ueste i1itllzioIIi Anno XXXIII n. 140/143 Direttore. SERGIO RISTUCCIA condirettore: ANToNio Dl MAIo Vice Direttore: GIOVANNI VEFRFrro Redattore capo: SAVERIA ADDOTTA Comitato di redazione: CARLA BASSU, FABIO Biscotti, ROSALBS CORI, FRANCESCO Dl MATo, ALESSANDRO HINNA, GIoRGIo PAGANO, PIER LUIGI PETRILLO, ELISABETTA PEZZI, MASSIMO RJBAUDO, CLAUDIA SENSI, VALERIA VALISERRA, FRANCESCO VLLO, DONATELLA VISC0GLI0SI, STEFANIA ZUCCOLOTTO
collaboratori: ARNALDO BAGNASCO, ADOLFO BATTAGLIA, GIOVANNI BECHELLONI, GIUSEPPE BERTA, Rosso BETTINI, DAVID B0GI,
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GIROLAMO CAIANIELLO, GABRIELE CALVI, MANIN CARABBA, BERNARDINO CASADEI, MARIO CACIAGLI, CARLO CHIMENTI, MARCO CIMINI, GIuSEPI'E COGLIANDRO, MASSIMO A. CONTE, ERNESTO D'AiBEIs;O, MAsSISI0 DE FELICE, DONATELLA DELLA PORTA, BRUNO DENTE, ANGELA
DI GREGORIO, CARLO D'ORTA, SERGIO FABBRINI, MARIA ROSARIA FERRARESE, PASQUALE FERRO, TOMMASO EDOARDO FROSINI, CARLO FUSARO, FRANCESCA GAGLIARDUCCI, FRANCO GALLO, SILv10 GAMBINO, GIULIANA GEMELLI, VALERIA GIANNELLA, MARINA GIGANTE, GIUSEPPE GODANO, ALBERTO LAGAVA, SIMONA LA ROCCA, GIAMI'AoLO LADU, SERGIO LAR1CCIA, GIANNI LIMA, QUIRINO LORELLI, ANNICK MAGNIER, ADELE MAGRO, ROSA MAI0RIN0, GIAMPAOLO MANZELLA, DONATO MASCIANDARO, PAOLO MIELI, WAlTER NOCITO, ELINOR OSTROM, VINCENT 05115051, ALESSANDRO PALANZA, ANDREA PIRAINO, BERNARDO PIZZETTI, IGNAZIO PORTELLI, GIOVANNI POSANI,
GUIDO
MARIO REY, GIANNI RJOTTA, MARCELLO ROMEI, FRANCESCA ROSSI, FABRIZIO SACCOMANNI, LUIGI SAI, GIANCARLO SALVEMINI, MARIA TERESA SALVEMINI, STEFANO SEPE, UMBERTO 5ERFINI , FRANCESCO SIDOTI, ALESSANDRO SILJ, FEDERICO SPANTIGATI, VINCENZO S1'AZIANTE, PIERO STEFAN1, DAVID SZANTON, JULIA SZANTON, SALVATORE TERESI, VALERIA TERMINI, TIZI\NO TERZANI, GIANLUIGI TOSATO, GUIDO VERUCCI, FEDERICO ZAMPINI, ANDREA ZOPPINI
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queste istituzioni n. 1401143 Annale 2006
Indice
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Partenariato: definizioni, divagazioni e provocazioni Sergio Ristuccia
Documenti di lavoro 3
Prr' e iniziative locali: i punti da cui partire (2003)
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Note a margine del Libro verde in materia di PPP (2004)
33
Il Partenariato pubblico-privato e i Fondi strutturali (2005)
38 45
Da Urban a Jessica: l'Europa per le cittĂ (2006) Claudia Sensi e Valeria Valiserra Il PPP per lo sviluppo locale. Imodelli possibili nel campo delle infrastrutture: un progetto di ricerca (2006)
Dibattito 71
NeutralitĂ e sistema di governo delle reti Luigi Tretola e Claudia Lopedote
92
Una giurisprudenza progressivamente preclusiva: è finita l'impresa mista? Luigi Tretoia. I
Contributi 103
I rapporti dinamici fra Stato e Regioni sulle infrastrutture: sussidiarietĂ e intese Donatella Viscogliosi
130
Dopo il Libro verde della Commissione sui Pi Valeria Valiserra
141
Il Project financing spurio Paolo Urbani e Donatella Viscogliosi
152
Promotore: procedimento ad iniziativa privata o pubblica? Rosalba Cori
162
Un approccio alternativo alla valutazione degli investimenti pubblici. Il Public sector comparator Mariagiovanna Sessa
181
Il rischio ambientale: questione cruciale nel Ppp Rosalba Cori
188
Dal mecenatismo al Partenariato pubblico-privato. Il privato per l'innovazione finanziaria nel settore culturale Marco Meneguzzo e Maria Stefania Senese
206
La realizzazione e la gestione delle infrastrutture per lo sport Valeria Valiserra
I'
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editoriale
Ppp: definizioni, divagazioni e provocazioni
Questo numero monografico è dedicato all'approfondimento di un tema - il Partenariato pubblico-privato nelle politiche di infrastrutturazione del territorio e di gestione dei servizi pubblici - che è molto frequentato, almeno in apparenza, ma che, essendo irto di difficoltà (e magari di ambiguità), induce spesso a molti abbandoni di interesse. Non tanto per mancanza di suggestioni teoriche quanto per il venir meno dell'interesse pratico di molti operatori del settore, dopo una forte iniziale curiosità. Si tratta, comunque, di un tema centrale che non sembra poter uscire agevolmente dall'attualità. Esso costituisce il crocevia di diversi percorsi di conoscenza ed esperienza, dove gli apporti della pratica delle professioni rappresentano un fondamentale arricchimento. Uno dei tanti campi dove si dimostra cruciale l'incontro fra le scienze sociali e, appunto, una variegata pratica professionale (incontro, sia detto per inciso, che è una questione da non trascurare, anzi da porre in piena evidenza nel lavoro di aggiornamento delle discipline sociali). Né va trascurato il crescente bisogno di strumenti conoscitivi sugli aspetti di impatto sociale ed ambientale delle operazioni di Ppp. Queste in nessun modo possono essere campo riservato ad avvocati, uomini di finanza ed ingegneri. Il presente numero di queste istituzioni risponde a sollecitazioni sia teoriche che pratiche con apporti di vario tipo. In prevalenza, la logica è quella degli interessi conoscitivi che sorgono dalla pratica. Ed in questò senso, si è ritenuto necessario rendere evidente che alcuni documenti pubblicati sono datati, e ciò per segnare anche il percorso seguito. Sono appunto i lavori contenuti nel dossier "documenti di lavoro". Il lungo editoriale di questo numero monografico non è in realtà un "editoriale" in senso proprio. È piuttosto un insieme di annotazioni di vario tipo, con le quali intendiamo segnalare quesiti e questioni, indicare preferenze e linee di pensiero, abbozzare proposte. L'intenzione, più in generale, è di aprire su queste pagine un III
discorso che prosegua nel tempo alla ricerca di soluzioni e strumenti che agevolino quanto di promettente può contenere la formula del Partenariato pubblicoprivato.
A PROPOSITO DI DEFINIZIONI Si è parlato di "Partenariato pubblico-privato" e se ne continua a parlare in quel modo particolare, cioè con quell'enfasi, con quelle allusioni e sottolineature tipiche dell'argomentare in tema di novità ovvero di cose di moda. Con il sottinteso di presidiare la frontiera del futuro. Beninteso, crediamo - malgrado ciò - che è vicina l'ora dell'assuefazione e del disincanto (naturalmente già diffusissimo fra quanti rifiutano sempre e comunque le novità, vere o false che siano, soprattutto perché annunciano fatiche di apprendimento e di studio, mentre la vita professionale - si sa - deve essere facile e leggera, da apprendere sui manuali e, magari, condensata e possibilmente spiegata sulle pagine della Gazzetta ufficiale). L'acronimo Ppp non è una formula accattivante, non presenta suggestioni linguistiche particolari, e soprattutto è evidentemente generica. Dentro ci può stare ogni forma di collaborazione fra pubblico (amministrazioni pubbliche centrali e locali, istituzioni politiche, società commerciali pubbliche, e così via) e privato (organismi creati dall'autonomia privata, società commerciali e finanziarie private e ogni altra specie di soggetto che operi per fini lucrativi ovvero non lucrativi). In questo senso, il partenariato è sempre esistito. Ha ragione Xavier Bezanon - in un libro pubblicato dalle Presses de l'Ecole nationale des Ponts et Chaussées nel 2004 - a parlare (questo è il titolo del libro) di 2000 ans d'histoire du partenariat public-privé (pour la réalisation des équipements et services collectfi). Naturalmente, nell'intenzione di mettere in risalto "une identitéfrancaise ignorée' Lasciando ad altri il compito di studiare e ben intendere le ragioni per le quali certe espressioni si affermano nei gerghi specialistici o professionali, bisogna prendere atto che un problema di definizione (un classico tema di explicatio terminorum) è tuttavia aperto. Vediamo alcune affermazioni pervenute dalle istituzioni dell'Unione europea. La Commissione europea, nel Libro verde del 2004 [C0M(2004), n. 327 del 30 aprile 2004], afferma: "Il termine Partenariato pubblico-privato ("Pp') non è definito a livello comunitario" In realtà, non è ben definito in nessun ordinamento, a meno che non si intenda - seguendo il percorso di ricognizione storica di lungo periodo che non richiede nozioni molto stringenti, così come ha fatto Bezanon appena citato - parlare in generale delle varie forme di cooperazione "tra le autorità pubbliche ed il mondo delle imprese che mirano a garantire il finanziamento, IV
la costruzione, il rinnovamento, la gestione o la manutenzione di un'infrastruttura o la fornitura di un servizio" (così ancora la Commissione nell'incipit del Libro verde). Nel tentativo di mettere a punto una nozione meno generica e non necessariamente onnicomprensiva, la Commissione identifica alcuni elementi che caratterizzano solitamente le operazioni di partenariato. E cioè: la durata relativamente lunga della cooperazione in relazione a vari aspetti del progetto da realizzare; le modalità del finanziamento garantito dal settore privato (al quale spesso, tuttavia, si sommano quote di finanziamento pubblico); il ruolo centrale dell'operatore economico privato nelle varie fasi del progetto, dalla progettazione alla realizzazione, salva la definizione pubblica degli obiettivi; la ripartizione dei rischi tra il partner pubblico e il partner privato, sul quale ultimo sono trasferiti i rischi (ma non tutti i rischi) di solito a carico del settore pubblico. Infine, la Commissione introduce la distinzione tra i Ppp "di tzpo puramente contrattuale" cioè fondati "su legami esclusivamente convenzionali", e i Ppp "di tipo istituzionalizzato" che implicano una cooperazione fra pubblico e privato "in seno ad un'entità distinta". Una distinzione ormai ben nota che, in ogni caso, va letta nella logica del Libro verde, orientata prevalentemente, se non esclusivamente, ai problemi del diritto della concorrenza. Il Comitato eci'nomico e sociale europeo (CESE), in un parere del 27 ottobre 2004 (C 120/103, "Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito al Libro verde sul Partenariato pubblico-privato e sul diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni", pubblicato nella Gazzetta ufficiale dell'Unione europea del 20 maggio 2005), offre a sua volta un interessante apporto alla questione definitoria. Innanzitutto, anche il CESE fa riferimento alla storia di lungo periodo affermando che "non si può dimenticare che la prima Europa, cioè quella dei Romani, utilizzava già duemila anni fa il sistema delle concessioni". Ma pur partendo da così lontano, dimostra piena consapevolezza che il Ppp di cui si parla oggi è qualcosa di nuovo, per quanto piuttosto vago: "In una serie di Paesi sono stati sperimentati progetti di Ppp. I risultati sono molto differenziati. Sarebbe pertanto opportuno procedere ad una valutazione sistematica delle esperienze". E ciò, precisa il Comitato, sulla base di criteri diversi (come: costi, qualità delle prestazioni, ricadute sull'occupazione, e così via). Fatta una rapida rassegna di alcuni casi nazionali (nel 2005, l'Italia risultava essere il Paese che più aveva legiferato in materia, e il Regno Unito quello con il più alto tasso di implementazione di progetti, in un contesto di forme contrattuali variegate), il CESE conferma che non esistono definizioni di "Partenariato pubblico-privato" precise e consolidate che ne stabiliscano con chiarezza contenuto e portata. Riguardo a quelle correnti, poi, il Comitato fa alcuni appunti critici in particolare sui seguenti profili: l'assimilazione delle con-
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cessioni alla nozione di appalto di lavori; l'assenza di una distinzione tra contratti di lunga durata e contratti di breve durata, che di fatto "costituisce lo spartiacque per il finanziamento esterno all'amministrazione"; la mancata considerazione delle proposte autonome di concessioni da parte del settore privato. Questa mancanza di chiarezza rende spesso "sommario e irrealistico" l'approccio ai problemi. A questo proposito, il CESE ricorda di aver sollecitato una definizione dell'istituto della "concessione" piii autonoma nei confronti di quella di "appalto di lavori": "Tra una concessione e un contratto d'appalto esistono dffi'renze sostanziali attinenti l'oggetto, la durata, le condizioni difinanziamento, le modalità digestione aifini della portata della responsabilità " Volendo dare un proprio apporto alla definizione, il Comitato sostiene che "il contratto o l'atto unilaterale con cui un'autorità pubblica conferisce determinati diritti a un organismo esterno, delegandogli il compito di concepire, realizzare, finanziare, mantenere e gestire un'infratruttura o un servizio per un periodo lungo. e determinato configura una concessione se l'impresa è remunerata mediante un prezzo pagato principalmente dagli utenti, ovvero configura un contratto di partenariato pubblico-privato se la remunerazione è corrisposta princzpalmente dall'autorità pubblica' Da tale definizione si ricavano, secondo il CESE, due elementi caratterizzanti questo tipo di contratti: il trasferimento di responsabilità dall'autorità pubblica al privato; la "globalità" del contratto stesso, nel senso di una ampia serie di obblighi (realizzazione, finanziamento, sfruttamento economico, manutenzione ecc.) il cui adempimento si realizza in un lungo periodo di tempo (la forchetta media va da 10 a 75 anni). Il CEsE, tuttavia, non prende in considerazione la distinzione fra Ppp, contrattuale e Ppp istituzionalizzato. Infine, qualora ci si aspettasse dal Parlamento europeo qualche parola di più definitivo valore definitorio, è bene avvertire che la delusione potrebbe essere grande. In una Risoluzione del 26 ottobre 2006 [n. 2006/2043 (INI)], il Parlamento europeo sembra tenere presenti e distinti tre istituti o figuraejuris i Pii' qualificabili come appalti pubblici; i Ppp qualificabili come concessioni; e i Ppp istituzionalizzati. Ma questa distinzione manca di apporti definitori di qualche consistenza. Tutt'al più, si sostiene la necessità di distinguere bene, anche legislativamente, appalti e concessioni (per queste ultime, chiedendo che abbiano una vita limitata tenuto conto della durata dell'ammortamento dell'investimento privato) e si auspica la formulazione di una più chiara nozione del Ppp istituzionale, sostanzialmente caratterizzato dalla lunga durata (e per il quale - vale notare di sfuggita soltanto, perché si tratta di questione molto controversa - il Parlamento esprime l'opinione secondo la quale "se il primo bando di gara per la costituzione di un'impresa mista è risultato preciso e completo, non è necessario un ulteriore bando di gara"). VT
Venendo all'esperienza italiana, bisogna dire che, con molto spirito pragmatico, l'Osservatorio nazionale del Projectfinancing (promosso, tra gli altri, dal ministero dell'Economia e delle Finanze. V. http://www.infopieffe.it/) ha adottato il criterio di trarre le fattispecie del PPP dal diritto positivo, cioè da varie norme presenti nell'ordinamento: la concessioni di costruzione e gestione, distinguendo poi la concessione di tipo "tradizionale" da quella su progetto del promotore (quest'ultima è ora normata dall'art. 153 del nuovo Codice dei contratti pubblici di lavori, servizi, forniture); il partenariato societario, comprendente le forme di collaborazione pubblico-privato "istituzionalizzata" espressamente previste dalla legislazione, come le STU (Società per la trasformazione urbana) e le società miste per l'esercizio di servizi pubblici; i programmi per la riqualificazione urbana, come i contratti di quartiere e i programmi edilizi; e infine, le sponsorizzazioni. Raccordare questa classificazione (entro la quale è da ricomprendere anche la concessione di servizi) alle nozioni di origine comunitaria prima ricordate non è del tutto agevole, ma può comunque facilitare l'operazione di ricognizione delle possibilità teorico-pratiche del Pr'r'. Naturalmente, la varietà della casistica spinge a qualche tentativo di classificazione. Così pare interessante seguire l'indicazione dei "contratti atipici". Innanzitutto perché questa teorizzazione, fondandosi soprattutto sulle svariate fattispecie legali che sono state via via introdotte nell'ordinamento sia nazionale che comunitario, ha comunque il merito di essere un buon argomento a sostegno del carattere di novità che presenta il PPP odierno a fronte di quello che "c'è sempre stato". Volendo fare qualche riferimento alla letteratura specializzata, vale soffermarsi brevemente su un libro che, di recente, ha affrontato il tema (Ruggiero Dipace, Partenariato pubblico privato e contratti atipici, Giuffré, Milano, 2006). Varrebbe la pena di discuterne a fondo, in quanto l'autore fa una rassegna delle molteplici questioni che affiorano quando si ragiona di Ppp, anche in termini di concetti e principi di base riguardanti il valore dei contratti e il rapporto con l'azione amministrativa. Qui è il caso solo di chiedersi se sia giusto far riferimento alla nozione di "contratto atipico" o se invece non si debba parlare di contratti complessi e/o a formazione complessa. In realtà, la qualificazione di atiipici data ai contratti attraverso i quali spesso si realizza il PPP sta a marcare, in primo luogo, l'uso nel nostro diritto dei modelli derivati dal codice civile e dalle molteplici leggi complementari, sempre con scarsa fiducia nel ricorso al principio dispositivo che rimette all'autonomia delle parti la definizione della forma e dei contenuti dei contratti. In questo senso, vale la seguente osservazione di Dipace: "Basti pensare al ruolo poliflinzionale che [nel Ppp] svolge il soggetto privato ed alla particolare aiocaIj11
zione del rischio finanziario, che può coinvolgere più soggetti, per dedurre che nel nostro ordinamento non esistono modelli contrattuali in grado da soli di disczplinare e comporre tutti questi interessi. Spesso si rendono necessarie complesse operazioni negoziali, talvolta trasfiise in un unico negozio, talaltra in più negozi collegati tra loro da un nessofrnzionale. Si tratta di contratti caratterizzati dall'assenza di una disciplina specifica che ne individui la struttura e lafinzione, le quali, invece, vengono stabilite di volta in volta dai contraenti con la negoziazione dei singoli aspetti della operazione". In secondo luogo, tutto ciò ha un rilievo particolare nell'ambito della pubblica amministrazione, tanto da poter "affermare che il partenariato stesso rappresenta il cavallo di Troia attraverso il quale l'atzpicità negoziale entra nella cittadella dell'azione amministrativa, fino a questo momento regolata da rigidi principi, quali quello della legalità, della tipicità e della nominatività, scompaginandone le tradizionali formulazioni". È una rappresentazione eccessiva, perché vari altri sono i cavalli di Troia introdotti nella cittadella della pubblica amministrazione in quanto governata da un diritto amministrativo come sistema distinto e chiuso in sé. Si veda, da ultimo, l'evoluzione del sistema così come interpretata da Fabio Merusi nel suo recentissimo saggio Sentieri interrotti della legalità (Il Mulino, Bologna 2007). Sta di fatto che l'approccio al PPP può risultare assai faticoso e comporta per tutti, ma in particolare per le pubbliche amministrazioni, un sapere da acquisire o da costruire, in qualche misura, ex novo. Ad un problema di definizione riferito all'espressione "Partenariato pubblico-privato" se ne può aggiungere uno ulteriore, certamente meno impegnativo, riguardante la parola "infrastrutture", troppo facilmente usata come sinonimo di "opere pubbliche". In realtà, oltre a ricordare i significati che corrispondono al lemma (da quello di "capitale fisso sociale" alla distinzione fra infrastrutture a rete e infrastrutture puntuali, passando per il distinguo tra uso e funzione delle medesime), occorre sottolineare i contenuti di complementarietà che esprime la parola. Essendo, dunque, l'infrastruttura la configurazione complementare rispetto a un'altra ritenuta principale, ovvero: "ciò che sostiene o rende efficiente una struttura sociale, economica e simili" - come si legge nel Grande Dizionario Garzanti della lingua italiana moderna. Vale sottolineare questo profilo perché il "capitale fisso sociale" che interessa è - nel nostro discorso - quello funzionale soprattutto allo sviluppo (sostenibile) del territorio e alla sua messa in rete. Criterio fondamentale, questo, per individuare il reale fabbisogno infrastrutturale e aggiornare di conseguenza i programmi di investimento che sono sempre di medio-lungo periodo. VT"
LE "SOCIETÀ PROGETTO" DEL PPP
A questo punto vien bene una divagazione o diciamo, meglio, un breve excursus istituzionalizzato " L'osservazione da cui partire è che, fermo rimanendo che siamo nel campo dei contratti atipici o complessi, un dato ricorrente può essere individuato: la realizzazione di iniziative di Partenariato pubblico-privato diffìcilmente, se non raramente, passa attraverso forme contrattuali che non diano luogo, prima o dopo, ad una società che viene a incorporare il "progetto" che è l'oggetto dell'iniziativa medesima. Sembra piuttosto che nei fatti la distinzione valga più sul piano del naturale evolversi di un'iniziativa, nel senso che lo start-up contrattuale molto spesso approda ad una società (la specialpurpose company o vebicle), che nel senso di una scelta iniziale che poi si protragga nel tempo come tale. Affinché questa affermazione possa essere verificata, occorre innanzitutto chiarire che qui non stiamo parlando delle "società di progetto" che sono tipiche della finanza di progetto di cui agli articoli 153 e seguenti del Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture. La società di progetto regolata dall'art. 156 è quella che un aggiudicatario di concessione ha facoltà di costituire in ragione delle esigenze stesse di una finanza di progetto che non coinvolga la complessiva corporatefinance del soggetto. Ciò detto, c'è da chiedersi: per parlare di "società progetto" ci vogliono norme specifiche, di per sé destinate a fattispecie ben definite a priori nella legge, ovvero la società è il naturale portato della dinamica delle operazioni di Ppp? In secondo luogo, in che misura la "società progetto", o più in generale la special purpose company, si presta ad essere una società mista pubblico-privata? Per fare un sia pur rapido ragionamento intorno ai due quesiti, occorre prendere le mosse da qualche caso concreto che è capitato di considerare negli ultimi anni nella pratica professionale. Un primo caso, suggerito dall'occasionale lettura di una sentenza di Tribunale amministrativo regionale, serve a segnalare di quali ostacoli si debba tenere conto nell'immaginare una impresa mista. Dunque, un Ta (qui non conta citare il caso concreto, ma il caso-modello che se ne può trarre) ha annullato gli atti relativi alla costituzione di una società mista a responsabilità limitata, con prevalente capitale pubblico, avente ad oggetto attività di progettazione, realizzazione e gestione di servizi informativi e telematici riguardanti vari Comuni. E ciò perché si è ritenuto che un vizio concernente una parte dell'oggetto sociale (l'attività di progettazione) venisse a travolgerlo integralmente. Per l'attività di progettazione, il Tribunale nega che questa possa legittimamente essere oggetto di un Ppp societario fra una parte pubblica (che nelle circostanze "
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veniva a realizzare una forma di più volte auspicato associazionismo intercomunale) costituita da alcuni Comuni e da un socio industriale privato. E ciò perché l'attività di progettazione può essere svolta solo da professionisti iscritti all'ordine sulla base di gare ad essi esclusivamente riservate. In realtà, non è dato sapere leggendo la sentenza - se l'attività di progettazione è sempre affidata alla società e poi, magari sulla base di patti parasociali, al socio industriale, senza garantire gli adempimenti professionali (con le connesse responsabilità) dei singoli professionisti abilitati. È da dubitare che una società attiva su un ampio territorio possa operare con risorse proprie o comunque predeterminate e non debba, invece, ricorrere al "mercato" dei professionisti. 11 problema è, a questo punto, se dagli atti costitutivi della società risulti che l'ipotesi di ricorrere al mercato professionale sia stata esclusa. Il che parrebbe certamente discutibile. Certo, a promuovere il giudizio è stato un ordine professionale che non rappresenta di per sé un gran modello di garanzia della concorrenza (tanto da essere ormai esposti - gli ordini professionali - a critiche molto severe soprattutto dal punto di vista dell'ordinamento comunitario). Ed in ragione di questa origine del giudizio, il giudice amministrativo se l'è cavata con una lettura stretta delle norme. Quel tipo di lettura che è - bisogna pur dire - molto facile. Ma non sempre altrettanto utile. Il problema importante era quello di accertare le modalità di scelta del socio o dei soci "industriali" per arrivare alla costituzione della società mista e, nel caso, di censurarle se non rispondenti ai principi dell'evidenza pubblica. Ma non risulta che la questione sia stata posta all'esame del giudice amministrativo, perché l'attore non aveva a questo riguardo un interesse ad agire. Si può ben dire, concludendo sul caso, che la decisione si dimostra priva di una compiuta visione di quel che serve alle amministrazioni a fini di efficienti capacità realizzative. Tenere insieme in una logica associativa fra Comuni le varie fasi della progettazione e realizzazione di una importante infrastruttura telematica non è opera da far cadere in toto (e non, magari, parzialmente) solo in ragione di una supposta lesione di norme di protezione corporativa. Ma tant'è. Un secondo caso è suggerito da una proposta non realizzata. In un articolo pubblicato qualche anno fa su "Edilizia e Territorio" (Il Sole 24 Ore, n. 7/2004), Gaetano Fontana - Capo dei Dipartimento per il coordinamento dello sviluppo territoriale del Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti - affrontava la questione della linea ferroviaria Torino-Lione quando questa non aveva ancora suscitato l'aspro dibattito al quale abbiamo assistito, che in realtà costituisce un argomento forte a favore di un maggior intervento delle scienze sociali. Per non perdere la concretezza dell'approccio, ripercorriamo il ragionamento di
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Fontana. La Torino-Lione non può essere pensata soltanto come una linea ferroviaria, ma va vista come componente di un sistema integrato di trasporti. In questo senso, bisogna anzitutto considerare, come già si è fatto nel caso dell'asse ferroviario del Brennero, il coinvolgimento diretto, fin dall'inizio, del gestore autostradale. In tal modo - con forti prospettive di vantaggio per quest'ultimo in termini di non aggravio del peso del traffico su autostrada e conseguenti oneri - sarebbe possibile disporre di capitali da investire che, in qualche misura, non devono attendere tempi lunghi di rientro. Viene ricordato, a questo riguardo, quanto è stato fatto in Svizzera: qui, la normativa già da tempo prevede che importanti infrastrutture ferroviarie siano finanziate con risorse provenienti, per almeno la metà, dall'utilizzo della strada/traffico stradale. Conformemente al dettato del nuovo art. 36 bis, cpv 4, e 36 ter ("Limiti dei diritti fondamentali" giustificati da "un interesse pubblico o dalla protezione di diritti fondamentali altrui", e "proporzionati allo scopo") della Costituzione federale della Confederazione svizzera del 18 aprile 1999, la normativa (legge federale del 22 marzo 1985 Rs 725.116.2 e successive modifiche) dispone che l'Assemblea federale, nell'ambito del bilancio di previsione, fissi le regole per l'assegnazione dei mezzi finanziari per la realizzazione delle strade nazionali (artt. 2-7), ripartendo tra i singoli settori il prelievo dell'imposta sugli oli minerali derivante dal traffico stradale. D'altra parte, la linea ferroviaria è da realizzare nella logica di una infrastruttura territoriale concepita in relazione alle esigenze del contesto geografico e sociale, alle possibilità di intermodalità dei trasporti e a quelle dell'indotto. Insomma, l'infrastruttura ferroviaria va intesa - scrive Fontana - "non solo come opera necessaria a erogare un servizio" e come fonte di ricavi, ma soprattutto come "occasione per ristrutturare il territorio e incrementare la sua dotazione in termini di milieu". Come opera territoriale. Tenuto conto di queste premesse, Fontana immaginava che il complesso dell'operazione - nei diversi momenti della progettazione, realizzazione e gestione - potesse essere affidato ad una societa ad hoc, del tipo «società progetto" secondo una concezione di ampia visione. Naturalmente, l'ipotesi proposta da Fontana va verificata in termini di validità economica (viene subito in evidenza il problema del surplus di tariffazione autostradale necessaria per coprire, almeno in parte, i costi di realizzazione dell'infrastruttura ferroviaria) e deve poi fare sicuramente i conti, in tutti gli stadi della sua attività, con il diritto della concorrenza. La proposta del 2004 rimane una suggestione interessante nell'ambito delle considerazioni sugli strumenti concreti per la realizzazione di operazioni di Ppp. Vale, infine, riportare altre due osservazioni di Fontana. In primo luogo, la costituzione di una società che assume l'onere della realizzazione e gestione "in analogia alla società di progetto prevista nell'ordinamento come evoluzione dell'istituXI
to della concessione" può valere a rimuovere alcune criticiià dì questo stesso istituto. In secondo luogo, "la naturale evoluzione di tale modello prefigura una missione societaria allargata fino a ricomprendere attività idonee ad appropriarsi delle esternalità positive diffuse che la tratta ferroviaria, intesa come parte del piut complesso e ampio progetto di realizzazione del Corridoio 5 'opera territoriale', è in grado di generare in termini di sviluppo territoriale allargato". Di qui il titolo stesso dell'intervento di Fontana: Per la Torino-Lione modello vincente la Spa mista di costruzione e gestione. Il terzo caso da considerare è quello della società "Tunnel di Genova Spa". È stata posta da qualche anno la questione di sostituire la strada sopraelevata nel centro della città, costruita negli anni Sessanta, che attualmente consente il superamento dell'area portuale, con una strada alternativa, così da restituire il vecchio porto ad un uso urbano molto diverso da quello che comunque già non ha piìt. Il Comune è venuto alla determinazione di scegliere un passaggio sottomarino e di procedere alla progettazione dell'opera attraverso una società pubblica con capitale sottoscritto da varie amministrazioni. La società è stata immaginata anche come capace di un'evoluzione verso una composizione mista pubblico-privata in una fase successiva. Alla costituzione della Società partecipano il Comune, l'Autorità portuale e la Cassa depositi e prestiti (ciascuno con il 33% delle quote), prevedendo successive partecipazioni di Provincia e Regione. Per la Cassa, si è trattato del primo caso di partecipazione ad una società promossa da un Ente locale. Attraverso la Società si è inteso, innanzitutto, procedere ad un forte coordinamento degli enti pubblici, soprattutto Comune e Autorità portuale, e ad una consequenziale semplificazione del procedimento per la fase di prima progettazione. In sostanza, la Società è venuta a costituire una sorta di conferenza di servizi istituzionalizzata. La possibilità di utilizzare finanziamenti statali per la progettazione preliminare riduceva i problemi di avvio consentendo, per esempio, alla Cassa di ben valutare quale poteva essere il finanziamento che avrebbe potuto concedere alla Società ai sensi della normativa allora vigente. Nella fase seguente che avrebbe potuto comportare l'allargamento del compito della società alla realizzazione e gestione dell'opera, sarebbe stato possibile trasformare la Società in società mista pubblico-privata con la cessione della partecipazione della Cassa depositi e prestiti attraverso adeguate procedure ad evidenza pubblica per la scelta dei partner privati finanziari e/o industriali. La vicenda del tunnel di Genova, opera presentata il 10 giugno 2003 al CIPE per le valutazioni di merito e per ottenere l'inserimento all'interno della Legge Obiettivo (inserita nel primo Programma delle infrastrutture strategiche di preminente xH
interesse nazionale di cui alla delibera CIPE del 21 dicembre 2001), potrebbe prendere altre strade da quelle inizialmente immaginate. In realtà, essa si presenta - per le caratteristiche dell'opera da realizzare - molto simile al caso prospettato da Fontana per la ferrovia Torino-Lione: cioè un'infrastruttura per il trasporto e la mobilità che ha la valenza di una infrastruttura territoriale con grande potenzialità di indotto. Tanto da superare la visione di una redditività attraverso pedaggi, di per sé difficile oltre che forse impresentabile alla cittadinanza. Al momento, il progetto è fermo, in fase di rilancio e ripensamento. L'intervento, inserito in Legge Obiettivo e non ancora finanziato, è stato di recente ripreso dal ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Antonio Di Pietro il quale, al termine della Conferenza delle Regioni del 16 novembre 2006, ha presentato un documento sulle "infrastrutture prioritarie" nato da incontri con le diverse Regioni, insieme ad una lettera (del 21 dicembre 2006) - indirizzata al presidente dell'Anas, al sindaco di Genova ed all'amministratore delegato della Società autostrade - per la definizione delle diverse ipotesi di finanziamento dell'opera (45 milioni di euro). In una recente riunione a Tursi, il C.d.A. della "Tunnel di Genova Spa" ha deliberato il rinvio della modifica al piano in attesa che il progetto di riordino del waterfront affidato a Renzo Piano possa diventare variante al piano regolatore portuale. Quarto ed ultimo caso da considerare è quello della "Quadrilatero Spa", società inizialmente costituita da ANAS Spa e da Sviluppo Italia Spa, con rispettivamente il 51% e il 49% delle partecipazioni per realizzare e gestire la rete stradale in una determinata area e, contemporaneamente, il complesso delle opere collegate o indotte dalle infrastrutture di trasporto. Qui siamo ad una sorta di ritorno, in senso lato, all'esperienza delle partecipazioni statali; ma in termini di oggetto sociale, siamo esattamente nell'ambito della logica di una "infrastruttura territoriale" come nel caso della Torino-Lione. Fondamentale è intendere se e quali strategie siano state considerate per lo sviluppo della Società e se entro queste trovi posto una eventuale successiva partecipazione di uno o più soci privati. L'assetto societario iniziale, così come delineato dal Governo, sin dall'origine ha previsto la partecipazione delle istituzioni locali che potranno acquisire fino al 30% anche attraverso un aumento del capitale sociale, con Quadrilatero Spa soggetto attuatore unico. Così si legge alla voce "Mission e strategie" del progetto della Società: "Il Piano di area vasta, rappresentando uno strumento di sviluppo economico, consente la realizzazione di opere infrastrutturali con risorse provenienti dal territorio, derivanti da ricavi alternativi al pedaggio. Viene definito, in tal modo, un modello di attuazione degli interventi di infrastrutturazione viaria in collaborazione tra settore pubblico e settore privato.., è )UII
stato predisposto un modello finanziario innovativo che prevede la collaborazione tra capitali pubblici e privati... Introdotto in Italia dalla legge 21/12/2001 n. 443 (Legge Obiettivo), il Contraente generale è l'esecutore che assumerà su di sé l'obbligo di eseguire con qualsiasi mezzo un'opera rispondente alle esigenze del soggetto aggiudicatore. Il ricorso ad un Contraente generale - attraverso bando di gara - è regolato con contratto di fornitura dell'opera 'chiavi in mano' con costi prefissati, e con meccanismi di incentivi-penalità relativamente ai tempi di consegna". L'idea è di realizzare una collaborazione fra finanziamenti statali e capitali provenienti dal territorio al fine di una valorizzazione dello stesso territorio. Lo strumento utilizzato è il Piano di area vasta (PAv) che è chiamato a correlare un piano territoriale di infrastrutture viarie con un programma di insediamenti produttivi che le stesse infrastrutture dovrebbero consentire di realizzare. Numerosi sono i Comuni interessati al progetto, e il modo prescelto per coinvolgerli è l'Accordo di programma per l'attuazione del Piano di area vasta. Con questo piano si intende valorizzare aree "leader" e aree di sviluppo. Attraverso i ricavi futuri derivanti dagli insediamenti produttivi o dalle attività di servizio in termini di entrate tnbutarie o paratributarie (dall'incremento dell'Io generato dagli insediamenti realizzati, all'incremento della tassa di iscrizione alla Camera di commercio, ai ricavi e contributi per opere di urbanizzazione e infrastrutturazione e ad altri ricavi più o meno parafiscali), si conta di ripagare i finanziamenti privati. Insomma, ci si può anche allontanare, in prospettiva, da un vero Ppp. La "cattura di valore" ipotizzata può consentire forme varie di finanza strutturata in ragione delle modalità di realizzazione. D'altra parte, una volta escluso di far ricorso al pedaggio, siamo abbastanza fuori dalla finanza di progetto. Quel che conta, in tale operazione, è intanto il finanziamento statale per la costruzione dei 158 Km di strada previsti, da appaltare secondo il modello del Contraente generale. I casi sui quali ci siamo soffermati sono diversi fra loro per molti aspetti. C'è il caso di una società mista che è un esempio dei molteplici ostacoli di cui occorre tenere conto. Un altro caso è il disegno ipotetico di una società mista in termini non soltanto di pubblico-privato ma di integrazione ferrovia e autostrada. Ancora, c'è il caso di una società pubblica con potenzialità di divenire mista ma rimasta ad una potenzialità non realizzata. La società dell'ultimo caso è anch'essa p0tenzialmente mista, ma intanto ricorda modelli delle "partecipazioni statali". Quel che con questi spunti vogliamo segnalare è che, in un modo o nell'altro, le formule di Ppp istituzionalizzato vengono ad imporsi come riferimenti necessari pur in mezzo ad ostacoli di vario tipo. Naturalmente, non c'è prontuario, manuale XIV
o testo di legge - testo unico o non - che possa fornire risposte adeguate alla molteplicità dei casi. Una caratteristica va tuttavia sottolineata: il Ppp viene chiamato in causa non per un'attività economica ampia, diciamo di settore, che può realizzarsi per un numero non predefinito di opere e progetti, ma per attività riguardanti specfìche opere o infrastrutture da progettare, realizzare e gestire. In questo senso generale, si può parlare di società progetto. Senza particolari con notazione tecniche a parte quelle riferite a società così denominate in specifiche norme. Ci si potrebbe lavorare per mettere a punto percorsi procedurali, contenuti contrattuali e formule di governance. Prendendo atto di trovarci in quel mare aperto che le considerazioni sulla incertezza delle nozioni hanno messo in evidenza. E bisognerebbe prenderne atto con atteggiamento positivo. Tuttavia, in questo mare aperto si possono trovare scogli affioranti che rendono perigliosa la navigazione. Viene in mente la questione della responsabilità degli amministratori. Una recente giurisprudenza delle Sezioni Unite della Cassazione ha affermato che per gli amministratori di società pubbliche o a partecipazione pubblica è possibile ipotizzare una responsabilità di tipo amministrativo con ricaduta nella giurisprudenza della Corte dei conti. La questione è molto importante. Si comprendono le ragioni di questa giurisprudenza se si considerano gli abusi delle esternalizzazioni formali di funzioni delle amministrazioni pubbliche attraverso il ricorso alle forme societarie. Come poi sia possibile dar seguito a queste indicazioni giurisprudenziali rimane, se non misterioso, certamente poco chiaro. Soprattutto dopo che il processo societario di cui al d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5 (aggiornato al d.lgs. 40/2006 in materia di ricorso per Cassazione e giudizio arbitrale) sta dando buona prova a fronte della perdurante inefficienza del processo contabile. Problemi del genere vanno tenuti ben presenti per essere affrontati, ad esempio, in sede statutaria, attraverso strumenti, oggi ampiamente disponibili, di controllo interno. Senza farne un alibi per atteggiamenti di inerzia.
PER FINIRE, ALCUNE PROVOCAZIONI E PROPOSTE
Alcune considerazioni conclusive sono necessarie; che prendano spunto dal quel che si è detto finora e da quanto l'intero numero della Rivista suggerisce. Dibattere di Ppp non è possibile senza collocare il discorso entro coordinate piii ampie. Fra concorrenza e crescita, fi-a Stato e cittadini-utenti. La materia del Partenariato si deve raccordare, innanzitutto, con le formule della concorrenza per il mercato, cioè con le modalità per creare, in qualche misura, una reale competizione in campi
dove non è possibile che questa si realizzi naturalmente. Tanto più se si ha bisogno di investimenti privati di grande o comunque consistente entità con assunzione di vari rischi consequenziali da parte dei privati (il che spinge questi ultimi a difendere e salvaguardare i propri investimenti con tutti i mezzi possibili). Il capovolgimento della logica economica dell'appalto nel quale le risorse finanziarie provengono dallo Stato e dagli altri enti pubblici non è di poco conto, anche quando questo capovolgimento non sia totale. Per quanto riguarda gli obiettivi di sviluppo (che nel campo di infrastrutture e servizi pubblici sono connaturali alla materia), non è sempre facilmente dimostrabile che lo sviluppo sia ovvia e rigorosa conseguenza della concorrenza, come avviene in mercati di scambio ampi con soggetti che sono attivi permanentemente. Nei marchés public la concorrenza si condensa, quando è possibile, nelle fasi iniziali, cioè nell'aggiudicazione dei contratti o degli incarichi. Dunque, la forte insistenza sulla maggiore concorrenza possibile in termini di gare si fonda su un assunto di principio che andrebbe sempre verificato nei singoli casi. Ben valutando, con opportune simulazioni, le fasi applicative e realizzative. In ogni caso, è certo che tutta la problematica delle gare e delle competizioni è stata profondamente mutata in conseguenza del fatto che la ragion d'essere prevalente delle gare non è più quella tradizionale (come, per esempio, l'interesse pubblico a spendere il meno possibile. Poi magari accade che le gare sul prezzo spesso si riso1vano in gravi danni per l'Erario. Ma questa è un'altra questione). La ragione delle gare sta adesso nel garantire la maggior competizione posibile. I diretti interessati sono le imprese che possono concorrere. Viene, invece, dato per implicito che sia così soddisfatto l'interesse dei cittadini utenti. Il che è vero in linea di massima, ma occorre sempre accertarsene. Tant'è che andrebbero normalmente considerati atti necessari di gara i contratti di servizio e le carte dei diritti degli utenti. In tutti quei casi, ovviamente, che si prestano a tale pre-definizione. Il punto va sottolineato e ricordato con puntiglio. Non basta costringere le amministrazioni pubbliche a fare confronti, ad affrontare il mare aperto del dialogo/scontro con il mercato. Occorre costringerle ad avere sempre presenti gli interessi legittimi dei cittadini-utenti. Anche tenendo conto di quest'ultima esigenza, viene in evidenza la necessità che tutte le forme di competizione, anche in ambito di Ppp, prendano l'avvio da atti di cui una qualche autorità possa produrre certificazione di congruenza e completezza rispetto ai principi base. In qualche modo, un visto motivato da un organismo terzo potrebbe rivelarsi necessario. Senza dire che potrebbe anche servire ad allentare la morsa dei contenziosi successivi e della giurisprudenza che spesso, su base pretoria, ridetermina in maniera ondivaga principi e regole. Naturalmen-
te, tutto ciò senza cadere nella logica regressiva dei controlli preventivi di legittimità. È un punto da studiare.
e governo del territorio. Il Partenariato pubblico-privato è innanzitutto una risposta al fabbisogno infrast-rutturale. Ma come si identifica correttamente tale fabbisogno? L'ultimo dei "documenti di lavoro" pubblicati nelle pagine che seguono si sofferma ampiamente sulla questione dello scouting dei progetti che possono essere oggetto di iniziative di partenariato. In verità, la corretta individuazione di tale fabbisogno comporta, o comporterebbe, un corretto interpello dei documenti e/o dei meccanismi di determinazione delle destinazioni dell'uso del territorio, che abbiano un orizzonte temporale di medio-lungo periodo. In sostanza, ilfabbisogno infrastrutturale dovrebbe essere fatto oggetto di una aggiornata pianfìcazione urbanistica che tenga conto - con flessibilità e congrue capacità di aggiornamento delle i nterrelazioni fra vari livelli di governo con marcata attitudine ad intercettare le esigenze espresse dal basso e valutarne l'adeguatezza. Una buona ricognizione delle idee di infrastrutturazione di un territorio deve tener conto di molti aspetti. Prima di tutto, del fatto che l'economia cosiddetta della conoscenza ha bisogno di infrastrutture che non sono solo quelle tradizionali (come strade, ferrovie e così via). Contemporaneamente, occorre prendere finalmente atto che, comunque, la regolazione dell'uso dei suoli non può procedere indipendentemente da un piano della mobilità. Un coordinamento di queste due linee di governo del territorio sembra strettamente necessario. Né si può mancare di far cenno, in quest'ordine di idee, alla questione della buona elaborazione dei piani triennali dei lavori pubblici previsti dalla legge 11febbraio 1994, n. 109 e successive modificazioni ed integrazioni. All'art. 14 (Programmazione dei lavori pubblici), comma 2, si legge: "Il programma triennale costituisce momento attuativo di studi di fattibilità e di identificazione e quantificazione dei propri bisogni che i soggetti di cui al comma i predispongono nell'esercizio delle loro autonome competenze e, quando esplicitamente previsto, di concerto con altri soggetti, in conformità agli obiettivi assunti come prioritari. Gli studi individuano i lavori strumentali al soddisfacimento dei predetti bisogni, indicano le caratteristiche funzionali, tecniche, gestionali ed economico-finanziarie degli stessi e contengono l'analisi dello stato di fatto di ogni intervento nelle sue eventuali componenti storico-artistiche, architettoniche, paesaggistiche, e nelle sue componenti di sostenibilità ambientale, socio-economiche, amministrative e tecniche. In particolare, le amministrazioni aggiudicatrici individuano con priorità i bisogni che possono essere soddisfatti tramite la realizzazione di lavori finanziabili con capitali privati, in quanto suscettibili di gestione economica". Malgrado queste indicazioni normatiPpp
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ve, i piani territoriali si sono molto spesso ridotti ad adempimenti stanchi e meramente formali, mentre il loro ruolo è assai importante in sede operativa. Infine, in questa prospettiva, vanno approfondite le interdipendenze fra l'esatta individuazione del fabbisogno infrastrutturale e la nuova legislazione urbanistica di cui sono promotrici le Regioni. Varie sono le leggi urbanistiche regionali emanate negli ultimi anni. Da ultimo va segnalata quella del Friuli-Venezia Giulia. Qui, la nuova legge urbanistica n. 5 del 23 febbraio 2007 ("Riforma dell'urbanistica e disciplina dell'attività edilizia e del paesaggio", pubblicata sui Bollettino ufficiale regionale n. 9 del 28 febbraio 2007) va a sostituire la legge regionale n. 52/1991, introducendo norme interessanti sulla pianificazione sovracomunale (fondamentale per settori i cui diagrammi di intervento non raggiungono una configurazione efficace su scala comunale), e si preoccupa - attraverso la pianificazione territoriale regionale - di contenere "il consumo del territorio" in una logica di sviluppo sostenibile. Contro il rischio che l'inutilizzabilittì del suolo costituisca un vincolo strutturale allo sviluppo economico. La legge in questione prevede, insieme al ricorso ad innovativi strumenti di perequazione e compensazione urbanistica, due livelli di pianificazione comunale: strutturale e operativo. Il Piano strutturale comunale costituisce il quadro conoscitivo del territorio entro il quale tracciare le strategie e le azioni per lo sviluppo, la conservazione e la valorizzazione delle risorse essenziali, e definisce le metodologie e gli ambiti di perequazione e compensazione urbanistica, di compensazione territoriale. Il Piano operativo comunale è lo strumento esecutivo: ripartisce il territorio comunale in zone omogenee con relative destinazioni d'uso, stabilisce norme tecniche di attuazione degli interventi e disciplina gli interventi oggetto della perequazione urbanistica. Dell'urbanistica delle Regioni occorre occuparsi approfonditamente. Un duplice profilo del "privato" attore del Ppp: il privato sociale e il privato imprenditoriale. La questione del governo del territorio porta in primo piano i vari possibili soggetti del privato che sono coinvolti o sono da coinvolgere nel Ppp. Una sottolineatura del CESE innanzi riportata riguarda la necessità di prendere in considerazione le proposte del privato già prima che si debba parlare di singole operazioni, cioè nella fase di individuazione delle medesime. E tuttavia, a questo riguardo, non è proprio immediata l'identflcazione del privato propositore nel mondo delle imprese. Piuttosto, l'esperienza già fatta nel lavoro di pianificazione strategica di molte città - che il Libro bianco del Css sulle Tendenze e politiche dello sviluppo locale in Italia ha ritenuto di segnalare come un percorso da seguire, e di cui ha dato documentazione questa rivista (cf. Maura e Pierfranco Pellizzetti, "Piani strategici per il futuro delle città. La rosa di Londra"; Turiddo Pugliese, "Venezia 2004XVIII
2014: il percorso di un piano strategico", in queste istituzioni, anno )OO(, n. 135/2005) - pone al centro del governo del territorio l'incontro fra i soggetti, o meglio i livelli di governo, della sussidiarietà verticale con i soggetti della sussidiarietà orizzontale che possono essere enti funzionali o soggetti espressione delle "libertà sociali", secondo un'espressione cara alla Corte costituzionale. La messa a punto e l'aggiornamento costante dei piani strategici richiedono, ed i casi di successo lo suffragano, un assetto di forte partecipazione di molteplici soggetti, associativi e non, che hanno voce in capitolo sui territorio. Fra tali soggetti, spiccano k fondazioni di origine bancaria le quali hanno come finalità - che attraversa tutti i settori d'intervento - lo sviluppo economico e sociale del territorio. Ora, è proprio alle fondazioni che può far capo un'opera di coordinamento e prima ancora di "auscultazione" e di proposta nella fase predecisionale relativa non soltanto alle linee generali della pianificazione urbanistica nel senso innanzi indicato, ma anche, e più specificamente, nella corretta identificazione del fabbisogno infrastrutturale. Lidentificazione delle fondazioni di origine bancaria come possibili "promotori" di specifiche iniziative di PPP - identificazione impossibile dato il carattere non Lucrativo delle medesime fondazioni (i promotori, in senso proprio, sono imprese) ricordato come criterio generale di qualificazione dalla Corte costituzionale - in conseguenza del fatto che una legge del 2002 indica fra i "settori ammessi" della loro attività i lavori pubblici, è mero frutto di superficialità. Invece, è possibile ed auspicabile un ruolo attivo delle fondazioni come soggetti che facilitino le strategie di base e gli studi di fattibilità per il governo del territorio, ivi compresa una corretta individuazione delle infrastrutture da realizzare o da ammodernare. In questo capitolo rientra un'approfondita considerazione del ruolo che le fondazioni possono avere a seguito della loro partecipazione aL capitale della Cassa depositi e prestiti da quando questa è stata trasformata in società per azioni, alla fine del 2003. Non si può proprio dire che ne sia nato finora un disegno compiuto in termini di strategia della Cassa, da una parte, e di strategia delle fondazioni, dall'altra. Né si può immaginare semplicisticamente che le fondazioni funzionino come una sorta di "terminali" della Cassa sul territorio, almeno in senso di raccolta di informazioni e conoscenze. Tutto questo fascicolo, ma soprattutto il Programma di ricerche che chiude i "Documenti di lavoro" pubblicati più avanti stanno a dimostrare la complessità del lavoro ricognitivo da compiere.
Abbiamo detto innanzi che i piani triennali dei lavori pubblici hanno un ruolo importante: essi, in realtà, servono a segnare la soglia di ingresso del privato imprenditoriale. È da quando un'opera entra nel piano triennale che quest'ultimo viene allertato affinché si prepari ad eventuali competizioni anche nei termini del Partenariato pubblico-privato. Deve essere ben chiaro alla pubbliche amministrazioni che dette compe-
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tizioni hanno un grado di difficoltà maggiore di quelle relative agli appalti tradizionali (rinviamo, al riguardo, al Programma di ricerche già citato e pubblicato fra i "Documenti di lavoro" di questo fascicolo). Esse vanno preparate per tempo.
I Fondi per il Ppp e per gli investimenti nelle infrastrutture. La garanzia degli investimenti (riconsiderando una proposta dellABI). L'economia del Partenariato pubblicoprivato si è arricchita, nel nostro Paese, di due nuovi soggetti di imprenditorialità finanziaria orientati al suo sviluppo. A fine 2006 ha preso l'avvio il Fondo Ppp Italia, primo fondo chiuso di diritto italiano dedicato al Partenariato pubblico-privato. Sottoscrittori del Fondo sono la Banca europea per gli investimenti, la Cassa depositi e prestiti, il gruppo bancario tedesco MW (Kreditanstalt fur Wiederaufbau), il Banco Espirito Santo de Investimento e alcune fra le maggiori fondazioni italiane di origine bancaria. La sottoscrizione di quote del fondo da parte di queste ultime rientra nella loro politica di diversificazione relativa agli investimenti patrimoniali, secondo il criterio dei cosiddetti program related invest'ments delle fondazioni (di cui si è parlato di recente su questa rivista nel numero 132/inverno 20032004). Il Fondo ha come obiettivo la creazione di un portafoglio di partecipazioni azionarie "sia in società intestatarie di concessioni di costruzione e gestione di infrastrutture pubbliche, sia in progetti e reti infrastrutturali di società ex municipalizzate che operano nel settore dei servizi pubblici locali (elettricità, gas, acqua, rifiuti)". La preferenza andrà alle "società progetto" di valore compreso fra i 10 ed i 350 milioni di euro. Il fondo investirà, a seconda dei casi, in diversi stadi del ciclo di vita di dette società progetto, ma "opererà anche - si legge nel comunicato stampa con cui si è data notizia del Fondo - come promotore di nuove infrastrutture di interesse significativo". Con la dotazione massima oggi consentita di 120 milioni di euro, costituisce un prototipo di tutto rispetto che, in caso di successo, potrà aprire la strada ad altri fondi del genere. Per quella parte di missione del Fondo che consiste nel promuovere, come appena detto, nuove infrastrutture si pone per lo stesso la problematica della ricognizione corretta del fabbisogno infrastrutturale su determinate aree del territorio che è oggetto di considerazione in queste stesse note introduttive e in altre pagine del presente numero monografico. Ambizioni maggiori ha il Fondo infrastrutture italiane, sinteticamente denominato F2i, che ha come sottoscrittori le grandi banche - fra le quali alcune banche internazionali d'affari, la Cassa depositi e prestiti e le maggiori fondazioni di origine bancaria - e mira ad una dotazione complessiva di 2 miliardi di euro. Obiettivo del Fondo sono le grandi opere che hanno un regime giuridico e operativo a sé stante. Se F21 si interesserà anche ad opere o progetti di minore dimensione si ripresenterà anche per questo fondo la problematica cui abbiamo appena accennato.
Il Fondo, d'altra parte, sembra un modello operativo più adeguato ad affrontare la questione dell'investimento nelle infrastrutture. Certamente migliore di quello fornito da Infiastrutture Spa, società di capitali creata dalla Cassa depositi e prestiti, che si è rivelata un completo fiop, per difetto di costruzione, fino alla sua chiusura con le leggi Finanziarie 2005 e 2006 (comma 79 della legge 23 dicembre 2005, n. 266 e comma 967 della legge 27 dicembre 2006, n. 296, con i quali Infrastrutture Spa è stata prima fusa per incorporazione, con effetto dal primo gennaio 2006, nella Cassa depositi e prestiti che ne assume tutti i beni, i diritti ed i rapporti giuridici attivi e passivi; quindi, la Cassa depositi e prestiti Spa ha promosso le iniziative necessarie per la liquidazione del patrimonio separato costituito da Infiastrutture Spa). Un'ultima questione merita di essere qui citata. Un paio di anni fa, l'Associazione bancaria italiana presentò le linee di un progetto volto a costituire una società pubblico-privata che avesse il compito di contro-assicurare gli operatori del mercato sia degli appalti pubblici che delle iniziative di Projectfinancing. Alla costituzione della società si immaginava che avrebbe potuto partecipare in misura cospicua la Cassa depositi e prestiti insieme a banche, assicurazioni, imprese di costruzione, imprese concessionarie. L'ABI partiva dalla considerazione dell'entità delle garanzie oggi richieste agli appaltatori a favore delle stazioni appaltanti in termini di "garanzia definitiva" per coprire gli oneri per inadempimenti del contratto. Il discorso veniva fatto in riferimento alle grandi opere, sottolineando il fatto che i garanti di matrice bancaria potrebbero non essere in grado di soddisfare le esigenze delle imprese. Per le opere di più modeste dimensioni, quelle intorno alle quali possono gravitare iniziative importanti di sviluppo locale, il discorso è lo stesso. Vale sia per il sistema delle banche popolari o di credito cooperativo, sia per le banche maggiori nelle loro branchs dedicate alle esigenze del territorio. Qui, anzi, la mancanza di un "garante" di secondo livello impedisce, in definitiva, l'avvio significativo del Partenariato pubblico-privato come strumento di sviluppo locale. Nel Mezzogiorno, dove il problema "garanzie" diventa ancor più importante in ragione anche degli evidenti rischi ambientali, varrebbe la pena, dunque, di compiere un esercizio costruttivo mirato al campo delle garanzie. Potrebbe risultarne la nascita di un volano di grande valore. SERGIO RISTUCCIA
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"Documenti di lavoro"
Questa rivista coltiva, sin dalle origini, un particolare interesse per i temi urbanistici e del governo del territorio. Se ne trova ampia traccia nelle pagine di numeri monografici e numeri ordinari. L'elenco dei contributi via via apportati alla materia sarebbe assai lungo, ma è il caso di richiamarne alcuni. Sul tema della "pianificazione territoriale" (particolarmente seguito nel periodo fra il 1980 e il 1993): Alberto Lacava, Pianificazione territoriale e autonomie locali dopo la legge Galasso, n. 6911986; Carlo Gasparrini, Piano e gestione del piano, n. 81-8211 990; Giulio Lamand.a, Una capitale per la Repubblica. Benefici e mezzi di un programma di sviluppo urbano a Roma dopo la legge n. 396/1990, n. 83-8411990; Maurizio Coppo, Piano, risorse, territorio, n. 9411993; Lorenzo Bellicini, Piano o progetto: tra complessità, rapidità del mutamento e competitivita economica, n. 9411993; Gianluigi Nigro, Il superamento della visione autoritativa della pianificazione, n. 9411993; Federico Spantigati, Il piano di interesse nelle periferie, n. 9411993; Paolo Urbani, Riforma dell'urbanistica o attuazione della disciplina, n. 9411993; Valeria Giannella, Urban Centers e politiche delle città, n. 12412001. A questi articoli si aggiungono quelli già citati nell'editoriale-introduzione di questo numero monografico. Sulle "infrastrutture" ricordiamo: 1
Marcelle Fabbri, Perché un nuovo Progetto. Architetture per la seconda "rivoluzione urbana", n. 75-7611988; Fabio Angelico, I grandi interventi infrastrutturali tra governo centrale e amministrazionilocali, n. 81-8211990; Daria Ciriaci, I trasporti del Sud nel contesto europeo, n. 125-126/2002. L'interesse per le tendenze e gli strumenti - tra pratiche quasi pionieristiche, esperimenti da dimenticare e legislazione setto riale - rinvenibili nell'ampio settore del go verno del territorio tra istituzioni, urbanistica e mercato non ha grande bisogno di essere coltivato per mantenersi vivo e produttivo, poiché si tratta di materia quotidiana, nella duplice accezùme di "argomento oggetto di un continuo e rinnovato dibattito" (in sede di legislazione, concertazione, copertura giornalistica e specialistica, etc.) e di "(dura) materia della nostra esperienza di ogni giorno ' nelle realtà in cui viviamo e sperimentiamo concretamente il raggio delle nostre potenzialità di azione ed intervento. Sicché, come natùrale prosecuzione ed approfondimento delle suggestioni e delle analisi frutto del filone di studio in questione, si è costituito negli ultimi anni, intorno alla rivista, un tavolo di lavoro formato per lo più da professionisti del settore - nel quadro istituzionale e normativo della politica nazionale per lo sviluppo locale (centro e perftria; pubblico e privato; istituzioni, parti sociali e cittadini; mercato e concorrenzialità, diritti e servizi; sussidiarietà e pere quazione), che ha dedicato una particolare attenzione ai problemi del Partenariato pubblico-privato. Nelle pagine che seguono pubblichiamo i documenti di lavoro di questo gruppo di studio, a mo' di giornale di bordo, al fine di ricostruire e mappare il percorso ed. i processi di evoluzione e mutamento delle politiche e delle proposte, evidenziandone punti critici e leve strategiche. Hanno fatto parte di questo gruppo di lavoro, diretto da Sergio Ristuccia: Fabio Biscotti, Rosalba Cori, Giorgia Crotta, Elisabetta Pezzi, Massimo Ribaudo, Marco Saverio Ristuccia, Claudia Sensi, Andrea Spadetta, Valeria Valiserra, Donatella Viscogliosi. Il gruppo si è avvalso, in alcune fasi, del contributo di Marco Contardi, Paolo Urbani e Lorenzo Passeri. -
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queste istituzioni n. 1401143 Annate 2006
Ppp e iniziative locali: i punti da cui partire (2003)
Si legge sui giornali: "I privati disertano le grandi opere" (Il Sole 24 Ore, 14 marzo 2003). E poi: "Ma la corsa si fa sui fondi pubblici: già 100 progetti presentati" (il Sole 24 ore Edilizia e Territorio, 24-29 marzo 2003). Il gran parlare di finanza di progetto e di partenariai-o pubblico-privato per la realizzazione di una politica delle infrastrutture sembrava dunque chiudersi nel nulla. Conclusione vera, per molti aspetti, e tuttavia con molti ma.
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Innanzitutto, che fosse improbabile sostituire buona parte degli investimenti pubblici in lavori pubblici ed infrastrutture con investimenti privati era chiaro a chi avesse considerato con realismo l'esperienza internazionale e soprattutto le esperienze europee in materia di project financing. Al riguardo, la vicenda Eurotunnel è significativa, data la periodica richiesta di fondi ai governi dell'una e dell'altra sponda della Manica, essendo da sempre insufficienti i ricavi della gestione. Anche se i Governi, con l'accordo di 'Canterbury si sono impegnati a non dare contributi. Eurotunnel è diventata la scena della rivolta dei piccoli azionisti. Altro castello di carte, il ponte sullo stretto di Messina. Naturalmente, bisogna guardare al complesso del fenomeno opere pubbliche o di interesse pubblico. Non ci sono soltanto le grandi opere. Se si considerano le infrastrutture locali che non sono di per sé "piccole" opere, le rilevazioni di fine 2003 segnalano che il valore dei lavori realizzati attraverso il Project financing rappresenta quasi un quarto della spesa totale per le opere pubbliche. Il numero delle gare con finanziamento pubblico-privato indette in Italia - superiore a 1000 nel 2003 - è cresciuto molto rapidamente rispetto al recente passato.Sono state le amministrazioni comunali a svolgere un ruolo di primo piano dando luogo al 90% circa delle iniziative. Il trend evidenziato per il 2003, ha trovato conferma nel 2004, anno in cui si è verificato un aumento delle iniziative di PF indette dai Comuni fi3
no a 25.000 abitanti, per la realizzazione di opere di riqualificazione urbana, impianti sportivi, infrastrutture a rete. 3. Alcune prime osservazioni sono possibili riguardo a questi dati sommari. La prima. È vero che risorse private erano e sono disponibili. Ad una condizione fondamentale: che sia accurato e credibile, alla prova dei migliori e più affinati test, il calcolo dei rischi dell'investimento e che comunque sia disponibile il volano pubblico innanzitutto come "prestatore di lungo eperiodo" e in secondo luogo come apportatore di garanzie o "compensi" almeno parziali della profittabilità dell'investimento. Apprestare questo volano non è facile in tempi di finanza pubblica con risorse sempre più scarse e costrette a scontare disponibilità future. La seconda. Le riforme che si sono susseguite nell'ultimo decennio in materia di lavori pubblici e di urbanistica sono tali, e spesso di segno diverso, che non è pensabile ne nascessero spinte immediate per l'investimento privato in operazioni pubbliche o di interesse pubblico, spesso peraltro neppur ancora definite nella pre-progettazione. Lasciamo perdere - per non entrare in divagazioni sulla cultura politica del Paese - il fenomeno ricorrente, pur al cambiare di maggioranze ed orientamenti politici, che fattore decisivo di cambiamento sia sempre considerata la legge. Come dire: l'illusione che dalla Gazzetta Ufficiale alla realtà concreta il passo è breve si perpetua maldestramente malgrado ogni evidenza contraria. In realtà, è fondato il sospetto che fare una legge costituisca spesso un alibi per la cattiva capacità realizzativa in termini di amministrazione e di buon uso della legislazione vigente. Diciamo che, in ogni caso, i cambiamenti legislativi, anche quando fossero i migliori, hanno bisogno di essere "digeriti". Sono necessari tempi fisiologici non brevissimi. Tempi che il susseguirsi delle varie ondate legislative ha inevitabilmente allungato'. La terza. Il capitale privato si impegna più facilmente se le dimensioni dell'opera e i ricavi della gestione permettono al medesimo capitale di essere "paziente" ma sicuro quanto a remunerazione dell'investimento e copertura del rischio. A ciò si aggiunga che la combinazione delle norme consente di individuare diverse forme di integrazione del prezzo che possono variare a seconda delle esigenze del caso e che si ispirano, in sostanza, al principio dello scambio negoziale tra pub-
buco e privato. Si pensi ai casi in cui il Project financing viene utilizzato per la realizzazione di un'opera pubblica "tiepida", la cui gestione non frutta ricavi di per sé sufficienti a coprire le spese di realizzazione sostenute dal promotore. A garanzia di quest'ultimo interviene un finanziamento della Pubblica Amministrazione, che non necessariamente deve consistere in una dazione economica, ma che può tradursi in uno scambio di prestazioni, di diritti edificatori strumentali alla realizzazione di interventi che poi vanno effettivamente a soddisfare economicamente il privato. L'ambito locale può, in linea di massima, risultare più propizio. La crescita delle iniziative che è dato rilevare viene perciò ricollegata al cosiddetto "Project financing spurio", secondo un'efficace espressione di Paolo Urbani. Alcuni approfondimenti sono, a questo punto, necessari.
