queste istituzioni 14
rassegne e documenti
Le classi sociall in Italia: note su un dibattito di Gabriella Pinnarò
La ricerca sulla composizione di classe in Italia nell'ultimo decennio: note introduttive 111 Prima metà degli anni '60: il dibattito si coagula intorno al problema del potere 15 Le prime indagini analitiche 19 Dinamica delle classi sociali nel saggio di Sylos Labini 25 Indicazioni bibliografiche
Sarebbe errato afferniare che il tentativo di configurare la composizione di classe in Italia in questo ultimo decennio si sia concretizzato in modo appro.. fondito per la prima volta nella analisi condotta da Sylos Labirii I. In realtà nella letteratura sociologica contemporanea ritroviamo importanti precedenti cui faremo spesso riferimento nel corso del presente lavoro, cercando di evidenziare le affinità e i contrasti riscontrabjlj nei numerosi contributi sul tema. Il tentativo è perciò quello di fornire un quadro d'insieme del dibattito e di riunire i vari approcci analitici in una trama critica, da una parte per fare il punto sugli studi esistenti, dall'altra per contribuire ad un ulteriore sviluppo della discussione. È stato osservato da più parti che lo studio delle classi sociali si presenta in Italia come uno dei settori più marginali della sociologia contemporanea: ci sembra che questa considerazione sia stata valida soprattutto per il periodo precedente la metà degli anni sessanta, in cui, però, più che di assenza di analisi in merito sarebbe me-
2 glio parlare, di limiti « sociografici » di esse; ci si trovava, infatti, dinanzi a ricerche per così dire stratificazioniste, in cui elementi quali lo stile di vita, il compenso e il prestigio sociale servivano tout-court da base per, la formazione di categorie statistiche e di gerarchie della occupazione. La tradizione sociologica era cioè quella dello studio della percezione e della valutazione sociale della disuguaglianza, portato avanti con l'uso di indicatori quali quello dell'autoidentificazione di classe, ossia della collocazione che l'individuo si assegna nel quadro della struttura sociale, per arrivare poi alla ricostruzione della «immagine della società» che hanno le varie componenti sociali 2• Sull'argomento numerose sono le ricerche empiriche e gli studi di comparazione con altri paesi, di taglio tipicamente americano; in maggiori difficoltà invece ci si imbatte per reperire elaborazioni teoriche e metodologiche a più ampio respiro. In tal senso questi studi riflettono, a livello di oggetto d'analisi, la differenza tra
due piani di approccio: l'uno che fa riferimento ad una « coscienza psicologica» della classe e l'altro che invece parte dall'esame della «coscienza politica », cioè della coscienza antagonista di classe in senso propriamente marxiano nel tentativo di ricostruire un quadro' della struttura sociale in cui il discorso' sulla disuguaglianzà si traduca non in gerarchie soggettive astratte ma in termini di relazioni di potere e di antagonismo di classe 3. Vacca 4 parlerebbe a proposito di primato ermeneutico dell'analisi politica nella necessità di fuggire dal « pantano della sociologia »; possiamo però osservare che nei più recenti approcci sociologici è riscontrabile una rivolutazione delle componenti oggettive, strutturali in tema di classi sociali. Il nodo del problema consiste piuttosto' nella scarsa attendibilità dei dati (fl monopolio è dell'ISTAT), nella insufficiente disaggregazione e nella disomogeneità di essi, che si aggiunge alla settonalità di alcune ricerche, rendendo'
P. SLos Lann, Saggio sulle classi sociali, Laterza, Bari 1974. Cfr. anche le precedenti stesure in « Astrolabio », 31-3-12 e in « Quaderni di sociologia », n. 4, dicembre 1972. 2 AA. VV., Immagini della società e coscienza di classe, a cura di M. Paci, Padova, Marsilic 1969. A. PIzzoRNo, Introduzione allo studio della partecipazione politica, in « Quaderni di sociologia », n. 3-4, 1966, a proposito della coscienza di classe scrive che essa «... non è riconducibile ai dati psicologici: non si tratta cioè di uno stato di coscienza che possa cogliersi indipendentemente dall'azione che obiettiviamente gli corrisponde ». G. VAccA, Teoria e storia delle classi sociali, in « L'Unità », 23-4-1975.
queste Istituzionì luglici 1977
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difficile l'individuazione di un assetto unitario in cui si parta dalla rilevanza dei processi economico-politici e dalla assunzione della variabile « organizzazione del lavoro)> come fondamentali nella determinazione dei mutamenti del sistema di classe. La cumulazione delle conoscenze in merito è perciò estremamente ardua e spesso proprio per evitare di ancorare l'analisi in sede statistica col pericolo di presentare un quadro «... gravemente lacunoso, quando non fuorviante » e di incorrere in una sottovalutazione sistematica dei fenomeni, si cade nel pericolo opposto che è quello di fornire un quadro complessivo della realtà molto generale ed ideologico, che a volte si risolve in un discorso teorico astratto sul concetto di sviluppo capitalistico o di formazione sociale in cui le classi si presentano come « entità astratte », oggetto di modelli e di schemi interpretativi che hanno l'avallo dei classici ma che si rivelano insufficienti per analizzare un determinato contesto in un determinato periodo storico. In questo senso il saggio di Slyos Labini (« pastiche» metodologico, come è stato definito, « .... mezzo antagonismo di classe al modo marxista, mezzo stratificazione di redditi e status al modo della sociologia anglosassone... » 5), pur con i limiti che più avanti si esamineranno, segna una tappa importante nella produzione teorica sulle classi e sulla stratificazione, come interpretazione generale dello sviluppo economico-sociale dell'Italia contemporanea, e resta un'acquisizione fondamentale proprio perché giunge dopo un periodo non particolarmente fecondo di elaborazioni in merito. È infatti solo verso la fine del sessanta che, sulla scia delle traduzioni di alcune opere straniere apparse in Italia qualche anno prima (pensiamo a Dahrendorf, ad Ossowski, a Parsons, a Mills ecc.), si manifesta una esigenza di approfondimento e di « localizzazione)) ita-
liana nel tentativo di indirizzare gli studi verso la risposta ad una domanda sociale emergenti in vari settori. In questo periodo si focalizzano perciò i termini del problema e si riannodano le fila di un dibattito apparentemente frammentato e atomizzato che percorre riviste, istituti di ricerca, centri studio di vari enti etc. È di questo settore di studi che ci occuperemo qui di seguito, centrando il discorso sul caso italiano in questo ultimo decennio; saranno presi in esame i vari contributi sul tema, citati di volta in volta, con riferimento alle analisi sui ceti medi e sul concetto di proletarizzazione, per giungere alla configurazione del sistema di classe esistente nella struttura sociale in relazione alle modificazioni che hanno attraversato il processo storico. La scelta dei ceti medi come « osservatorio» privilegiato (scelta qui appena accennata, che troverà sviluppo in un lavoro di prossima pubblicazione) è stata dettata dalla convinzione che, soprattutto rispetto ad essi assuma consistenza un'analisi sui rapporti tra le classi e sui fattori economici e politici che comportano mutamenti nella struttura sociale, evidenziando un trend di proletarizzazione crescente che contraddice la pretesa di costante mobilità ascendente e di passaggio from rags to riches portato avanti dall'ideologia dominante. Postulare un aumento della mobilità come direttamente proporzionale allo sviluppo economico delle società industriali, attribuendo ad essa la importante funzione di solvente della divisione in classi e delle tensioni sociali, significa non tenere conto in primo luogo dei mutamenti subìti dalla struttura occupazionale e non considerare la rilevanza degli spostamenti dalle occupazioni agricole a quelle urbane e l'incidenza della terziarizzazione. Paci 6 evidenzia infatti l'esi-
F. CERUTTI, Teoria e analisi delle classi nel marxismo: qualche proposta di lavoro, in « Aut -Aut», n. 151, 1976, pp. 25-32. M. PAcI, L'evoluzione dell'occupazione e la mobilità delle forze di lavoro in Lombardia 19584968, ciclostilato, ILSES, Milano 1968.
genza di distinguére tra due tipi di mo- lo nella misura in cui si dimostrano utili bilità, quella « strutturale» o lorda con- ad assicurare un certo grado di « equilisistente nell'espansione della stratificazio- brio » sociale, cioè un qualche ricamne socio-professionale a certi livelli, e cioè bio nelle classi medio-superiori, cui si è nelle modificazioni apportate dallo svilupaccennato, riaffermando per altro la fon. economico alla struttura occupazionale, damentale natura di classe della soin cui non si distingue la quantità di spo- cietà. Inoltre, come nota anche Gallino 9, la logica del conflitto si fonda soprattutto stamento globale fra un settore occupazionale e l'altro dalla quantità di mobilità sul fatto che l'azione dell'individuo trova individuale, e quella netta o di scambio la sua scintilla sociale nel ruolo che esso tra le classi a livello di singoli indivi- si trova a svolgere in un dato momento oltre che nella sua posizione originaria dui. Ora l'unica rilevanza si può ragionevolmente attribuire al primo caso di mo- e cioè «... una struttura di potere non cambia per il semplice fatto che le posibilità, cioè a quella strutturale intersettoriale, e in ogni caso si può parlare di zioni di maggior potere sono via via gra((complementarietà » di quest'ultima con dualmente occupate da chi aveva prima un potere minore. Del pari il miglioraquella netta e di sostanziale invarianza del tasso complessivo. Tutto ciò quindi mento del tenore di vita degli operai non significa di per sé un loro imborghesiinduce a ridurre la pretesa di « non clasmento ...» appunto perché la contradsismo» delle società capitalistiche, e fra esse di quella italiana, alla semplice neces- dizione tra funzione svolta e possibilità sità di « immissione di un 25% c/a di nuo- di incidere effettivamente sull'organizvi soggetti a livello delle classi medio-su- zazione sociale rimane e in modo drammatico. periori tra una generazione e l'altra, indipendentemente dal meccanismo di fon- Ci sembra quindi non centrata la tesi di •Nisbet 10 secondo cui l'esistenza di un do che a tale tasso dà origine... » 7 . La teorizzazione di un livellamento del- assetto sociale classista sarebbe da ascrile condizioni di vita e di un'intensifica- vere soltanto all'» era precapitalistica, predemocratica e prerazionalista » in zione della mobilità sociale che sarebbe quanto «gli acidi della modernità » aconstatabile in Italia negli ultimi decenvrebbero eroso le basi delle classi sociani e che renderebbe difficile il permanere di gruppi solidali ci sembra per - li; in realtà le pretese <(nuove linee,> della stratificazione nella società contemciò azzardata, considerando che, pur volendo ammettere per ipotesi la presen- poranea non sono da ricercare in un za di un alto grado di mobilità, ciò sa- clima di libera competizione e di generebbe del tutto insufficiente a dimostra- ralizzata uguaglianza iniziale ma, come re l'impossibile persistenza di un siste- rileva anche Geiger 11, in altri elementi ma classista, «... ogni classe, dice che soprattutto per quanto riguarda la Schumpeter, rassomiglia, per quanto ri- specifica realtà italiana trovano una diguarda la durata della vita collettiva, retta conferma e si traducono nel peso ad un autobus o ad un albergo che assunto dai ceti medi, nel maggior ruosono sempre affollati ma sempre da lo svolto dallo status del consumatore e » 8• nell'influenza esercitata dallo staif tecnopersone diverse La possibilità e le dimensioni del con- cratico (quello che viene definito come flitto sociale non sono quindi annullate «potere degli esperti »). dagli elementi di mobilità permessi dal Lungi dall'assolvere a funzioni integrasistema, anzi questi ultimi esistono so- tivo-strumentali, riteniamo quindi che la -
M. PACI, Op. cit. <A. SCHUMPETER, Capitalismo, socialismo, democrazia, Milano, Etas-Kompass, 1967. <L. GALLINO, Introduzione a T. B. Bottomore, Le classi nella società moderna, Milano, Edizioni
di Comunità, 1972. » R. M. NIsBEr, La questione della stratificazione e delle classi in sociologia, in AA. VV., Stratificazione e classi sociali, a cura di A. Carbonaro, Bologna, Il Mulino, 1971. Il T. GeiGER, Saggi sulla società industriale, Torino, Utet 1970.
