lleste istitilzi011i 149 Direttore: SERGIO RISTUCCIA Condirettore: ANTONIO DI MAJO Vice Direttore: GIOVANNI VETRITTO Redattore Capo: SAVERIA ADDOTTA Comitato di redazione: CARLA BASSU, FABIO BISCOTTI, ROSALBA CoRI, FRANCESCO DI MAJO, ALESSANDRO HINNA, Cusuous LOPEDOTE, GIORGIO PAGANO, PIER LUIGI PETRILLO, ELISABEtTA PEZZI, AnnoXXIXVn.
MASSIMO RIBAUDO, CLAUDIA SENSI, LUIGI TRETOLA, VALERIA VALISERISA, FRANCESCO VELO, DONATELLA VISC0GLI05I, STEFANIA ZUccoLOrro
Collaboratori: ARNALDO BAGNASCO, ADOLFO BATTAGLIA, GIOVANNI BECHELLONI, GIUSEPPE BERTA, GIAJFRANCO BETTIN LATTES, ENRICO CANIGLIA, OSVALDO CROCI, ROMANO BETTINI, DAVID B0GI, GIROLAMO CAIANIELLO, GABRIELE CALVI, MANIN CARABBA, BERNARDINO CASADEI, MARIO CACIAGLI, CARLO CI-IIMENTI, MARCO CIMINI, GIUSEPPE COGLIANDRO, MASSIMO A. CONTE, ERNESTO D'ALBERGO, MASSIMO DE FELICE, DONATELLA DELLA PORTA, BRUNO DENTE, ANGELA
DI GREGORIO, CARLO D'ORTA, SERGIO FABBRINI, MARIA ROSARIA FERRARESE, PASQUALE FERRO, TOMELASO EDOARDO FR0SINI, CARLO FUSARO, FRANCESCA GAGLIARDUCCI, FRANCO GALLO, SILVIO GAMBINO, GIULIANA GEMELLI, VALERIA GIANNELLA, MARINA GIGANTE, GIUSEPPE GODANO, ALBERTO LACAVA, SIMONA LA ROCCA, GIAMPAOLO LADU, SERGIO LARICCIA, GIANNI LIMA, QUIRINO LORELLI, ANNICK MAGNIER, ADELE MAGRO, ROSA MAIORINO, GL&MPAOLO MANZELLA, DONATO MASCIANDARO, PAOLO MIELI, WALTER NOCITO, ELINOR OSTROM, VINCENT OSTROM, ALESSANDRO PALANZA, ANDREA PIRAIN0, BERNARDO PIZZETTI, IGNAZIO PORTELLI, GIOVANNI POSANI, GUIDO MARIO REY, GIANNI RIOTFA, MARCELLO ROMEI, FRANCESCA ROSSI, FABRIZIO SACCOMANNI, LUIGI SAI, GIANCARLO SALVEMINI, MARIA TERESA SALVEMINI, STEFANO SEPE, UMBERTO SERAPINIt, FRANCESCO SID0TI, ALESSANDRO SILJ, FEDERICO SPANTIGATIt, VINCENZO SPAZIANTE, PIERO STEFANI, DAVID SZANTON, JULIA SZANTON, SALVATORE TERESI, VALERIA TERMINI, TIZIANO TERZANIt, GLANLUIGI TOSATO, GUIDO VERUCCI, FEDERICO ZAMPINI, ANDREA ZOPPINI
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14.847 (12
dicembre
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queste istituzioni n. 149 sprile-giugno 2008
Indice
III
Prendere sul serio la societĂ della conoscenza
Taccuino i
Nuovi riti di democrazia? Cristina Grasseni
7
Science and Governance: la provocazione della responsabilitĂ Valentina Porcellana
Trasformare la conoscenza scientifica e tecnologica 17
Trasferire tecnologie di origine spaziale a cura della redazione
33
Esperienze e progetti: i colloqui di un lungo incontro a cura di Fabio Biscotti e Arianna Santero
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Verso gli obiettivi di Lisbona? Fabio Biscotti
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Il Programma Galileo nel quadro delle politiche dell'Unione europea Emanuele Barreca I
queste istituzioni n. 149 aprile-giugno 2008
editoriale
Prendere sul serio la società della conoscenza
C'è una questione che bisogna affrontare: quella del cosiddetto European Paradox di cui parla la Commissione europea nella Comunicazione "Towards a European Research Area" (C0M 2000/6 del 18/01/2000). Da una parte, all'Unione europea è richiesto un impegno crescente nella risoluzione di problematiche complesse (agricoltura, fondi strutturali di coesione, settore tessile e competizione cinese); dall'altra, tuttavia, si deve constatare la crescente diffidenza, se non un vero fastidio, verso le istituzioni e le politiche europee, accusate di iperdecisionismo, tecnocrazia, mancanza di trasparenza, e così via. Secondo un primo studio della Commissione europea, la causa del paradosso sta nella scarsa conoscenza (comunicazione e comprensione) da parte dei cittadini delle istituzioni e dei meccanismi europei. E della complessità della governance. Il discorso vale anche per i temi della scienza e le strategie da adottare per le politiche di ricerca in ambito europeo. Quando si affrontano i profili e le questioni relative all'avanzamento della scienza - le sfide che essa pone all'uomo, le opportunità che è in grado di offrire, le promesse che ne costituiscono il motore ed il principale sostegno - accade che la gente inizia a fare domande, a porre quesiti agli esperti e ai decisori pubblici, interrogandosi sull'insieme dei rischi e dei vantaggi in relazione ai molteplici campi di applicazione. Il filosofo francese Paul Virilio, nei suoi scritti pionieristici e visionari sui progresso scientifico e la tecnologia, scrive che l'invenzione inventa l'incidente. Con gli aeroplani nasce il disastro aereo, con la ferrovia il deragliamento. Esistono altre, nuove forme di rischio generate dal progresso. Ad esempio, all'interno del dibattito per una democrazia elettronica sempre piìL inclusiva ed in grado di incidere sulle decisioni pubbliche (almeno nelle intenzioni), il digital divide e le nuove forme di esclusione, quale l'analfabetismo informatico, costituiscono anIII
