativa, costituito presso il CNEL; l'osservatorio sulle metodologie e le innovazioni nella pubblica amministrazione, unità operativa del progetto finalizzato del CNR "Organizzazione e funzionamento della pubblica amministrazione"; il COGEST, laboratorio per i controlli sulle gestioni di fondi pubblici.
Reinventare i progetti pilota di Luca Lo S chiavo *
Tra le norme della legge finanziaria per l'anno 1994 ve ne erano alcune che rivitalizzavano lo strumento dei progetti "finalizzati" (L. 537193, art. 2 commi 1-6), già introdotti nell'ordinamento dalla Legge 67/88 allo scopo di recuperare efficienza e efficacia nella pubblica amministrazione. I progetti pilota", come sono stati chiamati dopo il d.PR 303/94 che ha regolamentato, pii specificatamente, la materia dei progetti in attuazione dei principi fissati dall'art. 2 della Legge 537193, avrebbero dovuto costituire lo strumento principale di sperimentazione e diffusione dell'innovazione nel settore pubblico. I progetti potevano essere presentati da tutte le amministrazioni al Dipartimento della funzione pubblica, che avrebbe dovuto compiere un'istruttoria preliminare per verificarne la rispondenza ai seguenti requisiti: - ricercare soluzioni innovative a disfunzioni tipiche della pubblica amministrazione;
* Già viceresponsabile di "Cento progetti al servizio dei cittadini", programma del Dipartimento della funzione pubblica.
- proporre soluzioni sperimentabili in ambiti circoscritti in vista di una successiva applicazione anche su larga scala; - consentire di comparare i risultati ottenuti dall'assetto sperimentale con quelli conseguiti dall'assetto tradizionalmente vigente nel settore pubblico; - mobilitare le capacità del personale amministrativo; - consistere in sperimentazioni concrete e non solo in studi di esperti o consulenti. I progetti potevano essere finanziati con fondi destinati, previo un parere di un apposito Comitato tecnico-scientifico, che doveva esaminare i progetti in base ai seguenti criteri: - gravità delle disfunzioni su cui il progetto intendeva intervenire; - costi della sperimentazione e costi derivanti dall'eventualegeneralizzazione; - grado di innovazione rispetto a procedure vigenti; - trasferibilità della soluzione sperimentale a contesti diversi da quello di sperimentazione; - condizioni delle amministrazioni interessate e loro coinvolgimento nell'ideazione, nella progettazione e nel finanziamento dei progetti. 69
Il Dipartimento della funzione pubblica avrebbe dovuto avere un ruolo di promozione, selezione, controllo dei progetti e pubblicizzazione e trasferimento dei risultati sperimentali. L'ipotesi era infatti quella che alle sperimentazioni seguisse un programma di difflsione dei risultati in contesti analoghi, che, pur tenendo conto delle differenze specifiche e delle precondizioni necessarie per il trasferimento dei risultati, permettesse di applicare su larga scala le sperimentazioni attuate nei cantieri Nelle intenzioni di allora, lo strumento dei progetti pilota, se pienamente utilizzatò, avrebbe dovuto costituire una leva di cambiamento da affiancare (con pari dignità) allo strumento legislativo per incidere su quello che finora si è rivelato il terreno pii difficile della riforma: la fase di attuazione. I progetti pilota avrebbero dovuto consentire di intervenire in modo esemplare sull'innovazione del funziona mento delle strutture pubbliche per colmare il gap fra formulazione delle politiche di riforma e attuazione effettiva del cambiamento. Inoltre, i progetti pilota avrebbero potuto operare in deroga alle disposizioni vigenti, e permettere così la sperimentazione di nuove normative da generalizzare. Le amministrazioni non sono state indifferenti all'opportunità rappresentata dai progetti pilota. Nel periodo seguente all'entrata in vigore della L. 537/93, sono stati presentati 187 pro70
getti, e di questi ne sono stati approvati 101, per un valore di circa 103 miliardi (a cui si devono sommare altri 13 progetti approvati in base alle norme preesistenti, corrispondenti a un impegno finanziario di circa 82 miliardi). Per la verità, i progetti pilota hanno sofferto di grande disattenzione politica e sono stati anche facile oggetto di manovre di razionalizzazione della spesa: si pensi a quello che stava per succedere con il DL n. 260 del 28 giugno 1995 (poi modificato in sede di conversione), che con l'art. 1 cancellava con un tratto di penna la normativa della L. 537/93 e rimetteva i progetti pilota nella condizione originale secondo cui avrebbero al pii potuto essere un modo di smaltire l'arretrato in alcuni settori burocratici. Anche la Corte dei conti si è interessata dei progetti pilota, in genere per fustigare le spese effettuate. Alla fine, il Parlamento, seppure dopo vicende alterne, ha votato la revisione dei progetti pilota, anche di quelli in corso, per liberare fondi da ridestinare alla modernizzazione della pubblica amministrazione (art. 16 della legge 5 9/97). In questo modo, implicitamente è stato ammesso che i progetti attualmente finanziati erano, almeno in parte, quantomeno superflui. PERCHÉ FINORA È FALLITA L'ESPERIENZA DEI PROGETFI PILOTA Sono trascorsi quattro anni dalla L. 537/93, e tre dal d.PR 303/94. Non disponiamo però della valutazione dei
progetti pilota nel loro complesso, perché nel disegno generale la valutazione - tanto dei singoli progetti quanto dell'intera iniziativa - restava in ombra: con ciò commettendo una leggerezza soprattutto nell'ipotizzare che alla sperimentazione potesse seguire tout court i! trasferimento. Anche senza disporre di una valutazione documentata e autorevole della politica di innovazione che stava alla base dei progetti pilota, si può dire senza timore di essere smentiti che l'esperienza dei progetti pilota è stata comunque complessivamente fallimentare, salvo alcune eccezioni peraltro limitatissime in numero. Perché questo strumento è fallito? E come è possibile reinventare i progetti pilota senza ricadere negli errori della prima fase? Farsi queste prime domande è condizione necessaria (seppur non sufficiente) per capire come si possano rendere effettive le potenzialità di uno strumento per l'innovazione. Le risposte possibili sono legate a tre ordini di fattori: la politica di innovazione, le modalità tecniche e operative di gestione dei progetti e il sistema di ruoli. Rispetto alla politica di innovazione, i fattori critici principali sono stati: 1. la finalizzazione dei progetti: il meccanismo di proposta dei progetti da parte delle amministrazioni, previsto dalla L.537193, non offre garanzie di coerenza degli interventi e neppure di reale investimento da parte dei propo-
nenti, che spesso hanno guardato ai progetti pilota come uno strumento integrativo di finanziamento; la regia complessiva: la normativa affida la valutazione dei progetti (ex-ante) a un Comitato tecnico scientifico, che però non ha l'autorevolezza politica per orientare le scelte di investimento né dispone di strutture tecniche per i istruttoria (e non basta 1 impegno volonteroso di personale fra l'altro chiaramente sottodimensonato); il rapporto centro-periferia: quello che nelle intenzioni doveva essere uno strumento di valorizzazione della periferia è finito per essere - in mancanza di una vera "cabina di regia" - solo un meccanismo centrale di distribuzione di fondi, senza sviluppare la capacità progettuale delle amministrazioni proponenti su temi critici di sistema; il rapporto tra sperimentazione disseminazione e trasferimento, che finora è stato completamente sbilanciato sul versante dei cantieri sperimentali, ma senza mai affrontare i problemi di trasferimento delle esperienze sperimentali e addirittura sottovalutando le potenzialità di comunicazione legate alla semplice disseminazione dei risultati; l'assoluta assenza di processi di valutazione dei risultati e degli effetti dei progetti (e tanto meno dell'intera iniziativa e quindi della politica di innovazione). Rispetto invece alle modalità tecnicooperative, i fattori critici principali sono stati: 71
I. la selezione delle risorse fino a oggi la selezione è avvenuta con metodi tradizionali, che hanno favorito rapporti contrattuali a termine diretti con professionisti, essendo troppo onerosi i termini di selezione e gara necessari per far intervenire società di consulenza; in questo senso, non risulta che sia mai stato fatto ricorso alla possibilità di deroga per snellire le procedure di selezione di risorse qualificate; il riconoscimento della crucialità del fattore tempo: i progetti pilota, per essere efficaci, devono potersi muovere in un quadro di condizioni gestionali che proteggano il loro programma temporale, le scadenze di rilascio degli output e i ritmi di pagamento degli stati di avanzamento; il riorientamento del controllo dalla legittimità formale ai risultati sostanziali: i progetti pilota per loro natura innovativa sono vulnerabili al controllo formale, e quindi vanno adeguatamente protetti da azioni amministrative che partono dalla non piena comprensione della loro utilità; ciò non toglie importanza, ovviamente, a una sana e doverosa azione di controllo sui risultati e di valutazione degli effetti; la flessibilità per l'agile gestione delle varianze, perché non è possibile prevedere nel progetto tutte le eventualità, e quindi è opportuno che i responsabili di progetto dispongano di spazi di autonomia per assicurare i risultati, fermo restando l'importo complessivo del finanziamento. 72
Infine, il sistema di ruoli deve profondamente cambiare: I. il Dipartimento della finzione pubblica finora non è riuscito a svolgere un ruolo effettivo di impulso, coordinamento e controllo dei progetti pilota, né ha dato indirizzi chiari alla politica di innovazione, rimasta implicita nei criteri indicati dal d.PR 303/94; il Comitato Tecnico Scientifico (non ci si riferisce qui all'ultima composizione, ma alle due precedenti) ha progressivamente perso di efficacia nella valutazione dei progetti, con il crescere del numero, della varietà e a volte anche della stranezza delle richieste; le amministrazioni proponenti hanno spesso interpretato i progetti pilota della Funzione pubblica come una leva di finanziamento o peggio come dei trasferimenti surrettizi, e non sempre si sono dimostrate all'altezza di realizzare i progetti proposti, sia per i mutamenti amministrativi e politici intercorsi durante i defatiganti iter amministrativi che per estraneità della cultura progettuale; i responsabili dei progetti non sono stati dotati di strumenti gestionali adeguati alla complessità dei problemi, e molto spesso si sono trovati in condizioni difficilissime; la Ragioneria dello Stato non ha avuto un atteggiamento complessivamente favorevole, e le è stato facile trovare patologie amministrative in decreti emanati con una legislazione continuamente variabile e con una si-
tuazione arretrata di fatto fuori controllo.