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In verità, il legislatore nazionale, con gli artt. 37 bis e ss. della legge 11.2.1994, n. 109, ha posto in essere un istituto che, pur trovando scaturigine nel project di origine anglosassone, appare - per le caratteristiche strutturali e procedimentali - solamente un "lontano parente". Si tratta, evidentemente, di una scelta permeata di un "sano" realismo politico ed espressione di una presa di coscienza della natura e delle caratteristiche del mercato nazionale degli appalti di lavori pubblici, probabilmente ancora impreparato a frònteggiare una situazione nella quale la realizzazione di un'opera pubblica e/o di pubblica utilità sia rimessa esclusivamente all'iniziativa privata dalla fase, embrionale, della sua ideazione e progettazione fino a quella, conclusiva, dell'esecuzione. Così il "nostro" Project financing risente, inevitabilmente, di tale commistione di requisiti ed elementi pubblici e privati e va quindi qualificato, rispetto al modello anglosassone, "spurio"; ciò perché la sequenza procedimentale, seppur impostata sull'iniziativa privata, presenta indiscutibili e, peraltro, rilevanti, momenti di ingerenza pubblicistica. In ogni caso, è però innegabile che - a ben guardare - la disciplina nostrana del Project financing denota una notevole elasticità. Lungi dall'essere uno strumento "statico" di realizzazione di opere pubbliche, l'istituto presenta una portata applicativa ben più estesa. Ad esempio, il meccanismo dello scambio negoziale pubblico-privato a cui si ispira, è capace di far ruotare intorno alla realizzazione di una 5
singola opera (pubblica e/o di pubblica utilità e gestibile economicamente) u. n intervento di più vasta portata rivolto al territorio. Ecco, dunque, che il Project financing si presta ad essere utilizzato quale strumento riconducibile alla logica dell'urbanistica consensuale al pari di altri noti istituti quali, appunto, gli accordi di programma, le società di trasformazione urbana e altri. Sotto tale profilo, la funzione urbanistica della disciplina degli usi dei suoli assume una rilevanza ben maggiore della mera esecuzione dell'opera pubblica. 5. Entriamo in qualche dettaglio. Partiamo innanzitutto dal 1° comma del citato art. 37 bis legge n. 109/1994, in base al quale i soggetti presi in considerazione dal 2 0 comma del medesimo articolo (fra cui va sicuramente ricompreso l'imprenditore privato) "possono presentare alle amministrazioni aggiudicatrici proposte relative alla realizzazione di lavori pubblici o di lavori di pubblica utilità". Si tratta dei lavori inseriti nella programmazione triennale, ovvero negli strumenti di programmazione formalmente approvati dall'amministrazione aggiudicatrice sulla base della normativa vigente. La realizzazione deve avvenire tramite contratti di concessione, di cui all'articolo 19, comma 2, con risorse totalmente o parzialmente a carico dei promotori stessi". Il punto fondamentale da chiarire è il seguente: mezzo esclusivo di esecuzione di lavori e opere pubbliche, nel caso di p.f., è l'affidamento di un concessione di ll.pp. che deve avere ad oggetto "la progettazione definitiva, la progettazione esecutiva e l'esecuzione di lavori pubblici o di pubblica utilità, e di lavori ad essi strutturalmente collegati, nonché la loro gestione funzionale ed economica". In altri termini, l'affidamento in concessione di lavori pubblici presuppone che l'opera da realizzare possa essere - dal concessionario - non solo realizzata, bensì anche gestita economicamente. Tale prima e indefettibile condizione di p.£ non significa, aprioristicamente, che non possono essere ricondotti all'oggetto dell'intervento anche lavori ed opere che non presentino la caratteristica della gestibilità economica. Questi lavori ed opere vanno semplicemente considerate quali profili, parziali di un intervento di più vasta portata che nel suo complesso sia suscettivo di essere gestito economicamente. Tale conclusione è chiaramente ricavata dalla lettura combinata dell'art. 37 bis con l'art. 19 della legge n. 109/1994; lettura dalla 6
quale si evince come oggetto del PF non sia solamente la realizzazione di opere pubbliche o di pubblica utilità, bensì anche la realizzazione di "lavori ad essi strutturalmente e direttamente collegati". 6. Dunque, il lavoro che non risulti gestibile economicamente, deve essere parte direttamente collegata, cioè strumentale, ad un operà pubblica (o di pubblica utilità) che invece sia gestibile economicamente: in questo quadro il cd. "prezzo" della prestazione resa alla PA costituisce uno snodo problematico dell'istituto risolto dal legislatore con originalità. Dal punto di vista del proponente, ovviamente, la condizione indefettibile è che l'intervento proposto sia comunque redditizio, ossia che i flussi di cassa negativi derivanti dalla realizzazione dei lavori pubblici siano comunque reintegrati dai flussi di cassa positivi scaturenti dai proventi della gestione dell'opera. È però possibile che in determinati casi la gestione non sia sufficiente a "coprire" le spese di realizzazione dell'intervento (come si dice non siano selfliquidating!). In presenza di tali opere - dette fredde o tiepide - il legislatore italiano ha aperto la via ad un p.f. "Spurio" nel quale la spesa economica per la realizzazione dell'intervento grava, oltre che sul privato anche sull'amministrazione, rappresentando, l'intervento di quest'ultima, l'unica via per garantire che il rendimento dd capitale privato sia maggiore del suo costo. Con riferimento specifico a tale situazione, l'art. 19, 2° comma, legge n. 109/1994 come modificato dall'art. 7 della Legge n. 166/2002, prevede che: "Qualora necessario il soggetto concedente assicura al concessionario il perseguimento dell'equilibrio economico-finanziario degli investimenti e della connessa gestione in relazione alla qualità del servizio da prestare, anche mediante un prezzo, stabilito in sede di gara". La PA è dunque chiamata ad intervenire mediante un "prezzo" che non necessariamente - giova ricordare - deve consistere nella dazione di una sommadi denaro, potendo, invece, sostanziarsi anche nel trasferimento di diritti reali su aree, nei c.d. "scambi edificatori", nel mero rilascio da parte della PA di titoli assentivi e così via. Si tratta, in buona sostanza, di un elemento accidentale della fattispecie negoziale, il contenuto del quale, comunque variabile, è rimesso all'incontro delle volontà delle parti contraenti, e la cui consistenza, che è indeterminata una volta caduto il limite fissato nel 50%, deve essere tale da far diminuire, se non eliminare, l'aleatorietà dell'intervento. 7
7. Ancora, il citato art. 7 legge n. 166/2002, estendendo anche alla concessione una norma precedente vigente per i soli appalti pubblici), ha disposto che: a titolo di prezzo, i soggetti aggiudicatori possono cedere in proprietà o diritto di godimento beni immobili nella propria disponibilità, o allo scopo espropriati, la cui utilizzazione sia strumentale o connessa all'opera da affidare in concessione, nonché beni immobili che non assolvano più a funzioni di interesse pubblico già indicati nel programma di cui all'art. 14, ad esclusione degli immobili da dimettere ai sensi del decreto legge 25.9.2001, n. 351, convertito con modificazioni nella legge 23 novembre 2001, n. 410". Insomma, il legislatore ha voluto in particolare inquadrare due casi specifici: cessione in proprietà o diritto di godimento di beni immobili a condizione che.essi siano strumentali o connessi all'opera da realizzare. La nozione di strumentalità presenta un suo specifico significato dovendosi per "bene strumentale" definire il bene utilizzato per la produzione di altro bene, sicché essa richiede una compenetrazione strutturale. La connessione si fonda su una nozione di portata più ampia che ha riguardo alla relazione funzionale fra i due beni; cessione di beni immobili espressamente indicati nella programmazione di cui all'art. 14 legge n. 10911994 e che non assolvano più a funzioni di interesse pubblico. Per concludere sul punto si può dire che la fattispecie in esame si presta ad una applicazione meno problematica rispetto ad altra, simile ma non analoga, della cessione di beni immobili in caso di vero e proprio appalto (comma 5-ter del citato art. 19). Difatti nel primo caso non si hanno complesse valutazioni delle offerte incentrate su meccanismi automatici di calcolo come è richiesto nel caso dell'appalto, ma ci si limita a verificare - ed è l'imprenditore proponente che valuta - se, di fatto, la remunerabilità dell'intervento possa essere raggiunta mediante la corresponsione di tale prezzo. 8. Tutto ciò premesso, sarebbe erroneo mettere da parte sbrigativamente ogni discorso sulla difficoltà di dipanare, secondo criteri di chiarezza, le fonti legislative che incidono sulla materia. Fondamentale è il quadro della gerarchia e delle interrelazioni fra legislazione comu8
nitaria (si aggiunga: così come interpretata dalla Corte di giustizia) e legislazione nazionale e fra questa e la legislazione regionale dopo la riforma del Titolo V della Costituzione. E stata assai dibattuta la necessità di emanare la legge 443/01 denominata Legge Obiettivo, ai fini della realizzazione delle grandi infrastrutture. Tuttavia, a distanza di quasi quattro anni dall'entrata in vigore della legge, le aspettative sembrano in parte disattese. Dalla Relazione sul primo programma di realizzazione delle infrastrutture di preminente interesse nazionale, presentata al Pàrlamento dal ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti alla fine dello scorso anno, emergono alcuni profili di criticità di non poco conto, quali l'eccessiva lungaggine dell'iter procedurale nella fase decisionale ed attuativa, il gap tra le azioni attivate e le risorse pubbliche rese disponibili, la scarsa partecipazione dei privati al finanziamentodelle suddette opere, infine, sul piano del bilancio dei costi-benefici, il dubbio circa la predisposizione di un sistema efficiente ed integrato - e che tenga conto delle priorità effettive - nella scelta ed attuazione delle infrastrutture strategiche. Si è dubitato persino della stessa legittimità costituzionale della Legge Obiettivo, salvata nel suo complesso - pur se con qualche aggiustamento - dalla Corte costituzionale (in particolare, la nota a sentenza n. 303 del 2003), attraverso una originale ricostruzione del rapporto tra le fonti. 9. Il punto di partenza della decisione dei giudici delle leggi sta nella necessità di garantire le "istanze di unificazione presenti nei più svariati contesti di vita". Tale esigenza impone di rendere flessibile la ripartizione della competenza legislativa in favore dello Stato, assunto come titolare naturale dell'attività unificante. Un elemento di flessibilità si rinviene nei principi di sussidiarietà ed adeguatezza che devono guidare l'allocazione delle funzioni amministrative: l'art. 118 della Costituzione, infatti, consente di spostare le funzioni amministrative - generalmente attribuite ai Comuni - al livello statale in presenza di un interesse pubblico (la soddisfazione di istanze unitarie) che sia valutato secondo i criteri di proporzionalità, ragionevolezza e leale collaborazione. L'attrazione in atto, per via di sussidiarietà di funzioni amministrative comporta necessariamente, secondo la Corte, conseguenze sull'esercizio della funzione legislativa: se la funzione amministrativa è ricompresa tra le materie di legislazione
concorrente ed essa, in virtù di istanze unitarie, è attratta in capo allo Stato, sarà la legge statale a dettare la disciplina di dettaglio. Se così non fosse, l'esercizio della potestà legislativa regionale porterebbe ad un risultato illogico, come la coesistenza di discipline differenziate una volta che la funzione venga esercitata a livello nazionale dall'amministrazione statale. Il principio di sussidiarietà - insieme al principio di adeguatezza con il quale va declinato - viene dunque concepito come fattore di dmamicità nell'ordinario riparto di competenze legislative tra Stato e Regioni, consentendo di correggere una lettura rigidamente statica del sistema fissato dall'art. 117 Cost.. Tuttavia, l'assunzione di funzioni amministrative (e con esse, l'esercizio di potestà legislative di regolamentazione) è subordinato ad un giudizio di ragionevolezza di cui è componente essenziale e condizionante l'intesa tra Stato e Regioni, queste ultime intese come tutte le Regioni interessate. 10. Dalla sentenza si ricava una lezione di dinamicità che va al di là della questione dei rapporti Stato/Regioni. Torniamo all'evoluzione della normativa. E partiamo da una constatazione. Finito il sistema di affrontare la politica delle infrastrutture e della stessa trasformazione urbana attraverso il meccanismo delle partecipazioni statali (all'interno del quale varie novità si erano realizzate, come per esempio la concessione di costruzione e gestione sia pure ex lege), la legislazione è venuta predisponendo una varietà di percorsi e figure utili per tale politica. Ricordiamo: - il promotore di opere pubbliche e le società di progetto; - le società di trasformazione urbana (STu); - il Generai contractor; - le società miste di gestione delle reti di infrastrutture funzionali alla gestione di servizi pubblici locali. E si può forse continuare. La domanda che sorge è questa: si tratta di figure che rimangono indipendenti l'una dall'altra? In che misura è possibile ibridarle e attraverso quali percorsi? Per esempio, una società di progetto può trasformarsi o essere fin dall'inizio una società di trasformazione urbana? Ancora, e soprattutto, la stessa iniziativa privata può farsi inizia-
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trice di questi processi di ibridazione, utili alla realizzazione dei progetti? La risposta che si può cogliere nelle stesse tendenze legislative, ma più ancora nella prassi, è positiva. Il che equivale a dire: non si può aspettare che una risposta venga dai poteri pubblici sempre e comunque per propria spinta autoritativa e seguendo percorsi prestabiliti. Infatti, nella stessa formulazione delle norme si rinviene l'intento del Legislatore di stimolare l'iniziativa privata. Il riferimento corre all'art. 37-bis, comma 1, legge 109/1994, come modificata dalla legge 166/2002, il quale consente il ricorso al Project financing non solo per le opere previste dagli strumenti di programmazione, ma anche per gli interventi non inseriti nella programmazione triennale. In particolare, la norma citata stabilisce che "i soggetti pubblici e privati possono presentare alle amministrazioni aggiudicatici, nell'ambito delle fase di programmazione di cui all'art. 14 della presente legge, proposte di intervento relative alla realizzazione di opere pubbliche o di pubblica utilità e studi di fattibilità. Tale presentazione non determina, in capo alle amministrazioni, alcun obbligo di esame e valutazione. Le amministrazioni possono adottare, nell'ambito dei propri programmi, le proposte di intervento e gli studi ritenuti di pubblico interesse, l'adozione non determina alcun diritto del proponente al compenso per le prestazioni compiute o alla realizzazione degli interventi proposti". Nello stesso senso si è orientata la legislazione regionale del Veneto (Legge regionale 07.11.2003 n. 27) e, soprattutto, del Friuli Venezia Giulia (Legge regionale 06.07.1999 n. 20, come modificata dalla legge regionale 15.02.2000 n.1) che è intervenuta prima ancora del legislatore nazionale, nonché il Regolamento della Provincia di Trento concernente la realizzazione di investimenti pubblici mediante il sistema del Project financing (DPGP n. 29-150 del 21 ottobre 2003). Si può, dunque, condividere l'interpretazione dell'ordinamento di chi ha scritto che il Project financing "è molto più di una complessa struttura finanziaria, si tratta di una vera e propria nuova filosofia di investimento e di relazione tra soggetti. Tale metodologia, infatti, consente di creare una vasta comunità di interessi nella fase di promozione dell'opera, creando una sortadi camera di compensazione delle differenti 11
posizioni, facendole convergere come unitaria forza propulsiva dell'opera" (così Anna Gervasoni, Ilprojectfinancing come strumento di sviluppo territoriale, in Impresa&Stato, n. 32). Gervasoni evidenzia che, con una inversione di tendenza rispetto al passato, l'iniziativa non è più una prerogativa del decisore politico: sono infatti i rappresentanti degli interessi locali, le associazioni industriali e le Camere di commercio, a "stimolare la pubblica amministrazione, consapevoli che la presenza di nuove infrastrutture sul territorio enfatizzi le potenzialità dello sviluppo e la razionalizzazione dei flussi delle aree interessate. Basti pensare alla rilevanza delle infrastrutture di trasporto e di comunicazione". 13. In questo quadro assume primaria importanza attuare una revisione degli interventi infrastrutturali da realizzare già previsti negli strumenti di programmazione. In proposito, Sistema/Italia il Rapporto 2003 sulle Autonomie locali di Unioncamere fotografa una situazione infrastrutturale critica, non soltanto per l'ammontare della spesa complessiva e per l'incapacità di trasformare le risorse economiche in opere finite, ma anche per la distribuzione sul territorio. La progettazione in termini di infrastrutture è sostanzialmente quella prodotta nella prima metà degli anni Novanta, gran parte della quale - per il blocco della spesa pubblica ed il conseguente arresto degli investimenti infrastrutturali - è rimasta irrealizzata. Oggi una ripresa del ciclo potrebbe avere effetti nell'arco di diversi anni. Il rischio generato da questa situazione è evidente: la realizzazione di infrastrutture disegnate per un assetto economico produttivo che, al momento in cui le opere saranno disponibili, sarà profondamente diverso. Occorre perciò attivare una riprogettazione dei modelli infrastrutture locali improntata ai modelli produttivi che si ritiene saranno più probabili nel prossimo futuro. Qui, di nuovo, appare fondamentale trovare procedimenti di integrazione fra la capacità propositiva dell'iniziativa privata e le decisioni programmatorie delle pubbliche amministrazioni. Può apparire di centrale importanza, al riguardo, il ruolo che possono giocare le Camere di commercio. In tale logica si colloca anche la recente Legge urbanistica delle Regione Campania (legge regionale 22.12.2004 n. 16), la quale all'art. 5 prevede che "Alle fasi preordinate all'adozione e all'approvazione degli strumenti 12
di pianificazione sono assicurate idonee forme di pubblicità, di consultazione e di partecipazione dei cittadini, anche in forma associata, in ordine ai contenuti delle scelte di pianificazione. Necessità prioritaria è quella di puntare sulla massima efficienza ed organizzazione, mediante la realizzazione di interventi secondari connessi alle infrastrutture principali e la connessione delle opere con quelle attività che traggono grande utilità dall'uso delle infrastrutture stesse. In proposito appare fondamentale tornare ai modelli organizzativi e contrattuali e al modo di integrarli. È da contrastare, innanzi tutto, il recupero dei nuovi istituti entro formule interpretative tradizionali e inutili. C'è un modo per esempio, di concepire le Società di trasformazione urbana che costituisce un caso di progressivo annullamento delle novità iniziali del modello. Le STU, introdotte dal legislatore nel 1997 per progettare, realizzare e commercializzare interventi di trasformazione su aree o immobili, offrono vaste potenzialità ai Comuni ed alle città metropolitane per attuare interventi di qualità sul territorio, con il coinvolgimento di risorse private. La ratio della previsione di questo nuovo strumento sembra rinvenirsi nella possibilità di un impiego di queste società per attuare interventi di trasformazione urbana secondo una logica finalizzata alla qualità e all'attuazione di un urbanistica in cui il territorio trasformato possa produrre reddito. In tale ottica, il legislatore riconosce che l'ingresso dei soci privati, con le competenze più appropriate in relazione alle necessità concrete della trasformazione, sembra essere la strada migliore. Tuttavia gli interpreti (cfr. circolare 622/2000 e TAR Umbria, sentenza n. 987/2003) sembrano delineare un quadro di applicabilità di tale istituto disancorata rispetto al quadro normativo di riferimento ed incentrata nel ruolo della progettazione, relegando le STU ad un mero strumento di studio tecnico esternalizzato del Comune per la pianificazione urbanistica. In questo modo risulta difficilmente giustificabile un interesse dei privati ad investire in progetti di riqualificazione urbana gestiti da STU.. 13
16. In chiave innovativa si colloca l'ipotesi di ricorso a forme di partenanato pubblico-privato per realizzare interventi infrastrutturali complessi, in termini progettuali e finanziari, per i quali gli Enti locali non hanno "ben chiare" le strategie d'azione. In altre parole, la realizzazione di un interesse pubblico, mediata attraverso l'intervento dei privati che apportano significativi benefici in termini di qualità e realizzabilità del progetto, vede la possibilità di ricorrere a Società di progetto "atipiche", caratterizzate da una operatività divisa in due fasi: - una prima fase di vita a governo prevalentemente pubblico, per consentire sia un forte coordinamento delle attività di competenza dei soggetti pubblici locali interessati, sia la realizzazione di studi di fattibilità e di progetti preliminari; - una seconda fase, contraddistinta dall'indizione di una o più procedure ad evidenza pubblica finalizzate alla sostituzione della compagine sociale iniziale e, quindi, alla selezione di partner privati ai quali viene attribuita l'attività di progettazione esecutiva, finanziamento, realizzazione e gestione dell'opera. In sostanza, è una forma equivalente di "promotore" e di Project financing che garantisce l'applicazione dei principi e delle disposizioni comunitarie e nazionali in materia di concorrenza per la costruzione e gestione di opere pubbliche, e che permette ai soggetti privati eventualmente interessati alla realizzazione dell'opera - di intervenire sulla base di uno studio di fattibilità complessiva dell'intervento, già predisposto e idoneo a contenere il rischio procedurale finanziario complessivo dell'operazione.
Tutti ricordano che la legge quadro in materia di lavori pubblici (legge n. 109/1994) è stata oggetto di ben tre interventi di modifica ad opera delle leggi n. 21611995; n. 41511998; n.
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16612002. Ad esse si aggiunge la legge 443/2001 (c.d. Legge Obiettivo), nonché il d.l.gs. 19012002 e il d.l.gs. 198/2002.
istituzioni n. 1401143 Annale 2006
Note a margine del Libro verde in materia di Ppp (2004)
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l Libro verde (C0M 327/2004) riguardante il fenomeno del Partenanato pubblico-privato, lo definisce comprendendovi quelle "diverse forme di cooperazione tra autorità pubbliche e mondo delle imprese che mirano a garantire il finanziamento, la costruzione, il rinnovamento, la gestione o la manutenzione di infrastrutture ovvero la prestazione di servizi " La nozione di Ppp da cui muove il Libro verde, dunque, è tale da ricomprendere un ampio spettro di casi che nascono dalle prassi più ancora che dalle legislazioni. La crescita del fenomeno - in un contesto dove, anche per effetto del Patto di stabilità interno, sono sempre più pressanti le restrizioni di bilancio degli Stati membri - è sostanzialmente ricondotta alla necessità, per gli apparati pubblici, di assicurarsi il contributo finanziario di soggetti privati per la realizzazione di opere e per la gestione di servizi. D'altra parte, non viene nemmeno sottovalutata l'esigenza, sempre nell'ottica delle opportunità per il settore pubblico, di beneficiare del know-how e dei metodi di funzionamento del settore privato. DEFINIZIONE DI PARTENARIATO PUBBLICO-PRIVATO
Nonostante la varietà dei casi e dei modelli, nel Libro verde si individuano una serie di elementi che normalmente caratterizzano le operazioni di Ppp in generale, quali: la durata relativamente lunga della collaborazione, che coinvolge diversi aspetti dell'iniziativa da realizzare (progettazione, realizzazione, gestione, finanziamento); - le modalità di finanziamento del progetto garantito, in tutto o in parte, dal settore privato (talvolta tramite relazioni complesse tra diversi soggetti finanziatori); - la rzartizione dei rischi tra il partner pubblico e quello privato sul quale sono dunque trasferiti parte dei rischi di solito a carico del settore pubblico; - il ruolo del partner pubblico, che tende a concentrarsi principalmente sulla definizione e sui controllo degli obiettivi d'interesse pubblico da rag-
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giungere, della qualità dei servizi offerti e della politica dei prezzi da praticare agli utenti. Sulla base delle anzidette caratteristiche sono pertanto ricompresi nella nozione di Ppp: - gli appalti volti alla progettazione e/o alla realizzazione di lavori pubblici e quelli per l'affidamento dell'esercizio di servizi pubblici; - le concessioni (progettazione, realizzazione, gestione, finanziamento) di lavori e di servizi pubblici; - le cessioni, integrali o parziali, di quote di società o altri organismi di natura pubblica che operano nell'ambito dei settori dei lavori e/o dei servizi pubblici; - la costituzione di società o altre entità miste che operano nell'ambito dei settori dei lavori e/o dei servizi pubblici; - tutte le altre forme che si estrinsecanò, in generale, nell'affidamento di una missione ovvero di un incarico ad un partner privato per l'esecuzione e io sfruttamento di lavori pubblici ovvero per l'approntamento e la gestione di servizi pubblici. Il Libro Verde distingue poi le diverse forme di PPP considerate in due macro categorie: PPP di tipo contrattuak "partenariato basato esclusivamente sui legami contrattuali (di tipo non associativo, n.d.r.) tra i varisoggetti. Esso definisce vari tipi di operazione, nei quali uno o più compiti più o meno ampi - tra cui la progettazione, il finanziamento, la realizzazione, il rinnovamento o lo sfruttamento di un lavoro o di un servizio - vengono affidati al partner privato". PPP di t4o istituzionalizzato: partenariato basato sulla creazione o sulla trasformazione di entità distinte di tipo associativo (cessioni di quote più o meno ampie di entità pubbliche già esistenti, sino a giungere al passaggio dell'entità sotto il controllo privato, ovvero costituzione di entità miste pubblico-private), con le quali i partner privati hanno l'opportunità di contribuire alla progettazione/realizzazione/gestione di infrastrutture pubbliche e/o all'approntamento/gestione di servizi pubblici nazionali e locali. La Commis ione fonda questa distinzione sulla constatazione che la diversità delle pratiche di PPP che si incontrano nei diversi Stati membri può essere ricollegata a questi due grandi modelli, per ognuno dei quali si pongono questioni particolari riguardo all'applicazione dei diritto comu16
nitario degli appalti pubblici e delle concessioni, anche tenuto conto delle innovazioni introdotte nelle recenti direttive in materia (quasi contestuali alla pubblicazione del Libro verde).
Il PPP contrattuale Nell'ambito del PPP di tipo contrattuale, il Libro verde riconduce tanto al "modello concessorio" (caratterizzato, almeno normalmente, dalla partecipazione del soggetto privato al finanziamento dell'operazione, dall'assunzione o dalla condivisione dei rischi economico-finanziari dell'iniziativa, dalla prolungata cooperazione con il soggetto pubblico concedentel), quanto l'affidamento di lavori o di servizi mediante appalto pubblico. Guardando alle forme di Ppp rinvenibili nell'ambito della disciplina nazionale dei lavori pubblici va subito detto che entrambe le suddette tipologie di partenariato (appalto e concessione) sono presenti nella legislazione e nella prassi nazionale, ma è da discutere una nozione così ampia. Il modello dell'appalto, infatti, codificato nella 1. 109194, è normalmente privo degli elementi che caratterizzano le operazioni di Ppp di cui abbiamo accennato in precedenza. Solo in alcuni casi particolari e non tipizzati l'appalto può presentare alcune delle suddette caratteristiche (ad esempio, nel caso in cui all'appaltatore è affidato il compito di progettare e realizzare determinati beni o servizi per la pubblica amministrazione, anche mediante il suo apporto economico-finanziario, nella prospettiva di sfruttarli economicamente insieme al soggetto pubblico appaltante). Qui siamo di fronte all'ibridazione di varie figure contrattuali così come nel c.d. giobal service. Espressione, questa, con cui si indica una particolare tipologia contrattuale avente ad oggetto una molteplicità di servizi eterogenei tra loro e che consente all'Amministrazione di avere un unico interlocutore responsabile delle diverse prestazioni con conseguente razionalizzazione e riduzione dei costi e, quindi, con un miglior soddisfacimento dell'interesse pubblico. Di deroga alle norme generali in materia di lavori pubblici, si deve parlare per la c.d. Legge obiettivo per le grandi opere (d.lgs. n. 190/2002, recante la disciplina per la realizzazione delle infrastrutture strategiche di preminente interesse nazionale) che prevede il ricorso alla concessione di costruzione e gestione ovvero l'affidamento unitario delle attività al generai contractor. Con quest'ultima forma di contratto, il soggetto aggiudicatore affida ad un soggetto la realizzazione con qualsiasi mezzo dell'opera, 17
contro un corrispettivo pagato in tutto o in parte dopo l'ultimazione dei lavori. Grazie alla figura dei generai contractor si realizza un rilevante passo avanti nella logica dell'integrazione completa delle capacità progettuali, realizzative e di gestione finanziaria. In relazione a questo ultimo punto, il generai contractor non solo si incarica della messa a punto dell'architettura finanziaria per la realizzazione dell'opera attraverso i più opportuni strumenti di raccolta dei capitali, ma si assume il ruolo di garante della realizzazione effettiva e del perfetto funzionamento dell'opera, attraverso una "garanzia di buona esecuzione" che copre i rischi di eventuali disallineamenti, in termini di tempi, qualità e performance, rispetto a quanto previsto in sede di gara.
La procedura di dialogo competitivo nel PPP di tipo contrattuale Quanto al tema delle modalità di scelta del partner privato nel caso di rapporti di PPP contrattuale qualificabili come appalti pubblici, la Direttiva 2004/18/CE ha recentemente introdotto la procedura del c.d. "dialogo competitivo". Secondo la Commissione tale nuova procedura dovrebbe consentire la possibilità di discutere tutti gli aspetti dell'operazione con i andidti ammessi, pur facendo in modo che queste discussioni siano condotte nel rispetto dei principi di trasparenza e di parità di trattamento, senza mettere a rischio i diritti che il Trattato conferisce agli operatori economici. Il ricorso a tale procedura potrebbe rappresentare una risposta adeguata alle esigenze di progettazione e realizzazione di opere e servizi pubblici e, al contempo, una garanzia per le imprese di poter operare in un regime di chiarezza, trasparenza e non discriminazione. Le amministrazioni aggiudicatrici, infatti, pur nell'ambito di una procedura formalizzata, hanno la possibilità di formulare le specifiche tecniche in termini di prestazioni da rendere o di esigenze funzionali da soddisfare. Si tratta, dunque, di una procedura utile all'aggiudicazione di appalti complessi, con la quale l'amministrazione appaltante - che non è in grado di definire le soluzioni tecniche atte a rispondere alle proprie necessità ovvero di predisporre agevolmente la struttura economica e giuridica dell'operazione - può instaurare un dialogo, finalizzato all'individuazione e alla definizione dei mezzi più idonei a soddisfare le proprie necessità, con candidati preventivamente e pubblicamente selezionati. 18
Prima di poter esprimere un giudizio compiuto sulla procedura in esame, dunque, occorrerà valutarne l'impiego pratico, soprattutto laddove questa debba svolgersi in fasi successive al fine di ridurre il numero di soluzioni da discutere durante la fase iniziale di confronto competitivo tra gli operatori del mercato. Molto dipenderà dall'uso che ne verrà fatto da ciascuna stazione appaltante e, in particolare, dalle disposizioni contenute nei bandi do nei documenti descrittivi che avviano la procedura, stabilendone in dettaglio le regole di svolgimento. Sarà ad ogni modo importante che le procedure in questione assicurino un'adeguata e concreta capacità di dialogo anche ai soggetti privati non strettamente radicati nel territorio di riferimento delle amministrazioni aggiudicatrici. Così come dovrà essere assicurata, fin dall'inizio della procedura, la possibilità di coinvolgere, oltre all'amministrazione che promuove l'operazione, le altre amministrazioni pubbliche eventualmente competenti in materia (anche se solo su aspetti particolari dell'operazione) e/o di quelle comunque interessate alla realizzazione dell'iniziativa.
A proposito del modello concessorio nell'ambito dei Ppp di tzpo contra ttuale Con riferimento al "modello concessorio", il Libro verde concentra l'attenzione prevalentemente sull'adeguatezza o meno del quadro giuridico comunitario volto a tutelare e garantire l'accesso degli operatori non nazionali alle relative procedure di aggiudicazione. Non sono numerose le disposizioni di diritto derivato che coordinano le procedure d'aggiudicazione di contratti qualificati come concessioni in diritto comunitario. Per quanto riguarda le concessioni di lavori, si tratta unicamente di alcuni obblighi inerenti alla pubblicità, tesi a garantire la messa in concorrenza preliminare degli operatori interessati, e di un obbligo relativo al termine minimo di ricezione delle candidature. Quanto al regime applicabile in occasione della fase di aggiudicazione delle concessioni di servizi, esso è regolamentato unicamente attraverso il riferimento agli articoli 43 e 49 del Trattato e, segnatamente, ai principi di trasparenza, di parità di trattamento, di proporzionalità e di mutuo riconoscimento. In sostanza, secondo la Commissione, il regime che deriva dalle disposizioni del Trattato può essere riassunto nei seguenti obblighi: fissazione delle norme applicabili alla selezione dei partner privati; pubblicità adeguata riguardo all'intenzione di assegnare una concessione ed 19
alle norme che regolamentano la selezione al fine di permettere il controllo dell'imparzialità nel corso della procedura; messa in concorrenza reale degli operatori potenzialmente interessati e/o in grado di garantire lo svolgimento dei compiti in questione; rispetto del principio di parità di trattamento di tutti i partecipanti nel corso della procedura; aggiudicazione sulla base di criteri oggettivi e non discriminatori. In ogni caso, va detto che alcuni Paesi europei (Francia, Spagna, Italia) hanno introdotto norme interne ad hoc per regolamentare in maniera globale e particolareggiata la fase di aggiudicazione delle concessioni di lavori o di servizi. In Italia, in particolare, il settore dei lavori pubblici è disciplinato dalla Legge n. 109194 e ss.mm.ii che (unitamente al Regolamento di attuazione di cui al d.PR n. 554/99) detta un sistema completo di norme a tutela della concorrenza effettiva, in tutte le fasi della procedura di programmazione, progettazione e realizzazione di un'opera pubblica. Muovendo dall'attuale disciplina comunitaria derivata in materia di concessioni (art. 3 della Direttiva 93/37/CEE - artt. 56 e ss. della Direttiva 2004/1 8/CE) e dalle disposizioni di carattere generale contenute nel Trattato (artt. 43 e 49), come interpretate dagli organi giurisdizionali dell'Unione (Corte di giustizia, sent. Teleaustria), la Commissione si interroga sulla necessità di intervenire con un'azione legislativa volta a coordinare le diverse procedure di aggiudicazione delle concessioni riscontrabili nell'Unione europea. Secondo la Commissione, infatti, il diritto comunitario applicabile nel quadro dell'aggiudicazione di concessioni deriva principalmente da obblighi a carattere generale che non implicano alcun coordinamento delle legislazioni degli Stati membri. Di conseguenza, le norme applicabili alla scelta di un concessionario da parte di un organismo aggiudicatore derivano solitamente dalle caratteristiche proprie di ciascun caso specifico. Effettivamente, l'assenza di coordinamento delle legislazioni nazionali potrebbe rappresentare un potenziale ostacolo ad un'autentica apertura comunitaria delle operazioni di Ppp qualificate come concessioni, in particolare quando tali operazioni vengono realizzate a livello transnazionale. Ed è vero, altresì, che l'insicurezza giuridica legata all'assenza di norme chiare e coordinate potrebbe provocare un aumento dei costi legati all'attuazione di tali operazioni (cfr. punto 32 del Libro verde). Un'iniziativa legislativa comunitaria in materia di concessioni, però, non dovrebbe limitarsi a perseguire l'armonizzazione delle sole procedure di aggiudicazione, rispetto alle quali, tutto sommato, potrebbe valere la 20
medesima disciplina che attualmente regola l'affidamento degli appalti pubblici, dai quali le concessioni si differenziano sostanzialmente solo per l'attribuzione del diritto di gestione e per il suo corollario che consiste nel trasferimento al partner privato dei relativi rischi. Il vero problema, insomma, non è solo e non è tanto quello di disporre l'estensione delle attuali procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici anche alle concessioni, ovvero di prevedere un regime procedurale comunitario ad hoc per l'attribuzione di queste ultime, quanto piuttosto quello di introdurre in tutti gli Stati membri un sistema capace di incentivare la partecipazione dei privati alle operazioni di Ppp qualificabili come concessioni e, in definitiva, di assicurarne lo sviluppo in un quadro di chiarezza e di concorrenza effettiva. In caso contrario, infatti, si corre il rischio di disciplinare dettagliatamente procedure volte esclusivamente a garantire la concorrenza in un settore ampiamente ridotto del mercato comune ovvero in un settore che in alcuni Stati membri è praticamente inesistente. In questi casi (che, in tempi di restrizioni dei bilanci pubblici, rappresentano spesso il normale contesto finanziario dell'operazione), allora, potrebbe rivelarsi assai utile consentire al soggetto pubblico concedente di assicurare il perseguimento dell'equilibrio economico-finanziario degli investimenti del concessionario della connessa gestione in relazione alla qualità del servizio da prestare, anche mediante altre utilità prestabilite e rese note in sede di gara. Utilità, queste, che potrebbero consistere nel trasferimento all'aggiudicatario (in proprietà o in godimento) di beni immobili pubblici, anche espropriati allo scopo, la cui utilizzazione sia strumentale o connessa all'opera da affidare in concessione, nonché di beni immobili nella disponibilità dei soggetto pubblico concedente che non assolvono più alle funzioni di interesse pubblico.
11 PPP contrattuale ad iniziativa privata Nell'introdurre il tema dei rapporti di PPP contrattuale ad iniziativa privata, il Libro verde parte dalla considerazione che tali pratiche permettono di sondare la volontà degli operatori economici di investire in alcuni progetti e di incitarli ad applicare o a sviluppare soluzioni tecniche innovative per rispondere alle esigenze dell'organismo aggiudicatore. In questo contesto, la Commissione prende atto che alcuni Stati membri hanno cercato di stimolare l'iniziativa degli operatori prevedendo la facoltà 21
di retribuire il promotore del progetto ovvero di assicurargli alcuni vantaggi da far valere in occasione della gara per l'affidamento del contratto. La preoccupazione espressa è comunque sempre la stessa: le citate "soluzioni devono essere attentamente analizzate, per scongiurare che i vantaggi competitivi accordati all'iniziatore del progetto pregiudichino la parità di trattamento dei candidati" e, in ogni caso, occorre "assicurarsi che le procedure utilizzate in questo quadro non finiscano per privare gli operatori economici europei dei diritti loro conferiti in virtìi del diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessionZ'. Come accennato nell'ordinamento nazionale è tipizzata un'ipotesi di concessione, ad iniziativa privata, per la progettazione, la costruzione e la gestione funzionale ed economica di opere pubbliche 2 . Nel settore dei lavori pubblici, infatti, le amministrazioni aggiudicatrici, nel corso della fase di programmazione, sono tenute ad indicare i bisogni che possono essere soddisfatti tramite la realizzazione di lavori finanziabili con capitali privati e, una volta approvati gli atti di programmazione, devono rendere pubblica la presenza (nei programmi stessi) di interventi realizzabili con capitali privati, in quanto suscettibili di gestione economica 3 Tanto premesso in termini generali, va evidenziato che la disciplina normativa riguardante la concessione di lavori pubblici ad iniziativa privata è fortemente dettagliata e, come sopra accennato, riguarda sia la fase della programmazione dei lavori pubblici, che quella della realizzazione delle opere comunque inserite negli atti di programmazione adottati dal soggetto pubblico competente. Qualunque soggetto pubblico o privato, infatti, può presentare all'amministrazione aggiudicatrice, nell'ambito della fase di programmazione dei relativi lavori pubblici, proposte d'intervento e studi di fattibilità riguardanti la realizzazione di opere pubbliche o di pubblica utilità. Tale presentazione, però, non determina alcun obbligo di esame e valutazione in capo alle amministrazioni e, anche nel caso in cui queste ultime decidano di adottare (nell'ambito dei propri programmi) le proposte di intervento e gli studi ritenuti di pubblico interesse, il proponente privato non può vantare alcun diritto volto al riconoscimento del compenso per le prestazioni compiute ovvero alla realizzazione degli interventi proposti. D'altra parte, anche ove l'iniziativa privata fosse riferita a lavori già inseriti negli atti di programmazione adottati dal soggetto pubblico competente, le norme nazionali impongono una serie di incombenze assai gravose. Il proponente privato, infatti, dovrebbe avanzare una proposta di .
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intervento corredata, tra l'altro, da: 1) uno studio di inquadramento territoriale e ambientale; 2) uno studio di fattibilità; 3) un progetto preliminare; 4) un piano economico-finanziario asseverato da un ente creditizio autorizzato; 5) una bozza di convenzione; 6) una specificazione delle caratteristiche del servizio e della gestione; 7 altre indicazioni (quali, eventuale contributo pubblico richiesto, valore tecnico/estetico delle opere, tempi di esecuzione dei lavori, rendimento atteso, durata della concessione, modalità di gestione delle opere, tariffe da praticare agli utenti e relativi criteri di aggiornamento).
Le condizioni di esecuzione dei rapporti di Ppp di tipo contrattuale Per quanto riguarda le condizioni di esecuzione, il Libro verde parte dalla considerazione che le disposizioni contrattuali che disciplinano la fase d'attuazione dei rapporti di Ppp rientrano, in primo luogo, nel diritto nazionale. Tuttavia, secondo la Commissione, l'elaborazione delle clausole contrattuali deve avvenire anche nel rispetto delle norme comunitarie pertinenti e, in particolare, dei principi di pubblicità e trasparenza, nonché di parità di trattamento. Le condizioni e le modalità d'esecuzione, insomma, non devono avere un'incidenza discriminatoria (diretta o indiretta) ovvero ostacolare in modo ingiustificato la libera prestazione di servizi o la libertà di stabilimento. Tanto premesso, la Commissione europea intende conoscere i meccanismi di garanzia predisposti dagli ordinamenti nazionali nella fase di esecuzione del contratto. La preoccupazione manifestata riguarda il fatto che le conseguenze derivanti dall'attuazione delle suddette clausole contrattuali potrebbe compromettere l'effettiva concorrenza nel mercato comune. Per quanto concerne il c.d. diritto di step-in (che può essere sinteticamente definito come il diritto/necessità dei finanziatori di assumere il controllo del progetto in presenza di aspetti "patologici" che investono il concessionario) va innanzitutto ricordato che la normativa nazionale in materia di lavori pubblici tipizza un'ipotesi di sostituzione del soggetto concessionario ad opera degli enti finanziatori del progetto. In particolare, la legge-quadro sui lavori pubblici prevede che, ove si realizzi una causa di risoluzione per motivi attribuibili al soggetto concessionario, gli enti finanziatori del progetto possono impedire la risoluzione stessa designando una società che subentri nella concessione, a condizione che la società designata dai finanziatori abbia caratteristiche tecniche e 23
finanziarie sostanzialmente equivalenti a quelle possedute dal concessionano all'epoca dell'affidamento della concessione 4 La disposizione in esame, per costante dottrina e giurisprudenza, si applica a tutte le ipotesi di risoluzione del rapporto concessorio (concessioni di lavori pubblici e/o di servizi pubblici ovvero concessioni per la gestione di un bene pubblico). Tuttavia, il subentro del nuovo concessionario è sottoposto all'accettazione dell'Amministrazione concedente e, in tal caso, comporta che l'inadempimento venga sanato entro limiti temporali prefissati dalla legge, salvo diverso accordo tra l'amministrazione aggiudicatrice ed i soggetti finanziatori 5 I destinatari della norma, comunque, sono soltanto i finanziatori che non sono entrati con capitale di rischio nella società di progetto e quelli che non hanno acquistato le obbligazioni eventualmente emesse da quest'ultima. La norma, infatti, tipizza un'ipotesi di step-in right proprio del common law a vantaggio dei lenclers, vale a dire un meccanismo di tutela che è oggetto di appositi contratti tra i finanziatori, la project company e gli sponsors negli interventi sulle infrastrutture realizzati con la tecnica del Project financing6 In sostanza, comunque, i meccanismi di garanzia in favore dei soggetti finanziatori 7 sono predisposti con l'obiettivo di incentivare lo sviluppo del partenariato pubblico-privato, soprattutto in un settore complesso e pieno di insidie qual è quello delle infrastrutture. Sono cioè meccanismi che operano in ipotesi patologiche inizialmente non prevedibili e che servono esclusivamente a limitare (tempestivamente) le perdite che i finanziatori possono subire per cause imputabili esclusivamente al soggetto privato deputato all'attuazione del progetto (concessionario o project company). A ciò, deve aggiungersi che i finanziatori della project company sono, nella forma e nella sostanza, soggetti privati che investono in un progetto sulla base di un dettagliato rapporto contrattuale concordato con un altro soggetto della stessa natura (dunque, con un altro soggetto nella forma e nella sostanza privato). Come tali, dunque, i soggetti finanziatori non dovrebbero essere tenuti all'applicazione della normativa (comunitaria e/o nazionale) che impone la scelta del contraente privato con procedure di gara ad evidenza pubblica. In caso contrario e in considerazione del carattere patologico che fa da presupposto all'esercizio dei diritti in esame, gli enti finanziatori sarebbero esposti al rischio di veder lievitare le perdite (causate dall'inadempi.
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mento del soggetto deputato all'esecuzione dei progetto) nelle more della conclusione di una procedura volta alla selezione del sostituto/subentrante. Procedura questa, vale evidenziare, spesso assai lunga e costosa anche quando conclusa senza contestazioni innanzi all'autorità giudiziaria competente. In sostanza, dunque, l'ammissibilità dei diritti riconducibili alla categoria delle cosiddette clausole di step-in, rappresenta un indispensabile sistema di garanzie per i privati finanziatori che decidono di investire le proprie risorse in progetti pubblico-privati assai complessi e di lunga durata. Naturalmente, se le esigenze di tutela della concorrenza prospettate dalla Commissione fossero ritenute prevalenti rispetto a quelle dei privati finanziatori di fronte a situazioni patologiche impreviste e ad essi non imputabili, dovrebbero essere studiati altri efficaci strumenti di garanzia in favore dei soggetti che intendono investire capitali (anche ingenti) in iniziative di Ppp. Pena l'impossibilità per questi ultimi di reagire a fatti esterni che incidono negativamente sulla piena e corretta realizzazione dell'iniziativa finanziata e, in definitiva, di investire nel settore.
Il subappalto di attività nell'ambito del Ppp di tzo contrattuale In base alle esperienze della Commissione, l'applicazione delle norme relative al subappalto rappresenta, talvolta, fonte di incertezze o di interrogativi nel contesto delle operazioni di Ppp di tipo contrattuale. In particolare, nei casi in cui la società di progetto abbia essa stessa lo status di organismo aggiudicatore. In tali casi, pertanto, la Commissione ricorda che la società di progetto è obbligata ad assegnare appalti e concessioni all'esito di un'apposita procedura di gara, sia che i contratti siano conclusi con i propri azionisti sia che non lo siano. Fa eccezione un solo caso: quello in cui le prestazioni affidate da una società di progetto ai propri azionisti siano già state oggetto di una gara bandita dal soggetto pubblico, precedentemente alla costituzione della società di progetto. Viceversa, sempre secondo la Commissione, se la società di progetto non ha lo status di organismo aggiudicatore, di norma è libera di contrattare con terzi, a prescindere dal fatto che siano propri azionisti o meno. Soltanto nel caso in cui la società di progetto sia concessionaria di lavori, si applicano alcune norme inerenti alla pubblicità per quanto riguarda la stipulazione di contratti d'appalto di lavori superiori alla soglia di 5 milioni di eur0 8, ad eccezione dei contratti conclusi con le imprese che si so25
no raggruppate per ottenere la concessione ovvero con le imprese ad esse affiliate. Le preoccupazioni espresse dalla Commissione sembrano fugate dalla normativa nazionale in materia di lavori pubblici, ovviamente per quanto riguarda il caso italiano 9 . Essa, infatti, prevede che ai concessionari di lavori pubblici si applicano le disposizioni in materia di pubblicità dei bandi di gara e di termini per concorrere, secondo quanto previsto per gli appalti a terzi dalla Direttiva 93/37/CEE, nonché le disposizioni in materia di qualificazione degli esecutori di lavori pubblici. Per i lavori eseguiti direttamente o tramite imprese collegate o controllate (individuate ai sensi della citata Direttiva comunitaria), invece, si applicano solo le norme relative alla qualificazione degli esecutori di lavori pubblici. Considerato che gli appalti e le concessioni in materia di lavori pubblici hanno ad oggetto attività spesso molto complesse, nonché termini di durata piuttosto estesi, sarebbe bene eliminare o sostituire alcuni degli obblighi attualmente previsti in tema di subappalto, con specifico riferimento a quelli riguardanti l'informazione preventiva in sede di gara. Il concessionario, in altre parole, aggiudicatosi la gara ed acquisita la piena responsabilità del contratto, dovrebbe essere sostanzialmente libero di scegliere le modalità di esecuzione dei lavori (direttamente, tramite imprese controllate o collegate ovvero avvalendosi del subappalto). Tale libertà, infatti, lungi dall'incidere sulle garanzie per il partner pubblico e sulla concorrenza nel mercato comune, potrebbe essere assolutamente necessaria per rispondere al meglio alle possibili sfide del futuro. In particolare, per rispondere ai mutamenti dovuti all'evoluzione delle tecnologie e alle modificazioni delle strategie aziendali finalizzate all'adattamento ai cambiamenti del mercato di riferimento. IL PPP C.D. ISTITUZIONALIZZATO
Come anticipato, con il termine Ppp di tzpo istituzionalizzato il Libro verde indica le operazioni che "implicano la creazione di un'entità detenuta congiuntamente dal partner pubblico e dal partner privato"allo scopo di assicurare la realizzazione e la fruizione di un'opera o di un servizio da parte degli utenti. In particolare, la realizzazione di un Ppp di tipo istituzionalizzato "può avvenire sia attraverso la creazione di un'entità detenuta congiuntameme dal settore pubblico e dal settore privato, sia tramite il passaggio a controllo privato di un'impresa pubblica già esistente". 26
Nel Libro verde si sottolinea che le autorità pubbliche ricorrono a queste strutture, soprattutto per la gestione di servizi pubblici a livello locale (ad esempio, per i servizi d'approvvigionamento idrico o per la raccolta dei rifiuti). La cooperazione diretta tra il partner pubblico ed il partner privato nel quadro di un ente dotato di personalità giuridica propria, infatti, permette al partner pubblico di conservare un livello di controllo relativamente elevato sullo svolgimento dei servizi. Controllo, peraltro, che può essere adattato nel tempo in funzione delle circostanze, attraverso la presenza nella partecipazione azionaria e in seno agli organi decisionali dell'impresa comune. Un rapporto di partenariato istituzionalizzato, inoltre, permette al partner pubblico di sviluppare un'esperienza propria riguardo la fornitura del servizio, pur ricorrendo al sostegno di un partner privato. In questo contesto, generalmente, la creazione o la trasformazione dell'impresa non sollevano problemi riguardo al diritto comunitario applicabile, qualora costituiscano modalità d'esecuzione dell'incarico da affidare ad un partner privato previa procedura di gara ad evidenza pubblica. Tuttavia, la Commissione ha constatato che in alcuni casi le operazioni societarie in questione non sembrano offrire soluzioni soddisfacenti per quanto concerne le disposizioni applicabili in materia di appalti pubblici e di concessioni. Soprattutto in riferimento ad ipotesi di partecipazione della costituenda new company a procedure, all'attribuzione di contratti (dunque, prima ancora di essere costituita), alla possibile confusione tra la fase di costituzione dell'impresa e quella di attribuzione dei compiti, all'eventuale assenza di una chiara definizione della mission attribuita ed alla durata della partnershzp in relazione ai tempi necessari per l'attuazione dei compiti affidati. Le preoccupazioni espresse dalla Commissione sono parzialmente fondate. Nelle operazioni di Ppp di tipo istituzionalizzato, infatti, non sempre è posta adeguata attenzione ai profili concernenti la tutela della concorrenza, la non discriminazione in ragione della nazionalità e, in particolare, la libera circolazione dei capitali nell'ambito del mercato comune. Per il settore dei lavori pubblici, ad esempio, la normativa nazionale non ha dettato espresse e specifiche disposizioni volte ad ammettere e regolare il ricorso ad operazioni di Ppp di tipo istituzionalizzato. Tale omissione ha dunque creato grandi incertezze tra gli operatori, pubblici e privati, del settore. Non tanto in ordine alle preoccupazioni espresse dalla Commissione, quanto addirittura sull'utilizzabilità o meno dello stru27
mento societario per progettare, realizzare e gestire direttamente opere pubbliche, posto che la Legge-quadro sui lavori pubblici sembra consentire esclusivamente la realizzazione indiretta delle opere mediante contratti di appalto ovvero concessioni. Le uniche disposizioni in materia di società per le opere pubbliche, chiaramente rinvenibili nell'ordinamento nazionale, sono infatti quelle relative alle società per azioni a prevalente capitale privato (art. 116 TUEL) per la realizzazione delle opere necessarie al corretto svolgimento dei servizi pubblici privi di rilevanza economica e per la realizzazione di infrastrutture ed altre opere di interesse pubblico, nonché quelle relative alle società per azioni per progettare e realizzare interventi di trasformazione urbana (le c.d. Società di trasformazione urbana o STU ex art. 120 TUEL). In entrambi i casi però - a prescindere dagli specifici ambiti di intervento dei due modelli - si è da più parti tentato di ridurle a mere "cabine di regia", senza possibilità di intervenire direttamente nelle diverse fasi realizzative dell'iniziativa e nelle quali i partner (sia pubblici, che privati) sembrano poter assumere solo un ruolo di indirizzo e controllo delle attività realizzative (progettazione, realizzazione, gestione) necessariamente affidate all'esterno tramite contratti di appalto o concessioni di lavori pubblici. Al di là di ogni riferimento letterale alle norme, un'interpretazione del genere porterebbe inevitabilmente al fallimento dell'iniziativa societaria o, quanto meno, al mancato ingresso di partner privati apportatori di conoscenze e di capitali. Nessun soggetto privato, infatti, sarebbe attratto dalla prospettiva di assumere un ruolo non proprio e non redditivo (quello di contribuire semplicemente alla guida delle attività da affidare ad altri operatori del medesimo mercato), spogliandosi così della possibilità di concorrere all'aggiudicazione dei contratti di appalto o delle concessioni volti alla realizzazione dell'operazione. Ad ogni modo, una chiara presa di posizione dell'Unione europea in ordine al fenomeno del PPP di tipo istituzionalizzato in materia di servizi e di lavori pubblici potrebbe sgombrare il campo da molte incertezze. Una cosa è però certa. Un'eventuale iniziativa comunitaria volta a chiarire o precisare gli obblighi degli organismi aggiudicatori riguardo alle condizioni che devono sovrintendere la realizzazione di partenariati di tipo istituzionalizzato dovrebbe estendere, preliminarmente ed espressamente, la possibilità di ricorrere allo strumento societario per la progettazione, realizzazione e gestione sia dei servizi, che dei lavori pubblici, in tutti gli Sta28
ti membri. In particolare, dovrebbe consentire ai soggetti pubblici istituzionalmente competenti, anche con il contributo dei soggetti pubblici finanziatori, di costituire apposite società di progetto, con il compito di provvedere alla chiarificazione preliminare del quadro tecnico-amministrativo ed economico-finanziario di partenza e di agevolare il successivo intervento dei partner privati (industriali e finanziari) interessati al compimento dell'iniziativa. Si tratta, in sostanza, di estendere in tutti gli Stati membri una forma equivalente (rispetto a quella tipizzata nelle norme nazionali) di "promotore" e di "Project financing", che può garantire la costruzione e la gestione di opere pubbliche nel rispetto dei principi e delle disposizioni comunitarie e nazionali in materia di concorrenza ma che, nello stesso tempo, può permettere ai soggetti privati, interessati alla realizzazione delle opere, di intervenire sulla base di uno studio di fattibilità complessiva dell'intervento, già predisposto e idoneo a contenere i rischi tecnici, procedurali e finanziari dell'operazione. Una forma di partenariato pubblico-privato, dunque, particolarmente adatta a realizzare interventi infrastrutturali complessi, in termini progettuali e finanziari, per i quali le amministrazioni aggiudicatrici non hanno ben chiare le strategie d'azione. In altre parole, si tratterebbe di consentire la realizzazione dell'interesse pubblico, mediata dall'intervento dei privati che apportano significativi benefici in termini di qualità e realizzabilità del progetto, attraverso il ricorso a società di progetto caratterizzate da una operatività divisa in due fasi principali: - la prima a governo interamente pubblico, per consentire un forte coordinamento delle attività di competenza di tutti i soggetti pubblici interessati, nonché la piena e corretta realizzazione di indagini ambientali e territoriali preliminari, studi di fattibilità e progetti almeno preliminari; - la seconda fase, contraddistinta dall'indizione di una o più procedure di gara ad evidenza pubblica finalizzate alla sostituzione, totale o parziale, della compagine sociale iniziale e, quindi, alla selezione di partner privati ai quali attribuire le eventuali ulteriori attività progettuali, nonché il compito di provvedere direttamente o indirettamente al finanziamento, alla esecuzione dei lavori ed alla gestione delle opere realizzate. A voler insistere sul punto, va evidenziato un aspetto ulteriore. Ammettere espressamente il ricorso a società di progetto pubbliche (anche con la partecipazione di soggetti pubblici finanziatori, che possono assumere il ruolo di finanziatori di primo rischio), da privatizzare totalmente o par29
zialmente al termine della prima fase, può comportare una riduzione dei rischi tecnici, procedurali e finanziari inizialmente legati ad operazioni compless.e (che possono anche presentare diverse modalità realizzative, in astratto ugualmente valide) e può dunque incentivare l'intervento collaborativo di partner privati apportatori di esperienze e capitali. Da un altro punto di vista, invece, il ricorso allo strumento in esame può anche consentire ai partner pubblici di recuperare, in tutto o in parte, gli investimenti iniziali (effettuati per predisporre indagini, studi e progetti), proprio attraverso la dismissione (anche con un sovrapprezzo) delle partecipazioni detenute nella società di progetto e valorizzate grazie alle attività svolte nella prima fase di operatività della società stessa. Tutto ciò senza immaginare deroghe alla normativa in materia di concorrenza, libertà di stabilimento e di circolazione di capitali, e agli altri capisaldi dell'ordinamento comunitario. CoNsIDErzIoNI CONCLUSIVE
Sembra necessario, comunque sottolineare che - dato il livello di conoscenza del fenomeno del Ppp riscontrabile nella normativa e nella prassi dei diversi Stati membri - prima di intervenire in materia con specifiche disposizioni vincolanti di coordinamento, sarebbe bene reperire, diffondere e valutare collettivamente e approfonditamente le così dette buone pratiche sviluppate sia nell'ambito dell'Unione europea che al di fuori di essa. In tal senso appare particolarmente utile definire un processo di condivisione di know how, fondato sulla messa in comune della ampia casistica esistente che sia promosso e stimolato dall'Unione europea. La Direzione generale della politica regionale della Commissione europea ha già mosso i primi passi per avviare tale processo grazie alla messa a punto del documento "Guidelines for Successful Public Private Partnership" (Marzo 2003) e del recente "Resource Book of Ppp Case Studies" (giugno 2004) che raccoglie 26 casi nei settori della gestione del ciclo dell'acqua, trattamento dei rifiuti solidi e delle infirastrutture per i trasporti. A tale fine potrebbe essere ipotizzabile la promozione di un Osservatorio europeo sul Ppp che abbia l'obiettivo di sistematizzare le esperienze sviluppate nelle diverse realtà nazionali per identificare un patrimonio co30
mune di conoscenza che faciliti la definizione di un approccio comune e condiviso all'interno dell'Unione allo sviluppo del fenomeno del Ppp e, di conseguenza, rappresenti un fondamentale supporto nella fase di impostazione e progettazione di nuove iniziative di Ppp. Intorno ad un Osservatorio Europeo potrebbe peraltro costituirsi una rete di trasferimento delle conoscenze mettendo a sistema l'insieme di "agenzie locali" di cui si osserva una fase di genesi a livello nazionale e locale. La politica dell'UE ha sempre favorito un fenomeno di genesi bottom-up che favorisce le iniziative locali - anche nella messa a punto del modello di riferimento - che facciano riferimento alle specificità territoriali pur assicurando i principi di trasparenza e non discriminazione. Si pone però il problema relativo ad una eccessiva proliferazione di norme e regolamenti a livello locale; infatti, per un operatore privato che voglia proporsi su scala continentale, un quadro normativo particolarmente frammentato ed articolato può configurarsi come un vincolo operativo, essendo certamente onerosa una attività continua di monitoraggio ed interpretazione delle normative a carattere locale, definendo di fatto un limite alle capacità competitive su scala transnazionale. In tal senso appare auspicabile un intervento, a livello di normativa comunitaria che, senza definire specifiche tipologie di Ppp, assicuri flessibilità nella progettazione di PPP all'interno di un definito insieme di principi guida "universali" indirizzati a rimuovere le cause che hanno sinora inibito la crescita del Ppp, - e tra questi certamente si collocano gli elementi di distorsione della concorrenza -' ed a cui tutte le realtà nazionali e locali appartenenti all'Unione devono fare riferimento. In altre parole, si esprime dunque favore verso un intervento, a livello di normativa comunitaria, che abbia lo scopo di fissare il quadro dei principi ispiratori e/o dei vincoli di base dei quali il fenomeno del PPP - nelle sue flessibili modalità - deve tener conto. Non sembra invece il momento di definire in dettaglio, a livello comunitario, specifiche procedure e forme contrattuali.
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In alcuni casi, il modello concessorio è caratterizzato dal fatto che il partner privato fornisce un servizio al pubblico (sotto il controllo del partner pubblico), riscuotendo dagli utenti le tariffe stabilite dall'autorità pubblica, oltre alle eventuali sovvenzioni integrative versate da quest'ultima per garantire l'equilibrio economico-finanziario della gestione. In operazioni di altro tipo (ad esempio, quelle denominate Private Finance Iniziative), il partner privato è destinato a realizzare e gestire un'infrastruttura per la pubbli-. ca amministrazione (ad esempio, una scuola, un ospedale, un centro penitenziario, un'infrastruttura di trasporto non tariffabile) e la retribuzione del privato non avviene in forma di compensi versati dagli utenti del lavoro o del servizio, ma di pagamenti regolari (Fissi o variabili in funzione, ad esempio, della disponibilità dell'opera o dei servizi ad essa relativi, o anche della frequentazione dell'opera) ricevuti dal partner pubblico. 2 Il riferimento è al l'an. 37-bis della Legge n. 10911994 e ss.mm.ii. 3 Le forme di pubblicità variano a seconda dell'importo stimato dei lavori da realizzare con l'apporto di capitali privati. Per i lavori di importo più elevato è previsto l'obbligo di pre-informazione all'Ufficio delle pubblicazioni ufficiali dell'Unione europea, mentre gli avvisi ed i bandi devono essere inviati a tale Ufficio e pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, nonché, per estratto su almeno due dei principali quotidiani a diffusione nazionale e su almeno due a maggiore diffusione nella Regione dove si eseguono i lavori. In aggiunta, a prescindere dall'importo dei lavori, è previsto l'obbligo di affissione presso la propria sede per almeno sessanta giorni consecutivi e di pubblicazione sul proprio sito informatico e su quello del ministero dei Lavori Pubblici (art. 37-bis, comma 2-bis, della Legge n. 109/1994 e ss.mm.ii. e art. 80 del d.Pr n. 554/1999). I
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La norma citata è quella contenuta nell'art. 37-octiesdella Legge n. 10911994 e ss.mm .ii.. 5 11 termine legale è di 90 giorni a decorrere dal subentro della società designata dai finanziatori. 6 Il diritto di step in si attiva nelle ipotesi di Events ofdefault, ovvero in quelle circostanze giudicate sintomatiche della patologia del finanziamento. Nel PF queste condizioni patologiche sono diverse; si citano, a titolo esemplificativo, il mancato pagamento alla scadenza di somme dovute ai sensi del credit agreement, il mancato adempimento di obbligazioni diverse da pagamenti ma sempre ad opera dei borrower, il mancato adempimento di obbligazioni da parte dello sponsor di project agreements, le procedure di fallimento liquidazione di soggetti legati allo Spv. 7 Al riguardo, va precisato che i meccanismi di step-in utilizzati a livello nazionale sono quelli predisposti dalla prassi contrattualistica internazionale, con gli adattamenti necessari a determinarne l'applicabilità nell'ordinamento interno. In particolare, attraverso i direct agreements, i finanziatori si riservano normalmente la facolti di intervenire direttamente nei rapporti giuridici tra la società di progetto ed i terzi ovvero di intervenire, temporaneamente o stabilmente, attraverso la sostituzione della project company nei rapporti giuridici con i terzi stessi. Nei casi patologici più gravi, il diritto di step-in si sostanzia proprio nella scelta del nuovo gestore del progetto e nella sostituzione della project company. 8 Al riguardo, va segnalato che la Direttiva 2004118/CE (artt. 63-65) ha innalzato la soglia di riferimento ad Euro 6.242.000,00. 9 Il riferimento è all'art. 2, comma 2, della legge n. 109/1994 e ss.mm .ii., combinato con l'intero testo legislativo e, in particolare, con gli artt. 19, comma 1 e 20 della medesima legge.
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Il Partenariato pubblico-privato e i Fondi strutturali (2006)
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a problematica concernente la compatibilità fra le norme che governano i Fondi strutturali e le varie forme di partenariato pubblico-privato deve essere affrontata a partire da alcune affermazioni e principi di carattere generale.
1.Il coinvolgimento del settore privato nel finanziamento e nella gestione degli interventi infrastrutturali viene considerato elemento premiante nell'ambito della gestione dei Fondi strutturali europei di Agenda 2000. Il Regolamento 21 giugno 1999, n. 1260/1999/CE, recante disposizioni generali sui fondi strutturali, prevede che: "per potenziare l'effetto sinergico delle risorse comunitarie favorendo il massimo ricorso a fonti di finanziamento private e per tenere più adeguatamente conto della redditività dei progetti, è opportuno diversificare le forme di aiuto dei Fondi strutturali, differenziare i tassi d'intervento per promuovere l'interesse comunitario, per incoraggiare l'utilizzo di risorse finanziarie diversificate e per limitare la partecipazione dei Fondi sollecitando il ricorso a forme di aiuto appropriate". Tali indicazioni di massima vengono riprese e sviluppate all'interno del Quadro Comunitario di Sostegno (Qcs). "Il Qcs si propone di massimizzare il coinvolgimento del settore privato nel finanziamento e nella gestione degli interventi, segnatamente i progetti infrastrutturali. Un maggiore coinvolgimento di capitale privato dovrebbe portare ad una più efficace concezione, selezione e gestione dei progetti, ed è coerente con la recente innovazione introdotta nel quadro legislativo nazionale (che attribuisce la priorità a progetti finanziabili con capitale privato). Alcuni elementi che si devono tenere in considerazione per un uso corretto dei meccanismi di coinvolgimento del capitale privato sono: - la valutazione preliminare del potenziale utilizzo di "Public-Private Partnershzp" (in particolare nei settori dei trasporti, dell'energia, dei rifiuti e delle risorse idriche); - l'uso di procedure di selezione trasparenti; 33
- la valutazione delle procedure amministrative (complessità e tempi richiesti); - le conseguenze sulla gestione del progetto e sulle attività di programmazione locali. "Le considerazioni ora esposte evidenziano la necessità che le Amministrazioni si attrezzino sotto il profilo delle capacità tecniche per allestire e verificare i piani finanziari delle opere che intendono promuovere con il ricorso a capitali privati, per definire documenti contrattuali idonei alla gestione del rapporto pubblico-privato e per assicurare celeri iter autorizzativi. Nei sistemi a regime tariffario, gli Enti locali e le Regioni sono inoltre chiamati ad una nuova funzione di verifica sulla qualità dei servizi offerti e sul rispetto dei termini contrattuali, a garanzia dei cittadini utenti. Per queste ragioni, il ricorso alla finanza di progetto per il finanziamento di interventi da realizzare nel quadro dei Programmi operativi, costituisce elemento di rilievo fra i criteri di riferimento per l'attribuzione della riserva di efficacia ed efficienza In definitiva, si afferma che gli investimenti pubblici comunitari e nazionali, da soli, non bastano a generare occupazione e reddito. Ad essi devono accompagnarsi capitali privati. Risulta, dunque, necessario attivare meccanismi di investimento capaci di attrarre risorse private, così che l'intervento finanziario comunitario nelle politiche di investimento pubblico sia addizionale e non sostitutivo rispetto ai contributi provenienti dal settore privato. 2. La Commissione, gli Stati membri e le Regioni stanno preparando il nuovo periodo di programmazione 2007-2013 che prevede attualmente tutte le parti impegnate alla preparazione del Quadro strategico nazionale (Q5N) che dovrà essere inoltrato alla Ce entro breve, alfine di avviare l'operatività dei nuovi programmi con il primo gennaio 2007. Per il momento, è stato predisposto il "Documento strategico preliminare nazionale" (DSPN) che ha il fine di avviare il confronto tecnico e amministrativo per la predisposizione del QSN 2007-2013 con il quale l'Italia programmerà per il successivo settennio la propria politica regionale, ossia le risorse della politica di coesione comunitaria e le risorse nazionali del "Fondo per le Aree Sottoutilizzate" (FAs). Vale rilevare che nel DSPN sono individuati elementi di discontinuità rispetto al periodo in corso suggeriti dall'analisi svolta e, tra questi, è previsto che per il nuovo periodo "l'unificazione delle due componenti finan34
ziarie, comunitaria (Fondi strutturali) e nazionale (Fondo per le aree sottoutilizzate) della politica regionale deve trovare piena attuazione, sia nella programmazione generale (cioè nel QSN), sia negli atti centrali (P0N) e regionali di programmazione operativa (Po), sia nell'unitarietà delle responsabilità di attuazione ad ogni livello". Per quanto riguarda il Partenariato pubblico-privato occorre tener conto del fatto che (come risulta dalla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle Regioni concernente il partenariato pubblico-privato e il diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni di ottobre 2005), la Commissione sembra orientata ad emanare entro il 2007 norme di rango legislativo in materia di Ppp avente ad oggetto lavori pubblici e servizi. Vale sottolineare che il Libro verde della Commissione parte dalla considerazione che il Ppp è un insieme di formule contrattuali ed istituzionali che si va arricchendo nella prassi. Di qui l'esigenza di farne un'accurata ricognizione per poi valutare l'opportunità di un intervento regolatore. Considerata la valenza strategica degli anni 2006-2007 tanto sul fronte dei Fondi strutturali, quanto su quello del Ppp, appare più che opportuna la combinazione dei due profili.
3. Ciò premesso, occorrerà procedere all'analisi dei meccanismi diflinzionamento dei Fondi strutturali e del Fondo nazionale FAS, con specfìca attenzione alle disposizioni relative al coinvolgimento del capitale pri vato. Questa prima analisi avrà per oggetto i seguenti documenti: - regolamento 1260/99 e ss.mm .ii., recante "Norme nella determinazione della partecipazione ai fondi strutturali", - Regolamentazione del Fondo per le Aree Sottoutilizzate, - documenti programmatici e attuativi della politica di sviluppo per il ciclo 2000-2006, - Quadro Strategico Nazionale per il ciclo 2007-20 13. Da questi documenti si trarranno gli elementi di base per entrare nella materia della compatibilità-incompatibilità tra la disciplina dei fondi comunitari e nazionali e le regole vigenti in materia di Ppp. E stato da più parti sottolineato che il ricorso ai fondi strutturali per il finanziamento di operazioni di PPP, spesso, è ostacolato dall'incapacità della normativa nazionale ad integrarsi con i processi di finanziamento comunitario. 35
GLI ASPETTI CRITICI
Un primo elenco di criticità può essere tentato qui di seguito: criticità legate alla tempistica: la procedura di erogazione dei finanziamenti strutturali prevede tempi eccessivamente stringenti che spesso sono inconciliabili, con i tempi delle operazioni di Partenariato pubblico-privato. Ad esempio, è prevista la possibilità di ricevere un acconto pari al 7% del finanziamento complessivo ad avvenuta approvazione del POR, tuttavia è necessario che la fase di costruzione/gestione sia attivata nel termine di 18 mesi a decorrere dalla erogazione dell'anticipo. Ebbene, è evidente che tale periodo non sempre è sufficiente al completamento di tutte le fasi che, nelle operazioni di partenariato pubblico privato, precedono la messa in cantiere dell'intervento. Si pensi al caso di Projectfinancing ex art. 37-bis legge 109/1994 ss.mm.ii. dove la scelta del concessionario passa attraverso un complesso iter (studio di prefattibilità, avviso indicativo, valutazione e individuazione della proposta di pubblico interesse, licitazione privata/appalto concorso per la scelta dei competitori, trattativa privata, affidamento della concessione) spesso reso ancora più macchinoso dall'innescarsi di sottoprocedimenti, come nel caso della variante urbanistica. Peraltro, con riferimento a interventi ad elevata complessità, per i quali come da più parti evidenziato, lo studio di fattibilità assume un ruolo centrale, la tempistica è eccessivamente stringente e soprattutto per predisporre studi di fattibilità che prevedano percorsi attuativi di forme di partenariato pubblico privato; mancano elementi di incentivo alla parteczpazione del privato. In tale prospettiva, è evidente l'incompatibilità tra l'art. 29 e l'art. 44 del Regolamento. La prima norma prevede l'abbattimento percentuale del contributo per gli investimenti in infrastrutture generatori di reddito. Tale meccanismo pregiudica l'appeal dell'intervento e risulta incompatibile con la costruzione di un'operazione di Ppr'. Peraltro, sotto il profilo operativo, il meccanismo di cui dell'art. 29 presuppone già l'espletazione di un'analisi economica dell'operazione che, nelle operazioni di Ppp invece interviene solo quando è già stato effettuato uno studio di prefattibilità dell'intervento. Il processo interviene solo in fase intermedia, cioè dopo la fattibilità. Al contrario, l'art. 44 del regolamento prevede la c.d. "riserva premiale di efficacia e di efficienza". Risulta difficile combinare, ai fini applicativi, la regola della premialità con il vincolo dell'art. 29 che riduce l'accessibilità ai fondi strutturali da parte dei beneficiari finali; 36
c) anche nei documenti attuativi della politica di sviluppo (es. P0R) sono presenti riferimenti ad interventi in Ppp, tuttavia: - mancano approfondimenti specifici sul tema del Ppp e, laddove è stato previsto il coinvolgimento del privato, è emersa una quasi esclusiva utilizzazione dello strumento della finanza di progetto di cui all'art. 37bis delle legge Merloni (n.cl.r. oggi artt. 152 ss del d.lgs. 12 aprile 2006, n.163 - Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE), senza alcun riferimento alle altre forme di compartecipazione pubblico-privata; - non si fornisce uno schema del processo di costruzione "ideale" di tali operazioni; - nei documenti di attuazione non si tiene conto a sufficienza dei profili di carattere tecnico-amministrativo e gli aspetti concernenti la fattibilità economico-finanziaria dell'operazione che si ammette al finanziamento (che invece in operazioni di Ppp appaiono fondamentali); - i criteri di selezione raramente premiano interventi in Ppp. QUALI ANALISI
Potrebbe essere utile un approfondimento-verifica delle criticità attraverso l'analisi di un campione di casi - individuati dal Dipartimento per le Politiche di Sviluppo e di Coesione - relativi ad operazioni di Ppp "non decollate" e caratterizzate dalla previsione di forme di finanziamenti strutturali. Lo scopo è quello di individuare con chiarezza tutti i fattori che dal punto di vista pratico-operativo impediscono una completa coesione fra i due procedimenti: quello finalizzato all'erogazione del finanziamento e quello finalizzato alla conclusione del contratto. Una volta individuati i fattori che costituiscono un ostacolo alla utilizzabilità di fondi comunitari e nazionali per la realizzazione di infrastrutture in Ppp, occorrerà identificare gli strumenti più idonei a rimuoverli che potranno variamente consistere nella correzione dei comportamenti dei soggetti coinvolti secondo i suggerimenti derivanti dalle best practices ovvero in un intervento legislativo o, infine, semplicemente mediante l'evidenziazione di norme esistenti ma inapplicate. Si tratta di intendere bene a quale livello (comunitario, nazionale, regionale) vanno trovate le soluzioni:
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Da "Urban" a "Jessica": l'Europa per le città di Claudia Sensi e Valeria Valiserra
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a riqualificazione e lo sviluppo dei centri urbani hanno assunto, a partire dagli anni Novanta, un ruolo importante nella programmazione delle risorse comunitarie. Si deve considerare, infatti, che circa l'80% della popolazione comunitaria vive nelle aree urbane e le città rappresentano luoghi privilegiati di coesione sociale, di attrattività e competitività, ma presentano ampie aree marginali sottoposte a degrado sociale ed economico. La Commissione europea, in assenza di una disposizione del Trattato che include la materia dello sviluppo urbano nell'ambito delle politiche comunitarie, ha dato vita ad una serie di interventi di settore, specificamente destinati al finanziamento del recupero e dello sviluppo delle città e dei quartieri degradati. Così nascono i Progetti Pilota Urbani (Ppu) 1 , e nel 1994 la Commissione decide di destinare parte del Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR) alla riqualificazione delle periferie delle aree urbane, attraverso finanziamenti diretti della Commisione alle Amministrazioni locali. Nasce così il programma Urban, uno strumento della politica di coesione dell'Unione europea, pensato per le grandi città, che persegue l'obiettivo di stimolare lo sviluppo locale e migliorare le condizioni ambientali e sociali di vita dei quartieri più poveri, attraverso la realizzazione di progetti pilota 2 . Il programma, della durata di quattro anni (1994-1999) veniva finanziato congiuntamente da fondi provenienti dal FEsR (Fondo Europeo di Sviluppo Regionale), dal FsE (Fondo Sociale Europeo), a cui potevano essere aggiunti foqdi pubblici nazionali e finanziamenti privati. Le azioni previste riguardavano: - sostegno alle piccole e medie imprese locali esistenti e l'incentivazione alla nascita di nuove imprese 3 ;
Claudia Sensi collabora alla cattedra di Diritto amministrativo presso la Facoltà di Scienze Politiche, Università degli studi Roma Tre ed è consulente della Ques.i.re sri. Valeria Valiserra è Avvocato, consulente della Ques.i.re sri. 38
promozione dell'occupazione a livello locale 4 ; - potenziamento e adeguamento dell'offerta dei servizi sociali 5 ; - miglioramento delle infrastrutture e dell'ambiente 6 ; - coinvolgimento delle risorse local1 7 . Urban I ha finanziato, complessivamente, 118 programmi in zone urbane8, appartenenti a 15 Paesi membri dell'Unione Europea. Il contributo comunitario complessivo è stato di circa 900 milioni di euro. Visto il crescente interesse e i risultati positivi dell'iniziativa Urban, la Commissione ha avviato, su richiesta del Parlamento europeo, una seconda fase di programmazione per il periodo 2000-2006, denominata "Urban 11" 9 A differenza della precedente fase, l'iniziativa Urban Il è stata concepita con il fine di promuovere l'elaborazione e la realizzazione di modelli di sviluppo innovativi a favore del recupero socio-economico delle zone urbane in crisi, appartenenti anche alle città di medie dimensioni. Quota parte delle risorse comunitarie, inoltre, sono state destinate al potenziamento dello scambio di informazioni e di esperienze (sistema delle best practices) in materia di sviluppo urbano sostenibile nell'Unione Europea' . L'Unione Europea ha previsto che il conseguimento degli obiettivi delle strategie di rivitalizzazione urbana devono rispettare alcuni principi cardine: - interessare una sufficiente massa critica di popolazione e di strutture di sostegno, al fine di agevolare l'elaborazione e l'attuazione di programmi di sviluppo urbano innovativi; - promuovere un forte partenariato locale che sappia definire le problematiche, le strategie, le priorità, la ripartizione delle risorse, e possa attuare, sorvegliare e valutare la strategia. Si tratta, dunque, di una forma di partnership ampia ed efficace che prevede la partecipazione di soggetti economici e sociali, delle ONG (Organizzazioni non governative) e delle associazioni localihl. Complessivamente, Urban Il ha visto il finanziamento di 70 programmi, nell'ambito dei quali 10 iniziative hanno coinvolto le città italiane, per un totale di finanziamento pari a 112,3 milioni di Euro 12 . Alcuni programmi, comunque non sono ancora terminati. A questi programmi si sono aggiunte le iniziative denominate "Urban Italia", a seguito delle quali sono stati finanziati, con risorse interne, i progetti di altre -
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IL FINANZIAMENTO URBANO NELLA PROGRAMMAZIONE EUROPEA 2007-20 13. L'INIZIATIVA JESSICA
L'attuale programmazione 2007-2013 dei fondi strutturali, con approccio diverso rispetto a quanto avvenuto nelle fasi precedenti, prevede il passaggio della politica urbana all'interno della politica regionale, finanziata dal FESR. Scompaiono, infatti, i programmi specificamente dedicati alle città (fra questi Urban), e i programmi di sviluppo urbano vengono ricompresi nell'ambito delle politiche regionali di programmazione degli investimenti finanziati attraverso i fondi strutturali. In particolare, le Regioni sono chiamate a identificare nei rispettivi documenti di programmazione le priorità della politica urbana, le risorse da destinare all'attuazione di detta politica e le città a cui indirizzare le risorse. La Commissione, comunque, si sofferma sul ruolo fondamentale delle città nella gestione dei progetti di sviluppo urbano e sottolinea l'importanza di delegare alle Amministrazioni locali la gestione dei finanziamenti necessari. Viene inoltre richiesto agli Stati membri di dare vita, nell'ambito del Quadro strategico nazionale (QsN), ad una programmazione strategica unitaria per io sviluppo urbano, che riguardi sia le aree della convergenza che quelle della competitivit à4 . In conformità alle nuove direttive della programmazione comunitaria dei fondi strutturali, il 21 dicembre 2006, la Conferenza Unificata ha espresso parere favorevole sui documento generale di programmazione dei fondi strutturali che prevede - nell'ambito degli interventi ammessi al finanziamento - la possibilità di finanziare progetti integrati urbani, che dovranno essere definiti a livello regionale 15 . All'interno del quadro del dialogo sul QSN viene accordato il massimo spazio possibile al confronto con le città e alla negoziazione di progetti integrati in grado di scandire il rinnovamento urbano e io sviluppo sostenibile, sia a livello di infrastrutture materiali, sia rispetto ai bisogni e servizi sociali. Per stimolare gli Stati membri e le autorità di gestione dei fondi strutturali ad avviare progetti di sviluppo urbano, la Commissione europea ha comunicato le aree di intervento alle quali si dovrebbe dare priorità. nell'ambito della programmazione 2007-20 13 della politica di coesione. Le città rappresentano i luoghi privilegiati di coesione sociale in quanto in esse si trovano la maggior parte dei posti di lavoro, delle imprese e degli istituti di insegnamento superiore. Nella comunicazione si legge che le
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linee fondamentali di azione interessano i trasporti, l'accessibilità e la mobilità, l'accesso ai servizi e alle attrezzature, l'ambiente naturale e fisico e le risorse culturali. Nell'ambito delle iniziative comunitarie, appare innovativa e di sicuro impatto nella progettazione di interventi di riqualificazione urbana e sviluppo sostenibile, l'iniziativa denominata JESSICA (sostegno europeo congiunto per gli investimenti sostenibili nelle aree urbane). Si tratta di un progetto congiunto della Commissione, della Banca Europea degli Investimenti (BEI) e della Banca di Sviluppo del Consiglio d'Europa (CEB), con la quale le predette istituzioni intendono collaborare, nell'ambito dei nuovi programmi del FESR per lo sviluppo urbano, al fine di assistere le autorità negli Stati membri ad impiegare in modo ottimale i nuovi strumenti di ingegneria finanziaria introdotti nel Regolamento generale sui fondi strutturali n. CE n. 1083/2006. Si tratta, nello specifico dei Fondi di Sviluppo Urbano (Fsu) definiti neIl'art. 44 del citato Regolamento quali fondi che investono nei partenanati tra settore pubblico e privato e negli altri progetti inclusi in un piano integrato per lo sviluppo urbano sostenibile. Essi sono finanziati anche dai fondi strutturali e vengono inseriti nei programmi operativi. L'art. 76 del medesimo Regolamento stabilisce che gli interessi che vengono generati dai pagamenti derivanti da programmi' operativi verso i fondi di sviluppo urbano sono utilizzati per finanziare progetti del medesimo tipo e le risorse restituite all'operazione, a partire da investimenti av viati dai fondi di cui all'articolo 44 o ancora disponibili dopo che tutte le garanzie sono state soddisfatte, sono riutilizzate dalle autorità competenti degli Stati membri interessati a favore di progetti di sviluppo urbano o delle piccole e medie imprese. Nell'ambito di questi progetti di finanziamento dello sviluppo urbano, l'iniziativa JESSICA persegue l'obiettivo di mettere insieme le sovvenzioni destinate ai programmi di riqualificazione e sviluppo urbano con i prestiti e le capacità delle banche 16 A tale fine, la Commissione, la BEI e la CEB hanno firmato un protocollo d'intesa (Memorandum of understandings siglato il 30 maggio 2006) nel quale hanno convenuto sulla necessità di coordinare le azioni nel campo del rinnovamento e dello sviluppo urbano, con il duplice obiettivo di: 1) aiutare le Autorità degli Stati membri nel compito di rendere effettivo l'utilizzo di risorse pubbliche (comunitarie e nazionali) e favorire l'impiego di prodotti finanziari addizionai; 41
2) incoraggiare le Autorità di gestione ad un utilizzo maggiore dei prodotti di ingegneria finanziaria indicati nel Regolamento per l'attuazione di progetti di sviluppo urbano. Il coordinamento interessa tutte le fasi di finanziamento: dalla programmazione, alla progettazione di interventi, fino alla gestione e al monitoraggio dei programmi comunitari, ma con specifico riferimento ai progetti di sviluppo urbano, la Commissione intende avvalersi delle capacità e dell'esperienza maturate nel settore dalle istituzioni finanziarie suddette, al fine di combinare le risorse pubbliche e private attraverso un sistema di finanziamenti che consentano il recupero e il reimpiego delle risorse stesse in progetti di riqualificazione e sviluppo urbano 17 . J ESSICA, infatti, è un'iniziativa che, avvalendosi delle risorse dei fondi strutturali, è concepita al fine di attrarre risorse aggiuntive, essenzialmente private, per i finanziamenti di specifici progetti selezionati per la loro capacità di remunerare l'investimento. Attualmente il programma non è ancora operativo. Nel settembre 2006, infatti, le istituzioni comunitarie citate, hanno dato avvio ad una fase di studio sugli sviluppi, sulle modalità di utilizzo, dei cui esiti non si ha, per il momento, alcuna notizia.