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5 struttura sociale statificata si ponga come risultato dell'articolazione del potere e risponda alle esigenze imposte dalla divisione del lavoro, per cui la rewards theory (teoria dei compensi) esposta in particolare da Davis e Moore 12, che considera le varie differenzjazionj come strumenti per incentivare materialmente l'impegno nell'espletamento dei ruoli sociali e l'allocazione ottimale delle risorse, appare scarsamente generalizzabile. Anche la tendenza ad un sempre più profondo livellamento dei consumi fatto dipendere, oltre che da fattori culturali, dall'accrescimento dei redditi più bassi, fenomeni che produrrebbero un appiattimento nella stratificazione degli status e che Pizzorno 13 riscontra in Italia, può essere verificata solo in alcuni periodi della storia italiana: quelli cioè che si riferiscono agli anni dello sviluppo, del miracolo economico e che vedono un rapido processo di industrializzazione, di apertura commerciale e di urbanizzazione. Ma alla fase caratterizzata da intenso dinamismo seguono anni di depressione economica, in una alternanza di disoccupazione e di inflazione, con blande riprese, fino alle crisi più gravi di stagflazione in cui dualismi e distorsioni vengono a galla in tutta la loro gravità. Ora, se da una parte si può parlare di tendenza all'aumento della base salariale sia nel settore dell'industria che nel terziario, dall'altra occorre tener presente due aspetti altrettanto importanti, quello dell'aumento degli indici del costo della vita e quello della caduta del tasso di attività; per cui in che senso possiamo parlare di « diminuzione del grado di differenziazione in tutti i sottosistemi della stratificazione » e quindi di un processo di relativa omogenei.zzazione? Si può ragionevolmente ritenere che l'aumento della proporzione degli
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strati intermedi abbia determinato una riduzione dello scarto tra base e vertice della scala sociale, trasformando la struttura sociale italiana da piramidale a pentagonale? Indubbiamente. soprattutto per quanto riguarda la strutturazione di alcuni consumi e l'impostazione del cosiddetto « stile di vita » c'è una tendenziale uniformità, almeno apparente, ma questo aspetto riguarda solo alcune categorie sociali e si riferisce a ruoli occupazionali e a livelli di reddito medio-piccoli o medio-alti. I tempi della televisione e della macchina « facile » per tutti ci sono stati e hanno segnato dei cambiamenti nei vari status, ma non sembra che, ciò sia sufficiente a presentare attualmente l'Italia come la « società del ceto medio » (cioè una società in cui i valori di tale strato sono largamente diffusi anche tra la classe operaia producendo uno status di massa cosiddetto « medio »). Fenomeni quali quello della proletarizzazione crescente di grosse fasce piccolo borghesi e della progressiva marginalizzazione di ingenti quote di forzalavoro, pur senza ricorrere a generalizzazioni semplicistiche, acquistano una rilevanza sempre più grave ed è proprio a questo proposito che risulta analiticamente imprecisa l'analisi di Sylos Labini 14 sugli strati intermedi che diventano una specie di calderone indifferenziato in cui si fanno confluire vari strati sociali « ibridi » in via di esaurimento o già fortemente proletarizzati. E se è pur vero in linea generale, come ricorda Goldthorpe 15, che una società si presenta tanto più verticale nella distribuzione del reddito e nel livello dei consumi quanto più è povera, dobbiamo evidenziare che secondo alcuni osservatori sociali questa diretta proporzionalità tra indice di sviluppo e indice di stratificazione in molte società occiden-
K. DAvIs-W. E. Mooas, Alcuni principi della teoria della stratificazione, in R. Bendix-S. M. Lipset (a cura di), Classe, potere status. I. Teoria sulla struttura di classe, Padova, Marsilio, 1969. 13 A. Pizzoio, Le classi sociali, in Antologia di scienze sociali, a cura di A. Pagani. 2 volI. Bologna, Il Mulino, 1960, I voi., Teoria e ricerca, pp. 339-365. P. SYLOs Lxus, op. cit., in particolare cfr. pp. 53-62. H. GtLDTHORPE, La strarificazione sociale nella società industriale, in R. Bendix-S.M. Lipset (a cura di), op. cit., IV. La mobilità sociale, Padova, Marsilio, 1972. 12
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l'achievement. In concreto anzi le chantali non è più così chiara: lo riconosce ces di «arrivare » per il littie man sono Titmuss 16 per quanto riguarda la Gran Bretagna, Kolko 17, che a proposito degli sempre più illusorie e ai miglioramenti di reddito non fanno eco mutamenti nelStati Uniti riconosce una possibilità di lo stile di vita, che risulta sempre più protendenziale uguaglianza per i redditi inletarizzato e discriminato quanto ad esertermedi ma assolutamente non per quelli bassi, e Myrdal 18 che si spinge più cizio reale di potere e a qualità di lavoro. avanti fino a parlare di crescente meguaglianza e dell'emergere di una sottoIn relazione a tali considerazioni riteclasse di disoccupati e non occupabili niamo utile analizzare gli aspetti della alla base della piramide sociale, pur di tendenziale polarizzazione (capitale-lavofronte ad un livellamento in direzione ro salariato) che caratterizza in modo ascendente del tenore di vita riferito agli specifico lo sviluppo capitalistico in Itastrati intermedi. In particolare poi « lia, con la peculiarità cioè di intrecciarsi l'Italia appartiene a quella frangia nucontemporaneamente alla presenza di merosa di paesi in cui se da un lato è stato compiuto il grande salto dell'indu- molteplici strati spuri non immediatatamente riconducibili ai due poli della strializzazione, dall'altro ciò è avvenuto struttura di classe anche se, in cerca di col mantenimento e la riproduzione di aree di sottosviluppo, non solo nella schematizzazione, si possono considerare prevalentemente borghesi o prevalentestruttura economica ma anche in quella sociale e culturale... » 19, per cui bi- mente proletari (secondo che detengono la proprietà dei mezzi di produzione o sogna essere prudenti nell'assumere coil controllo di essi, o, al contrario, siame legge naturale proiettabile nel funo subordinati al capitale ed espropriaturo quella della omogeneizzazione o delti del plusvalore prodotto 20). l'<c equilibrazione » come la definisce InLa definizione di questi strati è fondakeles. mentale per comprendere alcuni proIl semplice fatto perciò di constatare un blemi dell'assetto economico-politico prelivellamento a certi stadi della distribusente in Italia proprio perché come rizione globale del reddito non impedisce ad esempio di verificare che ad altri li- corda Kautsky «... l'antagonismo tra la velli siano ravvisabili simultaneamente classe capitalistica e il proletariato salanato non è l'unico antoganismo sociale tendenze opposte o che a redditi intermedi non corrispondano livelli di vita della nostra epoca. Accanto e tra queste due classi ne esistono numerose altre assimilabili neppure ai gradini più basche in parte sono prodotti di forsi di quella classe che Renner definisce me sociali precapitalistiche, in parte socc di servizio >'. Non appare quindi convincente l'interpretazione di una real- no generate o per lo meno favorite nella loro crescita dalle esigenze del capità italiana in cui i sistemi di stratificatalismo stesso. Queste classi, quali in zione tendono ad essere molto integraascesa, quali in decadenza con i loro inti, nel senso che la struttura occupazioteressi estremamente diversi che continale assume un ruolo prevalente correlato strettamente con altri elementi (si- nuamente mutano e si intrecciano e si tuazione economica, livello di istruzio- allacciano in mille guise con gli interessi dei capitalisti da una parte, dei prone, prestigio etc.), e in cui le differenze specifiche di classe corrispondono a letari dall'altra, senza coincidere mai completamente con gli interessi di una quelle di status nel trionfo del mito delR. M. TITMUSS, Income Distribution and Social Change, G. KOLKO, Wealth and Power in America, 1962, cap. G. MYRDAL, Challenge to Aj -fluence, 1963, oap. III.
1962. I.
» Cfr. Introduzione di P. Farneti a AA.VV., Il sistema politico italiano, Bologna, Il Mulino, 1973. ° Cfr. P. CzABINI, Problemi per un'analisi delle classi in Italia, in « Inchiesta », n. 11, 1973.
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7 delle due classi, sono quelle che danno .alle lotte politiche della nostra epoca il loro carattere incerto e pieno delle più singolari sorprese... » 21 e, potremmo aggiungere, sono quelle che danno consistenza all'ideologia che fa da supporto alle mediazioni politiche e costituisce il perno della elaborazione berlingueriana sul compromesso storico. Se infatti le trasformazioni nella composizione sociale in Italia negli anni cinquanta e all'inizio del sessanta hanno riguardato soprattutto la crescita numerica della classe operaia e l'assottigliamento della fascia rurale e con essa di tutta una base di stabilità e consenso (rendendo necessari nuovi presupposti di integrazione sociale anche a sostegno del varo di formule di centro-sinistra col tentativo, nel clima di miracolo economico, di puntellare l'ideologia dell'imborghesimento della classe operaia e di quella che Ferraris ricorda come legge tendenziale della caduta del saggio di conflitto »), già nel 1965 l'occupazione diminuisce di circa 500.000 unità rispetto al '64, in quasi tutti i settori cre.scono i lavoratori marginali, si allarga il mercato precario e periferico e l'impiego nel terziario, e nella Pubblica Arnministrazione in particolare, diventa la valvola di sfogo del sistema (infatti non riesce a decollare una trasformazione in senso capitalistico moderno dell'economia italiana, ma come si è detto un'espansione parassitaria del terziario). D'altra parte si assiste all'espropriazione di ampie quote di borghesia marginale 22 divenuta poco competitiva e questo processo, che si accompagna a quello di perdita di privilegio e proletarizzazione dei ceti impiegatizi, comporta la disgregazione di quegli strati in cui si vorrebbero riporre le speranze di stabilizzazione sociale. La caduta degli inve. stimenti che ciclicamente va manifestandosi dal 1963, la mancata attuazione delle riforme più urgenti (da quella urbani-
stica, a quella sanitaria, scolastica e della Pubblica Amministrazione) e le ripercussioni di gravi problemi a livello internazionale (soprattutto l'inflazione dei prezzi delle materie prime e il calo della domanda di beni di consumo durevoli) rende molto precaria qualsiasi forma di equilibrio sociale. La constatazione di tutto ciò conduce tra gli altri Sylos Labini 23 a considerare il capitalismo italiano come arretrato e distorto rispetto a quello degli altri paesi occidentali industrialmente più sviluppati e a proporre politiche di tipo laburista e « riforme anche radicali » alla cui attuazione si adoperino gli strati dinamici della piccola borghesia, levandosi al di sopra di interessi settoriali e cor porativi, e coloro che gestiscono gli interessi della classe operaia, in una sorta di patto d'azione con lo strato più progressista della grande borghesia, quello cioè che controlla l'industria moderna (in opposizione alla borghesia immobiliare e finanziaria con cui pure talvolta gli interessi si intrecciano), fortemente interessato alla razionalizzazione del sistema e alla stabilizzazione sociale. E sintomatico infatti come l'onnipresenza della piccola borghesia parassitaria abbia modificato i termini dei conflitti sociali e degli interessi che ad essi sottostanno, costringendo le forze più dinamiche a fare concessioni retrive e paralizzanti; a riprova di ciò si nota, ad esempio, che alcune riforme che non intaccavano direttamente gli interessi piccolo-borghesi, quali la nazionalizzazione dell'industria elettrica e lo Statuto dei diritti dei lavoratori, sono state varate mentre per il resto la atmosfera è stagnante. Obiettivo di fondo sarebbe quello di superare le delusioni per le scarse realizzazioni dei programmi dei governi di centro-sinistra, per la caduta delle illusioni nate col miracolo economico e per la inefficacia e l'usura dell'apparato statale, avviando una «rivoluzione demo-
K. KAUTSKY, La questione agraria, Milano, Feltrinelli, 1971, p. 76. ' Per il concetto di borghesia marginale vedi P. Braghin, E. Mingione, P. Trivellato, Per una anausi della struttura di classe dell'italia contemporanea, in « La critica sociologica », n. 30, 1974— pp. 70-110. 23 p SYLOs LaINI, op. cit., p. 83. 21