Il ruolo necessario di una "cabina di regia" Reinventare i progetti pilota significa, dunque, affrontare su un piano complessivo una questione che non può essere risolta solo con aggiustamenti locali. La proposta che viene stata qui avanzata ha come ipotesi di partenza il rafforzamento del ruolo del Dipartimento della funzione pubblica, e questo può sembrare un punto di debolezza della proposta stessa. In effetti, il rafforzamento del Dipartimento può essere ottenuto anche con risorse esterne, che possono essere mobilitate attraverso lo stesso strumento dei programmi di innovazione, come viene qui suggerito. Non è possibile reinventare i progetti pilota senza costruire la "cabina di regia"; e non si vede perché questa regia non debba stare presso il Dipartimento della funzione pubblica, dato che i programmi di innovazione non possono che essere lo strumento di supporto all'attuazione della riforma di decentramento e snellimento dell'azione amministrativa portata avanti dal Dipartimento. UNA POLITICA "FEDERALISTA" PER L'INNOVAZIONE
I punti critici dei progetti pilota appena messi in evidenza non sono però sufficienti a ridefinire un sistema di in-
novazione adeguato alle nuove condizioni dettate dalla attuale riforma amministrativa: decentramento di funzioni, personale e risorse, nuovo ruolo degli enti centrali (compreso lo stesso Dipartimento della funzione pubblica), semplificazione delle procedure, rafforzamento della valutazione. Intervenire solo sui punti critici messi in evidenza per i progetti pilota, infatti, rischierebbe di portare a un risultato paradossale: rimettere in sesto uno strumento pensato per un altro contesto. È necessario invece partire dalle esigenze attuali di sostegno alla riforma, e da queste derivare le caratteristiche del nuovo sistema di innovazione. Si tratta, in altri termini, di ridefinire la policy dell'innovazione nelle amministrazioni pubbliche, in modo da farla risultare coerente con il quadro generale del nuovo rapporto centro-periferia che si andrà costruendo, e utile all'attuazione di tale disegno. Questo richiede un mutamento rispetto alla situazione dei progetti pilota: la politica sottostante ai progetti pilota, infatti, era contemporaneamente troppo centralistica, perché pretendeva di valutare al centro qualunque proposta della periferia, e troppo poco unitaria, perché finiva per produrre un portafoglio di progetti disomogeneo e incoerente, incontrollabile e destinato a non trasferire mai i possibili risultati di sperimentazione. La definizione di una policy "federalista" dell'innovazione nelle amministrazioni pubbliche è certamente 73
un tema su cui sarebbero opportuni numerosi contributi di operatori e esperti. I cinque punti sviluppati di seguito sono un contributo aperto alla discussione. I. Guardare all'innovazione partendo dai problemi e non dalle soluzioni La primazia dei diritto amministrativo nella cultura della pubblica amministrazione tende a far pensare all'innovazione come introduzione di nuove normative. In questo paradigma, innovazione è per esempio l'introduzione degli Uffici per le relazioni con il pubblico, o della Carta dei servizi, o dei corsi di recupero nelle scuole al posto degli esami di riparazione, o del controllo di gestione nelle Usi, o della trasparenza del biiancio negli Enti locali. Affrontare in questi termini l'innovazione significa partire dalle soluzioni, e non dai problemi. I problemi - di cui le leggi, anche le pii cariche di nuovi istituti normativi, in genere non parlano - potrebbero essere, rispettivamente, l'ascolto delle esigenze e l'informazione degli utenti, il miglioramento della qualità dei servizi pubblici, la personalizzazione dell'apprendimento degli studenti, la responsabilizzazione dei dirigenti o la accountability verso i cittadini. Guardare all'innovazione partendo dai problemi e non dalle soluzioni comporta alcuni mutamenti profondi rispetto alla situazione attuale. In primo luogo, implica il fatto di considerare 74
come banco di prova dei risultati dell'innovazione le esigenze dei fruitori dell'azione amministrativa (siano essi individui, imprese, comunità, altre amministrazioni), e non la conformità al dettato normativo. Un Ufficio per le relazioni con il pubblico non è innovativo solo perché esiste in quanto richiesto dalla legge, o perché attua le iniziative di comunicazione esterna e interna previste dalla direttiva, ma piuttosto perché sa individuare i propri "destinatari", sa trovare soluzioni di comunicazione adatte ad essi, e riesce a misurare i risultati o valutare gli effetti delle proprie iniziative. In secondo luogo, guardare all'innovazione partendo dai problemi e non dalle soluzioni favorisce la differenziazione delle soluzioni e non l'uniformità. Questo è particolarmente importante se si vogliono assumere per davvero criteri "federalisti" di aderenza ai problemi specifici e di reinterpretazione dei principi generali in funzione del contesto, delle risorse (competenze, alleanze, reti, etc.) disponibili. Non ci sarebbe bisogno per esempio di Uffici per le relazioni con il pubblico nei piccoli Comun, dove la comunicazione sociale è sufficiente a risolvere i problemi standard di accesso alla pubblica amministrazione a cui sono deputati gli URP. Finora l'esperienza dei progetti pilota è andata nella direzione opposta. La maggior parte dei progetti è stata pensata in termini di soluzioni e non di problemi. In parte, questo modo di
senziale della propria funzione di impulso e indirizzo, senza scadere nel centralismo della pianificazione totale e dettagliata. Si tratterebbe di scegliere, tra gli infiniti aspetti toccati dalla riforma (procedure da semplificare, funzioni da conferire, sistemi di gestione da praticare, etc.), quelli che su cui si ritiene più utile concentrare le risorse disponibili per un'azione di sostegno alle amministrazioni chiamate ad attuare la riforma. Toccherebbe poi alla «fántasia delle amministrazioni 2. Adeguare il meccanismo di selezione sviluppare questi temi in progetti fatdelle idee progettuali tibili, mettendo in evidenza tutti quegli aspetti (vincoli, opportunità, risorNelle imprese private è abbastanza se locali, etc.) che contribuiscono alla diffuso, per la pianificazione degli infattibilità del progetto. vestimenti, un modello di selezione Questo modo di procedere - che dodei progetti basato su una matrice rivrebbe concretizzarsi nello strumento sultante dall'incrocio di due assi: la rilevanza e la fattibilità. Le dimensioni dei terms of reference, giù usato dalla Unione europea - dovrebbe essere il della rilevanza e della fattibilità possoprimo elemento nella costruzione di no essere impiegate per spiegare come una nuova politica federalista dell'inripartire tra centro e periferia le renovazione nelle amministrazioni pubsponsabilità nella proposta e nella sebliche. Si supererebbe in questo modo lezione delle idee progettuali. Si tratta, anche il falso dilemma tra riforma topinfatti, di assegnare al centro l'individuazione dei temi rilevanti, e di lasciare down e innovazione bottom-up: la polialla periferia la responsabilità di Co- tica dell'innovazione, per essere coerenstruire proposte progettuali, coerenti con. te con la riforma, deve per forza essere al servizio del Dipartimento (logica i temi individuati, che siano fattibili, top-down) e contemporaneamente valocioè essere aderenti ai vincoli e alle rizzare le esperienze locali (bottom-up). opportunità del contesto locale ih cui In questo modo si dovrebbe ribaltare sono ideati e saranno realizzati. la situazione attuale, in cui le amminiL'individuazione dei temi rilevanti per strazioni proponenti, in assenza di quall'attuazione...della riforma spetterebbe, siasi indirizzo tematico, hanno produnque, al centro (Dipartimento) che posto progetti su temi rilevanti spesso troverebbe in questo un momento es-
pensare spiega anche il fatto che i tentativi fatti si sono rivelati, salvo le solite poche eccezioni, poco diffondibili: infatti, la diffusione riguarda sì le soluzioni, ma richiede un lavoro di ricontestualizzazione che è possibile solo se si hanno ben presenti le esigenze, i problemi a cui l'innovazione deve rispondere. In mancanza di ricontestualizzazione, la soluzione innovativa diventa solo "una commodity da piazzare" - ovvero, una contraddizione in termini.
a livello locale, e il Comitato tecnicoscientifico (centrale) ha concentrato la propria valutazione ex-ante sugli aspetti di fattibilità, non avendo (o non volendo avere) la forza di indirizzare il processo sulle criticità di sistema. Il senso ultimo di questa proposta sta nel riconoscere il ruolo di committenza al Dipartimento, e. quello di project management alle amministrazioni che impiegano i fondi del Dipartimento potendo sperimentare sui proprio campo le innovazioni. Si tratta, ovviamente, di ruoli diversi e che richiedono capacità nuove, che si svilupperanno con l'esperienza. 3. Puntare sulla valorizzazione e sulla dffiisione dell'innovazione Una volta individuati i temi e fatte generare le proposte, la costruzione dei programmi richiede comunque una notevole capacità di regia. Si tratta, infatti, di raggruppare intorno a temi comuni proposte omogenee e confrontabili (nel senso che ciascuna di esse sviluppa lo stesso terna in relazione al proprio contesto locale), e di Costruire i programmi aggregando più proposte confrontabili tra loro, in modo da disporre anche di elementi di confronto per la valutazione dei risultati. Questo aspetto è sviluppato nel capitolo successivo per quanto concerne gli aspetti operativi. Come politica generale in questa fase dovrebbero essere privilegiate le proposte ancorate ad esperienze già attuate, che esprimano e con76
fermino l'esistenza di caratteristiche di autonomia, di responsabilizzazione, di valutazione ritenute necessarie al buon esito della proposta progettuale. Sarebbero da preferire, quindi, proposte provenienti da amministrazioni con esperienza concreta di progetti innovativi (anche se non necessariamente sul tema specifico), piuttosto che proposte provenienti da amministrazioni che non sono in grado di dimostrare le proprie capacità progettuali e realizzative. In questo modo, si otterrebbe un effetto di valorizzazione dell'innovazion chi è staw capace di promuovere progetti e di raggiungere risultati innovativi viene premiato con 1 approvazione della proposta. Ma si potrebbe ottenere contemporaneamente anche un altro effetto, di dffisione dell'innovazione, se si mettesse come requisito per la formulazione delle proposte da approvare - la condizione di aggregare nella proposta un certo numero minimo di altre amministrazioni, meno innovtive. In questo modo si favorirebbe U creazione di reti e poli locali di innovazione, che facciano perno su un'amministrazione riconosciuta come innovativa che si impegna a utilizzare le risorse destinate per azioni di formazione, tutoraggio, gemellaggi amministrativi, trasferimento di esperienze, confronto locale. Queste reti e poli locali di innovazione (in Gran Bretagna li hanno chiamati quality networks) permetterebbero di avviare un meccanismo di diffu-
sione non centralistico (e pertanto irrealistico) quale quello implicito nel precedente sistema dei progetti pilota e di fatto mai praticato. I poli di innovazione, anche se resterebbe probabilmente a un livello minimale e non sufficiente rispetto alle esigenze di innovazione del sistema della PA, avrebbero comunque una funzione utile nel distribuire sul territorio le capacità dell'innovazione.
4. Utilizzare i programmi di innovazione come veicolo di comunicazione Lo sforzo di una reale diffusione dell'innovazione (intesa come trasferimento di soluzioni positive) è immane - questa è forse una delle poche lezioni che si possono trarre dalla vicenda dei progetti pilota. Non si debbono, quindi, nutrire illusioni circa la portata che un meccanismo quale quello dei poli di innovazione potrebbe realisticamente metere in gioco. Esistono però vari livelli di diffusione, e vanno tutti esplorati nella progettazione della nuova politica di innovazione. Un primo livello possibile, di ampiezza notevole anche se di profondità scarsa, è la disseminazione. Con questo termine si indicano (anche nel contesto internazionale) le attività di comunicazione mirate a diffondere la conoscenza dei risultati e dei metodi di innovazionc, senza la pretesa che tale conoscenza porti alla diffusione delle soluzioni (l'idea della dissemina-
zione è quella di lanciare dei semi: se e dove attecchiranno, questo non è dato sapere in anticipo). L'esperienza dei non molti progetti pilota tutto sommato riusciti (come il progetto sugli sportelli polifunzionali, le due edizioni di «Cento progetti , il progetto sulla Carta dei servizi, e qualche altro) ha dimostrato la grande difficoltà a usare la leva della comunicazione. Molti strumenti potrebbero essere pensati e messi in funzione (bollettini, house organ per innovatori, sito Internet, manualistica, video, etc.), anche con l'aiuto del Dipartimento Informazione e Editoria della Presidenza del Consiglio, che dispone di fondi a questo scopo. Utilizzare i programmi di innovazione come veicolo di comunicazione attraverso una strategia articolata di disseminazione sarebbe da una parte un forte elemento di "redditività" dell'i niziativa per il Dipartimento e per il ministro della Funzione Pubblica, e dall'altra permetterebbe alle amministrazioni di disporre di un "catalogo" di esperienze da consultare, verificare, confrontare.