ch'essi incidenti del progresso che, accanto alle opportunità, crea conseguenze indesiderate per coloro ai quali l'opportunità - che è sempre più importante e discriminante - è preclusa. Virilio parla di "incidente integrante' ovvero: la tecnologia non può esistere senza la possibilità di incidente. La consapevolezza diffusa dei rischi e delle incertezze, che poi altro non è che l'umana condizione, fa sì che la percezione dell'alea - come di una minaccia latente ed imminente - sia amplificata. Nella seconda metà del Settecento, io scrittore francese Nicholas Edmé Restif (detto Restif de la Bretonne) faceva dire alla sagace scimmia autrice di un'amara lettera sulla condizione umana indirizzata agli animali della sua specie (Lettera di una scimmia, Sellerio, Palermo, 1995): "L'ignoranza è certamente un'imperfezione; è pericolosa: ma la scienza ha degli inconvenienti che mi spaventano.., con la scienza quante pene! Quanti momenti crudeli! Più sapienti si è, più pericoli si conoscono, più si è infelici! Li si evita per la verità, ma si avvertono mille volte anche senza che accadano. Ai minimi sintomi di una malattia, gli uomini ne presagiscono il seguito doloroso e la morte che può esserne la fine; se non ne conoscono i sintomi, dispongono di persone che vengono ad istruirli... Vi lascio immaginare quanto siano tranquilli degli esseri simili! Li si vede rosi dal dolore, divorati dalle pene, e spesso precipitare nella disperazione". È quindi naturale che i pubblici siano interessati e preoccupati degli effetti del progresso scientifico e tecnologico. Tanto più perché le innovazioni sempre più spesso abilitano l'uomo ad agire secondo modalità ed estensioni cui, di contro, non giunge la (piena) capacità di visione, comprensione ed anticipazione degli outcome. Tuttavia, "fare domande" è spesso percepito come una forma di opposizione, di contrarietà. Tanto più se si tratta di domande fondate sull'acquisizione e la conoscenza, in primis l'esperienza, di prove e dati di fatto. Così non è. La ricerca di informazioni e di riscontri (opinioni e pareri esperti, dati controfattuali, mitigazione del valore della prova, confutazione dei dati, etc.) è piuttosto uno strumento di manifestazione ed espressione dell'interesse e della preoccupazione, quindi della ricettività, rispetto ad una questione. Si tratta, cioè, di una parte del processo di valutazione del rischio. Del resto, è esattamente quello che fa la scienza nel suo percorso di conoscenza. Fare domande rientra nell'approccio razionale all'incerto, al non noto. Su questa tipologia di temi, il pubblico solitamente pone ai decisori ed agli esperti due interrogativi:
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- chi si occuperà della gestione delle possibili conseguenze non previste ed inattese (negative o positive che siano)? - se queste conseguenze impreviste si verificano, cosa si fa per gestirle? La gente vuole cioè valutare la misura in cui alcune innovazioni sono importanti per la collettività, mettendo sui piatto i possibili benefici ed i relativi rischi, al fine di decidere se accettare e farsi carico dell'incertezza in nome dei benefici attesi che ne dovrebbero derivare, pur in presenza di potenziali outputs inaspettati ed indesiderati. La questione non è irrilevante. Tutt'altro. Ha a che vedere con i fini sociali di un'azione/decisione e considera gli esiti immaginati cui sono demandate la legittimazione e la motivazione di una determinata azione. La gente che pone domande e chiede spiegazioni, dunque, non è contraria a priori all'adozione di una politica di innovazione rischiosa. Lo sarà se non saranno forniti dati ed evidenze a supporto della tesi che "il gioco vale la candela". Come è perfettamente razionale fare. Nell'ambito del dibattito e delle decisioni istituzionali è quindi necessario un tipensamento della questione, per reimpostare i termini di approccio del c.d. disagio del pubblico di fronte ai temi della scienza. Una nuova, diversa comprensione