li cratica caratterizzata da profonde rifor me sociali non diverse, almeno negli aspetti essenziali, da quelle introdotte in Inghilterra subito dopo la fine della guerra ». È da vedere però quanto sia realistica un'immagine del capitalismo italiano come anomalo e tarato e, all'opposto, quanto sia fondata la fiducia nella possibilità di una sua razionalizzazione; si tratta cioè di eliminare dall'assetto economico-politico italiano gli aspetti « malsani)) di cui parla anche Berlinguer nella relazione al quattordicesimo Congresso del PCI, oppure si è di fronte alle caratteristiche proprie della « maturità precoce» del capitalismo che contengono in sé processi di emarginazione e di distorsione da sviluppo e da sottosviluppo contemporaneamente? In altri termini, il fenomeno di concentrazione del capitale che avanza attraverso il rafforzamento del settore pubblico dell'economia, attraverso fusioni e penetrazioni del capitale straniero, portando con sé l'indebolimento del capitale privato, ha come conseguenza fra le altre quella di intensificare la crescita della borghesia finanziaria correlata in modo diretto con l'apparato dell'alta burocrazia e di portare con sé perciò il pericolo di una saldatura tra borghesia finanziaria e speculativa e media borghesia burocratica. Di questo avviso è ad esempio Galli 24, che (negando la possibilità di un consolidamento dell'alleanza tra ceti medi conservatori e settore industriale e in disaccordo con l'analisi di coloro che, come sopra si è accennato, vedono in ciò il freno posto ai tentativi di riforme razionalizzanti che sarebbero invece nell'inteteresse e nel progetto della borghesia industriale) evidenzia la realtà e i caratteri della saldatura tra le alte componenti della speculazione e quelle burocratiche, non legate alle imprese e all'apparato produttivo in genere, ma dedite ad attività speculative e personificazioni di una rendita derivante dal controllo di posizioni chiave nell'apparato amministrativo (è il caso degli alti burocra-
ti) e creditizio (gli alti funzionari delle banche e le banche centrali come capitalista collettivo) degli enti pubblici. Da tale analisi viene postulata la forma. zione di un blocco storico (espressione di esso sarebbero per intenderci la DC e la Montedison) in cui il potere politico. si intreccia col potere economico pubblico, riducendo da una parte quello operaio, dall'altra quello dei « capitalisti classici» e dei ceti medi tradizionali. Occorre però chiarire e Libertini 25 lo evidenzia, chi siano questi capitalisti classici emarginati dal nuovo blocco storico e se stessi, intesi come gestori di imprese private operanti in un'economia di mercato non sovvenzionate e non infeudate al potere statale, possano definirsi correttamente « classici ». Pur essendo vero infatti che Agnelli e la Fiat rappresentano una realtà diversa rispetto a quella di Cefis e della Montedison perché nel primo caso ci troviamo davanti all'espressione di una realtà produttiva, nel secondo, invece, dinanzi ad una forma di parassitismo economico. soccorso nei fallimenti e nei naufragi dalle sovvenzioni pubbliche e dalla connivenza della burocrazia, tuttavia, come osserva Libertini, il nodo sta nel cogliere la tendenza generale che è quella della statizzazione della produzione capitalistica, in una parola del capitalismc> monopolistico di stato (i cui caratteri si accentuano e si esasperano) come conditio sine qua non, in mezzo a contraddizioni così acute, per la riproduzione allargata del capitale. Tutto ciò ha fra l'altro come conseguenza che l'area occupata dal ceto medio, vaso di coccio tra vasi di bronzo, ceda alle peggiori istanze corporative e si radicalizzi in senso. reazionario (sono questi i pericoli di una svolta a destra e apertamente neofascista di cui parla Sylos Labini, profilatasi in modo minaccioso come possibilità di un blocco reazionario piccoloborghese ad esempio durante i «cento. giorni» di Reggio Calabria), mentre almeno in parte la componente nuova di
G. Gu.u, Dal bipartitismo imperfetto alla possibile alternativa, Bologna, Il Mulino, 1975. G. GAlLI-A. NANnnx, Il capitalismo assistenziale, Milano, Sugar, 1976.
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> L. LmuTINI,
Trasformazioni nei ceti medi, in « L'unità », 15-6-1974.
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9 tale ceto sarebbe strutturalmente meno lontana dalla classe operaia di quanto non lo sia quella vecchia. Detto ciò, considerate le cause della crisi economica e politica in atto, ci si de•ve chiedere se sia giusto ipotizzare un superamento della « arretratezza distor-. ta », quale è stata analizzata in riferimento alla fase capitalistica che il nostro paese attraversa, fidando nelle capacità razionalizzatrici e pianificatrici almeno di alcuni settori del capitalismo stesso; se cioè ci si trovi in presenza delle contraddizioni proprie di un mo-do di produzione castrato nel suo sviiuppc da residui precapitalistici, ma non Ziunto ad una « maturità precoce » e quindi ancora in grado di dar luogo ad uno sviluppo esente da macroscopiche distorsioni. È ad esempio possibile un ruolo trainante dei settori più avanzati e produttivi della borghesia ed una sorta .di fronte comune capitale industrialeproletariato (in un certo senso eco del blocco costituitosi nel periodo giolittiano) per una lotta contro la rendita e un impulso alle riforme? Da parte della sinistra storica identificato nella distribuzione sperequata del reddito, nell'alto numero di forze di lavoro non attive e nell'esiguità della base produttiva l'aspetto patologico fon•damentale della struttura sociale italiana «... profondamente distorta e per certi versi mostruosa ... )) come la definisce Chiaromonte, si auspica un nuovo tipo di sviluppo democratico avanzato in cui abbiano spazio forme di profitto capitalistico, pur nel quadro di un generale controllo sulla politica di investimenti dei grandi gruppi industriali privati e pubblici 26, al fine di correggere in qualche modo la struttura so-ciale di un paese dove «... esistono e si aggravano le questioni meridionale e agrana, dove nonostante l'elevato pro-gresso della scolarità esiste ancora un'altissima percentuale di semianalfabeti, dove accanto a industrie moderne, grandi e piccole, esistono ancora imprese inef ficienti... ». n
Ora la nuova tappa della rivoluzione democratica antifascista, suscettibile di introdurre alcuni elementi di socialismo, teorizzata dal PCI è per certi versi affine a quella che Sylos indica come « rivoluzione democratica caratterizzata da profonde riforme sociali » in cui parte importante verrebbe ad avere lo strato più progressista della grande borghesia. La strategia del padronato illuminato, gli Agnelli per intenderci, consisterebbe cioè nello sforzo di assicurarsi l'egemonia sul settore industriale privato (piccole e medie imprese), contenendo l'espansione delle imprese controllate dallo Stato pericolosamente concorrenziali (anche rispetto ad un terreno internazionale su cui la Fiat ha importanti interessi) grazie ai fondi di dotazione e alla maggiore facilità di ottenere crediti, assicurandosi per altro l'alleanza con alcuni settori moderni del proletariato industriale e della piccola borghesia attraverso l'attacco alla rendita (soprattutto nel settore commerciale ed edilizio) e attraverso una spinta alla modernizzazione di alcuni settori della Pubblica Amministrazione. A considerare con molta attenzione e interesse tale strategia, Sylos Labini richiama le forze di sinistra; queste ultime, lo si riscontra come abbiamo sopra accennato in alcune analisi ufficiali, arrivano anche a parlare di « concessioni)) al profitto, ma non possono trascurare il fatto che l'intreccio tra le posizioni di rendita parassitaria e le forme moderne di capitalismo avanzato è strettissimo e che « il movimento per le riforme non può non lavorare almeno per la neutralizzazione di una parte di ceto medio che gode di piccole posizioni di rendita, sia pur miserabili,' nelle città e nelle campagne ». Nè è da dimenticare che la Democrazia Cristiana, pur restando un grande partito di massa, continua ad essere l'interprete fedele dei gruppi finanziari e industriali e in una parola il gestore del capitalismo monopolistico di Stato. È necessario insomma cogliere la por-
G. CHSAROMONTE, La crisi italiana, in « Critica marxista », n. 3-4. 1973, p. 14; cfr. anche G. Cinaromonte, Una quasi classe tra borghesi e proletari, in « Rinascita », n. 50-51, p. 8.
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lo tata reale di fenomeni quali il parassitismo e lo spreco individuando la loro precisa funzione nel contesto sociale, mettendo in evidenza la funzionalità rispetto al capitale monopolistico della presenza di forme di rendita fondiaria, di parassitismo burocratico e di settori deboli e poco competitivi; bisogna perciò non dare troppa fiducia al possibile ruolo progressista della borghesia industriale e d'altra parte non sottovalutare il capitale finanziario, che pure porta con sé « stagnazione e imputridimento o'. Il rischio altrimenti è quello di incorrere in indicazioni generiche ed idealiste e in una visione schematizzata della lotta di classe diventata concorrenza di ceti, « grande tiro alla fune» tra partiti di destra (grande e media borghesia) e partiti di sinistra (classe operaia) per la conquista della « desolata palude» dei ceti medi nel tentativo di evitare la loro saldatura con la borghesia finanziaria. Come nota Pezzino 27 infatti, il pericolo è quello di far scadere il discorso in una sorta di pessimismo moralistico (ci riferiamo soprattutto all'analisi di Sylos, in particolare al suo richiamo all'abilità mediatrice dei politici o alla necessità di escogitare un sistema per assicurare una maggiore rappresentanza di operai negli apparati di partito dominati da funzionari piccolo-borghesi), in cui gli strali contro la borghesia di stato, moderna « razza padrona ,> 28 , S i incrociano con quelli diretti ai partiti di sinistra e ai sindacati accusati di indulgenza verso il corporativismo dei ceti medi o ancora ai gruppi della nuova sinistra ridotti ad avventuristi piccolo-borghesi; in un contesto sociale in cui intellettuali e tecnici, gli strati più robusti della piccola borghesia, non sono ancora abbastanza forti per sostenere gli sforzi di lungo periodo che la situazione richiede. E in questo quadro, afferma Procacci 29,
le ombre si affollano più numerose delle luci dando l'impressione che tutti, dagli industriali ai sindacati, siano affetti da miopìa politica. In realtà l'analisi è minata da una specie di sfiducia nella classe operaia, di cui Sylos sembra sottovalutare il peso politico e le capacità egemoniche nella misura in cui è preoccupato di evidenziare soprattutto l'avanzata della piccola borghesia, dato certamente macroscopico che tuttavia non deve condurre a trascurare la crescita dell'influenza sociale e politica della classe operaia e il salto qualitativo' presente nel mutamento della sua composizione organica (come rapportò tra salariati dell'industria e salariati dell'agricoltura) che supera d'importanza qualsiasi giudizio sulla portata del suo incremento numerico. Alcuni ad ,esempio, tra cui lo stesso Procacci, sostengono a proposito che possono riscontrarsi analogie tra ciò che è avvenuto in Italia in questi ultimi anni e ciò che avvenne negli Stati Uniti durante il New Deal, quando cioè ci fu da parte dei sindacati la conqùista del ruolo di interlocutori permanenti del governo «... con la differenza però, e sostanziale, che ciò in Italia è avvenuto sulla base di una linea di. classe e senza rinunciare agli orientamenti ideali 'storici' del movimento' operaio e socialista » 30, cosa cui del resto anche Sylos Labini fa un fuggevole riferimento quando afferma che la classe operaia, pur essendo una classe subalterna, lo è in misura decrescente mostrandosi anzi in ascesa sia politicamente che economicamente. Concludendo possiamo quindi affermare che la crisi che attraversa il nostro paese sembra essere ormai diventata cronica; dentro essa la conquista di un ruolo' egemonico da parte delle classi subalterne non è utopistico, ma certamente arduo soprattutto per la presenza di uno
' P. PEZZINO, Sviluppo capitalistico e classi sociali: note per un dibattito, in « Italia contemporanea », n. 120, 1975, pp. 65-83. 29 E. SCALFARI - G. TURANI, Razza padrona, Milano, Feltrinelli, 1974. 29 G. PROCACCI, Classe operaia e piccola borghesia, in « L'unità », 9-11-1974. Cfr. anche l'intervento in risposta di Sylos .Labini e la replica di Procacci su « L'unità », 29-11-74. 31 G. PROCACCI, Op. cit.