5. Dftbndere ad altre amministrazioni centrali la capacità di innovare per progetti Un altro livello di diffusione, più adattoa un livello nazionale di regia quale è il Dipartimento, è la diffisione di metodo ad altre amministrazioni. Nel quadro del conferimento di fun77
zioni alle Regioni e agli Enti locali, il Dipartimento dovrebbe concentrare i propri sforzi sulle funzioni rimaste in capo allo Stato, dove tra l'altro si concentrano le punte di criticità e le maggiori esigenze di strumenti di innovazione (es. Giustizia, Interni, etc.). Si può pensare a un'azione di formazione orientata ad alcune amministrazioni ministeriali, affinché queste realizzino meccanismi di valorizzazione e diffusione dell'innovazione su base settoriale, analoghi in prima battuta al meccanismo dei nuovi programmi di sostegno o - anche meglio, se possibile - originali e differenziati. Questo ultimo elemento sarebbe forse il pii caratterizzante di una politica "federalista" dell'innovazione, ma potrebbe però essere realisticamente messo in atto solo dopo un certo tempo. Esso richiede che a livello centrale si accumuli esperienza (nell'individuazione dei temi rilevanti, nella definizione dei terms of reference, nella selezione delle proposte, nel controllo di avanzamento e nella valutazione dei risultati) prima di poter trasferire questo metodo ad altri, arricchendolo con varianti e confrontandolo con possibili alternative. I
PROGRAMMI DI INNOVAZIONE
PER IL SOSTEGNO ALL'ArFuAZIONE DELLE RIFORME
La politica "federalista" di innovazione deve disporre di uno strumento di attuazione. I programmi di innovazione 78
dovrebbero costituire tale strumento e avere come obiettivo primario il sostegno all'attuazione delle riforme amministrative di natura trasversale, portate avanti dal Dipartimento della funzione pubblica (le amministrazioni settoriali potrebbero costruire analoghi strumenti per il sostegno alle politiche settoriali, come per esempio già avviene nel settore della sanità in base all'art 12 comma 2 lett. b del d. lgs 502/92). Ma non basta certo cambiare l'etichetta da "progetti pilota" in "programmi di innovazione" per assicurare il successo del nuovo strumento. Si tratta di un cambiamento profondo, che interessa almeno tre livelli: - il sistema di ruoli e di risorse attivate intorno lungo il processo; - il processo di formazione, gestione e valutazione dei programmi; - i criteri e gli strumenti operativi da applicare. Questi tre aspetti sono così intimamente collegati che non è possibile esporli separatamente. Per analizzare lo strumento dei programmi di innovazione, tuttavia, è conveniente adottare una logica di esposizione per fasi del processo (vedi figura); per ogni fase, vengono contestualmente presentati, oltre agli aspetti organizzativi, anche quelli istituzionali (i ruoli) e quelli operativi (criteri e strumenti). Si noti che il nuovo processo è sensibilmente diverso da quello attuale. Il processo attuale, in cui manca la formulazione degli indirizzi, è basato su
I
Fase 1. Formulazione degli indirizzi per i programmi
I
Fase 2.
I
Aggregazione dei progetti e organizzazione dei programmi
I
Fase3. Gestione dei programmi e diffusione della .innovazione
I
Fase4.
I
Monitoraggio di avanzamento e controllo dei risultati
Regia, comunicazione, disseminazione delle esperize e valutazione
una raccolta (bottom-up) di idee progettuali dalle amministrazioni, a cui segue una selezione centrale (topdown) da parte del Comitato tecnicoscientifico e del Dipartimento della funzione pubblica; una volta approvato, nella fase gestionale il progetto è sottoposto a un forte controllo amministrativo centrale (in teoria: nella pratica questo controllo si è risolto in relazioni periodiche molto disomogenee, in autorizzazioni a qualunque spesa o contratto, e in procedure di autorizzazione e di pagamento lente e farraginose), mentre manca il controllo sostanziale sugli output. Nonostante le intenzioni, manca completamente la fase di diffusione dei risultati e di valutazione degli effetti.
Fase I. Formulazione degli indirizzi per i programmi I programmi dovrebbero formarsi per aggregazione di proposte intorno a linee di riferimento, o indirizzi. Nella formulazione degli indirizzi si esprime
il ruolo di committenza; la responsabilità di. tale fase compete quindi al Dipartimento della funzione pubblica, in quanto titolare dei fondi con cui vengono finanziati i programmi e quindi, in ultima analisi, responsabile della politica di innovazione. In questa fase, 'il Dipartimento si può avvalere del parere di agenzie amministrative centrali (es. Aipa) o della Conferenza Stato-Regioni-Città, indispensabile se i programmi toccano non solo le amministrazioni dello Stato ma anche le Regioni e gli Enti locali. Facendosi carico della finzione di indirizzo, il Dipartimento formula e periodicamente rivede la politica "federalista" di innovazione di cui i programmi sono lo strumento attuativo. Concretamente, questo vuoi dire che spetta al Dipartimento l'individuazione, anno per anno, dei temi pii rilevanti su cui orientare le risorse disponibili. Questa prima funzione di indirizzo è tipicamente politica, ma le strutture amministrative del Diparti79
mento potrebbero avere un ruolo determinante nel presentare proposte al Ministro, specie dal secondo anno in poi, quando dovrebbero essere disponibili le prime valutazioni. Lo strumento della fase di formulazione degli indirizzi si ccncretizza nella messa a punto di terms of reftrence - o "bandi" dei programmi che dov:ebbero presentare alle amhinistrazioni i temi rilevanti individuati a livello politico, corredando gli indirizzi con linee di azione, priorità territoriali o dimensionali, interlocutori istituzionali possibili. I "terms ofrefere;we" dovrebbero contenere anche tutti i requisiti per la presentazione di proposte da far confluire nei programmi. Per evirre ogni rischio, i bandi dovrebbero indicare chiaramente cosa non sono i programmi speciali: non sono progetti solo di ricerca, non sono progetti solo di innovazione tec.nc!ogica, non sono semplice autuazone di disposizioni obbligato. L'innovazione è integrazione delle diverse classi di risorse - risorse di competenza, risorse giuridiche, risorse tecnologiche, risorse organizzative - e non può esaurirsi in una sola di queste. Lo scopo dei "terms ofreference" è quello di sollecitare dal centro candidature e proposte della periferia che abbiano requisiti di confrontabilità, sia sul piano sostanziale (le linee di azione) sia su quello formale (i requisiti per la presentazione). Si tratta di una precondizione necessaria per co80
struire, attraverso l'aggregazione delle proposte pervenute, programmi che rispondano ai criteri di una politica "federalista" dell'innovazione come più sopra descritta: e cioè programmi che puntino sulla valorizzazione, il confronto e la diffusione dell'innovazione locale, senza però cadere nello "sperimentalismo"; programmi quindi che riescano a raggiungere una cifra nazionale di impatto, sufficiente a esprimere una potenzialità comunicativa nazionale e a valutare in modo comparativo i risultati e gli effetti. I bandi, che potrebbero essere annuali, dovrebbero riferirsi a temi critici per la riforma amministrativa, ma in numero niolto limitato (massimo 10 temi per bando). Anche se finora la fase di indirizzo è mancata, non dovrebbe essere eccessivamente difficile realizzarla, vista l'amplissima dote di questioni organizzative che la riforma del "federalismo amministrativo" porrà (le difficoltà potranno essere piuttosto di selezione delle priorità). Per la definizione di terms of reference precisi ma non eccessivamente pesanti può essere utile avvalersi anche dell'esperienza maturata dal Dipartimento attÌaverso alla gestione dei fondi comunitari Pass. Fase 2. Aggregazione dei progetti e o rga n izzazio n e dei programmi Dopo la pubblicazione dei "terms of reference" (che costituisce una prima occasione di comunicazione;), la fase
successiva è quella di costruzione dei programmi, in base alle proposte pervenute dalle amministrazioni. L'interesse delle amministrazioni a presentare proposte di progetti deve essere evidenziato nelle caratteristiche del bando; è possibile anche ripensare l'istituto della deroga come elemento di interesse per raccogliere candidature, ma è necessario un approfondimento con gli organi di controllo. In generale, si può pensare che le amministrazioni presentino candidature perché interessate dal finanziamento, ma è possibile anche che i motivi siano diversi (es. stabilire relazioni con il Dipartimento e con altre amministrazioni, confrontarsi, raggiungere obiettivi di miglioramento fissati dal proprio vertice politico, etc.). In ogni caso, è importante che nei bandi siano ben chiare le responsabilità che attendono le amministrazioni che presentano progetti. Un programma è costruito aggregando più progetti presentati dalle amministrazioni su uno stesso tema tra quelli indicati dal bando. Questa è forse la parte più delicata, perché si tratta di equilibrare proposte diverse, anche se tematicamente omogenee. La selezione delle proposte non dovrebbe mirare tanto a includerne alcune ed escluderne altre (anche se questo sarà comunque necessario), ma soprattutto a raggruppare intorno a temi comuni proposte omogenee e confrontabili (nel senso che ciascuna di esse sviluppa lo stesso tema in relazione al proprio
contesto locale), e di costruire dei programmi aggregando più proposte confrontabili tra loro, in modo da disporre anche di elementi di confronto per la valutazione dei risultati. La decisione di selezione dovrebbe essere condotta con metodi trasparenti e dichiarati (ad esempio con un sistema di ranking a punteggio delle proposte pervenute). In questa fase di costruzione dei programmi il Dipartimento dovrebbe giocare un ruolo differenziato in funzione della concretezza e dell'ampiezza delle proposte pervenute. Di fronte a proposte che presentino già i requisiti di confrontabilità e di diffusione il Dipartimento potrebbe anche limitarsi a svolgere una funzione di verifica amministrativa, come è stato finora, e il responsabile del programma potrebbe essere scelto dalle amministrazioni partecipanti. In effetti, anche se terms ofreference ben fatti possono produrre un forte miglioramento rispetto alla situazione già sperimentata, quando piovevano al Dipartimento le proposte più strane (progetti con temi variabili dalla certificazione Iso 9000 nei Comuni al controllo dell'infertilità di coppia), è da presumere che sia richiesto un ruolo forte del Dipartimento nella organizzazione dei programmi. Questo ruolo forte potrebbe esplicarsi nella nomina di un responsabile di programma, almeno nei casi di programmi a cui partecipano amministrazioni dello Stato, e in ogni caso nella possi81
bilità di modificare le proposte pervenute, salvo accettazione dell'amministrazione proponente. Una volta costruito il programma, il responsabile di programma coordina l'intero programma e assicura il raggiungimento e la diffusione dei risultati. A questo scopo, si avvale dei responsabili di progetto, individuati dalle amministrazioni partecipanti al programma. I responsabili di programma potrebbero essere esterni da assumere con contratto a termine, possibilmente a tempo pieno, oppure esperti trovati nelle amministrazioni, in distacco presso il Dipartimento con opportuni incentivi a progetto. I responsabili verrebbero pagati con i fondi del programma e risponderebbero direttamente al dirigente generale del Dipartimento che è responsabile dei programmi di innovazione. Dato che i programmi sono in numero ristretto (massimo 15 contemporaneamente), l'individuazione di un gruppetto di responsabili di programma non dovrebbe essere eccessivamente difficile, anche utilizzando a questo scopo le segnalazioni provenienti dai progetti premiati dal programma "Cento progetti". Il Dipartimento si doterebbe in questo modo di una task force di program manager, che potrebbe diventare una vera "nave scuola" di innovatori della PA. L'individuazione di un responsabile di programma dovrebbe essere contestuale alla costruzione del programma, e non successiva. Non è possibile lancia82
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re un programma senza avere prima individuato il responsabile; anzi, il contributo del responsabile del programma dovrebbe iniziare proprio in fase di selezione dei progetti da aggregare, attraverso una fase di start-up, fatta di incontri con le amministrazioni, di ritarature delle proposte, di omogeneizzazione e di equilibratura delle attività dei singoli progetti.