degli elementi in gioco non deve mancare. La questione, infatti, è politica. Nel senso che chiama in causa i circuiti ed i meccanismi della decisione pubblica e la fiducia che dovrebbe sostenerla. Due dei concetti-chiave da considerare sono: responsabilità e fiducia. Entrambi riportano alla sfera relazionale, alla qualità ed alla tipologia delle relazioni sociali, tra cittadini e decisori pubblici. In ultima istanza, alla democrazia stessa. Si tratta di conoscere e migliorare, forse anche di ricostruire, i processi tramite i quali le istituzioni democratiche si accreditano agli occhi dei cittadini e sono credibili in quanto capaci di scegliere per l'interesse collettivo. In tal senso, bisogna riflettere sulle dinamiche delle decisioni di interesse pubblico e sul parallelo dibattito che si svolge nell'arena pubblica. Il discorso pubblico, infatti, non è accolto nelle sedi delle decisioni in cui vale la regola della maggioranza. La democrazia è la maggioranza. Ma è il solo modo di decidere? Quali altre procedure sono esperibili? È necessario guardare alle esperienze più significative quanto a capacità di (ri)creare un clima di fiducia collettiva che vada oltre il semplice "mettere insieme" le persone senza considerarle individualmente.
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L'innovazione chiama in causa i modelli di conoscenza sui molteplici piani epistemologico, socio-culturale, di policy, di legittimazione. La scienza è infatti una narrazione che può fare leva (nel bene e nel male) sulle paure collettive ed individuali per mettere in atto procedure di negoziazione che, a loro volta, legittimano gli attori coinvolti. E ne chiamano in causa l'assunzione di responsabilità, la capacità e disponibilità a comunicare e dialogare sui contenuti delle politiche di innovazione. L'innovazione scientifica, infatti, non è il sapere per il sapere, bensì il sapere per la competitività, per l'economicismo ed il tempismo delle politiche che è necessario implementare. Il problema è come comunicare efficacemente queste informazioni, in modo tale da mettere a disposizione informazioni immediatamente fruibili. Come si connette questa capacità di comunicare al pubblico i contenuti delle decisioni per l'innovazione alla capacità ed alle strategie di governance dell'innovazione? Essa può creare percorsi privilegiati, scorciatoie che avvicinano i cittadini alla decisione politica, includendo e riconfigurando il discorso pubblico sui temi oggetto delle politiche da attuare. Il livello politico, infatti, deve poter riconciliare le opposte visioni antropologiche che talvolta si scontrano in una stessa arena pubblica aperta alla partecipazione. La regola della maggioranza ha da tempo perso la sua attrattività. È necessario trovare i mezzi per includere i diversi punti di vista e poi ricomporli in un'unità aristotelica che è traguardo della molteplicità e presupposto della formazione del ciclo della decisione politica. Le istituzioni stesse debbono sottostare al principio formativo ed educativo della molteplicità, affinché lo spazio comunicativo del "politico" diventi riconoscimento e comunicazione tra differenti. Più informazione equivale a più democrazia, con il limite della quantità di informazioni realisticamente sostenibili dal singolo individuo vs l'overload of information che è tutt'altro che facilitatore della partecipazione democratica. La partecipazione democratica è strumento per recuperare la dimensione relazionale nella formazione delle opinioni e delle decisioni, spesso trascurata dalle istituzioni a causa del retaggio di una concezione atomistica della massa (individui isolati, non interagenti) e di una concezione dell'opinione pubblica come somma di opinioni individuali, rilevate singolarmente e trattate poi come unità collettiva. La responsabilità politica, a questo punto, scaturirebbe dalla capacità di gestire un sistema di rapporti di scambio informativo, non sempre codificati e codificabili, promuovendo una visione convergente o condivisa del mondo, attraver,j1
so azioni ed interventi organizzativi e sui valori, orientati ad una concezione del sistema politico a "Y", in cui la generazione del valore consegue alla capacità di cogliere (nella forma di informazione, comprensione, comunicazione, coinvolgimento, cooperazione, partecipazione, consultazione, negoziazione, coordinamento) e gestire le sinergie.