11 schieramento di classe avverso che, seppur attraversato da contraddizioni al suo interno, tuttavia riesce a mantenere ancora salde delle posizioni chiave di potere. In questo contesto possiamo affermare con Tronti che ci troviamo di fronte ad una crisi che è prima di tutto politica, pur portando con sé gravi conseguenze economiche e che è ormai diventata una condizione strutturale del modo di produzione capitalista «... è cambiato in realtà il rapporto di forza tra sviluppo e crisi. Nel senso che lo sviluppo è diventato ciclico e interviene a scandire i punti di svolta di questo procedere quotidiano della crisi capitalistica... Lo sviluppo capitalistico è diventato sviluppo della crisi capitalistica. Il che esclude la prospettiva del crollo e porta al contrario in quello stato di necessità che consiste nel dover vivere con la crisi, cioè per noi nel dover organizzare la lotta di classe ormai sempre in presenza della crisi capitalistica Vince tra i contrapposti schieramenti di classe quello che sa domare il Leviatano della crisi. Senza uccidere il mostro. Cioè senza l'illusione di un ritorno alla stabilizzazione capitalistica... » 31 . Sebbene sia stato tratteggiato per grosse linee, tuttavia tenere conto di questo quadro politico-sociale che fa da sfondo alla struttura di classe presente oggi in Italia è importante per poter individuare le caratteristiche e le possibili disaggregazioni dei vari raggruppamenti, i mutamenti nella loro composizione interna e il loro diverso atteggiarsi nei confronti di una realtà profondamente disomogenea, in una parola per poter tentare un'interpretazione dinamica del mutamento.
» M.
TRONTI,
PRIMA META' DEGLI ANNI '60: IL DIBATTITO SI COAGULA INTORNO AL PROBLEMA DEL POTERE..
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Per tutti gli anni '60 le analisi portate avanti in Italia sul tema delle classi sociali sono influenzate soprattutto dalla opera di Dahrendorf e, per certi versi, da quella di Ossowski 1, quest'ultima nel senso che fornisce un punto di riferimento per una ricostruzione sistematica delle principali elaborazioni sulla struttura sociale. Ma è Dahrendorf in particolare che canalizza gli studi di questo periodo sul tema del potere come elemento da cui non si può prescindere nel tentativo di fornire una spiegazione analitica dei rapporti di classe. Ricordiamo a questo proposito, tra gli altri, l'introduzione di Pizzorno a Classi e conflitti di classe nella società industriale, il saggio dello stesso Pizzorno nella Antologia di Scienze sociali, tutto il dibattito che impegna per vari numeri la rivista « Tempi moderni» e un saggio di Pagani 2, come le dimostrazioni più importanti dello sforzo di fornire un'analisi della natura dei rapporti di disuguaglianza che considera il fenomeno del potere in modo specifico. « ... Solo se conveniamo che i rapporti sociali più importanti per capire il meccanismo della divisione in classi sono essenzialmente rapporti di potere si afferma - riusciremo a superare quella visione assolutamente inadeguata e meccanicistica della società la quale sarebbe divisa in classi come una scala è divisa in gra. dini o in gruppi di gradini... » 3. Ciò nel senso che i classici criteri di gradazione, quali il reddito, l'occupazione, il prestigio, fino ad ora utilizzati nelle varie analisi sociologiche, sono utili per fornire un
New Deal: i cento giorni di Roosevelt, in « Rinascita », n. 24, 1976.
R. Duznooiu', Classi e conflitto di classe nella società industriale, Laterza, Bari 1963 e S. OssowsKl, Struttura di classe e coscienza sociale, Einaudi, Torino 1966. 2 A. PIzzoRNo, Le organizzazioni, il potere e i conflitti di classe, introduzione a R. Dahrendorf, op. cit.; « Le classi sociali » in Antologia di scienze sociali a cura di A. Pagani, voi. I, Teoria e ricerca, Il Mulino, Bologna 1960; Classi, strutture sociali, potere, tavola rotonda in « Tempi moderni », nn. 14, 15, 16, 1964; A. PAGANI, La stratificazione e la mobilità sociale, in Introduzione alla ricerca sociologica, di Carbonaro, Pagani, Brambilla, La Nuova Italia, Firenze, 1958. A. Pizzoie.o, Le classi sociali, cit.
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12 quadro degli « aggregati, statistici » presenti in un assetto sociale, cioè di quelle che Pizzorno definisce classi « nel senso logico» del termine (insieme di oggetti che possiedono tutti e solo essi una o più caratteristiche comuni), ma non sufficienti a comprendere la natura dei rapporti disuguali che vengono ad intercorrere fra i gruppi stessi. È quindi l'esercizio del controllo esercitato da un gruppo o da una classe su un'altra, considerato come esercizio del potere sociale, l'elemento in base al quale le « disuguaglianze di posizione» si strutturano nei rapporti sociali, l'elemento insomma che viene considerato in questo periodo come specificamente fondamentale. Si passa cioè da un'analisi dei rapporti sociali di carattere espositivo-sistematico ad un tentativo di superare tale stadio per coagulare la spiegazione delle disuguaglianze, e soprattutto delle trasformazioni e degli effetti di esse nei rapporti sociali, proprio perché si considera che la struttura di classe di una società dipende dalla esistenza dell'elemento <cpotere» e dalle varie connotazioni che esso assume nelle relazioni tra i gruppi sociali. In altri termini si riprende la teorizzazione marxiana alla luce di alcune elaborazioni successive, in particolare appunto quella di Dahrendorf, per considerare in modo non esclusivo l'elemento « rapporto di produzione »; se è vero cioè che il potere economico (ci riferiamo soprattutto ai paesi di avanzata industrializzazione e all'Italia in particolare) si pone come fonte di gran parte delle altre situazioni di potere, c'è da evidenziare tuttavia che i rapporti sociali ineguali si strutturano nel. l'intreccio e nell'interdipendenza di variabili quali l'organizzazione economica, il prestigio e il potere in senso stretto (considerandolo non solo nell'aspetto formale culminante ad esempio nelle gerarchie delle istituzioni statali, ma anche in quello informale, non ufficiale ma condizionante, esplicantesi in situazioni di pressione, d'influenza e di decisione indiretta). Ciò che si vuole cogliere è l'aspetto sintetico di tale realtà per dare conto di alcu•
ne tendenze in atto nelle società contemporanee definite come «società burocra tiche »: si evidenzia, ad esempio da parte di Pizzorno, la cosiddetta propensione alla salarizzazione e, parallelamente, alla gerarchizzazione nel senso che l'organizzazione produttiva tende a trasformare tutti i suoi membri in « dipendenti », impostando i rapporti funzionali tra essi come rapporti gerarchici ed esercitando «un effetto modellante» sulla società nel suo complesso. In conclusione, in queste analisi il concetto di status si identifica con quello di rank (cioè posizione relativa ad un determinato sistema gerarchico) fondato essenzialmente sul successo nella esperienza lavorativa (condizione professionale). Fenomeni peculiari come l'influenza statale a livello economico e il passaggio da una fase concorrenziale del capitalismo ad una fase oligopolistica, costituiscono elementi di novità rispetto alla situazione analizzata precedentemente sulla scia dei testi marxiani in cui i rapporti di potere venivano assunti essenzialmente come rapporti di produzione, fondamento di tutta una serie di condizioni negative esistenti nella società civile (in particolare nel mondo della produzione: sfruttamento, alienazione, estraneità dai mezzi di produzione e dal prodotto del lavoro). Per Marx la distribuzione del surplus e quindi del potere è possibile sulla base del lavoro diviso che permette appunto sia la produzione di tale surplus che la sua appropriazione disuguale 4, per cui nelle disuguaglianze che si creano a livello della struttura produttiva si pone la chiave interpretativa di tutte le altre disuguaglianze, ipotizzando una sostanziale congruenza dei sistemi di stratificazione a partire dalla posizione nella struttura produttiva e nel livello storicamente determinato del. la divisione del lavoro. Ora, invece, si porta avanti un'analisi sulla natura dei conflitti presenti nelle società industriali avanzate di tipo pluralistico, soprattutto dopo il 1945, disancorandola almeno parzialmente da quella che Marx considerava « la radice ultima
L'analisi è rintracciabile in alcuni passi de I manoscritti, de L'ideologia tedesca e in particolare del Capitale, libro I, pp. 392-401.
'3. dei conflitti », anche se resta fondamentale la distinzione tra chi possiede e controlla i mezzi 'di produzione e chi ditale possesso e controllo è privo. Gli studi di questa prima metà degli anni '60 5 metto no in luce cioè l'influenza reciproca della società civile e della società politica nelle loro modificazioni: il carattere fondamentalmente contrattuale della società civile entrerebbe in conflitto con quello essenzialmente gerarchico della società politica, comportando una tendenziale convergenza delle due, <c.. lo stato - si afferma - tende a diventare un oligopolio e gli oligopoli tendono a diventare dei piccoli stati... ». In tale contesto come chiave interpretativa del carattere « misto » dello schema si fa ricorso al modello burocratico combinato con quello di « gruppo privato » o di « gruppo di appartenenza » (famiglia, partito ecc.), quest'ultimo darebbe ragione della determinazione dei fini all'interno delle strutture regolate al loro interno da rapporti di autorità. Il quadro, però, è solo apparentemente coerente, in realtà si possono muovere alcune obiezioni che Spreafico 6 ad esempio così sintetizza: 1) è difficile sostenere che Marx non concepisse il conflitto di classe entro un quadro statale, 2) è problematica l'applicazione dello schema di «gruppo privato » allo stato nazionale dove si collocano questi gruppi privati esterni allo Stato e donde ricavano i fini che essi assegnano allo stato stesso?... Risulta invece utile la distinzione relativa al potere politico e al potere economico e l'analisi della interdipendenza e dell'intreccio di essi nel senso che il potere po( c - - .
litico della borghesia imprenditoriale anche se non è istituzionalizzato influenza sempre più la società nel suo complesso (la proprietà e il controllo oggi hanno caratteristiche e conseguenze ben diverse rispetto alle vecchie forme di ricchezza tradizionale) e d'altra parte, « i dirigenti dello stato>' tentano in modo sempre più marcato di rendere effettuale la valenza economica del loro potere (basta pensare àd alcuni esempi di intervento pubblico nell'economia e, per altri versi, anche all'accentuarsi del potere repressivo della polizia e dei ser vizi segreti rispetto ai poteri classici dello Stato): la tipologia dei conflitti che deriva rende quindi lo schema interpretativo più complesso di quello usato da Marx e anzi da parte di alcuni si osserva come i conflitti di natura sindacale, espressione peculiare della contraddizione fondamentale di classe in senso marxiano, spesso non producano tensioni altrettanto acute e si ricordano, ad esempio, per il caso italiano, la gravità assunta dall'attentato del luglio 1948 e dalle contraddizioni interne allo schieramento democristiano con Dossetti nel 1951 e con Fanfani nel 1959 fino ad arrivare àlla crisi del Governo Tambroni. Onofri desume da ciò che qualsiasi struttura di potere, comunque caratterizzata in base alla funzione svolta rispetto alla divisione del lavoro (tecnologico-so ciale), tende sempre ad esercitare più forme di potere, costituendo « un sistema unico anche se 'divisibile >', nel tentativo appunto di riprodurre quell'unità di potere che la divisione del lavoro ha
F. Bsnao, Sociologia della politica, Giuffrè, Milano 1961; G. PoGGI, Alcune riflessioni su « Le organizzazioni, il potere e i conflitti di classe » di A. Pizzorno, in « Quaderni di sociologia «, n. 2 aprile-giugno 1963; AA. VV., Sociologia e centri di potere in Italia, Atti del Convegno di Ancona 4-5-11-1961, Laterza, Bari 1962. 6 A. Sparnco, Classi, strutture sociali potere, in « Tempi moderni », n. 15, 1964. Galli parla a proposito di <dirigenti d'impresa e dirigenti dello Stato », sostenendo che alla bipartizione marxiana proprietari-non proprietari dei, mezzi di produzione si debba sostituire la tripartizione di Mills: potere economico-politico-militare. Wright-MiIIs osserva, riferendosi in particolare alla società americana, ma il discorso può essere generalizzato, che mentre la base è sgretolata e i « livelli medi del potere sono una compagine di forza alla deriva », al vertice della società « si sta attuando un processo di unificazione sempre più compatta - . . » con un allargamento strutturale di burocratizzazione e di concentrazione del potere. decisionale, «... in ognuna di queste branche istituzionali sono cresciuti enormemente gli strumenti a disposizione di coloro cui spetta decidere, si è rafforzato in ognuno il potere esecutivo centrale, si è sviluppata e complicata nel loro ambito tutta una rigida trafila burocratica ». C. Wright-Mills, La élite del potere, Feltrinelli, Milano 1959, p. 341.