Fase 3. Gestione dei programmi e di5iisione dell'innovazione Una volta avviato il programma sulla base di piani operativi di progetto concordati con le amministrazioni proponenti e che serviranno da base per il monitoraggio di avanzamento, il responsabile di programma dovrebbe avere ampi poteri di gestione in autonomia. Per realizzare questi obiettivi, alcuni strumenti sono: la possibilità di scegliere una propria squadra di assistenti e collaboratori, da retribuire attraverso le risorse del programma, per tutte le attività di coordinamento dei progetti, di scambio e confronto dei risultati, per la gestione amministrativa e la segreteria operativa; la possibilità di assegnare parti del progetto a risorse esterne (comprese società di consulenza), nei limiti delle direttive comunitarie sugli appalti di servizi, ma con possibilità di ricorrere alla trattativa privata appena al di sotto ditali limiti, in deroga alla contabilità di Stato (con questa condizione
potrebbe essere possibile coinvolgere le società di consulenza organizzativa sui programmi, senza perdere la regia dell'iniziativa); la possibilità di autorizzare missioni e pagamenti sotto la propria e diretta responsabilità (attraverso la figura del funzionario delegato alla spesa), e di interloquire direttamente con gli organi di controllo; la possibilità di sospendere le amministrazioni partecipanti dal programma, qualora si manifestino ingiustificati ritardi rispetto alle attività e alle scadenze programmate. Ciascuno di questi punti potrebbe costituire oggetto di un nuovo regolamento, destinato a sostituire il d.PR 303/94. Il nuovo regolamento dovrebbe contenere indicazioni precise sulla fase di gestione, mentre quello attuale è troppo orientato alla fase di selezione dei programmi. La previsione di ampia autonomia ai responsabili dei programmi potrebbe appoggiarsi sull'istituto della deroga previsto dall'art. 2 della L. 537193; questo istituto dovrebbe essere applicato - tramite previsioni esplicite nel nuovo regolamento - a tutti i programmi, e dovrebbe essere utilizzato soprattutto per snellire le procedure di gestione e di controllo, affidate alla struttura di regia, in modo da assicurare celerità e "normalità" di azione ai programmi. La stesura dei nuovo regolamento richiede un lavoro di approfondimento, da verificare preventivamente con gli organi di controllo.
Nel corso del loro svolgimento, i programmi dovrebbero incorporare attività di diffusione. Tali attività (seminari, tutoraggi, divulgazione di materiali, applicazione di metriche comuni, etc.) si dovrebbero svolgere sotto il coordinamento del responsabile di programma, ma dovrebbero essere di responsabilità delle singole amministrazioni partecipanti. Attraverso apposite clausole nei "terms of reference", da verificare in sede di costruzione del programma, le amministrazioni si dovrebbero impegnare a svolgere le attività di diffusione con un numero congruo di amministrazioni territorialmente contigue o interconnesse su base telematica. Si creerebbero in questo modo delle reti di apprendimento (learning network), locali o virtuali, che costituirebbero un risultato in sé di ogni programma e che potrebbero sussistere nel temp02 .
Fase 4. Monitoraggio di avanzamento e controllo dei risultati Tra i requisiti per partecipare ai programmi dovrebbe esserci la presentazione, da parte delle amministrazioni selezionate, di un programma operativo di progetto, a scadenze prefissare (secondo la periodicità del controllo), che indichi quali attività sono previste per ogni periodo e quali output devono essere rilasciati. I programmi operativi dovrebbero essere perfezionati dopo la selezione, dato che in fase di costruzione dei programmi dovrebbe 83
essere possibile modificare le proposte. Con uno strumento di questo tipo tutto sommato semplice, eppure non utilizzato dalla grandissima parte dei progetti pilota attuali - è possibile monitorare l'avanzamento dei programmi, e soprattutto sottoporre il finanziamento alla condizione del rispetto del programma operativo. La logica degli output da rilasciare è tipica dei programmi europei (dove veiigono chiamati "deliverabies"). La periodicità del monitoraggio (trimestrale, quadrimestrale o semestrale) dipende dalla capacità del Dipartimento - o di una struttura di regia dedicata, che potrebbe anche essere esternalizzata - di analizzare e valutare le relazioni di avanzamento. Il controllo tecnico dei risultati potrebbe essere assegnato allo stesso responsabile del programma, che lo effettuerebbe sugli output rilasciati dai progetti delle amministrazioni partecipanti, in una logica di autovalutazione o meglio ancora di valutazione incrociata. Soprattutto se si inseriscono nei "terms ofreference" requisiti sulla diffusione (r esempio prevedendo che le ammin1trazioni partecipanti, che usufruiscono dei fondi, siano tenute ad azioni di disseminazione o di "tutoraggio" delle proprie' esperienze innovative attraverso reti locali di diffusione), il condollo tecnico sulla validità delle soluzioni innovative può essere rafforzato dalla valutazione di diffusione. 84
Regia, comunicazione e disseminazione delle eperienze, valutazione Per il successo dei nuovi programmi di innovazione, il Dipartimento della funzione pubblica dovrebbe dotarsi di una struttura di regia. La struttura di regia dovrebbe essere finanziata attraverso gli stessi fondi dei programmi, come un "meta-programm'a". Funzioni della struttura di regia dovrebbero essere: - 'il supporto al Dipartimento per la reparazione dei terms ofrefirence - la valutazione tecnica delle proposte ai fini della selezione e della costruzione dei programmi; - la ricerca di responsabili dei programmi a cui affidare le responsabilità di gestione; - la conduzione di iniziative di comunicazione e di disseminazione delle esperienze; - il supporto tecnico al Dipartimento per il monitoraggio di avanzamento e per il controllo tecnico dei risultati. Considerando realisticamente le condizioni delle strutture del Dipartimento, la struttura di regia dovrebbe essere appaltata a una società di consulenza esterna, secondo il modello della "assistenza tecnica" dei programmi com unitari. Ovviamente, questa ipotesi di esternalizzazione della struttura di regia richiede una preparazione molto attenta del bando di gara per la selezione della società (si tratterebbe di una procedura di gara europea, vista l'entità delle cifre in gioco). In questa gara, il prezzo potrebbe avere
un peso bassissimo (al limite: zero), e dovrebbero essere valutati attentamente i requisiti di esperienza in questo tipo di attività e di architettura del progetto di assistenza tecnica. Nel bando, particolare attenzione dovrebbe essere dedicata alle questioni di rapporto con il Dipartimento della funzione pubblica. Attraverso l'esternalizzazione della funzione di assistenza tecnica, il Dipartimento potrebbe finalmente sgravarsi di tutta la routine amministrativa che oggi svolge, e riappropriarsi della funzione di indirizzo e di selezione. La società aggiudicataria dell'assistenza tecnica dovrebbe, quindi, una volta emanati i "terms of reference", esaminare le proposte pervenute, valutarle con un sistema trasparente (a punteggi) concordato con il Dipartimento, e presentare allo stesso Dipartimento l'esito di istruttoria per la scelta delle proposte di progetto da ammettere ai programmi (anche con eventuali riformulazioni del budget). Una volta effettuata la selezione, la società aggiudicataria dell'assistenza tecnica dovrebbe richiedere all'amministrazione partecipante un programma di lavoro operativo, rispetto al quale sarebbe controllato l'avanzamento. Questa seconda fase del programma operativo dovrebbe essere svolta su un piano contrattuale di tipo privatistico, a differenza della decisione di selezione, che dovrebbe, mantenere tutte le garanzie tipiche della discrezionalità pubblica. La struttura di regia dovrebbe svolgere
anche le funzioni di comunicazione e di disseminazione delle esperienze, che sono essenziali al successo complessivo dell'iniziativa sul piano politico. Tali funzioni dovrebbero avere lo scopo fondamentale di sviluppare consenso intorno alla riforma e all'innovazione rispettivamente nella pubblica opinione e nelle amministrazioni pubbliche. Tale consenso è essenziale per superare la fase "sperimentalistica" fin qui tentata senza riuscire ad avere una sufficiente visibilità. Infìne, dovrebbe essere costituita una funzione di valutazione ex-post, affidata a valutatori professionali, con lo scopo di valutare i risultati e gli effetti dei programmi rispetto agli obiettivi della politica di innovazione amministrativa, e di produrre raccomandazioni per i nuovi bandi. La valutazione è l'anello mancante che può legare la riforma top-down alla microinnovazione bottom-up, generalizzando e estraendone modelli, indicazioni e indirizzi; la realizzazione di una funzione di valutazione dei programmi è essenziale per collegare davvero l'innovazione al policy making della riforma. Per la realizzazione della valutazione potrebbero essere previsti incarichi ad esperti da assegnare nell'ambito dei programmi, sotto il controllo dei responsabili di programma, oppure una partiiership con istituzioni pubbliche, istituti universitari o di ricerca anche privati, o con associazioni (come l'Associazione italiana della valutazione, recentemente costitui85
ta). La scelta del soggetto di valutazione dovrebbe avvenire con apposita gara, che potrebbe essere gestita dalla ocietà aggiudicataria dell'assistenza tecnica, sempre con decisione finale de! Dipartimento. LA PROPOSTA IN 10 PUNTI ESSENZIALI
I. Ridurre il numero dei programmi e concentrarsi su una decina di temi critici Dalla pletora dei progetti pilota è necessario passare a un numero ridotto e maneggevole di iniziative di inaovazione (programmi). I temi su cui svolgere i programmi dovrebbero essere individuati dal Dipartimento, in funzione delle priorità di attuazione della riforma.