Il funzionamento di Jessica 18 Le Autorità di gestione possono investire i pagamenti intermedi provenienti dai Fondi strutturali, nei Fondi per lo sviluppo urbano, mediante meccanismi finanziari reimpiegabili e recuperabili (essenzialmente, partecipazioni al capitale d'impresa, garanzie e prestiti subordinati). I crediti recuperati possono essere reinvestiti attraverso i Fondi per lo sviluppo urbano o possono essere restituiti alle Autorità di gestione per sostenere altri progetti urbani, anche mediante sovvenzioni di tipo convenzionale. I Fsu possono assumere diverse forme amministrative e possono essere destinati ad investimenti in altri settori. Comune denominatore è un'ottica attenta ai vincoli e alle opportunità del mercato, (in quanto si prevede che recuperino almeno il loro investimento), e una destinazione specifica (soltanto quei progetti che abbiano dei piani ben definiti di
rinnovamento e sviluppo urbano integrato). Basandosi su un'ottica più attenta ai vincoli e alle opportunità di mercato, elemento essenziale per il successo dei Fsu, si prevede che i Fondi strutturali impiegati in JESSICA eserciteranno un effetto catalizzatore di somme importanti verso aree che necessitano di coesione sociale, sollecitandone la loro trasformazione. 42
Le Autorità di Gestione potranno decidere di investire direttamente nei Fsu o, tenendo conto della complessità della gestione di strumenti finanziari che non siano sovvenzioni, potranno accedere agli Fsu attraverso fondi di partecipazione, confidando alla BEI, qualora lo desiderino, la gestione di tali fondi. In questo caso, i fondi di partecipazione selezioneranno i Fsu secondo le condizioni stabilite dalle Autorità di gestione. Si prevede che JEssIcA faciliterà inoltre l'immissione di altri finanziamenti provenienti dalla BEI (conformemente alle condizioni e alle procedure operative della BEI), dalla CEB e da altre Banche e che attragga ulteriore capitale di partecipazione, in particolare a favore dei Ppp e di altri progetti sostenuti dai Fondi di sviluppo urbano.
Si tratta di progetti sperimentali, che riguardano i quartieri disagiati e si basano sul partenanato e sull'integrazione locale degli interventi. 2 Cfr. Introduzione Programma PIc Urban: "l'impostazione del Programma Urban è quella di concentrare risorse su aree precisamente delimitate, sostenendo progetti emersi in sede locale che affrontino nella loro globalità le problematiche sociali, economiche ed ambientali dell'area prescelta associando le azioni relative al sostegno delle attività economiche locali, al miglioramento delle infrastrutture e dell'ambiente, alla formazione personalizzata alle azioni a favore delle fasce deboli". Sostegno alle imprese attraverso il trasferimento di tecnologia e promozione di partnership pubblico privato per incentivare lo sviluppo locale ed incrementare l'occupazione. 'I Incremento dell'occupazione attraverso l'offerta di personale (ri)qualificato; contratti di formazione, lavori socialmente utili, etc. 5 Introduzione di modalità di intervento creati ad hoc per le problematiche del contesto, facendo ausilio soprattutto sugli enti non profit. 6 Incremento della vivibilità attraverso la riqualificazione urbana ed il miglioramento delle reti. ' Politica di sviluppo locale partecipata. 8 In Italia sono 16 le città coinvolte nel Programma Urban: Trieste, Genova, Venezia, Roma, Napoli, Salerno, Foggia, Bari, Lecce, Co-
senza, Catanzaro, Reggio Calabria, Palermo, Catania, Siracusa e Cagliari. Urban Il in Italia ha coinvolto le città di: Carrara, Caserta, Crotone, Genova, Milano, Misterbianco, Mola di Bari, Pescara, Taranto, Torino. IO Nasce dunque "URBACT", la rete di programmi URBAN Il per lo scambio di informazioni ed esperienze sullo sviluppo urbano sostenibile nell'Unione europea.
Cfr. il Vademecum per i programmi di iniziativa comunitaria Urban IIdella Direzione generale Politica Regionale della Commissione europea " l'articolo 8 del regolamento generale e il punto 17 degli orientamenti relativi a URBAN Il esprimono l'obiettivo di una consultazione al più ampio livello di tutti gli organismi interessati: autorità locali e regionali, altre autorità competenti, comprese quelle responsabili dell'ambiente e della promozione delle pari opportunità tra uomini e donne, parti economiche e sociali, ONG e associazioni locali, compresi quanti operano nel settore dell'ambiente, nonché altri organismi pertinenti conformemente all'articolo 8 del regolamento generale. 12 Destinatarie dei finanziamenti le Amministrazioni di Carrara, Caserta, Crotone, Genova, Milano, Misterbianco, Mola di Bari, Pescara, Taranto e Torino. 13 Urban Italia ha finanziato le città di Aversa, Bagheria, Bitonto, Brindisi, Caltagirone, Catan43
zaro, Campobasso, Cava dei Tirreni, Cinisello Balsamo, Ercolano, Livorno, Messina, Rovigo, Savona, Seregno, Settimo Torinese, Trapani, Trieste, Venaria Reale, Venezia. 14 Con il termine "convergenza" e "competività" il regolamento generale dei fondi strutturali (reg. CE 108312006) identifica gli obiettivi alla cui realizzazione dovranno contribuire, per il periodo 2007-20 13 il FsE, il FESR, la Bn e gli altri strumenti finanziari esistenti. L'obiettivo "convergenza" è rivolto ad avvicinare gli Stati membri e le Regioni in ritardo di sviluppo, e rappresenta la prosecuzione del precedente obiettivo 1. L'obiettivo "competività regionale e occupazione" al di fuori delle Regioni in ritardo di sviluppo mira a rafforzare la competitività e le attrattive delle stesse. Può essere ricondotto al precedente obiettivo 2. 15 Cfr. Quadro Strategico Nazionale, priorità n. 8 "competitività e attrattività della città e dei sistemi urbani". 16 JESSICA nasce quale risposta alle direttive dell'Accordo di Bristol (incontro informale dei ministri responsabili della politica regionale tenutosi a Bristol il 6 dicembre 2005) ove si è
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convenuto sulla necessità di aumentare l'impulso di rinnovo e riqualificazione urbana in tutta Europa e di garantire fondi di investimento atti a sostenere quei progetti mirati a ottenere comunità urbane maggiormente sostenibili. A tale fine la Commissione europea ha riconosciuto le potenzialità delle istituzioni finanziarie internazionali, che vantano una vasta esperienza nel settore, e nel vertice di Bruxelles del 24 novembre 2005 sul tema "Crescita finanziaria e coesione nell'UE allargata" è stata presentata una proposta, ampiamente sostenuta da tutti i partecipanti, per migliorare la cooperazione tra la Commissione, la Banca europea per gli investimenti (Bn) e la Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa (CEB). Successivamente, il 30 maggio 2006 è stato firmato un Protocollo d'intesa per sancire il coordinamento degli sforzi da parte delle 3 istituzioni nel campo dei progetti urbani. 17 Cfr. il documento pubblicato sul sito di Mci-Ideali "Dov'è finito Urban, le città verso i progetti integrati urbani 2007-2013" a cura di Maria Baroni. 18 Il contenuto del box è tratto dal documento di Mci-Ideali citato nella nota precedente.
istituzioni n. 1401143 Annale 2006
Il Ppp per lo sviluppo locale. I modelli possibili nel campo delle infrastrutture: un progetto di ricerca (2006)
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1 Libro bianco Tendenze e politiche dello sviluppo locale in Italia' indica, fra le raccomandazioni, l'importanza di tenere conto del ruolo delle autonomie funzionali che danno sostanza alla cosiddetta sussidiarietà orizzontale e che si identificano con soggetti della scena locale come le fondazioni di origine bancaria, le camere di commercio, le associazioni di categoria. Tutti soggetti che sono oggi chiamati, proprio sul territorio, a significativi cambiamenti di scopo e di funzioni. E dall'azione, più o meno combinata secondo i casi e secondo le funzioni, di ciascuno di questi soggetti che può nascere una rete di sostegno, a monte e a valle, delle politiche di sviluppo locale. Una rete funzionalmente abilitata, operando attraverso le linee interstiziali del sistema istituzionale di governo multilivello, a sollecitare direttamente le energie imprenditoriali e dell'autonomia privata sul territorio. Dando così un forte contributo all'azione di coordinamento dei vari livelli di governo. Per tali ragioni non può essere trascurata "la necessità di una più stringente messa a punto dei possibili modelli operativi, a livello delle singole iniziative, del partenariato pubblicoprivato. E di particolare rilievo, in questa prospettiva, il ruolo dei soggettifinanziatori e investitorf' 2 . E proprio a quest'ultima raccomandazione si riferiscono i paragrafi che seguono, guardando, in particolare, ad un settore cruciale dello sviluppo locale: quello delle infrastrutture. Partiamo da alcuni dati noti e fin troppo ripetuti. Anzi scontati. Da tempo la questione "infrastrutturale" è al centro dei discorsi sulle politiche pubbliche come uno dei nodi fondamentali da sciogliere. Da anni si convive con un pesante deficit di infrastrutture, che si manifesta in misura più evidente nelle Regioni meridionali. Lasciamo da parte la questione dei risultati finora raggiunti dalla programmazione attivata ai vari livelli, nazionale e comunitario, fondamentalmente dedicata alle grandi opere. Consideriamo la questione delle infrastrutture locali. C'è da dire, a questo riguardo, che lo stesso fabbisogno di infrastrutture andrebbe ridefinito a fondo in termini sia quantitativi sia qualitativi (in riferimento alla salvaguardia dell'ambiente, al superamento 45
delle maggiori disuguaglianze nelle reti delle TLC e delle reti regionali e interregionali della mobilità come gli aeroporti per collegamenti aerei entro le aree del sud). Sono stati sempre fondamentali e decisivi i problemi di fabbisogno finanziario. Ma è oramai diffusa la consapevolezza che occorre avere a disposizione più adeguati modelli operativi, soprattutto quando si intendano coinvolgere risorse industriali e finanziarie private attraverso le varie forme del Partenariato pubblico-privato. C'è, tuttavia, qualcosa di ambiguo nei discorsi sul Partenariato pubblico-privato: manca la considerazione della domanda di Ppp in termini di analisi e di idee. I tanti quesiti che vengono posti a riguardo di Ppp tendono a ridursi al consueto interrogarsi sulle figure o forme giuridiche che, apparendo varie e mobili, portano di per sé a captare l'attenzione di molti addetti ai lavori. Per lo più nell'attesa consueta - che sempre, inevitabilmente, va poi delusa - di certezze e classificazioni manualistiche, donate dal legislatore ovvero escogitate o consentite dal giudice. Non vogliamo uscire da questa particolare attenzione alle questioni di carattere giuridico. Tuttavia, riteniamo che la questione del Ppp rimane mal posta se elude un più generale contesto. Ne viene minata la stessa capacità di precisare nozioni e definire linee di azione che solitamente hanno bisogno di una complessa progettualità sociale, economica, industriale ed urbanistica. Il metodo multidisciplinare e/o multiprofessionale è, dunque, necessario. Sulla base di quanto sopra detto, il ragionamento che qui di seguito viene svolto è suddiviso in tre parti. La prima parte riguarda l'approfondimento-indagine del Ppp in termini giuridici. Ivi compresa - come passaggio fondamentale - un'articolata analisi comparativa. La seconda parte pone specifica attenzione al sistema di governo (governance) nelle varie sfaccettature sia di parte privata che di parte pubblica e alle forme di finanziamento nei loro stretti collegamenti. Per cercare di andare al cuore dei problemi della modellistica. La terza parte viene dedicata all'esigenza di una "lettura" sul territorio dei fabbisogni che originano o possono originare iniziative di Ppp. Una lettura critica che passa necessariamente attraverso metodi ricognitivi interdisciplinari. 46
MODELLI DI Ppp: ASPETTI TEORICI E COMPARATIVI
Per considerare i modelli giuridici del Ppp occorre un buon quadro di riferimento. Nell'ultimo decennio dello scorso secolo si è diffusa la convinzione che il necessario incentivo allo sviluppo infrastrutturale potesse derivare dall'introduzione di forme e modelli di finanziamento delle opere pubbliche caratterizzati da un maggior coinvolgimento della finanza privata. Ciò non ha mai significato che il settore pubblico possa scaricarsi, sempre e completamente, degli oneri per la costruzione e per la gestione delle infrastrutture. Di ciò si ha ormai piena coscienza e conoscenza. Anzi, è ben chiaro che l'intervento di risorse finanziarie private può tradursi, e si è già spesso tradotto, in forme piii o meno sofisticate di indebitamento delle amministrazioni pubbliche. La questione sta imponendo l'esigenza di una ricognizione, in punto di fatto, degli effetti nel tempo - in termini di finanza pubblica - dei vari modelli di Partenariato pubblico-privato. Soprattutto quando si tratti delle cosiddette "opere fredde", cioè non direttamente capaci di redditività in termini di "prezzi" pagati dagli utenti per la fruizione. EUROSTAT e Fondo Monetario Internazionale si stanno occupando della materia anche per definire i parametri con i quali valutare l'influenza del Ppp sull'indebitamento pubblico. Il Fondo Monetario Internazionale, in particolare, nel febbraio 2006 ha pubblicato nel consueto Country report sull'Italia3 alcune considerazioni sulle forti problematicità, ma anche sugli aspetti incoraggianti, della politica italiana di infrastrutturazione mediante il ricorso al Prr. Il Rapporto contiene alcune raccomandazioni: - selezionare, sulla base di oggettive priorità, la lunga lista di progetti; - utilizzare il Ppp quale strumento per migliorare l'efficienza della capacità di spesa dello Stato (a condizione che siano fatte: a) una severa valutazione e allocazione dei rischi associata a ciascun progetto; b) una seria valutazione ex ante del rischio che il debito contratto non sia imputabile off bilance, c) una banca dati delle operazioni in Ppp con l'indicazione della distribuzione dei rischi associati); - fare attenzione anche ai progetti di piccole dimensioni che possono garantire minori rischi e maggiore convenienza per la PA. In ogni caso, che ci sia molta attenzione al coinvolgimento del privato, in termini di private finance, è testimoniato, se non dall'entusiasmo, certo dal gran parlare, che ha accompagnato l'ingresso nel nostro ordinamento 47
del project financing come strumento innovativo di finanziamento delle opere pubbliche mutuato dall'esperienza anglosassone. In verità l'iniziale entusiasmo si è via via affievolito, talvolta anche drasticamente, dinanzi alla constatazione dei non pochi profili di criticità che sono emersi nell'applicazione pratica dell'istituto del p.f. così come disegnato dalla complessa disciplina di cui all'art. 37 bis e ss.mm.ii. della legge 109/1994 (c.d. "legge Merloni", trasfusa nel Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004118/CE, Domande aperte, discussione, d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, - di seguito anche indicato "Codice dei contratti" - ) oggi contenuta nell'art. 153 del Codice. Vale ricordare, al riguardo, che i dati dell'Osservatorio Nazionale sulla Finanza di Progetto evidenziano come sia elevata la mortalità dei procedimenti attivati ex artt. 37 bis e ss., e al contrario assai contenuto il numero di quelli che giungono a conclusione. Tra le ragioni che hanno impedito in concreto il decollo delle procedure del p.f. nel nostro ordinamento si devono ricordare: - io scarso studio dell'opera prima di essere inserita nella programmazione triennale con la conseguenza ricorrente di una sottovalutazione dei costi (di strumentazione, materie prime, forza lavoro e così via); - il divario ai conoscenze tra la PA e le controparti private in questa fase con un conseguente alto "rischio amministrativo" relativo sia agli iter precedimentali coinvolgenti più autorità amministrative sia al mantenimento nel corso del tempo della "volontà politica"; - l'ancor irrealizzata previsione di strumenti che assicurino alla PA che la concessione vada a buon fine una volta individuato il concessionario e sottoscritto il contratto; - la mancata o solo molto parziale previsione di strumenti di 'compensazione dei costi di partecipazione alle fasi competitive, costi particolarmente alti; - il regime non adeguato delle garanzie come segnalato dalla proposta, fatta dall'ABI qualche tempo addietro, di costituire un soggetto assicuratore di seconda istanza. D'altra parte, il tentativo ripetuto degli Enti locali è quello di inserire sempre più fra le opere pubbliche da realizzare con iniziative di finanza privata quelle cosiddette "fredde", cioè non direttamente reddituali. Ciò richiede di dover definire nelle diverse fattispecie i possibili "prezzi compensativi" come elementi fondamentali delle singole operazioni con vari
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effetti sui modelli operativi applicabili. Contemporaneamente, i Comuni, di fronte alle difficoltà del PPP sono spinti a cercare finanziamenti con forme diverse di indebitamento. Comincia ad essere diffusa la pratica degli Enti locali che in forma aggregata (prevalentemente attraverso consorzi ad hoc talvolta a base provinciale) negoziano con le banche mutui a condizioni e tassi particolari. In quest'ultimo caso, però, le iniziative di finanza privata passano spesso in secondo piano.
Basta semplifì care o chiarire le procedure? Si è spesso pensato che un incentivo al "decollo" del project financing potesse consistere nella semplificazione/chiarificazione della procedura di p.f. e, dunque, nella revisione del testo delle norme che l'hanno introdotta nell'ordinamento. L'idea, diffusa e ricorrente, di modificare il testo normativo nasce dalla constatazione dei molteplici problemi interpretativi e applicativi di queste norme. In realtà, il nostro legislatore ha tentato di calare il modello anglosassone nel contesto di un concetto tradizionale di contrattualistica, dove mai il contratto è fonte primaria di diritto (il punto non sarà mai sufficientemente sottolineato) generando così una serie di "aporie" rispetto al modello di riferimento. Ed infatti, in sistemi a diritto amministrativo di tipo continentale è scontato che la primazia della legge non trova eguali in altri strumenti almeno in termini di efficacia risolutiva di "problemi". Almeno in teoria. Di qui le ultime modifiche all'art. 37 bis (vedi art. 24, comma 9 della legge comunitaria 2004) e il disegno di legge presentato nella scorsa legislatura (S3320 - Grillo ed altri - rforma organica della procedura di finanza di progetto) e ripresentato nella presente legislatura (S1251 del 17 gennaio, annunciato nella seduta pomeridiana n. 92 del 23 gennaio). È chiaro che condizione di efficacia di ogni intervento legislativo è che esso colga bene i problemi e si basi su un'adeguata considerazione dei dati di fatto. I quali possono (meglio: devono) costituire la base per una convincente simulazione di tutti i possibili effetti di una messa a punto normativa.
Il Pifra legislazione urbanistica e ordinamento comunitario Il prossimo capitolo della riforma della legislazione urbanistica, sia a livello nazionale che a livello regionale tende ad ampliare le possibilità di partenariato anche in ambito di opere di urbanizzazione primaria e se49
condaria. Vale ricordare diversi disegni di legge in materia di governo del territorio, presentati nella precedente legislatura ed in quella attuale (ad esempio, disegno di legge presentato dall'On. Lupi nel 2005, e successivamente ripresentato il 28 aprile 2006 con il n. C-103; il disegno di legge C-1215, presentato dall'On. Mantini il 27 giugno 2006 e, ancora al Senato, il disegno di legge S 888, presentato dall'On. Sodano. Molteplici, d'altra parte, sono le iniziative legislative regionali già concluse o in corso. Da ultimo la Regione Lombardia con la legge n. 12/2005, la Toscana con la legge n. 1/2005, la Campania, con la legge n. 16/2004. In complesso, si può dire che - anche attraverso l'idea della c.d. "urbanistica consensuale" che si è andata via via applicando pur tra molti contrasti - si sta progressivamente affermando l'opportunità che amministrazioni pubbliche e operatori privati si dotino di un'ampia griglia di criteri selettivi per la scelta della forma di Ppp. Le Istituzioni comunitarie hanno diffusamente espresso la convinzione che il coinvolgimento del capitale privato - sia in termini di finanziamento sia in termini di know how - possa contribuire a colmare il deficit infrastrutturale che caratterizza taluni territori della UE. Il "Libro verde relativo ai partenariati pubblico-privato ed al diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni" adottato dalla Commissione europea nel 004, è incentrato su un concetto ampio di Ppp, pur rifuggendo da un'esplicita e chiara definizione. Il Libro verde parte da una nozione che ricomprende una vasta gamma di casi e modelli più o meno normati in legge ovvero emersi nella prassi amministrativa e contrattuale. Tutti caratterizzati da forme più o meno intense di cooperazione tra le autorità pubbliche ed il mondo delle imprese volte a coprire un vasto arco di operazioni come: il finanziamento, la costruzione, il rinnovamento, la ristrutturazione, la gestione o la manutenzione di un'infrastruttura. Ugualmente tali forme di cooperazione possono riguardare la fornitura di un servizio. In tale ampio ambito il Libro verde ha preso in considerazione modelli molto diversi tra loro come, a parte gli appalti pubblici che ricevono una regolamentazione specifica ed uniforme nel mercato interno (vedi Direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE), le concessioni per la costruzione e gestione di opere pubbliche e servizi pubblici, le operazioni di project financing, la costituzione di società a capitale misto pubblico privato, ovvero la privatizzazione di società pubbliche attraverso cessione di quote sociali. Alla varietà dei modelli si aggiunge poi la molteplicità degli ambiti di applicazione e, soprattutto, l'articolazione in concreto di ciascun model50
lo. In proposito, il Libro verde cita tra i settori di intervento (a titolo puramente esemplificativo) tanto la realizzazione delle reti transeuropee di trasporto, quanto la realizzazione delle infrastrutture tecnologiche, quanto il settore della ricerca e dello sviluppo, nonché i servizi pubblici locali. Malgrado l'ampio numero di fatti e fattispecie ricondotte entro la nozione di Ppp fatta propria dal Libro verde, essa tuttavia si riferisce pur sempre alla materia delle infrastrutture senza considerare l'ancor più ampio fenomeno di rapporti di cooperazione contrattuale fra le amministrazioni pubbliche e i privati. Con un workingpaper del maggio 2005 la Commissione ha riferito che le risposte al Libro verde hanno espresso un quasi unanime consenso riguardo all'opportunità che ci sia "a collective consideration" dei problemi del Ppp a livello di Commissione. Secondo la maggioranza dei contributi tale presa in considerazione dovrebbe riguardare soprattutto l'identificazione e lo scambio delle bestpractices. Minore è il consenso sull'opportunità di iniziative regolative. Sembrano conclusioni molto ragionevoli. In realtà, non è ancora ben esplorata la questione pregiudiziale che caratterizza la materia: quanto il Ppp debba essere sospinto e incoraggiato per realizzare comunque i piani di crescita del sistema infrastrutturale anche e soprattutto a livello locale e quanto il Ppp debba essere considerato soltanto alla luce del pieno dispiegamento delle regole della concorrenza. Il mix giusto degli obiettivi da raggiungere è ancora ben lontano dall'essere definito. Tanto più che, a monte, pende la questione già segnalata di quanto certe forme di Ppp possano pesare sull'indebitamento pubblico futuro. Con una successiva Comunicazione del 15 novembre 2005 al Parlamento Europeo, al Consiglio e ad altre istituzioni europee la Commissione ha annunciato che, conclusa la fase di consultazione aperta con il Libro verde, avrebbe preso l'iniziativa - nel corso del 2006 - di proporre un intervento legislativo in materia di concessioni per superare alcune ambiguità attuali. Tutto ciò previo accertamento della stretta necessità dell'intervento e dell'impatto che esso potrà avere. Temi da affrontare: la pubblicità degli avvisi di gara, i criteri di selezione dei concessionari, i problemi legati alla lunga durata delle concessioni. Per quanto riguarda, invece, le "institutionalised Ppps" la Commissione conviene sul fatto che non sia matura un'iniziativa legislativa ma possa essere sufficiente una Comunicazione interpretativa avente soprattutto ad oggetto la controversa casistica degli affidamenti in-ho use. 02
Su questi temi si è da ultimo espresso il Parlamento europeo (Relazione del 16 ottobre 2006, 2006/2043 INI) appoggiando la Commissione nel voler verificare la necessità di istituire regole uniformi per l'aggiudicazione delle concessioni, e attendendosi da un eventuale testo legislativo una definizione chiara delle stesse. Inoltre ha richiamato l'attenzione sull'elemento della durata, sulla problematicità di una sua quantificazione in sede di gara, e sulla necessità che gli elementi necessari per i partecipanti di fissare una durata congrua a remunerare gli investimenti siano fissati dall'Amministrazione. Con riferimento ai "Ppp istituzionali", infine, l'attenzione del Parlamento si è concentrata sul problema della definizione del "controllo analogo" e sui meccanismi di individuazione del partner privato. LINEE DI ANALISI LEGISLATIVA COMPARATIVA
Le caratteristiche dei diversi modelli di Ppp e la varietà dei possibili ambiti di riferimento devono essere efficientemente approfondite - al fine preciso della loro applicazione pratica - anche attraverso una analisi comparati va delle esperienze maturate in altri contesti nazionali. Infatti, verificare come altri Paesi hanno utilizzato e applicato in concreto la logica del partenariato pubblico privato consente una maggiore comprensione dei limiti e delle potenzialità connesse a tale tipo di operazioni. Nello specifico vale considerare i casi della Francia, della Germania e della Spagna con riferimento alle operazioni che abbiano forti connessioni con lo sviluppo locale. In più, vale allungare lo sguardo a qualche esperienza non europea. Per quanto riguarda la Francia, occorre considerare il grado di accettazione, da parte del sistema, dei nuovi "contrats departenariatpublicpriv/' (o più semplicemente contrats de partenariat) introdotti dalla legge 2 luglio 2003 e dalle ordonnances governative che ne sono seguite (in particolare l'ordonnance del 17 giugno 2004, n. 559 sui contratti di partenariato, ratificata dalla legge 9 dicembre 2004). Si tratta di contratti con i quali si possono variamente combinare compiti diversi come la stessa concezione o ideazione, la realizzazione, la .trasformazione, lo sfruttamento economico e il finanziamento di infrastrutture pubbliche oltre che la gestione e il finanziamento del servizio ad esse congiunto attraverso strumenti finanziari diversi. Tali contratti possono avere anche durata molto lunga. Il Conseil constitutionnel, pur ammettendo la compatibilità di questi
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nuovi contratti (dichiaratamente derivanti dall'esperienza anglosassone) con la Costituzione francese, ne ha affermato il carattere derogatorio per cui, volta a volta, va dimostrata la necessità di farvi ricorso in ragione dello stesso interesse pubblico. Per quanto riguarda la Germania, vale specificare che la Public Private Partnershzp task force del Bundesministerium fuer Verkehr, Bau-und Wohnungswesen giudica il Ppp l'approccio più idoneo a coordinare le operazioni di Public Building Construction, poiché riesce meglio a valorizzare le competenze e minimizzare i rischi connessi ad esse. Tale approccio viene utilizzato già da tempo nei Laender e a livello più locale nelle municipalità, che in proposito intervengono non solo mediante la pubblicazione di linee guida o raccomandazioni, ma anche mediante specifiche metodologie di valutazione come, ad esempio, la "Efficiency Comparison" per la preparazione ed implementazione di progetti in Ppp. Nel caso tedesco, il partenariato pubblico privato è utilizzato soprattutto nel settore dei servizi pubblici: energia, approvvigionamento idrico e gestione delle acque reflue, smaltimento dei rifiuti, facendo ricorso a tutte le tipologie contrattuali possibili. L'esperienza spagnola, invece, che si caratterizza dal 1995 con particolare riferimento al settore dei trasporti, può essere particolarmente rilevante per essere stata la prima in Europa ad adottare l'approccio del Ppp in progetti finanziati da un Fondo di coesione. Con specifico riferimento al PF, il ricorso a tale strumento si è registrato in molteplici settori, dall'energia allo smaltimento dei rifiuti, dal settore idrico alla realizzazione dei centri commerciali, ma anche nella riqualificazione urbana. In proposito il PF ha giocato un ruolo fondamentale nelle azioni di recupero e valorizzazione delle aree dismesse e abbandonate di Barcellona. Di particolare rilievo, ai fini della presente ricerca, è inoltre lo studio dell'esperienza di Bilbao dove per il rilancio di una città post-industriale sono state costituite diverse partnership tra pubblico e privato, scommettendo in particolare sul settore dei beni culturali. Occorrerà anche considerare il caso del Brasile quale Paese che ha recentemente legiferato intorno alla tematica del partenariato (Lei n. 11.079 del 30 dicembre 2004 che ha istituito "normas gerais para 1icitaao pib1ico-privada no ambito da administra'do pib1ica) sviluppando un approccio ispirato alle consolidate esperienze internazionali e, in particolare, al modello del PFI (Private Finance Initiative) inglese. La suddetta normativa, supportata anche da un atto regolamentare del Presidente della Repubbli53
ca (n. 5.385 del 4 marzo 2005 che ha istituito il Comite Gestor de Parceria Prblico-Privada Federal - CGP e n. 5.411 del 7 aprile 2005 per la patrimonializzazione di un fondo di garanzia di Ppp "Fundo Garantidor de Parcerias Prblico-Privada" -FGP), offre spunti di approfondimento interessanti per via della sua recente introduzione sulla base di un apprezzato studio comparativo di altri riferimenti di legislazione e di prassi, con l'obiettivo di superare le criticità emerse nell'esperienza concreta.
Modelli possibili in astratto e modelli ricavati dai bisogni e dalle realtà Il modo usuale di affrontare il Ppp è stato e continua ad essere - come abbiamo già notato - quello di divulgare e/o cercare di trascrivere entro la realtà nazionale i dati tratti dall'esperienza anglosassone. Viene così privilegiata l'analisi degli aspetti finanziari inerenti ai singoli modelli di Ppp più che lo studio delle fattispecie che si presentano nell'esperienza concreta di ciascun Paese e della economia reale che sottostà a tali fattispecie. Questo approccio ha dimostrato evidenti lacune, soprattutto ove si consideri che in realtà è proprio il contesto fattuale che influenza il modello di Ppp prescelto o, più precisamente, il modello di Private Finance Initiative come si usa dire nel gergo specialistico inglese quando si tratti di infrastrutture. È il contesto che lo arricchisce di particolari e di peculiarità rispetto alla fattispecie astratta e che, alla fine, ne testa la validità e le criticità. L'esperienza di questi ultimi anni ha dimostrato che non basta divulgare i modelli dell'esperienza anglosassone, ma bisogna mettere a punto un approccio analitico più attento alla realtà e tale che tenga conto dei presupposti di fattibilità, dell'analisi delle prospettive di successo, nonché delle molteplici implicazioni pratiche e degli effetti a medio-lungo termine. E in tale prospettiva, non si può trascurare il fatto che spesso i dati su cui ragionare in concreto sono per lo più - come già accennato - delle semplici dichiarazioni di intenzioni (quali possono essere considerati gli "avvisi" o gli inviti al project financing) piuttosto che delle effettive realizzazioni. Ma c'è poi da chiedersi: le dichiarazioni di intenzione si fondano su adeguati studi preparatori, su serie verifiche fattuali, su scenari di sviluppo attendibili? Occorre allora passare al tema della nascita, in concreto, delle operazioni e - soprattutto - del quadro cognii-ivo territoriale entro il quale esse vanno iscritte, volta a volta. 54
L'ORJGINATION: UN PASSAGGIO CRUCIALE
Se è vero il fatto che le realizzazioni sono state relativamente poche, occorre chiedersi se la ragione non debba essere ricercata nella fase dell'impostazione originaria (c.d. origination) delle singole operazioni di Ppp. Questo è, infatti, il momento nevralgico da cui consegue la buona riuscita dell'intervento infrastrutturale. Occorre avere ben chiare le criticità che in tale fase possono pregiudicare la fattibilità dell'operazione di Ppp, nell'assunto che una buona idea è tale soltanto se ne nascono iniziative realizzabili e di agevole attuazione. La fase di impostazione è da considerare come quella a maggior valenza strategica. Da quanto traspare dalle migliori esperienze compiute finora questa fase vuole, ad esempio, una valutazione ad ampio orizzonte di tutti gli aspetti di un'operazione e dei suoi possibili impatti. Ciò comporta che il team chiamato a considerare tali aspetti finisca per essere ampio, con la presenza di professionisti di varia competenza. Il che può comportare costi di un certo rilievo e, comunque, tendenzialmente standard almeno per la prima fase, quali che siano le dimensioni dell'operazione. È importante, comunque, definire i passaggi analitici dell'origination e i suoi costi. Così come quelli delle fasi successive del processo di Private Finance Initiative. Vi è poi un'altra ragione, questa di carattere amministrativo e formale, a giustificare l'importanza del tema: la verifica dei "lavori preparatori" che portano alla predisposizione dei programmi triennali dei lavori pubblici. Vengono individuate o no tutte le principali caratteristiche sostanziali e procedurali dell'operazione? Occorre, in particolare, considerare quale modello di Ppp appaia pi1 adatto rispetto alla fattispecie concreta (ad esempio, la scelta del Projectfinancing ex art. 37-bis 1. 109/1994, piuttosto che della concessione ex art. 19, ovvero il ricorso a modelli spuri ovvero il ricorso a forme di partenariato istituzionale, e/o a forme di concessione derivanti da normative di settore, etc.). Altrettanto rilevante è considerare e prevedere con buona approssimazione le varie fasi nelle quali si articola il progetto, dall'ideazione alla piena realizzazione e gestione dell'opera. In ogni caso sembra importante sollecitare gli Enti locali a dare nei programmi triennali tutte le informazioni che fanno della programmazione triennale una programmazione attendibile. È necessario che sia rispettato 55
quanto dispone la circolare esplicativa 1618/1V del 16/12/2004 con la quale sono stati regolati le procedure, gli schemi-tipo per la redazione e la pubblicazione del programma triennale, dei suoi aggiornamenti annuali e dell'elenco annuale dei lavori pubblici. La consapevolezza che il percorso di individuazione delle operazioni non si riduce a indicazioni secche e immotivate c'è. La realtà è poi diversa.
L'origination ed il modello di governance Va da sé - lo abbiamo già affermato - che un approccio efficace e valido per tutto il territorio nazionale per affrontare positivamente la questione infrastrutturale deve necessariamente disporre di una modellistica ricca di opzioni. È per questo che - vale ribadire - si deve opportunamente parlare di Partenariato Pubblico Privato nel suo senso più ampio, cioè sia quando questo è caratterizzato da meccanismi normati sia quando si esprime nelle forme contrattuali, di carattere più volontaristico. Va detto che, se da un lato, non si può prescindere dalla ricognizione delle figurae iuris che la legislazione italiana è venuta predisponendo, dall'altro, come confermato dalle tendenze legislative e dalla stessa prassi, tali figure e tali strumenti non possono essere destinati ad un impiego statico. Anzi, sono inevitabilmente connotati da una rilevante dinamicità in termini di ibridazione e di potenzialità evolutiva. Si è giustamente fatto riferimento, a questo riguardo, ai contratti atipici. Naturalmente, su queste figure si è già addensato un complesso non indifferente di pronunce del giudice amministrativo e dell'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture. In un sistema a diritto amministrativo ciò può costituire un vero fardello, quando i giudici si attengano a criteri interpretativi di stretto diritto (trattandosi, nel caso, di un diritto inevitabilmente incompleto dove non si può dire tutto a priori). Ma la giustizia amministrativa può talvolta avere aperture rilevanti di "diritto pretorio". Si considerino, al riguardo, alcune figure di cui vanno indagate bene la ratio, la portata e le potenzialità di applicazione che vanno al di là della fattispecie originariamente prevista: - il promotore, ad esempio, è una figura prevista specificamente per la procedura di cui all'art. 37 - bis e ss. ma rappresenta in realtà, a considerarla fuori dalla fattispecie legislativa, il prototipo di un'aggregazione di 56
varie soggettualità imprenditive chiamato potenzialmente ad operare in un più ampio spettro di iniziative (il promotore finisce per essere, in sé, una figura composita di imprenditore); - il generai contractor, d'altra parte, è figura chiamata ad operare nell'area delle grandi opere e dei relativi appalti, ma sembra figura anch'essa potenzialmente applicabile, almeno in termini di ipotesi, ad opere di dimensioni diverse; - per quanto poi riguarda le varie forme societarie di tipo misto, occorre pensare alle tante società di scopo emergenti dalla legislazione. Sono società senza caratteristiche particolari quanto a struttura. Pur nella varietà degli scopi (si pensi alle società di trasformazione urbana, alle società di progetto, alle varie forme di società miste), sono società che vanno confrontate con il nuovo diritto societario per poter valutare vincoli e potenzialità espansive che ad esse vengono attribuite.
Iorigination e le tecniche difinanziamento e garanzie Una buona "origination" delle concrete operazioni di Ppp comporta di affrontare la questione di una corretta stima dei costi e del loro finanziamento. Come già precedentemente ricordato è fondamentale stimare fin dall'inizio i costi di realizzazione e quelli dell'operatività gestionale. Al fine di una ottimizzazione dell'impostazione iniziale dell'operazione di PPP vanno di conseguenza affinate le tecniche ed i processi di finanziamento delle infrastrutture. A tal fine diviene dunque rilevante individuare una serie di percorsi "tipici" ovvero "ibridi" che coniughino architetture istituzionali e tecniche di finanziamento, con ciò offrendo un ventaglio di strumenti per affrontare le criticità rilevate nella prassi. A tal proposito si deve partire dalle opportunità diverse dal classico indebitamento pubblico ovvero inserire il medesimo nel quadro di una più articolata strutturazione finanziaria che coinvolga strumenti - anche e soprattutto di derivazione pubblica - all'uopo dedicati, oltre a quelli che sarà possibile reperire mediante libera contrattazione con i soggetti privati. A tal fine si segnalano i fondi regionali per la progettualità ed i fondi immobiliari ad apporto pubblico. Si tenga conto che in questa fase è opportuno valutare la fattibilità di strategie integrate di intervento che siano in grado di realizzare un equilibrio tra livelli differenti di redditività e di rischi relativi alle opere. In altre 57
I fondi regionali per la progettualità Le Regioni italiane possono verificare l'opportunità di destinare risorse specifiche per favorire le capacità progettuali degli Enti locali e degli altri attori locali interessati a promuovere lo sviluppo di iniziative legate a vari settori dello sviluppo locale. Il successo di questa attività di finanziamento - dato da un elevato rapporto tra studi di fattibilità finanziati e progetti poi effettivamente avviati - è legato al sistema attraverso il quale tali fondi vengono erogati. In tal senso si può pensare a risorse ripartite su due tipologie di fondi: una parte indirizzati a rappresentare contributi a fondo perduto che abbiano un rilevante impatto sul costo della progettazione, ed il resto disponibili secondo le modalità tipiche di un fondo rotativo per la progettualità (che richiede i rimborsi da parte degli utilizzatori). Naturalmente assume particolare rilievo nella selezione delle iniziative da finanziare la capacità dei promotori di ricercare diverse fonti di finanziamento (fondi propri, fondi europei, finanziamenti e contributi da soggetti privati quali le Fondazioni di origine bancaria, le imprese interessate allo sviluppo delle iniziative e le associazioni di categoria, sponsorizzazioni, finanziamenti da parte delle banche, etc.) in modo da ripartire il "rischio di prima progettazione" su più finanziatori. Si possono ipotizzare modulazioni del finanziamento regionale in modo da "premiare" i promotori più efficienti, in termini di soluzioni di cofinanziamento e poi di effettiva messa in opera dell'iniziativa, erogando una quota rilevante sulla parte a fondo perduto e dunque ipotizzando una ripartizione "variabile" del finanziamento tra le due tipologie di fondi. Ovviamente questi meccanismi devono essere opportunamente studiati in funzione delle risorse disponibili, della scala delle priorità negli obiettivi della Regione, della complessità delle procedure e, infine, del quadro normativo e regolamentare di riferimento. I Fondi di natura rotativa, in quanto le loro disponibilità vengono ricostituite attraverso i rimborsi da parte degli utilizzatori, rappresentano un incentivo per lo sviluppo di determinati settori. Negli ultimi anni si è fatto molto ricorso a questo tipo di fondi, sia per la rapidità con cui vengono erogate le anticipazioni (generalmente intercorrono dai sessanta ai novanta giorni tra l'accettazione del progetto e l'erogazione del finanziamento) sia per il tasso d'interesse (concorrenziale rispetto ai tassi applicati dagli istituti di credito) applicato sulla somma erogata. Il Fondo rotativo per la progettualitàè quello, tra i vari fondi rotativi, che interessa le infrastrutture. Istituito dall'art. i della legge 549/1995 e s.m.i. presso la Cassa depositi e prestiti e attualmente regolato dalla circolare CDP n. 125012003. La finalità originaria del fondo consiste nel razionalizzare ed accelerare la spesa per gli investimenti delle amministrazioni degli enti pubblici. A tal fine finanzia la progettazione nelle sue tre fasi (preliminare, definitiva ed esecutiva, come indicato dalla legge 109/1994 e s.m.i.). Una volta stabiliti i criteri di valutazione e nella prospettiva di una migliore allocazione delle risorse, normalmente, viene richiesto ai soggetti interessati al finanzia58
mento uno studio di fattibilità, che serve per verificare l'opportunità di intervenire e per scegliere le modalità di intervento, tra quelle utilizzabili, attraverso le quali viene meglio soddisfatta la necessità della collettività. I contenuti fondamentali in cui si articola lo studio di fattibilità sono: Analisi della necessità da soddisfare: deve essere chiarita la particolare esigenza del territorio e determinata la domanda da soddisfare, sia attuale che futura, anche attraverso la descrizione della situazione esistente. Specificazione delle possibili modalità d'intervento: devono essere identificate e confrontate le modalità alternative di soddisfacimento della domanda, da sottoporre ad analisi di fattibilità e convenienza (solitamente viene usato il parametro costi/benefici). Analisi di fattibilità: per ciascuna delle modalità individuate devono essere verificati e confrontati gli elementi tecnici, economico-finanziari, procedurali ed amministrativi. Analisi di convenienza: sulla base degli elementi precedentemente determinati e dei confronti effettuati deve essere predisposta una graduatoria delle modalità alternative in base al rendimento/utilità sociale atteso. Relazione sintetica conclusiva: devono essere fornite raccomandazioni motivate sulla fattibilità del progetto al fine di supportare il decisore nella formulazione del giudizio finale.
Fondi immobiiari ad apporto pubblic04 Il fondo immobiliare ad apporto pubblico è una particolare tipologia di fondo immobiliare. È un prodotto di risparmio gestito, nato per consentire l'investimento in immobili anche ad investitori di dimensioni medio-piccole. Tale prodotto nasce come strumento per la realizzazione dell'opera di dismissione e privatizzazione degli immobili pubblici. Il fondo ad apporto pubblico nasce infatti a seguito del conferimento, da parte di un ente pubblico, di un selezionato compendio immobiliare che viene gestito dalla società di gestione del risparmio (SGR) e soltanto in un momento successivo offerto al pubblico dei risparmiatori. Tale tipo di fondo presenta, per il risparmiatore, un ulteriore, notevole, vantaggio, riconducibile alla possibilità di conoscere la composizione del portafoglio immobiliare già al momento del collocamento. Esso consente di partecipare ai risultati economici di iniziative immobiliari, a fronte dell'investimento di piccole somme, avvantaggiandosi di una gestione professionale del patrimonio. Un fondo immobiliare ad apporto pubblico è caratterizzato, in fase costitutiva, da un ciclo inverso rispetto a quello di un fondo immobiliare ordinario, in quanto la raccolta del risparmio sui mercati finanziari (operazione finanziaria) segue l'operazione immobiliare, articolata nelle seguenti fasi preliminari: 59
- identificazione del portafoglio immobiliare da conferire al fondo (da parte di uno o pit soggetti conferenti); - analisi tecnica, legale, amministrativa, economica e finanziaria di tale patrimo-
nio (due diligence); - valutazione dei beni condotta o asseverata da un esperto indipendente; - conferimento dei beni immobiliari al fondo contro l'emissione di quote a beneficio del soggetto conferente. Segue poi l'operazione finanziaria che consiste nell'effettiva cessione delle quote sui mercati finanziari a beneficio di investitori qualificati o di piccoli risparmiatori. Il soggetto o i soggetti conferenti procedono, quindi, tramite la SGR al collocamento delle proprie quote sul mercato dei capitali entrando così in possesso del controvalore monetario del portafoglio immobiliare conferito.
parole, in relazione alla realizzazione di opere "fredde" o "tiepide" l'Amministrazione può valutare la possibilità di estendere l'intervento alla realizzazione di opere caratterizzate da un elevato grado di redditività al fine di rendere più appetibile l'operazione per il privato. Ebbene tale valutazione deve necessariamente compiersi nella fase di valutazione preliminare, in modo che l'intervento possa essere "pensato" e architettato sin dall'inizio in tutte le sue complesse componenti. Così, si può ad esempio prevedere la partecipazione dell'ente pubblico sotto forma di prezzo da riconoscere al concessionario, per assicurare il perseguimento dell'equilibrio economico finanziario degli investimenti e della connessa gestione (art. 143, comma 4 del Codice dei contratti): Tale contributo integrativo può essere erogato sotto forma di denaro ovvero sotto forma di concessione di diritto su beni immobili il cui valore o il cui rendimento consente il mantenimento dell'equilibrio economico e finanziario (art. 143, comma 5 del Codice dei contratti). Ovvero, se si sceglie la strada della cessione delle aree per permettere la realizzazione di un'opera, l'amministrazione dovrà procedere alla determinazione del prezzo di cessione, e stabilire il tempo della cessione della proprietà. L'ibridazione può essere la base per legare funzionalmente ad ogni modello possibile di PPP il giusto mix di forme di finanziamento/investimento in termini sia di corporatefinance, sia di projectfinance. Si pensi, al riguardo, che il "progetto" finisce per incardinarsi per lo più - per indicazione legislativa o per necessità funzionale - in società veicolo con la conseguente necessità del mix appena detto. Al riguardo occorrerà soppesare l'incidenza che in questa materia hanno i c.d. principi di Basilea 2 riguardo ai vari attori del processo di costruzio60
ne e gestione delle infrastrutture. In questo quadro sembra di grande importanza, anche per i suoi effetti di spinta verso la realizzazione del Ppp, la questione del sistema delle garanzie. A questo riguardo, vale ricordare che l'ABI si è fatta promotrice - tempo addietro - della creazione congiunta, da parte della Cassa depositi e prestiti e del sistema bancario, di un soggetto che gestisse come prestatore finale o riassicuratore l'insieme delle garanzie, in ogni caso da adattare alle esigenze della finanza di progett0 5 .
La realizzazione di mappe autorizzati ve Nella fase di "origination" dell'operazione, occorre aver ben presente i vari step dell'iter procedimentale-amministrativo da seguire dell'opera che si intende realizzare. Ciò al fine soprattutto di prevedere (e quindi di contenere) con il maggior grado di precisione possibile il rischio amministrativo. A tal fine si ritiene utile la realizzazione di apposite "mappe autorizzative", le quali illustrino in modo sintetico e puntuale le diverse fasi in cui si articola un'operazione in partenariato pubblico privato, i diversi adempimenti e i relativi termini, i soggetti competenti, sulla base della normativa di riferimento sia nazionale che regionale, integrata di volta in volta dalla normativa interna dell'Ente di riferimento. Nelle mappe dovrà essere dettagliatamente descritta la fase della istruttoria preliminare, con l'indicazione di una serie di valutazioni necessarie a beneficio degli operatori. L'esito di questa indagine si rileva particolarmente utile anche per consentire all'amministrazione di indicare, nell'avviso pubblico, le problematiche connesse al progetto o la presenza di eventuali vincoli ostativi l'attuazione del procedimento amministrativo. Ciò può arricchire le informazioni di partenza ed arrecare beneficio ad un potenziale investitore privato. Il che rileva ai fini della predisposizione del piano economico e finanziario. Il tutto al fine di rendere certa la fattibilità dell'opera presentata dal promotore prima di procedere alla gara ex art.37-quater della legge Merloni. Tra i rischi amministrativi piii invalidanti per il procedimento ex artt.37-bis e ss. della legge Merloni vi è quello che riguarda la conformità urbanistica delle proposte presentate all'Amministrazione. È necessario valutare, pertanto, l'opportunità di anticipare, a monte della programmazione triennale dell'opera, le opportune varianti al PRG rendendo vinco61
lante per le Amministrazioni la conformità urbanistica e la certezza della localizzazione, mediante attivazione del procedimento ordinario di variante o tramite accordo di programma ex art.10, comma i del Tu 327/2001. Occorre altresì valutare la possibilità di ricorrere a norme acceleratorie per ottenere la conformità urbanistica, quale l'art. 37-quater della legge Merloni il quale, richiamando l'art. 14, comma 8 e questo a sua volta gli artt. 9 e 19 del Tu n. 327/2001 (l'art. 1, commi 4 e 5 della legge n.1 del 1978 sono stati abrogati dal Tu 327/2001 e sostituiti con norme migliorative), consente di ricorrere alla variante urbanistica per opere pubbliche in difformità, tramite un procedimento accelerato sulla base della sola progettazione preliminare. In tale prospettiva, si terrà conto anche della possibilità di ricorrere a strumenti di semplificazione, come la Conferenza di servizi. Se si sceglie la strada della cessione delle aree per permettere la realizzazione di un'opera, l'amministrazione deve procedere alla determinazione del prezzo di cessione e stabilire il tempo della cessione della proprietà. Le mappe dovranno pertanto contenere il riferimento agli strumenti "semplificati", utilizzabili per la rimozione dei suddetti ostacoli, come la Conferenza di servizi o l'Accordo di programma di cui alla legge generale sul procedimento amministrativo. Sempre in questa fase preliminare, le mappe prevedono il riferimento ad un'analisi economica - seppur di massima - della gestione dell'opera, nell'ambito della quale procedere alla verifica delle possibilità economicamente sostenibili del Partenariato pubblico-privato. VALUTAZIONE E MONITORAGGIO DEL FABBISOGNO INFRASTRUTTURALE SUL TERRITORIO. SCOUTING DELLE INIZIATIVE DA AVVIARE O AVVTATE
L'attività volta alla scoperta e alla valutazione dei casi significativi di creazione o rinnovo di infrastrutture dovrà riguardare un certo numero di Regioni. Avendo come obiettivi l'identificazione degli elementi problematici e la ricerca delle possibili "ragioni di successo". Il metodo che appare più congruo utilizzare è quello dei case study'5 supportato da un'apposita attività di scouting. Appare opportuno scegliere un'applicazione del metodo particolarmente adatta al caso di specie: l'Ex62
pioratory Case Study7 . Questo specifico metodo è caratterizzato dalla raccolta desk di informazioni preliminari intorno a certi casi (per l'appunto, esplorativi) allo scopo di un approfondimento successivo delle stesse mediante indagini in loco. Di qui la necessità di identificare un gruppo o cluster di casi secondo la citata tecnica Exploratory Case Study. Una possibile strada da percorrere consiste nell'individuazione di ipotesi di Ppp che possono originare da alcuni grandi programmi pluriennali. Si pensi, ad esempio, al PON Trasporti che seguirà quello del periodo 20002006 il quale ha previsto una serie di investimenti in infrastrutture (strade, ferrovie, porti, aeroporti, interporti) nel Mzzogiorno e nelle Isole per 4.280 milioni di euro, di cui 1.801 a carico del Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR). Ebbene, nelle linee generali del Programma operativo nazionale si contempla e, si auspica l'incentivo della partecipazione del privato nella realizzazione delle opere programmate; tuttavia, tale elemento non si traduce mai in esempi concreti, rimanendo, al contrario, ad un livello di mera intenzione. Tale constatazione suggerisce un'ulteriore linea di ricerca: va riletto in termini di partenariato pubblico privato il complesso delle opere previste negli strumenti operativi. Il che può portare all'individuazione dei segmenti che concretamente si prestano al coinvolgimento del privato, secondo lo schema che volta a volta appare più aderente al caso di specie.
Oggetto e fasi dello scouting Fase I. Monitoraggio delle fonti. Monitorando sistematicamente diverse fonti di documentazione ed informazione in relazione ai piani triennali ed annuali delle opere pubbliche approvati dalle amministrazioni abilitate e selezionando le notizie maggiormente rilevanti, vengono tenuti sotto osservazione i casi ritenuti più significativi. Tra le fonti monitorate si citano: il servizio di segnalazione e pubblicazione dei Piani triennali a cura del ministero delle Infrastrutture, i report trimestrali dell'Osservatorio nazionale sul Project financing, la newsletter e report dall'Autorità di vigilanza dei lavori pubblici e, ovviamente, la Gazzetta ufficiale delle Comunità europee, la Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana, i Bollettini ufficiali regionali. Potrà essere utile un controllo sistematico dei bandi di gara pubblicati, come da obbligo normativo, nei siti degli Enti e/o rilevati attraverso ri63
chieste di informazioni rivolte alle Amministrazioni interessate che serviranno a distinguere, quando ciò non sia chiaro fin dall'inizio, le opere destinate agli appalti e quelle destinate a forme varie di project financing o di partenariato pubblico privato diverso dall'appalto. Fase 2. Selezione dei casi maggiormente rilevanti, loro caratterizzazione e valutazione. Attraverso l'attività di scouting così disegnata, si procederà ad una selezione che segua un approccio interattivo tra gruppo di lavoro e pubbliche amministrazioni interessate, al fine di identificare le opere da analizzare in profondità dal punto di vista dell'innovazione dei modelli di governance e cli finanziamento in PPP applicabili. I criteri in base ai quali operare tale selezione possono essere fissati in relazione a: 1) obiettivi strategici dichiarati ed attesi; 2) contesto di riferimento identificato; 3) risultati desunti dai dati delle ricerche effettuate; 4) fattori critici di successo nella gestione e nel finanziamento delle infrastrutture; 5) natura pubblica dell'impianto; 6) localizzazione dell'impianto (per area geografica, per densità abitativa); 7) struttura finanziaria e modalità di gestione immaginate; 8) coniugazione della gestione dell'impianto in una logica di integrazione (territoriale, sistemica). Tali informazioni potranno essere raccolte tramite questionari. Il contenuto delle schede del questionario verrà definito, con indipendenza di giudizio, in stretto raccordo con i modelli interpretativi esplicitati nell'arco della ricerca. I questionari richiederanno agli operatori amministrativi anche una valutazione personale delle priorità formative. Una prima valutazione dei casi avrà bisogno di una pre-fattibilità. Con l'ausilio della Swor analisys (punti di forza, debolezza, opportunità, minacce), l'analisi supporterà la redazione di documenti di valutazione sulle operazioni individuate. Sarà pertanto necessaria una ricognizione pi1 approfondita delle informazioni. Eventuale altra documentazione riguarderà diversi aspetti come: la localizzazione dell'intervento, l'inquadramento urbanistico e territoriale, l'accessibilità in termini di infrastrutturazione complementare materiale ed immateriale, il costo presunto dell'opera, la normativa di riferimento, le caratteristiche della domanda di impianti/servizi da parte della popolazione, le caratteristiche dell'offerta di impianti (tipologia, dimensionamento e localizzazione) e dei fattori incidenti, le caratteristiche del contesto territoriale di riferimento (ambiente, rete infrastrutturale, sistema di mobilità, presenza di scuole/università, caratteristiche morfologi64
che del territorio, vincoli normativi), le caratteristiche, ruolo ed obiettivi degli attori locali coinvolti (amministrazioni pubbliche, associazioni sportive, altri soggetti gestori, enti di promozione, associazioni di categoria, altri operatori privati rilevanti, cittadini/utenti). Le schede di valutazione vogliono rappresentare, per gli operatori locali, ma anche per i soggetti a vario titolo interessati all'operazione di Ppp, nelle loro componenti esplicative e nei quesiti posti, un "supporto metodologico", una "traccia di analisi guidata", un percorso logico a servizio di chi poi fornirà assistenza e consulenza ai casi pilota individuati dalla ricerca anche grazie all'identificazione di precise richieste di competenze e tecnicalità.
L'approccio partecipativo e la logica dello sviluppo sostenibile La validazione vera di questo percorso ricognitivo ha però bisogno dell'apporto disciplinare-professionale di una lettura del territorio più diretta e meno influenzata dal contesto delle volontà dell'Amministrazione. Può avvenire, ad esempio, che emergano - talvolta nella distrazione generale - dimensioni territoriali nuove ed inedite. Così, nella prima impostazione di un Progetto di approfondita ricognizione della Campagna Romana, è stato osservato che "è in atto un intensificarsi senza precedenti delle interazioni tra sistemi urbani, ecosistemi naturali e reti infrastrutturali e tra le diverse modalità con cui questi territori vengono percepiti ed abitati 8 Di qui l'importanza di un "rapporto diretto ed immediato, privo di presunzioni e pregiudizi con il territorio in trasformazione" 9 e l'importanza di mettere a punto una nuova cartografia delle reti, quelle infrastrutturali (introducendo variabili che vadano al di là delle semplici misure fisiche) e/o quelle ecologiche. A quest'ultimo proposito è stato osservato che "la pianificazione delle reti ecologiche si pone come obiettivo prioritario quello di fornire ecosistemi residui in paesaggi frammentati, le condizibni necessarie a mantenere in essi la vitalità in tempi lunghi di popolazione e specie, con effetti anche a livelli ecologici superiori. Questo settore della pianificazione si avvale delle basi teoriche e delle recenti acquisizioni dell'ecologia e della biogeografia. ( ... ) Le conoscenze acquisite hanno sottolineato come sia prioritario indirizzare le strategie su quelle scale spaziali (e temporali) più idonee al mantenimento di popolazione e specie, comunità, ecosistemi, processi ecologici".lO 65
Quello che risulta da verifiche del genere deve certo tener conto dei risultati di indagini fondate su processi di partecipazione della popolazione. Si tratta di utilizzare strumenti intelligenti per portare a buon fine la trasformazione territoriale e urbana. Delicata questione, in questi processi di partecipazione, è il confronto fra gli orizzonti temporali: quelli a breve, della percezione, comunque, e quelli a lungo termine, propri della progettazione. Al centro di questa discrasia degli orizzonti temporali è la questione della sostenibilità o dello sviluppo sostenibile. Quale che sia la nozione di sostenibilità questa ha a che vedere con gli effetti e le conseguenze del comportamento attuale di decisori e amministratori. Ai tre pilastri dell'efficienza, dell'efficacia e dell'equità sociale che da tempo la teoria riconosce al centro dell'azione delle pubbliche amministrazioni si aggiunge, con forza pienamente equivalente, la nozione di sostenibilità, la quale imponendo di ragionare in termini di predizione di effetti può condurre a conclusioni non coerenti con preferenze e percezioni del presente. Sembra poter essere alibi per non fare. La sostenibilità viene per lo più riferita all'ambiente naturalistico Il. In realtà essa ha una valenza molto più ampia. Per cui impone metodologie di valutazione molto rigorose. Quel che si è appena detto è suggerito anche dal caso di Milano come "nodo della rete globale", come è stato esaminato da un libro suggestivo del 2005 (AA.Vv., Milano, nodo della rete globale. Un itinerario di analisi e proposte, con introduzione di Piero Bassetti, Bruno Mondatori editore). Recenti ricerche e riflessioni su quel che oggi Mauro Magatti può chiamare "Novum Mediolanum" portano alla conclusione che "non si può capire che cosa è oggi Milano se non pensandola insieme come un nodo funzionale di connessione con la rete globale e come il cuore di un arcipelago funzionalmente integrato e densamente popolato, punteggiato di città e comuni (le isole) dotati di un'ampia autonomia amministrativa e radicati in profondi sentimenti di appartenenza locale. Ciò dà luogo a una forma urbana originale, con i tratti tipici di una city-region". Tratti che esplodono fuori di un territorio comunale che è molto limitato (si sa che è circa un ottavo di quello di Roma) e che se durante l'epoca della città industriale aveva dato luogo ad assetti territoriali di tipo centrico-gerarchico oggi deve trovare - anche sul piano decisionale - assetti diversi, fondamentalmente policentrici. Di cui sono assi prioritari, da una parte, le infrastrutture di vario tipo delle telecomunicazioni che fanno di Mila-
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no un gateway della rete e, dall'altra, quelle stradali e ferroviarie della mobilità sul territorio. Le relazioni contenute nel libro citato si esprimono, pur con i dubbi di alcuni, nel senso di una sostanziale sufficienza di tali infrastrutture (ivi comprese quelle ormai decise - anche se non sempre finanziate - e in corso di realizzazione). Comunque, il caso di Milano sembra molto utile per leggere e valutare il fabbisogno infrastrutturale quando i criteri debbano essere quelli del rapporto con la rete delocalizzata e con i problemi dei tanti flussi che caratterizzano un "nodo della rete globale".
1 Tendenze e politiche dello sviluppo locale in Italia. Libro bianco, Consiglio italiano per le Scienze Sociali, Marsilio editore, 2005. 2Op. cit., p. 124 3 IMF Country Report No. 06159, Febbraio 2006. " La normativa di riferimento (art. 14 bis, comma 1, legge n. 86/1994) definisce il fondo immobiliare con apporto di beni pubblici come quel fondo le cui quote "possono essere sottoscritte, entro un anno dalla sua costituzione, con apporto di beni immobili o diritti reali su immobili, qualora l'apporto sia costituito per oltre il 51 per cento da beni e diritti apportati esclusivamente dallo Stato, da enti previdenziali pubblici, da Regioni, da Enti locali e loro consorzi, nonché da società interamente possedute, anche indirettamente dagli stessi soggetti". Ne consegue che occorre distinguere due diverse tipologie di fondi ad apporto: - i fondi ad apporto pubblico, disciplinati dall'art 14-bis della legge 86/1994 e in via residuale dall'art. 12-bis del regolamento (che possono essere anche misti purché la presenza pubblica sia superiore al 5 1 % del portafoglio); - i fondi ad apporto privato,. disciplinati dall'art, 13 bis del regolamento ministeriale (che possono essere anche misti purché la presenza pubblica sia inferiore al 5 1%).
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Associazione bancaria italiana, Proposte ABI per il rilancio della competitività e dello sviluppo, 25 gennaio 2005. 6 Pratica di valutazione internazionale riconosciuta e testata da decenni nell'ambito dei programmi di intervento pubblico di importanti organizzazioni governative. Le principali applicazioni del metodo dei case study sono sei: Program Implementation Case Study, Program Effects Case Study, The Illustrative Case Study, The Exploratoy Case Study, The Critical Instance Case Study, The Cumulative Case Study ("La valutazione delle politiche pubbliche: aspetti metodologici e pratiche a confronto", Quaderni di documentazione CNEL, maggio 2000). ' Il metodo è stato scelto perché, in generale, risponde ad alcuni criteri fondamentali ai fini dell'attività di valutazione delle alternative praticabili nella realtà locale italiana: appropriatezza del processo di valutazione, inr'sa come determinazione dei parametri da valutare rispetto alle finalità del progetto; flessibilità della valutazione, intesa come la capacità di valutare una vasta tipologia di parametri; sistematicità del processo di valutazione, nel senso che la metodologia permette un'attività continuativa dei soggetti valutatori; tempestività del processo di valutazione; trasparenza nella presentazione dei risultati della valutazione. 67
8 LoNzo R0MIT0, Campagna Romana, verso una nuova dimensione urbana oltrecittà su www.campagnaromana.net . V. doc. cit.
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IO CoRRADo BATTIsTI, Frammentazione ambientale, connettività, reti ecologiche, Roma, 2004. I I Ne è espressione l'obbligo della Valutazione d'impatto ambientale.
dibattito
Dibattito
Gli articoli di seguito pubblicati nella sezione "Dibattito" intendono avviare una di-. scussione su due temi: quello delle reti e quello delle imprese miste (già trattato, da un particolare punto di vista, nell'editoriale). Per quanto riguarda le reti, non si può certo dire che la questione sia stata poco presente nella cronaca e nelle esternazioni - oramai all'ordine del giorno - di politici, imprenditori, banchieri, ambasciatori ed altri volenterosi. E allora, perché mai unirsi ad un coro già traboccante di po4fbnia? La ragione è semplice: mettere in chiaro alcuni punti inopinatamente trascurati o troppo frettolosamente rubricati sotto una voce che non ne esaurisce la portata, e non consente di coglierne le implicazioni principali. Ne è un esempio il binomio "pubblico-privato" che va ad assorbire ogni altro profilo concernente la questione della separazione delle reti, della gestione e degli obblighi di servizio universale ovvero di parità di accesso, della (ri-)regolamentazione del settore, fino alla chiamata "pro italianità " delle reti. E tutto ciò con impensabile faciloneria, ugualmente condivisa dai politici straparlanti e dai molti opinionisti che li prendono sul serio. Contiamo di poter ospitare sulle pagine di questa rivista il seguito di un serio dibattito sulle reti seguendone gli sviluppi di stretta attualità, a partire dall'avvio della consulta69
zione pubblica sulla separazione frnzionale e gli aspetti regolamentari della rete di accesso fissa (2 maggio 2007) da parte dell'AutoritĂ per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom, delibera n. 208I07ICoNs).
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istituzioni n. 1401143 Annate 2006
Neutralità e sistema di governo delle reti di Claudia Lopedote e Luigi Tretola
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e reti, intese come infrastrutture di vario tipo necessarie all'erogazione di servizi ; si pongono come fattore determinante innanzitutto per lo sviluppo delle interrelazioni dei diversi attori presenti sui territori locali. Ma anche per connettere questi attori, e in particolare quelli più attivi, dinamici e strategici del sistema nazionale, alle grandi reti continentali e globali. Lo sviluppo economico, sociale, culturale di una realtà locale passa, certo, per un'efficiente rete stradale e ferroviaria; nonché per un sistema di porti, aeroporti ed interporti che consenta la mobilità di merci, passeggeri (lavoratori, turisti, etc.) su un territorio e da questo verso l'esterno; né va poi dimenticato il determinante contributo delle infrastrutture strumentali all'erogazione ed all'approvvigionamento di servizi di pubblica utilità (ad es. acquedotti, reti di distribuzione del gas, di trasmissione di energia elettrica, etc.), e quello delle moderne reti informatiche (ad es. la c.d. banda lrga o i sistemi wireless) alla crescita dell'efficienza produttiva delle imprese e, più in generale, al miglioramento della qualità della vita delle donne e degli uomini presenti nel medesimo territorio, rispetto a bisogni e servizi che, per loro natura, non sono gestibili (secondo criteri di efficacia ed efficienza) sulla base di una geografia frazionata, a segmenti discontinui e disarmonicil. Nel corso degli ultimi anni, il sistema delle reti è stato attraversato da una serie di trasformazioni - connésse soprattutto all'impatto dell'evoluzione tecnologica - che ne hanno modificato caratteristiche e funzionalità. Si pensi al caso delle infrastrutture per la mobilità (porti, strade, ferrovie), tradizionalmente considerati "beni pubblici" interamente finanziati e gestiti dal pubblico e destinati all'uso gratuito, poi sempre più soggette a processi di privatizzazione o comunque alla gestione su modello privatistico (pedaggio e altri sistemi di roadpricing) con l'espansione dell'istituto della concessione (Bor, Build, Operate, Transfer)2 .