14 apparentemente spezzettato 8: oggi, ad esempio, si può verificare ampiamente come l'impresa eserciti contemporaneamente un potere tecnologico, un potere sul mercato del lavoro, un potere sul mercato dei capitali e degli investimenti e sulle forme di consumo, un potere infine nei confronti dello Stato e dell'opinione pubblica in generale. Ci sembra però che se porre il discorso in termini di potere e di relazioni di potere è metodologicamente corretto per un'applicazione dell'analisi marxiana alla società italiana contemporanea, nell'attuale stato dei rapporti di produzione, tuttavia ridurre la complessa fenomenologia dei rapporti sociali ad un unico tipo di rapporti di potere-autorità 9 risulta senza dubbio una forzatura. Ed è un po' questo il limite del dibattito che vede impegnati soprattutto sociologi e politologi nella prima metà degli anni sessanta; l'analisi più che sulla struttura di classe verte sulla strutturazione dei rapporti di potere, trascurando peraltro le variabili che rappresentano le condizioni esterne all'azione di potere. Marletti ad esempio sostiene che non è possibile definire il potere come concetto « a somma zero » in assoluto, in quanto si può verificare l'esistenza di un altro tipo di potere, viene citato il caso della scienza e della tecnica, che si esercita nei confronti di condizioni naturali e materiali esterne alle strutture stesse per cui « ... occorre costruire uno schema concettuale che consideri i numerosi casi in cui l'esercizio del potere rimanda a condizioni esterne, o, in altri termini i casi in cui il potere a somma zero è una variabile dipendente rispetto al secondo tipo di potere... Altra obiezione si può avanzare rispetto ad una definizione precisa di «clas-
se sociale » nel senso che se tutti i rapporti di disuguaglianza sono rapporti di potere e se tutti gli individui aventi lo stesso potere costituiscono una « classe di potere » 10, è pur vero che l'appartenenza alla classe di potere non coincide necessariamente con quella ad altre classi; così come non tutte le azioni tendenti a modificare la strutturazione dei rapporti di ineguaglianza, cioè di superiorità o di subordinazione nei rapporti sociali, possono essere considerate come azioni di classe 11• Rimane comunque l'importanza del tentativo di analisi delle élites (ruling classes) e della giustificazione di esse, nella ripresa di interrogativi fondamentali sulla coercizione e sul consenso ai valori e sui rapporti Stato-società civile; il quesito, osserva Pizzorno, riguarda l'origine conflittuale delle trasformazioni sociali: è tale origine di natura politica o di natura economica? Si assiste a fenomeni per certi versi nuovi di intreccio del politico con l'economico? Il sorgere di sistemi economici nazionali o sovranazionali che si contrappongono, l'affermarsi della « categoria teorica» del reddito nazionale, assumendo le variazioni di esso come indice di efficienza del sistema e come finalità politica, il sorgere delle varie forme di politiche economiche sono alcune delle caratteristiche proprie di una certa fase dello sviluppo delle forze produttive che modificano, secondo Pizzorno, il quadro di riferimento dell'analisi. Come abbiamo già notato, però, per questa via, almeno nel periodo di tempo considerato (cioè la prima metà degli anni sessanta) si giunge soprattutto ad un discorso sui ruoli, mentre resta la difficoltà di spiegare il passaggio da tale categoria a quella delle classi, considerate come «gruppi concreti che si con-
Il taylorismo rappresenterebbe grosso mòdo, per il ceto imprenditoriale, l'esempio della conquista di tale consapevolezza. Cfr. Classi, strutture sociali, potere, in « Tempi moderni », n. 4, 1963 e F. FEmAmrrI, Il prezzo del benessere. Appunti sulla crescita del taylorismo, in « Tempo presente », n. 8, 1963, pp. 33-37. ° Il potere come rapporto tra una struttura e l'altra o tra una struttura e singoli individui; lautorità, e reciprocamente la subordinazione, come rapporto all'interno di una determinata struttura. '< S. M. Ln'sEr-H. L. ZETTERBERG. Una teoria della mobilità sociale, in Classe, potere status: La mobilità sociale, a cura di R. Bendix - S. M. Lipset, Marsilio, Padova, 1972. Il F. ONorai, Il potere e le classi, in « Cultura moderna », n. 2, 1963.
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15 trappongono con finalità consapevoli ». Ciò non significa naturalmente che il tema della strutturazione del potere esaurisca le elaborazioni di questa fase degli studi, diciamo però che la caratterizia in modo notevole tanto è vero che per trovare un contributo a più ampio respiro che tenga conto di uno schema tridimensionale (ricchezza o reddito, prestigio o valutazione sociale, potere o controllo) e lo applichi sotto un profilo dinamico alla struttura di classe italiana, occorre riferirsi alla fine degli anni sessanta e in particolare all'analisi. di Gailino 12 LE PRIME INDAGINI ANALITICHE il periodo intorno al 1968 è stato, come nota anche Barbano 1, il turning point degli studi e delle ricerche sulle classi sociali. Dalle analisi sulle classi come formazioni economico-sociali e da quelle su alcuni aspetti della stratificazione (es. il potere), si passa ora ai problemi di « determinazione oggettiva » nel tentativo di portare il discorso sulle differenziazioni sociali strutturate e istituzionalizzate, sul mercato del lavoro e su una serie di indicatori oggettivi e dinamiCi in base ai quali esaminare la composizione e ricomposizione di classe. L'orientamento che ne risulta è più «euristico ed operativo» che in passato; infatti anche in analisi apparentemente di vecchio tipo come quelle sulle varie rappresentazioni che costituiscono il riflesso di un dato sistema classista nella coscienza sociale, ora si trovano aspetti nuovi. Pagani, per esempio, cerca di applicare questo schema interpretativo allo
studio di una situazione concreta, cioè quella dell'Italia contemporanea 2; e, da un « ... interesse intellettuale per una ricerca di questo tipo, posto in margine alla lettura di Stanislaw Ossowski, Struttura di classe e coscienza sociale... », si prende occasione, ricorrendo a strumenti di ricerca empirica, per ricostruire il campo sociale entro cui l'individuo, autoidentificandosi, si colloca. In tal modo gli spunti presenti nell'opera di Ossowski vengono sviluppati rendendo empiricamente operanti le distinzioni da essa introdotte tra le concezioni fondamentali, quella dicotomica, quella di gradazione e quella funzionale 3 e giungendo alla compilazione di tabelle, in cui si cerca una corrispondenza tra autoidentificazione di classe e livelli di disugua. glianza (cioè tra la collocazione che il soggetto dà di se stesso e quella che gli si può attribuire sulla base di altri indicatori), articolate in: classe superiore, classe media (e impiegatizia), classe lavoratrice (e operaia), classe dei poveri. Si viene così a distinguere tra coloro che hanno una concezione dicotomica della realtà di classe, postulante l'esistenza di rapporti sociali antagonisti e coloro che invece percepiscono un numero su. periore di classi, secondo uno schema di gradazione (articolato sulle dimensioni o sul grado della disuguaglianza) o di funzionalità (articolato sulla differenziazione in base alla funzione svolta nell'assetto sociale). L'indice di classismo elaborato permette di considerare un gruppo tanto « più classista » quanto minore sarà in media il numero delle classi sociali individuate, conformemente alle conclusioni di Ossowski che intravede nelle classi
L. GALLINO, L'evoluzione della struttura di classe in Italia, in « Quaderni di sociologia », n. 2, 1970. F. .BARBANO, Classi e struttura di classe in Italia. Studi e ricerche 1955-1975, Editoriale Valentino, Torino 1976. Cfr. anche per le pagine che seguono F. BARBANO, La sociologia della scienza in Italia: situazione e problemi, in « Sociologia », n. 2, 1973, pp. 5-40; per una esauriente bibliografia in merito F. BARau-4o, Regioni autori e anni della sociologia. Saggio bibliografico, in AA. VV., Questioni di sociologia, voi. Il, La Scuola Editrice, Brescia. 2 A. PAGAin, L'immagine della struttura di classe, nella popolazione italiana, Appendice a ImmaLine della società e coscienza di classe, a curadi M. Paci, Marsilio, Padova 1973, p .203. Cfr. anche A. PAGANI, Classi e dinamica sociale. Primi risultati di una indagine campionaria in pro-vincia di Milano, Centro nazionale di prevenzione e difesa sociale, Milano 1960. S. OssowsKI, Struttura di classe e coscienza sociale, -Einaudi, Torino 1966. 1
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16 superiori una rappresentazione della sivo ad uno Stato, costituito da quattro livelli: 1) sistema sociale (con un sotstruttura sociale tendenzialmente più ottimistica e legittimante l'esistenza di tosistema economico, politico e di padisuglianze sociali viste in potenziale rentela); 2) cultura (i cui modelli son& in un rapporto di causa-effetto rispetdinamico appiattimento. to al sistema sociale); 3) insieme di strutNaturalmente, però, lo spazio all'arbitrarietà in un'operazione di questo tipo è ture di personalità di base (frutto dell'interazione tra sistema sociale e culnotevole, in quanto la coerenza tra nomenclatura soggettiva e nomenclatura ogtura); 4) sistema ecologico (comprensigettiva, e cioè tra il punto di vista vo di un aspetto demografico, genetico dei soggetti e la realtà dinamica viee territoriale). ne raggiunta solo in parte. Più preci- La necessità di analizzare le collettività. come caratterizzate non solo dal modo di sa anche se discutibile per altri versi, ci sembra la nomenclatura cui dà luogo produzione, ma anche dalla sovrastruttuil modello di Gallin0 4 che evidenzià un ra che corrisponde loro e quindi di precisare il livello generale ed astratto in criterio di distinzione delle classi sociali strettamente connesso ad un'analisi del- cui ci si colloca quando si isolano le forme di produzione per esaminarle teolo sviluppo economico in una società proricamente, è avvertita per esempio da fondamente disomogenea e mista coPoulantzas. Egli afferma che una socieme è quella italiana. tà concreta considerata in un momento Dall'insoddisfazione per i contributi sodato (cioè in altre parole una formaziociologici su aspetti pur fondamentali del problema «... come la distribuzio- ne economico-sociale) è composta apne dei compensi sociali, i modelli locali punto da modi e forme di produzione che coesistono in modo combinato e che di stratificazione, i mutamenti di mentalità e di stile di vita della classe opeda essa bisogna partire per rendere conraia, l'influenza delle classi sul compor- to della reale articolazione in classi, «... se ci si attiene ai soli modi di tamento individuale, le immagini delle classi presenti in diversi gruppi di per- produzione esaminati in modo 'puro' e 'astratto', ogni modo di produzione sone ... » e da una critica alle impostazioni di Lenski, Runciman e Dahrendorf comporta due classi: la classe sfruttatrice, politicamente e ideologicamente do(qùest'ultimo imputato di appiattire la minante e la classe sfruttata politicastruttura di classe eliminandone le vamente e ideologicamente dominata... riàzioni sia su un asse verticale che in realtà però una società concc... orizzontale), Gallino trae l'esigenza di creta, una formazione sociale, compor uno studio sull'evoluzione diacronica delta più di due classi. . » . Ed è quele classi attraverso le diverse formazioni sociali. Proprio perché le società eusto il discorso cui bisogna tenere conto per rendere ragione dei raggrupparopee risultano miste o « composte », il loro modello di mutamento strutturale menti intermedi presenti nelle società. capitalistiche. nelle loro recenti trasforè « irregolare e va ricostruito attraverso mazioni, senza ricorrere a facili schemai successivi stadi dello sviluppo. tizzazioni polarizzate e senza rendere Ci sembra fondamentale nell!analisi di Gallino il concetto di formazione sociale, meccanica l'analisi sui processi di prointeso 'nel senso di cc sistema' societario letarizzazione. Esistono cioè degli straorganico », non necessariamente coestenti intermedi, secondo noi non specifi-
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L. GALLIMO, L'evoluzione della struttura di classe in italia cit.; cfr. anche L. GALUN0, Personalità e industrializzazione, Torino, 1968; L. GALLINO, La struttura di classe nell'italia contemporanea, Torino, C.L.U.T. 1970 e L. GAIÌINO, Note per una sociologia sistematica dello sviluppo economico, in indagini di sociologia economica, Milano 1962. N. POULANTZAS, Le classi sociali in N. PouIÀNTzAs- F. H. CAiwoso, Sul concetto di classe, Feltrinelli, Milano 1974, p.. 18; cfr. anche N. •PouIÀnrzAs, Breves remarques sur l'object du Capital, pubblicato in Italia in AA.VV., Cent'anni dopo il Capitale, Samonà e Savelli, Roma 1970 e L. ALTHUSSERE. BALIBAR-P. MAcianY, Lire le Capital, Maspero, Paris 1965.