2. Costruire programmi aggregando progetti di diverse amministrazioni I temi critici sono individuati attraverso un bando annuale (o "terms of reference") che inviti le amministrazioni a presentare progetti coerenti con gli indirizzi dichiarati nel bando stesso. Ogni programma è costruito aggregando più progetti, attraverso un processo di valutazione tecnica e di selezione trasparente. In questo modo si stimolano le amministrazioni, a presentare progetti fattibili e a valorizzare le proprie esperienze, e si favorisce il confronto tra soluzioni alternative su temi omogenei rilevanti per l'attuazione della riforma amministrativa. 86
Costruire programmi di innovazione con requisiti di diffusione e di confronto Le amministrazioni partecipanti sono invitate dal bando, per usufruire dei fondi, a prevedere nelle proprie proposte attività di diffusione dei risultati. Le atti'ità di diffusione (seminari, tutoraggi, divulgazione di materiali, applicazione di metriche comuni, etc.) sono svolte nel corso di svolgimento dei programmi, e creano reti locali o virtuali di apprendimento e confronto che possono perdurare ai programmi.
Costruire programmi di innovazione con requisiti di controllabilità Una volta selezionate, le amministrazioni partecipanti al programma devono presentare programmi operativi controllabili, dal cui rispetto dipende il mantenimento del finanziamento. A questo scopo devono indicare gli output da rilasciare a scadenze prefissate, secondo una prassi già adottata in sede di programmi europei.
Dare poteri ai responsabili dei programmi Il Dipartimento nomina il responsabile del programma, incaricato di coordinare i progetti delle amministrazioni afferenti al programma. Il responsabile del programma dovrebbe avere poteri per selezionare risorse pubbliche e private qualificate, per assegnare a società di consulenza segmenti di pro-
getti, per autorizzare missioni e pagamenti.
6 Responsabilizzare le amministrazioni parteczanti ai programmi Il patto tra il Dipartimento e le amministrazioni che presentano progetti e partecipano ai programmi dovrebbe essere chiaro. Le amministrazioni dovrebbero impegnarsi, in cambio del finanziamento, a realizzare il proprio progetto nei tempi previsti, a confrontarsi con le altre amministrazioni del programma, a farsi carico della diffusione. Il responsabile del programma dovrebbe avere il potere di sospendere dal programma le amministrazioni partecipanti ingiustificatamente inadempienti rispetto agli impegni assunti.
Riorientare l'uso del&z deroga ai problemi gestionali dei programmi È necessario predisporre un nuovo regolamento dei programmi di innovazione. L'istituto della deroga, previsto dalla legge, dovrebbe essere previsto per tutti i programmi, allo scopo di semplificare e snellire le attività gestionali e di controllo.
Istituire una struttura di regia presso il Dzpartimento, anche esternalizzata Il Dipartimento dovrebbe dotarsi di una struttura in grado di svolgere funzioni tecniche di supporto (per la preparazione dei "terms of reference", per
la valutazione delle proposte, per la ricerca dei responsabili dei programmi, etc.). La "cabina di regia" potrebbe essere affidata a una società di consulenza, secondo il modello dell'assistenza tecnica dei programmi europei. Nel bando di gara per aggiudicare l'assistenza tecnica dovrebbero essere formulati con precisione i rapporti di questa struttura con il Dipartimento, e chiarire che tutte le decisioni di selezione delle proposte restano al Dipartimento su istruttoria trasparente della società di assistenza tecnica, mentre sono esternalizzate tutte le attività di routine amministrativa, anche per assicurare tempi normali di pagamento alle risorse coinvolte nei programmi.
Utilizzare i programmi per iniziative di comunicazione e di disseminazione La struttura di regia dovrebbe svolgere le funzioni - proprie dei livello centrale - di comunicazione e di disseminazione a livello nazionale. Queste funzioni sono indispensabili per raccogliere consenso dell'opinione pubblica e delle amministrazioni pubbliche e per uscire dalla "sperimentalità" che ha caratterizzato i progetti pilota.
Valutare i risultati e gli effetti dei programmi di innovazione Il Dipartimento dovrebbe fare accordi con istituzioni, organismi o associazioni specializzate nella valutazione dei programmi e delle politiche pubbliche per la valutazione dei program87
mi. I rapporti di valutazione dovrebbero essere utilizzati per l'individua-
Questa idea di poter utilizzare "Cento progetti" come strumento di ricerca di validi capi-progetto è di BRUNO DENTE (Irs e Università di Venezia). 2 L'idea delle piccole reti di apprendimento è c MASSIMO TOMAssINI (Isfol), che insieme CARLA CHIARA SANTARSIEP.Ò (SSPA) sta mettendo a punto un progetto sull'argomento.
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zione di nuovi temi e per la preparazione dei "terms ofreference".
3
L'idea del "meta-progetto" era stata già avanzata da e FILIPPO BUCARELLI ai tempi dell'avvio dei progetti pilota, ed era stata condivisa dal Comitato Tecnico Scientifico di allora. Il progetto preparato a questo scopo per il Dipartimento non è però mai stato approvato.
ALESSANDRO MONTEBUGNOLI
Tt
indici
Indici 1994-1997
Superata la boa dei venticinque anni, ci è sembrato opportuno fornire un servizio che si rivela utile ed importante non soltanto per i lettori, ma anche per il nostro operare. Gli indici, infatti, sono sicuramente strumenti di lavoro necessari al lettore per velocizzare e migliorare i risultati della propria ricerca, ma rappresentano anche la mappa dei percorsi culturali e professionali che abbiamo scelto di esplorare: delineano la logica del nostro lavoro. E nello scorrerli ci accorgiamo che, a volte per convinta determinazione, a volte quasi inconsapevolmente, abbiamo tenùto fede al progetto che vuole queste istituzioni come rivista dalla doppia anima: con uno sguardo alfenomeno che sta per diventare di attualità, e del quale si parlerà nei prossimi mesi, e con un'attitudine all'approfondimento tematico in grado di fornire spunti per progetti e soluzioni su temi di pratica professionale. Insomma, nella tradizionale suddivisione tra riviste che si leggono e riviste che si consultano queste istituzioni si è sempre posta sulla linea di confine: cercando di essere rivista di cultura, ma anche una rivista tesa al fare e formare' a quella cultura «pratica" tale da suggerire validi strumenti di lavoro per quei professionisti e quei manager che si impegnano nel territorio dell'innovazione. 89
Un tentativo difficile, che ci ha vista accusati (o plauditi) di snobismo. Ma, siamo convinti, anche il più fiero ed intelligente snobismo non può non.farsi cura del comune interesse ad individuare i collegamenti (hiperlink?) tra queste due fisionomie dell'identico progetto. Ecco allora un impegno che ci sentiamo di prendere con i lettori. L'indice diverrà annuale e cercherà proprio di identificare e chiarire i contenuti relativi a tali ambiti. Il nostro impegno è quello di promuoverli entrambi alfine di creare tavoli comuni per discutere di cultura epoftssionalità senza che uno di questi elementi neghi la presenza déll'altro. Lo dobbiamo a Voi ed al progetto in cui crediamo: scoprire e sondare gli itinerari del non-profit, delle amministrazioni pubbliche, delle istituzioni finanziarie, insomma della società europea tout court. E l'esercizio di ricerca di nuovi percorsi non può prescindere dalla considerazione del cammino fatto.
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Indice degli autori
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Rauch Jonathan, La fine delLa politica e dello Stato, n. 111 (1997),pp. 127140 Rey Guido Mario, 4 ciascuno il suo' n. 100 (1994), pp. 104-108 Ribaudo Massimo, L'Unione Europea: versò quale federalismo?, n. 98 (1994), pp. 117-133 Palanza Alessandro, Politiche realistiche - Agenda Europa: da Maastricht a Messina, n. 104 (1995), pp. III-XVT efalse verità, n. 100 (1994), pp. 93- Europa leggèra, Europa dei forti, o 98 che altro?, n. 105 (1996), pp. )(VIIPalleschi Barbara, Leggi e immigrazioXXII ne, n. 109 (1997), pp. 31-40 Palmer Paul, Le Charities inglesi verso - Sussidiarietà: una divinità cai troppi volti, n. 108 (1996), pp. 28-58 ilflauro, n. 110 (1997), pp. 98-110 - Ragionando di Bicamerale. Cronaca Pelanda Carlo (Ct al.), Maastricht: pridi un dibattito a c'ortona, n. 109 ma, durante, dopo, n. 106-107 (1997), pp. XXVII-XL (1996), pp. 83- 108 Pierantozzi Francesca, Renault: nuova - Esiste un diritto comune europeo?, n. "bastiglia'?, n. 104 (1995), pp. 23-26 110 (1997), pp. 1-6 Piraino Andrea, Il sistema dualista nel- Rigano Francesco, L'associazionismo nelle riforme dello Stato sociale, n. l'amministrazione dei Comuni e delle 100 (1994), pp. 110-114 Province, n. 103 (1995), pp. 52-68 Pistorelli Luca, Mafie al Nord n. 110 Ristuccia Sergio, Pubbliche amministrtzioni: dalla febbre legislativa alla (1997), pp. 18-22 strategia della realizzazione?, n. 97 Pizzetti Bernardo, Valutare e misurare (1994), pp. III-V la ricerca: dal dibattito alla prassi - Democrezia e merito. Sull'attualità operativa, n. 99 (1994), pp; 44-57 dell'esperienza politica e culturale di Pizzorusso Alessandro, Il «deficit deAdriano Olivetti e del Movimento mocratico" nazionale, n. 100 (1994), Comunità, n. 97 (1994), pp. 21-47 pp. 99-103