Le considerazioni che precedono prendono spunto dal Seminario che venerdì 15febbraio 2008 Piero Bassetti, Presidente della Fondazione "Giannino Bassetti ' ha aperto sul Rapporto Taking European Knowledge Society Seriously (http://ec.europa. eu/research/science-society), e ne riprendono buona parte delle valutazioni. Con Rassetti erano ad aprire i lavori Brian Wynne, chairman del gruppo di lavoro che ha stilato il report, e Mariachiara Tallacchini, membro dell'expert group che ne ha poi curato la traduzione italiana (Scienza e governance. La società europea della conoscenza presa sul serio. Rubbettino, 2008). Brian Wynne, in particolare, ha raccontato ed illustrato l'esperienza di studio e ricerca all'interno del gruppo di lavoro che ha redatto il Rapporto, chiarendo le premesse ed i princzpali elementi di contesto che hanno indotto la Commissione europea a richiedere un'analisi incentrata sull'importanza di un approccio serio e consapevole alla società della conoscenza da parte dei cittadini europei. A partire dalla visione, dall'immagine che la Commissione ha dell'opinione pubblica europea. (C.L.)
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Nuovi riti di d emocraz i a?* di Cristina Grasseni
115 febbraio 2008, presso la sede della Fondazione Bassetti a Milano, il sociologo della scienza Brian Wynne ha aperto il seminario moderato da Piero Bassetti e Mariachiara Tallacchini sul rapporto della Commissione europea, Taking European Society Seriously (2007), tradotto in italiano per iniziativa della Fondazione Bassetti (Scienza e Governance. La società europea della conoscenza presa sul serio. Rubbettino, 2008). Gli interventi introduttivo e conclusivo del prof. Wynne, così come il dibattito ricco e coinvolgente che ne è seguito, si sono incentrati, lungo sentieri lucidi ed originali, sugli effetti sociali e politici dell'attuale mancanza di procedure tecniche, strumenti dialogici e strategie di pianificazione atte a ricomporre entro una comune visione i diversi e contrastanti punti di vista sul governo della conoscenza e della tecno-scienza. Numerosi gli ospiti convenuti presso la sede della Fondazione: Massimiano Bucchi, sociologo della scienza; Maria Antonietta Foddai, filosofa del diritto; Raffaele Cattaneo, Assessore alle Infrastrutture e Mobilità della Regione Lombardia; Bruno Montanari, professore di Filosofia del diritto; Giuseppe Adamoli, Presidente della Commissione Statuto della Regione Lombardia; Alessandro Colombo, direttore della ricerca dell'I1R (Istituto Regionale di Ricerca della Lombardia); Giuseppe Testa, direttore del Laboratorio di Epigenetica delle cellule staminali dell'Istituto Europeo di Oncologia di Milano; Alessandro Cavalli, professore di Sociologia; Scira Menoni, docente di Pianificazione urbanistica;
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L'autrice è direttore scientifico della Fondazione "Giannino Bassetti". i
Alberto Trevissoi, caporedattore de Il Sole 24 Ore; Fiorella Operto della Scuola di Robotica di Genova. In apertura, Brian Wynne ha spiegato le ragioni per cui, in una Richieste società razionale, il desiderio dei cittadini di fare domande sulla legittime tecno-scienza e sugli effetti che essa sortisce sulle loro vite non deve essere visto in maniera pròblematica. Tali domande sono spesso imparziali, ovvero non esprimono un'attitudine di tipo ami-tecnologico o avversa alla scienza. Le domande poste, piuttosto, sono in grado di suggerire l'esistenza di relazioni importanti tra aree della tecnologia e della scienza tra loro distanti, ad esempio la sperimentazione su larga scala dei medicinali (come avvenne per il talidomide), le colture e gli alimenti geneticamente modificati, gli effetti di lungo periodo delle scorie radioattive. Tali relazioni non sono di tipo cognitivo, bensì ricavate dalla pratica, e indicano che ambiti tecno-scientifici talvolta disparati presentano lo stesso tipo di problemi, in termini non solo di gestione del rischio (ex post), ma anche di valutazione del rischio (ex ante). In altre parole, fondamentalmente non si tratta di domande dettate dall'ignoranza di aspetti tecnici di casi specifici, ai quali si possono dare risposte tecniche su casi specifici - quali ad esempio il