Claudia Lopedote è assistente alla direzione del Consiglio italiano per le Scienze Sociali. Luigi Tretola è Avvocato e ricercatore presso il Formez. 71
E ciò vale, in misura e modi diversi, per tutti i tipi di reti. Tuttavia, è necessario tenere presente la diversità delle reti distinguendo quelle dell'energia per la distribuzione dell'elettricità e del gas, quelle della mobilità (reti stradali, portuali, ferroviarie, etc.), quelle delle telecomunicazioni e della telematica. In verità, su tutti i discorsi intorno alle reti prevale come egemonico quello su Internet, che per antonomasia è la Rete o the Web. D'altra parte, la telematica è ormai strumento fondamentale per la gestione di qualsiasi tipo di rete. Il tasso di mobilità e la velocità di aggiornamento tecnologico, poi, ne fanno un laboratorio per la casistica delle altre reti. E dunque si giustifica, anche concettualmente, questa primazia della rete per antonomasia. Conviene pertanto soffermarsi inizialmente, con una breve digressione, su alcuni spunti che il dibattito scientifico offre su questa specifica materia. DIGiussIoNE SULLA NET-ECONOMY E SUL VALORE DELLE RETI
Occorre partire dall'avvertenza che al momento di compiere una scelta in materia di organizzazione, regolazione e proprietà delle infrastrutture, il legislatore deve interrogarsi in maniera esplicita sugli usi e i fini delle reti, a partire da quattro elementi-guida: l'efficacia (il potenziamento/miglioramento dei servizi erogati); l'efficienza (il contenimento dei costi); la trasparenza delle operazioni; la valorizzazione delle risorse (scarse) a disposizione. Così facendo, si circoscrive l'area di intervento propria della governance, come sistema di gestione di un complesso processo economico e sociale che richiede capacità di previsione e controllo. Tutte le reti hanno una forte componente tecnologica che come tale è soggetta a cambiamenti e aggiornamenti. Il fattore tecnologico è fondamentale nella Rete per antonomasia. Qui, prima che "technology-driven change process", la rete è un "knowledge-driven change process". Le nuove - come le vecchie - tecnologie di rete incorporano e realizzano forme e funzioni complementari e opposte, contraddistinte come sono da potenzialità in compresenza: tutte, allo stesso modo, si servono dei medesimi canali, ma variano i percorsi dei flussi. L'introduzione delle nuove tecnologie muta le condizioni ambientali, ridisegna gli equilibri a livello macro e micro-sociale, pone le basi per adeguare e rinnovare i cicli di produzione e distribuzione. Le reti offrono canali percorribili che non sono solo elementi di una trasformazione quantitativa, di disponibilità di mezzi per accedere a territori fisici e virtuali; si tratta in72
vece di un cambiamento qualitativo che riguarda la possibilità di una inter-connessione. Il loro valore, dunque, è fondamentalmente un valore d'uso. La telematica nella sua funzione di connettività trasforma radicalmente l'organizzazione spazio-temporale della vita economico-sociale, movimentando le risorse, le informazioni e le conoscenze,, rendendole pienamente disponibili. Sul nodo problematico del come e chi autorizza e realizza talune opzioni invece che altre, rendendole possibili ed effettive, Emanuele Giovannetti e Alessio D'Ignazio 3 in un'accurata rassegna della letteratura in materia di comportamento di agenti economici collocati in uno spazio-rete ("teoria dei giochi"), si occupano delle interazioni locali (in termini di prossimità spaziale) tra gli agenti. Il tema della governance delle reti appare qui dominato dal modello della Internet governance (una forma organizzativa tendenzialmente informale, acefala e caratterizzata da rapporti reticolari e scarsamente gerarchici tra i soggetti coinvolti) che però risente di una certa superficialità di distinguo tra specifiche tecniche e strutturali di reti non equivalenti (né sul piano dell'isomorfismo tra infrastruttura ed organizzazione delle stesse, né su quello del più facile - ma pur sempre semplicistico - determinismo tecnologico). Il rischio è che si compia un errore di prospettiva tale da far coincidere le forme orgahizzative reticolari con la diffusione delle tecnologie di rete in un rapporto di necessità causa-effetto. Come se, tornando al nodo iniziale, le scelte di assetto compiute dagli agenti-operatori in materia di infrastrutture contenessero già in sé tutte le azioni ed interazioni possibili implementabili, e quindi gli usi ed il valore di questi usi. Al contrario, è indispensabile essere consapevoli dell'esistenza di un rapporto complesso tra organizzazione e tecnologia, che Stefano Rodotà (Tecnopolitica, Laterza, Roma-Bari, 1997) identifica in termini di "Giano bifronte", poiché lo sviluppo tecnologico non coincide con il livello di implementazione dei servizi, né è esente da rischi legati alla tecnologia stessa ed all'organizzazione. Nota Lucio Picci 4 che "le forme organizzative sono sempre influenzate dalla tecnologia prevalente, e l'attuale fortuna delle forme organizzative reticolari è ovviamente influenzata dalla disponibilità delle nuove tecnologie ( ... ). Vi sono dei rapporti complessi e per nulla ovvi tra diversi concetti e fenomeni che colleghiamo alla parola "rete". Vi è una pluralità di livelli: lo spazio-rete in cui gli agenti interagiscono, l'infrastruttura-rete, e infine l'organizzazione-rete: la presenza di tali piani molteplici è un riflesso della fortuna che in,
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contra la metafora della rete, e anche della sua forza, perché ne dimostra la versatilità." Tale diversità è poi associata alla distribuzione spaziale degli agenti, introducendo così una nozione di distanza che apre la strada a molteplici sviluppi e potenzialità per modellare legami ad intensità variabile. 5 Sicché, come scrive Langdon Winner, "nei processi con cui le decisioni strutturanti vengono prese, individui diversi si trovano a essere collocati in posizioni diverse e a disporre di gradi dissimili di potere oltreché di dissimili livelli di consapevolezza". Per complicare la questione e completare il quadro, si tenga conto della nozione di uso delle reti in relazione a due altri elementi: la domanda latente o espressa rispetto a determinati contenuti e servizi (non basta dire che c'è domanda rispetto alle tecnologie telematiche se poi non si conoscono i contenuti effettivi verso cui tale domanda è indirizzata); la capacità di sfruttamento della potenzialità della rete, spesso largamente sottoutilizzata quantitativamente e qualitativamente. Con ciò, e volendo trarre qualche conclusione, si intende richiamare l'attenzione ai modi di declinare l'idea di influenza delle tecnologie (e quindi, del valore d'uso) rifuggendo ogni approccio acriticamente tecnocentrico che, da una parte, non soppesa la componente tecnologica propria di ciascuna infrastruttura (quelle per le quali, parafrasando Marshall McLuhan, "il mezzo è il contenuto/messaggio", come le reti telematiche; e quelle in cui, invece, il mezzo è un elemento senz'altro centrale in quanto rende possibile pensare certi servizi/contenuti in determinati contesti spazio-temporali, ma non sempre ne è presupposto o condizione necessaria, nel senso che la tecnologia non crea la rete, tutt'al piìi la migliora, espande, potenzia, ne modifica il quadro economico e proprietario: è il caso di molte reti di distribuzione ed erogazione), e dall'altra, manca di calibrare le giuste competenze e responsabilità dei soggetti che operano a vario titolo nei diversi settori, attribuendo alle tecnologie un'influenza deterministica aprioristica che impedisce di pensare criticamente gli strumenti ed istituti connessi ed assai delicati, quali le autorità di controllo settoriale, le normative di regolamentazione ed indirizzo, la programmazione dei costi e le necessarie analisi di impatto. Un esempio per tutti: in Internet, il valore d'uso della rete è strettamente influenzato dalle caratteristiche tecnologiche, per cui il numero crescente di utenti dei servizi accresce a sua volta il valore del servizio: un sito per la condivisione di file musicali, video, informazioni, messaggi sarà tanto più apprezzabile quanti più utenti avrà. Non così i servizi 74
di informazione (ad esempio finanziaria) in tempo reale, che accrescono il proprio valore d'uso quanto più è ristretta e selezionata la porzione di pubblico che ne fruisce. E questo un caso, come si vede, in cui la stessa tecnologia nello stesso settore (informazione telematica) ma con finalità e tempistiche diverse ha un'influenza esattamente opposta: direttamente proporzionale alla sua portata rispetto ai pubblici nel primo caso; inversamente proporzionale nel secondo caso. A meno che, e qui subentra la variabile della gestione della rete, non si opti per una differenziazione dei servizi offerti in base a scaglionamenti di erogazione dei servizi in base alle priorità di ciascun utente (professionisti della Borsa, piccoli investitori, curiosi, studiosi) dietro pagamento di un prezzo anch'esso differenziato. È una legge antica del mercato: chi vuole il servizio subito e prima degli altn, paga o paga di più. Ricorrendo a questa diversificazione dei servizi e dei contenuti (laddove la tecnologia consente contenuti aggiuntivi, contenuti interattivi, contenuti in real time, etc.), l'industria cinematografica non solo si è salvata dall'annunciata catastrofe a seguito delle innovazioni tecnologiche più disparate (la televisione prima, i vari supporti video poi, fino al dvd), ma ha creato un fondo mercato in continua espansione. I quotidiani hanno recentemente fatto lo stesso per ovviare alla morte del giornale cartaceo: un caso per tutti, il gruppo editoriale L'Espresso. Iltema del valore economico della rete è noto nei termini della "legge dell'esternalità della rete", assai dibattuto nell'ambito della teoria della net-economy o connected economy. Quello che qui interessa di più è distinguere i modi e le caratteristiche di ciascuna rete, i quali concorrono a determinare le condizioni, i limiti, i percorsi e gli effetti di crescita del valore di ciascuna rete e dei relativi servizi. Abbiamo visto come in alcune tipologie di reti il valore economico delle stesse cresce con l'aumentare del numero di utenti/utilizzatori. Al contrario, nell'economia industriale tradizionale è la scarsità la categoria cardine del valore della rete e dei beni da essa veicolati. La ragione sta nel fatto che, per le reti del primo tipo ma non per quelle del secondo vale la condizione per cui, al crescere del numero di utenti, il singolo fruitore rimane in grado di ottenere il servizio richiesto alle stesse condizioni senza che la qualità sia degradata o le prestazioni ridotte. Anzi, al contrario: si pensi ai servizi delle comunità di scambio peer-to-peer networking, nei quali il valore generato aumenta in virtù dell'effeio-rete citato. Se si considera la sistematizzazione teorica dei modelli di reti fatta da Bordewijk e Van Kaam (2002) 6 il valore della rete segue tre possibili pat,
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tern di crescita e andamento: lineare per i modelli di broadcasting ("allocuzione" e "registrazione", con flussi di rete one-to-many, come per la Tv generalista unidirezionale); quadratico per le reti transattive ("consultazione", con flussi one-to-many, bidirezionali, come nel caso dei newsgroup e delle mailing list); esponenziale per le reti di gruppi ( conversazione , reti decentrate e con flussi di rete many-to-many come per le chat-line). Angelo Luvison7, Segretario generale dell'AEI (Associazione Elettrotecnica ed Elettronica Italiana), parla dell'indubbio vantaggio competitivo dato dalla proprietà e dal controllo di reti fisiche e non con le suddette caratteristiche, "formidabile motore di innovazione". A patto, però, che si tenga nel giusto conto la semantica specifica delle relazioni che si creano a partire da tali reti, esemplificati dall'autore con il richiamo a casi storici di fallimenti di innovazione tecnologica (tra i più noti: la battaglia Betamax vs. VHS, ed il videotelefono) mai giunta oltre il punto critico di sviluppo, adozione e diffusione sociale proprio per la sottovalutazione dell'impatto rispetto all'organizzazione spazio-temporale, culturale ed economico-sociale (azioni, relazioni, inter-azioni), nel momento iniziale più delicato, chiamato "epidemiologico": "la situazione di bassa densità di utilizzatori, condizione frenante per lo sviluppo: infatti, nessuno vuole essere il primo ad acquisire una nuova applicazione funzionante in rete, poiché il suo valore iniziale è così basso che la volontà o il desiderio di averla non sono più né impellenti né cogenti. Più importante è la condizione di successo, il regime ad alta densità nel quale si scatena una fortissima reazione di feedback positivo... E il fenomeno di 'aggancio' o lock-in, per il quale il mercato si 'polarizza', il vincitore prende tutto con ritorni economici crescenti, i nuovi entranti corrono a unirsi al vincitore e nulla resta agli altri". Ciò significa che ogni nuova tecnologia genera nuove possibilità per nuovi modelli economici, nuove forme di interazione sociale, e necessita a sua volta di nuovi strumenti di regolazione. Come si dirà - poiché l'ef fetto-rete di per sé non è condizione sufficiente 8 per costituire una barriera all'entrata a scapito della concorrenza, ma richiede anche che esso sia esclusiva di un unico operatore - la più ampia garanzia possibile di accesso alle infrastrutture tende a ridurre e man mano neutralizzare il vantaggio competitivo iniziale degli incumbents rispetto ai potenziali o aspiranti new competitors, erodendo la profittabilità legata a vantaggi proprietari intrinseci, ed aprendo la strada alle singole strategie di posizionamento, differenziazione, innovazione e creatività, prezzo, ricerca e sviluppo: in una 76
parola, alla concorrenzialità. Come si vedrà, molti difensori europei della neutralità (cf. A. Stagni, Italtel) sostengono che la separazione strutturale sviluppata su scala europea è la vera soluzione a lungo termine del problema: "tanti gestori esclusivamente dedicati ai servizi di infrastruttura aperti. E quindi un più agevole processo di fusioni e concentrazioni, fino a una infrastruttura neutrale di dimensioni continentali, capace di promuovere intorno a sé un ecosistema pluralistico e innovativo su scala tale da competere con Usa e Asia" 9 .
Premessa questa digressione, le note che seguono considerano la realtà delle reti, con particolare attenzione alle problematiche dell'accesso, nonché a quelle dello svilu3po delle infrastrutture. Temi, questi, propedeutici alla valutazione dei profili del sistema di governo e gestione come lo sviluppo armonico ed ordinato delle infrastrutture; lo sfruttamento efficiente e non discriminatorio delle risorse (scarse); l'accesso in termini di interconnessione ed armonizzazione/uniformità tecnologica. È in questo quadro che si devono collocare il ruolo dei privati (in partenariato e non con soggetti pubblici) nella fase di sviluppo e gestione delle infrastrutture, e il ruolo del pubblico nella regolazione del sistema e della sua architettura. Senza sottovalutare nessun momento e nessuna componente del processo. LA NEUTRALITÀ DELLE RETI
Il processo di liberalizzazione dei settori caratterizzati da reti infrastrutturali, unitaniente al richiamato progresso tecnologico ed alla conseguente riduzione dei costi di produzione, ha comportato un aumento della complessità dei problemi relativi alle interconnessioni. Si è progressivamente assistito al passaggio da una gestione monopolistica delle reti e dei relativi servizi da parte dell'impresa che ne deteneva la proprietà (tipica dell'esperienza storica del secolo scorso) alla presenza di più competitori che accedono alle reti e si contendono il mercato dei servizi 10 In tal senso, l'esistenza di un sostanziale monopolio naturale nel settore delle reti ha fatto in modo che le decisioni imprenditoriali relative alle infrastrutture di rete abbiano una dimensione "pubblica": non possono essere devolute al mercato, ma vanno informate al perseguimento di obiettivi collettivi. Vale qui specificare l'accezione di "pubblico" come "di inte.
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resse e rilevanza pubblica", e non (necessariamente) coincidente con "pubblicistico" come "in mano pubblica", cioè di proprietà pubblica. Il rilievo e la consistenza rispetto all'interesse generale impone la cura ed il controllo di aspetti talvolta non immediatamente (o niente affatto) rilevanti nella logica di mercato. A tale esigenza è possibile far fronte in due modi: mantenendo l'infrastruttura in mano pubblica, oppure delegandola ad un soggetto privato ed attribuendo al soggetto pubblico il ruolo di regolatore. Tradotto operativamente, tutto ciò significa o può significare ri-regolazione attraverso una serie di remedies o poteri di controllo sugli obblighi posti dai regolatori e dalle Authority nazionali in capo agli operatori per garantire la concorrenza e la non discriminazione: imposizione del binomio "obbligo legale a contrarre" e "dovere di non discriminazione"; regolazione economica e tariffaria; obbligo di servizio pubblico; contratti di servizio; regime di autorizzazione o di concessione; introduzione della nozione di interesse economico generale; Carte del servizio pubblico; stipula e prescrizione delle condizioni di accesso alle reti di public utiliiy, e così via. L'una o l'altra opzione, per essere in linea con una politica di sviluppo delle infrastrutture, deve essere capace di garantire la neutralitàll della rete e la conseguente possibilità di accesso a tutti i potenziali operatori. Si tratta di rimedi che convergono sul piano degli obiettivi (e differiscono su quello della misura, del momento e dei modi di intervento), in quanto atti a creare per fictio iuris condizioni concorrenziali analoghe a quelle di un mercato competitivo maturo capace di declinare il principio dell'uguaglianza sostanziale, al fine di correggere i fallimenti della lex mercatoria e di "equiordinare il rapporto tra l'incumbente i neo_competitori" 12 La rete è essentialfaciliiyl 3. Secondo la teoria delle infrastrutture essenziali (EF) nell'elaborazione dottrinaria e giurisprudenziale comunitaria (cf. Comunicazione della Commissione 98/C265 /02; l'Interconnection Directive 97/33/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 30 giugno 1997; le Direttive Open Network Provision - ONP, 1997 e 2002; la Direttiva accesso del 7 marzo 2002, n. 2002/19/CE del Parlamento e del Consiglio), il diniego d'accesso o una discriminazione rispetto alle relative richieste sono considerati come forma di abuso di posizione dominante di per sé. Da cui la necessità dell'applicazione del principio di parità di trattamento interno ed esterno. Va poi detto che, nell'elaborazione classica dell'EF, tale urgenza è riconosciuta a fronte dell'accertamento di alcuni .
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requisiti delle infrastrutture stesse affinché si possano considerare "essenziali": in primis, la non cluplicabilità. Secondo l'utile test di derivazione giurisprudenziale per definire l'essenzialità della rete - così come elaborato nella sentenza Mci Communication Corp v. AT6'T, 708 F.2d 1081 (7th Circuit 1983, USA) - la non duplicabilità/replicabilità quale "impossibilità di duplicare la rete da parte dell'operatore concorrente che chiede l'accesso alla rete esistente" è da intendersi sia come eccessiva onerosità o impossibilità economica, sia come ostacolo di carattere fisico (ambientale, dimensionale-spaziale, etc.). Ancora nel campo delle telecomunicazioni, va poi aggiunta la questione dell'opportunità e ragionevolezza della replicazione di una rete quale quella dei cavi in fibra ottica (che ha capacità illimitata). In quest'ottica, va inquadrata la scelta operata dal legislatore che, in relazione al processo di esternalizzazione e liberalizzazione dei servizi pubblici locali (di cui all'art. 113 d. lgs. 267/00, Testo Unico degli Enti Locali - TUEL 14 ), ha optato per ipotesi di concorrenza per il mercato e di sostanziale pubblicità delle reti, in omaggio al principio della cosiddetta Net Neutrality'5 . La scelta operata dal legislatore in tema di pubblicità delle reti strumentali all'erogazione di servizi pubblici locali è stata ribadita anche con riferimento ai servizi pubblici di rilevanza nazionale. In tal senso, merita un richiamo la recente ri-pubblicizzazione della rete elettrica nazionale attraverso la fusione tra GRTN e TERNA. Insieme alla non duplicabilità, vi sono poi altri due principali requisiti: l'accertamento del controllo di un'infrastruttura essenziale da parte di un monopolista; la possibilità tecnica per l'operatore monopolista di concedere l'accesso all'infrastruttura, da opporre all'eventuale suo rifiuto, anche parziale. Da cui la configurazione del "rifiuto illegittimo". Nell'ambito del settore delle telecomunicazioni (TLc), Si è affermato il principio della neutralità dell'infrastruttura trasmissiva rispetto ai contenuti che vi transitano. A partire dal 10 gennaio 1998 quasi in tutta Europa' 6 è stato avviato un processo di liberalizzazione della fornitura dei servizi di Tlc, con la caduta del divieto di infrastrutture alternative a quelle monopoliste. La Net Neutraliiy è il vanto della strategia di British Telecom in Gran Bretagna: il 22 settembre 2005 è stato siglato l'accordo con l'autorità di regolazione Ofcom per la separazione di Bt in due realtà operative distinte, strutturalmente ma non societariamente; mentre di recente ha subito (e retto) qualche attacco in patria, negli Stati Uniti, da parte delle grandi telecom ATeT e Verizon. Così anche in Germania, 79
dove la Deutsche Telekom di recente si è vista bocciare dall'Unione europea (con la minaccia di avvio di una procedura di infrazione contro la Germania) la richiesta di stato di "regulatory holiday" 7 presentata al governo di Berlino. Dunque, in questo settore, interessato negli ultimi anni da una significativa evoluzione tecnologica (per l'affermarsi, ad esempio, della banda larga, delle reti wireless, etc.), nonché dalla notevole presenza di operatori e capitali privati, la neutralità della rete è garanzia del permanere di servizi qualitativamente elevati per i consumatori e di tutela del pluralismo delle fonti informazione (d.PR n. 3 18/97 artt. 2 comma 10 e 4 comma 70 su: preminente interesse generale; non discriminazione; condizioni analoghe in circostanze similari; stessa qualità. Cf. anche le delibere 1/Cii./98 e 66198 su parità di trattamento interno-esterno come principio generale, insieme alla Leased Lines Directive art. 8(2), nonché la Direttiva 97/33/CE, art. 6). Tuttavia, proprio la richiamata presenza dei privati nel settore delle telecomunicazioni, ha alimentato un forte dibattito sulla necessità o meno di una coincidenza tra neutralità e pubblicità della rete; infatti, ad esempio, un operatore di banda larga non neutrale potrebbe decidere di discriminare o rallentare per ragioni commerciali o politiche, il viaggio di contenuti che non gli convengono In tal senso, la presenza di un adeguato sistema di governance pubblica (controllo e/o indirizzo) delle infrastrutture, al di là della titolarità pubblica intesa come proprietà 19 delle stesse, può assicurare quella neutralità delle reti che è fattore essenziale per consentire la piena liberalizzazione del sistema dei servizi, mettendo tutti i potenziali competitori sullo stesso piano e rimuovendo le barriere all'entrata di nuovi soggetti nel mercato. Così facendo, combinando e facendo interagire regole di settore e regole della concorrenza, si tende a favorire la creazione di nuovi mercati e lo sviluppo di nuovi servizi. La rete così configurata è come una grande autostrada neutrale che tratta tutte le autovetture (operatori, informazioni, etc.) allo stesso modo, senza dare preferenza a vetture di determinati marchi a scapito di altre 20 Una rete neutrale garantisce poi gli utenti sulla qualità dei servizi erogati attraverso la stessa, in particolare - come sopra sottolineato - relativamente a quei settori (ad es. telecomunicazioni) in cui a viaggiare sulla rete sono le informazioni. .
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AccEsso ALLE INFRASTRUTTURE, INVESTIMENTI, POSIZIONE SUL MERCATO INTERNAZIONALE
La problematica dell'accesso alle infrastrutture non esaurisce le ragioni della neutralità della rete. Infatti, la neutralità ha anche un peso in termini di crescita dell'efficienza del sistema infrastrutturale, quando la dotazione di infrastrutture a rete risulti adeguata alle necessità dello sviluppo. Il che storicamente non è in Italia. Le cause di questa circostanza di fatto sono in parte remote, cioè risalenti al periodo in cui il servizio era in monopolio pubblico, ed in parte recenti, cioè attribuibili a carenze nel processo di liberalizzazione. Le ragioni "storiche" vanno ricercate nelle scelte del passato in termini di erogazione di servizi a prezzi contenuti, con conseguente scarsa attenzione ad una politica di investimenti nelle infrastrutture, nonché nella riduzione strutturale della spesa pubblica avvenuta agli inizi degli anni Novanta, per effetto dell'esigenza di ripianare l'esorbitante debito pubblico e per il clima di "prudenza" determinato dalle inchieste giudiziarie per fenomeni di corruzione diffusa (c.d. "Tangentopoli"). Mario Baldassarri 21 parla della tradizionale tendenza italiana a considerare il monopolio naturale come obbligo e insieme come occasione per lo Stato di gestirlo a costi clientelari, senza alcuna attenzione all'efficienze ed economicità. Le carenze infrastrutturali riflettono poi, come detto, insufficienze nell'attuazione del processo di liberalizzazione. Così F. Cundar1 22 il quale descrive i processi di privatizzazione di alcuni settori in termini di passaggio dal capitalismo di Stato allo Stato dei capitalisti, con ciò intendendo la sfida persa rispetto al cambiamento sostanziale di settori passati dal monopolio pubblico a quello privato. A questo proposito, Francesco Giavazzi23 scrive che, tra destra e sinistra, vi deve essere "una premessa comune: privatizzare senza liberalizzare è stato un errore", poiché - come spiegato da M. Messori (lavoce.info, 21 settembre 2006) - "l'esperienza degli anni Novanta mostra che, specie nei servizi a rete, le privatizzazioni senza. adeguate liberalizzazioni e ri-regolamentazioni finiscono per sostituire monopoli pubblici con quasi-monopoli privati e per alimentare, così, ampie posizioni di rendite e di potere a danno dei consumatori". In particolare, va sottolineato come, la mancata concretizzazione del principio della separazione tra rete e servizio, abbia lasciato - in alcuni settori, quale quello dell'energia - ai principali operatori un'influenza determinante nelle decisioni di investimento infrastrutturale. ,
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Infatti, gli ex-monopolisti si sono adeguati alla regolazione dell'accesso (anche per effetto dell'attenzione al tema da parte dell'Unione Europea), mantenendo però di fatto il controllo degli investimenti infrastrutturali, così da creare e conservare le rendite di posizione derivanti dalle reti invece che accrescere i profitti derivanti dai servizi con investimenti nell'innovazione. In tal senso, vanno richiamate, ad esempio, le resistenze dei due grandi operatori del settore energetico (ENI ed ENEL) in relazione ad uno sviluppo dei rispettivi sistemi infrastrutturali in grado di creare condizioni favorevoli all'ingresso di nuovi operatori sul mercato 24 ; quando uno o piii erogatori di servizi controllano l'infrastruttura, il loro interesse è che l'offerta non ecceda un livello compatibile col permanere degli assetti monopolistici. Va anche detto, però, che un assetto di grandi dimensioni e forza può consentire una partita alla pari sul mercato internazionale e globale. Si pensi alla negoziazione con altrettanti colossi economico-finanziari, i grandi gruppi degli oligopoli, in termini di dimensione minima efficiente: "molto spesso i rapporti tra gli agenti economici vengono condizionati dalla posizione che questi occupano all'interno di uno spazio complesso, reale o virtuale, che consente loro di interagire solamente con un sottoinsieme di 'vicini nella popolazione. L'ambiente di rfirimento, definito esogenamente o generato dagli agenti stessi, è una struttura multidimensionale, i cui effetti sul processo di interazione dzpendono proprio dalle dimensioni considerate" 25 In tal senso, quando la decisione di regolazione ed assetto riguarda un contesto o un'organizzazione di grandi dimensioni, "l'esito della valutazione può dipendere dal livello di attivazione della decisione, vale a dire, da qual è l'ambito organizzativo coinvolto" 26 . In altre parole, quando si ha a che fare con i grandi players del mercato globale, i presupposti delle decisioni sono di altro tipo e bisogna tenerne conto. Senza che ciò significhi, necessariamente, cedere alle ragioni dello status quo dei soggetti che hanno una posizione dominante in termini di mercato nazionale. .
SEPARAZIONE DELLA RETE E MANUTENZIONE
Sul fronte della piena efficienza delle infrastrutture, la mancata separazione tra rete e servizio è spesso causa di riduzione del numero e della qualità degli interventi di manutenzione necessari. Pertanto, la neutralità delle reti - di cui la citata separazione tra infra82
struttura e servizio è un presupposto - è essenziale per scelte strategiche relative a politiche di lungo periodo volte al rinnovo e al potenziamento delle infrastrutture, nonché al mantenimento della loro efficienza, condizioni imprescindibili per lo sviluppo di un sistema dei servizi qualitativamente adeguato. Non va, tuttavia, taciuto che la descritta separazione tra rete e servizio non basta da sola a garantire scelte di investimento compatibili con un contesto concorrenziale nel mercato del servizio. Infatti, può verificarsi il caso che l'operatore della rete, nel decidere i propri investimenti nell'infrastruttura, possa essere indotto a realizzare comunque una capacità insufficiente in confronto alle indicazioni provenienti dal mercato, e ciò per effetto di intese "collusive" con l'oligopolio degli operatori. Sul fronte delle manutenzioni, d'altra parte, la separazione tra gestione della rete e del servizio può non dar luogo ai positivi esiti attesi tutte le volte che non siano chiariti i rispettivi compiti dei diversi operatori (della rete e del servizio). Sono evidenti i rischi connessi ai possibili rimpalli di responsabilità che ne creano il vacuum. Di conseguenza, servono regole chiare, come nel caso dell'elettricità, ove si è distinto il dispacciamento e la trasmissione in quanto demandata ad una S.p.a. di proprietà del ininistero del Tesoro (e del ministero dell'Industria per le funzioni di indirizzo), mentre la proprietà della rete (nuda proprietà delle infrastrutture) deve avere cura degli interventi di manutenzione. L'operatore della rete deve essere, dunque, separato dal gestore del servizio ma deve anche essere posto nelle condizioni di far proprio e internalizzare" l'obiettivo pubblico di realizzare investimenti per lo sviluppo del sistema delle reti. In tal senso, la proprietà pubblica delle reti appare a molti l'opzione più efficace ma la questione è fortemente controversa. Innanzitutto, bisogna distinguere tra separazione di reti e servizi e proprietà pubblica o privata delle reti (v. E Giavazzi, Il Corriere della sera, 27 gennaio 2007), per evitare facili ed incaute mosse non risolutive. Una volta che si separa la rete dai servizi erogati e veicolati attraverso di essa, la questione proprietaria "meglio pubblico o privato?" è il nodo immediatamente successivo da sciogliere. L'eventuale separazione societaria - fase ulteriore della separazione contabile dei primi tempi di avvio dei processi di liberalizzazione non corrisponde a quella proprietaria e non ne risolve le ambiguità 27 In alcuni settori in cui la presenza dei privati è più radicata e strategica, il mantenimento o la riconducibilità delle reti ad operatori privati può es.
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sere la scelta migliore quando esista un soggetto pubblico regolatore forte. Anche per le reti si ripropone l'alternativa fra Stato imprenditore/proprietario e Stato regolatore. Secondo Franco De Benedetti, forte sostenitore della logica di mercato, "la proprietà pubblica non è una garanzia che esima dal rendere esplicite ex ante le regole del gioco. Tutta pubblica, tutta privata, metà e metà, la garanzia la dà una autorità di settore, che fissi gli obblighi di servizio - sicurezza contro i black out, ridondanza, perdite, tempi di intervento - e le tariffe. Un'autorità che nella sua testa, oltre al cervello per calcolare e gli occhi per vedere, abbia anche i denti per mordere: indipendentemente da chi sia il proprietario. Aggiungo che a mio parere è più facile per un'autorità di settore far rispettare gli impegni da un soggetto privato che non dallo St ato "28. QUALE GOVERNANCE PER LE RETI
Il nuovo sistema delle reti caratterizzato dalla presenza di una pluralità di attori pone il problema: come si regolano i rapporti fra di loro e con gli utenti finali dei servizi. La differente intensità del processo di liberalizzazione nei diversi settori dei servizi, con la conseguente esistenza o meno di una compiuta separazione tra rete e servizio, è un punto cruciale da definire. Nei settori in cui la liberalizzazione si sta avviando, in coerenza ad un'opzione di gestione del servizio secondo il modello della concorrenza per il mercato, si assiste ad una separazione tra servizio e rete, "privatizzando" il primo e mantenendo la seconda in mano pubblica. In altri settori più maturi (in cui la separazione è già stata operata da tempo), quali ad esempio il gas e l'energia elettrica, la rete viene almeno in parte aperta ai privati. Ad ogni modo, dunque, la presenza dei privati si va rafforzando sia nel settore dei servizi pubblici che in quello della realizzazione delle infrastrutture pubbliche. E ciò avviene con le difficoltà, i problemi, i moti di andata e ritorno che sono altrove esaminati (v. M. Grillo e L. Scorciarini Coppola, L'apertura alla concorrenza nell'industria dell'energia: riassetto strutturale ed intervento antitrust, in «Il Mulino», n. 2, anno 1999, pp. 343-358; v. Relazione annuale sullo stato dei servizi e sull'attività svolta dell'Autorità per l'energia elettrica e per il gas, in particolare la prima del 3 giugno 1999 e l'ultima del 6 luglio 2006, Roma). Per quanto riguarda le reti, il punto essenziale è rafforzare il quadro di 84
regolazione in modo che il regolatore, anche nel caso di rete delegata ad un operatore privato, possa guidare le scelte di investimento con incisività pari a quella con cui deve condizionare la neutralità ed imparzialità dell'accesso. In questo quadro si pone come centrale, dunque, il tema di un sistema di governo (governance) delle reti che, tenendo conto delle prerogative e degli indirizzi dei diversi livelli istituzionali (locali e nazionale), garantisca lo sviluppo di reti efficienti e accessibili a tutti gli operatori interessati. Simili valutazioni presuppongono la piena indipendenza del regolatore e la sua chiara competenza in materia di scelte infrastrutturali per il lungo periodo. Purtroppo, non pare superfluo ribadire che "le reti non sono infrastrutture amorfe da affidare ad amministratori scelti dalla politica. Sono aziende che richiedono capacità imprenditoriale" 29 Va in breve riferito il dibattito sulla natura del soggetto pubblico regolatore e sulle relative prerogative. Si parte solitamente da un'affermazione: se il ruolo di regolazione dell'uso e dell'accesso alle reti appare pienamente riconducibile alle tipologie delle Autorità indipendenti, le politiche di investimento infrastrutturale sono materia della politica industriale e, dunque, storicamente competenza del Governo. Tale impostazione sconta il difficile parto che nel nostro Paese hanno avuto le Autorità indipendenti 30 e la tendenziale diffidenza determinata verso le stesse dal deficit di investitura democratica che le caratterizza, da una parte, e dall'incerto disegno delle competenze e dei criteri di selezione dei componenti, dall'altra. Oggi si ragiona sui modelli di controllo per le nomine all'interno delle Autorità indipendenti - in particolare quello del controllo politico-parlamentare (con la scelta del Governo poi, eventualmente, ratificata dal vaglio delle audizioni parlamentari) e quello del controllo sociale (con un cail pubblico) - e sulle procedure di gara 3 per l'affidamento della gestione della rete e/o dei servizi. Fin dove esiste la cesura tra il momento di regolazione dell'accesso e quello di sviluppo delle infrastrutture? La stretta correlazione tra accesso, sviluppo delle reti, costi e sistemi tariffari, determina la necessità di un unico soggetto pubblico regolatore che intervenga a presidiare l'intero processo? Nel settore delle reti autostradali, ad esempio, si argomenta che la sostanziale assenza della descritta opzione di governance unitaria determina il sistematico scostamento tra tempi e costi preventivati per le nuove opere o gli interventi di manutenzione e quelli effettivi, con conseguente impatto in termini di tempi di .
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"apertura" dei cantieri (e relativi disagi alla circolazione), nonché di incrementi dei livelli tariffari a carico degli utenti. Secondo recenti orientamenti sul tema 32 la presenza di un'Autorità indipendente, dotata della necessaria competenza tecnica e strutturalmente meno esposta ai rischi di cattura da parte degli operatori privati presenti nel settore, rappresenterebbe una possibile soluzione. Ma non sembra che il tema sia stato approfondito a sufficienza in tutti i suoi aspetti. Per esempio, si continua a non tener conto del "triangolo dei servizi pubblici" 33 e cioè delle relative esternalità positive/negative di rete 34 di e per il Governo, del rapporto fra le imprese erogatrici ed i cittadini-utenti, nonché delle implicazioni di sub-ottimalità che queste possono comportare a livello collettivo: "questa struttura triangolare consente di mettere in luce l'impossibilità di individuare a priori una forma organizzati va ottimale in ogni contesto considerato. In termini generali, tale impossibilità è dovuta alle caratteristiche tecniche di produzione, alla struttura del mercato, alla quota di mercato detenuta da operatori diversi dai soggetti pubblici, alle ragioni storiche ed istituzionali che hanno condotto ad un determinato assetto organizzativo nell'erogazione di un particolare servizio pubblico e alle prefe renze della collettività '35. Insomma, non si tiene sufficiente conto delle esigenze dei cittadiniutenti in termini non solo di tariffe ma di qualità dei servizi. Scrive Picci: "la ricerca sociologica da più tempo si occupa dello studio dei rapporti, personali, tra soggetti collocati in uno spazio-rete. Per i sociologi, in particolare, è naturale pensare a relazioni economiche "inserite" (embedded) all'interno di un sistema di relazioni sociali. Il punto di vista di Polany (1944), secondo il quale i sistemi economici moderni in un certo senso sono divenuti autonomi rispetto al sistema delle relazioni sociali, è stato contrastato tenacemente (Granovetter, 1985). Già dagli anni Trenta del secolo scorso, inoltre, il metodo sociometrico, sviluppato dagli psicologi sociali, costituì un primo tentativo di misurare la presenza e gliffetti di rapporti reticolari tra soggetti, e i loro effetti sui comportamenti sociali ' A titolo di esemplficazione: la caratterizzazione dei rapporti tra i nodi della rete. Questi possono essere di varia natura, e in particolare di forza, o intensità, assai diversa" Con questa citazione non si vuole riportare le conclusioni (provvisorie e parziali) di un discorso ricognitivo sulla problematica delle reti a ragionamenti teorici di premessa, ma semplicemente richiamare la natura complessa della materia e la necessità, comunque, di tener compiutamente conto, con concretezza di analisi, degli interessi degli utenti finali. Dunque, per chiudere, è fondamentale razionalizzare la mappa delle ,
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Autorità indipendenti e le loro procedure di decisione (nonché di quelle di garanzia giurisdizionale). Ciò presuppone che si definiscano chiaramente le competenze ed i poteri di eventuali nuovi soggetti, in un quadro di riassetto del sistema delle autorità indipendenti, al fine di evitare il proliferare di strutture (spesso in potenziale conflitto tra di loro). Altrimenti si va semplicemente ad appesantire la già corposa macchina burocratica italiana.
In tema di riparto delle competenze, ad esempio, le caratteristiche strutturali intrinseche di "materie" quali la tutela e la promozione dell'ambiente, le grandi reti di trasporto, i servizi di telecomunicazione, pongono la necessità di una gestione e regolamentazione omogenea, armonica e non parcellizzata, come in pii occasioni rilevato e ribadito dalla Corte costituzionale nell'invocare la necessità di una disciplina uniforme. La giurisprudenza in questione è infinita: cf. sent. n. 47812002 (ricorso incidentale su legge dello Stato) in cui la Corte ribadisce, in tema di tutela del bene culturale (v. sent. n. 378/2000), che questa "è nel testo costituzionale contemplata insieme a quella del paesaggio e dell'ambiente come espressione di principio fondamentale unitario dell'ambito territoriale in cui si svolge la vita dell'uomo (sent. n. 85/1998) e tali forme di tutela costituiscono una endiadi unitaria". Così la sent. n. 103/2006 (ricorso del Governo su legge della Regione), in cui si ribadisce che è illegittima la norma regionale relativa all'utilizzo delle "migliori tecnologie disponibili sul mercato" con riferimento alla trasmissione e distribuzione dell'energia elettrica, un settore nel quale sussistono esigenze di unitarietà nella determinazione, tra l'altro, dei criteri tecnici (v. sentenza n. 712004), che non ammettono interferenze da parte delle Regioni per effetto di autonome previsioni legislative che - imponendo ai gestori che operano a livello regionale l'utilizzo di distinte tecnologie, eventualmente anche I
diverse da quelle previste dalla normativa statale - possano "produrre una elevata diversificazione della rete di distribuzione della energia elettrica, con notevoli inconvenienti sul piano tecnico ed economico" (sentenza n. 336/2005). Deve, pertanto, essere riconosciuto esclusivamente allo Stato, in questa materia, il compito di prescrivere l'utilizzo di determinare tecnologie, sia al fine di assicurare la tutela dell'ambiente e del paesaggio e di promuovere l'innovazione tecnologica e le azioni di risanamento volte a minimizzare l'intensità e gli effetti dei campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici, sia al fine di assicurare unitarietà ed uniformità alla rete nazionale. Per finire, in materia di ordinamento della comunicazione, la Corte, con la sent. n. 33612005 (ricorso delle Regioni su legge dello Stato), giudica costituzionale il Codice statale delle comunicazioni elettroniche rinvenendovi numerosi principi fondamentali ed afferma che è evidente che, nell'individuare i principi fondamentali relativi al settore delle infrastrutture di comunicazione elettronica, non si può prescindere dalla considerazione che ciascun impianto è parte integrante di una complessa e unitaria rete nazionale, sicché non è immaginabile una parcellizzazione (cf sentenza n. 30712003). 2 Cf. GIORGIO RAGAZZI, Politiche per la regola-
mentazione del settore autostradale e il finanziamento delle infiastrutture, in «Economia pubblica», anno XXXIV, n. 4, 2004, Franco Angeli, Milano, pp. 5-33; nello stesso numero, cf. MAR87
PONTI, Autostrade: considerazioni aggiuntive di un ex regolatore, pp. 35-44. GIOVANNETTI E., D'IGNAzIo A., RetiNetworks, in «Rivista di politica economica», marzo-aprile 2003, Confindustria, Roma, pp. 259-330. Da http://www.rivistapoliticaeconomica.it/default.htm, 2003 ' Pa L,, Discussione, in «Rivista di politica economica», marzo-aprile 2003, Confindustria, Roma, pp. 23 1-240. Da http://www.rivistapoliticaeconomica.it/default.htm. GI0vANNETT1 E., D'IGNAZIO A., Replica, in «Rivista di politica economica», marzo-aprile 2004. 6 BORDEWIJK J.L., VAN KAAM B., Towards a New Classification of Tele-Information Services, in Mc Quail D. (ed.) McQuail's Reader in Mass Communication Theory, London Sage, 2002. Luvsor'i A., Il vantaggio del valore: l'economia della rete, AEIT - Federazione Italiana di Elettrotecnica, Elettronica, Automazione, Informatica e Telecomunicazioni, www.aei.it , 2003. 8 Non così nel caso della normativa antitrust di prima generazione in materia di telecomunicazioni, laddove il monopolio era considerato peccato originale, pericolo di per sé - stabilito ex lege - per la competitività del mercato in cui l'operatore vantava una situazione di vantaggio iniziale, a prescindere dall'accertamento in concreto dell'esistenza di dinamiche anticoncorrenziali (abuso di posizione dominante) sulla base di valutazioni tecniche sensibili alle specifiche di ciascun settore. G. CARAVITA, op. cit., p. 29. IO Cf. GIOVANNA DE MINICO, Le Direttive CE sulle comunicazioni elettroniche dal 2002 alla revisione del 2006 Un punto fermo?, in forum di «Quaderni costituzionali», luglio 2006. Da http://www.forumcostituzionale.it . L'autrice affronta il tema della disciplina (ausiliaria/residuale e pro-concorrenziale) di regolazione asimmetrica ("che allinei i nuovi entranti all'ex-monopolista, lasciando alla corretta competizione, non alle diverse fortune iniziali, il compito di selezionare il migliore") nell'ambito CO
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dei mercati a rete neoliberalizzati (quale quello delle comunicazioni elettroniche), a partire dalla constatazione di un defeat dei mercati in questione: il passaggio da un mercato ex-monopolista ad un mercato protetto nel quale, tuttavia, "la liberalizzazione e la privatizzazione delle piazze hanno equiordinato l'ex-monopolista e i nuovi entranti solo nella titolarità formale del diritto di entrare e uscire dal mercato, mantenendo invece invariata l'asimmetria tra i medesimi nelle concrete possibilità di vincere la gara. L'ex-monopolista infatti, ha conservato una posizione di vantaggio in ragione della sua storia pregressa e della sua identità di operatore verticalmente integrato - perché presente sul mercato all'ingrosso, come gestore di rete, e su quello al dettaglio, come fornitore del servizio - al quale i nuovi concorrenti si devono rivolgere per negoziare gli input di rete necessari per la prestazione del servizio di comunicazione elettronica al cliente finale". Il Per un'analisi concisa in chiave evolutiva e comparata si veda G. CARAVITA, Il destino della
neutralità. La struttura aperta di Internet favorisce i/fiorire di nuove iniziative, in «Nòva24 Review», anno XV n. 1, ottobre 2006, Il Sole 24 Ore, Milano, pp. 27-4 1. È infatti la rete per antonomasia, Internet, la "maglia elettronica pIanetaria fondata sul principio di neutralità. E su un sistema di accordi alla pari", basato su tre elementi cardine: regole e protocolli di comunicazione comune; accordi di interconnessione tra le reti; decentralizzazione logica e massima semplicità strutturale. Architettura paritaria e non discriminatoria, quindi, che però, oggi è messa in discussione - travolgendo anche la filosofia di base che ne ha permesso l'enorme sviluppo, senza escludere produttori di contenuti alle primissime armi, quelli che sono i leader dell'innovazione di oggi - in vista dell'espansione del Ngn, Next generation network, che vede la progressiva concentrazione delle reti e la parallela moltiplicazione dei servizi. I grandi carrier statunitensi per primi hanno iniziato a chiedere ai produttori di contenuti indipendenti il pagamento
dell'alta velocità di transito garantita sulla banda larga: "una sorta di pedaggio aggiuntivo a quanto queste aziende già pagano per l'accesso neutrale alle reti dei carrier." Si apre così una nuova fase, aperta ad ogni sviluppo, in continuità o di rottura rispetto alle quattro libertà dei consuma-
tori, enunciate nella Dichiarazione programmatica sulla neutralitiì del network adottata nell'agosto 2005 dalla Fcc Federa! Communications Commission, l'autorità statunitense per le tic): libero accesso e scelta sui contenuti legali nella rete; libero uso delle applicazioni preferite; libera connessione dei dispositivi voluti all'interno delle proprie abitazioni; diritto a ricevere esaurienti informazioni sui servizi erogati e fruiti. 12 GIOVANNA DE MINICO, op. cit. 1311 principio dell'essentialfacility ha di recente trovato applicazione nella decisione della Autorità Garante per la Concorrenza ed il Mercato n. 6926 del 1999 (Snam/tariffe di vettoriamento del 25febbraio 1999). Nella decisione in parola, l'Autorità ha affermato che vi è abuso di posizione dominante non solo nel caso di rifiuto esplicito di accesso all'infrastruttura, ma anche nel caso di ritardi ingiustifìcati o quando vengano apposte condizioni eccessivamente gravose o, comunque, vincoli ingiustificati. Cf. OECD, The essential facilities concept, OEcD/GD(96)113, Paris, 1996, da http://www.oecd.org ; CAPOBIANCO, The essential facility doctrine: similarities and differences between the American and the European approach, in «European Law Review», v. 26, n. 6, December 2001, London, pp. 548-564. 14 11 testo dell'art. 113 TUEL nella sua versione attuale è stato il frutto di modificazioni intervenute per effetto delle riforme di cui all'art. 351. 448101, all'art. 14 DL 269103 (convertito con ulteriori integrazioni con 1. 326/03) ed all'art.4, comma 234 1. 350/03 (1. Finanziaria 2004). 15 La definizione di net neutrality dell'Aiip (Associazione italiana degli internet provider) è la seguente: "Una rete di trasporto è neutrale se tutti gli operatori garantiscono al consumatore il trasporto dei bit ad un determinato livello
qualitativo, indipendentemente dal tipo di contenuto trasportato, attraverso tutta la loro rete e senza ostacolarlo, deteriorarlo né discriminarlo tariffariamente o per sorgente-destinazione: tutto ciò fatti salvi obblighi di legge o cause di forza maggiore". Fonte: http://www.aiip.it/. 16 Non mancano casi nazionali di anticipazione della normativa comunitaria. Tra questi: la Germania con la legge sulle telecomunicazioni del 1996, che obbligava l'operatore dominante Deutsche Telekom ad offrire accesso a componenti separate dei suoi network sulla base di prezzi non discriminatori basati sui costi; l'Austria, con il Telecommunications Act del 1997; la Danimarca che ha introdotto un'analoga regolamentazione in materia nel 1998. 17 V. Procedimento di infrazione accelerato nei confronti della Germania istruito dalla Commissio ne europea, Ip/ 07/237, Bruxelles, 26.02.2007. Si tratta del sesto procedimento in corso contro la Germania relativamente alle norme comunitarie in materia di telecomunicazioni (cfr. Ip/06/1358; I/0611 110; Ip/06/784). Per "regulatory holiday" si intende "vacanza delle regole", ovvero la rimozione della regolamentazione di settore allo scopo di incoraggiare investimenti in nuove infrastrutture. Lespressione è stata coniata dagli "austeri tedeschi di Deutsche Telekom per convincere il governo di Berlino e la loro Authority che le nuove reti a larghissima banda non fanno parte di nessuno degli attuali mercati regolamentati in cui l'Unione Europea ha suddiviso e classificato l'insieme delle attività che si muovono attorno al mondo dei media. E siccome sono un mercato nuovo, oggi non hanno regole. Potranno averne domani, certo, ma solo a posteriori, dopo che le nuove reti saranno decollate e si sarà potuto vedere attentamente (e con calma) come funzionano. La 'vacanza delle regole' appunto. E mentre le regole sono in vacanza Dt resterebbe l'indisturbata padrona della larghissima banda. Non avrebbe obblighi verso nessuno, potrebbe decidere chi farci passare e chi no e a quali insindacabili prezzi. Un nuovo monopolio insomma". V. Deutsche Telekom e Bt 89
modelli agli antipodi in Affari e finanza, «la Repubblica», 5 febbraio 2007. In Germania, la Deutsche Telekom controlla l'accesso a 9 milioni e quattrocentomila linee su 12 milioni e novecentomila esistenti, a fronte di una penetrazione della banda larga del 16,36% contro il 30% di Danimarca e Paesi Bassi. 18 M. FUBINI, Per la neutralità della rete, su «La Voce.Info», www.lavoce.info, 27 luglio 2006. La Net Neutralit'y è riassumibile attraverso il principio "FiFo": "First in, First out" che, nel caso dei servizi che richiedono necessariamente un canale rapido e capace, può essere abbinato al modello meritocratico per tipologia di servizi cui dare priorità senza ricadute sugli altri che non hanno le stesse caratteristiche. 9 A marzo si discuterà la partita sulle reti di telecomunicazione e per la distribuzione dell'energia anche in ambito comunitario, con il confronto dei Capi di Stato e di governo sulla proposta firmata dalla Commissione europea su iniziativa del responsabile per la concorrenza, Neelie Kroes, incentrata sulla separazione proprietaria tra produttori/fornitori e gestori della rete (all'interno del pacchetto energia della Commissione presentato il 10 gennaio), affiancata da un'alternativa soft - frutto dell'opposizione tedesca e francese all'opzione di ,fidl ownership unbungingling— di separazione della sola attività di gestione. 20 V. CARLO SCARPA, Le reti tra pubblico eprivato, da www.lavoce.info, 21 settembre 2006. 21 CARLO STAGNARO, Con Giavazzi - Con Prodi. Per ilprof bocconiano sta tornando l'In, per il prof bolognese ben venga, da «Il Foglio», 01 febbraio 2007, p. lI. 22 Ibidem. 23 www.lavoce.info, 27 marzo 2006, 24 EN! Si è opposta al potenziamento dei gasdotti con Russia ed Algeria, nonché ai rigassificatori, sulla base della tesi della c.d. "bolla di gas" e cioè del rischio di "eccesso di offerta' determinato dallo sviluppo delle reti. 25 GIOVANNETT! E., D'IGNAzIo A., op.cit. su www.rivistapoliticaeconomica.it . 90
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PONTI L., op. cit. Da un punto di vista semiotico, è possibile fare un'ulteriore critica che mina le basi e le implicazioni ideologiche dell'elaborazione concettuale dei modi in cui il pubblico e il privato sono state spesso declinate (v. la rete Internet). ERIC LANDOWSKI ne La società riflessa, elabora una problematica formale delle nozioni di "pubblico" e "privato" rispetto a quelle di " individuale" e "collettivo", a partire dall'indipendenza delle rispettive due categorie binarie; queste, infatti, non si sovrappongono, ma si danno come variabili di possibili incroci, potendo la seconda declinarsi lungo le dimensioni della prima. Se applicati al tentativo di definire alcune situazioni ed assetti sociali ed economici in funzione delle posizioni occupate dai soggetti coinvolti, i due assi distinguono tra pratiche di organizzazione e strutture molto diverse, lungo il continuum funzionale "pubblicizzazione del privatoprivatizzazione del pubblico". "Individuale" e "collettivo", dice l'autore, si pongono l'uno come elemento molare della classe degli elementi raggruppati dall'altro sulla base di una qualche proprietà comune. Non così "privato" e "pubblico", i quali non sono termini primi o composti l'uno rispetto all'altro, che si realizzano quali effettive significazioni entro un contesto specifico, senza cui sono virtualità di significazione. 28 PANARA M., L'intervista. Con lo Stato regola27
tore e la proprietà ai privati ci guadagniamo tutti, in Affari e Finanza, «la Repubblica», 12 febbraio 2007, p. 9. 29 F. GIAVAZZI, Il Fondo infiastrutture e le nostalgie dell'In. Perché affidare le reti ai privati, da <>11 Corriere della Sera», 31 gennaio 2007. 30 Come scrive M. PONTI, Alle infrastrutture serve un,4utonità, su «La Voce,Info», 09 novembre 2006). Le Autorità indipendenti, di matrice anglosassone, sono organi di tutela dell'utenza di servizi necessariamente, naturalmente monopolistici. In Italia, l'apertura alle Autorità indipendenti avviene negli anni Novanta, ed è resa urgente dalla ritirata della mano pubblica da molti settori economici, con ciò imponendo la
presenza di un arbitro autonomo ed autorevole (autonomia come indipendenza funzionale dalla politica). Tre i tipi: 1) Autorità con funzioni di garanzia; 2) Autorità con compiti di regolazione dei servizi a rete; 3) Autorità con compiti di vigilanza sugli intermediari finanziari. (Cf. BRUNO TABACCI,
A ciascuna finzione diamo la
sua Authority, in «Il Riformista», 01 febbraio 2007, p. 4). 31 Scrivono F. OSCULATI ed A. ZArrI: "In attesa del rilancio ditali Autorità, e forse anche in seguito, sarebbe utile prevedere che nel caso di coincidenza dei due ruoli di proprietario e di affidante, la responsabilità della gara sia trasferita al livello di governo superiore: dal Comune alla Provincia e alla Regione o, a regime, alle Autorità. Il tema di fondo che affronta il disegno di legge 772 è quello, certo non nuovo, della distinzione dei poteri, e dei doveri, di offerta dei servizi dai compiti di gestione. In termini economici, si tratta di un normale rapporto di agenzia da sviluppare su una pratica informativa non troppo asimmetrica". (Come riordinare i servizi pubblici locali, da «lavoce.info», 01 febbraio 2007)
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M. PONTI, Alle infrastrutture serve un'Autorità, su «lavoce.info», 09 novembre 2006. 33 DANIELE ARCHIBUGI, GIUSEPPE CICCARONE, MAURO MARE, BERNARDO PIZZETTI, FLAMINIA
Il triangolo dei servizi pubblici. L'organizzazione economica dei servizi fra governi locali, imprese erogatrici e cittadini-utenti, Marsilio, Venezia, 1999. 34 Picci L., op. cit., p. 333: "un bene è soggetto ad esternalità (positive) di rete, quando la sua domanda è positivamente legata al numero di beni già in uso. Si tratta di un fenomeno assai rilevante per i beni che funzionano in collegamento reciproco... Si tratta di un'influenza non locale, bensì globale... In generale, in presenza di esternalità di rete si attenua la forza del meccanismo di selezione delle imprese migliori, che ci attendiamo vigere all'interno delle economie di mercato: non sempre vincono i migliori, e i vincitori tendono a godere di una rendita di posizione, perché l'ampia base installata di cui dispongono influenza a loro favore le scelte di adozione della tecnologia". 35 ARCHIBUGI D., CICCARONE G., MARE M., PIZZErFI B., VIOLATI F., op. cit., p. 6.
VIOLATI,
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istituzioni n. 1401143 Annale 2006
Una giurisprudenza progressivamente preclusiva: è finita l'impresa mista? di Luigi Tretola
N
ell'ambito del dibattito sulle esternalizzazioni, ricorre con una certa frequenza una domanda tra amministratori, manager, funzionari ed altri addetti ai lavori: "è legittimo per gli Enti locali affidare direttamente l'erogazione di servizi pubblici a società miste?". La risposta a tale quesito impone di ritornare a riflettere sul modello di società mista pubblico-privata, alla luce dell'evoluzione della normativa e giurisprudenza nazionale e comunitaria. Infatti, proprio le recenti pronunce dei giudici comunitari e nazionali, stanno alimentando una serie di interrogativi sulla reale legittimità di un modello operativo che pure il legislatore nazionale ha, in più occasioni, previsto e disciplinato in materia di gestione dei servizi pubblici locali. In tal, senso, la nostra domanda può essere così riformulata:"basta la gara per la scelta del socio privato a soddisfare la regola comunitaria della concorrenza nel settore dei servizi pubblici?". Cerchiamo, allora, di fare il punto dell'evoluzione normativa e giurisprudenziale sul tema. LA SOCIETÀ MISTA COME MODELLO DI "PARTENARIATO PUBBLICOPRIVATO ISTITUZIONALIZZATO"
Ilpartenariato pubblico-privato - nell'accezione comunitaria - si riferisce, in genere, "a forme di cooperazione tra le autorità pubbliche ed il mondo delle imprese che mirano a garantire il finanziamento, la costruzione, il rinnovamento, la gestione o manutenzione di un'infrastruttura o la fornitura di un servizio"l. Si distinguono due tipologie di partenariato pubblico-privato e, precisamente, quello "contrattuale" e quello "istiuzionalizzato 2 L'Autore è Avvocato, esperto di diritto amministrativo e contrattualistica pubblica, ricercatore presso il Formez. 92
Il partenariato pubblico-privato di tipo istituzionalizzato che qui interessa è quello che implica una cooperazione tra il settore pubblico e il settore privato in seno ad un'entità distinta, che implica, cioè, la creazione di un'entità detenuta congiuntamente dal partner pubblico e dal partner privato, che ha la "missione" di assicurare la fornitura di un'opera o di un servizio a favore del pubblico. Il "modello" di partenariato di tipo istituzionalizzato più conosciuto è, appunto, quello della c.d. "società mista". Le prime significative esperienze di società miste nell'erogazione/gestione di servizi pubblici locali in Italia sono rinvenibili nelle previsioni dell'art. 22, comma 3 della 1. 142/90 che, nel disciplinare l'assetto delle autonomie locali, con riferimento ai servizi pubblici, prevedeva la possibilità per gli Enti locali di avvalersi di società a prevalente capitale pubblico: "i Comuni e le Province possono gestire i servizi pubblici a mezzo di società per azioni a prevalente capitale pubblico locale, qualora si renda opportuna, in relazione alla natura del servizio da erogare, la parteczpazione di altri soggetti pubblici o privati ' La scelta era legata ad una valutazione di opportunità in relazione alla natura o all'ambito territoriale del servizio. L'obiettivo del legislatore era di avvalersi di forme di gestione privatistiche che, anche se in mano pubblica, permettevano di ottenere flessibilità decisionale e operativa, eliminando o riducendo al minimo le fasi disciplinate dal diritto amministrativo. Inoltre, la formale autonomia del nuovo soggetto sembrava poter garantire una maggiore trasparenza nella gestione. Il quadro iniziale di mera privatizzazione "formale" mutava rapidamente: per effetto del combinato disposto dell'art. 12, comma i della legge n. 498 del 1992: "Le province e i Comuni possono, per l'esercizio di servizi pubblici e per la realizzazione delle opere necessarie al corretto svolgimento del servizio nonché per la realizzazione di inflasirutture ed altre opere di interesse pubblico, che non rientrino, ai sensi della vzente legislazione statale e regionale, nelle competenze istituzionali di altri enti, costituire apposite società per azioni, anche mediante gli accordi di programma di cui al comma 9, senza il vincolo della proprietà maggioritaria di cui al comma 3, lettera e), dell'articolo 22 della legge 8 giugno 1990, n. 142" e dell'art. 1, comma i del d.PR 16 settembre 1996, n. 5333 ("per l'esercizio di servizi pubblici e per la realizzazione delle opere accessorie connesse, necessarie al loro corretto svolgimento, la costituzione delle società di cui all'art. 12, comma 1, della legge 23 dicembre 1992, n. 49... è promossa da UflO o più Enti locali. Di tali società possono essere soci le Regioni, altre 93
amministrazioni pubbliche, anche statali, e società a parteczazione pubblica') si superava il vincolo della partecipazione pubblica maggioritaria, introducendosi l'ipotesi di società mista a capitale pubblico minoritario. La possibilità di avvalersi di soggetti privati, dotati di un'organizzazione aziendale strutturata e di una competenza tecnica specifica, ha accelerato in molti casi la riorganizzazione della gestione dei servizi improntata all'efficienza, all'efficacia e all'economicità. Tuttavia, proprio il momento della scelta del socio privato nella società mista ha dato luogo a numerose controversie relative alle modalità da adottare. Infatti, nella prima metà degli anni Novanta, molto si è dibattuto sulla necessità o meno di ricorrere a procedure ad evidenza pubblica per la scelta del socio privato di una società mista. Un contributo chiarificatore non è venuto dal'legislatore. Infatti, l'unica norma che disciplinava i sistemi di scelta del socio privato, prevedendo l'osservanza delle formalità tipiche dell'evidenza pubblica, si riferiva esclusivamente a società a prevalente capitale pubblico. È stata la giurisprudenza 4 ad estendere progressivamente alle società miste con socio pubblico minoritario l'obbligo della gara ad evidenza pubblica per la seleziòne del socio. Simile orientamento ha trovato poi definitiva conferma nelle vicende del processo di riforma dei servizi pubblici locali. È stato, infatti, l'art. 113, comma 5, lett. b) del d.lgs. 267/00 - Testo unico degli Enti locali (TUEL), come riformato dall'art. 14 d.l. 269/03 ("l'erogazione di un servizio avviene secondo le disczpline di settore e nel ri spetto della normativa dell'Unione Europea, con conferimento della titolarità del servizio... b) a società di capitale misto pubblico-pri vato nelle quali usocio privato venga scelto attraverso l'espletamento di gare con procedura ad evidenza pubblica che abbiano dato garanzia di rispetto delle norme interne e comunitarie in materia di concorrenza secondo le linee di indirizzo emanate dalle autorità competenti attraverso provvedimenti o circolari specifiche'), a chiarire come la gara ad evidenza pubblica sia la regola da seguire per la scelta del socio privato nel caso di società mista. LA SOCIETÀ MISTA DOPO LA RIFORMA DEI SERVIZI PUBBLICI LOCALI
Il legislatore, nel riformare la disciplina sull'affidamento dei servizi pubblici local1 5 al fine di adeguarla alla regola comunitaria della concorrenza, ha previsto - tra le modalità di affidamento dei servizi - quella in favore di una società mista 6 . 94
Il modello della società mista per l'erogazione di servizi pubblici, individuato dal nuovo testo dell'art. 113 d.lgs. 267/00 - TUEL, è caratterizzato dalla possibilità per l'Ente locale di affidare in via diretta un servizio alla società, con obbligo però di effettuare una gara per l'individuazione del socio privato. Ad avviso del legislatore nazionale, dunque, simile modalità di partenariato è pienamente compatibile con le norme comunitane sulla concorrenza. Infatti, il momento della gara ad evidenza pubblica - richiesto a livello comunitario - è semplicemente spostato dalla fase di individuazione del soggetto gestore a quella di scelta del socio privato di una società di capitali cui è già stato affidato (o verrà affidato) direttamente il servizio. Sul piano operativo, il modello descritto dà luogo ad una compartecipazione societaria tra un soggetto pubblico, garanzia di continuità nell'erogazione del servizio oltre che di sicura attenzione alle esigenze dell'utenza e del territorio,ed un privato imprenditore che porta in dote il know how e la professionalità necessari al miglioramento del servizio erogato. Tuttavia, è controverso se il momento della gara per la scelta del socio privato - previsto come obbligatorio dal nuovo testo dell'art. 113 TUEL debba necessariamente precedere quello dell'affidamento del servizio o possa anche seguirlo. La prima tesi è stata autorevolmente sostenuta dal ministero dell'Ambiente, prima con propria circolare 7 e poi nell'art. 150, comma 3 del d.lgs. 152/06 - c.d. "Codice ambientale" "la gestione del servizio idrico integrato può essere altresì affidata ... a società solo parzialmente partecipate da tali enti, secondo la previsione del comma 5, lettera b), dell'articolo 113 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 purché il socio privato sia stato scelto, prima dell'affidamento, con gara da espletarsi con le modalità di cui al comma 2' Nello specifico, dunque, le citate normative, nel delineare le caratteristiche della società mista cui affidare l'erogazione del servizio idrico integrato, hanno rilevato che: "il momento del confronto concorrenziale deve essere riservato alla fase antecedente all'affidamento stesso". Solo in questo modo - secondo il richiamato indirizzo - l'Ente locale affidante non andrebbe incontro a violazione della normativa sulla concorrenza. Tale tesi è però in contrasto con la lettera dell'art. 113, comma 5, lett. b) del TUEL che parla semplicemente di società mista con gara per la scelta del socio privato, senza specificare il momento in cui va espletata la gara. Inoltre, la stessa tesi appare confligente con la prevalente interpretazio95
ne della nuova disciplina in tema di servizi pubblici locali, improntata alla gradualità delle modalità di affidamento dei serviz1 8 e, dunque, alla naturale possibilità per un'azienda, in origine a totale capitale pubblico, di aprirsi progressivamente ai privati ed al mercato. Ulteriori dubbi sono stati alimentati dalla constatazione che le previsioni della circolare e del "Codice ambientale" sono in contrasto proprio con una serie di affidamenti del servizio idrico integrato fatti in favore di società miste in cui l'apertura del capitale sociale a soci privati era avvenuta dopo l'affidamento del servizio, spesso in applicazione del disposto dell'art. 351. 448/01, comma 5: i soggetti competenti, individuati dalle Regioni ai sensi dell'art. 9 della legge 5 gennaio 1994, n. 36, possono affidare, entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, il servizio idrico integrato a società di capitali parteczpate unicamente da Enti locali che fanno parte dello stesso ambito territoriale ottimale Entro due anni da tale affidamento, anche se già avvenuto alla data di entrata in vigore della presente legge, con le modalità di cui al presente comma, gli Enti locali azionisti provvedono alla cessione di almeno il 40 per cento del capitale sociale a soggetti privati, mediante procedura ad evidenza pubblica, pena la perdita immediata dell'affidamento del servizio alla società da essi parteczpata. Tali affidamenti verrebbero a configurarsi come illegittimi e sottoposti al termine di decadenza del 31 dicembre 2007 9 con conseguente difficoltà in termini di scelte operative per le Amministrazioni affidanti. Pertanto, l'interpretazione maggiormente condivisibile, ai fini della legittimità dell'affidamento a società mista, è quella dell'indifferenza del momento (prima o dopo l'affidamento) della gara per la scelta del socio privato' 0 In tal senso, va da ultimo ricordata la sopravvenuta declaratoria di inefficacia delle richiamate previsioni contenute nel Codice ambientale. Il Ministero dell'ambiente con propria comunicazione - pubblicata in Cu del 26.06.06 - ha dichiarato l'inefficacia dei 17 decreti attuativi del d.lgs. 152/06, in quanto precedentemente non inviati alla Corte dei conti per i necessari controlli e la relativa registrazione, a norma dell'art. 3, co. 1, 1. 20/94"; al momento, è stata nominata dal nuovo Governo una Commissione ministeriale per una modifica del Codice ambientale e dei relativi decreti attuativi che potrà apportare modifiche al testo normativo, anche nella parte relativa alle società miste ed alle modalità di scelta del socio privato. ,
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I DUBBI SULLA LEGITTIMITÀ DELL'ATTUALE MODELLO DI SOCIETÀ MISTA NELLA RECENTE EVOLUZIONE GIURISPRUDENZIALE
Il quadro sin qui tracciato, caratterizzato dalla legittimità dell'affidamento diretto di un servizio pubblico ad una società mista il cui socio privato sia stato scelto con gara, è stato esposto a forti dubbi per effetto della evoluzione giurisprudenziale sul tema. Infatti, la giurisprudenza amministrativa, di recente, con una serie di sentenze ha affermato che la gara per la selezione del socio privato non basta a soddisfare il principio comunitario della concorrenza. In particolare, il Consiglio di stato 12, nel pronunciarsi sulla legittimità di un affidamento diretto di un servizio pubblico ad una società a totale partecipazione pubblica, ha affermato - tra l'altro - che la presenza di clausole statutarie che ammettono la cessione di quote sociali a soggetti terzi (una volta effettuato l'affidamento diretto del servizio) può comportare un aggiramento della disciplina comunitaria in tema di concorrenza. Simile conclusione affonda le proprie radici nella giurisprudenza comunitaria in tema di legittimità dell'affidamento diretto di servizi pubblici a società c.d. in house13 ed, in particolare, in una serie di pronunce interpretative 14 della richiamata sentenza "Teckal" , a tenore delle quali, la presenza di capitale privato in un modulo societario, anche se minoritaria, compromette la possibilità per l'Amministrazione di esercitare sulla società stessa un "controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi" (dunque, non consente di realizzare un affidamento a società in house). Partendo da tali considerazioni i magistrati del Consiglio di Stato, richiamando la giurisprudenza csjuzjnale15 - secondo cui le pronunce della Corte di giustizia europea "hanno efficacia diretta nell'ordinamento degli Stati membri, al pari dei regolamenti e delle direttive e delle decisioni della Commissione" -, hanno ipotizzato la disapplicazione delle norme interne con esse confliggenti. Alla luce di tale ricostruzione, la fattispecie dell'affidamento diretto di servizi pubblici a società mista con gara per la scelta del socio privato, non essendo riconducibile al modello della società in house - unica eccezione alla regola della concorrenza in tema di servizi pubblici locali -, verrebbe a configurasi come illegittima, nonostante la previsione di cui all'art. 113, comma 5, lett. b). TUEL. Simile linea interpretativa è stata confermata da un'altra recente pronuncia della giurisprudenza amministrativa 16, secondo cui: "la tripartizione nel97
le modalità di affidamento del servizio (gara ad evidenza pubblica, società "in house", società mista con gara per la scelta del socio privato) non sembra trovare riscontri nel diritto comunitario, al quale è estraneo un trattamento di favore delle società miste rispetto alle regole della piena concorrenza e, quindi, della gara specifica per l'affidamento di un servizio". In tal senso, i magistrati amministrativi hanno rilevato che: "alla stregua dei principi affermati dalla Corte di giustizia europea, all'affidamento dei servizi alle società miste, ancorché inquadrabile tra le concessioni di servizi pubblici, è applicabile la normativa comunitaria costituita dalle norme del Trattato UE (artt. 43 e 49) e, per gli appalti, dalla direttiva n. 92/50". Dunque, ad eccezione della fattispecie in house , i affidamento di un servizio pubblico dovrebbe avvenire a seguito di gara ad evidenza pubblica. Sulla base di simile valutazione, i medesimi giudici amministrativi sono arrivati ad affermare che: "sembra doversi pervenire ad un'interpretazione restrittiva, se non addirittura disapplicativa, dell'art. 113, comma 5 iett. b), nel senso che la costituzione di una società mista, anche con scelta del socio a seguito di gara, non esime dall'effettuazione di una seconda gara per l'affidamento del servizio". A sostegno della necessità di una doppia gara (per il socio e per il servizio) nel caso di società mista, si è rilevato che: "configura una restrizione del mercato e della concorrenza l'obbligo per l'imprenditore di conseguire l'affidamento di un servizio, soio entrando in una società con l'Amministrazione"; in tal senso, poi: "la procedura ad evidenza pubblica per la scelta del socio non è sovrapponibile, quanto ai contenuti ed alle finalità, a quella per l'affidamento del servizio; la prima è preordinata alla selezione di un socio in possesso di requisiti non solo tecnici ed organizzativi, ma anche e soprattutto finanziari ( ... ), la seconda è invece esclusivamente diretta alla scelta del soggetto che offra maggiori garanzie per la gestione del servizio". CONCLUSIONI
Il descritto recente indirizzo dei magistrati amministrativi in tema di società miste impone una serie di considerazioni anche al fine di chiarirne l'effettiva operatività. In primo luogo, l'assunto sulla "diretta efficacia negli Stati membri" delle sentenze della Corte di giustizia europea è stato impiantato in una fattispecie certamente non sovrapponibile a quelle che hanno dato luogo agli interventi della Corte costituzionale17 richiamati nella sentenze dei 98
giudici amministrativi. Infatti, la Corte costituzionale - in entrambe le occasioni - ha attribuito alle pronunce chiarificatrici e integratrici della Corte di giustizia la stessa portata cogente delle direttive, delle decisioni e dei regolamenti comunitari, purché riferite a specifiche disposizioni del Trattato UE. Nel caso che ci occupa, invece, i magistrati amministrativi hanno disapplicato una norma interna e, per l'effetto, annullato il deliberato di affidamento diretto di un. servizio senza indicare nel dispositivo quale precetto comunitario fosse stato violato dalla norma incriminata. La disposizione di legge nazionale è stata disapplicata non per violazione del precetto contenuto in una norma comunitaria, per come interpretato dalla Corte di giustizia, quanto, piuttosto, per incompatibilità della disposizione interna con la recente elaborazione giurisprudenziale europea formatasi in tema di "controllo analogo". Inoltre, i giudici amministrativi non hanno tenuto conto del reale portato della richiamata giurisprudenza della Corte di giustizia europea, intervenuta nel corso di questi anni a chiarire i profili distintivi dell'affidamento di servizi pubblici a società in house. Infatti, la recente giurisprudenza comunitaria ha semplicemente affermato che la fattispecie dell'affidamento diretto di un servizio pubblico a società in house non consente la presenza (anche minima) di soci privati, non si è, invece, pronunciata sulla compatibilità col diritto comunitario del "modello italiano" di società mista con gara per la scelta del socio privato. In tal senso, in mancanza di espresse previsioni normative ed indicazioni giurisprudenziali comunitarie sul tema, appare eccessivamente restrittivo l'orientamento di recente assunto dai giudici amministrativi che arrivano a disapplicare una norma interna - art. 113, comma 5, lett. b) TUEL - elaborata dal legislatore italiano d'intesa con la Commissione europea (a seguito dell'emanazione dell'art. 14 d.l. 269/03 di riforma dell'art. 113 TUEL, la Commissione europea ha interrotto la procedura di infrazione nei confronti dello Stato italiano in relazione alla precedente disciplina in tema di servizi pubblici locali); tanto più che anche nel testo dei disegno di legge delega al Governo per una nuova riforma dei servizi pubblici locali 18 - attualmente in discussione in Parlamento - si conferma la piena legittimità nell'ordinamento nazionale della descritta modalità di affidamento diretto del servizio a società mista con gara per la scelta del socio privato. Infine, arrivare a prevedere una doppia gara (per la scelta del socio e per l'affidamento del servizio) in tema di società miste, dà luogo a più di un 99
dubbio sui piano operativo. In altri termini, una PA potrebbe decidere di costituire una società mista (società di scopo), sopportando i relativi costi di costituzione e di scelta del socio privato, andando poi incontro al rischio di non poterle affidare l'erogazione del servizio per cui l'ha costituita; il tutto con evidenti riflessi in termini di coerenza delle scelte operate dall'Amministrazione, nonché di responsabilità per i possibili danni erariali connessi al descritto iter amministrativo. La doppia gara, insomma, si configurerebbe come un ulteriore aggravio per le Amministrazioni che intendono esternalizzare i servizi, senza portare espliciti vantaggi in termini di qualità dei servizi erogati. Una simile linea di indirizzo non trovapoi riscontro nell'esperienza europea in cui, invece, è molto diffusa la fattispecie del partenariato pubblico-privato senza traccia della descritta doppia gara' 9 .