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- L'Europa di Joannina: l'Unione fra allargamento e Regioni, n. 98 (1994), pp. 111-Vili - I dilemmi del controllo e le ambiguità delle «treE" n. 99 (1994), pp. 73-82 - Informatica pubblica: ripresa degli investimenti e necessità di consenso sulle nuove regole, n. 99 (1994), pp. 109-110 - Un ostacolo sulla via della riforma degli enti non-profit, n. 99 (1994), pp. 117-118 - Mettere la democrazia al lavoro: primo aggiornamento, n. 100 (1994), pp. III-XVI - Trasformare le pubbliche amministrazioni: una partita sempre più difficile da giocare, n. 101-102 (1995), pp. III-v - Oltre le elezioni d'Aprile, n. 105 (1996), pp. III-X - Scienze Sociali e Agenda per l'Italia, n. 106-107 (1996), pp. III-XVTII - Senza decreti legge più maggioritario, n. 108 (1997), pp. III-V - La "Repubblica dei Comuni": una nuova cultura della gestione, n. 109 (1997), pp. XXHI-XXVI - Europa: si addensano le questioni dirompenti,.n. 110 (1997), pp. Ill-IX - La via del Sud, n. 111 (1997), pp. III-vII - Il ederalismo amministrativo" oltre leleggi,n. 112 (1997), pp. III-V Ristuccia Renzo ( et al.), Un'esperienza organizzativa di azionariato dzffiso, n. 101-102 (1995), pp. 196-208 - (et al.), Implicazioni giuridiche dei 96
servizi su Internet, n. 109 (1997), pp. 52-74 Rodri'guez-Pose Andrés (et al.) Verso una «Europa delle Regioni'?, n. 103 (1995), pp. 71-97 Russo Enzo, Per ilfederalismo fiscale ricostruire ex-novo il ministero delle Finanze, n. 110 (1997), pp. 131-142 Russo Silvestro, Dalle percezioni retoriche all'effettività dell'innovazione, n. 105 (1996), pp. 73-91 - Abuso d'ufficio e discrezionalità: la dffi cile armonia, n. 109 (1997), pp. 112-123
s Sai Luigi, La privatizzazione clell'ex Germania orientale: un processo concluso solo in parte, n. 104 (1995), pp. 3-13 Salvemini Giancarlo, L'utilità del metodo di cofinanziamento, n. 97 (1994), pp. 100-101 Salvemini Maria Teresa, I livelli di governo della finanza pubblica: ragionando di fondi strutturali europei, n. 98 (1994), pp. 77-86 - Il Ivlezzogiorno delle inefficienze creditizie, n. 108 (1996), pp. XXX\/XXXVIII Saraceno Marilena, Dalla legge del luglio 1993 all'avvento di Chirac, n. 104 (1995), pp. 14-23 Sattanino Alessandro, L'occasione delle reti civiche, n. 101-102 (1995), pp. • 147-152 Schefold Dian, Sistema elettorale ed amministrazione pubblica in Germania, n. 105 (1996), pp. 61-72
Schiano Angelo (et al.), Un'esperienza organizzativa di azionariato diffiso, n. 101-102 (1995), pp. 196-208 Segni Antonio (et al.) Un'esperienza organizzativa di azionariato diffuso, n. 101-102 (1995), pp. 196-208 Sepe Stefano, L'amministrazione tra storia e rifirma, n. 101-102 (1995), pp. 3-20 Serafini Umberto, Qualche noticina sul federalismo, n. 106-107 (1996), pp. )O(VT-XXXJI - La Comunità di Adriano Olivetti e il federalismo, n. 97 (1994), pp. 3-20 •Sgalla Roberto (et al.), Lepoliti che della sicurezza e dell'ordine pubblico, n. 111 (1997),pp. 19-46 Sharpe L.J., Enti locali in democrazia: quale ruolo e quale modello di modernizzazione, n. 101-102 (1995), pp. 107- 13 1 Sidoti Francesco, Passato e presente della questione settenirionale, n. 97 (1994), pp. 64-74 - Illegalità diffusa e legalità confusa, n. 99 (1994), pp. III-XI - Elezioni e lezioni americane, n. 100 (1994), pp. 39-50 - Antipolitica ed illegalità diffusa, n. 103 (1995), pp. VIII-XVII - Presidenzialismo e Sartorismo, n. 105 (1996), pp. XI-)(VT - Il partito tedesco, n. 106-107 (1996), pp. XXXIII-XXXVIII - I mandanti dei mandanti, n. 109 (1997), pp. XLI-XLD( - Governo invisibile e malgoverno visibile, n. 111 (1997), pp. 9-15
- (et al.), Le politiche della sicurezza e dell'ordine pubblico, n. 111 (1997), pp. 19-46 Silj Alessandro, Movimenti etnici e regionali nella nuova Europa, n. 109. (1997), pp. 5-18 Squires Judith, Lo specchio rotto: il futuro della rappresentanza, n. 100 (1994), pp. 3-9 Stancanelli Alberto, Le rf?rme del Governo Ciampi,n. 101-102 (1995), pp. 94-100 Starobin Paul, I conservatori ripensano il capitalismo, n. 110 (1997), pp. 7-17
T Teresi Salvatore, Un tentativo di formazione direzionale da meditare: il Cerisdi a Palermo, n. 106-107 (1996), pp. 143-165 Termini Valeria, Le società dell'acqua: lAcM verso il futuro, n. 108 (1996), pp. 76-88 Thoenig Jean Claude (et al.)., Razionalità degli attori ed effetti sistemici: il caso della politica ambientale, n. 97 (1994), pp. 67-88 Tufarelli Luca (et. al.), Implicazioni giuridiche dei servizi su Internet, n. 109 (1997), pp. 52-74
vVan der Knaaps Peter, Il Comitato delle Regioni: nasce una nuova "Europa delle Regioni"?, n. 103 (1995), pp. 98-113 97
Ventura Andra, Il diritto nell'economia di mercato, n. 105 (1996), pp. 46-57 Venturini Alessandra (et aL) Un approccio economico all'analisi delle emigrazioni, n. 109 (1997), pp. 19-30 Vigli Marcello, Il ÂŤnuovo" e le ipotesi non verificate, n. 100 (1995), pp. 115-117
Y Young Oran R., Per.un governo internazionale dell'ambiente, n. 97 (1994), pp. 5 1-66
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Z. Zamagni Stefano, L'etica del disco rso economico, n. 105 (1996), pp. 35-45 Zoppini Andrea, Un ostacolo sulla via della riforma degli enti non-proflt, n. 98 (1994), pp. 117-119 Zucaro Antonio, Il rapporto con la politica, n. 101-102 (1995), pp. 89-94 - Il primo contratto dei dirigenti pubblici, n. 110 (1997), pp. 23-29
Indice dei soggetti
AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE I. Organizzazione Carabba Manin, Il sistema politico al traguardo: quale ruolo per le amministrazioni?, n. 101-102 (1995), pp. 65-70 Lo Schiavo Luca, Reinventare i progetti pilota, n. 112 (1997), pp. 69-88 Russo Silvestro, Dalle percezioni retoriche all'effettività dell'innovazione, n. 105 (1996), pp. 73-91 - Abuso d'ufficio e discrezionalità: la difficile armonia, n. 109 (1997), pp. 112-123 Zucaro Antonio, Il rapporto con la politica, n. 101-102 (1995), pp. 89-94 - Il primo contratto dei dirigenti pubblici, n. 110 (1997), pp. 23-29 Comunicazione De Michelis Giorgio, La Pubblica Amministrazione dalla servitù al servizio, n. 99 (1994), pp. 83-105 Fiorentino Luigi, Pubblica amministrazione - cittadini: attrazione fatale, n. 101-102 (1995), pp. 76-80 Galazzi Cristina, Il Legislatore e la comunicazione di interesse generale, n. 100 (1994), pp. 130-131 Le riforme Cogliandro Giuseppe, Per una pedagogia del riformismo amministrativo, n. 101-102 (1995), pp. 45-61 D'Albergo Ernesto, Transizione politica ed innovazione amministrativa: i fattori critici delle ultime rifirme, n. 101-102 (1995), pp. 21-44 99
De Martin Gian Candido, Rfrme: adeguamenti costituzionali e riordino delle finzioni, n. 101-102 (1995), pp. 80-84 Giglioni Fabio, L'informatizzazione, la dirigenza e i cittadini, n. 112 (1997),pp. 1-40 Lariccia Sergio, Realismo politico e razionalità, n. 101-102 (1995), pp. 62-64 Magro Adele, Pubblica Amministrazione e sistema maggioritario, n. 105 (1996), pp. 92-103 Mari Angelo, La formazione come strumento di cambiaménto, n. 101102 (1995), pp. 84-86 Morbidelli Giuseppe, I delitti contro la Pubblica Amministrazione, n. 109 (1997), pp. 103-111 Portelli Ignazio, Un'amministrazione più elastica, n. 101-102 (1995), pp. 86-89 Ristuccia Sergio, Pubbliche amministrazioni.' dalla febbre legislativa alla strategia della realizzazione?, n. 97 (1994), pp. III-V Trasformare le pubbliche amministrazioni.' una partita sempre • • più difficile da giocare, n. 101-102 (1995), pp. III-V - Il federalismo amministrati vo" oltre le leggi, n. 112 (1997), pp, III-v Sepe Stefano, L'amministrazione tra storia e riforma, n. 101-102 • (1995), pp. 3-20 Teresi Salvatore, Un tentativo di formazione direzionale da meditare: il Cerisdi a Palermo, n. 106-107 (1996), pp. 143-165 4. Nuovi modelli Caianiello Girolamo, Uffici tributari sotto controllo,' evoluzione del SECIT, n. 97 (1994), pp. 108-116 Maiorino Rosa, Il CIPE: è possibile una rforma?, n. 104 (1995), pp. 73-85 Masciandaro Donato, Politiche di governo e mercati creditizi e finanziari: quale ruolo per le «Indiendent regulatory agencies"?', n. 101-102 (1995), pp. 165-177 Morisi Massimo, Le autorità indipendenti in Italia, n. 108 (1996), pp. 103-126 100
Rete informatica per le pp. aa. Conte Massimo - De Petra Giulio, Informatica e Pubblica Amministrazionen. 109 (1997), pp. 45-51 Cori Rosalba, E4utorità per l'informatica nella pubblica amministrazione un anno dopo, n. 97(1994), pp. 117-135 - Autorità informatica e pianificazione strategica, n. 98 (1994), pp. 111-116 De Petra Giulio, Politiche d'informatica in un grande Comune. il caso di Roma, n. 101-102 (1995), pp. 153-161 Ristuccia Sergio, Informatica pubblica: rzpresa degli investimenti e necessità di consenso sulle nuove regole, n. 99 (1994), pp. 109-110 Sattanino Alessandro, L'occasione delle reti civiche, n. 101-102 (1995), pp. 147-152 Valutazione e controllo Gagliarducci Francesca, Il come, il quanto e i risultati dell'operare pubblico, n. 112 (1997), pp. 48-68 Gigante Marina, Le trasformazioni dell4mministrazione e la frnzione di valutazione, n. 99 (1994), pp. 35-43 Ladu Giampaolo, Controllo di legittimità e controllo di gestione, n. 101-102 (1995), pp. 100-104 Ristuccia Sergio, I dilemmi del controllo e le ambiguità delle "tre E", n. 99 (1994), pp. 73-82 CRIMINALITÀ ORGANIZZATA Chizzoniti Antonio, Russia: lmbra della Mafia, n. 110 (1997), pp. 63-76 Pistorelli Luca, Mafie al Nord, n. 110 (1997), pp. 18-22 DIRITTI UMANI Lariccia Sergio, Una speranza per ilfitturo: una maggiore tutela dei diritti umani, n. 103 (1995), pp. 117-127 Marchesi Antonio, Europa e diritti dell'uomo: uno sguardo d'insieme, n. 103 (1995), pp. 128-140 101