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lT camente « classi » e soprattutto non classe terza forza », come sono state definite, proprio perché estremamente differenziate e disomogenee al loro intemo, e tali strati si possono individua•re più correttamente utilizzando il concetto di formazione sociale e facendolo funzionare da sfondo per altre distinzioni, quale quella lavoro produttivo-lavoro improduttivo 6, lavoratore produttivo-lavoratore collettivo (il quasi-operaio)lavoratore intermedio (senza un proprio interesse di classe ma raggruppabile, anche se troppo automaticamente secondo alcune analisi, con la classe operaia) 7. Ci sembra però che pur usando una categoria potenzialmente feconda ai fini dell'analisi di classe, Gallino non la utilizzi in pieno per rendere spiegazione di alcuni nuovi fenomeni, interni soprattutto alla dimanica degli strati intermedi; in altri termini ci troviamo di fron:te ad uno studio che inquadra in modo sistematico soprattutto le classi dominanti, lasciando in ombra quelle più o meno subalterne. Ritornando comunque allo schema, in Italia ci troviamo all'interno di una formazione detta «borghese» per il ruolo centrale svolto dalla proprietà e dal controllo dei mezzi di produzione, nella quale assistiamo alla compresenza di uno stadio tradizionale (proprie•tà e produzione agricola), moderno (capitalismo concorrenziale), contemporaneo (capitalismo dirigistico); in essa sono individuabili ben dodici classi (proprietari terrieri, imprenditori indipendenti, classe di servizio, alti dirigenti, politici di professione, funzionari della burocrazia statale, lavoratori industrianon proprietali, lavoratori agricoli ri coltivatori diretti, artigiani, piccoli commercianti, intellettuali e tecnici) di cui vengono seguite le evoluzioni temporali. Come. criterio di collocazione si utiliz'e
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za la funzione svolta nell'organizzazione globale della società: si analizza cioè il contributo delle classi al controllo e/o , alla trasformazione di risorse indispensabili, quali il capitale, la terra, la forza lavoro, le materie prime, le informazioni in breve il ruolo svolto «... nell'organizzazione globale della società e non semplicemente nel settore economico, anche se quest'ultimo concorre in larga misura a determinare il modello generale di organizzazione . ». Le classi così definite si pongono come attori storici il cui agire sociale è motivato dallo. status (reddito, prestigio e potere) e dal-le eventuali incongruenze di esso. I puti-ti di riferimento sono quindi tre, e cioè 1) una definizione del fondamento della classe come categoria oggettiva, indipendentemente dalla coscienza degli attori, ed agganciata al concetto di organiz-zazione globale della società; 2) alcuni indicatori della posizione di classe nella struttura di cui essa fa parte, combi-nati nella triade reddito, prestigio, potere (in Weber classe, status, potere);' 3) una « tavola dei movimenti di azione » cioè delle motivazioni dell'azione di classe rintracciabili nella comparazione di status, nella frustrazione, nello , sfruttamento: per cui gli attori sociali, da una parte cercano di mantenere o di portare allo stesso livello le tre dimen-'sioni, dall'altra acquistano forza e coe-renza nell'azione in correlazione allo sviluppo della coscienza e dell'organizzazio-ne. Il quadro offerto da Gallino cOmunqueci sembra utile come breve storia politico-sociale dell'Italia, attraverso la lente delle stratificazioni principali presenti in essa; ma non ci fornisce un'analisi esauriente della struttura di classe e deì problemi ad essa riferibili nell'attualefase dei rapporti di produzione. Che im-portanza hanno i livelli di reddito? In ~
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E. ALTVATER-F. HuIsmN, Lavoro produttivo e improduttivo, Feltrinelli, Milano 1975. Per una ripresa del concetto .marxiano di e operaio complessivo » e di processo di produ-zione capitalistico preso nel suo complesso come unità dei processi di produzione e di circolazio-ne cfr. E. MANDEL, La classe operaia sotto il capitalismo, in Sviluppo -economico e rivoluzione, De Donato, Bari 1969 e P. H. Swsnzy, Il presente come storia, Einaudi, Torino 1962 in particolarele pp. 132-133. Utile anche su questo aspetto del problema la rassegna di A. ZAv0LI, 'Classi, proletariato e ceti medi in Marx e oggi per la rivoluzione, in « Per la lotta », n. 34-36, 1973. 6
:18 che senso è utile analizzare il modo attraverso cui il reddito si ottiene? quali sono le differenze e i rapporti fondamentali tra i dodici raggruppamenti pre:sentati? Di ogni classe, o meglio di ogni raggruppamento sociale dello schema, noi se. guiamo l'evoluzione attraverso gli stadi tradizionale, moderno e contemporaneo, ma non andiamo molto oltre la « pe.riodizzazione », cioè le formazioni di classe più che indotte da processi di trasformazione appaiono dedotte dalla loro attuale esistenza e consistenza 8 e sembra:no utilizzate appunto più come stru:mento di periodizzazione che come categorie interpretative generali. Tenendo conto di ciò si comprendono come abbiamo già accennato, alcune sfasature e alcune carenze del quadro complessivo, per cui è chiara la dialettica tra 'classi in via di estinzione, classi mature, classi emergenti (in relazione a quanto rimane della formazione sociale tradizionale, a come si è stabilizzata la for mazione moderna e a quanto già si enudea dalla formazione contemporanea), per quel che si riferisce alle classi dominanti, (in successione temporale: gli agrari, gli imprenditori individuali, i dirigenti, che sono tutti impegnati a conservare o a fare emergere la loro società); sfugge completamente, all'opposto, il ruolo giocato dalle classi su•bordinate rispetto al succedersi delle varie formazioni; non è evidenziata l'interazione della lotta di classe con il 'contesto in cui essa si pone, sono assen: ti alcune figure fondamentali per inter pretare i collegamenti fra i vari strati sociali (è il caso degli impiegati, la cui zssenza è notata da Gallino stesso che la giustifica con l'insufficienza metodologica del modello). Più chiara e più utile risulta invece, come si è detto, la ricognizione storica che possiamo sintetizzare nel senso delle mo•dificazioni interne alle classi più antiche, del più alto numero di strati che entra-
no nel contesto, del sorgere di nuove classi come i tecnici e i politici di professione che, unitamente alla classe dei funzionari della burocrazia statale, tenderebbero (ma ciò è opinabile) ad agire in modo sempre più accentuato come « singoli attori » 9. La fase di transizione al capitalismo presentava una struttura sociale molto semplice perché chiaramente dicotomica (proprietari terne-. xi da una parte, lavoratori agricoli e coltivatori diretti dall'altra, con una classe di servizio di professionisti e di burocrati - servizi amministrativi, finanziari e commerciali - con funzioni di mediazione), con caratteristiche ascrittive nella stratificazione tali da impedire forme di mobilità. Lo stadio industriale-concorrenziale introduce nuovi soggetti e cioè gli imprenditori (i più potenti politicamente in questo periodo), i salariati dell'agricoltura e dell'industria (fra i quali vengono inclusi anche i colletti bianchi che non sono dirigenti, tecnici o intellettuali), una classe di servizio di tipo nuovo che viene a costituirsi come il principale tramite tra il fronte imprenditoriale e lo stato ottenendo grande importanza anche a livello legislativo (nel senso che interviene nella elaborazione e nell'interpretazione delle leggi come «commessa'> della classe dominante): in tale stadio si riconoscono possibilità di mobilità sociale, grazie al carattere almeno in parte acquisitivo degli status, i cui compensi sembrano accessibili agli strati intermedi dei commercianti, degli artigiani, dei coltivatori diretti. Infine la fase monopolistica e dirigista del capitalismo, portata avanti da alti dirigenti dell'industria e della finanza: essi, grazie anche all'accresciuto potere delle società per azioni, soppiantano le tradizionali figure degli imprenditori indipendenti e niassorbono in sé, negli staffs aziendali, i membri della vecchia classe di servizio; questi ultimi mantengono il potere solo in quanto abbandonano la professione libera per diventare
.> F. BARBANO, Classi e struttura sociale in Italia. Studi e ricerche 1955-75, Edizioni del Valentino, Torino 1976. S. SCAMUZZI, Sociologia e analisi delle classi, in «Rivista di storia contemporanea », n. 1, 1976.
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19 dirigenti industriali con quote azionarie o, in ogni modo, con una funzione ben precisa all'interno della gerarchia aziendale. In questa fase Gallino parla di « status funzionali », cioè dipendenti dalla posizione nelle organizzazioni lavorative, e di stratificazione sociale con grosso rigonfiamento intermedio, per cui ad esempio ci sarebbe una perdita di privilegio subìta tanto dagli imprenditori indipendenti, quanto dai funzionari della burocrazia statale (il cui strato di reclutamento si sarebbe abbassato rendendo l'estrazione piccolo-borghese). C'è da osservare però, ed è.questa una carenza sintomatica del modello, che, per quanto attiene ai lavoratori dell'industria Gallino si limita ad osservare Ile cresciute dimensioni e le minori differenziazioni interne per la riduzione dei lavori manuali pesanti e per il declino delle mansioni tradizionali a causa dell'impatto di forme di avanzata tecnologia, ma poco dice sui nuovi livelli di organizzazione e di sindacalizzazione di classe, sui processi di proletarizzazione di consistenti fasce sociali (a proposito dei tecnici ci si limita a parlare di « segni di insofferenza », e di elevata incoerenza di status nella posizione di «ter zo litigante », il che affretterebbe il processo di presa di coscienza), per cui risulta un po' fumoso il discorso sulle relazioni e sulle alleanze esistenti e realizzabili tra le classi, o meglio tra gli strati principali. Appare infatti come una forzatura la conclusione per cui «... qualsiasi mutamento viene ad essere subordinato alla posizione che probabilmente sarà assunta all'interno della struttura globale italiana dalle tre classi 'testimoni': i coltivatori diretti, i tecnici e i politici di professione » 10, tanto è vero che, alla fine per tutti e tre i raggruppamenti risultano molto incerte le possibilità di coalizione, l'ideologia di base, le, richieste politiche, in breve le probabilità di schieramento « come classe» contro le classi dominanti e, addirittura,
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non si esclude una possibile alleanza contro le classi lavoratrici. Possiamo comunque affermare che lo studio di Gallino, pur con i limiti cui abbiamo fatto cenno, si è dimostrato utile per indirizzare e sollecitare alcuni contributi successivi che lo hanno sviluppato completandolo ed eliminandone alcune schematizzazioni. Ci riferiamo per esempio ad un lavoro antologico di Pichierri 11, in cui ci sembra che le stesse categorie usate in precedenza (formazione economico-sociale, blocco storico, ecc.) siano rese più operative, fornendo anche indicazioni metodologiche per la ricerca sulle classi sociali. In conclusione quel nesso tra sviluppo della formazione economico-sociale ed evoluzione della struttura di classe viene alla luce per certi versi con maggiore incisività, nell'adozione combinata del criterio marxiano della proprietà e del controllo dei mezzi di produzione e di quello sociologico della funzione svolta nell'organizzazione sociale, che consente di «... precisare le caratteristiche di quei ceti medi che il criterio dicotomico lascia indeterminati ... DINAMICA DELLE CLASSI SOCIALI NEL SAGGIO DI -SYLOS LABINI
Per quanto riguarda lo schema interpretativo utilizzato da Sylos Labini I ci serviremo di una metodologia d'analisi diversa da quella usata precedentemente per gli altri autori; cercheremo cioè di fornire in un primo tempo un quadro generale dei problemi posti da questa «provocazione intellettuale », evidenziando le premesse e le conclusioni di essa, i criteri logici che ne sono alla base e le conseguenze che comportano. In un successivo contributo (di prossima pubblicazione) i termini del dibattito che intorno a questa analisi si è sviluppato saranno approfonditi tagliando trasversalmente lo schema di Sylos, cioè
L. GAnINo, L'evoluzione della struttura di classe in Italia, cit., p. 152. A. Pxcmaiuu, Le classi sociali in Italia. 18704970, Loescher, Torino 1974. P. SYL0s LABINI, Saggio sulle classi sociali, Laterza, Bari 1974.