I
"Libro verde relativo ai partenariati pubblico/privati ed al diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni", presentato dalla Commissione europea il 30.04.2004 (Com 2004-327). 2 "Libro verde relativo ai partenariati pubblico-privati", (cit.) 3 dPR 533196, "Regolamento recante norme sulla costituzione di società miste in materia di servizi pubblici degli enti territoriali". ' Cons. diStato, sez. V, n. 192, 1998. Ad avviso dei giudici di Palazzo Spada "la scelta del socio privato va effettuata mediante un procedimento amministrativo di natura concorsuale, poiché costui, pur non acquisendo la funzione di concessionario diretto del servizi, in ogni caso esplica le mansioni di questo tipo". 5 Art. 113 d.lgs. 267100 - TUEL, come riformulato a seguito dell'emanazione dell'art. 14 dl. 269103 (conv. in 1. 326/03). 6 Le altre due modalità di affidamento dei servizi pubblici locali a rilevanza economica previste dall'art. 113, co. 5 TUEL sono: la gara 100
ad evidenza pubblica e l'affidamento diretto a società c.d. in house (società a totale capitale pubblico, sulla quale il socio pubblico esercita un "controllo analogo" a quello esercitato sui propri servizi, svolgente attività in prevalenza in favore del medesimo socio pubblico). 7 Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio: Circolare del 6 dicembre 2004 in tema di "Affidamento del servizio idrico integrato a società a capitale misto pubblico-privato". 8 Parere dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato del 19.09.2005. 9 Termine introdotto dall'art. 15 d.l. 223106 (conv. in 1. 248/06) che ha modificato il precedente termine del 31.12.2006 (previsto dall'art. 14 dl. 269/03). '° L. TgiTou, I servizi pubblici locali, Sistemi Editoriali-Esselibri, Napoli 2005, pp. 64 ss. "1. n. 20 de! 14.01.1994 "Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte di conti"; art. 3 "Norme in materia di controllo della Corte dei conti". Il controllo preventivo
di legittimità della Corte dei conti si esercita
esclusivamente sui seguenti atti non aventi forza di legge: a) provvedimenti emanati a seguito di deliberazione del Consiglio dei Ministri; b) atti del Presidente del Consiglio dei Ministri e atti dei Ministri aventi ad oggetto la definizione delle piante organiche, il conferimento di incarichi di fu nzioni dirigenziali e le direttive generali per l'indirizzo e per lo svolgimento dell'azione amministrativa; c) atti normativi a rilevanza esterna, atti di programmazione comportanti spese ed atti generali attuativi di norme comunitarie; d) provvedimenti dei comitati interministeriali di riparto o assegnazione di fondi ed altre deliberazioni emanate nelle materie di cui alle lettere b) e c); e) (Omissis); f) provvedimenti di disposizione del demanio e del patrimonio immobiliare; g) decreti che approvano contratti delle amministrazioni dello Stato, escluse le aziende autonome; attivi, di qualunque importo; di appalto d'opera, se di importo superiore al valore in Ecu stabilito dalla normativa comunitaria per l'applicazione delle procedure di aggiudicazione dei contratti stessi; altri contratti passivi, se di importo superiore ad un decimo del valore suindicato; h) decreti di variazione del biliincio dello Stato, di accertamento dei residui e di assenso preventivo del ministero del Tesoro all'impegno di spese correnti a carico di esercizi successivi; i) atti per il cui corso sia stato impartito l'ordine scritto del Ministro; 1) atti che
il Presidente del Consiglio dei Ministri richieda di sottoporre temporaneamente a controllo preventivo o che la Corte dei conti deliberi di assoggettare, per un periodo determinato, a controllo preventivo in relazione a situazioni di diffusa e ripetuta irregolarità rilevate in sede di controllo successivo. 12 Cons. di Stato, sez. V, n. 4440 del 13.07.06. 13 Corte giust. eur. 18 novembre 1999, causa C-107198 (Teckal). 14 Corte Giust. Eur. 11 gennaio 2005, C26103 (Stadt HaIle); Corte Giust. Eur. 13 ottobre 2005, C-458103 (Parking Brixen); Corte Giust. Eur. 10 novembre 2005, C-29104 (Commissione/Austria). 15 Corte cost. n. 113 del 1985 e n. 389 del 1989. 16 Cons. giust. amm. reg. siciliana, sez. giur., 27 ottobre 2006, n. 589. Corte Cost. n. 113 del 1985 e n. 389 del 1989. 18 d.d.l. n. S-772 del 4 luglio 2006: delega al Governo per il riordino dei servizi pubblici locali. 19 In molti Paesi europei, tra cui Francia e Germania, il socio privato delle società miste spesso non è individuato con gara ad evidenza pubblica.
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istituzioni n. 140/143 Annate 2006
I rapporti dinamici fra Stato e Regioni sulle infrastrutture: sussidiarietà e intese di Donate/la Viscogliosi
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no dei campi più sensibili ai mutamenti introdotti nel Titolo V della Costituzione è quello delle infrastrutture. Per intendere la portata degli effetti del nuovo testo costituzionale occorre, naturalmente, partire da una breve ricognizione delle norme. Le leggi costituzionali n. 1/1999 e n. 3/2001 hanno abrogato e modificato gran parte del Titolo V della seconda parte della Costituzione riscrivendo, in particolare, le norme che regolano i rapporti tra lo Stato e le Regioni sia sotto il profilo dell'attività legislativa sia per quanto attiene alle funzioni amministrative. La riforma, consacrando a livello costituzionale tutta una serie di principi già espressi dal legislatore ordinario nella legge n. 59/1997 (cd. federalismo a Costituzione invariata), promuove il compimento del processo di trasformazione dell'organizzazione pubblica in senso federale. Allo Stato restano soltanto i compiti essenziali che non possono essere soddisfacentemente svolti dalle Regioni, mentre queste ultime vedono accresciuta la propria complessiva condizione di autonomia. Tale risultato viene perseguito attraverso una serie di strumenti, quali l'eliminazione dell'approvazione con legge statale dello Statuto regionale, il venir meno del controllo preventivo del Governo sulla legislazione regionale, l'estensione del potere regolamentare delle Regioni e la possibilità di attribuirne l'esercizio a diversi organi del Governo regionale e, soprattutto, l'allargamento e il potenziamento dei confini della potestà legislativa regionale. Dopo aver affermato che l'attività legislativa, da qualunque fonte essa promani, deve essere esercitata "nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali", il novellato art. 117 cost., al comma 2 dispone che allo Stato compete una potestà legislativa che, pur essendo esclusiva e piena, si trova ad essere circoscritta entro ambiti oggettivi di materia ben definiti. Ciò sta a significare che tale potestà non può più esplicitarsi, come avveniva preceL'Autrice è Avvocato, consulente Ques.i.re . sri. 103
dentemente, in qualsiasi ambito oggettivo che non fosse stato assegnato alla competenza del legislatore regionale, ma al contrario può essere esercitata esclusivamente nelle materie che la norma costituzionale espressamente vi riserva. Quanto al modello della legislazione concorrente Stato Regioni, questo è mantenuto nell'attuale sistema costituzionale nelle materie espressamente enunciate nel comma 3 dell'art. 117. In tali ambiti allo Stato compete la determinazione di principi fondamentali mentre la disciplina di dettaglio spetta alle leggi regionali. Infine, le materie che non rientrano tra quelle espressamente enumerate attribuite allo Stato secondo il criterio della competenza esclusiva o concorrente, rientrano nella potestà legislativa delle Regioni (art. 117, comma 4).
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VERSO IL SUPERAMENTO DELLA SEPARAZIONE DELLE COMPETENZE
La lettera dell'art. 117, sia pure sulla base di uno schema invertito, sembra lasciare in piedi il vecchio riparto delle competenze p& materia tra Stato e Regione. Ma io schema invertito non è certo di poco conto. E, in effetti, si tratterebbe di un sistema profondamente diverso da quello previgente se si procedesse lungo il criterio della separazione secca delle competenze dei due livelli, statale e regionale. Ma fin dove è possibile procedere lungo la strada della separazione secca? L'apparente semplicità del criterio cozza contro la realtà di un intreccio istituzionale che non solo è difficile sciogliere ma che talvolta non può essere sciolto pena il malfunzionamento del sistema nel suo insieme. Ecco perché si viene progressivamente delineando soprattutto sulla base della giurisprudenza della Corte costituzionale il superamento di quel criterio, apparentemente semplice, di riparto. Del resto, le politiche legislative sono spesso il frutto di meccanismi di negoziato che coinvolgono diversi livelli istituzionali e si svolgono in sedi differenziate. In generale, l'attribuzione delle competenze non viene effettuata una volta per tutte in modi rigidi. Finiscono per prevalere ripartizione per materie, ma in base all'attribuzione, ai diversi livelli territoriali, di quote specifiche nello svolgimento di più ampie politiche legislative in relazione alle finalità, alle caratteristiche e all'insieme dei profili materiali di ciascuna politica legislativa che nel lungo periodo tendono a togliere peso a ripartizioni per materie senza aree problematiche. Piuttosto vengono ad essere valorizzati i fattori dinamici di collegamento e competizione tra i livelli territoriali di governo, fattori sollecitati spesso dalle comuni finalità. 104
Basta considerare le sentenze pronunciate negli ultimi anni dalla Corte costituzionale per rendersi conto che l'idea di una Costituzione rigida e stabile che disegna i confini dei compiti e delle funzioni di ciascun centro di potere sembra lasciare pian piano il posto ad altre e meno vincolate forme di azione istituzionale e normativa 1 . Vi sono ambiti che non sono riconducibili entro i rigidi confini di "una materia" e rispetto ad essi le competenze dello Stato e delle Regioni interessate non si escludono a vicenda, ma sono correlate, in misura tale da rendere inevitabile il ricorso a modelli cooperativi e collaborativi 2 . In sostanza, il sistema regionale dall'originaria impostazione fondata sulla rigida separazione delle competenze si è spostato e si sta spostando verso un modello relazionale ispirato alla cooperazione e ai principi di raccordo tra Stato e Regioni. Il che, tuttavia, significa spesso modalità complesse, nelle quali - con il criterio delle materie - concorrono altri fattori di cui è necessario tener conto. In primo luogo, l'elencazione delle competenze statali comprende definizioni non sempre corrispondenti a materie riguardanti ambiti o settori, ma piuttosto finalità o versanti generali della legislazione. E tali finalità richiedono quasi sempre il concorso di livelli territoriali diversi e un continuo intreccio tra atti normativi e atti amministrativi. Né è vero che le materie di competenza concorrente siano compiutamente altre confronto a quelle esclusive dello Stato. Piuttosto, può verificarsi un doppio grado di interventi statali e regionali nelle stesse materie. Si intende così il principio adottato per la ripartizione delle competenze amministrative dall'art. 118 Cost. secondo il quale la legislazione può distribuire le competenze amministrative tenendo conto dei criteri di adeguatezza, proporzionalità e sussidiarietà (con evidenti ripercussioni - come si chiarirà in seguito - anche sulle competenze normative relative alle funzioni amministrative). Le direttive europee, poi, costituiscono un elemento di fluidificazione del sistema quando chiamano in causa anche competenze regionali e locali, in quanto in questo caso lo Stato concorre per definizione alla responsabilità per l'attuazione e garantisce la conformità dell'ordinamento italiano. Ne risulta la necessità di procedere ad una lettura mobile del riparto di competenze tracciato nel nuovo Titolo V della Costituzione. Da tempo questa è l'indicazione della Corte costituzionale, a partire dalla nota sentenza n. 303 del 2003 che ha impartito un'importante lezione di dinamicità che, per molti aspetti va anche al di là della questione dei rapporti tra Stato e Regioni. 105
COSA SONO I "LAVORI PUBBLICi"?
Con particolare riferimento alla materia delle infrastrutture pubbliche, il primo livello di un possibile intreccio fra competenze statali e regionali è quello derivante dalla stessa individuazione dello specifico ambito materiale (per esempio, i lavori pubblici), quale delimitazione dei confini dell'oggetto della normazione, cui la fonte costituzionale fa corrispondere un soggetto competente ad emanare le norme primarie. Tale intreccio si presenta - nel caso che ora prendiamo in considerazione - con caratteri di forte problematicità. Nella precedente formulazione dell'art. 117 cost. compariva una traccia espressa - " lavoripubblici di interesse regionale" - che consentiva di allocare con certezza a livello di competenza concorrente quello che (pacificamente) veniva considerato un ambito materiale preciso. Peraltro, il riparto di competenza legislativa tra lo Stato e le Regioni era fondato sulla dimensione dell'interesse sotteso alla realizzazione dell'opera e dell'infrastruttura. Così sussisteva in materia una generalizzata competenza legislativa dello Stato, ad eccezione soltanto di una serie di opere, quali "viabilità, acquedotti, lavori pubblici di interesse regionale" (art. 117 cost.), nelle quali la potestà legislativa e con essa la potestà amministrativa - in virti del previgente principio del parallelismo - spettavano alle Regioni. Ad ogni modo, la potestà legislativa regionale non era "libera", bensì vincolata all'osservanza dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi statali e nel rispetto dell'interesse nazionale e dell'interesse delle altre Regioni. Nel nuovo Titolo V viene meno il riferimento alla dimensione dell'interesse (regionale/statale) come indice per individuare la fonte. di normazione competente, né compare una materia denominata espressamente "lavori pubblici". Per altro verso, intervengono novità di rilievo. Ad esempio, compare un elenco di materie di competenza esclusiva dello Stato alcune delle quali a carattere" trasversale" rispetto agli ambiti materiali; tra queste, una in particolare - "tutela della concorrenza" - ha forte attinenza con i lavori pubblici. Inoltre, compare un secondo elenco di materie a competenza concorrente, delle quali almeno tre anch'esse fortemente attinenti ai lavori pubblici: "grandi reti di trasporto e navigazione", "porti ed aeroporti civili", e "impianti di produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia"4 In tale contesto di riferimento, si pone il problema di valutare se, con il .
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venir meno del riferimento testuale, i lavori pubblici costituiscano o meno una materia oppure no. In proposito, il principale punto di riferimento è costituito da un passaggio della ormai nota sentenza n. 303 del 2003, laddove la Corte chiarisce che la mancata inclusione dei "lavori pubblici" nella elencazione dell'art. 117 cost., diversamente da quanto sostenuto in numerosi ricorsi, si giustifica per il fatto che essi costituiscono "ambiti di legislazione che non integrano una vera e propria materia ma si qualzìcano a seconda dell'oggetto al quale afferiscono e pertanto possono essere ascritti di volta in volta a potestà legislative esclusive dello Stato ovvero a potestà legislative concorrenti"5 . Tale affermazione si oppone a quella che si legge nella relazione alla legge n. 27/2003 della Regione Veneto (impugnata dalla Presidenza del Consiglio): "Considerato che la materia 'lavori pubblici' non risulta testualmente inserita né nell'elenco delle materie riservate alla potestà legislativa esclusiva dello Stato, né nell'elenco delle materie per le quali lo Stato ha potestà legislativa concorrente ripartita con le Regioni, ne consegue che le Regioni stesse possono intervenire disczplinando ex novo la materia, nel solo rispetto dei principi costituzionali e di quelli derivanti dall'ordinamento comunitario". Sul piano ermeneutico il dettato della Corte costituzionale è certamente un elemento di complessità. Impone il rilievo della casistica. I TRE PRINCIPI: FUNZIONALE, STRUMENTALE E DIMENSIONALE Questo ragionamento sarebbe basato su una sorta di "princzpio flinzionale" (o finalistico)G, nel senso che differenti norme svolgono una diversa funzione ed hanno una specifica ratio, ed è su questo elemento che va svolto lo scrutinio di compatibilità con l'art. 117 cost.. Ne consegue che l'espressione "lavori pubblici", che finora è stata considerata come denominazione di una materia unitaria perde la caratteristica di espressione tecnica e viene chiamata a denotare un insieme di segmenti di differenti materie. Pertanto, fra gli ambiti che finora sono stati disciplinati all'interno delle normative sui lavori pubblici occorrerà d'ora in poi distinguere, di volta in volta, quelli che riguardano oggetti di competenza esclusiva dello Stato su cui il legislatore statale potrebbe emanare normative complete e, quelli che afferiscono oggetti di competenza concorrente. Quindi, nella prima tipologia ricadrebbero le disposizioni volte a tutelare, ad esempio, la con107
correnza, nella seconda tipologia, invece, le disposizioni della legislazione sui lavori pubblici attinenti alla materia del governo del territorio e, in tale ultimo caso il legislatore statale dovrebbe limitarsi alla determinazione dei soli principi fondamenta11 7 Si è notato, poi, che la Corte, nel suo ragionamento, si è ispirata anche ad un cd. "principio strumentale' nel senso che i lavori pubblici non costituiscono più una materia in quanto la loro disciplina sarebbe strumentale alla disciplina sostanziale dell'ambito operativo entro il quale i lavori pubblici devono essere eseguiti 8 . Tale principio opererebbe per i lavori pubblici in modo analogo a quanto avviene per la disciplina delle espropriazioni. Si osserva che, anche in questo caso, i lavori pubblici sarebbero "dissolti" come materia, ma qui, il dissolvimento non opererebbe attraverso un processo di parcellizzazione e segmentazione delle disposizioni in base alla loro finzione o (finalità), ma piuttosto attraverso un diverso meccanismo, di "assorbimento" dell'intera normativa dei lavori pubblici all'interno delle discipline che di volta in volta regolano l'ambito e gli obiettivi in cui i lavori si collocano " Ad esempio, laddove le opere sono strumentali alle finzioni statali in materia di difesa (ma anche di giustizia) allora si avrebbe una disciplina statale dei lavori, assorbita dalla disczplina sostanziale del setto re'-'. Come è stato notato, tuttavia, il chiarimento della Corte appare sufficiente ad escludere alcune incertezze, ma non certo ad eliminare tutti i dubbi. Anzi, qualche nuovo dubbio sorge. Per esempio, la Corte non chiarisce se il criterio de1l"oetto al quale afferiscono" possa chiamare in causa solo competenze (esclusive e concorrenti) dello Stato, come esplicitamente affermato, oppure anche competenze esclusive regionali. Resta, infatti, il dubbio che queste ultime non siano state richiamate nella sentenza soltanto perché nessuna competenza esclusiva rientrava nell'oggetto del contendere a cui si riferiva la sentenza n. 303. Vi sono ulteriori profili di incertezza riguardo ai passaggi del percorso interpretativo tracciato dalla Corte costituzionale. Alcune delle argomentazioni della sentenza citata sono riferibili soltanto ad una normativa derogatoria e speciale, relativa ad opere di interesse strategico ma non sembrano automaticamente estensibili anche alla legislazione in materia di lavori ordinari. Ad esempio, se operasse a pieno il criterio funzionale sopra descritto, in materia di localizzazione degli interventi apparirebbe legittimo ritenere che l'attribuzione della nuova materia denominata "governo del territorio" alla competenza concorrente, abbia determinato - fuori dalla legislazione speciale - l'obbligo per il legislatore .
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statale di limitarsi ad una normativa di principio. L'innovazione sarebbe non di poco conto: si ricorda infatti che, ad oggi, numerose sono le fonti statali che disciplinano la localizzazione sul territorio delle opere pubblichebo. Infine, un terzo criterio di attribuzione delle competenze può essere definito princzio dimensionale, in quanto basato sul rilievo sovraregionale o intraregionale dell'intervento. Tuttavia, il criterio in questione è più sfuggente di quanto non sembri ad un primo esame. Infatti, la mera estensione fisica dell'intervento su una porzione di territorio può risultare in molti casi ingannevole, come nel caso di quelle infrastrutture che pur avendo un carattere puntuale devono essere considerate all'interno di un sistema interconnesso che, quasi sempre nella sua interezza, ha dimensioni sovranazionali, se non internazionalill. Inoltre, occorre considerare che il riferimento al dato dimensionale come criterio per fondare la potestà legislativa è venuto meno con la riforma del 2001. Dunque, i richiami a questo criterio nella sentenza n. 303 devono essere riferiti solo alla legislazione sulle infrastrutture strategiche e di preminente interesse nazionale e non è utilizzabile quale chiave ricostruttiva del riparto di competenza di valenza generale. LA SUSSIDIARIETÀ COME STRUMENTO DI FLESSIBILITÀ ANCHE VERSO L'ALTO
Come accennato, una lettura sistematica del nuovo Titolo V, coerente con la ratio che ha ispirato il legislatore costituzionale, impone l'individuazione di strumenti di flessibilità nell'articolazione dei rapporti tra i diversi centri di governo. In tale prospettiva, la sentenza 10 ottobre 2003, n. 303 della Corte costituzionale 12 offre un importante contributo nel processo di attuazione del nuovo Titolo V della Costituzione 13 . Sotto quest'ultimo profilo, la Corte è chiamata a valutare se la disciplina statale in materia di lavori pubblici è conforme al dettato costituzionale o se, al contrario, il complesso iter procedimentale prefigurato dal legislatore statale sia invasivo delle attribuzioni regionali 14 In tal senso la Consulta, attraverso una originale interpretazione del principio di sussidiarietà introduce un fattore di flessibilità che rende meno rigido il riparto di competenze disegnato dall'art 117 cost. Pur se i lavori pubblici non sono espressamente indicati né nel novero delle competenze statali esclusive (art. 117, comma 2), né in quello della .
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legislazione concorrente (art. 117, comma 3), la Corte costituzionale esclude che possa affermarsi una legislazione residuale ed esclusiva delle Regioni. Infatti, i lavori pubblici costituiscono "ambiti di legislazione che non integrano una materia vera e propria, ma si qualzjìcano a seconda dell'oggetto al quale afferiscono e pertanto possono essere ascritti di volta in volta a potestà legislative esclusive dello Stato ovvero a potestà legislative concorrenti 5. Il giudice delle leggi parte da una prima generale affermazione: "lapotestà legislativa dello Stato si estende ben al di là delle sole materie attribuitegli in potestà esclusiva o della determinazione dei princzpi nelle materie di potestà concorrente", posto che le istanze di unificazione - che lo Stato per definizione è tenuto a perseguire - possono essere presenti anche in ambiti non riservati alla competenza esclusiva statale. Da qui la necessità di inserire uno strumento di flessibilità che consente di derogare, a determinate condizioni, alla normale ripartizione di competenze in favore della legislazione statale. La Corte individua tale nota di dinamicità nell'art. 118 cost. e, in particolare, nei principi di sussidiarietà e di adeguatezza che devono guidare l'allocazione delle funzioni amministrative: l'art. 118 consente di spostare funzioni amministrative, generalmente attribuite ai Comuni, ad un livello di governo diverso per assicurare le istanze unitarie, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione e di adeguatezza. In sostanza, in virtù dell'attitudine ascensionale del principio di sussidiarietà, "quando l'istanza di esercizio unitario trascende anche l'ambito regionale, la finzione amministrativa può essere esercitata dallo Stato". Posto che le funzioni amministrative devono essere disciplinate da una fonte legislativa 16 la Corte procede ad un altro fondamentale passaggio: se la funzione amministrativa è attratta in via sussidiaria a livello statale, sarà la legge statale a dettare la relativa disciplina, poiché l'esercizio di potestà legislativa regionale determinerebbe l'illogica coesistenza di discipline differenziate incidenti su una funzione esercitata a livello nazionale 17 Non può negarsi, aggiunge la Corte, che tale soluzione comporta un compressione temporanea della competenza legislativa regionale; tuttavia, essa non è irragionevole in quanto "finalizzata ad assicurare l'immediato svolgersi di finzioni amministrative che lo Stato ha attratto per soddisfare esigenze unitarie e che non possono essere esposte al rischio dell'inffettività". Dunque "l'ordinamento costituzionale italiano è caratterizzato da un meccanismo di competenze, non già separate e ripartite, ma congiunte e flessibili, la cui chiave di volta è costituita dal princzpio di sussidiarietà18 ' Spiega la ,
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Corte che il principio di sussidiarietà, enunciato nella legge n. 59/1997 come criterio ispiratore della distribuzione legale delle funzioni amministrative fra lo Stato e gli altri enti territoriali già opera nella sua dimensione meramente statica, come fondamento di un ordine prestabilito di competenze. Tuttavia - questo è il passaggio importante nel ragionamento della Corte - con la sua incorporazione nel testo della Costituzione, il principio diviene di piii ampia portata. Accanto alla primitiva dimensione statica (evidente nella generalizzata attribuzione di funzioni amministrative ai Comuni), è resa attiva anche una "vocazione dinamica della sussidiarietà, che consente ad essa di operare non più come ratio ispiratrice e fondamento di un ordine di attribuzioni stabilite e predeterminate, ma come fattore diflessibilità di quell'ordine in vista del soddisfacimento di esigenze unitarie". Le considerazioni della Corte sul principio di sussidiarietà, considerato nella sua duplice valenza, verso il basso e - in caso di inadeguatezza - verso l'alto, presuppongono un sistema delle fonti imperniato sul meccanismo delle competenze concorrenti, non su quello delle competenze ripartite: ciascun livello di potere è competente ad intervenire a seconda che si privilegino istanze particolari a suggello del pluralismo istituzionale o istanze unitarie 19 .
I PRINCIPI DI "LEALE COLLABORAZIONE" E DI "INTESA" PER EVITARE IEROSIONE DELLE COMPETENZE REGIONALI
Il fattore di flessibilità così introdotto si potrebbe tradurre in un arbitrario strumento di erosione delle competenze regionali costituzionalmente previste. Per evitare che ciò avvenga, la Corte si affretta a circoscriverne l'ambito di operatività, individuando una serie di limiti. In particolare, i principi di sussidiarietà e di adeguatezza possono giustificare una deroga soio se l'assunzione di funzioni regionali (e con esse, l'esercizio di potestà legislative di regolamentazione) da parte dello Stato sia proporzionata, non risulti affetta da irragionevolezza e sia oggetto di un accordo stipulato con la Regione interessata; in tal senso, elemento di valurazione essenziale è la previsione di un'intesa fra lo Stato e le Regioni interessate, alla quale subordinare l'operatività della disciplina 20 La Corte parla espressamente della leale collaborazione21 e dell'intesa, come di principi che pur non essendo espressamente enunciati nella Carta costituzionale, discendono direttamente dall'insita capacità del principio di sussidiarietà di operare come fattore di flessibilità 22 .
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Tuttavia, pur ritenendo questa valutazione congiunta come necessaria implicazione della sussidiarietà, preferisce non specificare l'effettivo livello di collaborazione necessario, rinviando al futuro la messa a punto del nuovo meccanism0 23 L'occasione non è tardata ad arrivare, visto che qualche mese più tardi la Consulta, con la sentenza 13 gennaio 2004 n. 624, fornisce una risposta alla domanda lasciata in sospeso, affermando che la qualificazione giuridica dell'intesa (se vero e proprio accordo o, piuttosto mero parere non vincolante) spetta in prima battuta al legislatore ordinario: solo in mancanza di un'indicazione normativa - per la c.d. "intesa senza aggettivo" spetterà invece alla Corte il compito di effettuare la necessaria qualificazione25 . In questa sede la Corte non procederà alla qualificazione dell'intesa secondo un criterio formale - certamente più stabile e certo - ma in base ad un criterio sostanziale: dovrà cioè, volta per volta, individuare gli interessi regionali concretamente coinvolti e decidere quale portata attribuire all'espressione "intesa". Si tratta chiaramente di un criterio più incerto e indeterminato rispetto a quello formale, ma che tuttavia rientra perfettamente nella logica della Corte, il cui intento sembra essere quello di consegnare anche le norme costituzionali a prassi interpretative ed attuative in cui il "case by case diviene la norma fondamentale'26 .
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RAGIONI E LIMITI DELLE COMPETENZE TRASVERSALI
Ad ulteriore conferma della lettura "mobile" del testo costituzionale è la constatazione che la Corte fa circa l'esistenza di una serie di materie di competenza esclusiva statale di tipo "trasversale". Le materie oggetto di tali competenze - dice la Corte in una delle primissime pronunce sulla materia - non hanno un oggetto predeterminato (sono cioè delle non materie), ma quest'ultimo si determina attraverso il loro concreto esercizio, così come il regime dei rapporti tra competenze dello Stato e delle Regioni in queste particolari non materie "le norme che contemplano non prefigurano rigidamente i termini del rapporto tra legislazione centrale regionale) ma ne affidano il governo alla prima"27 Si è messo in luce come le materie in questione "sembrano enunciare una finalità piuttosto che circoscrivere un dato settore della legislazione e presentano un'intrinseca attitudine ad intrecciarsi con spazi materiali e competenze affidati alla potestà legislativa delle Regioni28. Proprio perché trasversali .
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esprimono un valore e sono in grado di viaggiare orizzontalmente nell'ordinamento abbracciando i più vari interessi e toccando oggetti molto diversi tra loro"29. Avendo tali caratteristiche di mobilità e di capacità espansiva, le materie statali trasversali, a parere della Corte, devono rispettare dei limiti e osservare un contenuto che non le porti a comprimere in senso verticale le materie regionali: la trasversalità non deve esaurire ed esautorare del tutto la materia regionale che sia, caso per caso, da essa attraversata. In proposito si segnala la sentenza n. 345 del 2004. L'attenzione della Corte si appunta sulla disciplina legislativa in materia di procedure di evidenza pubblica, le quali - rileva la Corte - anche alla luce delle direttive della Comunità europea (cfr., da ultimo, la direttiva 2004/18/CE, del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e servizi), hanno assunto un rilievo fondamentale per la tutela della concorrenza tra i vari operatori economici interessati alle commesse pubbliche. La disposizione costituzionale di riferimento in questo caso è l'art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, secondo la quale spetta allo Stato legiferare in via esclusiva in tema di tutela della concorrenza. Al riguardo la Corte, richiamando cdnsiderazioni già in precedenza esposte30, sottolinea che le procedure di evidenza pubblica non devono essere considerate come una materia a sé, ma si tratta di una competenza trasversale3 1, che coinvolge più ambiti materiali, si caratterizza per la natura funzionale (individuando, più che degli oggetti, delle finalità in vista delle quali la potestà legislativa statale deve essere esercitata) e vale a legittimare l'intervento del legislatore statale anche su materie, sotto altri profili, di competenza regionale. Peraltro, la stessa Corte ha chiarito che l'intervento del legislatore statale è legittimo se contenuto entro i limiti dei canoni di adeguatezza e proporzionalità. In particolare 32, la norma statale che imponesse una disciplina tanto dettagliata da risultare non proporzionata rispetto all'obiettivo della tutela della concorrenza costituirebbe una illegittima compressione dell'autonomia regionale. Dunque, la giurisprudenza costituzionale indica i casi e i limiti nei quali la potestà legislativa statale può comprimere la sfera delle competenze legislative - e anche amministrative - delle Regioni. Tuttavia - come è stato opportunamente notato33 - "può risultare (..) complesso stabilire dove lo Stato debba arrestarsi nel perseguire finalità di tutela della concorrenza per 113
consentire l'intervento regionale. Così la categoria delle materie trasversali suggerisce che la linea di confine tra le materie statali e le materie regionali non sia fissata una volta per tutte, ma sia «mobile' 4 .
I PRINCIPI FONDAMENTALI DIFFICILI DA DEFINIRE Come si è visto la materia dei lavori pubblici, per ciò che concerne una serie di opere quali "grandi reti di trasporto e navigazione", "porti ed aeroporti civili", e "impianti di produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia'35, coinvolge ambiti di legislazione concorrente, ove i rapporti tra legislazione statale e legislazione regionale sono regolati dal criterio "norme diprinczpio vs. norme di dettaglio". Allo Stato spetta la determinazione dei principi fondamentali e alle Regioni spetta la determinazione della disciplina sostanziale di dettaglio che sia compatibile con i principi statali, (ove questi siano stati determinati). In proposito, la Consulta ha ribadito un principio affermato ancor prima della riforma, in virtù del quale la potestà legislativa regionale può essere esercitata anche in mancanza di una legge cornice ad hoc, l'unico limite che incontra tale potestà consiste nei "principi fondamentali" che si possono desumere dall'ordinamentostatale vigente 36 . Tuttavia, non vi è chiarezza circa l'esatta nozione di princzpi fondamentali, nozione che è stata più volte riveduta nella prassi in relazione ai singoli casi concreti 37 E in ognuno di questi casi la giurisprudenza costituzionale è stata impegnata in un notevole sforzo interpretativo volto alla ricerca di una chiave di lettura "funzionale" delle norme nella ricerca dei suddetti principi 38 . In particolare, si è registrata una certa tendenza della Corte ad ampliare la nozione classica di princzpio fondamentale allo scopo di garantire la concreta esigenza di evitare che un determinato valore o materia obiettivo siano sottoposte a una disciplina frazionata nel territorio nazionale 39 . In sostanza, "dato che nell'ordinamento italiano, diversamente da altri ordinamenti federali (ad esempio quello tedesco, dove il rzifèrimento è all'unità giuridica ed economica dell'ordinamento o quello statunitense, in cui domina il rfèrimento alla supremacy clause) manca una clausola generale di competenza statale, la Corte, anche per quanto riguarda i principi fondamentali, tende a salvaguardare i valori non frazionabili in più discipline regionali diversiflcate" 40 Questa operazione ermeneutica comporta delle difficoltà che si riflettono sulla possibile erosione degli ambiti di competenza concorrente a sfa.
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vore delle Regioni stesse. Peraltro, in taluni casi, la Corte è ricorsa ad un espediente certamente originale al fine di garantire la stabilità e continuità dell'ordinamento e al tempo stesso il rispetto dell'autonomia legislativa regionale. Tale espediente è stato individuato nella previsione di una clausola finale che sancisce il differimento della dichiarazione di incostituzionalità della legge statale di dettaglio alla sopravvenienza delle necessarie norme e attività regionali4 1 Ma è evidente che la conseguenza di avere leggi statali che si "ritraggono" solo quando saranno maturate tali sopravvenienze, suscita delicati problemi sul piano della certezza del diritto e della stabilità dei rapporti. A ciò si aggiungano le difficoltà inerenti l'accertamento della linea di confine, materia per materia e articolo per articolo, tra ciò che è principio fondamentale e ciò che è norma di dettaglio e si segnala l'esigenza-necessità, già affermata dalla Corte nella sentenza n. 303 del 2003, di un luogo istituzionale, quale quello della Conferenza Stato-Regioni, che consenta di coordinare armoniosamente l'esercizio dei poteri legislativi dello Stato e delle Regioni42 . Con specifico riferimento alle infrastrutture si è osservato che tra i principi fondamentali potrebbero rientrare le caratteristiche tecniche e costruttive delle opere, gli standard che queste debbono assicurare, ovvero la funzione che queste assolvono (per le grandi reti di trasporto, ad esempio, la loro funzione di collegamento ultraregionale) 43 . Quanto all'individuazione delle opere costituenti reti nazionali - trasporto, navigazione, distribuzione dell'energia, ecc. - si è notato che la legislazione statale dovrebbe limitarsi a prevedere le grandi scelte di indirizzo, senza spingersi fino all'individuazione in concreto delle opere da realizzare; inoltre, potrebbe prevedere gli indirizzi generali per la definizione di un procedimento che consenta di pervenire in via amministrativa alla individuazione delle singole opere o infrastrutture strategiche salvaguardando le esigenze unitarie e le competenze e gli interessi attribuiti ai diversi soggetti pubblici in gioc0 44 . La legge statale di principio è inoltre certamente competente a definire principi di accelerazione, di snellimento e di semplificazione dei procedimenti per la localizzazione delle infrastrutture, rinviando tuttavia al legislatore regionale la concreta regolamentazione del procedimento 45 . I confini, ovviamente, non sono facilmente delimitabili. Quanto alla realizzazione delle opere, lo Stato è certamente autorizzato ad indicare i principi di evidenza pubblica da osservare, nel rispetto del 115
diritto comunitario. Qui, come ampiamente evidenziato in precedenza, interviene trasversalmente una competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela della concorrenza ex art. 117, comma 2, cost.. Ciò, tuttavia, non giustifica l'attribuzione agli organi statali di compiti amministrativi come quelli relativi ai bandi e alla gestione degli appalti, all'approvazione dei progetti, all'affidamento delle opere e alla formazione dei contratti. Va ricordato che ai sensi dell'art. 1, comma 4, della legge n. 131 del 2003 (cd. La Loggia) 46 la ricognizione dei principi fondamentali che si traggono dalle leggi vigenti nell'ambito delle materie concorrenti - da effettuare sulla base dei criteri direttivi di cui al successivo comma 6 - è stata devoluta ad appositi decreti legislativi, allo scopo di orientare l'opera del legislatore regionale nelle more dell'approvazione delle nuove leggi cornice. Al comma 5, invece, è prevista una delega accessoria circa l'enucleazione - sempre a titolo di mera ricognizione - delle norme poste dal legislatore statale nell'esercizio della propria potestà legislativa esclusiva ex art. 117, comma 2, ma incidenti "trasversalmente" su materie attribuita la competenza ripartita Stato-Regioni. In ordine alla legittimità costituzionale delle norme appena citate, si sono sollevate obiezioni di incostituzionalità sotto più profili, che hanno reso necessario - ancora una volta - l'intervento della Consulta, la quale con la sentenza n. 280/2004 ha accolto, sia pure parzialmente, le questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla Regioni autonome Sardegna e Valle d'Aosta e dalla Provincia autonoma di Bolzano 47 In particolare, la Corte 48 ritiene che la delega "meramente ricognitiva" disposta dall'art. 1, comma 4, della legge La Loggia intanto è conforme a Costituzione in quanto se ne offra una lettura "minimale", tale, cioè, "da non consentire, di per sé, l'adozione di norme delegate sostanzialmente innovative rispetto al sistema legislativo previgente"; essendo limitata alla "mera ricognizione di quei principi fondamentali vigenti, che siano oggettivamente deducibili anche in base, ad esempio, alle pronunce di questa Corte, ovvero di altre giurisdizioni"4 9. In sostanza, a dire della Corte, quello che il legislatore delegato dovrà predisporre altro non è che un "un quadro ricognitivo di princzpi già esistenti, utilizzabile transitoriamente fino a quando il nuovo assetto delle competenze legislative regionali, determinato dal mutamento del Titolo V della Costituzione, andrà a regime". Possiamo definirlo come una sorta di vademecum di cui potrà disporre il legislatore regionale nella fase di predisposizione delle proprie iniziative legislative. Un vademecum che è privo di .
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carattere vincolante e non costituisce parametro di validità delle leggi regionali50 . Sulla base di tale premessa, la Corte perviene alla pronuncia di incostituzionalità dei commi 5 e 6 dell'art. 1, 1. 131/2003, i quali "appaiono in contrasto con l'oggetto minimale della delega, così come configurato dal comma 4 in termini di «mera ricognizione" dei princzpi fondamentali vigenti", in quanto "indirizzano, in violazione dell'art. 76 della Costituzione, l'attività delegata del Governo in termini di determinazione-innovazione dei medesimi principi sulla base di forme di ridefinizione delle materie e delle finzioni, senza indicazioni dei criteri direttivi51 ". Infatti, riconoscendo al legislatore statale delegato il potere di individuare i principi fondamentali nelle materie di propria competenza legislativa ma che afferiscono a quelle di competenza ripartita, si verrebbe a rimettere al Governo "un'attività interpretativa largamente discrezionale, che potrebbe finire con l'estendersi anche a tutte le altre tipologie di competenza legislativa previste dall'art. 117 cost., attraverso l'individuazione e definizione delle materie e delle finzioni ad esse attinenti". In altri termini, l'Esecutivo non potrebbe limitarsi - in base ai commi contestati - ad una mera attività ricognitiva: dovendo identificare le disposizioni che incidono su materie o sub-materie di competenza regionale concorrente, contemporaneamente riservate alla competenza esclusiva dello Stato, deve necessariamente fare opera di interpretazione del contenuto che ha portata sostanzialmente regolativa delle materie in questione" 52 . Dunque - secondo la Corte - l'interpretazione minimale della delega di cui all'art. 1, comma 4, sarebbe contraddetta dalla previsione di cui all'art. 1, comma 5. Questa, infatti, "amplia notevolmente e in maniera del tutto indeterminata l'oggetto della delega stessa fino a comprendere il ridisegno delle materie". Di qui la pronuncia di incostituzionalità di detta norma. Ed è sempre la necessità di fornire una lettura minimale della delega che conduce la Corte alla pronuncia di incostituzionalità anche del successivo comma 6, il quale - come accennato - prevede una serie di criteri direttivi che il legislatore delegato dovrebbe osservare nel compimento della sua attività ricognitiva53 . Dunque, la Corte salva sì la delega al governo - nell'unico senso che la rende conforme al dettato costituzionale - ma ciò non porta a concludere che si tratta di un rafforzamento dei poteri governativi delegati. Infatti, è vero che sulla base della lettura "minimale" prospettata dal giudice costituzionale sembra aperta la possibilità per il Governo di recuperare (am117
pia) discrezionalità nell'individuazione dei principi fondamentali cosiddetti impliciti 54 , ma in pratica tale possibilità è ostacolata da una serie di fattori. Innanzitutto, l'amputazione della parte della delega relativa alle norme trasversali di competenza esclusiva statale renderà inevitabilmente parziale ed incompleto il quadro desumibile dai decreti legislativi ricognitivi. In secondo luogo e più in generale, i decreti legislativi, destinati ad avere una efficacia formale meramente ricognitiva di principi già esistenti, non costituiranno un vincolo per il legislatore regionale. L'ASSETTO DELLE COMPETENZE NEL NUOVO CODICE DEI CONTRATTI PUBBLICI
Un cenno, infine, al contenuto del nuovo Codice dei contratti pubblici. Come è noto, il d.lgs. 12 aprile 2006 n. 163 reca il "Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE" e all'art. 455 definisce le competenze legislative di Stato, Regioni e Province autonome. La norma offre nuove regoleguida per la ripartizione delle competenze normative, partendo dalla premessa che si debba partire dall'insegnamento fornito dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 303/2003 in virtù del quale i lavori pubblici non sostanziano una vera e propria materia, ma si qualificano a seconda dell'oggetto cui afferiscono e, pertanto, possono essere ascritti di volta in volta a potestà legislative esclusive dello Stato ovvero a potestà legislative concorrenti. Da tale premessa parte lo sforzo del legislatore di fornire "una sorta di vademecum o prontuario riepilogativo dei limiti sostanziali alla competenza delle Regioni" 56 . Questo, tuttavia, si risolve nella riproduzione letterale dell'impianto dell'art. 117 cost., con alcune specificazioni a carattere esemplificativo. Così al comma 1 della norma citata viene ribadito l'obbligo per le Regioni di conformarsi ai vincoli discendenti dal diritto comunitario e alle disposizioni dettate dal legislatore nazionale nelle materie di competenza esclusiva statale. Il comma 2 si occupa dei rapporti nelle materia di competenza concorrente, rispetto alle quali le Regioni incontrano il limite dei principi fondamentali contenuti nelle norme del Codice, i quali tuttavia non sono espressamente enucleati ma vanno rintracciati dall'interprete con l'ausilio di un elenco a valenza esemplificativa. L'elenco contiene delle voci (programmazione di lavori pubblici, approvazione di progetti ai fini urbanistici ed espropriativi, organizzazione amministrativa, compiti e 118
requisiti del responsabile del procedimento, sicurezza del lavoro) che non esauriscono il panorama, ma indicano le fattispecie di maggior rilievo. In tali fattispecie, la formazione regionale deve fare i conti con quei principi fondamentali che, come chiarito dalla giurisprudenza costituzionale 57, sono privi del carattere di rigidità e universalità ma sono piuttosto variamente modulabili quanto a estensione ed ambito applicativo (talvolta potendo anche assumere un contenuto di dettaglio per l'esigenza di assicurare uniformità di disciplina sull'intero territorio nazionale) 58 . Quanto al comma 3, il legislatore specifica una serie di materie rispetto alle quali il legislatore incontra il limite assoluto e inderogabile della competenza statale esclusiva e tra le quali è possibile decifrare in primis, per il suo peso preponderante, la tutela della concorrenza. Quanto al regime transitorio (comma 4), si prevede l'applicazione integrale del Codice anche nei comparti materiali di competenza regionale, fintantoché le Regioni non provvedano ad adottare la propria normativa di attuazione degli obblighi sanciti a livello comunitario 59 . Come è stato notato, si tratta di un'ipotesi di sostituzione normativa, in armonia con i presupposti indicati dall'art. 117, comma 5, cost., in cui risalta la natura insieme sostitutiva e cedevole della legislazione statale 60 . Rispetto a tale ripartizione si è acceso lo scontro tra Stato e Regioni, le quali hanno presentato una serie di impugnative contro il d.lgs. 163/06: Abruzz061 , Lazio62, Piemonte63, Toscana64, Provincia Autonoma di Trent065 e Venet0 66 hanno impugnato il Codice appalti dinanzi alla Corte Costituzionale per lesione della potestà legislativa residuale delle Regioni, della potestà regionale di immediata attuazione delle direttive comunitane nonché della potestà regolamentare regionale. Dal canto suo lo Stato ha messo sotto accusa la LR Campania n. 12/2006 in materia di appalti di forniture di importo inferiore alla soglia comunitaria e di lavori pubblici di qualunque importo in ragione dell'affermata difformità della legge regionale rispetto alla normativa statale. Il prossimo anno - si auspica - assisteremo probabilmente ad un'altra lezione di tecnica interpretativa ad opera della Consulta. "Staremo a vede-
CoNsIDEI&zIoNI CONCLUSIVE
Per concludere, occorre soffermarsi sulla sentenza della Corte costituzionale 1 giugno 2006, n. 214, la quale può essere considerata "figlia" 119
della sentenza n. 303, non soltanto perché ne ripercorre l'iter logico argomentativo in tutti i suoi passaggi, ma anche per la natura delle questioni sulle quali interviene. Infatti, la Corte - al n. 4 del considerato in diritto - ha dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione dell'art. 117, comma 3, cost., l'art. 5, comma 5, del d.l. n. 35 del 2005, convertito con modificazioni nella legge n. 80 del 2005, avente ad oggetto la realizzazione di opere e lavori pubblici nell'ambito delle concessioni autostradali, nella parte in cui non prevede che le predette opere debbano essere individuate seguendo il procedimento previsto dall'art. i della legge n. 43 del 2001, vale a dire previo coinvolgimento, mediante intesa, delle Regioni interessate. Come detto, la Corte utilizza il medesimo ragionamento impiegato nella sentenza n. 303/2003 al fine di giustificare in materia di lavori pubblici l'intervento legislativo statale. Gli stessi principi sono applicati nella parte della sentenza che concerne la disciplina del settore turistico. La sentenza n. 214 del 2006 in oggetto segna un passo in avanti rispetto alla pronuncia "madre", risolvendo un dubbio interpretativo lasciato aperto all'indomani della sentenza n. 303 e di cui si è dato conto nelle pagine che precedono 68 . La novità sta in ciò che la Corte ha riconosciuto la legittimità della vis actrativa statale, allorché sia necessario soddisfare esigenze unitarie, anche di fronte alle competenze residuali di cui all'art. 117, comma 469, (ambito nel quale rientra indubbiamente la materia del turism0 70 ), purché la valutazione dell'interesse pubblico da perseguire sia proporzionata, non irragionevole e oggetto di un accordo stipulato con le Regioni interessate. Al di la di tale aspetto, comunque, la decisione da ultimo citata conferma come, nel sistema che si è venuto a delineare a seguito della riforma del Titolo V della parte TI della Costituzione, il criterio del riparto per "materie" delle competenze legislative tra Stato e Regioni è sempre più spesso "affiancato"— e a volte anche "superato"— da un criterio "non codificato», che tiene sempre più conto della dimensione dell'interesse venuto concretamente in rilievo'. Con l'inevitabile conseguenza che il discrimen tra le fattispecie attribuite alla competenza dell'uno o dell'altro legislatore, ben chiaro e netto in astratto, si va sempre più assottigliando nel concreto 72 . La sentenza n. 303, è stata aspramente criticata da una parte della dottrina che ha accusato la Corte di aver creato ex novo un peculiare sistema, riscrivendo il Titolo W. A difesa dell'intervento della Consulta, si è detto che esso ha il merito di colmare una lacuna lasciata dal legislatore costituzionale del 2001 con120
sistente nell'aver attribuito all'autonomia legislativa regionale la potestà concorrente in materie che di per sé sono di assoluto rilievo nazionale quali le grandi reti strategiche di trasporto e di navigazione di interesse nazionale, la produzione strategica, il trasporto, la distribuzione nazionale dell'energia, la sicurezza del lavoro - senza prevedere clausole di riserva in favore del legislatore statale 74 . Che questo sia stato un errore è confermato - per i sostenitori di tale impostazione - dalla circostanza che nel disegno di revisione costituzionale era stata prevista la riconduzione alla competenza esclusiva statale delle materie sopra elencate. Allo stato attuale, in mancanza di una espressa riforma in materia, non resta all'interprete che assumere come normale - e non più eccezionale - il meccanismo dell'attrazione statale della potestà legislativa regionale nei termini della logica della sussicliarietàe dell'intesa. Faticoso, ma non privo di elementi di originalità come modo di coordinamento dei diversi livelli di governo.
I L. VIOLINI, Meno supremazia epiù collaborazione nei rapporti tra i diversi livelli di governo? Un primo sguardo non privo di interesse alla galassia degli accordi e delle intese in «Le Regioni», 2003, n. 5, 691 Ss. 2 E. CARLONI, Brevi note a margine delle sentenze nn. 303, 307 e 308 del 2003 della Corte costituzionale., in www.astrid.it). 3 Per una ricostruzione dei rapporti tra Stato e Regioni in ambito legislativo A. GuAzzARorri, La competenza legislativa concorrente nel nuovo Titolo V al banco di prova della giurisprudenza costituzionale, in «Le Regioni», 512004, 1099 ss.; F. CuocoLo, Principi fondamentali e legislazione concorrente dopo la revisione del Titolo 1 parte lI, Cost., in «Quaderni regionali», 312003, 721 55. In questi ultimi casi la potestà legislativa di dettaglio è si attribuita alle Regioni ma il legislatore statale conserva la potestà di dettare principi fondamentali per la legislazione regionale (art. 117, comma 3). 5 Corte cost. 1 ottobre 2003 n. 303. Alla luce ditale principio, la Presidenza del Consiglio dei
ministri ha proposto ricorso (9 gennaio 2004) per la dichiarazione di illegittimità costituzionale della legge n. 27/2003 della Regione Veneto siccome in contrasto con l'art. 117, commi 2°, lett. 1) ed m), 3 0 e 40, della Costituzione. Si ricorda che la soluzione è riaffermata dalla recente sentenza Corte cost. n. 22212006, che indica, per le ipotesi di concorso di competenze legislative statali e regionali, l'applicazione del criterio della prevalenza onde verificare se una tra le materie coinvolte possa dirsi dominante, in quanto nel quadro normativo sia isolabile un nucleo essenziale appartenente ad un solo ambito materiale ovvero le diverse disposizioni perseguano una medesima finalità. 6 "Tendenze della legislazione tra Stato. Regioni e Unione europea nel settore infrastrutture", estratto dal rapporto 2003 sullo stato della legislazione a cura della Camera dei deputati (novembre 2004). 7 In proposito E BASSANINI (a cura di) "Lttuazione del Titolo V aspetti pro blematici. La localizzazione delle grandi infrastrutture tra Stato e Regioni", in www.francobassanini.it
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Tendenze della legislazione tra Stato Regioni e Unione europea nel settore infrastrutture", op. cit.. in dottrina tale principio è espresso con chiarezza da M. TRAINA, Il nuovo testo unico delle espropriazioni dopo la riforma del Titolo V su www.unife.it/forumcostituzionale. 9 Tendenze della legislazione tra Stato Regioni e Unione europea nel settore infiastrutture", op. cit.. '° Tendenze della legislazione tra Stato, Regioni e Unione europea nel settore infiastruttu re" , op. cit.. Tendenze della legislazione tra Stato Regioni e Unione europea nel setto re infrastrutture", op. cit.. 12 Si vedano i contributi di R. D!cIUvIANN, I principi di sussidiarietà e di proporzionalità ed il principio dell'intesa per un corretto metodo della legislazione statale di attrazione di fonzioni amministrative regionali, in «Corriere giuridico», 112004, 41 Ss.; A. MORRONE, Q. CAMARLENGO, E. D'ARPE, A. RUGGERI, F. CINTI0LI, sul Forum di quaderni costituzionali (www.unife.it/progetti/forumcostituzionale/giurisprudenza); A. MoSCARIN!, sul n. 12 di Federalismi del 6 novembre 2003 (www.federalismi.it ); E. CAPI0NI, L. T0RCHIA su www.astridonline.it ; M. Di PAOLA Su www.lexitalia.it . 13 Il ragionamento della Corte si fonda su indicazioni fornite già nella sentenza n. 274 del 2003 in ordine al ruolo essenziale dello Stato ai fini della garanzia delle istanze unitarie della Repubblica. 14 Gli interventi del legislatore in materia di lavori pubblici, negli ultimi due anni, sono rappresentati da: legge 44312001 (c.d. Legge obiettivo); legge 166/2002 (c.d. Collegato infrastrutture, con la quale si è modificata la legge 10911994 e si sono apportate modifiche alla stessa legge 443/2001); d.lgs. 19012002; d.lgs. 198/2002. La Legge obiettivo 44312001 ha disciplinato due diversi aspetti, uno concernente le opere pubbliche di preminente interesse nazionale, l'altro relativo all'edilizia privata. Quanto al primo aspetto - che maggiormente interessa in questa sede - l'art. 1, comma 1, della legge, nella sua formulazione originaria, attribuiva 122
al Governo il compito di individuare ogni anno le opere che necessitano di una rapida realizzazione, attraverso un programma "formulato su proposta dei Ministri competenti, sentite le Regioni interessate, ovvero su proposta delle Regioni, sentiti i Ministri competenti". L'approvazione ditale programma era rimessa al Cipe. Il successivo comma 2 conferisce al Governo la delega ad emanare uno o più decreti legislativi volti a definire una sorta di "sistema parallelo dei lavori pubblici", derogatorio rispetto al sistema ordinario. La delega prevista dal comma I è stata esercitata mediante due decreti legislativi, il 19012002 e il 198/2002. La legge "infrastrutture" n. 16612002 ha modificato il testo dell'art. 1 citato, disponendo che all'individuazione delle infrastrutture pubbliche e private e degli insediamenti produttivi, strategici e di preminente interesse nazionale si provvede a mezzo di un programma predisposto dal ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, d'intesa con i ministri competenti e le Regioni e Province autonome interessate e viene quindi inserito, con l'indicazione dei relativi stanziamenti, previo parere del Cipe e previa intesa della conferenza unificata Stato-Regioni, nel documento di programmazione economica e finanziaria. Alla valutazione delle proposte dei promotori, all'approvazione dei progetti preliminari e definitivi e alla vigilanza sulla esecuzione dei progetti approvati, provvede il Cipe, integrato dai presidenti delle Regioni e delle Province autonome interessate. In alternativa a tale procedura, l'approvazione dei progetti definitivi può essere effettuata con decreto del presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Cipe integrato con i presidenti delle Regioni e delle Province autonome interessate, sentita la Conferenza unificata e le competenti commissioni parlamentari. Come è evidente, il legislatore nazionale ha elevato il livello di coinvolgimento delle Regioni e delle Province autonome nell'individuazione delle infrastrutture e degli insediamenti strategici.
Alla luce ditale principio, la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha proposto ricorso (9 gennaio 2004) per la dichiarazione di illegittimità costituzionale della legge n. 2712003 della Regione Veneto siccome in contrasto con l'art. 117, commi 2°, lett. 1) ed m), 3 0 e 40, della Costituzione. Nella Relazione alla legge in questione si legge, in proposito, "Considerato che la materia 'lavori pubblici' non risulta testualmente in15
serita ne' nell'elenco delle materie riservate alla potestà legislativa esclusiva dello Stato, né nell'elenco delle materie per le quali lo Stato ha potestà legislativa concorrente ripartita con le Regioni, ne consegue che le Regioni stesse possono intervenire disczlirFando ex novo la materia, nel solo rispetto dei principi costituzionali e di quelli derivanti dall'ordinamento comunitario". 16 Secondo la Corte, dunque, è il principio di legalità a implicare che all'assorbimento di funzioni amministrative debba connettersi anche quello di funzioni legislative. In proposito si veda A. MORRONE, La Corte Costituzionale riscrive il Titolo V, in «Quad. cost.», 200314, 819; Q. CAMERLENGO, Dall'amministrazione alla legge, seguendo ilprinctio di sussidiarietà. Rflessioni in merito alla sentenza n. 303 del 2003 della Corte costituzionale, in www.forumcostituzionale.it .; D'ANTENA, L'a/locazione delle finzioni amministrative in una sentenza ortopedica della Corte costituzionale, cit. 17 R. DICKMANN, op cit., non conviene con questa costruzione secondo la quale l'attrazione della funzione amministrativa comporta anche una attrazione della funzione legislativa. Secondo l'Autore, infatti, il principio di legalità impone un previo intervento legislativo per un esercizio legittimo delle funzioni amministrative. Trattasi cioè di una scelta legislativa che determina ricadute amministrative, non il contrario. 18 A. M0scARINI, Titolo Ve prove di sussidiarietà: la sentenza 30312003 della Corte costituzionale, in www.federalismi.it . 19 A. MOSCARINI, Titolo Ve prove di sussidiarietà: la sentenza 30312003 della Corte costituzionale, op. cit.
Sulla base di tali considerazioni, la Corte costituzionale nella sentenza in esame giunge ad una serie di conclusioni. È legittimo l'art. 1, comma 1, della legge 44312001, nel testo introdotto dalla legge 16612002, in quanto prevede che l'individuazione delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi strategici e di preminente interesse nazionale avvenga sulla base di un'intesa con le Regioni e Province autonome interessate: il ruolo condizionante riconosciuto alle Regioni e alle Province autonome nell'individuazione delle grandi opere soddisfa quel requisito di ragionevolezza e cooperazione che secondo la Corte - legittima lo spostamento di competenze legislative conseguente all'attribuzione di funzioni amministrative allo Stato. È illegittimo l'art. 1, comma 3-bis, della medesima legge nella parte in cui nella procedura alternativa di approvazione dei progetti definitivi non precede una previa intesa con le Regioni; nonché l'art. 19, comma 2, del d.lgs. 190/2002, relativamente alla mancata presenza nella Commissione VIA dei componenti designati dalle Regioni o dalle Province autonome interessate. È illegittimo l'intero d.lgs. 19812002 per eccesso di delega, dal momento che nel decreto manca il programma di individuazione delle infrastrutture redatto d'intesa con le Regioni e le Province autonome interessate. Sono illegittimi l'art. 3, comma i (ultima parte), della legge 442101 e l'art. 15, commi da 1 a 4, del d.lgs. 190102, per inutilizzabilità della fonte regolamentare: non essendo più lo Stato titolare di potestà regolamentare nelle materie di legislazione concorrente, non è possibile una novellazione del d.PR 554/99, recante il regolamento di attuazione della Merloni. 21 La "leale collaborazione", di matrice giurisprudenziale, è divenuta dato positivo con l'art. 4 della legge n. 59/1997. Da quel momento la legislazione ordinaria sempre più frequentemente ha fatto ricorso a tale principio. Si pensi, ad esempio, all'art. 4 del d.lgs. n. 267/2000, ove è ripreso il contenuto dell'art. 118 della Costituzione. 20
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A. ANZON, Flessibilità dell'ordine delle competenze legislative e collaborazione tra Stato e Regioni, di imminente pubblicazione in «Giurisprudenza Costituzionale». L'Autore critica questa diretta derivazione del principio di leale collaborazione dal principio di sussidiarietà, sulla base di diverse argomentazioni. Infatti, tale necessaria corrispondenza non sussiste nell'ordinamento comunitario, dove l'introduzione del principio di sussidiarietà non ha comportato alcuna gestione concordata di esso. In linea di principio nulla impedisce che dalla sede preferita le attribuzioni si spostino in via sussidiaria verso livelli di governo più elevati per scelta unilaterale di questi ultimi, titolari del compito di perseguire gli interessi e gli obiettivi di cui appare necessaria la gestione unitaria nell'ambito corrispondente, né che questa gestione unitaria debba necessariamente essere concordata con i titolari originati delle finzioni. Secondo l'autore il principio di collaborazione deve essere considerato come un principio autonomo rispetto a quello di sussidiarietà e deve trovare altrove la sua fonte e la sua garanzia 23 Sulla nozione di intesa F. CINTI0u, Leforme di intesa e il controllo sulla leale colla borazione dopo la sentenza 303 del 2003, in www.forumcostituzionale.it , secondo il quale la sentenza sembra esigere l'accordo con la Regione interessata per l'inserimento dell'opera nel programma e per la sua localizzazione: l'intesa cui ci si ispira sembra quella di tipo "forte". Al contrario, il modello di intesa "debole" sembra essere prescelto a proposito dell'approvazione del progetto preliminare dove l'eventuale dissenso regionale non produce alcun effetto preclusivo rispetto all'approvazione medesima, ma provoca soltanto l'esame specifico delle singole questioni sollevate. Sul punto anche A. ANZON, Flessibilità dell'ordine delle competenze legislative e collaborazione tra Stato e Regioni, in www.forumcostituzionale.it ; L. VIoLINI, I confini della sussidiarietà: potestà legislativa "concorrente' leale collaborazione e strict scrutiny, in «Le Regioni», n. 112004; S. BARTOLE, Collaborazione e sussidia22
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rietà nel nuovo ordine regionale, in «Le Regioni», n. 112004. E BASSANINI, L'attuazione del titolo V..., op. cit., ritiene che l'unica strada percorribile per l'attuazione del principio di leale collaborazione in senso conforme alla Costituzione sia "quella della estensione delle forme di collaborazione paritaria, di cui sono esempi, per l'appunto, gli accordi, le intese, gli accordi di programma, i pareri conformi'. Lautore sostiene che in primo luogo è necessario prevedere meccanismi diversi a seconda che la questione coinvolga tutte le Regioni o soltanto alcune. Nel primo caso la collaborazione troverà la sua sede naturale nella Conferenza Stato Regioni (o nella Conferenza unificata); nel secondo caso, l'intesa o l'accordo potrà intervenire tra il Governo e,la Regione o le Regioni interessate. Il secondo passaggio consiste, poi, nella previsione dei meccanismi da attivare per le ipotesi in cui l'intesa non sia raggiunta. 24 Con la sentenza n. 6/2004, la Corte ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate, rispettivamente, dalle Regioni Umbria, Basilicata e Toscana avverso il d.l. 7 febbraio 2002 n. 7 recante "Misure urgenti per garantire la sicurezza del sistema elettrico nazionale". Nel caso di specie, la Corte non ha ravvisato alcuna violazione tra siffatta normativa e gli artt. 117, commi 1 e 3, 118, commi 1 e 2, Cost. nonché con il principio di leale collaborazione. In particolare, l'art, 1 del decreto prevede che l'autorizzazione ministeriale per il singolo impianto "è rilasciata a seguito di procedimento unico, al quale partecipano le Amministrazioni statali e locali interessate, svolto nel rispetto dei principi di semplificazione e con le modalità di cui alla legge 7 agosto 1990 n. 241, d'intesa con la Regione interessata". A giudizio della Consulta "quest'ultima va considerata come intesa forte, nel senso che il suo mancato raggiungimento costituisce ostacolo insuperabile alla conclusione del procedimento"; ciò "a causa del particolarissimo impatto che la struttura produttiva di questo tipo ha su tutta una serie di finzioni regionali relative al governo
del territorio, alla tutela della salute, alla valorizzazione dei beni culturali e ambientali, al turismo". 25 S. AGOSTA, La Corte costituzionale dli finalmente la... scossa alla materia delle intese tra Stato e Regioni?, in www.forumcostituzionale.it . 26 Espressione tratta da L. VIOLINI, op. cit., pg. 191. Si ricordi che i principi enunciati dalla Corte nella sentenza n. 303, sono stati ampiamente ripresi in una serie di casi, a dimostrazione di come si sia creata una competenza legislativa sostanzialmente nuova: in materia di impianti elettromagnetici (Corte costituzionale sentenza n. 307 del 2003); in materia di coordinamento finanziario effettuato regolando le modalità di accesso al mercato dei capitali degli Enti locali (Corte costituzionale sentenza n. 376 del 2003); in materia di energia, in relazione al c.d. "decreto sblocca centrali" (Corte costituzionale sentenza n. 6 del 2004). Certamente significativa in materia di finanza pubblica è la sentenza n. 41712005 relativa ad alcune norme del d.l. n. 168 del 2004 ("Interventi urgenti per il contenimento della spesa pubblica", convertito con modificazioni dalla legge 191 del 2004) che ripercorre un iter argomentativo già esposto in occasione di una precedente pronuncia (Corte costituzionale n. 196 del 2004). Si legge nella sentenza che nell'esercizio della potestà di fissazione dei "principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica" (ex articolo 117, comma 3 Cost.), il legislatore statale, può, infatti, fissare "un limite complessivo" alla spesa degli Enti locali (sent. 36 del 2004), ma non spingersi fino alla concreta allocazione delle risorse disponibili fra le diverse voci di spesa: statuizioni legislative di questo tipo, come giustamente rilevato dalle Regioni ricorrenti, comportano una lesione dell'autonomia finanziaria ed amministrativa al contempo degli enti autonomi, incidendo, evidentemente, sulle scelte allocative dei medesimi e sulla discrezionalità in ordine al "come" raggiungere il fine più generale di rispetto del Patto di stabilità interno. 1autonomia amministrativa dell'ente, illegittimamen-
te invasa da norme legislative eccessivamente dettagliate, risulta così tutelata tramite la garanzia dell'autonomia finanziaria: la strumentalità delle risorse finanziarie all'effettiva potestà di scelta in ordine alle modalità di raggiungimento degli obbiettivi legislativamente indicati, costituisce, ancora una volta (vedi sent. 19612004), lo strumento attraverso il quale la Corte costituzionale richiama il legislatore statale alla fissazione delle sole scelte fondamentali che le Amministrazioni locali sono chiamate ad adeguare alle proprie concrete esigenze. Si ricordano, inoltre, le sentenze della Corte costituzionale n. 3612003 e n. 3512005, n. 4/2004, n. 64/2005. 27 Corte cost. 28212002 F. RAGUSA, Nuovo Titolo V della Costituzione: materie trasversali e titoli di legittimazione per interventi regionali diretti a soddisfare ulteriori esigenze rispetto a quelle di carattere unitario definite dallo Stato, in www.diritto.it/articoIlldiritto-costituzionale/ragusal.htm 29 C. MAGRO, Il riparto di competenze legislative tra Stato e Regioni nella giurisprudenza della Corte costituzionale dopo la riforma del Titolo V, in www.associazionedeicostituzionalisti.it 30 Corte cost. n. 14 e n. 272 del 2004. Quanto al tipo di intervento legislativo legittimato dalla norma costituzionale di riferimento, si è posto il problema di stabilire se lo Stato dispone ancora degli strumenti per intervenire direttamente sul mercato, ovvero la sua funzione si esaurisca nella promozione e supporto delle iniziative delle autonomie. Nella sentenza 13 gennaio 2004, n. 14, la Corte offre una ricostruzione organica di concorrenza, "la quale dal punto di vista interno, (..) non può non rflettere quella operante in ambito comunitario, che comprende interventi regolativi, la disciplina antitrust e misure destinate a promuovere un mercato aperto e in libera concorrenza. Quando l'art. 117, secondo comma, lettera e), affida alla potestà legislativa esclusiva la tutela della concorrenza, non intende certo limitarne la portata ad una sola delle sue declinazioni di significato. Al contrario, proprio l'aver accorpato, nel medesimo titolo di competen28
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za, la moneta, la tutela del risparmio e dei mercati finanziari, il sistema valutano, i sistemi tributario e contabile dello Stato, la perequazione delle risorse finanziarie e, appunto, la tutela della concorrenza, rende palese che quest'ultima costituisce una delle leve della politica economica statale e pertanto non può essere intesa soltanto in senso statico, come garanzia degli interventi di regolazione e ripristino di un equilibrio perduto, ma anche in quell'accezione dinamica, ben nota al diritto comunitario, che giustifica misure pubbliche volte a ridurre squilibri, a favorire le condizioni di sufficiente sviluppo del mercato o ad instaurare a.ssetti anticoncorrenzaili". Nello stesso senso, nella sentenza del 27 luglio 2004 n. 272, non è stata accolta la "distinzione di competenze legislative tra Stato e Regioni in ordine rispettivamente a misure di tutela o a misure di promozione della concorrenza, dal momento che la indicata configurazione della concorrenza ha una portata così ampia da legittimare interventi dello Stato volti sia a promuovere, sia a protegger l'assetto concorrenziale del mercato". ' Sul punto si considerino due pronunce recenti: Corte cost. n. 80 del 3 marzo 2006 e n. 129 del 28 marzo 2006. 32 Corte cost. n. 272 del 2004 (punto 3 del Considerato in diritto). 33 Tendenze della legislazione tra Stato Regioni e Unione europea nel settore infrastrutture", op. cit.. 'I Sul punto si ricordano le sentenze Corte cost. 407/2006 e 246/2006 che hanno riconosciuto significativamente, e sia pure in materia di tutela di ambiente, la competenza regionale alla cura di interessi funzionalmente collegati con quelli attribuiti allo Stato cui spetta il potere di stabilite standard uniformi. 35 Si è osservato che "non sarebbero incluse in questo ristretto elenco le strade e le autostrade, che dovrebbero ritenersi vie di comunicazione e non vie di trasporto. Le opere lineari per la cui disciplina lo Stato può dettare solo pnincii fondamentali, secondo questa interpretazione, sarebbero soltanto le ferrovie, le grandi reti di navigazione, le reti di trasporto e distribuzione nazionale dell'energia. Si 126
tratta, com'è evidente, di un'interpretazione che avrebbe effetti dirompenti, visto che la legge Lunari si occupa prevalentemente di strade ed autostrade; anche non accogliendo questa interpretazione, basata su una distinzione tra vie di trasporto e vie di comunicazione di incerto fondamento, resterebbe fermo tuttavia che la competenza legislativa dello Stato, in materia, dovrebbe limitarsi alle infrastrutture stradali come elementi del sistema nazionale", in www.francobassanini.it . 36 In proposito si ricordi che la Corte costituzionale ha ritenuto che lì dove manchi del tutto un principio o un precetto nella legislazione statale, i principi fondamentali possono desumersi dalle stesse norme della Costituzione. Corte cost. n. 282/2002) ' Sono state qualificate alla stregua di principi fondamentali nelle materie concorrenti le seguenti norme di legge statale: le norme relative alla DIA (denuncia di inizio attività) contenute nella legge n. 443 del 2001 (la c.d. Legge obiettivo), in quanto espressive del "principio" che riassume l'intera disciplina sui titoli abilitativi nell'edilizia e che oggi connota la disciplina urbanistica (Corte cost. n. 303 del 2003); le norme statali sulle soglie di esposizione ammesse per gli impianti elettromagnetici, i c.d. valori di attenzione e obiettivi di qualità (Corte cost. n. 307 del 2003); le norme di modifica alle sanzioni previste per la violazione del divieto del fumo (Corte cost. n. 361 del 2003); le norme che modificano il Tu dell'edilizia con riguardo alla misura-base delle sanzioni pecuniarie determinate dalle Regioni per il ritardato o mancato versamento del contributo di costruzione (Corte cost. n. 362 del 2003); le norme sul cosidetto Patto di stabilità interno - le quali impongono vincoli di bilancio alle Regioni ed agli Enti locali - e le norme che impongono sempre a Regioni ed Enti locali di adottare i prezzi delle convenzioni CONSIP come base d'asta al ribasso per gli acquisti effettuati autonomamente; le une e le altre quali espres-
sioni della disciplina "di principio" sul coordinamento finanziario. 38 G. D'ALESSANDRO, Dossier di documentazione e approfondimento sulle recenti iniziative relative al Titolo V della. Il nuovo schema di
rf'òrma del Titolo V della parte Il della Costituzione, in www.associazionedeicostituzionalisti.it 39 Corte cost. n. 361 del 2003 40 C. MAGRO, Il riparto di competenze legislative tra Stato e Regioni nella giurisprudenza della Corte Costituzionale dopo la rifiirma del Titolo 1' in www.associazionedeicostituzionalisti.it 41 Corte cost. n. 13 del 2004 ha differito l'effetto dell'illegittimità dell'art. 22, comma 3, della finanziaria per il 2002, al tempo in cui le Regioni, nel proprio ambito territoriale e nel rispetto della continuità del servizio di istruzione, avranno attribuito, con legge, a propri organi la definizione delle dotazioni organiche del personale docente delle istituzioni scolastiche. 42 Ulteriori elementi pongono in luce la complessità insita nel metodo del riparto per materie, prescindendo dal fatto che si tratti di esclusività o di concorrenza. In proposito si ricordi: Corte cost. n. 13 del 2004, Corte cost. n. 12 del 2004, Corte cost. n. 370 del 2003 43 F. BASSANINI (a cura di) L'attuazione del Titolo V: aspetti pro blematici. La localizzazione delle grandi infrastrutture tra Stato e Regioni, in www.astrid.it . ' F. BASSANINI, (a cura di) L'attuazione del titolo 1' aspetti problematici. La localizzazione delle grandi infrastrutture tra Stato e Regioni, op. cit. 45 In F. BASSAJ'JINI, op. ult. cit. Si è notato che un'eccezione è costituita dal procedimento di valutazione dell'impatto ambientale la cui disciplina rientra nell'ambito della competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela dell'ambiente ex art. 117, comma 2, Cost.. 46 Per una visione organica della legge La Loggia si rinvia a F. BASSANINI (a cura di) "la Loggia" - Commento alla legge 5giugno 2003, n. 131 di attuazione del Titolo Vdella Costituzione, Rimini, 2003; G. FALCON (a cura di), Stato, Regioni ed Enti locali nella legge 5 giugno 2003, n.