INTELLETTUALI E DEMOCRAZIA. Addotta Saveria, La levità dellagrazia, n. 100 (1994), pp. 121-129 Ristuccia Sergio, Democrazia e merito. Sull'attualità dell'esperienza politica e culturale di Adriano Olivetti e del Movimento Comunità, n. 97 (1994), pp. 21-47 Serafini Umberto, La Comunità di Adriano Olivetti eilfederalismo, n. 97 (1994), pp. 3-20 INTEGRAZIONE EUROPEA Anderson Perry, L'Europa a venire, n. 108 (1996), pp. 28-58 B6rras-Alomar Susana - Christiansen Thomas - Rodrfguez Pose Andrés, Verso una «Europa delle Regioni'?, n. 103 (1995), pp. 7 1-97 Cavazza Fabio Luca - Carlo Pelanda, Maastricht: prima, durante, dopo, n. 106-107 (1996), pp. 83- 108 Hainsworth Paul - Morrow Duncan, L'Unione Europea ed il Nord Irlanda. Oltre la divisione?, n. 98 (1994), pp. 24-40 Posani Giovanni, A proposito di Europa, n. 111(1997), pp. 5-8 Ribaudo Massimo, L'Unione Europea: verso quale federalismo?, n. 98 (1994),pp. 117-133 - Agenda Europa: da Maastricht a Messina, n. 104 (1995), pp. "-XVI - Europa leggera, Europa dei forti, o che altro?, n. 105(1996), . xv1I-XXfl - Sussidiarietà: una divinità dai troppi volti, n. 108 (1996), pp. 28-58 - Esiste un diritto comune europeo?, n. 110 (1997), pp. 1-6 Ristuccia Sergio, L'Europa di loannina: l'Unione fra allargamento e Regioni, n. 98 (1994), pp. 111-Vili - Europa: si addensano le questioni dirompenti, n. 110 (1997), pp. Ill-IX Van der Knaaps Peter, Il Comitato delle Regioni: nasce una nuova "EuropadelleRegioni'?,n. 103 (1995), pp. 98-113 I. Fondi comunitari Carbone Giuseppe, Finanza europea e deficit democratico, n. 98 (1994), pp. 109-1 13 102
Cimini Marco, Idilemmi degli amministratori pubblici, n. 98 (1994), pp. 101-105 Cogliandro Giuseppe, Il costo dell'inefficienza nei rapporti finanziari con la Cee, n. 98 (1994), pp. 92-95 De Filippis Francesco, Rimuovere le dff'ìcoltà endogene, n. 98 (1994), pp.lO5-lO8 Meloni Maurizio, Organizzazione amministrativa e utilizzazione dei fondi comunitari, n. 98 (1994), pp. 98-99 Minuto Rizzo Alessandro, Strutture interne più forti, n. 98 (1994), pp. 108-109 Salvemini Giancarlo, L'utilità del metodo di cofinanziamento, n. 97 (1994),pp. 100-101 Salvemini Maria Teresa, I livelli di governo della finanza pubblica: ragionando di fondi strutturali europei, n. 98 (1994), pp. 77-86
MEDIA E INFORMAZIONE Bigi Nino, La comunicazione non è mercato, n. 99 (1994), pp. 73-82 Cascino Nino, Il sistema radiotelevisivo in Italia. Potere e vecchiezza tecnica, n. 100 (1994), pp. 70-73 Chizzoniti Antonio, Il lettore, ma chi sarà mai?, n. 106-107 (1996), pp. TX-XXV Ristuccia Renzo - Tufarelli Luca, Implicazioni giuridiche dei servizi su Internet, n. 109 (1997), pp. 52-74
MERCATO GLOBALE ED ISTITUZIONI FINANZIARIE Godano Giuseppe, Problemi e scelte della vigilanza bancaria internazionale, n. 106-107 (1996), pp. 54-63 "Thé Economist", La globalizzazione dei mercati finanziari: lo Stato è inerme?, n. 106-107 (1996), pp. 3-53 Ventura Andrea, Il diritto nell'economia di mercato, n. 105 (1996) pp. 46-57 Zamagni Stefano, L'ética del discorso economico, n. 105 (1996), pp. 35-45 103
MEZZOGIORNO Ristuccia Sergio, La via del Sud, n. 111(1997), pp. Ili-VII Salvemini Maria Teresa, Il Mezzogiorno delle inefficienze creditizie, n. 108 (1996), pp. XXXV-XXXVJII DEMOCRAZIA OCCIDENTALE Dogan Mattei, La crisi di fiducia nelle democrazie pluraliste, n. 108 (1996), pp. 89-102 - Il declino del voto di classe, di partito e del voto religioso, n. 111 (1997), pp. 101-126 Fabbrini Sergio, Lavorare per la democrazia, n. 100 (1994), pp. 79-83 Leadbeater Charles - Mulgan Geoff, Democrazia 'nella" ed assenza di leadershi, n. 100 (1994), pp. 10-38 Manzella Andrea, Alternative del diavolo ed amor di patria, n. 100 (1994), pp. 87-92 Mongin Olivier, Insicurezze sociali, n. 106-107 (1996), pp. 111-123 Palanza Alessandro, Politiche realistiche efalse veritĂ , n. 100 (1994), pp. 93-98 Rauch Jonathan, La fine della politica e dello Stato, n. 111 (19 97) pp. 127- 140 Rey Guido Mario, 4 ciascuno ilsuo' n. 100 (1994), pp. 104-108 Ristuccia Sergio, Mettere la democrazia al lavoro: primo aggiornamento, n. 100 (1994), pp. III-)(VI Schefold Dian, Sistema elettorale ed amministrazione pubblica in Germania, n. 105 (1996), pp. 61-72 Sidoti Francesco, Elezioni e lezioni americane, n. 100 (1994), pp. 39-50 Squires Judith, Lo specchio rotto: ilfuturo della rappresentanza, n. 100 (1994), pp. 3-9 Starobin Paul, I conservatori ripensano il capitalismo, n. 110 (1997), pp. 7-17 Vigli Marcello, Il "nuovo"e le ipotesi non verfĂŹcate, n. 100 (1995), pp. 115-117 ORGANIZZAZIONE DEL LAVORO Bettin Romano, Pri vatizzare il pubblico impiego o reinventare ilgoverno?, n. 104 (1995), pp. 53-72 104
Calvi Gabriele, Per una cultura della previdenza, n. 108 (1996), pp. XX-XXVJI Conte A. Massimo, L'ECTFeiltelelavoro, n. 104 (1995), pp. 92-97 1. Germania Fichter Michael, Separati in casa: i sindacati tedeschi dopo l'unificazione, n. 106-107 (1996), pp. 124-142 Francia Pierantozzi Francesca, Renault: nuova "bastiglia" n. 104 (1995), pp. 23-26
POLITICHE DELLA SICUREZZA PUBBLICA Aliquò Giovanni - Sgalla Roberto, Sidoti Francesco, Lepoliti che della sicurezza e dell'ordine pubblico, n. 111(1997), pp. 19-46
POLITICA INTERNAZIONALE I. Russia Di Gregorio Angela, Le istituzioni della 'transizione" nella Russia eltsiniana, n. 110 (1997), pp. 35-62 Sudafrica Moles Giuseppe, Dove va ilSudafrica?, n. 99 (1994), pp. 19-32 POTERI LOCALI Bick Henry Decentramento, privatizzazione e rappresentativitĂ nel governo locale, n. 101-102 (1995), pp. 131-146 Bettin Lattes Gianfranco, I cittadini, le generazioni e l'immagine del sindaco, n. 103 (1995), pp. 3-29 Chizzoniti Antonio, Le debolezze del sindaco forte, n. 105 (1996), pp. 3-17 105
MagnierAnnick, Iprogetti del sindaco, n. 103 (1995), pp. 30-51 - Quali leader per la ricostruzione delle autonomie locali, n. 112 (1997), pp. 41-47 Magro Adele, I rapporti Stato-Regioni secondo la Commissione bicamerale, n. 98 (1994), pp. 41-63 Nepitelli Barbara, I Boc nel mosaico del decentramento finanziario, n. 108 (1996), pp. XXVJII-XXIXIII - Cittadini vs. Comuni: la pace arriva in fretta, n. 109 (1997), pp. XXD(-XXH - Esperienze di privatizzazione negli Enti Locali, n. 111 (1997), pp. 49-65 Piraino Andrea, Il sistema dualista nell'amministrazione dei Comuni e delle Province, n. 103 (1995), pp. 52-68 Ristuccia Sergio, La «Repubblica dei c'omuni". una nuova cultura della gestione, n. 109 (1997), pp. XXIII-XXVI Sharpe L.J., Enti locali in democrazia: quale ruolo e quale modello di modernizzazione, n. 101-102 (1995), pp. 107-131 1. Gran Bretagna Moore Chris, Il governo regionale nel Regno Unito: proposte e prosp ettive, n. 98 (1994), pp. 3-23
PRWATIZZAZIONI Cavazzuti Filippo - Giovanni Moglia, Regolazione, controllo e privatizziizione nei servizi dipubblica utilità in Italia, n. 101-102 (1995), pp. 178-195 Corso Stefano, Il mercato della telefonia: la lunga strada della liberalizzazione, n. 109 (1997), pp. 75-9 1 Fabbri Paola, La questione acqua, n. 104 (1995), pp. 28-45 Moglia Giovanni - Cavazzuti Filippo, Regolazione, controllo eprivatizzazione nei, servizi di pubblica utilità in Italia, n. 10 1-102 (1995), pp. 178-195 Moro Domenico, Quali spazi per il capitale privato nel mercato dell'acqua?, n. 108 (1.996), pp. 59-75 Ristuccia Renzo - Schiano Angelo - Segni Antonio, Un'esperienza organizzativa di azionariato dffiso, n. 101-102 (1995), pp. 196-208 106
Termini Valeria, Le societĂ dell'acqua: I210EA verso ilfia'uro, n. 108 (1996), pp. 76-88 Ex Germania orientale Sai Luigi, La privatizzazione dell'ex Germania orientale: un processo concluso solo in parte, n. 104 (1995), pp. 3-13 Gran Bretagna Chizzoniti Antonio, Gran Bretagna: le sorprese di una secca estate, n. 104 (1995), pp. 46-50 Francia Saraceno Marilena, Dallo legge del luglio 1993 all'avvento di Chirac, n. 104 (1995), pp. 14-23 Stati Uniti Chi S. Keon, USA: come siprivatizza negli Stati, n. 111 (1997), pp. 66-98
FISCO E FEDERALISMO FISCALE Caianiello Girolamo, Decisioni fiscali e livello di governo competente, n. 98 (1994), pp. 97-98 Di Majo Antonio, Una finanza pubblica federale per l'Europa, n. 98 (1994), pp. 87-91 - Il rapporto con l'economia, n. 101-102 (1995), pp. 70-76 - La tassazione delle imprese nelle politiche dell'Unione Europea, n. 110 (1997), pp. 113-130 Gambale Sergio, La contesa sul Fisco, n. 100 (1994), pp. 84-86 Nepitelli Barbara, Ilfedera lismo fiscale: tesi a confronto, n. 105 (1996), pp. 18-32 Russo Enzo, Per ilfederalismo fiscale ricostruire ex-novo il ministero delle Finanze, n. 110 (1997), pp. 131-142 107
SETTORE NON-PROFIT Addotta Saveria, Un'istituzione dei diritti umani: Amnesly Internationah n. 103 (1995), pp. 141-151 Addotta Saveria - Ferraro Alfonso, L"American Societyfor Public Administration' tra passato e presente, n. 106-107, (1996), pp. 166-191 - Non-profit: le aspettative per una nuovaera, n. 110 (1997), pp. 79-97 Casadei Bernardino, Il Terzo Settore in Italia: per una valutazione delle opinioni correnti, n. 101-102 (1995), pp. 211-229 Gallo Franco, Non profit e questioni fiscali, n. 108 (1996), pp. Vil-IX Palmer Paul, Le Charities inglesi verso ilfrturo, n. 110 (1997), pp. 98-110 Rigano Francesco, L'associazionismo nelle rifirme dello Stato sociale, n. 100 (1994), pp. 110-114 Ristuccia Sergio - Zoppini Andrea, Un ostacolo sulla via della riforma degli enti non-profit, n. 99(1994), pp. 117-119 SISTEMA POLITICO Battaglia Adolfo, Rieducare alla politica, n. 100 (1994), pp. 5 1-62 Bechelloni Giovanni, Pontieri eguastatori, n. 100 (1994), pp. 63-69 Bettinelli Ernesto, La Costituzione di fronte al "nuovo che avanza", n. 99 (1994), pp. 3-18 Bogi David, Globalizzazione e localismo, n. 106-107 (1996), pp. 64-82 Chizzoniti Antonio, Leadership e politica "senza qualitĂ ", n. 103 (1995), pp. 111-Vili Manzella Andrea, Tra Roma e Pontida, n. 106-107 (1996), pp.