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20 utilizzando le tre classi enucleate in esso, prese separatamente, come momenti per focalizzare i principali nodi teorici. Non si procederà quindi per autori ('Sylos e i suoi critici), ma per « classi sociali'> (borghesia, ceti medi, proletariato) e all'interno di ogni classe, ponendo attenzione alle varie categorie sociali, si tenterà di mettere in evidenza gli elementi sostanziali, delle critiche e dei ripensamenti presenti nella discussione che si è andata snodando nei primi anni settanta. Come da più parti Sylos Labini ha avvertito, l'origine della sua riflessione 2 è da rintracciarsi nell'esigenza di richiamare l'attenzione dei sociologi, dei politologi e degli stessi uomini politici sulla utilità dei dati quantitativi della struttura sociale italiana per interpretare la situazione economica e per valutare da una parte il fenomeno della proletarizzazione di certe fasce di ceti medi, dall'altra il fenomeno dell'imborghesimento di alcuni strati operai. Diciamo subito che il primo dei due fenomeni in questione viene sottovalutato da Sylos Labini che, per sfuggire alla meccanicità della tesi secondo cui il processo di espansione dei lavoratori dipendenti coinciderebbe tout court col processo di proletarizzazione, fornisce una immagine dei ceti intermedi falsata quanto a dimensioni e a caratteristiche. E, se è corretto per certi versi richiamare come fa Sylos, l'analisi portata avanti da Gorneri 3 sulle insidie della mistificazione contenuta nell'ideologia « di sinistra » sulla proletarizzazione (nel senso che essa appiattisce il significato di alcune disuguaglianze fondamentali per elaborare una strategia di alleanza, considerando come unico nemico il grande capitale monopolistico), è pur vero che l'area
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dello sfruttamento capitalistico si va estendendo a nuovi gruppi sociali. sufficiente affermare che i ceti medi rappresentano l'ago della bilancia dell'equilibrio politico in Italia, come supporto delle posizioni centriste e conservatrici, e considerare che essi sono privilegiati dalla destra per il mantenimento del sistema esistente e cc corteggiati » dalla sinistra per ottenerne l'alleanza, per poi concludere che nelle loro mani è racchiuso un potere politico superiore a quello che dovrebbe corrispondere alla loro funzione sociale? In realtà non riteniamo si debba parlare a proposito di categorie privilegiate che, « usando duramente e spregiudicatamente del proprio potere sindacale e politico », si appropriano di una quota del profitto sociale elevatissima, nella configurazione di un processo di « partecipazione ai benefici dello sfruttamento » 4. Comunque, tornando alla metodologia usata da Sylos Labini, potremmo definirla per alcuni aspetti «funzionalista » 5 nel senso che il filo conduttore della suddivisione in classi è quello delle fonti di reddito (profitto, salario, rendita). Viene ripresa quindi la tripartizione degli economisti classici (Smith, Ricardo etc.), dei quali si utilizza anche il concetto di «reddito misto'> come risultante da una somma di redditi originari: si afferma infatti che i coltivatori diretti e gli artigiani, rispettivamente farmers e independent manufacturers, ottengono «redditi che sono una combinazione di due o tre redditi originari» oggi definibili appunto come redditi misti. Di origine smithiana è anche il concetto di lavoro improduttivo, svolto cioè da chi percepisce stipendi o altri compensi dallo Stato derivandolo dal settore produttivo (cc... essi sono servitori del pubblico e sono mantenuti con una parte del pro-
L'origine del saggio sopra citato è una conferenza 'tenuta nel marzo 1972 nella sede dell'Associazione culturale italiana di Torino, pubblicata in parte con il titolo Sviluppo economico e classi sociali, su « L'Astrolabio », 31.3.72; integralmente, con alcune rielaborazioni, nei « Quaderni di sociologia », voi. XXI, n. 4, ottobre-dicembre 1972. Ampi estratti del saggio sono contenuti nell'Antoiogia a cura di P. FARrI, Il sistema politico italiano, Il Mulino, Bologna, 1973. E. CORRIERI, La giungla retributiva, Il Mulino, Bologna 1972. E. Gouaaiu, op. cit., pag. 149.
S. OssowsKl, Struttura di classe e coscienza sociale, Cit.
21. 4otto annuo dell'operosità degli altn ») 6 Ci cembra però che riferirsi semplicemente alle fonti di reddito e ai livelli di esso sia abbastanza riduttivo e non riesca a dar conto dei fenomeni di stiatificazione presenti oggi in Italia. Inlatti non ha seguito nel corso del saggio l'originaria formulazione di Sylos secondo cui la distribuzione del reddito lipende congiuntamente dalla proprietà dei mezzi di produzione, dal controllo politico e amministrativo del processo di accumulazione e dai diversi gradi di istruzione e di qualificazione di coloro che lavorano; e, sebbene si accenni che per distinguere le diverse classi sociali il reddito è un elemento importante non solo per il suo livello quanto per il «modo» attraverso cui si ottiene, ciò cui si fa costantemente riferimento è il livello quantitativo del reddito stesso (tanto è vero che per giustificare la classificazione della piccola bor ghesia si dice che « ... l'analisi della distribuizione del reddito serve di base all'intera classificazione ... » '. Inoltre, come si evince chiaramente da un'intervista al «Corriere della sera » 8, Sylos adotta in modo poco articolato l'equazione salario uguale proletariato, stipendio uguale ceto medio impiegatizio; in realtà i termini del rapporto - egli stesso se ne rende conto - non sono così schematizzati. Riteniamo tuttavia che Sylos non sia nel giusto quando affer ma che tale differenziazione (salario-stipendio) sta mutando sia in termini quantitativi che qualitativi, ed attribuisce i motivi del mutamento al fatto che ad esempio si vada parlando con insistenza di salario annuo garantito, il che finirebbe in qualche modo, per assimilare lo stesso salario allo stipendio (anche senza ricorrere alle semplificazioni per cui salarizzazione e proletarizzazione sarebbero sinonimi,
ci sembra invece che la categoria della proletarizzazione sia utile per la comprensione di alcuni fenomeni di classe, in particolare, ad esempio, quello della mobilità). In tal modo, come è già stato notato da Anderlini 9 le classi sociali svaniscono nella genericità delle «classi di reddito »; si privilegia cioè tutta la sfera relativa alla distribuzione del reddito, lasciando in ombra i rapporti concernenti la sfera produttiva, i rapporti sociali di produzione non vengono così focalizzati. Le classi appaiono quindi come degli aggregati passivi e si trascura il fatto che «... la costituzione e, di conseguenza, la definizione stessa delle classi, delle frazioni, degli strati, delle categorie non può compiersi che in funzione del fattore dinamico della lotta di classe ( ... ). La delimitazione delle classi non si riduce mai, quindi, ad un semplice studio statico delle statistiche. Esso dipende dal processo storico... » lO In questo senso un confronto delle classi secondo il reddito non fornisce gli aspetti del loro rapporto fondamentale per comprendere i motivi di unità e opposizione delle diverse componenti rispetto alla dinamica del processo di accumulazione e riguardo ad un discorso sulla politica delle alleanze, proprio perché vengono poco analizzati gli obiettivi economico-politici che di volta in volta le classi hanno privilegiato o raggiunto nell'ambito di precisi rapporti di forza. Nell'adozione di un criterio quantitativo più che qualitativo, nell'insufficiente peso dato alla collocazione nel processo produttivo e nei rapporti sociali di produzione ci sembra quindi di poter individuare la causa della sottovalutazione di alcune categorie sociali e della confusione ingenerata nella composizione dei ceti medi. Il fatto di non riferirsi all'intero processo di produzione e di valorizzazione del Ca-
SMITH, Ricchezza delle nazioni, ed. Cannuan-Methuen, Londra 1961, voi. I, pag. 352 citato in P. Sylos Labini, pag. 10. P. SYLOS LsJNx, op. cit., pag. 144. P. A. BurrrrrA, Recensione-intervista con Paolo Sylos Labini: le classi sociali, « Corriere della sera », 6.1.1975. F. ANDERLINI, I limiti del parassitismo, « Rinascita », n. 12, 21.3.75. N POULANTZAS-F. H. Ciuuoso, Sul concetto di classe, Feltrinelli 1974, pag. 55.
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22 pitale fa sì quindi che le classi non vengano concepite come espressione di contraddizioni strutturate, in tutte le loro interrelazioni con il processo storico-dinamico. Da una parte si accusa di «primitività» lo schema dicotomico, dall'altra però, per dimostrare la fondatezza di quello tricotomico, si adotta un principio stratificante discutibile, trascurando l'importanza della proprietà o non proprietà dei mezzi di produzione e fornendo un'immagine distorta del settore terziario (in relazione a quest'ultimo da alcuni critiCjll è stata evocata l'analisi di Wright Mills a proposito dei colletti bianchi, del loro potere illusorio, delle loro frustrazioni e paure reali e del carattere mitico del sogno americano). Già Illuminati 12 del resto aveva messo in guardia contro le mistificazioni delle analisi che si limitano a considerare i fatti sociali in quanto inseriti nella forma del mercato e ad analizzare le sole sfere della distribuzione e del consumo senza esaminare adeguatamente quella primaria della produzione.
Ora, per dar conto dei principali processi in svolgimento nella società italiana, non basta, è vero, affermare come fa Swieezy 14 che il punto di partenza deve essere il riconoscimento del fatto che due classi sociali determinano la forma e il contenuto del sistema nel suo complesso, e cioè la classe dominante (con alcune « frange ») e la classe operaia; in realtà è necessario considerare lo schema marxiano in tutta la sua tendenzialità e, nel frattempo, soffermarsi sulla realtà imprenscindibile costituita da tutta la fascia intermedia. Occorre però stabilire criteri precisi nell'indentificazione della fascia stessa, nel senso che se si rifiuta la distinzione classica prestatori della forza lavoro-proprietari e gestori dei mezzi di produzione, allora si devono considerare altri elementi: Daneo 15 ad esempio mette in evidenza come fenomeno importante, ma da considerarsi insieme ad altri, quello del lavoro produttivo, ossia da un lato il lavoro produttivo di plusvalore e dall'altro il consumo produttivo di esso (cioè il capitale). Altrimenti il grosso Gli elementi oggettivi di determinazione rischio è quello di cadere in un'analisi in delle classi, individuabili nella divisione cui si dà la preminenza agli elementi ideodel lavoro che crea interessi differenziati logico-politici sottovalutando come si è e nei rapporti di sfruttamento che crea- detto il ruolo dei rapporti di produzione. no contrapposizione tra classi sfruttate Proprio a tale proposito da parte di ale sfruttatrici 13, sono invece essenziali co- cuni critici 16 si è parlato di « vizio di me strumenti analitici per inserire la lo- moralismo>' nello schema di Sylos, nel gica di classe in quella complessiva del senso che in esso sul criterio di classe presistema e per poter utilizzare la biparti- vale assolutamente quello morale: si zione marxiana borghesia-proletariato al- scevera il « rozzo » dal « civile », l'arrela luce degli attuali processi politico-so- trato dal moderno, la parte cattiva da ciali. Si evita, così, di smarrirsi in una mi- quella buona e, come è stato affermato, riade di strati e gruppi sociali e di con- si sostituisce alla dialettica di classe la diafondere le classi con le categorie sociali, lettica progresso-regresso. « ... Il soggetcioè, secondo la definizione di Poulant- tivismo moralistico diventa così l'altra zas, con l'insieme di agenti il cui ruolo faccia dell'oggettivismo statistico-socioloprincipale consiste nel funzionamento de- gico... », carenze, ritardi e irrazionalità gli apparati di Stato (per esempio la bu- sono imputate ad una mancanza di comrocrazia amministrativa) e che, pur a- prensione da parte dei diversi protagonivendo un'appartenenza di classe, non so- sti sociali o ad una loro mancanza di no classi « in quanto tali ». « senso civico », mentre in secondo piano -
P.