131 (La Loggia), Milano, 2003; P. CAVALIERI, E. LAMARQUE (a cura di), L'attuazione del nuovo Titolo V, Parte 11, della Costituzione - Commento alla legge 5giugno 2003, n. 131, Milano, 2003. Per quanto concerne il problema della riferibilità della Legge La Loggia sulle Regioni a Statuto speciale si veda A. RUGGERI, La legge La Loggia e le Regioni ad autonomia diffi'renziata tra riserva di specialittì e clausola di maggior favore, in «Le Regioni», 412004, 781 ss. Sul sito web www.federalismi.it si vedano i contributi di M. CARLI, P. BILANCIA, A. ZANON, A. PIRATINO, A.M. POGGI, M. D'AMICO, E. DE MARCO, F. PALERMO, G. COGLIANDRO, A. FERRARA, L. CASSEUI, A. RUGGERI, E. BALBONI. ' I rispettivi ricorsi avevano ad oggetto l'art. 1, commi 4, 5 e 6 della legge 13 1/2003 (la legge La Loggia) e ne censurano la legittimità adducendo come parametro l'art. 76 Cost., l'art. 11 della I. cost. 3/200 1 ed il combinato disposto degli artt. 117, comma 4, Cost. e 10 L. Cost. n. 312001. A commento, cfr. A. RUGGERI, Molte conferme (e qualche smentita) nella prima giurisprudenza sulla legge La Loggia, ma senza un sostanziale guadagno per l'autonomia (a margine di Corte cost. nn. 236, 238, 239 e 28012004), in www.federalismi.it ; M. BARBERO, La Corte costituzionale interviene sulla legge "La Loggia" (nota a Corte cost. 23612004, 23812004, 23912004 e 28012004), in www.forumcostituzionale. it.; L. CASTELLI, Regioni speciali e legge La Loggia: la parola passa alla Corte costituzionale, in www.amministrazioneincammino.luiss.it . 48 In tal senso la Consulta si pone in linea con la pregressa giurisprudenza (cfr. sentenze n. 324 del 1998, n. 425 e 427 del 2000). 49 Punto 3 del considerato in diritto della citata sentenza. 50 La Corte riconosce ai decreti legislativi di ricognizione di cui all'art. 1, comma 4, della Legge La Loggia, una forza di legge depotenziata in qualche modo analoga quella dei testi unici di coordinamento. 51 Punto 5 del considerato in diritto della sentenza citata. 127
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R. BIN, La delega relativa ai principi fondamentali della legislazione concorrente (Commento all'art. 1, commi 2-6) in Stato Regioni ed Enti locali nella legge 5 giugno 2003 n. 131, (a cura di FALCON) cit., secondo il quale le deleghe ricognitive al Governo previste dalla legge La Loggia avrebbero dovuto servire proprio per ridefinire i confini tra le diverse materie elencate nel novellato art. 117 della Costituzione. 53 La Corte si pronuncia per l'incostituzionalità dei criteri direttivi formulati dal comma 6, i quali, mediante l'espresso riferimento ai "settori organici della materia", nonché ai criteri oggettivi desumibili dal complesso delle funzioni e da quelle "affini, presupposte, strumentali e complementari", alterano, nella lettura fornita dalla Consulta, "il carattere ricognitivo dell'attività delegata al Governo in favore di forme di attività di tipo selettivo, dal momento che i predetti criteri direttivi non solo evocano nella terminologia impiegata l'improprio profilo della ridefinizione delle materie, ma stabiliscono, sia pure in modo assolutamente generico, anche una serie di 'considerazioni prioritarie' nella prevista identificazione dei principi fondamentali vigenti, tale da configurare una sorta di gerarchia tra di essi. Il citato comma 6 elenca infatti una serie di criteri direttivi destinati ad indirizzare, a prescindere dall'ambiguità delle singole previsioni, il Governo nella formazione dei decreti delegati, che pur dovrebbero essere `meramente ricognitivi', a prendere prioritariamente in considerazione predeterminati interessi e finzioni. L'oggetto della delega viene così ad estendersi, in maniera impropria ed indeterminata, ad un'attività di sostanziale riparto delle finzioni e ridefinizione delle materie, senza peraltro un'effettiva predeterminazione di criteri". 54 Sulla problematica dell'individuazione di principi fondamentali, cfr. F. Drco, Ricognizione dei principi fondamentali. prime riflessioni operative, in www.federalismi.it . 55 La norma così recita "1. Le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano esercitano la potestà normativa nelle materie oggetto del presente codice nel rispetto dei vincoli 128
derivanti dall'ordinamento comunitario e delle disposizioni relative a materie di competenza esclusiva dello Stato. Relativamente alle materie oggetto di competenza concorrente, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano esercitano la potestà normativa nel rispetto dei principi fondamentali contenuti nelle norme del presente codice, in particolare, in tema di programmazione di lavori pubblici, approvazione dei progetti ai fini urbanistici ed espropriativi, organizzazione amministrativa, compiti e requisiti del responsabile del procedimento, sicurezza del lavoro. Le Regioni, nel rispetto dell'articolo 117, comma secondo, della Costituzione, non posso-. no prevedere una disciplina diversa da quella del presente codice in relazione: alla qualificazione e selezione dei concorrenti; alle procedure di affidamento, esclusi i profili di organizzazione amministrativa; ai criteri di aggiudicazione; al subappalto; ai poteri di vigilanza sul mercato degli appalti affidati all'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture; alle attività di progettazione e ai piani di sicurezza; alla stipulazione e all'esecuzione dei contratti, ivi compresi direzione dell'esecuzione, direzione dei lavori, contabilità e collaudo, ad eccezione dei profili di organizzazione e contabilità amministrative; al contenzioso. Resta ferma la competenza esclusiva dello Stato a disciplinare i contratti relativi alla tutela dei beni culturali, i contratti nel settore della difesa, i contratti segretati o che esigono particolari misure di sicurezza relativi a lavori, servizi, forniture. Nelle materie di competenza normativa regionale, concorrente o esclusiva, le disposizioni del presente codice si applicano alle Regioni nelle quali non sia ancora in vigore la normativa di attuazione e perdono comunque efficacia a decorrere dalla data di entrata in vigore della normativa di attuazione adottata da ciascuna Regione. Le Regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e Bolzano adeguano la propria legislazione secondo le disposizioni conte-
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nute negli statuti e nelle relative norme di attuazione".
L'espressione è tratta da P. DE CATERINI, Il ruolo e le prerogative delle Regioni nel recepimento
56 F. GUERINO. L'assetto delle competenze normative Stato/Regioni nel nuovo Codice dei contratti pubblici", in «Appalti e contratti», 10, 2006, 1141. 57 Corte cost. 50/2005. 58 Corte cost. 33612005. 59 Cons. Stato, Ad. Gen., n. 2 del 2002, che subordina l'estensione dell'efficacia della disciplina nazionale alla persistente inadempienza della Regione. 60 F. GUERIN0, op. cit. 61 Ricorso per legittimità costituzionale 10 luglio 2006 n. 90. 62 Ricorso per legittimità costituzionale 10 luglio 2006 n. 89. 63 Ricorso per legittimità costituzionale 7 luglio 2006 n. 88. 64 Ricorso per legittimità costituzionale 30 giugno 2006 n. 84. 65 Ricorso per legittimità costituzionale 6 luglio 2006 n. 86. 66 Ricorso per legittimità costituzionale 6 luglio 2006 n. 85.
delle norme comunitarie - la tutela della concorrenza in diritto interno; competenze StatoRegioni, in Atti del seminario "Le nuove direttive europee degli appalti pubblici ed i partenanati pubblico-privati", a cura di Paolo De Caterini e Dover Scalera. Bruxelles 16-17 febbraio 2006, 68 Infra pag. 6. 69 Si ricorda che il principio in oggetto era stato affermato in due precedenti pronunce: Corte cost. n. 612004 e n. 383/2005. 70 Corte cost. n. 9012006. 71S. MusoLiNo, Sono illegittime le disposizioni del DL 3512005 che non rispettano i princli d proporzionalità e di intesa, in «Urbanistica e appalti», n. 11, 2006, 1261 e ss.. 72 Sul punto da ultimo S. MusoLiNo, op. ult. cit., p. 1271. 73 A. MaRRONE, La Corte costituzionale riscrive il Titolo 1'?, in Forum on line di «Quaderni costituzionali». 74 Sul punto da ultimo S. MUSOLINO, op. ult. cit., p. 1271.
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istituzioni n. 1401143 Annale 2006
Dopo il Libro verde della Commissione sul Ppp. Il dibattito su concessioni e partenariato istituzionalizzato di Valeria Valiserra
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1 Libro verde relativo al partenariato pubblico-privato ed al diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni ha avviato un dibattito importante. In questa sede si considereranno i contributi e gli orientamenti delle istituzioni comunitarie successivi alla pubblicazione del Libro verde con particolare riferimento alle concessioni del diritto comunitario e ai partenariati istituzionalil. LE RISPOSTE AL LIBRO VERDE
La Commissione europea ha ricevuto complessivamente 195 contributi dai Paesi membri 2 . In generale è risultato che la maggioranza degli interessati si è dimostrata contraria a una iniziativa "orizzontale" sul Ppp a livello comunitario, diretta cioè a regolare in maniera uniforme tanto i partenariati istituzionali, quanto quelli contrattuali (ivi compresi gli appalti). Al contrario, si sono registrati consensi sulla necessità di regolare le modalità di affidamento delle concessioni in maniera uniforme nel mercato interno, e di chiarire le norme comunitarie applicabili ai partenariati istituzionali e, in generale, i limiti di esenzione dei cosiddetti affidamenti "in house Su questi temi, tuttavia, non sono emerse grandi uniformità di vedute circa la natura delle iniziative da intraprendere. Con riferimento alle concessioni, ad esempio, la maggioranza che si è espressa a favore di un'iniziativa legislativa per la regolazione delle modalità di affidamento, ha motivato la scelta in base alla necessità di assicurare certezze giuridiche a livello comunitario e aumentare la trasparenza, al fine di agevolare gli investimenti privati e precostituire un terreno di gara uguale per tutti i concorrenti. I partecipanti hanno convenuto, in generale, sulla necessità che una normativa europea sull'affidamento delle concessioni non possa prescindere dalla definizione della concessione, e dalla
L'Autrice è Avvocato, consulente Ques.i.re sri. 130
indicazione in norma delle caratteristiche che sia valida per tutti gli Stati membri3 . Dall'Italia sono state inviate numerose risposte, anche se nessuna da parte delle istituzioni. In linea generale, la posizione nazionale riflette il dibattito aperto tra quanti sono favorevoli ad un'iniziativa comunitaria e quanti, al contrario, ritengono che il campo del partenariato pubblicoprivato debba essere escluso dalle ingerenze comunitarie, in quanto riflette fortemente scelte di politica economica rimesse alla discrezionalità degli organi politici di ciascuno Stato. Per citare alcuni esempi, l'ANcI si fa portavoce delle perplessità delle istituzioni locali di fronte ad interventi che possono ridurre l'autonomia degli enti stessi nella soddisfazione di bisogni generali della collettività di riferimento, e si esprime contrariamente a qualsiasi iniziativa legislativa sulle concessioni. Come si legge nella pag. 4 del documento in risposta al Libro verde, infatti, "l'ANci non è favorevole ad un iniziativa legislativa comunitaria mirante a regolamentare la procedura di aggiudicazione di concessioni, ciò proprio per salvaguardare l'autonomia contrattuale delle parti nelle assunzioni di obblighi e rischi derivanti dal rapporto concessorio e date le specificità delle singole amministrazioni locali le cui azioni mirano al soddisfacimento di bisogni diversi e diversificati sul territorio di cittadini e imprese". Al contrario, la Confindustria, si è dimostrata favorevole ad un intervento legislativo comunitario di regolazione delle concessioni di lavori e di servizi, rivolto a produrre regole diverse rispetto a quelle valide per gli appalti. Ciò al fine di rispettare la diversità nell'ambito dei partenariati di tipo contrattuale, fra i quali la circostanza che nella concessione si prevede un rischio di gestione mancante nell'appalto. In senso favorevole si è pronunciata anche l'Unità tecnica finanza di progetto 4, secondo la quale "tale iniziativa legislativa avrebbe così anche l'effetto di favorire la migliore utilizzazione e diffusione di forme di Ppp, e di limitare i costi legati all'attuazione di tali operazioni, costi che spesso tendono ad aumentare a causa dell'insicurezza del quadro giuridico nel quale esse si svolgono." LE INDICAZIONI DELLA COMMISSIONE
La Commissione, all'esito della consultazione, ha comunicato alle istituzioni comunitarie le azioni che intende intraprendere nella regolamentazione del partenariato pubblico-privato 5 . Per quanto concerne le con131
cessioni, la presentazione di una proposta di direttiva viene ritenuta astrattamente la soluzione pi1 idonea, ma dovrà essere preceduta da un'analisi approfondita dell'impatto della legislazione negli Stati membri. Sulle forme di partenariato istituzionale, invece, la Commissione sembra preferire un intervento nella forma della comunicazione interpretativa. Questo documento dovrà chiarire, innanzitutto, l'applicazione delle regole sugli appalti pubblici rispetto alla creazione di entità a capitale misto che perseguono l'obiettivo di prestare servizi d'interesse economico generale. Inoltre, dovranno essere specificati quei principi che trovano applicazione nel caso di partecipazione di in1prese private in società pubbliche esistenti che svolgono compiti ricadenti nei servizi d'interesse generale, chiarendo a tale fine come la relativa assegnazione di mansioni sia compatibile con il diritto comunitari0 6 . ToiuDo ALLA NOZIONE DI PARTENARIATO PUBBLICO-PRWATO Per fare il punto sullo "stato dell'arte" occorre tornare alla nozione di "partenariato pubblico-privato" contenuta nel Libro verde. Il fenomeno a cui si riferisce è molto ampio, riferendòsi in generale a forme di cooperazione tra le autorità pubbliche e il mondo delle imprese che mirano a garantire il finanziamento, la costruzione, il rinnovamento, la gestione o la manutenzione di un infrastruttura o la fornitura di un servizio. Nell'ambito di questo fenomeno vengono identificate alcune forme di cooperazione: gli appalti volti alla progettazione e/o alla realizzazione di lavori pubblici e quelli per l'affidamento dell'esercizio di servizi pubblici; le concessioni (progettazione, realizzazione, gestione, finanziamento) di lavori e di servizi pubblici; le cessioni, integrali o parziali, di quote di entità pubbliche che operano nell'ambito dei settori dei lavori e/o dei servizi pubblici; la costituzione di entità miste che operano nell'ambito dei settori dei lavori e/o dei servizi pubblici. La cooperazione fra il settore pubblico e quello privato può dunque realizzarsi sotto diverse forme, diverse a seconda della misura in cui le responsabilità sono delegate al partner privato. La complessità del contratto di partenariato, inoltre, dipende (secondo la Commissione) dal tipo e dalla dimensione delle responsabilità che vengono trasferite al partner privato. 132
Una nozione così ampia quai è quella accolta dalla Commissione appare discutibile sotto diversi profili. In primo luogo, non si comprende l'inclusione degli appalti nell'alveo delle forme di Partenariato pubblico-privato. A bene vedere, in effetti, il partenariato implica una condivisione nel tempo di finalità, di impegni e di rischi che non appartengono ai sistemi di affidamento degli appalti pubblici, in cui le parti sono distinte e contrapposte all'interno di un meccanismo di reciproci obblighi e diritti definiti bilateralmente 7 . In questo senso, ad esempio, si è espresso il Comitato delle Regioni (parere del 17 novembre 2004) il quale constata che le direttive sugli appalti costituiscono un sistema di regole molto complesso e non idoneo ad incoraggiare la flessibilità e le idee innovative, e che il quadro normativo sugli appalti pubblici caratterizza il regime giuridico applicabile al fornitore di appalti, che assume compiti e ruoli differenti rispetto al partner privato di un'operazione di partenariato. In secondo luogo, anche la definizione della concessione contenuta nel Libro verde (così come nella direttiva lavori 93/37/CE 8) appare riduttiva. La Commissione, infatti, colloca la concessione fra i modelli di partenanato contrattuale, identificando il contratto in cui il privato assume - totalmente o parzialmente - il rischio di gestione dell'infrastruttura o del servizio, e che pertanto può avere ad òggetto tanto servizi pubblici, quanto servizi strumentali all'Amministrazione 9 . Le critiche, peraltro, provengono da più parti. Il Comitato economico e sociale europeo 1 ø, ad esempio, afferma che la concessione si differenzia sostanzialmente rispetto all'appalto, riguardo all'oggetto, alla durata, alle condizioni di finanziamento e alle modalità di gestione ai fini della portata della responsabilità. Muovendo dalle caratteristiche del partenariato", inoltre, il Comitato giunge a differenziare la concessione dal contratto di partenariato pubblico privato, facendo ricadere nel primo tipo il contratto in cui l'impresa è remunerata mediante un prezzo pagato principalmente dagli utenti e, nel secondo, il contratto in cui la remunerazione è corrisposta principalmente dall'autorità pubblica. Da tali requisiti, infine, il Comitato economico e sociale europeo ricava due elementi propri di questi tipi di contratto: - la necessità di un trasferimento di responsabilità dall'autorità pubblica al titolare del contratto, - la nozione di globalità del contratto, il quale prevede una lunga serie di obblighi (realizzazione, finanziamento, sfruttamento economico, ma133
nutenzione, ecc.) il cui adempimento ha luogo in un lungo periodo di tempo (forchetta media da 10 a 75 anni). In posizione parzialmente difforme, al contrario, il Parlamento europeo, concentrandosi essenzialmente sulla ratio informatrice dell'intervento normativo delle istituzioni comunitarie (la creazione di un mercato interno concorrenziale), si sofferma esclusivamente sul requisito della durata della concessione, evidenziando come essa debba essere limitata nel tempo, in modo da non distorcere la concorrenza, ferma la durata che permetta l'ammortamento dei capitali investiti dal privato, un'appropriata remunerazione del capitale investito e il rifinanziamento dei futuri investimenti. A questo punto si può fare una prima considerazione: i contributi delle Istituzioni comunitarie al dibattito sul partenariato pubblico privato e sulle concessioni, seppure molto generali, mettono in luce la complessità del tema, l'eterogeneità dei modelli riconducibili alla categoria del partenariato e la conseguente impossibilità di ricondurre i modelli di partenanato a categoria unitaria. LA CONCESSIONE: QUESTIONI DA CHIARIRE
Occorre soffermarsi, innanzitutto, sulla concessione. Lungi dal rappresentare soltanto un contratto con cui si trasferisce dalla pubblica amministrazione al privato il rischio della gestione di una infrastruttura o di un servizio, la concessione si sostanzia in un sistema complesso di responsabilità che sono trasferite dal pubblico al privato, e che non sempre trovano giustificazione in modelli rigidamente fissati dalla legge. L'intervento regolatore delle istituzioni comunitarie, dunque, non può ridursi a mero strumento di tutela della concorrenza nel mercato interno considerata soltanto al momento della scelta del concessionario, ma deve considerare il fine ultimo che l'Amministrazione intende raggiungere con l'affidamento in concessione di una infrastruttura o di un servizio: la responsabilizzazione del privato che viene coinvolto finanziariamente ed operativamente nell'espletamento del servizio o nella gestione di un'infrastruttura. Diventa, dunque, fondamentale costruire un sistema di regole che non realizzi soltanto un'omogeneizzazione forzata delle procedure. Agevolare la partecipazione dei privati significa anche assicurare lo sviluppo dell'opera in un quadro di chiarezza e di concorrenza effettive. A tale fine, per esempio, sembra ragionevole la tesi di quanti ritengono 134
preferibile individuare specifici settori per i quali predisporre una normativa differenziata "orizzontalmente", ma uguale in tutta Europa, piuttosto che procedere ad iniziative "verticali". In tal modo, ad esempio, e basandosi sulle esperienze di successo nel partenariato maturate in diversi Stati membri, si potrebbe pervenire a regimi di aggiudicazione omogenei per settori, piuttosto che a sistemi di aggiudicazione identici. A titolo esemplificativo si considerino il settore ferroviario o quello'dei trasporti, o quello delle infrastrutture stradali, per i quali si è constatato che gli Stati membri sovente ricorrono alle concessioni 12 , e che potrebbero essere oggetto di normativa specifica e valida nel mercato interno. Per quanto concerne le forme di collaborazione nei settori per i quali, al contrario, le esperienze degli Stati membri dimostrano una generale disomogeneità, potrebbe risultare utile creare un testo che riunisca e specifichi il contenuto, la portata e i limiti dell'applicazione dei principi del trattato in materia di libera circolazione di servizi e di libertà di stabilimento 13 che si applicano alle concessioni, come precisato dalla Corte di giustizia in numerose pronunce. In ogni caso, comunque, è necessario chiarire i limiti di soglia e gli altri elementi entro i quali le concessioni, assumendo rilievo nazionale o infranazionale, sono escluse dall'ambito di applicazione della normativa comunitaria. Non sempre, infatti, i giudici comunitari hanno ritenuto automaticamente applicabili, in ragione del superamento della soglia comunitaria, le direttive comunitarie sugli appalti pubblici 14 .
IL PARTENARIATO ISTITUZIONALIZZATO
Il partenariato istituzionalizzato (Ippp) identifica i modelli di cooperazione fra il pubblico e il privato che si attuano mediante la creaziòne di un'entità detenuta congiuntamente dal partner pubblico e dal partner privato, ovvero tramite il passaggio a controllo privato di un'impresa pubblica già esistente. La resistenza all'emanazione di una direttiva su queste tipologie di collaborazione fra pubblico e privato è stata manifestata da più parti. La maggioranza dei partecipanti alla consultazione si è dichiarata favorevole all'avvio di una riflessione collettiva sulle problematiche dei partenariati istituzionalizzati a livello comunitario, ma ha ritenuto preferibile un intervento chiarificatore della Commissione nelle forme della comunicazione interpretativa, piuttosto che attraverso l'emanazione di una di135
rettiva. Sono comunque pervenute molte risposte contrarie a qualsiasi iniziativa comunitaria sul Ppp istituzionalizzato. Si è ritenuto, infine, che l'obiettivo principale da perseguire con l'avvio di un dibattito sul tema dei partenariati istituzionalizzati sia, essenzialmente, lo scambio di informazioni sulle "buone pratiche". Da più parti, infatti, è stata manifestata l'esigenza che venga istituito un organismo di scambio e di ausilio, di volta in volta identificabile in un'Agenzia europea per i Ppp, in un Centro ricerche di eccellenza e in un Centro di documentazione, ovvero in un Osservatorio. In senso decisamente contrario ad un'iniziativa legislativa sui partenariati istituzionalizzati si è pronunciato il Comitato delle Regioni, il quale, nel sottolineare come l'adozione di una comunicazione interpretativa sull'aggiudicazione delle concessioni e sui Ppp istituzionalizzati possa offrire maggiori indicazioni circa le modalità di applicazione dei principi sanciti nel Trattato CE, ritiene comunque necessario che il quadro comunitario di riferimento dei partenariati istituzionali sia adeguatamente flessibile, al fine di agevolare la realizzazione di queste forme di cooperazione. Per parte sua, anche il Parlamento europeo, del resto, nella Relazione del 16 ottobre 200615 richiede soltanto "un chiarimento nell'ambito dei Partenariati pubblico-privati istituzionalizzatf. Si può concludere considerando che le posizioni espresse su questo specifico tema, anche da parte di istituzioni comunitarie, evidenziano un tendenziale allineamento sulla natura e sugli obiettivi che l'intervento della Commissione dovrebbe assumere in materia di Jppp. I.
LA QUESTIONE DELL' IN HO USE
.Per quanto concerne i principali contenuti del dibattito sul partenariato istituzionalizzato, assume rilevanza la questione degli affidamenti diretti alle società c.d. in house (nei cui confronti l'Ente locale esercita un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi, e che svolgono la maggior parte dei servizi per conto dell'ente che li controlla) e dei limiti di applicazione della normativa sugli appalti pubblici. Nello specifico, è emersa da più parti una critica alla nozione di in house providing, adottata dalla Corte di giustizia europea, e considerata eccessivamente restrittiva Di conseguenza si è chiesto di definire i requisiti degli affidamenti diretti in maniera più ampia e di chiarire l'applicazione dei principi in materia di concorrenza e sugli aiuti di Stato 16 .
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La Corte di giustizia, infatti, è più volte intervenuta, a partire dal 1998, con il compito di chiarire i limiti e le eccezioni all'applicazione della normativa sugli appalti pubblici agli affidamenti diretti di attività comunque ricomprese nell'ambito oggettivo di applicazione delle direttive europee. In un primo momento, con la sentenza Tecka1 17 i giudici comunitari hanno considerato legittimo l'affidamento senza gara di una fornitura a favore di una persona giuridicamente distinta dall'amministrazione aggiudicatrice, in quanto l'Ente locale esercitava un controllo analogo a quello da esso esercitato sui propri servizi e l'affidatario realizzava la parte più importante della propria attività con l'Ente stesso. In seguito, la Corte di giustizia ha specificato i contenuti del controllo analogo che si sostanziano nella partecipazione totalitaria all'ente, nell'influenza determinante sia sugli obiettivi strategici dell'Ente che sulle decisioni importanti dello stesso (sentenza 13 ottobre 2005, causa C458/03), e nell'esercizio di poteri penetranti di controllo che vanno al di là dei poteri che il diritto societario riconosce al socio di maggioranza (sentenza 11 maggio 2006, C340/04) 18 . Sul punto, appare interessante il contributo del Comitato delle Regioni, il quale sottolinea che al fine di determinare l'esistenza del controllo analogo, devono essere presi in considerazione elementi come il livello di presenza in seno agli organi di amministrazione, di direzione o vigilanza, le relative disposizioni negli statuti, l'assetto proprietario, l'influenza e il controllo effettivi sulle decisioni strategiche e sulle singole decisioni di gestione. Le questioni sul partenariato istituzionale, accennate sopra, coinvolgono, per quanto riguarda il caso italiano, i servizi pubblici locali. In particolare ci si riferisce alle forme di gestione disciplinate dall'art. 113 del d.lgs. 267/2000 e rappresentate dalle società c.d. in house e dalle società miste pubblico-private (in cui il socio venga scelto con gara), entrambe affidatarie dirette del servizio 19 . Alla luce delle risposte contenute nel Libro Verde, infatti, le principali questioni riguardano il rapporto tra il controllo rimesso all'amministrazione (titolare del servizio) e i requisiti del "controllo analogo", e i limiti alla possibilità di affidare l'erogazione di un servizio pubblico locale senza gara ad una società mista appositamente costituita. I giudici amministrativi, nel chiarire i requisiti del controllo analogo, hanno recepito gli indirizzi comunitari e sono giunti a stabilire che la presenza di clausole statutarie che ammettono la cessione di quote sociali a ,
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soggetti terzi (una volta effettuato l'affidamento diretto del servizio) può comportare un aggiramento della disciplina comunitaria in tema di concorrenza (Cons. di Stato, sez. V, n. 4440 del 13.07.06; TAR Puglia sez. Il, 8 novembre 2006, n. 5197)20, e che il controllo analogo si concretizza in un rapporto che determina da parte dell'amministrazione controllante un assoluto potere di direzione, coordinamento e supervisione dell'attività del partecipato e che riguarda l'insieme dei più importanti atti di gestione 21 . Con riferimento alle società miste, infine, occorre considerare che, se per un verso la Commissione sembra propendere per il ricorso ad una doppia gara per l'affidamento dei servizi, i contributi delle istituzioni comunitarie presentano, al contrario, interessanti aperture a favore degli affidamenti diretti a soggetti misti pubblico privati, laddove la procedura selettiva di rilevanza comunitaria per la scelta del partner privato sia basata su un progetto di gestione che corrisponde all'attività che il socio privato dovrà svoigere. In tal senso, ad esempio, si è espresso il Parlamento europeo, rftenendo necessario "in considerazione dell'obbligo di trasparenza e del divieto di discriminazione, che la legislazione sugli appalti pubblici si applichi alla creazione di un Pz qualora questa operazione presenti un rapporto reale e temporale con l'attribuzione di un appalto pubblico", mentre, al contrario, la doppia gara (per la scelta del partner privato e per l'affidamento del servizio), appare inutile laddove "il primo bando di gara per la costituzione dell'impresa mista sia suffi cientemente preciso e completo" 22 Il Comitato delle Regioni, nel parere reso il 12 ottobre 2006, sottolinea che i poteri pubblici al fine di tutelare la prestazione dei servizi, indipendentemente dagli interessi economici dei prestatori, "debbono riservarsi determinate facoltà, come quella di imporre standard di qualità e di sicurezza e poterli modificare unilateralmente a beneficio dell'interesse pubblico nel corso dell'intero periodo di partenariato, o quella di poter recuperare il controllo del lavoro o del servizio e, una volta terminato ilpartenariato, ricevere dal prestatore quei beni considerati necessari per garantire la continuità dell'utilizzazione o del servizio". Di conseguenza, il Comitato ritiene che le attività svolte da un'impresa statale non devono essere disciplinate dalla legislazione comunitaria sugli appalti, dato che si tratta di attività controllate dallo Stato ed equivalenti ad operazioni interne. Con riferimento ai requisiti del controllo analogo, infine, il Comitato delle Regioni ritiene che la qualità di operatore interno (che fa venir meno l'obbligo di gara per l'affidamento del servizio) esclude qualsiasi partecipazione che sia superiore al 33% da parte di un'impresa privata al capi.
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tale del prestatore di servizi, e considera errato il presupposto, fatto proprio dalla Commissione, "che affidamenti diretti fatti a società miste pubblico-private qualora costituite con procedure ad evidenza pubblica producano in ogni caso benefici, diretti o indiretti, per le società stesse, pertanto rifiuta l'equazione automatica 'affidamento diretto uguale vantaggio competitivo contrario alle disposizioni del Trattato nonché ilprinczpio che qualsiasi ulteriore vincolo all'operatività sul mercato sia incompatibile con il quadro sopra enunciato"23 Proprio gli orientamenti appena riportati, di alcuni importanti istituzioni comunitarie, danno la misura piena di quanto le soluzioni siano ancora lontane. Se di soluzioni nette e rigide si può parlare in questa materia. .
Vengono denominati IPPP, e rappresentano le imprese detenute congiuntamente da un partner pubblico e da un partner privato al fine di prestare servizi pubblici. 2 Hanno contribuito per iscritto alla consultazione i governi o i singoli ministeri di Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Irlanda, Italia, Lituania, Olanda, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Slovacchia, Spagna e Svezia, 15 autorità pubbliche dei suddetti Stati membri, 111 associazioni che riuniscono soggetti privati e/o pubblici, 38 imprese e 13 persone fisiche. Nessun contributo, da parte di autorità statali o di privati, è pervenuto da Cipro, Estonia, Grecia, Lettonia, Lussemburgo, Malta, Slovenia e Ungheria. Particolarmente attivi la Germania, Francia, Regno Unito, Austria e Italia. Interessante il contributo di associazioni europee. 3 Su questo punto si segnala, fra i numerosi contributi quanto affermato dal ministero dell'Economia di Spagna a pag. 8 della Risposta al Libro Verde sui Ppp. 'I L'Unità tecnica Finanza di Progetto è stata istituita, nell'ambito del CIPE - Ministero Economia e Finanze - dall'art. 7 della legge 17 maggio 1999, n. 144, con il compito di promuovere, all'interno delle pubbliche ammini-
strazioni, l'utilizzo di tecniche di finanziamento di infrastrutture con ricorso a capitali privati, fornire il supporto e la necessaria assistenza.
Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale e al Comitato delle Regioni sui partenariati pubblico-privati e sul diritto comunitario in materia di appalti pubblici e concessioni. C0M(2005) 569 DEF. 6 Cfr. pag. 10 della Comunicazione della Commissione C0M(2005) 569 DEF citata nella nota 6. 7 In questo senso, MARIO P. CHITI, Luci, ombre e vaghezze nella disciplina del Partenariato Pubblico-Privato, Atti del Convegno "Il Partenanato Pubblico-Privato e il Diritto Europeo degli Appalti e delle Concessioni", organizzato dall'liSA, Firenze, 28 gennaio 2005. 8 L'an. 1, lett. d) della direttiva definiva la concessione di lavori pubblici quale "contratto che presenta le stesse caratteristiche della lettera a) (n.d.r. appalto di lavori) ad eccezione del fatto che la controprestazione dei lavori consiste unicamente nel diritto di gestire l'opera o in tale diritto accompagnato da un prezzo". Il testo della citata disposizione è stato inoltre recepito nell'an. 1 della direttiva 18/2004/CE. 139
9 La nozione di concessione, nell'accezione accolta dal legislatore, trova conferma nella giurisprudenza amministrativa. Da ultimo Tar Piemonte, sez. Il, 30 gennaio 2007, n. 450, secondo cui l'elemento caratterizzante della concessione di lavori pubblici e di servizi pubblici locali è costituito dal fatto che il concessionario trae il proprio profitto, totalmente o almeno in prevalenza, non dall'ente concedente, ma dai ricavi che derivano dalla gestione dei lavori pubblici realizzati ovvero del servizio pubblico reso. La differenza si sostanzia nel fatto che nella concessione di costruzione e gestione di lavori, la gestione costituisce il corrispettivo per la realizzazione degli stessi, ma non è l'oggetto del contratto, mentre nella concessione di servizi pubblici la gestione costituisce l'oggetto dell'affidamento, pur potendo essere previsti dei lavori da eseguire. IO "Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito al Libro verde sui partenariati pubblico/privato e sul diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni" C0M(2004) 327 def Il Il contratto di partenariato identifica un contratto o un atto unilaterale con cui un'autorità pubblica conferisce determinati diritti a un organismo esterno ad essa, delegandogli il compito di concepire, realizzare, finanziare, mantenere e gestire un'infrastruttura o un servizio per un periodo lungo e determinato. 12 Vale citare l'esperienza della Gran Bretagna, del Portogallo, dell'Italia, della Francia, riportati nel Documento di lavoro dello staff della Commissione sul "Rapporto sulla consultazione pubblica" pubblicato il 3 maggio 2005, e le conclusioni del Comitato economico e sociale europeo, citato nella nota 10. 13 Ci si riferisce agli articoli 43 e ss. del Trat-
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tato CEE 25 marzo 1957 nella versione consolidata in vigore dal 10 febbraio 2003. 14 Corte di giustizia, sentenza 9 settembre 1999, C-108/98, nella quale la direttiva servizi non è stata ritenuta applicabile all'affidamento del servizio di smaltimento rifiuti da parte del Comune di Ischia ad una società partecipata dallo stesso nella misura del 51% in quanto la questione aveva rilevanza infranazionale e non coinvolgeva i principi in materia di libera prestazione di servizi e libertà di stabilimento. 15 Relazione sui partenariati pubblico-privati e sul diritto comunitario in materia di appalti pubblici e di concessioni, A6-0363/2006. 16 Si veda, in proposito, quanto contenuto nel documento di posizione di AISCAT - Associazione italiana delle società concessionarie di autostrade e trafori - del 29luglio 2004, ove si chiede di chiarire la linea di demarcazione tra contributo pubblico ed "aiuto di Stato", con specifico riferimento alle garanzie pubbliche offerte al privato. 17 Sentenza 18 novembre 1999, C-107/98. 18 Per una rassegna completa della giurisprudenza comunitaria sul punto si rinvia al contri-
buto di Tretola, Quale Jiauro per ilpartenariato pubblico-privato "istituzionalizzato? pubblicato in questo numero. 19 Sul rapporto tra partenariato istituzionalizzato e società miste v. Tretola, citato nella nota precedente. 20 Vedi giurisprudenza riportata nell'articolo di Tretola, cit. 21 Ex multis, TAR Friuli Venezia Giulia 12 dicembre 2005, n. 986. 22 Cfr. pag. 8 della Relazione (citata nella nota 15). 23 Vedi pag. 8 del Parere del Comitato delle Regioni del 12 ottobre 2006.
istituzioni n. 1401143 Annale 2006
Il Project financing sp uri o* di Paolo Urbani, Donate/la Viscogliosi
FABBISOGNO DI OPERE DI URBANIZZAZIONE, AREE URBANE E MODALITÀ DI REALIZZAZIONE ATTRAVERSO IL PF
U
no degli aspetti di particolare rilievo nell'ambito della questione "opere pubbliche" riguarda le aree urbane: la qualità e quantità dei servizi, le opere di urbanizzazione sia primarie che secondarie, ma potremmo dire oggi con terminologia più moderna i servizi quaternari o rari. Opere e servizi di cui le nostre città sono carenti per motivi diversi: per mancanza di sensibilità delle amministrazioni locali, per mancanza di fondi pubblici, per l'alto costo delle aree da acquisire, per un'interpretazione riduttiva della garanzia degli standard urbanistici che spesso si è limitata a riservare gli spazi ma non a prevedere la realizzazione effettiva dei servizi da localizzarvi: in molti casi, anche dove gli spazi pubblici sono stati garantiti, questi non sono mai stati "attrezzati". Il problema, quindi, è colmare il gap di opere pubbliche o di pubblica utilità poiché questo problema ci allontana dal confronto con le altre realtà urbane d'Europa. In una parola, il problema è la modernizzazione urbana. Tramontata più o meno rapidamente l'idea che l'assetto urbano sia appannaggio esclusivo della mano pubblica sia riguardo alle scelte sia riguardo alla sua realizzazione, la legislazione si muove sempre più in direzione di un abbandono della urbanistica autoritativa verso un'urbanistica per accordi, anche se sempre all'interno delle varianti strategiche fissate dal potere pubblico locale rappresentativo degl'interessi generali della collettività. Le Regioni stanno vivendo un grande momento di fervore legislativo con l'approvazione dileggi regionali in materia di governo del territorio e di riqualificazione urbana che tendono, da un lato, con lo sdoppiamento
Paolo Urbani è professore di Diritto amministrativo presso la Facolta di Architettura, Università degli studi di Roma Tre e direttore della rivista Pausania. Donatella Viscogliosi è Avvocato, consulente della Ques.i.re sri. 141
del piano regolatore in direttore ed operativo, ad agevolare il rapporto con le aspettative dei soggetti privati circa la migliore soluzione da dare all'assetto urbano e, dall'altro, ad introdurre anche nel nostro ordinamento regionale il concetto di riconversione urbana legittimando gli strumenti urbanistici della riconversione urbana. È un passaggio decisivo che, in buona sostanza, chiama i privati ma soprattutto le imprese di costruzione a partecipare operativamente al disegno della città ed anche alla sua riqualificazione. Senza l'apporto dei privati, in breve, la strategia legislativa è destinata a rimanere sulla carta. L'urbanistica consensuale, quella cioè basata sullo scambio edificatorio in cambio di opere pubbliche e l'urbanistica dell'evidenza pubblica basata sul confronto concorrenziale mirano tutte a soddisfare l'esigenza primaria cui accennavo prima: la modernizzazione delle città o meglio la costruzione di quella che gli urbanisti chiamano il piano dell'armatura urbana. In questo quadro anche la finanza di progetto svolge un ruolo decisivo come modalità di realizzazione e gestione di opere pubbliche o di pubblica utilità date in concessione a privati investitori. Pensiamo alla sua applicazione nel piano sdoppiato come modalità di copertura del fabbisogno di opere di urbanizzazione in fase di piano operativo, o ancora al suo uso nella riqualificazione urbana: dato il programma di riqualificazione, l'amministrazione potrà indicare quali opere pubbliche possano essere affidate in concessione di costruzione e gestione a privati. Il nostro ordinamento ha elaborato un concetto di p.£ molto originale poiché accanto a quello destinato a realizzare e gestire opere calde (che si remunerano integralmente attraverso il canone o la tariffa) ha previsto anche opere tiepide o fredde che non permettono una remunerazione dell'investimento privato se non attraverso l'integrazione del prezzo da parte dell'Amministrazione pubblica (in danaro, o alienazione di beni pubblici non più necessari ad assolvere l'interesse pubblico, o ancora concessione di volumi edificatori, o realizzazione di opere private ma di pubblica utilità) che permettano così l'equilibrio economico finanziario dell'intervento. La maggior parte, come sappiamo, sono proprio queste opere tiepide o fredde che tuttavia l'amministrazione richiede. Onde agevolare proprio le iniziative in tal senso si è anche derogato al limite della durata della concessione trentennale il cui termine di durata oggi è ancorato al complesso dell'investimento progettato così come l'in142
tegrazione del prezzo in danaro non incontra più il limite del 50% dell'investimento. Si tratta di un p.f. spurio perché non è presa in considerazione solo l'opera pubblica in sé suscettibile d'integrale ritorno economico ma l'insieme degli oggetti pubblici e privati che fanno parte della proposta del promotore. Il Projectfinance non è quindi puntuale ma ha un vero e proprio ambito territoriale e spaziale di riferimento. In buona sostanza, quindi, uscendo dagli aspetti tecnici e dando una valutazione alta dell'istituto direi che questo mira alla coesione e alla competitività. Coesione sociale perché la realizzazione di opere e servizi migliora la qualità della vita e dei luoghi di lavoro, competitività perché si apre un confronto concorrenziale sui miglior assetto urbano. Nonostante le disposizioni siano del 1998, operatori e amministrazioni hanno stentato a comprendere l'opportunità offerta dalle norme: solo da qualche tempo il p.f. Spurio è esposto sia per le modifiche apportate nel 2002 all'istituto delle concessioni di lavori pubblici sia all'art.37 ter con il cosiddetto diritto di prelazione del promotore. Basta oggi consultate il sito www. i nfopieffe. it per vedere quante gare sono in corso per i più disparati oggetti. Amministrazioni e imprenditori sono chiamati entrambi a fare la loro parte: senza una collaborazione proficua ed attiva di entrambi gli attori il PF o rimane asfittico o non decolla. D'altronde già oggi il programma triennale delle opere pubbliche, nella quantificazione dei bisogni, indica tra le priorità gli interventi realizzati con capitale privato maggioritario nonché l'indicazione espressa delle opere pubbliche suscettibili di apporto dei privati. Questo già mette in condizione gli imprenditori di conoscere su quali progetti concentrare la propria attenzione e proporre all'amministrazione quali compensazioni siano necessarie per mantenere l'equilibrio economico finanziario. E qui mi permetterei di dire che i programmi delle opere pubbliche contengono ancora richieste molto scontate: parcheggi, opere pubbliche minori di urbanizzazione e poco altro. Non ho trovato negli elenchi il soddisfacimento di opere di rilievo più complesso: un auditorium, una struttura museale, un centro culturale, un complesso polivalente. Il PF si presta, invece, ad operazioni più complesse che potrebbero dare maggiore visibilità e maggior concretezza alla modernizzazione della città. 143
Si possono fare, infine, le seguenti osservazioni. La prima. Alcuni criticano il sistema del Project finance preferendo ad esso il sistema dell'affidamento tramite concessione di costruzione e gestione. Si dice che questo sistema mette tutti i concorrenti sullo stesso piano su un progetto "chiuso" definito dall'amministrazione. Ma farei osservare che mentre in questo caso il preliminare è compito dell'amministrazione, nel PF il preliminare è a carico del promotore. Ha l'amministrazione la capacità di mettere insieme una proposta compatibile con gl'interessi dei potenziali concessionari quando l'opera fredda o tiepida richiede un'integrazione del prezzo che non è soio monetaria? O non è meglio che sia il privato a redigere una proposta integrata valutandola nei suoi aspetti economico-finanziari? La seconda. La scelta del progetto del promotore è assolutamente discrezionale mentre, per non discriminare arbitrariamente tra i proponenti, occorre indicare a monte da parte dell'Amministrazione i criteri di scelta che seguirà nella selezione dei candidati. Nella legge comunitaria 2004 questo suggerimento viene accolto impegnando l'amministrazione in tal senso ma questo per la verità era sostanzialmente già scritto nell'art. 37 ter. La terza. Viene mantenuta la clausola della prelazione del promotore nonostante la commissione europea abbia censurato tale disposizione. È quella della prelazione un'arma a doppio taglio perché la possibilità del promotore di rientrare in gara accettando le proposte migliorative certamente distorce l'evidenza pubblica ma è stata la chiave della diffusione del ricorso al PF poiché stimola la presentazione delle proposte da parte del promotore che ha così buone chances di ottenere l'assegnazione della concessione. È tanto vero questo che i partecipanti alla licitazione privata oggi rappresentano più operazioni di disturbo che concrete proposte migliorative rispetto alla proposta dell'amministrazione (che ha fatto propria la proposta del promotore), con la conseguenza di dar luogo ad operazioni a mio avviso poco trasparenti che nulla hanno a che fare con principio di concorrenza. Ecco perché un rimedio parziale è quello certamente di spostare a monte nella scelta della proposta iniziale la vera selezione dei candidati. In breve, se si fissano criteri di selezione nella fase della valutazione delle proposte, già qui è assicurata l'evidenza pubblica. La quarta. I contenuti del Pp spesso sono in contrasto con lo strumento urbanistico con la conseguenza della necessaria variazione dello strumento. È un punto molto importante che allunga i tempi dell'attuazione degl'interventi e potrebbe anche mettere a rischio Io stesso progetto. 144
Ma con l'introduzione dello sdoppiamento del piano regolatore in direttore e operativo i margini di flessibilità aumentano cosicché, di norma, nel piano operativo si possono ospitare proposte di Project finance spurio conformi al piano strutturale. Sarebbe un ulteriore incentivo alla diffusione dello strumento. IL PREZZO INTEGRATIVO: LA VERA LEVA DEL PROJECT FINANCING?
Come è noto, la condizione essenziale per l'allestimento di un'operazione di Projectfinancing è che ricorrano i presupposti per gestire l'opera in modo da coprire gli investimenti. Può verificarsi però che l'opera per sua natura non sia in grado di far rientrare gli investimenti. In proposito si richiama l'ormai ripetuta distinzione tra opere "calde" che consentono di ricevere una completa remunerazione del capitale investito dalla gestione dell'opera (es. autostrade), opere "tiepide" che necessitano di un contributo integrativo (es. tranvie metropolitane) e opere "fredde" che non sono idonee a produrre reddito (edifici scolastici, ospedali). Con riferimento a quest'ultima tipologia di opere si è fatto spesso ricorso ad istituti non previsti espressamente dalla Legge quadro in materia di lavori pubblici (legge n. 10911994, oggi trasfusa nel d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 recante il "Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE") e mutuati dal diritto privato, quali la vendita di cosa futura ovvero il leasing. Tuttavia, il ricorso a tali tipologie contrattuali, in genere, è stato ammesso con restrizione sia dalla giurisprudenza che dall'Autorità di vigilanza sui lavori pubblici in quanto considerati strumenti che possono prestarsi a finalità elusive della normativa in materia di appalti I. Così il legislatore ha previsto che, in tutti i casi in cui la gestione non è in grado di coprire integralmente i costi, l'ente pubblico possa intervenire con una partecipazione, sottoforma di prezzo da riconoscere al concessionano, che assicuri il perseguimento dell'equilibrio economico finanziario degli investimenti e della connessa gestione (art. 19, comma 2, legge 109/1994 oggi confluito nell'art. 143 del d.lgs. 163/2006). Purché chiaramente resti al concessionario l'alea della gestione, che è il tratto distintivo rispetto all'appalto classico. Di fronte alla constatata necessità di assicurare un prezzo all'investitore privato per assicurargli il ritorno economico, l'Amministrazione è libera di decidere la modalità di erogazione del prezzo. Se esistono disponibilità 145
di cassa, il contributo può essere erogato in denaro, mentre se non ricorrono disponibilità finanziarie è possibile concedere un diritto su beni immobili il cui valore o il cui rendimento consenta il mantenimento dell'equilibrio economico e finanziario. La norma di riferimento in proposito è costituita dall'art. 19, comma 2bis della legge 109/1994 (confluito nell'art. 143, comma 5, del d.lgs. 163/2006), il quale prevede che a titolo di prezzo i soggetti aggiudicatori possono "cedere in proprietà o diritto di godimento beni immobili nella propria disponibilità, o allo scopo espropriati, la cui utilizzazione sia connessa o strumentale all'opera da affidare in concessione, nonché beni immobili che non assolvono afunzioni di interesse pubblico2". Strettamente connessa è la norma prevista nel successivo comma 2-ter (che, nella sostanza, corrisponde all'attuale art. 143, comma 9, d.lgs. 163/2006), in base al quale "le amministrazioni aggiudicatrici possono affidare in concessione opere destinate alla utilizzazione diretta della pa, in quanto funzionali alla gestione di servizi pubblici, a condizione che resti al concessionario l'alea economico_finanziaria della gestione dell'opera". È evidente che l'introduzione di entrambe le norme indicate, ad opera della legge 166/2002, ha consentito di estendere ulteriormente l'applicabilità della finanza di progetto. Da allora è possibile, infatti, realizzare strategie integrate di intervento nelle quali opere a basso grado di remunerazione si affiancano ad opere ad elevata remunerazione e, ove necessario, interviene il pubblico con il proprio contributo in denaro o immobiliare; in questo modo si realizza un equilibrio tra livelli differenti di redditività e di rischio, che permette di conseguire l'economicità complessiva del progetto. Come è stato più volte sottolineato, il contributo pubblico è diventato una leva essenziale per far decollare i progetti di investimento, specialmente quando siano opere tiepide e allo stesso tempo permetta di perseguire politiche ulteriori associabili a tali operazioni quali ad esempio: il contenimento dei prezzi dei servizi, l'accelerazione della realizzazione dell'opera, il mantenimento dello standard delle prestazioni in fase gestionale, la riduzione dei prezzi delle abitazioni civili, il calmieramento dei fitti, l'abbattimento dei rischi in una fase di start up dell'operazione 3 Se si sceglie la strada della cessione delle aree, l'Amministrazione deve procedere alla determinazione del prezzo di cessione, ed è necessario avere in considerazione una serie di fattori di rilievo. Innanzitutto l'immobile deve essere ceduto ad un valore congruo, altrimenti si potrebbe concretizzare un'ipotesi di danno erariale e di nullità del contratto; inoltre, il prez.
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zo, sotto forma di cessione dell'immobile che l'amministrazione può corrispondere non può superare un valore massimo indicato dall'amministrazione stessa in sede di band0 4; allo stesso tempo occorre assicurare un meccanismo che preveda la possibilità, da parte dei concorrenti, di poter chiedere un contributo pubblico inferiore a quello massimo indicato dall'amministrazione e che, a tale offerta di riduzione del prezzo, debba essere assegnato un maggior punteggio ai fini della determinazione dell'offerta economicamente più vantaggiosa; poiché secondo la Legge il prezzo-contributo pubblico pecuniario versato in corso d'opera al concessionario è garantito o dalla responsabilità solidale dei soci della società di progetto o da garanzie bancarie ed assicurative fino al collaudo, dovrebbe essere strutturata una garanzia che tenga conto della diversa natura del prezzo/bene immobile e che, perciò, permetta di cederne subito la proprietà prima della realizzazione delle opere pubbliche senza compromettere l'amministrazione in un'operazione azzardata 5 Come è noto, un criterio per la determinazione del valore dei beni immobili, nell'ambito nella disciplina delle alienazioni immobiliari da parte degli enti pubblici, è indicato dall'art. 83, comma 6 del Regolamento di cui al d.PR 21 dicembre 1999, n. 554 e precisa che, nel caso di procedura di appalto remunerata con la contestuale alienazione del bene pubblico, "il valore dei beni immobili da trasferire a seguito della procedura di gara è determinato dal responsabile de/procedimento sulla base dei criteri estimativi desumibili dalle norme fiscali". Il valore così determinato dell'immobile e dei diritti edificatori, per evitare di incorrere in responsabilità erariali, deve essere posto a base di gara ex artt. 85 a), 87 a) e 91, commi i e 2, d.PR 21 dicembre 1999, n. 554 che rinvia all'art. 21, comma 2, sub b) della Legge, per cui l'ammontare del prezzo-contributo, richiesto all'amministrazione dal potenziale concessionario, deve essere posto a base di gara, con gli altri criteri elencati, per la valutazione dell'offerta economicamente più vantaggiosa. "Per far ciò, il concorrente può ben richiedere all'amministrazione un prezzo-contributo inferiore a quello corrispondente al valore offerto per gli immobili, però la diffirenza tra il prezzo richiesto all'amministrazione e il valore offerto per gli immobili dovrà sa/dario finanziariamente in caso di aggiudicazione. L'amministrazione potrà, quindi, valutare con un punteggio ponderale maggiore il concorrente che gli chiederà un contributo pubblico inferiore a quello posto a base d'asta6 Quanto al momento della cessione della proprietà ovvero di altro diritto immobiliare, la disciplina di riferimento è stata oggetto di importanti .
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modifiche. Infatti, in origine, era previsto che il prezzo-contributo pubblico poteva essere versato al concessionario tassativamente a collaudo effettuato, e lo scopo di tale previsione era evidentemente quello di sollecitare il concessionario alla realizzazione dell'opera con i propri mezzi in modo da avviare quanto prima la fase gestionale. In questo modo si evitava che la costruzione dell'opera fosse realizzata in parte con i soldi pubblici, assimilando la concessione all'appalto, con la conseguenza che in caso di fallimento del progetto l'amministrazione avrebbe perso il proprio contributo senza contropartita. La nuova formulazione della norma (art. 37-quinques, comma 1-ter, legge 109/1994 oggi confluito nell'art. 156 del d.lgs. 163/2006) prevede ora che il prezzo possa essere corrisposto al concessionario anche in corso di esecuzione dei lavori, purché siano rispettate le cautele legislativamente prescritte. È previsto, infatti, che il concessionario costituisca una società di progetto, e che il rimborso del contributo pubblico, erogato in corso d'opera, sia garantito ex lege dalla responsabilità solidale dei soci della società di progetto, fino a quando non sarà emesso il certificato di collaudo delle opere. In alternativa, per attenuare è consentito ai soci di sostituire la propria garanzia solidale per la restituzione del prezzo erogato in corso d'opera, con garanzie bancarie ed assicurative possibilmente c.d. a prima richiesta. In proposito si sottolinea che sono stati espressi fondati dubbi circa l'adeguatezza di tale ultima garanzia, nell'ipotesi di prezzo "immobiliare" in quanto una polizza a prima richiesta garantisce parzialmente l'amministrazione e solo del valore degli immobili ceduti. Infatti, potrebbe verificarsi che il concessionario dopo essere divenuto proprietario delle aree cedute con i relativi diritti edificatori o degli immobili, decida di non procedere alla realizzazione di tutte le infrastrutture, ad esempio cerchie la quotazione di mercato delle cubature costruite in proprio sulle aree cedute dall'amministrazione o dell'immobile a seguito di ristrutturazione, remuneri, in caso di vendita, il concessionario di un valore superiore alla condanna al risarcimento danni per inadempimento della concessione, permettendogli di liberarsi dalla necessità di realizzare le opere pubbliche e dalla prolungata fase gestionale senza danni non sostenibili. Al fine di evitare tale denegato scenario, può essere opportuno ricorrere ad una disciplina convenzionale che tuteli l'Amministrazione da possibili impieghi distorsivi dell'utile strumento sollecitatorio previsto dall'art. 37quinques, comma 1-ter della legge 109/1994 7 .
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La cessione di diritti reali all'interno di una procedura per l'affidamento di un contratto di concessione non permetterà di ottenerne la massima valorizzazione, se non altro per il ristretto mercato dei potenziali concorrenti, i quali hanno dei requisiti di qualificazione piuttosto gravosi. A questo riguardo la PA avrà cura di indicare un valore di cessione del diritto almeno pari a quello di mercato, altrimenti andrebbe incontro a ipotesi di responsabilità amministrativa e di nullità/annullabilità della cessione. Tuttavia, come accennato, le ragioni che spingono ad utilizzare tale strumento di finanziamento sono certamente meritevoli: il tempo, la necessità di tenere uniti due procedimenti, l'appeal procurata alla complessiva operazione di finanza di progetto. Un'attenta riflessione rileva come ciò che effettivamente spinge il privato non è tanto la prospettiva dei ricavi di gestione dell'opera, quanto la redditività della valorizzazione del contributo pubblico sotto forma di diritti immobiliari. La differenza economica tra il valore dell'immobile con i relativi diritti edificatori e/o il cambiamento di destinazione d'uso, così come quantificato dalla PA in sede di determinazione del contributo pubblico, e il valore delle cubature edilizie costruite o ristrutturate in proprio dal concessionario, diventa il nuovo motivo d'interesse economico per gli investitori che contribuiscono a rendere "calde" le iniziative di PE
In materia di vendita di cosa futura: Cons. Stato, parere dell'Adunanza generale del 17 febbraio 2000, n. 2; Cons. Stato, sez. III, parere 11 maggio 1999, n. 596; Cons. Stato, Comm. Speciale, parere, 2 marzo 2000, n. 167011999; Cons. Stato, sez. V, 10 gennaio 2005, n. 31; Autorità di vigilanza sui lavori pubblici, deliberazione del 19 giugno 2004 n. 105. In materia di leasing: Cons. di Stato, sez. III, 10 maggio 1994, n. 89919; Cons. di Stato, sez. V, 5 giugno 1991, n. 338 e più di recente Cons. di Stato, sez. V, 10 gennaio 2005, n. 31. 2 È opportuno procedere a un'analisi attenta del tipo di beni conferibili in luogo del contributo in denaro perché in relazione a ciascuno di essi sono previste cautele e particolari prescrizio-
ni di cedibilità. A tal riguardo sono distinguibili nella norma: i beni che possono essere dati in veste di contributo pubblico senza che c siano particolari condizioni per la loro cessione che non sia quella generale di consentire l'equilibrio economico-finanziario degli investimenti e della connessa gestione. Appartengono a questa tipologia a) i beni immobili che fanno parte del patrimonio disponibile, b) i beni immobili intesi come porzione dell'opera da costruire da parte del concessionario; - i beni che devono essere oggetto di espropriazione a condizione, però, che sussista una loro connessione o strumentalità con l'opera principale da affidare in concessione, e questo -
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proprio in ragione del sacrificio imposto al privato ablato. E evidente che deve accedersi ad una nozione ristretta della connessione/strumentalità se si vuole evitare che la PA proceda a espropriazioni solo per far cassa in luoghi stranei a quelli dove è destinata a sorgere l'opera pubblica e a espropriare beni che,pur essendo localizzati in prossimità dell'opera principale, non siano utili alla gestione della stessa. È utile precisare chela stringente interpretazione dei requisiti alternativi di connessione e strumentali mentre giustifica i procedimenti ablatori non ha ragione d'essere dei i beni già appartenenti al patrimonio disponibile. Per essi sembra sufficiente elusivamente il requisito della realizzabilità dell'opera sotto il profilo economico-finanziario. Le prove empiriche della necessità di una minore stringenza interpretativa sono date dal fatto che la PA: a) può procedere ad una loro alienazione, convertendo il quantum ricevuto in contribuzione pubblica all'interno del contratto di concessione, b) può sempre indebitarsi per far fronte al contributo pubblico, ma compiendo un'operazione inefficiente se paragonata alla semplice cessione del bene disponibile; c) cedere i beni divenuti disponibili che devono essere indicati nel programma triennale senza necessità di giustificazioni; - i beni che non assolvono può a funzioni di interesse pubblico a condizione che siano indicati nel programma triennale di cui all'art. 14 della legge. Questi beni si differenziano da quelli appartenenti al patrimonio disponibile originario dell'ente concedente, perché devono essere connotati da una transizione, in altre parole devono essere appartenuti al demanio o al patrimonio indisponibile della Pa e poi essersi trasformato in patrimonio disponibile con idoneo provvedimento accertativi. In questo modo attraverso la necessaria elencazione nel programma triennale delle opere pubbliche si vuole dare pubblicità all'acquisita natura di patrimonio disponibile. Devono in ogni caso escludersi dalla possibilità di poter formare oggetto di contribuzione 150
pubblica tutti quei beni che, indipendentemente dalle loro caratteristiche, sono ricompresi negli elenchi dei beni da dimettere ai sensi del d.l. 35112001 per operazioni di cartolarizzazione e valorizzazione immobiliare. 3 M. RICCHI, Finanza di progetto, contributo pubblico, controllo ed equità, in www.giustiziaamministrativa.it . 4 M. RICCHI, La cessione dei beni immobili della PA nelProject financing dopo la L. 16612002, in «Urbanistica e Appalti» 212003. Si ricorda che l'art. 37-quinques, comma 1-ter della Legge riconosce al concessionario di poter ricevere il prezzo anche in corso di esecuzione dei lavori, tuttavia, a tale evenienza sono state imposte necessariamente alcune garanzie. La prima riguarda la necessità per il concessionario, sia esso singolo o presente in ATI, di costituire una società di progetto, realizzando quello che gli economisti chiamano il ring fence. In altre parole nei procedimenti di PF la costituzione di una società di progetto realizza di per sé una garanzia per la riuscita del procedimento fatto che autorizza, pertanto, l'anticipazione del prezzo in corso di esecuzione dei lavori. La seconda, riguarda il fatto che il rimborso del contributo pubblico, erogato in corso d'opera, è garantito ex lege dalla responsabilità solidale dei soci della società di progetto, fino a quando non sarà emesso il certificato di collaudo delle opere. Per attenuare l'invasività di quest'ultima garanzia ai soci è permesso di sostituire la propria garanzia solidale per la restituzione del prezzo erogato in corso d'opera, con garanzie bancarie ed assicurative possibilmente c.d. "a prima richiesta". 5 M. RICCHI, op. ult. cit., 142 6 M. RICCHI, op. ult. cit., 142. L'autore propone una soluzione contrattuale di questo tipo: I. l'amministrazione concede gli immobili/contributo pubblico in diritto di superficie o di usufrutto sino al momento del collaudo delle opere pubbliche, quando il collaudo verrà eseguito positivamente potrà formalizzarsi l'alienazione anche della nuda proprietà del prezzo ricevuto;
questo meccanismo giuridico ha il pregio di permettere al concessionario di costruire i fabbricati mantenendone la titolarità o di ristrutturare gli immobili garantendosi un diritto reale. In questo modo il concessionario potrà accendere le garanzie immobiliari per eventuali fìnanziatori o alienare la proprietà superficiaria o il diritto di usufrutto e, allo stesso tempo, permette all'amministrazione di rispettare il dettato della Legge che le impone la corresponsione del prezzo sottoforma di cessione delle aree o dell'immobile anche in corso di esecuzione dei lavori delle opere pubbliche; nel caso in cui venga meno il contratto di concessione di costruzione e gestione (inadempimento del concessioriario, fallimento, etc.) prima del collaudo delle opere pubbliche, devono essere regolate pattiziamente le conseguenze in modo tale che l'amministrazione in questa evenienza non venga pregiudicata. Secondo la Suprema Corte (19) "in materia di diritto di superficie a tempo determinato e in specie nell'ipotesi costitutiva con facoltà del concessionano di procedere alla costruzione di un manufatto, se non è consentito all'autonomia negoziale derogare agli effetti dell'accessione auto-
matica che si determina all'atto dell'estinzione del diritto, è invece consentito provvedere convenzionalmente circa il carattere della gratuità o meno della devoluzione prevista dall'art. 953 c.c, nonché circa l'attribuzione delle spese richieste dalla demolizione della costruzione circa la configurazione di un diritto del superficiario sui materiali da costruzione quale mero diritto di credito, e non quale espressione di ius in rem non più esistente". In altre parole, in caso di conclusione anticipata della concessione, si vuole evitare che l'amministrazione sia costretta a corrispondere al concessionario (o al curatore fallimentare) l'indennità di arricchimento senza causa per l'effetto dell'accessione al proprio suolo delle opere o delle ristrutturazioni intraprese costruite dal concessionario. Con le disposizioni pattizie si può evitare questa evenienza, imponendo al concessionario o la riduzione in pristino, oppure, nel caso in cui l'amministrazione sia interessata ad acquisire i manufatti costruiti dal concessionario o le ristrutturazioni realizzate, a consentirgli la facoltà di acquisto, corrispondendo un'indennità senza automatismi o, in alternativa, sancire la devoluzione gratuita di quanto costruito o ristrutturato.
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istituzioni n. 1401143 Annale 2006
"Promotore: procedimento ad iniziativa privata o pubblica?h'* di Rosa/ba Cori
istituto del promotore è stato oggetto - sin dalla sua introduzione nella legge quadro in materia di lavori pubblici, ad opera della c.d. legge Merloni-ter (legge n. 415/1998) - di un vivace dibattito dottrinale e di numerose pronunce sia della giurisprudenza amministrativa che dell'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici. L'interesse che tale istituto ha suscitato e continua ad avere tra gli operatori del settore è dovuto certamente alla introduzione del Projectfinancing quale modello innovativo per il finanziamento (tipicamente senza oneri finanziari per la PA) e la realizzazione di opere pubbliche o di pubblica utilità ma anche alla complessità del procedimento amministrativo, articolato in più fasi, finalizzato all'affidamento del contratto di concessione di costruzione e gestione. L'istituto, come introdotto nel nostro ordinamento giuridico, si sostanzia nell'individuazione, grazie alle figure del promotore e dei finanziatori, di forme di finanziamento privato ai fini della realizzazione di un'opera pubblica o di pubblica utilità proposta dal promotore, la cui realizzazione e• gestione vengono affidate attraverso un contratto di concessione di lavori pubblici. È chiara la contiguità dell'istituto con la forma classica della concessione di costruzione e gestione di cui all'articolo 143 del Codice dei contratti pubblici, con la quale condivide la finalità di ottenere un coinvolgimento di capitali privati nella realizzazione di infrastrutture e di servizi pubblici. La differenza si concentra, tuttavia, nella circostanza che la concessione di costruzione e gestione ex art. 143 fa perno su un'attività promozionale dell'amministrazione pubblica, mentre il Projectfinancing ruota attorno all'attivitìpromoziona1e di un soggetto privato. Il tema che affronta questo testo è quello di verificare se alcune novelle legislative, che hanno modificato le modalità di avvio del procedimento del promotore abbiano trasformato quest'ultimo da procedimento ad iniziativa privata a tipico procedimento ad iniziativa pubblica, tradizionalmente attivato dall'amministrazione procedente. L'Autrice è componente dell'Unità tecnica finanza di progetto 152
(cIPE).