talidomide, gli OGM, le centrali nucleari. Le risposte basate sui soli contenuti rispondono solo parzialmente a queste domande, dal momento che, in forma indiretta, queste ultime chiedono non dati ed informazioni, bensì assunzione di responsabilità e costruzione del/a fiducia. Le vere domande sono: "Chi si occuperà della questione e delle sue conseguenze?". E quindi: "Possiamo fidarci?", "Quali benefici dovrebbero derivarne e per chi?". Sono domande compiutamente razionali, non intrinsecamente ostili o retrive o ancora reazionarie. I cittadini vogliono sapere chi si assumerà la responsabilità circa l'impatto dell'innovazione sulla società; e si interrogano sui fini sociali dell'innovazione. Ci sono poi altre domande sulle conseguenze non volute e sulla presa in carico delle responsabilità che ne discendono: una questione di accountability. Il dibattito che si è sviluppato ha quindi approfondito numero- Responsabilità, fiducia e si aspetti di questo tema. Esiste una pluralità di significati entro il dominio semantico del competenza 2
lemma inglese "responsibility" (liability, accountability, answerability, etc.). Le sanzioni o le punizioni non sono funzionali al tema degli "effetti indesiderati", poiché la natura e l'impatto delle azioni dell'uomo non sono più di tipo individuale ma collettivo. Nondimeno, si continua a legare la fiducia ed i convincimenti etici all'ambigua virtù della "responsabilità" ovvero conservare un equilibrio normalizzatore tra valori e fatti. Pertanto, è necessario partire da un'evoluzione del concetto stesso di cosa significa "essere responsabile": dall'idea di essere "ligi al dovere" a quella dell'essere "capaci di anticipare le conseguenze di un'azione, confrontarsi con altri punti di vista, essere flessibili rispetto ai programmi, essere disponibili a rendere conto in modo trasparente e veritiero delle proprie azioni" (Foddai). La fiducia e la competenza non necessariamente vanno di pari passo (Cavalli). Esiste una differenza fondamentale tra un sistema democratico basato sulla politica (politics) ed uno basato sulle politiche (policy): è la differenza che c'è tra un sistema che sceglie coloro i quali sono legittimati politicamente a prendere decisioni, ed un sistema che invece sceglie i decisori sulla base della competenza (Montanari). Le decisioni politiche sono spesso assunte, come prassi consolidata, senza un livello adeguato di informazione e conoscenza tecnica dell'argomento in esame, in nome della fiducia che i decisori pubblici ripongono nella "appropriata capacità di giudizio" dei loro consulenti tecnici (Cattaneo). Bisogna chiedersi come è possibile alimentare la fiducia nei decisori pubblici quando la fede circa la neutralità sociale e politica della scienza viene meno; il che è una cosa diversa dalla fine della visione epistemologica della scienza come certezza assoluta (Bassetti, Wynne, Cattaheo). La questione presenta rilievi di tipo antropologico, in quanto è imperniata sull'esistenza di diverse culture e sistemi di valori, spesso divergenti. Molti dei temi tecno-scientifici in agenda sono quindi inerentemente controversi (Testa, Cattaneo). Le decisioni sono spesso discusse ed assunte in ambito locale, Le procedure laddove i contesti, le storie, le comunità di pratica sono di capita- decisionali le importanza ai fini della comprensione e della ricomposizione di queste fratture. È sul campo, a livello locale, che è più facile in-
dividuare le possibili soluzioni procedurali finalizzate a raggiungere un compromesso (Menoni, Grasseni). Vi è una mancanza di procedure a livello istituzionale per valutare collettivamente i benefici della tecno-scienza secondo una metodologia partecipativa e basata sull'evidenza (Adamoli, Colombo, Cattaneo, Bassetti). La minaccia che il vuoto lasciato dall'assenza di simili procedure sia colmato da strategie di sospensione delle decisioni, di non scelta, è una minaccia reale. Tali strategie distolgono l'attenzione e l'interesse pubblici dalla ricerca della verità. Alcuni esempi: la tecnocrazia (la tirannide delle commissioni di esperti, degli indicatori, e così via); l'overload di informazioni (si inondano i cittadini di informazioni, nell'illusione che le scelte relative alla tecnoscienza