xxxJX-Xu Pizzorusso Alessandro, Il "deficit democratico" nazionale, n. 100 (1994), pp. 99-103 Ribaudo Massimo, Ragionando di Bicamerale. Cronaca di un dibattito a Cortona, n. 109 (1997), pp. XXVII-XL Ristuccia Sergio, Oltre le elezioni dAprile, n. 105 (1996), pp. III-X Serafini Umberto, Qualche noticina sul federalismo, n. 106-107 (1996), pp. XXVJ-)OOUI 108
Sidoti Francesco, Illegalità dffiisa e legalità confusa, n. 99 (1994), pp. "-XI - Antipolitica ed illegalità diffusa, n. 103 (1995), pp. VTII-)(VTI. - Presidenzialismo e Sartorismo, n. 105 (1996), pp. XI-XVI - Il partito tedesco, n. 106-107 (1996), pp. )OOUII-XXXVIII - Imandanti dei mandanti, n. 109 (1997), pp. XLI-)(LIX Il parlamento Chizzoniti Antonio, Montecitorio. Regolamenti in affanno, n. 108 (1996), pp. X-XIX - Abuso d'ufficio. Il Senato volta pagina, n. 109 (1997), pp. 95-102 - Montecitorio. Regolamento in prova, n.. 111(1997), pp. 1-4 Il Governo Ristuccia Sergio, Scienze Sociali e Agenda per l'Italia, n. 106-107 (1996), pp. III-XVIII - Senza decreti legge più maggioritario, n. 108 (1997), pp. III-V Sidoti Francesco, Governo invisibile e malgoverno visibile, n. 111 (1997), pp. 9-15 Stancanelli Alberto, Le riforme del Governo Ciampi, n. 10 1-102 (1995), pp. 94-100
SOCIOLOGIA Cavazza Fabio Luca, Gli ultimi cinquant'anni di un secolo breve, n. 109 (1997), pp. XIX-XVIII. Conte A. Massimo, L'Italia virtuale secondo Delphi, n. 105 (1996), pp, XXIH-XXXJ Fabbri Marcello, IlBegro e l'Ircocervo, n. 100 (1994), pp. 74-78 Palleschi Barbara, Leggi e immigrazione, n. 109 (1997), pp. 3 1-40 Pizzetti Bernardo, Valutare e misurare la ricerca.' dal dibattito alla prassi operativa, n. 99 (1994), pp. 44-57 Sidoti Francesco, Passato e presente della questione settentrionale, n. 97 (1994), pp. 64-74 109
Silj Alessandro, Movimenti etnici e regionali nella nuova Europa, n. 109 (1997), pp. 5-18 Venturini Alessandra -. Laura Gobetti, Un approccio economico all'analisi delle emigrazioni, n 109 (1997), pp. 19-30 TUTELA AMBIENTALE De Martino Silvia (et al.), Razionalit.ĂŹ degli attori ed effetti sistemici: il caso della politica ambientale, n. 97 (1994), pp. 67-88 Dente Bruno, Sviluppo sostenibile e democrazia sono compatibili?, n. 97 (1994), pp. 89-93 Young Oran R., Per un governo internazionale dell'ambiente, n. 97 (1994),pp. 51-66
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democrazia e diritto trimestrale del centro di studi e di iniziative per la riforma dello stato
SINISTRA GLOBALIZZAZIONE EUROPA aprile 1998 (n. 2, 1997) Leonardo Paggi, Solidarietà e identità nazionale Giuseppe Cotturri, Potere e processo costituente tra Italia e Europa
Problemi del federalismo Italia Per un nuovo federalismo (documento scritto da Massimo Cacciari) Svizzera Rocco Notarangelo, Il cantiere federale svizzero Thomas Fleiner, La democrazia consensuale della Confederazione Elvetica (intervista di Rocco Notarangelo) Claudio Mascotto, D_emocrazia diretta efederalismo: quale integrazione? Germania Wolfgang Schluchter, La questione dell'Abwicklung» delle istituzioni universitare nella Rdt (intervista di Patricia Chiantera)
Ricercacontinua Giudice Gianluigi Palombella, La conoscenza nell'interpretazione. Un modello per la giurisdizione Rappresentanza Carlo Magnani, Rapp resentanza politica e rappresentazione. Hegel, Schmitt e il moderno
Mafia Enzo Fantò, Globalizz.azione dei capitali e transizione della mafia
Per discutere Lorenzo Cillario, Il tecno-controllo telematico. Un problema rimosso dalla coscienza colletti va L. 30.000 - abb. 1997 L. 120.000 - c.c.p. 00325803 - Edizioni Scientifiche Italiane, via Chiatamone 7, 80121 Napoli, tel. (081) 7645443
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L'erompere delle autoritĂ amministrative indipendenti
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I diritti dell'uomo •
cronache e battaglie organo dell'unione forense per la tutela dei diritti dell'uomo
direttore Mario Lana
annò VIII n. i - gennaio-aprile 199 EDITORIALE
Mario Lana
ATFUALITÀ Il successo dell'iniziativa abolizionista italiana alla Commissione per i diritti umani delle Nazioni Unite Leonardo Bencini
SAGGI L'informazione globale e la violenza nel mondo Mario Lana
Libertà d'espressione e protezione dei minori su Internet: un difficile equilibrio Giorgio Zanchini
Verso una giustizia penale internazionale Giuliano Vassalli
Come aggirare una Costituzione (in Algeria e altrove) Paolo Ungari
Violenze etniche e costruzione della pace AzzedmeAbdelmadjid
Alla Convenzione per le minoranze Alessia Amorosi
Lotta contro la criminalità: ruolo e responsabilità dei media Man L. Snydsrs
Proteggere i diritti dell'uomo sul terreno: la missione 1-IRFOR Massimo Moratti
Il principio di autodeterminazione nell'attuale fase della comunità internazionale Fabio Marce/li
Consiglio d'Europa a cura di Maurizio de Srefano
RUBRICHE
MOVIMENTI E ASSOCIAZIONI I MINORI: GIORNALE A PIÙ VOCI
Movimento di Difesa del Cittadino
Mass media e bambini Furio Colombo
DOCUMENTI
La pedofilia: un fenomeno allarmante, una svolta nella cultura giuridica e nella pratica giudiziaria Lucia Tria
Consiglio d'Europa Protocollo n. 11 alla Convenzione di salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali
Una testimonianza dalla scuola Annapia Arco/to
Disegno di legge contro lo sfruttamento sessuale di minori
L'educazione sessuale: un efficace strumento di prevenzione Anna Agosrinacchio Pedofilia e tutela dei minori: un importante intervento del legislatore italiano Marina Pecoraro
La stampa in carcere: terrore dello Stato contro la stampa indipendente Akme Eshere Commissione diritti umani risoluzione n. 1997112 sulla pena di morte Sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti d'America L'Algeria di fronte alla violenza
INTERVISTE Con Zhu Muzhi, Presidente della China Society for Human Rights Studiea a cura di Mario Lana Con Eroi Anar, Vicesegretario geneiale dell'Associazione turca dei diritti umani (IHD) a cura di Fabio Marce/li
Discorsi d'apertura al Convegno internazionale "Formes contemporaines de violence et culture de la paix" di Algeri del 2022settembre 1997 di Yahia Guidoum, Ministro della Sanità e della Popolazione algerino KamelRezag-Bara, Presidente dell'osservatorio dei diritti dell'uomo algerino Comunicazione di Claudine Chaulet: Guarire dalla violenza Dichiarazione di Algeri
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GIULIANA GEMELLI
LE ÉLITES DELLA COMPETENZA SCIENZIATI SOCIALI, ISTITUZIONI E CULTURA DELLA DEMOCRAZIA INDUSTRIALE IN FRANCIA (1880-1945)
IL MULINO RICERCA -
FABIO LUCA CAVAZZA
MEMORIA E FUTURÒ Sette tesi sul mondo contemporaneo
MORCELLIANA
queste ìstìtuziuni queste istituzioni
La rivista L'attuale programma di lavoro si incentra sull'analisi teorico-pratica relativa a tre grandi temi: • un'amministrazione che dialoghi con i cittadini e che ne raccolga necessità e progettualità, che sia nella ma efficace nei campi dove il suo intervento è necessario; • una cultura delle professioni, intese come mezzi per trasmettere nella società conoscienze e competenze sempre aggiornate e criteri di qualità; • una cultura del non-profit, del dare libero e solidale, che assolva la sua funzione più genuina, che è quella di formate negli associati un senso dell'impegno civile. Sono temi che hanno per sfondo naturale, malgrado ogni possibile problema, l'Europa e la sua progressiva integrazione. I contenuti —Il corsivo editoriale, con il punto sugli avvenimenti più importanti che caratterizzano i settori di nostro interesse. —Il taccuino, uno spazio da dedicare a temi di attualità, con articoli più brevi e un taglio più "cr0nacristico". —I dossier, raccolgono articoli, monografie, dibattiti sui principali argomenti o temi di attualità che sono propri del settore pubblico. L'dstituzione Governo», la sanità e la spesa farmaceutica, l'amministrazione Europa, l'archivio media, le associazioni e le fondazioni, i nuovi assetti organizzativi per le amministrazioni pubbliche, i partiti politici sono gli argomenti trattati. È stato pubblicato un indice generale della rivista a testimonianza di circa venti anni di costante presenza nel panorama editoriale italiano. Se ne può chiedere una copia in omaggio alla redazione. —Le rubriche, con le notizie relative all'attività del Gruppo di Studio Società e Istituzioni, nel cui ambito è nata la rivista, e di altre associazioni, fondazioni e centri studi, e le recensioni di testi che trattano temi di nostro interesse. * —Gli opuscoli, La serie intende: riprendere in estratto dossier della rivista (è il caso del l numero con il dossier «Cultura della valutazione» estratto dal n. 99) o argomenti tra loro omogenei, per uso professionale o didattico, (è il caso del 30 opuscolo dedicato a "L'informatica delle pubbliche amministrazioni"); presentare materiali complementari alla rivista (come nel 2° opuscolo, che presenta un saggio su "I fondi strutturali. Un crocevia critico tra Unione Europea, Stato e Regioni").
LA COLLANA MAGGIOLI - QUESTE ISTITUZIONI Bruno Dente Politiche pubbliche e pubblica amministrazione, pp. 255, 1989, L. 30.000 Sergio Ristuccia Enti locali, Corte dei Conti, Regioni, pp. 251, 1992, L. 42.000 R. Greggio, G. Mercadante, P. Miller, J.P. Nioche, J. Siof Management: quale scuola per una professione europea?, pp. 264, 1993, L. 38.000 Stefano Sepe Amministrazione e storia. Problemi della evoluzione degli apparati statali dall'UnitĂ ai nostri giorni, pp. 455, 1995, L. 58.000 AA.VV. Fondazioni e Associazioni. Proposte per un4. riforma del primo libro del Codice Civile, pp. 249, 1995, L. 38.000 Sergio Ristuccia Volontariato e Fondazioni. Fisionomie del settore non profit, pp. 324, 1996, L. 48.000
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