BRAGI-IIN-E. MINGIONE-P. TRIVELLATO,
Per un'analisi della struttura di classe dell'Italia contem-
poranea, « La critica sociologica », n. 30, 1974. 12 A. ILLUMINATI, Sociologia e classi sociali, Einaudi, Torino 1967. " A questo proposito vedi il saggio sopra citato di Braghin, Mingione, Trivellato. " P. SWEEZY, Il presente come storia. Saggi sul capitalismo e sul socialismo, Einaudi, Torino 1962. " C. DANEO, Struttura e ideologia del ceto medio, « Problemi del socialismo », n. 23, 1967. 16 L. MAITAN, Dinamica delle classi sociali in Italia, Savelli 1975.
23 sono lasciate le matrici materiali dei contrasti di interesse e delle contraddizioni che oppongono i vari soggetti. La borghesia vera e propria, per esempio, è divisa tra borghesia industriale da una parte e borghesia finanziaria, speculativa e burocratica dall'altra, quest'ultima vera «area inquinata ». La piccola borghesia è costituita da «individui famelici, servili e culturalmente rozzi» (la parte arretrata e parassitaria del ceto medio, cioè i cosiddetti « topi nel formaggio ») e all'opposto da « intellettuali, scienziati, tecnici, specialisti » (ossia la fascia « civilmente robusta », la vera «classe universale »). E così anche per la classe operaia «moderna, stabile, con tendenze riformatrici» o « massimalistica» costituita dal proletariato di « recente immigrazione... assegnato ai lavori più umili e più alienanti ..» cui si accompagna il sottoproletariato delle città meridionali 17 In tale contesto l'auspicio è in fondo quello di una sorta di patto interciassista che riesca a far superare la proliferazione di parassitismo economico e di spreco (non a caso Sylos Labini afferma che «... ci sono più parassiti e sfruttatori tra i cosiddetti ceti medi che nell'intera classe capitalistica. »), senza però chiarire come questi due fenomeni siano essenziali alla logica del capitalismo (e non come sembra funzioni di se stessi e disfunzionj della società), e senza evidenziare che non è la presenza di parassiti sociali, ma la realtà dei rapporti di produzione capitalistici a generare la possibilità di estrarre in forma massiccia plusvalore dai produttori 18 D'altra parte ci sembra che alcune sfasature rintracciabili nell'impianto adottato da Sylos dipendano anche dal fatto di aver esteso la ricerca ad un periodo storico molto ampio (il che è comunque utilissimo per un'interpretazione generale dello sviluppo economico-sociale dell'Italia nell'ultimo secolo; fra l'altro la quantificazione dell'evoluzione della struttura di classe è completa dal 1871 al 1971), nell'assenza però di uno schema in..
terpretativo che per ciascuna fase ricolleghi i dati raccolti alle caratteristiche specifiche dello sviluppo dell'epoca, per cui molti fenomeni rilevati sul piano quantitativo non sono poi oggetto di interpretazione approfondita 19.
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Concludendo, e senza pretendere di addentrarsi in tutta la discussione sulla base statistica delle argomentazioni del saggio in questione, il contributo di Sylos Labini è stato quello di combinare l'analisi delle tendenze economiche degli ultimi decenni con l'indicazione di soluzioni politiche, cercando di dare spiegazioni dei verificarsi di fenomeni nuovi rispetto alla situazione storico-sociale teorizzata da Marx: il nuovo peso rappresentato dai ceti medi (» classe numericamente forte quanto la classe operaia »; i processi di. differenziazione interna che li hanno investiti (sono diminuiti i coltivatori diretti e sono cresciuti i piccoli commercianti,: nuova forza hanno acquistato gruppi di tecnici, intellettuali etc.), la debolezza del capitale privato e l'espansione assoluta e relativa sia del capitale pubblico che del. capitale estero, la «dispersione » di una parte consistente della classe operaia etc.. Sylos comunque, rifiutando lo schema marxiano, si è sforzato soprattutto' di confutare l'ipotesi di crescente proletarizzazione all'interno della società italiana: sostenendo il progressivo aumento della presenza numerica della piccola borghesia e ritenendo di poter attribuire la. pretesa mancata proletarizzazione dei ceti intermedi all'eccezionale espansione della piccola borghesia impiegatizia (dal 2,1% nel 1881 al 17,1% nel 1971) e della piccola borghesia commerciale (dal 2,8% all'8,7% negli stessi anni), di contro ai declino della piccola borghesia rurale (dal 22,5% al 12,1%) e della piccola borghesia. legata all'artigianato tradizionale (dal 15,9 per cento all'8,3%). Lo schema di stratificazjone che ne risulta è articolato in tre raggruppamenti fondamentali: 1) borghesia vera e
17 FERRARIS, Il compromesso storico è anche figlio di un'analisi sulle classi che non esce dat limiti della pura sociologia, « Il Manifesto» 23.3.1975. P. BRAGHIN - E. MINGIONE - P. TRIVELLATO, op. cit., 19 S. Aawu, Parassitismo e sfruttamento: un'equivalenza fuorviante, « Rinascita », n. 2, 10.1.1975..
:2k propria; 2) piccola bprghesia; 3) proletariato. i) Borghesia vera e propria: grandi proprietari di fondi rustici e urbani (rendite); imprenditori e alti dirigenti di società per azioni (profitti e redditi misti che contengono elevate quote di profitto); professionisti autonomi (redditi misti con caratteri di redditi da monopolio in quanto i prezzi dei servizi forniti dai professionisti non sono regolati dal mercato). Piccola borghesia impiegatizia (stipendi); Piccola borghesia relativamente autonoma (redditi misti): coltivatori diretti, artigiani (inclusi i piccoli professionisti), commercianti; Piccola borghesia; categorie particolari (militari, religiosi e altri) (Stipendi). Classe operaia (salari); Sottoproletariato. Applicando tale schema ai dati dei censimenti della popolazione Sylos Labini nota, come si è già detto, un « fortissimo aumento della piccola borghesia impiegatizia e commerciale » e una fondamentale stabilità delle tre grandi classi nel loro complesso «... le quote delle grandi classi sociali, pur fra qualche oscillazione (ci si riferisce, come abbia. mo già osservato, alla diminuzione dei salariati in agricoltura e all'aumento dei salariati nel settore dell'industria e del commercio) mostrano una fondamentale stabilità ... » 20; per cui, utilizzando schematicamente le sue stime, i mutamenti quantitativi nel ventennio 1951-1971 si potrebbero così sintetizzare: la borghesia vera e propria passa da 390.000 unità (1,9%) a 500.000 unità (2,6%); i ceti medi da 11.345.000 unità (56,9%) a 9.720.000 (49,6%), la classe operaia da 8.250.000 unità (41,2%) a 9.400.000 unità (47,8%) 21 . Ripetiamo comunque che, malgrado l'uP. Syios
tilità complessiva derivata dal lucido saggio di Sylos Labini, l'analisi quantitativa di fronte alla quale ci troviamo suscita più di un dubbio. Come è stato da molte parti osservato le carenze sono costituite dai limiti propri a tutta la <(statistica sociale borghese> le cui fonti sono disomogenee, sia in rapporto al periodo che ai metodi di rilevazione e soprattutto non sufficientemente disaggregati; l'uso di statistiche occupazionali, in particolare, non riesce a dare spiegazioni sufficienti di alcune distinzioni fondamentali sul piano delle condizioni di lavoro, dell'organizzazione di esso, dei livelli di retribuzione ecc.. Inoltre la preminenza accordata nell'analisi ad elementi essenzialmente quantitativi mette in ombra differenziazioni qualitative importanti, quelle poi che lo stesso Sylos Labini invita a considerare e... con spirito critico e sempre in congiunzione ... '>. Ci sembra che il «reddito'> non sia sufficiente a fondare le classi sociali neppure se si tiene, conto del «modo » in cui è ottenuto; a riguardo, per inquadrare analiticamente quegli strati che non sono né direttamente borghesi, né direttamente proletari (perché presentano caratteristiche «ibride » dal punto di vista dalla loro collocazione rispetto ai due poli della struttura di classe) ci sembra più esaustiva una metodologia che tenga conto dei seguenti fattori: 1) il controllo dei mezzi di produzione, 2) la partecipazione al plusvalore sociale, cioè al processo di accumulazione, 3) la partecipazione alla distribuzione del prodotto sociale, 4) la posizione sul mercato del lavoro 22 In tal modo è meno arduo individuare correttamente la natura e la funzione di quelle «forme spurie» che va creando il fenomeno della centralizzazione del capitale e della conseguente messa in soprannumero delle forze di lavoro. È inoltre molto utile il ricorso al con-
LaINI, op. cit., pag. 27. utile confrontare P. PEZZINO, Sviluppo capitalistico e classi sociali in Italia, «L'Italia contemporanea », n. 120, luglio-settembre 1975. >' E. CALZABXNI, Problemi per un'analisi delle classi in Italia, « Inchiesta », n. 11, 1973 e dello stesso autore più recentemente Economia periferica e classi sociali, Liguori, Napoli, 1976. 20
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25 cetto di « marginalità di classe » 23, cui abbiamo già accennato, che riesce a focalizzare abbastanza correttamente quegli strati di una classe sociale che, essendo per diverse ragioni ai '<margini » della classe cui apparterrebbero secondo un'analisi marxista, hanno spesso una diversa collocazione, diverso comportamento politico e diverse condizioni di vita e di lavoro. Tenendo conto di queste due proposte metodologiche ci sembra che si possano meglio inquadrare alcuni fattori di diversificazione e di proletarizzazione presenti nell'attuale fase dello sviluppo capitalistico in Italia, valutando più correttamente la consistenza dei ceti medi e le caratteristiche della loro presenza nel quadro complessivo della struttura di classe INDICAZIONI BIBLIOGRAFICHE Teoria delle classi sociali L. ALTHUSSER, Per Marx, Roma, Ed. Riuniti, 1967. L. ALTHUSSER - E. BALIna, Leggere il capitale, Milano, Feltrinelli 1971. ALTVATER - F. HUISKEN, Lavoro produttivo e improduttivo, Milano, Feltrinelli 1975. R. Aiow, La lotta di classe, Milano, Ed. Comunità 1976. AA. VV., Classi e stratificazione sociale, Seminario internazionale della Fondazione Agnelli, Torino, novernbre 1975, testi ciclostilati. AA. VV., Marx vivo, voll. TI, Milano, Mondadori 1969. AA. VV., Il marxismo degli anni '60, Roma, Ed. Riuniti 1972. AA. VV., Il caso italiano, a cura di F.L. Cavazza e S. Graubard., Milano, Garzanti 1974. AA. VV., Questioni di sociologia, 2 voil., Brescia, La scuola 1966. AA. VV., Antologia di scienze sociali, a cura di A. Pagani, 3 voll., Bologna, Il Mulino 1960.
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CENTRO STUDI DELLA * FONDAZIONE ADRIANO OLIVETTI
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Gli studi sulle istituzioni politiche costituiscono l'impegno prevalente del Centro Studi della Fondazione Adriano Olivetti. Alle indagini riguardanti il Parlamento e le Regioni si aggiunge ora un programma di ricerche sui problemi del Governo. Di questo programma è uscito il primo volume: 'I
L'ISTITUZIONE GOVERNO ANALISI E PROSPETTIVE
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La /unzione governativa nella crisi del sistema politico a cura di Sergio Ristuccia
Contributi di Franco Bassanini, Enzo Cheli, Andrea Manzella, Fabio Merusi, Pietro Ricci, Stefano Rodotà, Vincenzo Spaziante.
Il libro è pubblicato dalle
Edizioni di Comunità Via Manzoni, 12 - 20121 Milano