BREVE EXCURSUS NORMATIVO SULLE MODALITÀ DI AVVIO DEL PROCEDIMENTO DEL PROMOTORE
La legge istitutiva del promotore (legge n. 415/1998)— che ha introdotto gli artt. 37-bis e ss nella legge Merloni - prevedeva che "entro 1130giugno di ogni anno" i soggetti dotati di idonei requisiti così come specificati dalle norme, potessero presentare alle Amministrazioni aggiudicatrici proposte relative alla realizzazione di opere pubbliche o di pubblica utilità, inserite nella programmazione triennale ovvero negli strumenti di programmazione formalmente approvati dall'AA sulla base della normativa vigente. Inizialmente, dunque, condizione sufficiente per la presentazione delle proposte era che l'infrastruttura da realizzare fosse stata previamente individuata dall'amministrazione ed inserita in uno degli strumenti di programmazione. Il termine 30 giugno - quale unica scadenza prevista ex lege per la presentazione delle proposte - è stato definito dall'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici come termine perentorio a tutela della concorrenza volto ad assicurare, in particolare, il rispetto dei principi della trasparenza e della par condicio tra i promotori. L'art. 14 della legge Merloni, relativo alla programmazione dei lavori pubblici, contestualmente modificato dalla suddetta legge 415/1998, prevedeva che "in particolare leAA individuano con priorità i bisogni che possono essere soddisfai-ti tramite Li realizzazione di lavorifinanziabili con capitali privati, in quanto suscettibili di gestione economica" (c. 2) e che "il programma triennale deve prevedere un ordine dipriorità tra le categorie di lavori, nonché un ulteriore ordine di priorità all'interno di ogni categoria. In ogni categoria sono comunque prioritari i lavori di manutenzione, di recupero del patrimonio esistente, di completamento di lavori già iniziati, nonché gli interventi per i quali ricorra la possibilità di finanziamento con capitale privato maggiori-ano" (c. 3) (norme attualmente trasfuse neIl'art. 128, cc.2 e 3 del Codice dei contratti pubblici). Tali norme, finalizzate a sottolineare la centralità della programmazione triennale nella realizzazione delle opere pubbliche sono volte, altresì, ad incentivare le amministrazioni all'utilizzazione dello strumento della finanza di progetto. Successivamente, l'art. 7 della legge n. 166/2002, ha modificato, tra l'altro, l'art. art. 37-bis, prevedendo che "le proposte sono presentate entro 153
il 30 giugno di ogni anno oppure, nel caso in cui entro tale scadenza non siano state presentate proposte per il medesimo intervento, entro il 31 dicembre La legge ha introdotto altresì il comma 2-bis al medesimo articolo 37bis, prevedendo che "entro venti giorni dall'avvenuta redazione dei programmi di cui al comma 1, le AA rendono pubblica la presenza negli stessi programmi di interventi realizzabili con capitali privati, in quanto suscettibili di gestione economica, pubblicando un avviso indicativo con le modalità di cui all'articolo 80 del Regolamento mediante affissione presso la propria sede per almeno sessanta giorni consecutivi, nonché pubblicando lo stesso avviso, a decorrere dalla sua istituzione, sul sito informatico individuato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri ai sensi dell'art. 24 della legge 24 novembre 2000, n. 340 e, ove istituito, sul proprio sito informatico. L'avviso è trasmesso all'Osservatorio dei lavori pubblici che ne dà pubblicità. Fermi tali obblighi di pubblicazione, le AA hanno facoltà di pubblicare lo stesso avviso facendo ricorso a differenti modalità, nel rispetto dei principi di cui all'articolo 1, comma 1, della presente legge". La modifica normativa, relativamente alla fase di avvio del procedimento del promotore prevedeva, quindi, due grosse novità. La prima concerne l'introduzione di un secondo termine entro il quale presentare le proposte finalizzato ad offrire al mercato, considerata la complessità della documentazione da redigere, un piui ampio lasso temporale per la predisposizione della proposta. Tale termine è stato identificato dall'Autorità quale unico termine di proroga legislativamente previsto. La seconda novità è relativa all'obbligo di pubblicazione - per almeno sessanta giorni consecutivi - di un avviso indicativo, che rende pubblica la presenza nei programmi, di interventi da realizzare in projectfinancing. Pii'i recentemente, al fine di conformarsi alle osservazioni formulate dalla Commissione europea su taluni aspetti del procedimento del promotore e risolvere la procedura di infrazione n. 2182 del 2001, il legislatore nazionale con la legge comunitaria per il 2004 (legge n. 62/2005), ha provveduto ad integrare la disciplina in materia di PF ed, in particolare, la disposizione concernente il contenuto dell'avviso pubblico. L'art. 24 della citata legge comunitaria ha aggiunto all'art. 37-bis, comma 2-bis, della legge Merloni alcuni periodi volti ad indicare il contenuto minimo dell'avviso indicativo. In particolare, viene precisato che quest'ultimo deve contenere i criteri, nell'ambito di quelli indicati dall'articolo 154
37-ter, in base ai quali si procede alla valutazione comparativa tra le diverse proposte. L'avviso deve, altresì, indicare espressamente che è previsto il diritto a favore del promotore ad essere preferito ai soggetti presentatori delle due migliori offerte nella precedente fase di gara, che partecipano alla procedura negoziata, ove lo stesso intenda adeguare il proprio progetto alle offerte economicamente più vantaggiose presentate dai predetti soggetti offerenti. In altre parole, deve essere indicata l'esistenza del diritto di prelazione a favore del promotore a parità di condizioni con l'offerta ritenuta migliore nell'ambito della procedura negoziata. Queste ulteriori modifiche hanno contribuito ad innovare, nella sostanza, l'istituto della finanza di progetto. Il legislatore ha, infatti, riconosciuto la natura para-concorsuale della fase di valutazione della proposta, in cui l'amministrazione aggiudicatrice procede alla individuazione della proposta di pubblico interesse da porre a base della successiva fase di gara per l'aggiudicazione del contratto di concessione. Ciò è avvenuto in linea non soltanto con quanto espresso dalla Commissione europea in sede di procedura di infrazione, ma anche con quanto ritenuto dalla giurisprudenza amministrativa interna - ancor prima della modifica normativa - che aveva riconosciuto la "natura concorsuale" della fase di valutazione del pubblico interesse delle proposte (Cfr. TAR Piemonte, Sez. I, 23 marzo 2005, n. 651; TAR Toscana, Sezione lI, 2 agosto 2004, n. 2860). L'avviso indicativo diviene, così, elemento fondamentale del procedimento del promotore, finalizzato non soltanto a rendere l'iter più trasparente, indicando i parametri cui l'AA si dovrà attenere nella valutazione, ma anche precisando i limiti e le condizioni che l'AA pone ai privati nell'elaborazione della proposta. Ovviamente tanto più dettagliate saranno le indicazioni contenute nell'avviso tanto minore potrà essere l'apporto innovativo e ideativo dei privati, salvo che l'Amministrazione stessa non specifichi la possibilità di integrare o modificare gli elementi inseriti nell'avviso (TAR Puglia, Bari, Sez. I, 9 settembre 2004, n. 3877). Il Codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 163/2006) ha abrogato la legge Merloni e, conseguentemente l'art. 37-bis della legge, riproducendone interamente il contenuto nell'art. 153. La disciplina, così come da ultimo modificata, risulta pertanto invariata. 155
In seguito all'abrogazione del DM 25 ottobre 2005, recante la disciplina transitoria relativa all'avviso indicativo ("Disciplina delle procedure in corso i cui avvisi indicativi, pubblicati prima della data del3l gennaio 2005, non contengano l'indicazione espressa del diritto di prelazione a favore del promotore"), l'articolo 253 ("Norme transitorie"), il comma 26 del Codice dispone, con riferimento agli avvisi indicativi, pubblicati prima del 31 gennaio 2005, che non contengano l'indicazione espressa del diritto di prelazione, le modalità per la successiva pubblicazione. Sin qui la ricostruzione normativa delle modalità di avvio del procedimento del promotore. Da tale ricostruzione emerge la diversa importanza assunta - in seguito alla successione delle modifiche normative - dai termini relativi alla presentazione delle proposte. Nella disciplina iniziale dell'istituto, essendo sufficiente per la presentazione delle proposte l'inserimento dell'opera negli strumenti di programmazione approvati dall'AA, la previsione di un termine fissato ex lege rispondeva ad una precisa ratio. Successivamente, divenuto obbligatorio l'avviso, i termini assumono un rilievo meramente formale, ben potendo essere fissati nel medesimo avviso. Come da più parti auspicato, potrebbero essere previsti dei "termini a scorrimento", ovvero la fissazione di un termine minimo necessario per la predisposizione delle proposte, che inizi a decorrere dalla data di pubblicazione dell'avviso ed un successivo termine di proroga nel caso in cui entro la prima data indicata nell'avviso non siano state presentate proposte per il medesimo intervento. Tutto ciò nel rispetto delle esigenze proprie dell'amministrazione aggiudicatrice, della peculiarità del progetto, delle richieste del mercato e degli operatori privati. In tal senso, infatti, sono alcune leggi regionali di attuazione alla legge quadro in materia di lavori pubblici nonché alcuni disegni di legge presentati - o ripresentati - nell'attuale legislatura, aventi ad oggetto la riforma della finanza di progetto. Discorso diverso va fatto, invece, relativamente all'introdotta obbligatorietà dell'avviso, che risponde all'esigenza comunitaria e nazionale di tutela della concorrenza - anticipata alla fase di presentazione e valutazione delle proposte - finalizzata ad assicurare agli operatori economici l'effettività dei principi di pubblicità, par condicio, non discriminazione, leale concorrenza e proporzionalità. 156
LAVVIO DEL PROCEDIMENTO NELLA PRASSI
Passando ad esaminare gli esiti della concreta attuazione delle norme relative all'avvio del procedimento del promotore, si devono segnalare non poche criticità. In particolare, la proroga del termine di deliberazione del bilancio di previsione degli enti pubblici, ad opera dileggi che vengono riproposte annualmente, in molti casi non consente il contemporaneo rispetto, da parte delle AA, delle disposizioni dei commi 1 e 3 dell'art. 153 del Codice, i quali rispettivamente prevedono il 30 giugno quale scadenza per la presentazione delle proposte e l'obbligatorietà della pubblicazione ell'avviso indicativo per almeno sessanta giorni consecutivi. Trattandosi di disposizioni normative, entrambe previste da fonte primaria e, parimenti, inderogabili, il mancato rispetto di una di esse da parte dell'amministrazione potrebbe, comunque, essere sindacabile per violazione di legge. Tenuto conto di ciò, a legislazione vigente, le AA sono tenute a rispettare tutti i vincoli normativamente preposti alla fase di avvio del procedimento, ovvero: pubblicare entro venti giorni dall'avvenuta approvazione dei programmi l'avviso indicativo; rispettare il termine minimo di pubblicità di sessanta giorni dell'avviso, secondo le modalità normativamente previste; prevedere, nel caso in cui entro tale scadenza non siano state presentate proposte per il medesimo intervento, la data del 31 dicembre. In quest'ultimo caso, la frase "nel caso in cui entro tale scadenza non siàno state presentate proposte per il medesimo intervento" può interpretarsi sia nel senso di motivi inerenti l'amministrazione (ritardi nell'approvazione dei programmi, nella redazione dell'avviso, nella pubblicazione, ecc.), sia di motivi concernenti il mercato (disinteresse per l'infrastruttura da realizzare, necessità di un lasso temporale maggiore per la predisposizione della proposta, difficoltà ad organizzare la compagine associativa per la presentazione dell'intervento, ecc.). Qualora, ad esempio, un'AA a causa del ritardo nell'approvazione del bilancio di previsione e della programmazione, pubblichi l'avviso il 20 maggio, quindi entro il termine del 30 giugno non si è concluso il periodo di 60 giorni dalla pubblicazione dell'avviso, ricorre in tale circostanza la fattispecie del punto 3); quindi, al fine del rispetto dei termini di pub157
blicazione, trascorsa inutilmente la data del 30 giugno, potrà essere utilizzato solo ed esclusivamente il termine di proroga deI 31 dicembre. Non appare corretta, invece, la previsione di proroghe dei termini discrezionalmente indicati dalle AA nell'avviso indicativo. Né parimenti può considerarsi il 31 dicembre quale prima data utile per presentare le proposte, qualora non sia stato considerato come primo termine quello del 30 giugno per il medesimo procedimento. Qualora, infine, un'AA riceva una proposta entro il termine del 30 giugno in assenza della pubblicazione di un avviso, la stessa dovrà dichiarare irricevibile quella proposta perché pervenuta in violazione di una norma imperativa ed in violazione dei principi dell'ordinamento giuridico a tutela della concorrenza. CONSIDERAzIONI SULLA NATURA PUBBLICA O PRIVATA DELL'ISTITUTO DEL PROMOTORE
Tutto ciò precisato sulla natura dell'avviso e sull'attuale funzione meramente formale assunta dai termini per la presentazione della proposta, viene mossa all'istituto del promotore, così come venutosi a delineare nella fase di avvio del procedimento, una fondamentale obiezione. Stante l'obbligatorietà di pubblicazione di un avviso ad opera delle AA per poter legittimamente presentare una proposta, non si è pii innanzi ad un procedimento che vede il privato quale promotore dell'intera iniziativa progettuale, ma innanzi ad un procedimento ad iniziativa pubblica. In realtà è ormai pacifico in dottrina che ciò che qualifica il procedimento del promotore come ad iniziativa privata è la predisposizione, ad opera di quest'ultimo, di tutta la documentazione che costituisce la proposta che, qualora dichiarata di pubblico interesse, viene fatta propria dall'amministrazione e posta a base della successiva gara per l'aggiudicazione della concessione. Nel procedimento ad iniziativa pubblica, finalizzato all'affidamento della concessione di lavori pubblici ai sensi dell'art. 144 del Codice, è l'amministrazione aggiudicatrice che predispone tutta la documentazione da porre a base di gara e, dunque, che controlla tutto il procedimento, potendo affidare al privato, da un punto di vista progettuale, anche soltanto la revisione della progettazione redatta dall'AA, oltre al finanziamento, alla realizzazione e alla gestione dell'opera. È l'AA che condiziona, attraver158
so le scelte progettuali, economico-finanziarie e giuridiche, l'impostazione dell'intero progetto. L'apporto ideativo ed innovativo del privato, nel procedimento del promotore sta, invece, nella redazione del progetto e di tutta la documentazione da predisporre a corredo della proposta. Resta pubblica, invece, la fase di programmazione e la scelta dell'infrastruttura da realizzare, nonché le modalità attuative. Tuttavia anche in questa fase il legislatore ha aperto un varco all'iniziativa privata. La citata legge n. 166/2002, aggiungendo alcuni periodi al primo comma dell'articolo 37-bis dell'abrogata legge Merloni, ha infatti previsto che cc soggetti pubblici e privati possono presentare alle amministrazioni aggiudicatici, nell'ambito della fase di programmazione, proposte d'intervento relative alla realizzazione di opere pubbliche o di pubblica utilità e studi di fattibilità. Questa presentazione non determina, in capo alle amministrazioni, alcun obbligo di esame e valutazione". Tuttavia le amministrazioni possono adottare, nei propri programmi, tali proposte e studi se ritenuti di pubblico interesse. Vero è che l'adozione non determina alcun diritto del proponente al compenso per le prestazioni compiute o alla realizzazione degli interventi proposti. Tuttavia, al privato è attribuito un ruolo d'impulso, finalizzato a smuovere l'inerzia della pubblica amministrazione anche nella fase programmatoria, tradizionalmente prerogativa esclusiva della PA. Il privato proponente - qualora la proposta sia stata inserita nel programma triennale - potrà partecipare alle procedure per la realizzazione e gestione dell'opera in Projectfinancing, con buone chance di aggiudicazione atteso il vantaggio competitivo derivante dalla ideazione dell'opera e da specifico know how su tutti gli, aspetti del progetto. CONCLUSIONI
L'introduzione dell'obbligo di pubblicazione dell'avviso indicativo quale conditio sine qua non per la presentazione delle proposte ed il contemporaneo rispetto dei termini peretitori indicati dalla legge, non snatura, a nostro avviso, la peculiarità del promotore, quale procedimento ad iniziativa privata nel senso innanzi precisato. Vale comunque precisare, in conclusione, che l'obbligo dell'avviso e della definizione dei parametri di selezione delle proposte potrebbe non esse159
re agevole, atteso che al momento della redazione dell'avviso non esiste alcun livello di progettazione a disposizione dell'AA. Molto dipenderà, dunque, dal grado di approfondimento degli studi di fattibilità degli interventi inseriti nel programma triennale dei lavori pubblici, inteso anche quale momento attuativo degli studi di fattibilità. Un'Amministrazione che decide di realizzare un'opera per il soddisfacimento di taluni bisogni pubblici, per scegliere la modalità attuativa più conveniente, in termini di efficacia, efficienza ed economicità, dovrà realizzare degli accurati studi di fattibilità, finalizzati a dimostrare, tra l'altro, anche il valore delle scelte effettuate (c.d. Valuefor Money - VFM). Tali studi di fattibilità - nell'ambito di operazioni realizzabili in finanza di progetto in quanto suscettibili di gestione economica - dovrebbero aumentare la razionalità del processo decisionale pubblico in relazione alla convenienza di forme di partnership con i soggetti privati ed in particolare alla effettiva convenienza del ricorso al Projectfinancing. Ciò al fine di dimostrare la "creazione di valore" per la collettività, riuscendo ad ottimizzare lo sfruttamento delle risorse scarse a disposizione dell'AA, ed ottenendo il miglior risultato possibile in relazione agli obiettivi che la stessa - nell'esercizio del proprio potere discrezionale - ha fissato. Il valore delle scelte effettuate dall'Amministrazione è, in molti Paesi europei, oggetto di valutazione tramite l'utilizzo di metodologie ad hoc, tra cui un modello denominato Public sector comparator (Psc), nato nei Paesi anglosassoni. Tale modello è di estremo interesse per gli operatori del settore pubblico in quanto consente di supportare le decisioni di convenienza circa l'utilizzo del Projectfinancing o di strumenti di finanziamento alternativi che prevedono il ricorso a capitali privati, valutandone l'impatto in termini economici, tramite la quantificazione ed allocazione dei rischi del progetto. Sulla rilevanza della fase di analisi e studio circa le più convenienti modalità realizzative di una infrastruttura e del relativo servizio da erogare, appare sensibile anche il legislatore italiano che, nello schema del secondo decreto correttivo del Codice, prevede l'obbligatorietà per i soggetti aggiudicatori - relativamente alle c.d. infrastrutture strategiche - di redigere studi di fattibilità. Viene precisato che tali studi sono diretti a verificare, per le infrastrutture che presentano un potenziale ritorno economico derivante dalla gestione dell'opera stessa, le forme per il ricorso a capitali privati ed i presupposti per la concreta attuabilità. 160
In conclusione, vale ribadire che anche nel procedimento del promotore, seppur ad iniziava privata, risulta di primaria importanza il ruolo attivo dell'amministrazione pubblica, sin dalla fase a monte del procedimento relativa alla programmazione, alla redazione degli studi di fattibilità ed alla conseguente scelta della più conveniente modalità realizzativa dell'opera LAA quale soggetto della Partnership pubblico-privata ha non soltanto la responsabilità di curare il pubblico interesse nella realizzazione di opere pubbliche, e nell'erogazione dei servizi, controllando e valutando l'intero processo, ma anche quella di porsi quale soggetto consapevole ed autorevole, in gt'ado di offrire garanzie di certezza e stabilità al mercato, ai privati promotori, ai finanziatori. Ci troviamo certamente innanzi ad una nuova sfida per le amministrazioni pubbliche, non sempre all'altezza delle nuove e complesse funzioni attribuite, ma anche ad un'occasione nella direzione di quella crescita e rinnovamento dell'amministrazione pubblica che - inaugurata con le leggi di semplificazione degli anni Novanta del secolo scorso - sta faticosamente ma progressivamente andando avanti.
* Relazione presentata al convegno febbraio 2007.
IGI
su "Lavori pubblici
1-ra
rfirma e controrifirma", Roma, 28
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istituzioni n. 1401143 Annate 2006
Un approccio alternativo alla valutazione degli investimenti pubblici I! Public sector comparator di Maria giovanna Sessa
J
n un contesto come 'quello attuale, caratterizzato da una necessità di investimenti infrastrutturali che si accompagna ad una imprescindibile carenza di risorse pubbliche, si "infervora" il discorso sull'opportunità del ricorso a fonti finanziarie private per la realizzazione e gestione di infrastrutture pubbliche o di pubblica utilità. Lo strumento che al momento sembra essere il più adeguato ai fini della realizzazione di un tale coinvolgimento di soggetti e capitali privati è senza dubbio la tecnica finanziaria del Projectfinancing, conosciuta in Italia con una locuzione-traduzione che tenta di non palesarne eccessivamente le innegabili origini anglosassoni, vale a dire "Finanza di progetto", tematica "alla moda" in contesti e dibattiti accademici e non. Se il coinvolgirnento dei privati può apparire conveniente sia per essi stessi nel caso delle cosiddette opere calde , nelle quali si puo contare sul loro esclusivo rischio e sostegno finanziario generato dalla "pedaggiabilità" del servizio in questione - che per lo stesso soggetto pubblico, il quale si trova in questi casi a svolgere la sola funzione di regolatore del quadro normativo ed economico, diverso è il caso delle opere "tiepide" o "fredde", scarsamente remunerative per il privato e necessariamente comportanti un impegno finanziario per il soggetto pubblico, coinvolto dunque in una partnership con il finanziatore privato. È evidente che, in questo secondo caso, due ottiche e due esigenze, talvolta opposte, si confrontano - e si scontrano - per trarre il maggior vantaggio possibile dalla collaborazione instaurata, nell'obiettivo di pervenire alla migliore, - e più conveniente per entrambe le parti - allocazione dei rischi. La citata scarsità di risorse pubbliche comporta la necessità di allocarle nella maniera più efficiente possibile, mediante un'analisi dettagliata dei costi e dei benefici che si potrebbero presentare a seconda dell'alternativa di realizzazione e gestione prescelta. La decisione di finanziare un'infrastruttura tramite il ricorso
UAutrice è dottore di ricerca in Istituzioni, diritto ed economia dei servizi pubblici presso il dipartimento di Scienze Sociali dell'Università degli Studi di Napoli "L'Orientale". 162
al partenariato e dunque ai capitali privati deve essere sistematicamente posta a confronto con l'eventuale possibilità di realizzazione diretta dell'opera, quale l'appalto tradizionale. Un paragone tra le diverse alternative di finanziamento è fondamentale sia nel caso di progetti che richiedano un coinvolgimento rilevante di risorse pubbliche, sia laddove, a parità di servizi resi, forme tradizionali di realizzazione e di finanziamento rappresentino delle possibilità realistiche ed accessibili per il soggetto pubblico. Gli strumenti tecnici e finanziari funzionali alla verifica dell'opportunità di instaurare o meno un partenariato, sono nati e si sono sviluppati principalmente nel contesto anglosassone, al quale è necessario fare tutt'oggi riferimento sia per quanto riguarda il concetto del cosiddetto Valuefor money, al cui perseguimento mira il processo di valutazione in questione, sia per quanto attiene allo strumento necessario alla sua misurazione, vale a dire il Public sector comparator, oggetto principale di questo lavoro; solo in un secondo momento tenteremo, in un'ipotesi che vuole essere propositiva, di immaginare come tali concetti possano essere adattati alla realtà italiana e dunque al processo che la nostra normativa ha previsto per la scelta delle migliori offerte dei promotori da mettere a base di gara.
IL PERSEGUIMENTO DEL VALUE FOR MONEY
La scelta tra partenariato pubblico-privato e procedure d'appalto tradizionali si fonda sul concetto e sul perseguimento del cosiddetto Valuefor money (VFM): esso rappresenta il prezzo più vantaggioso per l'Amministrazione in termini di costo da sopportare per la realizzazione e gestione diretta di uno specifico progetto (è evidentemente implicito, in questa definizione, il concetto di costo opportunità). In effetti, il VFM indica la congruità dei costi sostenuti sia dall'Amministrazione, direttamente, che dai cittadini-utenti tramite il pagamento di tariffe, ai fini dell'acquisto di beni e servizi offerti dal privato. In un contesto di partenariato, il VFM è notevolmente condizionato dal processo di contrattazione per l'allocazione dei rischi tra soggetto pubblico e privato: potrebbe infatti accadere che un trasferimento eccessivo di rischi sull'operatore privato vada ad intaccare il VFM stesso, come si evince dal grafico che segue': dopo il punto di VFM ottimale (Best VFM), laddove i rischi trasferiti al privato dovessero ulteriormente crescere, il VFM tenderà a diminuire, dal momento che il premio richiesto dal privato per accollarsi un ammontare maggiore di rischio supererà il beneficio derivante da quell'operazione al soggetto pubblico, e, inevitabilmente, le perdite che ne scaturiranno si riverseranno sulla collet163
tività; di conseguenza, lo scopo della finanza di progetto non è il massimo trasferimento del rischio, ma quello ottimale (Optimum risk transfer):
Ottimizzazione dell'aiocazione dei rischi À1
Best VFM
O
Risk Optimum risk tra nsfer Tra nsfer
È evidente come un ruolo notevole in questo approccio sia giocato dalle asimmetrie informative e dall'elevato rischio di pervenire alla stesura di contratti incompleti: come già evidenziato altrove 2, è particolarmente difficoltoso ottenere informazioni adeguate e credibili sui costi e sulle performance che il privato potrebbe essere in grado di garantire, per ogni livello di rischio ad esso trasferito. L'Amministrazione potrebbe infatti non essere in grado di "percepire" se quello che viene ad essa presentato come Best VFM sia in effetti il miglior livello di fornitura possibile dei servizio in questione, dal momento che infinite potrebbero essere le curve, nel grafico sopra riportato, in corrispondenza delle quali, per un livello di trasferimento di rischio al privato pari a quello della curva rappresentata nel grafico, si potrebbe ipotizzare un VFM più basso o più elevato. In ogni caso, posto come obiettivo fondamentale dell'Amministrazione il raggiungimento di un VFM ottimale (Best VFM) 3 , diventa necessario poter disporre di un parametro quantitativo in grado di misurarne l'effettivo perseguimento: pertanto, la migliore offerta proveniente dai soggetti privati - da cui si evincano i costi che l'Amministrazione andrebbe a sostenere nell'ipotesi di partenariato 164
va confrontata con un benchmark rappresentativo del costo di acquisto più effìciente che l'Amministrazione dovrebbe sostenere per la fornitura diretta del servizio, tramite strumenti tradizionali di finanziamento; tale parametro di confronto è il Public sector comparator.
IL PUBLIC SECTOR COMPARATOR
Nella Nota Tecnica della Treasury taskforce (How to consIruct a Public Sector Comparator, vedi nota 1), il Public sector comparator - Psc d'ora in poi - viene definito "a hypothetical risk-adjusted costing by the public sector as a supplier so an output specification produced as part of a FF1 procurement exercise", vale a dire l'ipotetico costo, aggiustato al rischio, di un investimento finanziato e realizzato secondo schemi tradizionali (publicprocurement, appalto pubblico), ossia secondo i sistemi che il soggetto pubblico stesso ha di fornire quell'output, tenendo in considerazione i rischi specifici in cui si potrebbe incorrere ricorrendo a quel tipo di procedura. Il Psc si fonda sul confronto tra il Valore attuale netto (VAI'i) dei costi sopportati dall'Amministrazione sia nel caso di realizzazione e gestione diretta dell'infrastruttura - appalto tradizionale - sia in quello di ricorso ai capitali privati, in un'ottica di partenariato. Esso si articola nelle seguenti componenti principali 4 - il Psc base o costo-base del Progetto, che coincide con il VA1' del costo complessivo sostenuto dalla PA per l'investimento nell'opzione di realizzazione e gestione diretta; - i Rischi trasferibili ed i Rischi non trasferibili al soggetto privato, identificati attraverso un'analisi dettagliata dei rischi che caratterizzano il progetto, nel caso di sua realizzazione in finanza di progett0 5 - A queste voci è possibile aggiungerne una ulteriore, la neutralità competitiva, vale a dire una serie di vantaggi e/o svantaggi finanziari ricadenti in capo al soggetto pubblico nell'ipotesi dell'appalto tradizionale e non ugualmente attribuibili al privato nell'opzione di partenariato 6 . :
.
La differenza di valore dei VAa'T riportati per le due opzioni (appalto tradizionale o Finanza di progetto) rappresenta la misura del VFM acquisito in termini di risparmio sui costi di un'alternativa rispetto all'altra. Il grafico che segue illustra chiaramente il confronto tra un Psc e un'opzione di finanziamento privato (PF) 7 :
Naturalmente, è necessario procedere di volta in volta ad una verifica dell'opportunità di procedere o meno con la costruzione e l'impiego del Psc; in questa 165
r
sc
I
analisi diversi elementi entrano infatti in gioco: la tipologia di progetto (per le opere "calde", che non coinvolgono capitale pubblico, non è necessario alcun comparator ai fini della verifica del VFM), la disponibilità di comparators ottenibili da progetti simili precedenti, l'esistenza effettiva di risorse alternative di finanziamento. Un elemento fondamentale nel percorso di costruzione del Psc è il Progetto di riferimento, vale a dire "il modo più efficiente di fornitura del servizio da parte del soggetto pubblico, sì da soddisfare tutte le esigenze richieste e prestabilite fin dall'inizio, con l'identificazione del bisogno, e così come specificato nella sintesi del progetto, in modo da essere coerenti con la migliore pratica corrent/'8 . Esso viene dunque impiegato come base per il calcolo del Psc, deve utilizzare gli stessi parametri di fornitura del servizio cui dovranno attenersi i privati nel formulare la loro proposta di gara e rappresenta il modo in cui il soggetto pubblico stesso fornirebbe il servizio se fosse lasciato nelle sue mani (dalla progettazione fino alla realizzazione, gestione e manutenzione, per un periodo pari a quello previsto nel contratto di concessione): laddove risultasse che le offerte dei privati non offrano un VFM superiore rispetto al progetto di riferimento, sarebbe quest'ultimo a dover essere realizzato 9 . Successivamente alla stesura del Progetto di Riferimento, si potrà passare al calcolo di quello che abbiamo definito Psc di base, la costruzione del quale serve ad effettuare una stima dei costi che l'Amministrazione dovrà sostenere, senza considerare ancora tutti gli aggiustamenti e le rettifiche. dovute all'inserimento - successivo - delle voci di rischiobo. Queste ultime saranno dunque considerate in un secondo momento, distinguendo, come già accennato, tra: - rischio trasferibile è il valore dei rischi che si ritiene possano essere trasferiti al privato, laddove l'opera venga realizzata in finanza di progetto (esso non è altro che il costo che il soggetto pubblico si attende di dover pagare per 166
quel rischio, laddove il progetto fosse realizzato secondo l'appalto tradizionale); - rischio non trasferibile rappresenta il valore dei rischi che la PA si attende di sostenere essa stessa, anche laddove il progetto venisse realizzato attraverso il partenariato; pertanto esso va aggiunto alle offerte dei privati per determinare il costo effettivo che il soggetto pubblico dovrà sostenere nel caso di partnership. Alcuni rischi potrebbero appartenere ad entrambe le categorie ed essere dunque negoziabili: saranno pertanto oggetto di contrattazione, potendo anche essere condivisi da entrambe le parti in base a specifiche formule contrattuali. Solitamente, ai fini dell'analisi dei rischi, si procede secondo i seguenti passaggi consecutivi: - costruzione di una matrice dei rischi: in essa vanno inserite tutte le tipologie e categorie di rischi in cui il soggetto pubblico si può trovare ad incorrere nel corso del progetto; - quantficazione delle conseguenze di ciascun rischio precedentemente identfìcato: questa è una delle fasi più complicate e potrebbe essere di particolare sostegno l'eventuale disponibilità di informazioni relative ad esperienze passate di fornitura di un servizio simile da parte della PA. Per quantificare l'impatto dei vari rischi, può essere consigliabile raccoglierli in più categorie (es. rischio catastrofico, serio, medio, trascurabile, ecc.); - stima, per ciascun rischio identificato, della probabilità che esso si verifichi (come noto, è possibile stimare la probabilità del verificarsi di un evento di rischio attraverso l'impiego di diverse tecniche quantitative, semplici o avanzate: nel primo caso si ottengono delle stime puntuali del rischio, nel secondo delle distribuzioni di probabilità il ; - valutazione del costo di ciascun rischio identificato, in considerazione della probabilità attribuita al suo verificarsi. Tale analisi ha come fine il raggiungimento della misura del costo atteso di ciascun rischio per la PA, laddove quell'investimento venisse realizzato con gli strumenti dell'appalto tradizionale. Tale misura rappresenta pertanto una stima di quanto la PA sarebbe disposta a pagare per trasferire il rischio al privato in un'ottica di partenariato 12 - allocazione dei rischi: trasferimento del rischio sul soggetto maggiormente in grado di gestirlo. ;
Nell'esperienza anglosassone, nostro continuo riferimento, viene utilizzata una approfondita ed accurata catalogazione dei possibili eventi di rischio, sintetizzabile come nella tabella seguente 13 : Come si evince dalla tabella, il processo di identificazione del. rischio richiede 167
La catalogazione del rischio 4.08
Codice del rischio
Rischi operativi
Categoria
Stima non corretta dei costi di manutenzione
Rischio Definizione
I costi di manutenzione potrebbero essere diversi da quelli stimati Il costo di manutenzione è stimato in 500.000 euro
Impatto Rischio trattenuto dall'impresa
Psc:100%
Periodo di riferimento
PFI: 0% Gestione
Worst case:
Medium case:
Best case:
Sottostima dei costi del 50%
Sottostima dei costi del 20%
Previsione corretta dei costi
Costo annuo
250
100
0
Probabilità
15%
70%
15%
Ipotesi
Contratto di PF
Indicare articolo relativo alla convenzione di finanza di progetto
non soio l'individuazione della fase in cui esso possa verificarsi (costruzione, gestione), ma anche la previsione di una serie di scenari (Worst, Medium, Best), per ognuno dei quali viene ipotizzata la probabilità che si verifichino. La differenza tra il costo inizialmente stimato e quello atteso, calcolato considerando la probabilità che ciascun rischio si verifichi, va ovviamente ad influire sul Psc (incrementandolo o riducendolo a seconda che tale differenza sia, rispettivamente, positiva o negativa)' 5 . Una volta costruiti il progetto di riferimento e la matrice dei rischi ed effettuato il calcolo della probabilità degli eventi possibili, è necessario selezionare le offerte dei privati più vantaggiose e procedere al confronto della migliore di esse con il Psc. Nella tabella che séguel 6 viene presentato il confronto tra le offerte dei privati: Come si evince dall'esempio riportato nella tabella, tutti e tre i privati offe168
Offerte standard dei privati
Offerte alternative dei privati
A
B
C
A
B
C
VAN di base*
429
430
440
N.O. 16
450
450
Rischi trasfer., come in Psc
35
35
35
N.O.
75
50
Rischi attribuiti al soggetto p ubblico* Considerati come trasferibili DBF0 17
Trasferito Trasferito Trasferito
N.O.
Manutenzione
Trasferito Trasferito Trasferito
N.O.
10
Trasferito
10
Trasferito Trasferito
Considerati come negoziabii Sanità e Sicur.
10
10
10
N.O.
Trasferito
Tecnologia
15
15
15
N.O.
Trasferito Trasferito
Considerati come non trasferibili Modifiche sogg. Pubblico
25
25
25
N.O.
Trasferito
25
Legislazione discriminatoria
20
20
20
N.O.
20
20
499
500
510
N.O.
480
505
VAN corretto coi rischio
1
renti (A,B,C) hanno effettuato un'offerta standard, ma solo due di essi (B e C) hanno effettuato anche un'offerta alternativa. L'offerta standard del privato A è di £429M: con questa cifra viene coperto sia il costo di investimento di base che 2 rischi trasferiti (DBFO e manutenzione, considerati entrambi trasferibili nell'ambito della valutazione del rischio nel Psc ed accettati dalle tre offerte standard). Il VAa' di base, nel caso dell'offerta standard del soggetto A pari a £429M, comprende i costi associati a tali rischi trasferiti, la cui somma ammonta a £35M (25M per il DBFO e L10M per la manutenzione). Gli altri quattro rischi (sanità e sicurezza, tecnologia, modifica del soggetto pubblico e legislazione discriminatoria) contribuiscono al costo complessivo dell'appalto per il soggetto pubblico: ad esempio, l'offerta standard del soggetto A avrebbe per il soggetto pubblico un costo pari a £499M, dati dalla somma del prezzo di offerta (E429M) e dei rischi non trasferiti al privato (E70M, somma di 10+15+25+20). 169
Le due offerte alternative hanno, come si può notare dalla suddetta tabella, una diversa allocazione dei rischi: nella sua offerta alternativa il soggetto B non accetta il trasferimento del rischio di manutenzione, ma accetta tuttavia quelli relativi a sanità e sicurezza e modifiche del soggetto pubblico, riuscendo in tal modo ad ottenere un valore finale, con relativi aggiustamenti per il rischio, pari a £480M' 8 . Successivamente alla scelta della migliore offerta dei privati, è necessario effettuare il confronto tra l'allocazione dei rischi prevista dall'offerente e quella individuata nell'ambito del Psc; infine, andranno aggiunti al Psc i costi che il soggetto pubblico dovrebbe sostenere relativamente ai costi trasferiti al privato nell'ambito della migliore offerta privata. La tabella che segue 19 illustra il confronto tra il VFM ottenibile con il partenanato e quello ottenibile con sistemi di appalto tradizionali. Come si evince dalla tabella, la migliore delle offerte private (offerta B) consente di ottenere un maggiore VFM rispetto al Psc: laddove l'offerta privata ed il Psc fossero molto prossimi, sarebbe infine necessario effettuare un'analisi di sensitività per sostenere ed avallare la decisione. Nel caso in cui la realizzazione dell'offerta del privato si rivelasse la soluzione piìi conveniente, il soggetto pubblico diventerebbe un cliente che da questi acquista beni e servizi a pagamento. Subentreranno tuttavia, in questa fase, forti necessità di controllo attraverso strumenti quali il contratto di servizio 20, ai fini della verifica dell'adeguatezza quantitativa e qualitativa dell'offerta, e della capacità di quest'ultima di consentire l'ottenimento del VFM previsto.
170
Proposta alternativa Offerta B
Psc
452.5
385.0
DBF0
Trasferito
25.0
Manutenzione
10.0
10.0
Sanità e sicurezza
Trasferito
10.0
Tecnologia
Trasferito
15.0
Modifica sogg. pubbli.
Trasferito
25.0
Legislaz. discrimin.
20.0
20.0
Trasferimenti staff/clienti
2.5
5.0
£485.0
£495.020
di base rivisto (con rischio inatteso ed addizionale da condividere con il soggetto pubblico)
VAN
Rischi attribuiti al soggetto pubblico Considerati come: Trasferibili
Negoziabili
Non trasferibile
Rischio inatteso da condividere VAN
corretto col rischio
Le voci possono così essere raggruppate Offerta originale
rischi trasferiti
450.0
385.0
Incremento del prezzo di offerta per rischio sopravvenuto e condiviso
2.5
0.0
Rischio sopportato
32.5
110.0
£485.0
£495.0
Trasferito
75.0
0.0
Non trasferito
32.5
110.0
Condiviso
2.5
+
Confronto del Value for Money Rischio Finale
Costo totale dei rischi
£1 10.0
0.0 £1 10.0
171
CONCLUSIONI
Il percorso di costruzione del Public sector comparator, nonché quello che conduce al confronto tra esso e la migliore offerta dei privati, è particolarmente complesso, dal momento che, come si è avuto modo di osservare più volte, si presenta, con una certa persistenza, il problema delle asimmetrie informative tra soggetto pubblico e privato. Da ciò deriva l'inevitabile, notevole difficoltà di stipulare dei contratti completi: il privato è infatti indotto a dichiarare funzioni di costo non veritiere ed a ridurre l'efficienza nel processo di fornitura del servizio, incidendo notevolmente sulla qualità di quest'ultimo. Oltre ai dubbi circa le difficoltà di implementare la procedura del Psc nell'ambito della PA italiana22, resta un'ulteriore perpiessità: ci si domanda, infatti, come mai finora nel nostro Paese una tale tecnica non sia stata eccessivamente approfondita, nonostante i continui ed imprescindibili richiami ad essa in sede di convegni e seminari internazionali. Sebbene una certa giustificazione sia senz'altro rintracciabile nelle citate difficoltà di applicazione, sarebbe tuttavia auspicabile nonché opportuno che chi si occupa della materia della finanza di progetto, l'Unità tecnica in primis, ma anche, da un punto di vista più teorico, il mondo accademico stesso, cominciasse a prendere seriamente in considerazione questo strumento, soprattutto in un contesto come quello attuale, di una forte necessità di investimenti infrastrutturali che si affianca, purtroppo, alla crescente scarsità di risorse pubbliche, ed all'esigenza, dunque, di impiegarle nella maniera più efficiente ed opportuna possibile. Una delle soluzioni per incentivare il ricorso a tale tecnica potrebbe essere quella di immaginare il Public sector comparator in una prospettiva "italiana", in un'ottica dunque che sia più calzante e che meglio si adatti alla procedura di valutazione e selezione degli investimenti prevista dalla nostra normativa sui lavori pubblici. Con più precisione, si potrebbe ipotizzare di collegare il Psc con la procedura di asseverazione da parte del sistema bancario del piano economico-finanziario del promotore, così come prevista dalla Legge quadro 109/94. Infatti, dal momento che, come noto, il partenariato coinvolge un notevole numero di soggetti e che, oltre a pubblico e privato, esiste almeno un altro "giocatore" che riveste un ruolo da protagonista, vale a dire l'istituto di credito, si potrebbe immaginare di rafforzare il peso di quest'ultimo, riconoscendo ad esso una posizione che, integrandolo nella procedura del Psc, lo conduca ad acquisire - o a confermare ulteriormente - una sorta di "aura pubblicistica": si ritiene infatti (Autorità di vigilanza sui lavori pubblici) che l'attività di asseverazione 23 172
svolta dagli istituti di credito nei confronti del piano economico-finanziario presentato dal promotore, abbia dei connotati di rilevanza pubblicistica e "di supporto all'attività della pubblica amministrazione' sebbene il sistema bancario (ABI, nota del 15 giugno 2001) abbia talvolta criticato questa interpretazione, a causa dell'eccessiva responsabilità ed onerosità che ne può derivare. Analizzando sia le posizioni dell'Autorità LL.PP. che quelle dell'ABI, sembra innegabile che la banca, nel momento in cui assevera, si trovi a svolgere un ruolo di notevole sostegno della Pubblica Amministrazione, dal momento che mette a servizio della collettività la propria conoscenza del mercato e dunque dei rischi ad esso connessi. È innegabile, inoltre, che l'Amministrazione necessiti di un soggetto esterno che, con competenza, la sostenga nel rimuovere le notevoli asimmetrie ed i costi di transazione propri del processo di valutazione in questione. ,, Pertanto, ai fini di ulteriormente avvalorare 1 ,c aura pubblicistica della funzione di asseverazione svolta dagli istituti di credito, ma anche per velocizzare tale onere (che, come evidenziato dall'ABI, talvolta può rappresentare un'incombenza eccessiva) e re-interpretarlo in un'ottica di Psc, si potrebbe immaginare di impostare tale processo nei seguenti termini: - negli strumenti di programmazione (Programma triennale e suoi aggiornamenti annuali) predisposti dalle Amministrazioni aggiudicatrici, verranno indicati, come previsto dalla normativa sui LL.PP., i lavori pubblici da realizzare, con l'individuazione prioritaria dei bisogni che devono essere soddisfatti tramite il ricorso ai capitali privati; - la Pubblica Amministrazione calcolerà il Psc per tutte quelle iniziative, inserite nei documenti di programmazione, per le quali si preveda il coinvolgimento di capitali privati: tale calcolo andrà sempre effettuato, sia nel caso in cui esistano eventuali risorse pubbliche alternative tali da consentire all'amministra-. zione di realizzare l'investimento con l'appalto tradizionale, sia nel caso in cui tali risorse non siano disponibili e l'investimento non possa essere realizzato se non tramite il partenariato; - le banche 24 riceveranno - entro termini stabiliti per legge - da parte dei soggetti legittimati a presentarli (ai sensi dell'art. 37 bis, le imprese di costruzione, le società di ingegneria eventualmente consorziate con enti finanziatori e gestori di servizi, le fondazioni di origine bancaria e le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, necessariamente aggregate con i soggetti qualificati come promotori), i piani economico-finanziari da asseverare, relativamente alle iniziative inserite nei documenti di programmazione suddetti 25 - una volta prescelta, da parte del promotore, la banca asseveratrice a cui pre;
173
sentare il piano economico-finanziario, la Pubblica amministrazione trasmetterà ad essa il Psc calcolato nella fase di programmazione; l'istituto di credito disporrà quindi di tale parametro quantitativo per effettuare la procedura di asseverazione, potendo così non soio velocizzare quest'ultima, ma avendo, soprattutto, un forte punto di riferimento - di provenienza pubblica - per la valutazione e l'eventuale asseverazione del piano economico-finanziario ad essa presentato. L'asseverazione verrà di conseguenza attribuita solamente a quei progetti che, in base al confronto con il Psc, consentano di conseguire un VFM adeguato, ossia che siano tali da richiedere un impegno finanziario per l'amministrazione, nell'ambito del partenariato, non superiore a quello previsto nel caso di procedura d'appalto tradizionale. Questa fase permetterà inoltre di effettuare una prima, sostanziale scrematura delle proposte, in modo da ridurre in maniera considerevole il numero di quelle che, una volta asseverate, perverranno alla PA per l'individuazione di quella ritenuta di pubblico interesse, da porre come riferimento per la successiva gara ad evidenza pubblica finalizzata all'individuazione del concessionario. Tale scrematura ridurrà notevolmente i costi di transazione del soggetto pubblico, ed accrescerà in esso il livello di fiducia nei confronti dei promotori, corredando tutto il procedimento di una maggiore trasparenza, da un lato, e riducendo le asimmetrie informative del proprio percorso valutativo, dall'altro; - il VFM, già in parte perseguito attraverso la fase di asseverazione, sarà poi ulteriormente garantito ed accresciuto tramite la concorrenza che si riuscirà a creare nella successiva fase di gara (laddove non vi fossero ulteriori offerte nella gara, il promotore sarebbe in ogni caso vincolato alla propria proposta messa a base di gara). Un procedimento così organizzato potrebbe generare vantaggi effettivi sia agli istituti di credito che al soggetto pubblico. Ne risulterebbe decisamente rimarcata la funzione pubblicistica delle banche, che si troverebbero tuttavia a svolgere un'attività, quale quella dell'asseverazione, in maniera più efficiente - è innegabile che spesso, finora, il "timbro" della banca che assevera sia il risultato di un processo formale, una sorta di verifica della coerenza interna degli elementi matematico-finanziari inseriti nel piano -: impostando l'asseverazione in un'ottica di Psc, al contrario, essa non dovrebbe avere ad oggetto la sola verifica della coerenza tra gli elementi fondamentali del piano, ma dovrebbe anche dare luogo ad un confronto con il Psc trasmesso da parte della PA. Sebbene l'avvio di un percorso del genere possa procurare delle iniziali difficoltà organizzative per l'Amministrazione, insite nel dover calcolare il Psc 174
sempre e comunque, già dalla fase di programmazione (ciò dovrebbe comportare un necessario aggiornamento informativo rispetto a tale pratica, attualmente non ancora utilizzata come procedura standardizzata, a differenza delle aree in cui essa è nata e si è sviluppata), nel momento in cui tale procedimento fosse "internalizzato" e fatto proprio dal soggetto pubblico, è ipotizzabile che i benefici previsti si verificherebbero e materializzerebbero automaticamente. Il procedimento così proposto risulterebbe di fatto alquanto rivoluzionato rispetto all'iter "classico", vale a dire così come organizzato nella realtà anglosassone; in effetti, in quel contesto, il Psc subentra in un momento finale, in cui, quella che risulta la migliore tra le offerte dei privati, viene concretamente confrontata con il Psc per la verifica del VFM; nel percorso da noi proposto, il Psc è una voce che compare fin dall'inizio, strumentale alla selezione dell'offerta da porre a base di gara: la presenza e l'ottenimento del VFM è presupposto stesso della procedura di gara che si va ad implementare. Una volta reinquadrata, in questa nuova ottica, la procedura di asseverazione e, di conseguenza, una volta reimpostati i rapporti tra i tre protagonisti del partenariato (pubblico, privato ed istituti di credito), resterebbe da chiarire in che modo un'asseverazione concessa possa rappresentare un eventuale obbligo a finanziare l'operazione da parte delle banche (come noto, attualmente non sembra che la normativa abbia previsto in alcun modo un tale obbligo). Certo, laddove si ipotizzasse un obbligo di finanziamento a favore del promotore derivante dall'asseverazione, si potrebbe presupporre anche un ulteriore livello di "affidamento" da parte del soggetto pubblico nei confronti di una specifica proposta; tuttavia, per quanto auspicabile, la previsione di un obbligo del genere da parte degli istituti di credito potrebbe lasciar presagire una sorta di violazione del principio di libera concorrenza: potrebbero infatti venirsi a determinare comportamenti, da parte dell'istituto di credito, volti a privilegiare quei promotori più "appetibili" dal punto di vista patrimoniale e dunque maggiormente in grado di offrire garanzie e certezze riguardo all'investimento, comportando così un ritorno verso l'ottica del Corporatefinance ed un arretramento rispetto al presupposto principe del Projectfinance, vale a dire il finanziamento dell'idea-progetto piuttosto che della capacità di indebitamento del promotore stesso. Per concludere, è bene ancora ribadire che la necessità di ricorrere ad una tecnica, come quella del Public sector comparator, sebbene in una versione "adattata" alla realtà italiana, si pone quale obiettivo ultimo il perseguimento di quello che abbiamo definito Valuefor money appare infatti attualmente fondamentale riu175
scire a spendere al meglio le scarse risorse pubbliche e ad innescare un opportuno percorso di valutazione, sia con l'obiettivo di coinvolgere al massimo i soggetti privati nel processo di infrastrutturazione, sia nell'ottica di incentivarli ad effettuare proposte che risultino il più possibile rispondenti alle esigenze della collettività, inducendo, pertanto, il soggetto pubblico a finanziare secondo schemi tradizionali solo quei progetti che attente valutazioni hanno confermato e dimostrato essere realizzabili unicamente in quella specifica modalità.
TREASURY TASKFORCE - PRIVATE FINANCE,
How te construct a Public Sector Comparator, Technical Note N.5, 1999; W11.soN T., Concetti chiave per la gestione di un programma di Ppp. Un punto di vista britannico. Atti del Convegno "Finanza di progetto e Nuclei di Valutazione degli Investimenti Pubblici. La rete e le reti". Venezia, 29 e'30 maggio 2003. 2 SESSA M., Un criterio di scelta tra capitale pubblico e privato per gli investimenti infrastrutturali: il Public Sector Comparator, Credito Popolare, n.2, 2004. A proposito, molto interessante è uno studio empirico effettuato da Arthur Andersen and Enterprise LSE, che analizza circa 29 progetti realizzati con il partenariato, al fine di ottenére una classificazione degli elementi che possono maggiormente influenzare il VFM. Tra essi rientrano: il trasferimento del rischio, la natura di lungo termine dei contratti, una chiara specificazione degli standard dell'output che si intende produrre e fornire, la concorrenza, i criteri di misurazione nonché gli incentivi della performance e le capacità gestionali da parte del soggetto privato. Inoltre, il risparmio medio derivante dell'impiego del partenariato in termini di costo attuale netto è stato stimato pari al 17 % circa (per approfondimenti, Arthur Andersen And Enterprise LSE, Value for Money Drivers in the Private Finance Initiative: A report commissioned by the Treasuy Task Force, L5E, 2000). SERLENGA E, FOSCHI M., Il ricorso alla Jinan176
za privata nella realizz.azione e gestione degli investimenti pubblici, Unità tecnica finanza di progetto, 2002. 5 In relazione all'analisi dei rischi, è necessario valutare l'impatto che essi hanno sui costi dell'opera, stimandone la probabilità di manifestazione e prevedendo diversi scenari (solitamente uno scenario base, uno migliorativo, uno peggiorativo), in modo da tentare delle previsioni non eccessivamente azzardate sul possibile andamento del progetto. 6 Tra questi vanno considerati almeno 4 tipi di voci: la tassa sugli immobili, le imposte locali, le imposte sul bollo, le imposte sul libro paga. 7 SERLENGA E, FOSCHI M., Il ricorso..., op. cit., p. 20. Come si evince dal grafico, un impatto notevole, nel perseguimento del VFM, è generato dall'allocazione dei rischi tra pubblico e privato e dalla qualificazione, come trasferibili e non, di alcuni di essi. Nel medesimo grafico è possibile inoltre osservare che il canone o corrispettivo versato dal soggetto pubblico per i servizi forniti dal privato risulta chiaramente maggiore rispetto al costo base da sostenere nell'ipotesi di appalto tradizionale: ciò si verifica perché tale corrispettivo è comprensivo anche dell'utile che al privato deve derivare dalla sua partecipazione all'operazione. 8 PARTNERSHIP VICTORIA-GUIDANCE MATERIAL,
Public Sector Comparator Supplementary Technnical Note, Luglio 2003. Naturalmente ciò non implica che nell'am-
bito del Progetto di Riferimento ogni cosa venga realizzata dal soggetto pubblico: sono infatti comunque previsti contratti con terzi (ad esempio, si possono ipotizzare contratti di costruzione e successivamente di gestione con società esterne alla PA). Inoltre, il Progetto di Riferimento deve includere solo i servizi che verrebbero realizzati dal privato in caso di partenariato, non considerando quelli che comunque resterebbero in capo al pubblico anche in caso di coinvolgimento del privato. IO Nel Psc di base vanno inseriti solo i costi ed i benefici finanziari, escludendo quelli di natura economica, che andranno considerati al momento della decisione di investimento. L'esperienza anglosassone in materia di Psc ha rivelato che è molto utile svelare il Psc di base ai privati in gara, poiché consente loro di comprendere meglio ie aspettative e gli obiettivi della PA relativamente al progetto in questione e, allo stesso tempo, accrescere la tensione competitiva della gara e la possibilità che le offerte perseguano il VFM. " Il metodo più semplice per la valutazione del rischio è quello di un'analisi soggettiva della probabilità di ciascun rischio (facendo, tuttavia, riferimento alle esperienze passate, alle best practices, ecc ... ), attraverso approcci di stima puntuale. Tra i sistemi più sofisticati, rientranti comunque nell'ambito delle tecniche di analisi della sensitività, c'è il metodo Monte Carlo, che può consentire di ottenere la distribuzione di probabilità del valore attuale netto complessivo dei costi del progetto. Si tratta di una tecnica iterativa che, come noto, illustra in che modo le incertezze relative alle componenti di rischio possano influenzare i costi; essa consente di stimare la distribuzione di probabilità di una variabile (come il VAN atteso nel Psc) sulla base di un campione casuale ottenuto dalle distribuzioni di probabilità delle variabili che lo compongono. 12 Come è noto, per ottenere il valore atteso del costo di un rischio (Ca) è necessario associare ad ogni voce di costo possibile (c i) la proba-
bilità (p 1 ) con cui si ritiene che esso possa verificarsi: C. = E p1 c La valutazione deve consentire di comprendere con quale probabilità il costo finale sarà superiore o inferiore a quanto calcolato nel Psc di base. 13 National Health Service Executive, Public
Private Partnersh:p in the National Health Service: Private Finance Jnitiative, sezione 3. 14 Per un approfondimento delle voci che potrebbero rientrare o meno nel calcolo del Psc (costi di transazione, inflazione, valore residuo, ecc ... ), si veda il già citato articolo, SESSA M., op. cit., «Credito Popolare», n. 2, 2004. 15 TREASURY TASKFORCE - PRIVATE FINANCE,
How to construct a Public Sector Comparator, Technical Note N.5, 1999. 16 N.O. sta per "Nessuna Offerta". 17 Design, Build, Finance, Operate. 18 Come ho già avuto modo di osservare altrove (SESSA M., op. cit.) riportando il medesimo esempio ai fini dell'approfondimento del processo di selezione delle offerte dei privati, non va preso in considerazione soltanto il valore del VAN di base, prescindendo dalle diverse allocazioni dei rischi. Guardando infatti soltanto la riga iniziale della tabella contenente i prezzi delle varie offerte, si potrebbe pervenire a conclusioni affrettate: potrebbe infatti apparire che l'offerta più economica sia quella del soggetto A, ma guardando l'ultima riga della tabella, si può osservare che l'offerta più vantaggiosa è quella alternativa del soggetto B. Il confronto deve dunque riferirsi alla riga del costo totale, corretto con le voci di rischio, comprese quelle sostenute dal soggetto privato. Gli unici rischi che vanno esclusi sono quelli che in. ogni caso non saranno mai sostenuti dal privato, come quelli definiti nella tabella rischi di "legislizione discriminatoria", che non andranno considerati nel confronto sul VFM. 19 TREASURY TASKFORCE - PRIVATE FINANCE,
How to construct a Public Sector Comparator, Te177
chnical Note N.5, 1999. Tra le voci di rischio ne è stata inserita una ulteriore, da condividere in maniera eguale tra pubblico e privato, per evidenziare che anche in fase avanzata possono verificarsi eventi imprevisti da identificare e monetizzare, in modo da ottenere un prezzo finale adeguatamente rettificato. 20 La strada che sembra si stia intraprendendo vuole che le imprese private, in primis quelle che operano nella produzione e gestione di servizi di pubblica utilità, debbano rispondere, oltre che ai loro azionisti, anche alla collettività tutta (stakeholder economy). Per un approfondimento del tema, si vedano CAPASSO A., Finanza
di progetto. Risorse pubbliche e private per la realizzazione delle opere di pubblica utilità, Franco Angeli, Milano, 2002 e DIxIT A., Power of Incentives in Private versus Public Organizations, in «American Economic Review», n, 2, 1997. 21 Tale valore è frutto dell'analisi dei flussi di cassa scontati: essa presenta in dettaglio i flussi di cassa, compresi gli effetti delle correzioni per il rischio, 'e consente di ottenere il VAN complessivo del progetto. 22 Già altrove (SESSA M., op. cit.,) ho accennato alle difficoltà che potrebbe avere la nostra Amministrazione nel calcolo del Psc, difficoltà giustificabili con la innegabile difficoltà e soggettività insita nella valutazione di alcune voci da inserire in tale computo (principalmente le voci di rischio e le relative probabilità del loro verificarsi). 23 Come noto, le banche svolgono diverse competenze nell'ambito delle operazioni di partenariato, che vanno dalla consulenza sull'effettiva bancabilità dell'investimento all'organizzazione del finanziamento, fino all'asseverazione del piano economico-finanziario presentato dal promotore: la legge quadro sui Ll.Pp., la 109194, ha infatti introdotto l'obbligo, da parte del promotore, dell'asseverazione, presso 'un istituto di credito, del piano economico-finanziario. Secondo alcuni, l'asseverazione rappresenta una mera attestazione da parte della banca, che comprovi la sola correttezza formale del piano economico-fi178
nanziario; secondo l'Autorità di Vigilanza sui Lavori Pubblici (atto di regolazione n. 3412000), l'asseverazione costituisce invece esercizio di una funzione di rilevanza pubblicistica, consistente nell'accertamento effettuato dall'istituto di credito, in luogo dell'amministrazione. 24 Si ricorda che la legge 16612002 ha esteso la possibilità di asseverare il piano economicofinanziario, oltre che agli istituti di credito, anche alle società di servizi da questi costituite. 25 Come già accennato, la legge 16612002 consente ai privati di partecipare anche alla fase di programmazione degli interventi, sebbene le loro proposte non comportino alcun obbligo per le amministrazioni di adottarle nei documenti di programmazione.
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istituzioni n. 140/143 Annale 2006
Il rischio ambientale: questione cruciale nel
pp*
di Rosa/ba Cori
U
n contratto di Partenariato pubblico-privato (Ppp) - lo sa bene il lettore di questo fascicolo - si ha quando la pubblica amministrazione affida all'operatore privato l'attuazione di un progetto per la realizzazione di opere pubbliche o di pubblica utilità e per la gestione del relativo servizio. Ciò implica la realizzazione di una complessa operazione, della quale fanno parte, in tutto o in parte, i seguenti elementi o segmenti chiave: la progettazione (design); il finanziamento (finance); la costruzione o rinnovamento (buila; la gestione (operate); la manutenzione (maintenance). Attraversando questi diversi segmenti si pone il problema - a parte le altre caratteristiche dei contratti di Ppp - della rzpartizione dei rischi tra il partner pubblico ed il partner privato. Naturalmente tale ripartizione dei rischi si effettua caso per caso, in funzione della capacità delle parti di valutare, controllare e gestire gli stessi'. La materia è cruciale nei contratti di Ppp e richiede approfondimenti. Il rischio' è un qualsiasi evento che può causare un ritardo o un insuccesso dell'iniziativa. Vale, innanzitutto, ricordare una prima ricognizione dei rischi che possono presentarsi più frequentemente nelle varie fasi dell' iter di realizzazione e gestione dell'opera: a) rischi della fase di progettazione e costruzione dell'opera (quelli legati alla progettazione, alla tecnologia adottata, alla materiale esecuzione dell'opera - imprevisti, ritardi, extracosti, mancato rispetto delle specifiche tecniche - e i rischi amministrativi connessi all'ottenimento delle autorizzazioni); b) rischi della fase di gestione dell'opera (quelli connessi alla errata previsione della domanda, al mancato reperimento degli input produttivi al costo ipotizzato, alla cattiva gestione del progetto da parte della società veicolo); c) rischi comuni ad entrambe le fasi (ambientale, inflazione, tasso di interesse, legale, politico) 2 .
L'Autrice è componente dell'Unità tecnica finanza di progetto (CIPE). Le opinioni sono espresse a titolo personale e non coinvolgono in alcun modo l'istituzione di appar tenenza. 181
Nei progetti da realizzare in Ppp si tende ad effettuare, attraverso una attenta e negoziata contrattualizzazione, la migliore allocazione dei rischi tra il settore pubblico ed il settore privato. Una operazione ben strutturata tende ad allocare i rischi sulla controparte che meglio li sa gestire che non necessariamente è la parte privata. Ogni volta che c'è un'attribuzione di rischi alla parte pubblica ovvero a quella privata è, infatti, necessario che l'una o l'altra determinino le misure rivolte a mitigarli e coprirli (indagini preliminari, assicurazioni, etc...). In ogni caso, quando c'è una allocazione di rischi sulla parte privata, la parte pubblica deve sempre valutare l'impatto economico che può avere sul costo dell'operazione (costi di finanziamento) o sulle condizioni di fruibilità dell'opera (livello delle tariffe). In particolare, il rischio ambientale - del quale si tratta in queste pagine - è un rischio comune alle fasi di costruzione e di gestione potendosi manifestare sistematicamente durante la vita del progetto, sia pure con intensità diversa a seconda dello stadio del ciclo di vita attraversato dall'iniziativa. Il rischio ambientale (environmental risk) rzguarda i possibili effetti negativi che la realizzazione della infrastruttura causa all'ambiente circostante. La manifestazione del rischio ambientale può avvenire per cause diverse. Alcune possono andare a legarsi anche al rischio politico. Comunque, è bene distinguere. In senso proprio e stretto il rischio ambientale è quello che deriva dal fatto che la costruzione o la gestione dell'impianto possono causare danni all'ambiente circostante. L'impatto ambientale può cambiare e non solo per processi naturali e sociali, ma anche e soprattutto in ragione di criteri e parametri fissati dalla legge. Così, il cambiamento della normativa (c.d. change in law) può determinare varianti alla costruzione con un diverso impatto ambientale e un aumento dei costi di investimento. Il fenomeno sociale più consistente, che costituisce un'altra manifestazione del rischio ambientale, è dato dall' opposizione pubblica a progetti con forte impatto ambientale. Tale opposizione può portare a rivedere, per esempio - ad operazione già avviata - gli accordi tra società veicolo e governo (c.d. Government support agreement), creando con ciò condizioni di difficoltà operative al progetto, sino ad un blocco dell'opera da realizzare, derivante, spesso, da conflitti latenti, che possono essere più dannosi dei conflitti espliciti in quanto rendono, nel tempo, inerziale il progetto svuotandolo dei suoi elementi caratteristici o prioritari. 182
In linea generale, i tzpi di conflitto - ad esempio nel settore dei trasporti possono essere ricondotti ad alcune tipologie distinte 5 . Essi possono trovare origine: 1) dalla proposta di realizzazione di nuove infrastrutture e dal modo in cui esse vanno a modificare vecchi equilibri territoriali; 2) dallo scontro di interessi tra soggetti - sia pubblici che privati - le cui scelte sono in potenziale conflitto fra loro; 3) dalla gestione dei processi di liberalizzazione dei mercati per le complesse ed imprevedibili conseguenze che le nuove normative tendono ad avere sugli assetti di mercato originali, soprattutto se precedentemente caratterizzati da presenze di rendite di tzpo monopolistico.
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IL CONFLITTO POLITICO-SOCIALE NEL RISCHIO AMBIENTALE
Cerchiamo di individuare le principali cause di inefficienza nella gestione del conflitto politico e/o sociale. In primo luogo deve annoverarsi la difficoltà di coordinamento territoriale tra centro e perifiria. I processi di decentramento amministrativo a favore di Enti locali nelle decisioni politiche e programmatiche, che per un verso diminuiscono i conflitti latenti aumentando il numero dei decisori, per altro tendono ad accrescere le occasioni di conflitto, soprattutto per progetti di interesse nazionale, com'è il caso delle opere che ricadono nell'ambito di applicazione della c.d. Legge Obiettivo, dove gli obiettivi globali possono facilmente scontrarsi con quelli locali. In secondo luogo, l'eccessiva complicazione ed interferenza di fattori regolati vi. Appartengono a questa sfera tutti quei fattori concernenti l'eccessiva iper-regolamentazione, in gran parte derivante da meccanismi amministrativi burocratici e a procedure complesse che creano frizioni al flusso delle decisioni. Tra i fattori di insufficiente strutturazione possono enuclearsi i seguenti: il deficit conoscitivo della pubblica amministrazione. Gli studi di impatto ambientale predisposti dal proponente risultano spesso insoddisfacenti rappresentando una base conoscitiva debole per la pubblica amministrazione. E accaduto spesso che i comitati dei cittadini abbiano elaborato studi e soluzioni alternativi a quelli predisposti dall'amministrazione e su queste basi siano riusciti a contestare la fondatezza tecnica del progetto; il deficit procedurale. La fase organizzazione e di messa a fuoco dei complessi problemi dell'iter procedurale è spesso inesistente; la mancanza di referenti centrali stabili e di procedure standardizzate nel processo de183
cisionale fa sì che la fase procedurale assuma forme diverse a seconda dei luoghi e che gli esiti della sua gestione dipendano, in gran parte, dalle capacità delle singole amministrazioni di gestire e risolvere il conflitto; c) il deficit parteclpativo. La fase di informazione è spesso scarsamente strutturata, la pubblicazione dei dati e delle informazioni interessanti il pubblico risulta insufficiente e tardiva. Fra l'insieme degli elementi che tendono ad influire sulle conseguenze di un conflitto, ricopre particolare importanza il fattore temporale, in particolare 1 'eccessivo prolungamento dei tempi. L'efficacia stessa dell'intervento nelle grandi opere infrastrutturali non è solo garantita dall'opera in sé, ma dalla sua realizzazione entro tempi definiti, all'interno dei quali le condizioni di mercato, sociali, ecc., che originano la decisione stessa si suppongono non modificate. Occorre, infine, ricordare le conseguenze legate alle carenze giuridiche. Secondo autorevole dottrina 4 le difficoltà operative riscontrate negli studi sociologici nella realizzazione dei progetti infrastrutturali trovano spiegazione nelle carenze dell'ordinamento giuridico: l'attuale contesto istituzionale è debole ed inidoneo a gestire la complessità dei conflitti che insorgono dalla realizzazione di un'opera pubblica diforte impatto ambientale. La gestione di tali conflitti avviene attraverso le procedure formali prescritte quali gli appositi atti negoziali con gli Enti locali e centrali coinvolti nella Conferenza di servizi e nella procedura di Valutazione di Impatto Ambientale, gli Accordi Quadro con Regioni e Comuni, gli Accordi procedimentali con il ministero dell'Ambiente e gli Accordi Procedimentali e Convenzioni con Regioni, Province e Comuni. Caratteristica comune degli Accordi è di tradurre in piani ed impegni gli interessi delle parti coinvolte nell'opera in modo da legare ad essa gli ammodernamenti strutturali e l'inserimento funzionale e urbanistico nel costante rispetto dell'ambiente. Entro il quadro brevemente esposto, un primo elemento da considerare può essere rappresentato dal modo in cui si prendono le decisioni. La parteczazione di tutti i soggetti interessati alla decisione finale, la tendenza cioè ad includere nel processo decisionale tutti gli attori che esprimono interessi in merito ai progetti in discussione, può in molti casi ridurre al minimo i fenomeni di conflitto interno e l'ottenimento, diretto o indiretto, del consenso da parte dei partecipanti. D'altra parte, proprio l'applicazione del metodo della partecipazione diretta di tutti gli attori può comportare alcuni effetti indesiderati, quali l'implementazione dei costi di progetta,
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zione, verifica e valutazione, il dilatamento dei tempi o l'eccessiva diffusione delle informazioni che può assecondare l'insorgere di nuovi oppositori (oppositori periferici) e favorire la paralisi del processo decisionale. LEGISLAZIONE A TUTELA DELL'AMBIENTE E RISCHIO AMBIENTALE
C'è, dunque, da dire che il tema dell'ambiente è critico per numerose classi di progetti. Si pensi al settore dei trasporti ed alla costruzione di una tratta stradale in un territorio di interesse turistico; si consideri anche il settore dell'energia ed il problema delle emissioni nell'atmosfera. Nel corso degli ultimi anni, tra l'altro, gli interventi legislativi a tutela dell'ambiente si sono fatti più stringenti: nei Paesi anglosassoni, per esempio, i finanziatori sono piuttosto riluttanti a chiedere garanzie rappresentate dalla struttura impiantistica in quanto la responsabilità per il danno ambientale deriva dalla proprietà - o dall'effettivo controllo - sull'iniziativa. In Italia, la responsabilità del finanziatore per danno ambientale causato dal finanziato non è, al momento, sancita normativamente. Tuttavia, a parte tale caso, vale evidenziare come la più recente normativa, sia comunitaria, sia nazionale, presti particolare attenzione all'ambiente. Le direttive comunitarie nn. 17 e 18 del 2004 (relative al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, forniture e servizi), ad esempio, valorizzano le esigenze sociali e ambientali sia nella fase di affidamento sia nella fase di esecuzione dei contratti in materia di opere pubbliche. Le esigenze ambientali sono tutelate mediante alcune previsioni normative, quali: l'utilizzabilità dei criteri ambientali nella valutazione dell'offerta economicamente più vantaggiosa (quale criterio di scelta della migliore offerta in sede di gara); la possibilità di esigere condizioni ambientali e sociali per l'esecuzione del contratto; la possibilità di subordinare il principio di economicità nell'affidamento dei contratti pubblici, qualora sia posta particolare attenzione all'ambiente. Il Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, in attuazione delle succitate direttive, prevede all'articolo 2, comma 2, tra i principi ispiratori del Codice medesimo che il principio di economicità che deve ispirare l'attività amministrativa - possa essere subordinato, entro i limiti in cui sia espressamente consentito dalle norme vigenti, ai criteri, previsti dal bando, ispirati a esigenze sociali, nonché alla tutela della salute e dell'ambiente ed alla promozione dello sviluppo sostenibile. Tali previsioni normative a tutela dell'ambiente e del paesaggio nella 185
realizzazione delle infrastrutture, se da un lato mitigano il rischio ambientale, dall'altro incrementano la possibilità del verificarsi del rischio amministrativo. Quest'ultimo rischio deve intendersi come qualsiasi ritardo nella realizzazione del progetto derivante, generalmente, dall'inefficienza delle amministrazioni pubbliche o dalla complessità degli iter burocratici previsti per la realizzazione del progetto medesimo. Di qui l'esigenza, per le amministrazioni aggiudicatici, di porre particolare attenzione nella gestione di tali tipologie di rischi nel corso della programmazione delle opere pubbliche e dell'iter per l'affidamento di contratti di Ppp. Ciò precisato vale evidenziare che nei progetti in Ppp, l'esistenza del capitale privato fa sì che ci sia una maggiore attenzione degli investitori privati al rischio ambientale che potrebbe implicare allungamento dei tempi ed incremento dei costi per mitigare i rischi ed acquisire expost il consenso alla realizzazione dell'opera. Ne deriva, in altre parole, che il rischio ambientale si sostanzia in qualsiasi ritardo ed extra costo nella realizzazione dell'infrastruttura dovuto ad una carente individuazione (o rivelatasi tale in corso d'opera) del rischio di sostenibilità ambientale. Il che significa mancata copertura (parziale o totale) del rischio con la conseguenza di giungere anche a bloccare la realizzazione medesima dell'opera. GLI STRUMENTI DI MITIGAZIONE DEL RISCHIO AMBIENTALE
Da quanto esposto appare evidente come il rischio ambientale, nei progetti in Ppp, possa essere mitigato-controllato attraverso una corretta impostazione dell' iter procedurale ed amministrativo da parte di tutti i soggetti pubblici coinvolti. Proviamo, per concludere, ad indicare alcuni degli strumenti per la mitigazione del rischio ambientale, volti alla riduzione del verificarsi dell'evento rischioso e, quindi, al contenimento dei tempi e dei costi del progetto: la realizzazione di completi studi di inquadramento territoriale ed ambientale dell'infrastruttura da realizzare; la redazione degli Studi di fattibilità. Gli SDF individuano i lavori strumentali al soddisfacimento dei bisogni pubblici ed indicano le caratteristiche funzionali, tecniche, gestionali ed economico-finanziarie degli stessi e contengono l'analisi dello stato di fatto di ogni intervento nelle sue eventuali componenti storico-artistiche, architettoniche, paesaggistiche, e nelle sue componenti di sostenibilità ambientale, socio-eco186
nomiche, amministrative e tecniche (art. 128 Codice dei contratti pubblici); c) la tempestiva e corretta redazione del programma delle opere pubbliche attraverso la concertazione tra gli enti; a l'individuazione della precisa localizzazione dell'intervento da realizzare e delle opere di compensazione, da stabilire ex ante nella fase progettuale; e) il coinvolgimento dei diversi livelli di governo per condividere i benefici derivanti dalla realizzazione dell'infrastruttura; fi la concertazione tra i diversi enti interessati (accordi di programma e conferenza di servizi); il coinvolgimento dei cittadini (come singoli e/o associati) e relativa attuazione di una comunicazione tempestiva e trasparente tra tutti i soggetti coinvolti; la creazione di un consenso sociale e politico da creare ex ante. Naturalmente, qui abbiamo parlato non a caso di mitigazione del rischio. Gli strumenti indicati servono a definire correttamente il rischio che poi va opportunamente allocato. Generalmente, considerata la natura del rischio ambientale e la correlata difficoltà a trovare idonee coperture assicurative, tale forma di rischio è allocato in capo all'amministrazione aggiudicatrice. Il verificarsi del rischio ambientale, attesa l'entità e la gravità della situazione che ne deriva, può condurre o ad una rideterminazione dell'equilibrio economico finanziario che è alla base del progetto da realizzare in Ppp e del relativo contratto - con oneri a carico del soggetto pubblico - ovvero, nelle ipotesi più gravi, alla risoluzione del contratto medesimo.
* Il testo è una rielaborazione della Relazione presentata al V Forum Infrastrutture "Quali politiche per le infrastrutt'ure tra vecchi obiettivi e nuove strategie", tenutosi a Roma il 5 dicembre 2006.
COMMISSIONE DELLE COMUNITÀ EUROPEE,
Libro verde relativo ai Partenariati Pubblico-Privati ed al diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni, Bruxelles, 30 aprile 2004. 2 S. GAUI, Manuale del projectjmnance, Bancaria Editrice, Roma, 2006
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istituzioni n. 1401143 Annale 2006
Dal mecenatismo al Partenariato pubblico-privato. Il privato per l'innovazione finanziaria nel settore culturale di Marco Meneguzzo e Maria Stefania Senese
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egli ultimi anni, i privati - e in particolare le organizzazioni non profit - sono sicuramente diventati un attore chiave nel settore culturale italiano, mantenendo una specifica identità e rafforzando le relazioni con le amministrazioni pubbliche, in particolare a livello locale e regionale. Un ruolo sempre pi1 rilevante è assunto da alcune tipologie di aziende non profit; tra queste vanno menzionare non soio le cooperative sociali, che operano in convenzione con le amministrazioni pubbliche e che ricercano, attraverso accordi e la creazione di consorzi, vere e proprie economie di scala, ma soprattutto le diverse tipologie di fondazioni (operative, grant o di erogazione, di partecipazione e comunitarie). Infatti, a quest'ultime viene sempre piii attribuito il compito di diventare luogo privilegiato di confronto tra pubblico e privato e ambito per la creazione di partnership durevoli, nella prospettiva di attrarre e canalizzare risorse finanziarie. Le altre tipologie di organizzazioni non profit ed in particolare le associazioni, che rappresentano, nel panorama di pii di 200.000 non profit italiane, il segmento preponderante, sono a loro volta interessate da dinamiche di sviluppo e di inserimento all'interno di reti e gruppi di aziende non profit. In parallelo all'emergere del settore non profit, si è consolidato nel settore culturale il processo di trasferimento di risorse finanziarie dal settore privato for profit (imprese, intermediari finanziari), attraverso modalità quali le sponsorizzazioni ed il mecenatismo e dai singoli cittadini, attraverso la raccolta di fondi a supporto di eventi culturali. È interessante segnalare a questo proposito che mentre donazioni e trasferimenti del settore for profit, rivolti sia alle amministrazioni pubbliche che alle organizzazioni non profit, sembrano aver registrato una battuta d'arresto legata alla fase di congiuntura economica, le donazioni M. Meneguzzo è professore ordinario di Economia delle aziende e delle amministrazioni pubbliche, Università degli Studi di Roma "Tor Vergata". M.S. Senese è Dottore di ricerca in Economia e gestione delle aziende e delle amministrazioni pubbliche, Università degli Studi di Roma "Tor Vergata".
individuali (singoli cittadini e fondazioni private, in particolare) e le erogazioni liberali sono state solo marginalmente interessate da questo fenomeno. Questa tendenza sembra essere confermata da dati macro; le erogazioni liberali sono passate tra il 2002 ed il 2004, secondo i dati del ministero dei Beni culturali, da 14 a 19 milioni di euro, con un incremento maggiore per gli spettacoli. Il ricorso al finanziamento privato, non profit e for profit, è ormai diventato un'alternativa obbligata per i centri di offerta di servizi culturali e del tempo libero, indipendentemente dal loro assetto proprietario; al finanziamento privato guardano, inoltre, sempre più interessate, le stesse amministrazioni pubbliche, soggette ad un forte ridimensionamento nelle risorse finanziarie. Va peraltro ricordato che l'esigenza di attribuire particolare rilievo alle modalità di cooperazione pubblico-privato, sia esso privato non profit o privato for profit, nel settore culturale, si collega alle linee programmatiche della stessa Unione europea che percepisce la cultura come fattore facilitante il processo di integrazione, con un obiettivo più generale di valorizzare efar incontrare le diverse identità culturali, come risorse da preservare nella loro tipicità in ogni Stato membro 1 L'orientamento europeo in tema di finanziamenti al settore culturale favorisce, dunque, la cooperazione, la valorizzazione e la salvaguardia del patrimonio comune europeo, sostenendo interventi proposti e organizzati dagli Stati membri basati su logiche di partenariato pubblico- privato, logiche per cui è prevista, attraverso i diversi programmi finanziati a livello comunitario, l'individuazione delle bestpractices e la diffusione ed il trasferimento delle esperienze pilota. La proposta del Consiglio dei ministri della UE prevede un incremento dello stanziamento complessivo da 294 a 408 milioni di € e l'articolazione in tre grandi obiettivi: favorire la mobilità transnazionale per i lavoratori del settore culturale; promuovere la circolazione delle opere d'arte e dei prodotti culturali; incoraggiare il dialogo interculturale. Nel 2005, le aree prioritarie di intervento hanno riguardato il contributo dell'industria culturale alla strategia di Lisbona per la crescita e la coesione in Europa, la digitalizzazione del patrimonio culturale europeo, il miglioramento dell'informazione sulla mobilità degli artisti e delle opere e sul dialogo interculturale, la promozione della mobilità delle opere d'ar.
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te, collezioni e mostre, la rimozione degli ostacoli fiscali alla mobilità degli artisti. In questo nuovo scenario di riferimento occorre porsi numerose domande. Alcune riguardano sicuramente la capacità da parte delle imprese, degli intermediari finanziari di garantire, nei prossimi anni, un flusso di risorse finanziarie destinate al settore culturale e legate al mecenatismo ed alle sponsorizzazioni; altre sono relative alla possibile accentuazione di dinamiche competitive per l'acquisizione di fondi provenienti dal sistema economico e dalla società civile tra le amministrazioni pubbliche e le organizzazioni non profit. In questo articolo si è deciso di prendere in considerazione l'alternativa della possibile cooperazione tra amministrazioni pubbliche e organizzazioni non profit, basata su strategie coordinate di fund raising sui mercato e fund raising "istituzionale", in alternativa ad una competizione che non può che configurasi in questa fase come "distruttiva". La domanda di fondo risiede, quindi, nell'inventare strumenti nuovi a supporto della cooperazione per le risorse finanziarie, partendo dagli strumenti tipici della gestione finanziaria delle organizzazioni non profit, come il fund management e combinandoli con le strategie finanziarie delle amministrazioni pubbliche. Per rispondere a queste domande si è ritenuto opportuno, dopo un sintetico richiamo alle caratteristiche che assume oggi, nel 2005, la sfida della riduzione delle risorse finanziarie nel settore pubblico, ricordare logiche e strumenti del sostegno privato for profit al settore culturale, che vanno dal mecenatismo alle sponsorizzazioni fino alla stessa finanza di progetto, per arrivare ad individuare possibili alternative di intervento. LA DIMINUZIONE DELLE RISORSE PER IL SETTORE CULTURALE NELLA PA
A partire dall'inizio degli anni Novanta, i fondi messi a disposizione per la tutela e valorizzazione del patrimonio artistico e culturale governato e gestito direttamente all'interno del sistema della pubblica amministrazione, sono stati caratterizzati da andamenti altalenanti. A periodi di relativa abbondanza di fondi sono seguite fasi di "ristrettezza economica", contraddistinte da politiche di bilancio delle diverse amministrazioni pubbliche finalizzate a ridurre i budget destinati al settore culturale. La quota di bilancio delle risorse destinate al ministero dei Beni e delle Attività cultu190
rali, rispetto all'intero budget dl10 Stato, è pari allo 0,40% rispetto all'l% della Francia e all'1,35% della Germania. Le tendenze in atto per la finanza pubblica nei prossimi due, tre anni, correlate al mancato rispetto dei parametri di deficit pubblico e da esigenze sempre più forti di contenimento della spesa, restringono drasticamente gli spazi, non solo per politiche espansive, ma soprattutto per il mantenimento delle dotazioni finanziarie attuali al sistema delle Sovrintendenze o meglio della amministrazione decentrata dello Stato. I principali interventi in corso di discussione sul bilancio dei beni culturali per il 2005 2 evidenziano scelte di breve periodo, volte ad aumentare la discrezionalità del centro, che si riserva sempre più canali di finanziamento preferenziali (si pensi alla creazione di ARcus) e senza interventi significativi di sviluppo delle risorse; si prevede, infatti, la deducibilità totale delle erogazioni liberali in materia di beni culturali e spettacolo, l'accelerazione delle procedure di impegno e di spesa dei 201 milioni di euro destinati al "risanamento ed al recupero dell'ambiente e alla tutela dei beni culturali", un incremento dei fondi ARcus (dal 3 al 5%) e l'assegnazione, diretta allo stesso ministero, dei fondi per progetti speciali. Forti interrogativi permangono poi sulla sostenibilità finanziaria delle amministrazioni regionali e soprattutto locali che sono state, fin ad ora, i principali attori della spesa nel settore culturale e dello spettacolo in Italia; a questo proposito occorre ricordare la ricerca effettuata da Federculture sulle città "metropolitane" che evidenzia (si veda figura 1) come i Comuni spendano, in proporzione al loro bilancio, quote che risultano essere decisamente superiori alla percentuale dell'J% della amministrazione centrale. Torino destina alla cultura il 3,13% del bilancio, Firenze il 4,26%, Milano l'1,20% e Roma il 3,73%3 . Il tetto di spesa del 2%, imposto dalla legge finanziaria per il 2005 ha comportato la riduzione delle risorse per gli Enti locali, che giocano un ruolo decisivo nel nostro Paese anche per la creazione di politiche culturali di qualità; ai provvedimenti normativi si è aggiunto l'impatto dell'indebolimento del ciclo economico con conseguenze dirette sulla fiscalità locale che finanzia le politiche di spesa degli Enti locali. A differenza della Amministrazione centrale, Regioni e Comuni non sono rimasti a guardare, ma hanno sviluppato, negli ultimi anni, politiche di intervento più articolate per rispondere alla sfida della riduzione delle risorse finanziarie. Tra queste vanno sicuramente ricordate l'adozione di formule gestionali innovative, la creazione in una prima fase di istituzioni 191
Fig. i - Le risorse per la cultura nei grandi Comuni Incidenza della spesa per la cultura sul totale di bilanclo
8,000,1 7.00%
FI
6,00°!, FI 5,00% GE 4,00°!,
RM TO
3000/, 2,00% Fig
4.1
RM
1,00% 0,00% 2000
2002
ed aziende speciali per passare successivamente alla attivazione di società miste e fondazioni (Federculture 2002 e 2004), viste come interessante strumento in grado di favorire in modo più agevole l'accesso di soggetti privati, non profit e profit, nella gestione della cultura e del territorio. In stretto collegamento con il ricorso a formule gestionali, sono state introdotte modalità innovative per il finanziamento della gestione corrente e degli investimenti; gli Enti locali, quindi, hanno fatto ricorso alla emissione di buoni obbligazionari, alla cartolarizzazione immobiliare e dei crediti, al leasing, nelle diverse tipologie, alla finanza di progetto e alle varie forme di partenariato pubblico privato, ai fondi di investimento in opere artistiche, alla sponsorizzazione, al fund raising e alle donazioni, al ricorso ai fondi straordinari (fondi UE, fondi nazionali), (si veda figura 2). In particolare, il ricorso alle sponsorizzazioni, che vedono ormai regolamenti da parte di molti Comuni e l'attivazione, di intesa con il settore non profit, di strategie coordinate di fund raising, è stato finalizzato alla gestione corrente ed ha registrato un. discreto successo. Per contro, ciò non ha portato all'attivazione di operazioni significative. La effettiva messa in atto delle strategie di finanza innovativa, come la finanza di progetto, le forme di Partenariato pubblico-privato e la stessa cartolarizzazione, si è rilevata molto più complessa del previsto, contrassegnando una limitata diffusione di alcuni strumenti (come la finanza di 192
progetto) su cui erano state riposte forti aspettative. Inoltre, la nuova fase di tensioni finanziarie per gli Enti locali spinge questi ultimi a muoversi con estrema cautela sul fronte della innovazione finanziaria.
SVILUPPO STRATEGIE FINANZIARIE Diagnostica Audit finanziario Generatori di cassa servizi collat
Donazionifund raising Fonti atipiche Lotto ''-.
Politiche tariffarie
Gestione liquidità Programmazione finanziaria
Negoziazione sui trasferimenti livelli istituzionali Modalità innovative finanziamento investimenti
Fig. 2— Le strategie finanziarie nel settore culturale
Le difficoltà registrate e le dinamiche congiunturali non possono però bloccare il ricorso a modalità innovative di finanziamento; la finanza rappresenta la base economica su cui la cultura può fiorire ed è in grado di far incontrare quei requisiti di sostenibilità, di autonomia e di cooperazione che spesso stentano ad affermarsi nel sistema italiano. È necessario l'affermarsi in parallelo di una cultura della gestione delle risorse finanziarie e di una dimensione imprenditoriale dell'azione di programmazione e realizzazione degli interventi, in grado di combinare modalità innovative di finanziamento con il ricorso a società miste o a delle "organizzazioni di pianificazione patrimoniale" piii flessibili 4 per la gestione e il sostegno dei beni e attività culturali. ,
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LE LOGICHE E GLI STRUMENTI DEL "SOSTEGNO" PRIVATO: IL MECENATISMO, LE PARTNERSHIP E LE SPONSORIZZAZIONI
Le logiche del sostegno si sono evolute storicamente dal mecenatismo per motivi individuali dei secoli scorsi, a scelte di gruppo, di accordi e di partnership tra diversi soggetti. Il sostegno privato si caratterizza principalmente su forme di collaborazione progettuale e finanziaria tra soggetti pubblici e privati e si attua attraverso la definizione di un piano strategico che identifica un modello di sviluppo in grado di creare opportunità e sinergie. La pianificazione strategica rappresenta un'opzione di intervento fondamentale per le amministrazioni pubbliche, al fine di realizzare congiuntamente con il privato e il privato sociale politiche culturali di qualità. Il sostegno privato si caratterizza in un modello di collaborazione pubblico-privato che assume varie forme, spaziando dal mecenatismo fino alle sponsorizzazioni. Il mecenatism0 5 è un intervento, a titolo personale, di natura filantropica che promuove una produzione o commissiona un'opera. Rappresenta una forma di collaborazione tra pubblico e privato in quanto implica un rapporto di tipo economico tra produttore e promotore (mecenate). Dal punto di vista legislativo, il mecenatismo, presente fin dell'antichità6 trova una sua prima collocazione nel 1982 con la legge n. 512 per i beni culturali e nel 1985 con la legge n. 163 per lo spettacolo. Questi interventi legislativi prevedono un trattamento fiscale agevolato per le sovvenzioni a titolo di liberalità senza contropartita da parte del beneficiario; in questo modo viene rafforzata la presenza di soggetti privati all'interno del settore delle arti e della cultura. Le erogazioni liberali per i progetti culturali, introdotte grazie all'art. 38 della legge n. 348 del 2000 e ai successivi d.m. 11 aprile 2001 e d.m. 03 ottobre 2002, deducibili dal reddito di impresa, sono finalizzate alla realizzazione di programmi culturali del settore dello spettacolo e dei beni culturali. Sono detraibili, quindi, dagli utili delle imprese le somme destinate ad attività culturali ed artistiche devolute a favore di soggetti beneficiari come: lo Stato, le Regioni e gli Enti locali, le persone giuridiche, costituite o partecipate sempre dalle amministrazioni centrali e regionali, gli enti pubblici o persone giuridiche private costituite mediante leggi nazionali o leggi regionali. ,
194
Altri potenziali destinatari sono i soggetti, con personalità giuridica pubblica o privata, che abbiano ricevuto nei cinque anni antecedenti all'anno di imposta in cui avviene l'erogazione in loro favore, finanziamenti a valere sul Fondo unico dello spettacolo ovvero che, pur non avendo ricevuto ausili finanziari, si trovino nella condizione di aver diritto a riceverli, anche se nel primo anno di attività. Nel lungo e dettagliato elenco previsto dalla norma sono poi compresi: i soggetti, con personalità giuridica pubblica o privata, che, almeno in uno degli ultimi cinque anni antecedenti all'anno di imposta in cui avviene l'erogazione in loro favore, abbiano ricevuto fondi a valere sulla legge n. 534 del 1996; i soggetti, con personalità giuridica pubblica o privata, che abbiano ricevuto, almeno in uno degli ultimi cinque anni antecedenti, finanziamenti (direttamente) previsti da disposizioni di legge statale o regionale; le associazioni, fondazioni e consorzi, che risultino costituiti sia tra Enti locali e soggetti con personalità giuridica di diritto privato rientranti nelle categorie di cui alle lettere precedenti, sia esclusivamente tra tali ultimi soggetti; le persone giuridiche private che sono titolari o gestori di musei, gallerie, pinacoteche, aree archeologiche o raccolte di altri beni culturali o universalità di beni mobili comunque soggetti ai vincoli e alle prescrizioni di cui al decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490, funzionalmente organizzati ed aperti al pubblico; le persone giuridiche private che esercitano attività dirette a formare e diffondere espressioni della cultura e dell'arte, così come definite dall'art. 148 e ss. decreto legislativo n. 112 del 31 marzo 1998. Purtroppo, lo slancio di positività iniziale registratosi con la legge n. 342 del 2000 è stato frenato dai successivi decreti ministeriali. Essi impongono, infatti, una soglia massima annuale di erogazione che i soggetti beneficiari possono ricevere, soglia che costituisce la base imponibile per l'applicazione dell'aliquota del 37% e per la conseguente determinazione delle somme da versare all'erario. Dunque, nel caso in cui le somme ricevute dal soggetto beneficiano eccedano la soglia prefissata, la parte in esubero deve essere versata all'erario. I soggetti beneficiari devono versare un importo pari al 37% della differenza tra le somme da essi ricevuti e la quota medesima assegnata dal 195
ministero per i Beni e le Attività Culturali. Il ministero, inoltre, cura la comunicazione ai soggetti beneficiari della quota loro assegnata e della conseguente somma da versare all'erario. Ciò evidenzia una forte ingerenza da parte dello Stato all'interno della "società civile", limitando fortemente l'iniziativa privata dei singoli al finanziamento del settore culturale. Un segnale di ripresa emerge tra il 2003 e il 20048 , questo trend positivo sembra cogliere anche aspettative future migliori grazie all'iniziativa del Governo sulla nuova regolamentazione in merito alla deducibilità fiscale delle erogazioni liberali alle Onlus, in vigore dal 17 marzo 2005. Questa decisione è stata assunta all'interno del decreto sulla competitività, ossia del "Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale"; si conferma, così, la tendenza ad intervenire sul settore culturale con differenti provvedimenti normativi, dalla legge finanziaria, alle leggi di settore ed allo stesso decreto sulla competitività, con un effetto complessivo di opacità sulle decisioni del sistema della pubblica amministrazione. La legge consente a privati e aziende di dedurre le donazioni a favore di Onlus e associazioni di promozione sociale nella misura del 10% del reddito imponibile e fino a un tetto di 70 mila euro l'anno. Un aspetto estremamente importante di questa legge è sicuramente quello che prevede anche la possibilità di dedurre le erogazioni liberali, dal reddito, effettuate per il settore dei beni culturali e dello spettacolo anche per le persone fisiche ed enti non commerciali. L'approvazione di questa proposta è stata voluta dalle organizzazioni non profit 9 per ridare uno slancio di vitalità al terzo settore italiano, "allineandone il peso economico e sociale a quello degli altri Paesi occidentali" attraverso una forte concertazione con gli interessi di impresa. L'obiettivo è quello di evidenziare la compartecipazione del terzo settore, del pubblico e del privato a favore del mondo della cultura. L'arretratezza della legislazione fiscale per il terzo settore in tema di deducibilità delle erogazioni liberali è riconducibile, in parte, ad una mancata attenzione del legislatore che ha rallentato sussidiarietà e forme di collaborazione tra pubblico e privato. Si tratta, sicuramente, di primi passi che possono prefigurare l'introduzione nel sistema italiano di modelli consolidati nel mondo anglossassone come i Charitable trustfinds. In Gran Bretagna la detassazione del reddito versato al settore non profit trova invece radici profonde, grazie alla presenza dei Charitable trust 196
find°, organizzazioni senza scopo di lucro operanti in diversi settori come educazione, assistenza, sanità, servizi sociali, etc. Dal punto di vista fiscale, le charities sono esenti dalle imposte sul reddito; le imprese sono infatti autorizzate a dedurre dal reddito tassabile le erogazioni liberali e dal 1986, inoltre, è possibile dedurre anche i redditi da lavoro. Ciò ha permesso per il settore dell'arte e della cultura di avere un giro d'affari pari a 800 milioni di euro provenienti dallo Stato e oltre 180 milioni di euro provenienti dalle imprese". Negli Stati Uniti, la percentuale di erogazioni mecenatistiche per la cultura è pari circa all'i % dei Pii. Il mondo dei non profit americano si basa in prevalenza sul mecenatismo privato, che vede per il settore cultura consistenti erogazioni soprattutto da parte dei cittadini. Inoltre, alcuni strumenti come ad esempio i tax-exempt bond 12 e il venture capita1 13 sono utilizzati per sostenere e finanziare il settore culturale. Lo sviluppo di interazioni con i soggetti privati in grado di mettere a disposizione risorse economiche per il settore cultura può essere attuato anche attraverso lo strumento contrattuale della sponsorizzazione che permette un confronto stimolante tra diversi soggetti. La sponsorizzazione consiste nell'utilizzazione di una serie di strumenti finanziari volti alla diffusione di una particolare comunicazione commerciale, tramite l'impiego di avvenimenti a grande contenuto di immagine. In estrema sintesi, può dirsi che con il contratto di sponsorizzazione, un imprenditore interessato a favorire la diffusione dei propri segni distintivi, si obbliga a corrispondere una determinata somma di denaro ad un soggetto preposto alla gestione di attività e manifestazioni di rilievo pubblico, ottenendo, in cambio, l'impegno a rendere palese il suo intervento, sì che questo venga riconosciuto come elemento fondamentale, senza il quale l'evento o l'attività di rilievo sociale non si sarebbe potuto verificare. In altre parole, con tale contratto, lo sponsor cerca di conseguire un ritorno in termini di immagini e Io sponsee trova invece un finanziatore per lo svolgimento di un'attività di solito di valore sociale, culturale o sportivo, ottenendo denaro o prestazioni tecniche. Negli ultimi tempi, lo strumento di sponsorizzazione sta acquistando un rilievo costantemente crescente soprattutto nel settore culturale. Il codice Urbani 14 , all'art. 120, definisce la sponsorizzazione come "ogni forma di contributo in beni o servizi di soggetti privati alla progettazione o all'attuazione di iniziative del Ministero, delle Regioni e degli altri enti pubblici territoriali ovvero di soggetti privati, nel campo della tutela e va197
lorizzazione del patrimonio culturale, con lo scopo di promuovere il nome, il marchio, l'immagine, l'attività o il prodotto dell'attività dei soggetti medesimi". In questo senso il legislatore vuole favorire, tramite il contratto della sponsorizzazione, la partecipazione dei privati non soltanto alle attività di valorizzazione ma anche alla tutela del patrimonio culturale, ruolo che altrimenti potrebbe essere riconosciuto a soggetti privati solo se proprietari, possessori o detentori del bene da tutelare 15 Nel contratto di sponsorizzazione, lo sponsorizzato si obbliga a consentire ad altri l'uso della propria immagine pubblica e del proprio nome per promuovere un marchio o un prodotto culturale, dietro corrispettivo da parte dello sponsor. All'acquisizione di risorse finanziarie tramite la sponsorizzazione, non segue immediatamente la possibilità di gestire tali fondi direttamente, in quanto l'ente pubblico non è solitamente nelle condizioni di poter introitare il denaro proveniente dagli sponsor. Inoltre, le risorse finanziarie che si ottengono non servono solo per coprire i costi di allestimento o di assicurazione di una mostra, ma anche per finanziare l'indotto di comunicazione che è l'esigenza primaria per cui le imprese si impegnano nella sponsorizzazione. Il finanziamento tramite sponsorizzazione può assumere diverse forme: dalla fornitura gratuita di prodotti al fine di avvalersi del titolo di "fornitori ufficiali", all'abbinamento ad un evento, ad un restauro, oppure ad un ente. In quest'ultimo caso si determina per l'istituto una serie specifica di obblighi di prestazioni, come ad esempio l'inclusione del nome o del marchio dell'impresa nella denominazione dell'ente, l'apposizione degli stessi su cartelloni, biglietti di ingresso e così via. In generale, possono poi essere distinti: - l'abbinamento, ossia la combinazione di impresa sponsor a quello del veicolo di promozione, sia esso un evento o un luogo; - il merchandising, vale a dire il contratto con cui l'impresa ottiene il diritto di sfruttamento economico di un elemento caratteristico della notorietà dell'ente o della manifestazione; - il pooi ovvero un insieme di aziende che realizzano la sponsorizzazione di un soggetto, di un organizzazione o di un evento culturale, fornendo gli strumenti finanziari. La sponsorizzazione classica è un contratto con cui un impresa o piui imprese non collegate tra loro promuovono la loro attività e immagine fi.
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nanziando un'opera o un'organizzazione senza un abbinamento tra sponsor e sponsee. Come però è stato già evidenziato, per tali forme di sponsorizzazione, opera una sorta di scrematura delle attività, poiché i grandi costi esigono ritorni di immagine adeguati e, quindi, campi di investimento ad alto valore mediatico. In tal modo, lavori di restauro di alcune opere universalmente conosciute saranno molto più facilmente finanziabili (ad esempio, "la Primavera" del Botticelli) con la sponsorizzazione rispetto al resto di opere che hanno un minore impatto in termini di ritorno d'immagine (come può essere, ad esempio "l'ultima cena" di Vasari). Inoltre, per favorire il ricorso a tale strumento, lo Stato deve far sì che esso sia, per lo meno dal punto di vista dei costi, confrontabile ad altre forme di promozione dell'immagine (ad esempio, in termini di possibilità di dedurre una parte dei costi). Emerge, infatti, che dal 2002 lo strumento della sponsorizzazione è in calo costante (circa 5%) 16, ciò può portare a ripensare anche in questo caso gli aspetti fiscali, favorendo, una ripresa dell'iniziativa. Il contratto di sponsorizzazione, per la pubblica amministrazione, ha dunque essenzialmente uno scopo di finanziamento e da questo punto di vista, appare propriamente come uno strumento di finanziamento atipico rispetto alle norme di contabilità pubblica che disciplinano e ordinano gli strumenti finanziari a cui le amministrazioni possono far ricorso; negli ultimi anni si è registrata una crescente attenzione allo strumento della sponsorizzazione, così come testimoniano il laboratorio nazionale sulle sponsorizzazioni, promosso all'interno del programma Cantieri del Dipartimento della funzione pubblica (2003-2004). Altra modalità interessante è rappresentata dalla ricerca più attenta di forme di associazione o partnership pubblico-privato non profit che consentano di contemperare, al loro interno, l'orientamento a fini collettivi della presenza pubblica e la collaborazione imprenditoriale e finanziaria della presenza privata. Il coinvolgimento dei privati per la valorizzazione dei beni culturali è stato recentemente disciplinato anche dal nuovo Codice per i beni culturali (art. 15 d.lgs. 42 /2004), in cui "la gestione in forma indiretta è attuata tramite l'affidamento diretto a istituzioni, fondazioni, associazioni, consorzi, società di capitali o altri soggetti, costituiti o partecipati, in misura prevalente, dall'amministrazione pubblica cui i beni pervengono e la concessione a terzi, in base ai criteri indicati ai commi 4 e 5". Lo Stato e le Regioni ricorrono alla gestione in forma indiretta al fine di assicurare un adeguato livello di valorizzazione dei beni culturali. 199
Ciò sottolinea la possibilità di gestire i servizi pubblici di natura culturale non soltanto attraverso l'esternalizzazione ma per mezzo di costituzione di soggetti a partecipazione mista pubblico-privata 17 Le partnership sono formule collaborative che possono assumere carattere strutturale laddove si adotti lo strumento della società per azioni mista, ma possono anche avere carattere di accordo e di convenzione ad hoc. Sono soprattutto le convenzioni e gli accordi fra soggetti pubblici e privati che rappresentano, oggi, la strada ed il veicolo naturale per mobilitare risorse e far convergere sforzi su progetti, atti a valorizzare l'utilità pubblica propria del patrimonio culturale. Queste nuove modalità di organizzazione e gestione del patrimonio culturale, per altro verso, segnerebbero il passaggio fondamentale da una concezione fiscale del servizio, in cui la realizzazione delle attività si appoggia completamente sulle risorse provenienti dalla tassazione -e, dunque, in ultima analisi sull'intera collettività, ad una visione di natura commerciale, nella quale il costo di produzione del servizio, viene invece posto a carico degli utenti in base all'intensità dell'uso che gli stessi ne facciano. In questa prospettiva va sicuramente letta l'introduzione delle modalità di finanza di progetto. Grazie a tali strumenti è però possibile risolvere non solo il problema del reperimento delle risorse finanziarie, ma in parte anche il problema della progettazione di interventi di recupero dei beni e della gestione delle strutture restaurate. Nella maggior parte delle partnership occorre far molta attenzione alle possibili tensioni che possono verificarsi tra gli operatori pubblici (responsabili della programmazione delle attività culturali) e partner privati che gestiscono i servizi e contribuiscono al finanziamento del progetto. Potrebbe infatti verificarsi il caso in cui gli obiettivi dell'impresa privata siano in contrasto con la politica culturale espressa dall'amministrazione pubblica. La fattibilità di queste operazioni dipende, essenzialmente, dall'esistenza di un cash flow sufficiente a garantire l'equilibrio economico-finanziario dell'investimento. Infatti, ciò che è più rilevante è che tutte le attività vengano eseguite nell'ambito del perseguimento di un interesse collettivo in nome e per conto del privato che sopporta il rischio economico dell'iniziativa. Il privato avrà l'interesse a trarre profitto dai proventi dei servizi che vengono forniti e pertanto tenderà ad ottimizzare l'economicità complessiva dell'operazione. Ora è evidente che vi sono attività, quali sono, ad esempio, quelle di manutenzione e restauro conservativo, che non sono di per sé atte a pro.
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durre ricavi economici immediati e diretti; in questa situazione i relativi costi sembrano destinati a rimanere necessariamente a carico della finanza pubblica. In tutti i casi di investimento con capitali dei privati può verificarsi quel fenomeno definito cream skimming, ovvero nella selezione degli investimenti vengono esclusi i progetti poco lucrativi, come è razionale che sia. Un ricorso indiscriminato ai capitali privati, sposterebbe pertanto l'ottica valutativa dei progetti culturali esclusivamente sulla capacità di produrre rientri finanziari idonei a coprire i costi di gestione e remunerazione dei capitali. In tutti questi casi la pubblica amministrazione dovrebbe, comunque, attrezzarsi per cambiare il suo ruolo: da erogatore diventerebbe più nettamente promotore, coordinatore e controllore, adottando tutti gli strumenti necessari a compiere razionali ed analitiche valutazioni comparative dei progetti di intervento, nonché a definire e verificare il raggiungimento di determinati standard di efficienza, equità e performance. In tale prospettiva risulta prioritario formare un management pubblico abile nello stipulare contratti e padrone delle tecniche e degli strumenti di finanziamento e valutazione. REINVENTARE LA FINANZA PER IL SETTORE CULTURALE ED ARTISTICO A LIVELLO LOCALE
Le modalità più diffuse del finanziamento, dal mecenatismo, alle sponsorizzazioni, al partenariato pubblico-privato fino alla stessa finanza di progetto, sembrano quindi registrare una parziale battuta d'arresto. Queste difficoltà stanno inoltre interessando il ricorso alle formule gestionali; si registrano, in alcuni contesti territoriali, difficoltà nel trovare partner privati nelle formule miste come le società di capitali e le stesse fondazioni, a fronte di performance economico-finanziarie poco brillanti o comunque inferiori alle aspettative. Si tratta quindi di pensare a logiche di intervento, da parte di amministrazioni regionali e soprattutto locali, radicalmente diverse rispetto a quelle messe in atto in passato, logiche che dovranno essere basate su due importanti assunzioni strategiche. La prima assunzione è rappresentata dal riconoscimento della continuità, nei prossimi anni, della tendenza alla riduzione dei fondi per la cultura e l'arte per le amministrazioni pubbliche ai diversi livelli; dall'an201
damento stop andgo si passerà, probabilmente, ad una fase di stop che durerà alcuni anni. La seconda risiede nella necessità di ripensare, proprio per fronteggiare la fase restrittiva, il partenariato pubblico-privato, verificando la fattibilità istituzionale, gestionale ed economico finanziaria di modalità di azione, che stanno per essere adottate in altri Paesi, o che cominciano a trovare, come nel caso delle fondazioni comunitarie, una prima diffusione nel nostro Paese.
Esperienza World Monument Forum Regioni e distretti culturali
Finanza arte e cultura e nuovi modelli di partenariato Fondazioni Comunitarie e filantropia comunitaria
Fondi privati Investimento nei musei
Figura 3. Partenariato pubblico-privato non profit ed innovazione finanziaria
Questi strumenti sono sintetizzati nella figura 3; il primo è sicuramente rappresentato dalla attivazione di fondi privati di valorizzazione, sul modello del World monumentsfund (WMF), che ha saputo raccogliere più di 15 milioni di dollari tramite il fund raising presso le imprese private, intervenendo su più di 400 siti archeologici e monumentali a livello internazionale, diventando cosi una alternativa operativa e gestionale di successo allo stesso World monumentsfiind (WHF) dell'UNEsco. I fondi privati per la tutela e la valorizzazione del patrimonio artistico e 202
culturale possono diventare, in alcune Regioni, distretti culturali di particolare rilevanza, come quelli collegati ad aree archeologico monumentali, ciò costituisce una linea di intervento da valutare con estrema attenzione; un'altra alternativa che il privato può sperimentare direttamente consiste nell'attivazione di fondi WMF da parte di alcune importanti organizzazioni non profit, che, individualmente o in partnership, si occupano nel nostro Paese della tutela, promozione e valorizzazione del patrimonio artistico e culturale. Immediato è il riferimento al Fondo per l'ambiente italiano (FM) o allo stesso Touring club italiano, si può quindi pensare nel contesto italiano a verificare la fattibilità di un fondo globale per l'arte. Al modello del WMF per aree regionali o distretti culturali possono essere strettamente raccordate le fondazioni comunitarie, attivate negli ultimi anni dalla Fondazione Cariplo sul modello delle community foundations a livello internazionale. Le fondazioni comunitarie hanno come obiettivo la mobilitazione ed il coordinamento strategico della filantropia comunitaria, utilizzando le risorse messe a disposizione dalle fondazioni di origine bancaria come moltiplicatori e catalizzatori dei fondi provenienti da singoli donatori, da fondazioni individuali e di imprese e dal mondo del terzo settore e del privato sociale. I fondi raccolti dalle fondazioni comunitarie vengono poi utilizzati per finanziare progetti, normalmente promossi da organizzazioni non profit, in alcuni casi anche in partnership con operatori pubblici, nel settore socio-assistenziale, sanitario, di tutela' dell'ambiente, educazione e ricerca, sport e tempo libero ed ovviamente tutela e valorizzazione del patrimonio artistico e culturale. Le fondazioni comunitarie, che iniziano a diffondersi anche in altre Regioni del Centro nord (Pien'ionte e Veneto), oltre a costituire una valida risposta alle difficoltà del ricorso a donazioni e sponsorizzazioni, possono essere viste come catalizzatori di risorse finanziarie per i fondi regionali per la cultura e per i finanziamenti dei distretti culturali, da lanciare sul modello WMF. Infine, l'ultimo strumento, a cui è riservata crescente attenzione in alcuni Paesi europei (Germania federale ed Olanda in particolare) è rappresentato dai fondi per l'arte; si tratta, sinteticamente, di modalità di cooperazione tra musei pubblici, intermediari finanziari, banche e fondi di investimento nel settore artistico. I fondi si occupano dell'acquisto (e del riacquisto in alcuni casi) di ope203
re d'arte, che vengono messe a disposizione, per esibizioni temporanee e particolari eventi, ai musei che aderiscono al fondo e che svolgono attività di consulenza e valutazione scientifica ed artistica per lo stesso. I fondi, che vedono la partecipazione di azionisti "istituzionali", vengono poi trattati sui mercati azionari, in una prospettiva di creazione ed aumento del loro valore. Una occasione importante da sfruttare in tal senso può essere sicuramente rappresentata dal recente decreto del ministero per i Beni e le Attività CulturaliiS in cui viene prevista la garanzia dello Stato per la copertura dei rischi derivanti dal prestito dei beni culturali per mostre e manifestazioni; questa garanzia può essere quindi estesa in prospettiva ai fondi per l'arte. Questi possono essere introdotti non soltanto per singoli musei ma estesi a reti museali, operanti a livello locale ed a livello regionale. Nuovi strumenti, creatività e capacità innovativa da parte delle amministrazioni regionali e locali sicuramente non bastano; gli strumenti proposti si basano suilo sviluppo di capacità di coordinamento strategico delle stesse amministrazioni pubbliche, necessarie per superare logiche di Partenariato pubblico-privato, troppo ingessate sugli studi di fattibilità giuridico-istituzionale di formule gestionali, quali le fondazioni, che invece bisognerebbe focalizzare su logiche di coprogettazione e co-realizzazione con il terzo settore per interventi di promozione dell'arte e della cultura a livello locale.
Rif. Articolo 151 del Trattato sull'Unione europea. 2 Giornale dell'Arte n. 243/2005. Federculture, "Le città della cultura", Roma, 11febbraio 2005. "Ci riferiamo al trust, cfr. p. 5. 5 11 termine deriva da Gaio Mecenate protettore dei letterati e consigliere dell'imperatore Augusto. 6 Nel tempo, il ruolo del mecenate ha assunto forme diversi.' Dal "ministro della cultura" nell'età agustea, una cultura sostenuta da chi deteneva il potere politico e, quindi, per fini apologetici e di celebrazione. Il medioevo, poi, fu l'epoca caratterizzata in particolare dal mecenatismo di 204
Carlo Magno, il quale intendeva valorizzare l'età antica, ma anche degli ordini religiosi che per le proprie chiese commissionavano agli artisti arredi, vetrate, sculture etc. Va ricordato, quindi, anche il mecenatismo dei papi nel Rinascimento. 7 Nel 2001 gli imprenditori che hanno utilizzato questo strumento sono stati 308, per un investimento complessivo di 17 milioni di euro. Nel 2002 l'investimento è sceso a 14 milioni di euro. 8 Nel 2003 si ha avuto un investimento di 17 milioni e nel 2004 di 19 milioni. 9 Vedi «Vita no profìt»: www.vita.it IO La presenza dei Charitable Trust Funds nel terzo settore britannico è regolata dal 1601, con lo statuto di Elisabetta I "Charities Uses2lct".
Il
Si veda Federculture, Convegno "Le Città della cultura", Roma, 11febbraio 2005. 12 J tax-exempt bond sono un titolo di credito di emissione delle amministrazioni territoriali americane il cui rendimento fisso può essere vincolato al perseguimento di un risultato, come il finanziamento di un'azienda culturale. Si tratta di obbligazioni emesse da enti governativi la cui rendita, finalizzata al finanziamento di attività pubbliche o chariry pubbliche e private, non può essere oggetto di tassazione. 13 Si definisce capitale di rischio l'apporto azionario, o la sottoscrizione di titoli convertibili in azioni, da parte di operatori specializzati, in un'ottica temporale di medio-lungo termine (dai 5 ai 10 circa), effettuato nei confronti di imprese non quotate e con elevato potenziale di sviluppo in termini di nuovi prodotti o servizi, nuove tecnologie e nuove concezioni di mercato. 14 Decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42. 15 Si veda GIUSEPPE PIPERITA, Sponsorizzazione e interventi sui beni culturali, in «Aedon», 112005. IS Dati Federculture, 2005. 17 Si veda "L'evoluzione del rapporto impresacultura: il caso Lottomatica", Contributo Nomisma alla III Conferenza nazionale degli Assessori alla Cultura e al turismo, Roma 10-12 febbraio 2005. 18 Giornale dell'Arte n. 243 maggio 2005.
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istituzioni n. 1401143 Annale 2006
La realizzazione e la gestione delle intrastrutture per lo sport* di Valeria Valiserra
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1 processo di trasformazione delle amministrazioni e, conseguentemente, dei rapporti tra autorità pubbliche, cittadini e imprese (private o pubbliche) ha subito, nel corso degli anni Novanta, una repentina accelerazione. Il cambiamento, tuttora in atto, riguarda i modelli di comportamento strategico, gestionale, contrattuale, i percorsi procedurali, i criteri di valutazione dei risultati dell'attività amministrativa. Anche l'erogazione di servizi per il tempo libero, e più in particolare dei servizi per lo sport, sta affrontando un periodo di profonda revisione dei processi decisionali ed attuativi, lasciando spazio ad esperienze fortemente innovative. In questo contributo si evidenzieranno i tratti salienti della riforma del settore, attraverso una prima sintetica ricostruzione del quadro normativo di riferimento dello sport - nella sua accezione di servizio pubblico locale - e si percorreranno le fasi che interessano l'ideazione, la realizzazione e la gestione degli impianti sportivi mettendone in luce alcuni aspetti problematici.
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SPORT E LA COSTITUZIONE
La riforma apportata al Titolo V parte TI della Costituzione ha prodotto effetti rilevanti anche nel settore dei servizi sportivi. Prima di allora, infatti, mancava nella nostra Carta costituzionale qualsiasi riferimento allo sport. L'attuale impianto dell'art. 117, comma 3, della Costituzione invece, attribuisce alla competenza legislativa concorrente dello Stato e delle Regioni la tutela aena salute e i orcunamento sportivo , mentre, ai sensi del comma 4 del medesimo articolo, è rimessa alla legislazione esclusiva regionale la disciplina di tutti gli altri aspetti sportivi non precedentemente menzionati. I
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L'Autrice è Avvocato, consulente della Ques.i.re sri. IMO
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A queste indicazioni, si collega il disposto dell'art. 118 della Costituzione, anch'esso modificato in seguito all'approvazione della legge 3/2001, in base al quale "le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario, siano conferite a Province. Città metropolitane, Regioni e Stato sulla base dei principi •di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza". La norma cristallizza il principio comunitario di sussidiarietà cosiddetta "verticale" per il quale la responsabilità e l'esercizio di funzioni pubbliche è rimesso ai soggetti istituzionali più vicini ai destinatari e, quindi, ai Comuni, salvo prevedere l'intervento dei livelli istituzionali superiori ma solo per esigenze di unitarietà e, comunque, sempre nel rispetto dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza. LE FUNZIONI AMMINISTRATIVE IN MATERIA SPORTIVA
Anche prima della citata riforma del Titolo V, la materia sportiva aveva comunque trovato un'articolata disciplina nelle disposizioni dettate dal d.PR 616/1977 1 : per attuare il principio del c.d. "parallelismo" 2 , la materia sportiva veniva associata a quella del turismo e trasferita alle Regioni. In particolare, alle Regioni venivano attribuite le funzioni amministrative in materia di turismo e di industria alberghiera, facendovi rientrare, specificatamente, le funzioni attinenti alla realizzazione degli impianti sportivi e delle attrezzature; ai Comuni, infine, spettavano le funzioni amministrative in materia di promozione dell'attività sportiva e ricreativa. Tale impostazione fu successivamente confermata dalla Corte costituzionale che, con la sentenza n. 517/1987, contribuì a chiarire i ruoli tra Stato e Regioni nel settore. La Corte, infatti, individuò nel carattere agonistico delle attività sportive la linea di demarcazione delle competenze tra Stato e Regioni. In particolare, alla competenza dello Stato e, conseguentemente, al CoNI, posto sotto la vigilanza del ministero del Turismo e dello Spettacolo, venivano rimessi gli interventi sugli impianti sportivi, necessari a promuovere e realizzare attività agonistiche, mentre alle Regioni spettavano le medesime attribuzioni in relazione all'organizzazione delle attività sportive non agonistiche. Inoltre, per espressa affermazione della stessa Corte costituzionale, il criterio di ripartizione delle competenze tra Stato e Regioni precedentemente evidenziato, si applicava anche nella attribuzione delle funzioni per la realizzazione delle infrastrutture sportive. 207
Con la soppressione del ministero del Turismo e dello Spettacolo, operata con il referendum del 1993, le funzioni amministrative e le competenze del Ministero furono trasferite alle Regioni, rimanendo in capo allo Stato unicamente le funzioni di prioritario interesse nazionale e l'azione di coordinamento con le Regioni. La centralità del ruolo delle Regioni e degli altri enti territoriali è stata, infine, confermata dalle disposizioni del d.lgs. 112/1998 che, nell'ottica del decentramento amministrativo, ha attribuito agli enti territoriali le funzioni precedentemente di competenza dello Stato 3 mantenendo in capo ad esso le funzioni di vigilanza sul CONI e sull'Istituto per il credito sportivo. Attualmente, il settore sportivo è di competenza del ministero per le Politiche giovanili e attività sportive. LA NATURA GIURIDICA DELL'IMPIANTO SPORTIVO DI PROPRIETÀ DELIENTE LOCALE
L'impianto sportivo si configura come "lo spazio al chiuso o all'aperto, nel quale si praticano discipline sportive, regolate da norme, approvate dalle federazioni sportive nazionali riconosciute dal CONI 4 ". Gli impianti sportivi pubblici possono appartenere allo Stato, agli enti territoriali (Regione, Provincia, Comune, Unione di comuni) e a soggetti pubblici diversi dallo Stato e dagli enti territoriali, nella misura in cui siano strumentali all'attività istituzionali dai medesimi effettuate 5 . In base a recenti orientamenti giurisprudenziali, se ne è riconosciuta la natura giuridica di "bene pubblico facente parte del patrimonio indisponibile del Comune ai sensi dell'art. 826 del Codice civile 6, essendo destinato al soddisfacimento dell'interesse proprio dell'intera collettività e allo svolgimento delle attività sportive che in esso hanno luogo 7". Inoltre, nella misura in cui sia destinato "ad un pubblico di utenti che della pratica sportiva si giova nell'ambito di prestazioni che per loro natura sono preordinate a realizzare fini sociali ed a promuovere lo sviluppo civile della comunità locale" 8 è bene destinato alla realizzazione di un servizio pubblico locale, e la sua esistenza è fortemente caratterizzata dal complesso panorama di norme vigenti nella predetta materia.
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LA CRISI DEL SETTORE DELLE INFRASTRUTTURE PUBBLICHE SPORTIVE
Negli ultimi anni il settore dei servizi sportivi è interessato da un meccanismo di profonda revisione dei processi decisionali ed attuativi, reso necessario dal verificarsi di diversi fattori, tra i quali possiamo indicare la generale carenza di risorse pubbliche da destinare alla realizzazione di infrastrutture sportive locali e, sovente, l'inefficienza con cui vengono utilizzati i finanziamenti agevolati dedicati alla realizzazione delle predette infrastrutture. Per quanto concerne, in particolare, il secondo fattore precedentemente evidenziato, le indagini hanno evidenziato che a fronte della presenza di investitori "pubblici" (Cassa depositi e prestiti e Istituto per il credito sportivo) che erogano il credito a condizioni pii1 vantaggiose rispetto a quelle del mercato, numerosi progetti per i quali sono stati richiesti i finanziamenti non giungono alla fase di realizzazione. Ciò si registra, soprattutto, nelle Regioni meridionali e dipende dalla carenza di fondi disponibili in bilancio e dalla presentazione di progetti infrastrutturali non supportati da un adeguato piano economico finanziario dell'iniziativa e pertanto non accoglibili. I dati 2002 relativi al rapporto tra l'entità degli importi relativi alle pratiche in istruttoria (dell'Istituto per il credito sportivo) ed i volumi erogati hanno infatti evidenziato che soltanto una esigua percentuale di domande di finanziamento sono seguite dall'effettiva erogazione del mutuo, con differenze notevoli fra nord (41,9%), centro (23,7%) e sud Italia (11,7%). A ciò si aggiunge lo stato di deterioramento che caratterizza le infrastrutture sportive, la progressiva riduzione dei contributi a fondo perduto a società e manifestazioni, l'assenza di Enti locali quali sponsor di squadre ed eventi sportivi, l'esplosione del problema del costo di utilizzo degli impianti e il crescente disimpegno dei Comuni nella gestione diretta delle infrastrutture. E necessario, dunque, ripensare il modo di realizzare gli impianti sportivi, tenendo conto delle esigenze espresse dal territorio e con una capacità progettuale innovativa, sia in termini di gestione dei progetti che di predisposizione dell'intero processo (rilevazione della domanda dei servizi, aspetti amministrativi/procedurali, aspetti economico/finanziari, aspetti di progettazione degli spazi urbani per l'erogazione dei servizi, aspetti gestionali e di marketing). A tale fine vengono individuate quattro macro fasi che caratterizzano la realizzazione e la gestione degli impianti sportivi, nel cui ambito vengono 209
evidenziati alcuni momenti critici: 1) iniziativa, 2) progettazione, 3) realizzazione, 4) gestione e monitoraggio. LA FASE DELL'INIZIATIVA (LA NASCITA DELL'IDEA E LA VERIFICA DELLA FATTIBILITÀ)
L'iniziativa per la realizzazione di un impianto sportivo può essere determinata da una serie di variabili riconducibili, principalmente, all'osservazione della realtà economica locale, nazionale ed internazionale, all'analisi della realtà sociale, all'analisi delle variabili di mercato, ovvero all'esperienza dell'ente, o ancora all'utilizzo di idee mutuate da esperienze di altri promotori. In generale, gli elementi che normalmente caratterizzano una "buona idea", vale a dire un'iniziativa con ottime possibilità di successo finale sono: concretezza dell'oggetto. In particolare, il contenuto non deve essere connotato da eccessiva genericità (a titolo d'esempio, l'idea di realizzare un impianto sportivo per fornire non meglio identificati servizi sportivi ai residenti del Comune può essere troppo generica); convenienza, vale a dire deve essere in grado di realizzare, in un tempo ragionevole, un utile economico (tenendo conto anche dei ricavi sociali"); conoscenza delle risorse finanziarie e delle competenze necessarie (le quali possono essere già possedute dal proponente ovvero possono essere acquisite all'esterno). In questa fase, la corretta valutazione della domanda attuale e potenziale di servizi sportivi da parte dei cittadini/utenti (sia in relazione ad un singolo impianto, sia a livello di sistema) e dalla rilevazione dell'attuale livello di offerta garantito dagli impianti già presenti sul territorio, diventa momento imprescindibile alla progettazione dell'intervento. D'altronde, lo studio della domanda e dell'offerta di sport in un dato territorio si presta quale momento di analisi che accompagna tutte le fasi di vita dell'impianto, dall'origination alla sua gestione. Ciò risulta evidente laddove si considerino i seguenti aspetti: 1) il sistema sport inteso come l'insieme di tutti i praticanti e di tutti i servizi sportivi risulta particolarmente complesso comprendendo qualsiasi forma di attività fisica che, attraverso una partecipazione organizzata o meno, abbia per obiettivo l'espressione e il miglioramento della condizio210
ne fisica e mentale, con la promozione della socializzazione e/o il conseguimento di risultati in tutti i livelli 9 ; vi sono collegate attività di carattere esclusivamente economico: in particolare, l'industria del turismo, dell'abbigliamento e delle attrezzature sportive, delle calzature, farmaceutico, dei concorsi a premi, delle sponsorizzazioni, della televisione, della stampa e dell'alimentare rappresentano soio le principali; profondi cambiamenti hanno investito i suoi aspetti organizzativi e istituzionali, la relazione con gli altri settori del "tempo libero", il rapporto con l'economia e la società. Lo sport, da sempre considerato una delle forme di maggiore espressione dell'uomo, tende oggi a scomporsi in pi1 sottosistemi ciascuno caratterizzato da una propria struttura e da proprie regole, in grado di raggiungere un proprio equilibrio e di essere indipendente; negli ultimi anni poi si è avuta l'esplosione dello sport spettacolare, legato cioè alle regole della comunicazione televisiva, e dello sport strumentale, orientato alla ricerca della condizione fisica ottimale e generalmente organizzato in palestre o centri, in genere privati, ma poco regolamentato e solo occasionalmente competitivo. Da ciò consegue che il concetto di domanda sportiva deve comprendere anche tutta quella parte della popolazione che non svolge, pur volendo, alcuna attività sportiva, nonché coloro che non praticano sport e non esprimono alcun bisogno specifico (c.d. domanda potenziale). L'analisi della domanda deve avere carattere prospettico, cioè non si deve limitare al solo momento dell'ideazione dell'iniziativa, ma deve accompagnare l'impianto nella sua vita intera, utilizzando le informazioni che provengono dall'ambiente esterno e quelle interne all'impresa (numero di praticanti, motivazioni che spingono gli sportivi a scegliere l'impianto come proprio luogo di pratica, frequenza, ecc.). L'offerta sportiva in Italia presenta un sostanziale divario tra nord, centro e sud. In particolare, anche se dagli anni Novanta il meridione ha registrato un tasso di aumento di impianti sportivi monovalenti e polivalenti superiore rispetto al settentrione, se si confrontano i dati relativi alla variazione della dotazione d'impianti ogni centomila abitanti nelle diverse macro-aree si può constatare che il Mezzogiorno cresce a ritmi inferiori rispetto sia al centro sia al nord Italia 10 . Per quanto concerne la fase della gestione degli impianti sportivi pubblici, il settore è caratterizzato da un graduale passaggio dalla mano pubblica a quella privata. Il deficit pubbli211
co, in particolare della finanza locale, ha posto l'esigenza di ridurre i costi dei servizi, ricercando strade diverse per soddisfare le esigenze dei cittadini. Il settore più interessato da questa riforma sembra essere quello del calcio, dove, in seguito al verificarsi di alcuni eventi, si è formato un orientamento pressoché unanime di adesione al progetto di trasferire alle società la gestione dello stadio. Infatti è innegabile come il coinvolgimento della parte pubblica, nella fase di finanziamento così come di gestione, sia destinato a decrescere nel corso degli anni. Generalmente, le forme di partecipazione del settore pubblico all'iniziativa privata sono diverse: - finanziamento di parte del costo di costruzione dell'impianto; - costruzione delle strutture di accesso allo stadio: ferrovie, strade, metropolitana, etc.; - concessione del fondo dove costruire l'impianto. Il processo di privatizzazione sta portando ad un'evoluzione dello stesso concetto di sito sportivo, non più inteso come luogo da frequentare esclusivamente per la manifestazione sportiva di alto livello, quanto luogo di aggregazione per diverse finalità. Da questo punto di vista, lo sforzo di tutte le parti coinvolte è quello di raggiungere, attraverso il processo di privatizzazione, la trasformazione del manufatto esistente al fine di Consentire un uso più complesso e completo, che lo renda compatibile con un'ampia gamma di destinazioni sportive, culturali, economiche e sociali. In tal modo l'impianto potrà assicurare le fonti di reddito necessarie al regolare assolvimento del finanziamento richiesto per il suo adeguamento. LA FASE DI PROGETTAZIONE
Una volta verificata la corrispondenza dell'idea progettuale rispetto alla domanda di servizi per lo sport ed alla relativa offerta già esistente sul territorio, si devono affrontare tutti gli aspetti che caratterizzano lo sviluppo concreto dell'iniziativa. Si entra dunque nella fase di messa a punto dell'idea progettuale ove si definiscono la fattibilità dell'iniziativa in funzione degli aspetti sociali, organizzativi, economico-finanziari, di iter amministrativo, di realizzazione dell'intervento e di gestione delle infrastrutture in modo tale che il soggetto promotore diventi effettivamente consapevole delle criticità insite nel progetto e dunque si doti delle necessarie conoscenze per gestirle. Infatti, un progetto di successo deve perseguire i seguenti obiettivi: 212
- tempistica ridotta al minimo essenziale nelle diverse fasi di sviluppo del ciclo di progetto; - efficienza ed efficacia negli interventi con particolare attenzione alla gestione dei processi decisionali e delle fasi operative, eliminando alla base le possibili vischiosità - ad esempio, nell'iter amministrativo - che potrebbero impedire di intervenire con la tempestività desiderata; - elasticità del modello e corrispondente funzionalità dello stesso alla possibilità di partecipazione di altri soggetti sia pubblici sia privati; - garanzia di visibilità sul territorio del soggetto promotore. In particolare, gli interventi infrastrutturali pubblici nel settore dell'impiantistica sportiva possono riguardare: - la realizzazione di un nuovo un impianto; - l'ampliamento di un impianto esistente; - la ristrutturazione di un impianto esistente. Nel caso di nuova edificazione, ovvero di ampliamento di rilevante entità, è necessario che l'iniziativa sia sorretta da un ampio consenso, sia da parte dei cittadini, sia da parte delle forze politiche e sociali presenti sul territorio. Il progetto, inoltre, deve essere adeguatamente caratterizzato in relazione al contesto politico-amministrativo di riferimento, così da favorire la cooperazione con le istituzioni locali direttamente coinvolte. Questa fase, caratterizzata da particolare criticità, consente di arginare il c.d. rischio amministrativo di realizzazione. La massima concertazione può infatti determinare una notevole compressione dei termini necessari ad ottenere le prescritte autorizzazioni (urbanistiche, edilizie, nulla osta ambientale, etc.). Per quanto concerne, inoltre, le differenti tipologie di impianti realizzabili, che possiamo suddividere in mono-sportivi, polifunzionali e polivalenti, la rapida evoluzione che caratterizza il sistema sportivo determina quale principale conseguenza la necessità di progettare e realizzare strutture in grado di adattarsi meglio ai cambiamenti dell'ambiente. In tal senso, la realizzazione di strutture polifunzionali e/o polivalenti risulta essere la soluzione più adeguata, mentre, al contrario, gli impianti mono-sportivi sono destinati all'insuccesso nella misura in cui lo sport ivi praticato cessi di avere un numero sufficiente di praticanti. Tuttavia, le strutture monofunzionali possono sopravvivere all'evoluzione dei mercati nel momento in cui queste sono caratterizzate da un'elevata flessibilità d'uso (la realizzazione di impianti "trasformabili" trova come principale ostacolo il fattore costo, il quale tende a crescere all'aumentare del grado di trasformabilità 213
della struttura). In altri termini, appare fondamentale definire sin dalla fase di progettazione dell'impianto la più alta flessibilità d'uso possibile. Anche la progettazione finanziaria dell'intervento è un momento di particolare rilevanza nell'architettura complessiva dell'opera. Tradizionalmente, la realizzazione degli impianti sportivi è stata finanziata grazie a fondi pubblici limitando, di fatto, la creazione di un mercato dei prodotti finanziari specializzati sviluppato in funzione della competizione sia sul lato della domanda che sul lato dell'offerta. La disponibilità sul mercato delle diverse modalità di finanziamento - capitale di rischio, capitale di debito e forme ibride - ed il mix ottimale tra le stesse, in relazione allo stato di sviluppo dell'iniziativa, potrebbe invece in futuro rappresentare una chiave fondamentale di successo delle iniziative infrastrutturali in tale settore. La definizione del modello giuridico-istituzionale è il passo conclusivo delle analisi precedentemente condotte e consente di tradurre nella veste giuridica più idonea le istanze pubbliche e private coinvolte nella realizzazione dell'infrastruttura sportiva. È infatti possibile individuare due principali ipotesi organizzative in grado di soddisfare differenti esigenze dei soggetti coinvolti, sia da un punto di vista organizzativo che economico: 1) quella garantista (modello pubblico); 2) quella contrattuale (Partenanato pubblico-privato). Le caratteristiche generali dei modelli giudico-istituzionali di tipo garantista possono essere individuate nel perseguimento di obiettivi di tipo sociale, attraverso una struttura organizzativa formale di tipo gerarchicoburocratico. Il caso estremo, che tradizionalmente ha avuto ampio utilizzo nel caso degli impianti pubblici di proprietà degli Enti locali è la realizzazione dell'impianto e la successiva gestione in economia. I modelli giuridico-istituzionali di tipo contrattuale si caratterizzano, invece, per il perseguimento di obiettivi economico/sociali e per una struttura flessibile, di composizione mista pubblico-privata aperta all'ingresso di nuovi soggetti. La scelta del modello giuridico istituzionale è tuttavia condizionata dalla destinazione impressa dall'Ente locale all'impianto sportivo alla realizzazione di un servizio pubblico. In tale prospettiva, infatti, la scelta deve essere comunque condotta con riguardo ai vincoli imposti dalle norme vigenti in materia. Com'è noto, la disciplina della gestione dei servizi pubblici locali è stata interessata da numerose e rilevanti trasformazioni: a partire dalla legge 214
142/1990, fino ad arrivare all'attuale formulazione contenuta negli articoli 113 e 113 bis del TUEL in cui si opera una distinzione dei servizi pubblici a seconda della rilevanza economica o meno dell'attività espletata. In particolare, il discrimen tra le due tipologie di servizio è dato dalla possibilità che lo stesso presenti o meno profili di economicità. Difatti, nella scelta del modello di gestione dell'impianto sportivo l'Ente locale può avvalersi delle modalità di affidamento previste nell'art. 113 del d.lgs. 267/2000 (affidamento diretto - c.d. in houseproviding— a società a capitale interamente pubblico, affidamento diretto a società mista in cui il socio privato sia scelto con procedure ad evidenza pubblica, affidamento a società di capitali scelte con gara) qualora dalla gestione dell'impianto siano ipotizzabili margini di profitto, ovvero potrà ricorrere ai modelli di gestione previsti per i servizi non aventi rilevanza economica. Per quanto concerne i modelli di affidamento dei servizi pubblici locali non aventi rilevanza economica, la disciplina normativa di riferimento si rinviene nella legge regionale. Sul punto è infatti intervenuta la Corte costituzionale con una recente pronuncia del 200211, dichiarando l'illegittimità dell'art. 113 bis del d.lgs. 267/2000 e attribuendo alle Regioni il compito di regolare, con legge, le modalità di affidamento dei servizi pubblici locali non aventi rilevanza economica. In tale sede, infatti, si è chiarito che la competenza del legislatore statale nella materia dei servizi pubblici locali si estende agli aspetti di tutela e promozione della concorrenza. Aspetti che caratterizzano le modalità di gestione dei servizi pubblici locali a rilevanza economica ma sono estranei alle logiche di affidamento della gestione dei servizi a carattere non economico, pertanto sottratti alla competenza del legislatore statale. Le modalità di affidamento dei servizi a rilevanza non economica sono, dunque, individuate dal legislatore regionale, il quale ha tuttavia l'obbligo di rispettare il vincolo imposto dall'art. 90, comma 25 della legge 289/2002 (legge finanziaria per il 2003). Tale norma, infatti, stabilisce che: "nel caso l'ente pubblico territoriale non intenda gestire direttamente gli impianti sportivi, la gestione è affidata in via preferenziale a società e associazioni sportive dilettantistiche, enti di promozione sportiva, discipline sportive associate e Federazioni sportive nazionali, sulla base di convenzioni che ne stabiliscono i criteri d'uso e previa determinazione di criteri generali e obiettivi per l'individuazione dei soggetti affidatari. Le Regioni disciplinano con propria legge le modalità di affidamento". La stessa preferenza è, inoltre, accordata dal comma 26 del medesimo articolo in 215
favore delle associazioni e società sportive dilettantistiche per quanto attiene all'utilizzo degli impianti sportivi scolastici. In merito alla citata disposizione è intervenuta la Corte costituzionale! 2 chiarendo che la gestione e l'utilizzo degli impianti sportivi, la scelta delle modalità di affidamento, come disciplinati dall'art. 90 della legge finanziaria per il 2002 precedentemente indicato, sono ricomprese nella materia "ordinamento sportivo" e pertanto, ai sensi dell'art. 117 comma 3 della Costituzione costituiscono principi fondamentali, nel rispetto dei quali le Regioni stabiliscono la disciplina di attuazione.
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LA REALIZZAZIONE DELL'IMPIANTO SPORTIVO PUBBLICO
Molteplici sono le modalità, le procedure e gli strumenti utilizzabili dall'Ente locale per la realizzazione e l'edificazione di un impianto sportivo, ovvero per l'edificazione e la gestione dello stesso. Ciò dipende dalla natura e dalla dimensione dell'intervento, dall'importo stimato per effettuarlo, e dalle risorse disponibili per l'Ente locale. La fase di realizzazione dell'impianto sportivo, in quanto opera di pubblica utilità, come abbiamo già precedentemente detto è regolata, al pari delle opere pubbliche, dalla normativa in materia di lavori pubblici, ora contenuta nel Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE, approvato con d.lgs. 12 aprile 2006, n. 193. In particolare, tra i diversi sistemi di realizzazione ed edificazione dell'opera pubblica si contemplano: a) l'appalto (art. 53); b) i lavori in economia qualora l'importo dell'intervento sia inferiore ai 200.000 Euro (art. 125 e ss.); c) la concessione di costruzione e gestione ad iniziativa pubblica (art.142 e ss.), ovvero privata (art. 153 e ss.). Piui nello specifico, attraverso la concessione di costruzione e gestione ad iniziativa pubblica ovvero privata (meglio nota in questo caso come projectfinancing, l'Ente locale affida ad un imprenditore la realizzazione e la successiva gestione dell'impianto sportivo. L'affidamento della gestione dell'opera, infatti, consente la remunerazione dei costi complessivamente sostenuti per la realizzazione dell'impianto ed esonera l'Ente locale dall'impegno finanziario derivante dall'esecuzione dei lavori. Negli ultimi anni, inoltre, si sono registrate alcune iniziative di realizzazione di impianti sportivi nell'ambito della costituzione di società di trasformazione urbana, disciplinate dall'art. 120 del d.lgs. 267/2000, le qua216
li costituiscono un modello societario speciale, a partecipazione pubblicoprivata, finalizzato alla progettazione e alla realizzazione di interventi di trasformazione urbana. LA FASE DI GESTIONE E MONITORAGGIO La gestione di un impianto sportivo presenta notevoli complessità, richiedendo, in varia forma, diverse competenze: da quelle specificatamente tecniche a quelle commerciali, finanziarie, organizzative. Lo sviluppo di una "cultura della gestione" nella attività di erogazione servizi per lo sport e nella conduzione delle infrastrutture destinate ad erogare tali servizi può, senza dubbio, garantire sia la crescita del volume di servizi offerti caratterizzati da elevati standard qualitativi sia un piii efficace utilizzo delle risorse pubbliche. Infatti, il primo beneficiano di un'efficiente gestione di un impianto sportivo è l'Ente locale, il quale consegue sicuri vantaggi in termini di visibilità e notorietà che fornisce al territorio (secondo i principi del marketing territoriale), di benefici per la collettività, sia in termini di benessere psico-fisico, sia in termini di prevenzione del disagio sociale. In particolare, l'integrazione gestionale può di fatto rappresentare il vero momento di crescita dei servizi per lo sport. Il mondo dello sport si caratterizza, infatti, per la peculiarità dei soggetti a vario titolo coinvolti nello sviluppo del settore: dagli Enti locali al CoNI, all'associazionismo sportivo. È a tale fine particolarmente rilevante che il mondo dell'associazionismo sportivo, considerata la centralità ad esso riconosciuto dai principi normativi vigenti in materia di gestione degli impianti, sia ugualmente portatore di capacità innovative nella gestione degli impianti, al fine di garantire, nel tempo, l'offerta dei servizi per lo sport. Inoltre, la gestione dovrà essere "flessibile", tale cioè da adattarsi ai mutevoli orientamenti ed interessi degli utenti. In questo senso, ad esempio, può essere opportuno, almeno per i grandi interventi, offrire una gamma di servizi diversificati, attinenti in generale al tempo libero ed al divertimento, soprattutto ove si ragioni sulla naturale funzione dell'impianto sportivo quale punto di aggregazione sociale. Il settore sportivo è infatti soggetto alle mutevolezze degli orientamenti e degli interessi delle persone. La presenza di campioni internazionali, le tendenze negli studi igienico-sanitari, la regolamentazione e la conseguente mediaticità dei vari sport, possono influenzare notevolmente la domanda. Ne consegue che è fondamentale che l'impianto e la relativa organizzazione possano essere 217
adattati con modalità rapide e poco costose sia nel breve sia nel lungo termine. Tale attenzione deve essere presente già nella fase di progettazione dell'impianto così come nel piano gestionale, assicurandosi che la struttura dei costi sia più variabile che fissa. La gestione dell'impianto sportivo può inoltre essere integrata con l'offerta di altri servizi tipici del tempo libero e del divertimento. In tal senso, l'impianto sportivo diviene un punto di aggregazione sociale dove passare piacevolmente il tempo libero. Servizi sanitari, bar, ristoranti, negozi, convenzioni, sala sociale, ecc., da un lato, organizzazione di eventi, gite, corsi di vario genere, ecc., da un altro lato, possono essere occasioni per arricchire l'offerta ma anche per aumentare i ricavi, e nello stesso tempo si persegue il fine a carattere fortemente sociale connaturato al benessere. La fase di monitoraggio della gestione è poi un momento importante di riscontro degli obiettivi perseguiti, in termini di efficacia, efficienza ed economicità della gestione. È evidente, infatti, la necessità di avere un sistema di controlli che segnali per tempo le eventuali varianze rispetto a quanto pianificato e che permetta d'intervenire per una correzione della rotta in modo consapevole e funzionale agli obiettivi che la direzione dell'impianto si propone. A tale fine, risulta fondamentale monitorare con costanza il grado di soddisfazione dell'utenza e il tasso di conferma che viene conseguito nel tempo.
L'articolo trae spunto da una ricerca condotta da Ristuccia Advisors con Isfort e il Ceis —Tor Vergata sulle infrastrutture sportive pubbliche.
1 Già in precedenza, con il d.PR 811972 si trasferivano alle Regioni ordinarie le funzioni statali in materia di "attrezzature sportive d'interesse regionale". Il d.PR 4/1972, inoltre, aveva disposto il trasferimento alle Regioni ordinarie delle funzioni statali in ordine alla "tutela sanitaria delle attività sportive". 2 Già in precedenza, ne! d.PR 811972 si prevedeva il trasferimento alle Regioni ordinarie delle funzioni statali in materia di "attrezzature sportive d'interesse regionale"; il d.PR 4/1972,
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inoltre, disponeva il trasferimento alle Regioni ordinarie delle funzioni statali in ordine alla "tutela sanitaria delle attività sportive". 3 In base all'art. 157 del d.lgs. 112198, si prevedeva il trasferimento alle Regioni delle funzioni attinenti l'approvazione dei programmi relativi la realizzazione, l'ampliamento, il miglioramento, il completamento e la ristrutturazione degli impianti sportivi e loro pertinenze. Cfr. DM 25 agosto 1999 "Norme di sicurez-
za per la costruzione e l'esercizio di impianti sportivi". 5 La Corte dei conti, (Sezione giurisdizionale Veneto, sent. n.1 12, dell'8 aprile 1995) chiamata a pronunciarsi in relazione ad un impianto sportivo realizzato a cura e spese di una Unità Sanitaria locale per le attività di prevenzione e recupero della tossicodipendenza ha affermato che la realizzazione di un impianto sportivo con la finalità di prevenzione della tossicodipendenza è compatibile con le finalità istituzionali della USL, tra le quali vi rientra la funzione di prevenzione in cui è compresa l'iniziativa in esame, indirizzata ad incoraggiare abitudini di vita che possono distogliere dall'uso di sostanze stupefacenti. 6 L'indisponibilità consiste nel fatto che l'im-
pianto non può essere sottratto alla sua destinazione se non nei modi stabiliti dalla legge che lo riguarda. Cfr. Cassazione civile, sez. un., n. 1001312001. 8 CE TAR Piemonte, n. 2019/2001. 9 Definizione formulata dal Centro studi impianti sportivi CoNI nel 1979. 10 In particolare è l'Italia centrale a presentare il maggior aumento di spazi (- 22,22), seguita dal Nord del Paese (+ 18,63 per il Nord-Ovest, + 21,21 per il Nord-Est), dal Meridione e dalle Isole (rispettivamente + 14,78 e + 12,49). Queste ultime due aree presentano un dato inferiore alla crescita media nazionale (- 18,54). " CE sentenza n. 27212004. 12 Cfr. sentenza n. 47412004.
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Il Consiglio italiano per le Scienze Sociali Il Css è un'associazione con personalità giuridica. Fondata nel dicembre 1973, con l'appoggio della Fondazione Adriano Olivetti, ha raccolto l'eredità del Comitato per le Scienze Politiche e Sociali (Co.S.Po.S.), che svolse a suo tempo, negli anni Sessanta, grazie a un finanziamento della Fondazione Ford e della stessa Fondazione Olivetti, un ruolo fondamentale nella crescita delle scienze sociali italiane. Le finalità che ne ispirano l'azione sono: • contribuire allo sviluppo delle scienze sociali in Italia, ed in particolare promuovere il lavoro interdisciplinare; • incoraggiare ricerche finaJizzate allo studio dei principali problemi della società contemporanea; • sensibilizzare i centri di decisione pubblici e privati, affinché tengano maggiormente conto delle conoscenze prodotte dalle scienze sociali per rendere le loro scelte consapevoli, razionali e più efficaci. Il Css rappresenta un forum indipendente di riflessione che, con le sue iniziative, vuole offrire meditati contributi all'analisi e alla soluzione dei grandi problemi della nostra società. A tal fine il Css associa ai propri progetti anche studiosi ed esperti esterni e può contare su una rete di contatti e di collaborazioni in tutti i principali centri di ricerca e di policy studies europei. Attualmente operano 3 commissioni di studio sui seguenti temi: le fondazioni in Italia; nuove frontiere della comunicazione e cosmopolitismo; valutazione degli effetti di politiche pubbliche. Vi sono anche 2 gruppi di lavoro sui seguenti temi: ceto medio, politica dell'innovazione e trasferimenti tecnologici. Da ricordare l'attività di ricerca di Etnobarometro sulle minoranze etniche in Europa. Presidente: SERGIO RISTUCCIA Vice Presidente: ARNALDO BAGNASCO Comitato Direttivo: SERGIO RISTUCCIA (Presidente), ARNALDO BAGNASCO, FABRIZIO BASCA, PIERO BASSETTI, GIOvNI BECHELLONI, ANDREA BONACCORSI, GIUSEPPE DE MATTEIS, ANTONIO DI MAJO, BRUNO MANcHI, RICCARDO PATERNÒ, LORENZO RoMrro, CARLO RONCA, C1A ROSSI, FELICE SCALVINI.
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