possano maturare a livello individuale); la demagogia come dittatura dell'opinione della maggioranza (Colombo). Simili procedure non solo devono prendere in esame "che cosa fare", ma anche "perché", ovvero devono includere nella discussione i fini ed i mezzi (Testa, Colombo). Nel momento in cui vi è apertura ed onestà rispetto al fatto che le decisioni non sono mai l'esito di pareri esperti neutrali, bensì il risultato di assunti politici, diviene utile e necessario ricercare modi sostanziali per supportare la partecipazione dei cittadini ai processi di decisione pubblica (Adamoli). Nondimeno, aprire una discussione franca ed aperta sui fini soi. i ii. . .. r cian cien innovazione signirica conrrontarsi con uno scontro tra visioni antropologiche inconciliabili circa il bene comune, il valore della vita, il significato della scienza, e così via. In altre parole, la prospettiva che si apre include visioni del mondo non confrontabili tra loro ed interpretazioni divergenti di che cosa è "vantaggioso" e per chi (Cattaneo, Testa, Trevissoi). I sistemi giuridico e legale vengono chiamati a dare un quadro chiaro di analisi e criteri-guida per decisioni, che gli stessi scienziati ammettono di non poter fornire (Tallacchini). Il passaggio dalla gestione politica (politics) di complessi problemi socio-economici alla gestione orientata alle politiche (policy) richiede che la società condivida una visione sufficientemente omogenea del bene comune. Altrimenti, il dibattito politico smarrisce il più ampio orizzonte temporale complessivo rispetto .
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Dalla politics alla policy
al quale investire per il bene comune, e ciascun rappresentante politico si preoccuperà dei soli effetti di breve periodo generati dalle proprie decisioni (Montanari). Limitare la discussione al ruolo dei pareri esperti e alla loro incertezza epistemologica significa ignorare l'impatto economico e le relazioni di potere che sussistono tra gli attori degli scenari tecno-scientifici e coloro che determinano tali scenari. Occorre occuparsi concretamente ditali scenari (Trevissoi, Bassetti, Operto). La retorica dell'economia della conoscenza alimenta il rischio di considerare il pubblico come una controparte del tutto all'oscuro dei fondamenti della scienza. Fortunatamente, la sensibilità dell'Unione europea a tale proposito si è evoluta, abbandonando il modello deficitario e sviluppando la strategia della propria unità "scienza nella società", non più finalizzata semplicemente a "promuovere la consapevolezza del pubblico rispetto alla scienza" (Bucchi). Tuttavia, va considerato anche il fatto che, come reso evidente dalle rilevazioni demoscopiche, in Italia il livello medio di competenza circa i temi della scienza è alquanto basso (Cavalli). Nelle sue conclusioni, Brian Wynne ha sottolineato il vero ar- L'importanza dei rituali gomento di discussione: come possiamo generare processi di creazione della fiducia, seguendo percorsi inediti ed includendo tutti questi elementi di complessità? Ciò significa che bisogna mettere a punto forme tecniche, quindi rituali, di armonizzazione degli interessi intellettuali, economici e politici e delle controparti. La mancanza di fiducia del pubblico può essere affrontata e risolta al meglio con il ricorso a processi partecipativi. Perché simili tecniche funzionino, nondimeno, la buona fede - anche quella istituzionale - è un prerequisito che non può mancare. In altre parole, la prima decisione da prendere riguarda il tema con il quale confrontarsi come società europea: la nostra priorità è generare un'innovazione competitiva a livello globale? Oppure si tratta di un'altra, diversa questione? Le procedure rituali come quelle dei sistemi giuridici (le audizioni delle parti contendenti presso le corti) sono modelli funzionanti che costituiscono un buon punto di partenza per il disegno delle procedure di consultazione pubblica. Tali forme altamente 5
ritualizzate di "audizione pubblica" rispondono a finalità e funzioni pubbliche quali utili alternative alla presa d'atto dell'incommensurabilità antropologica di weltanschauung radicalmente diverse, o alla via della guerre tra bande. In tal senso, l'esperienza britannica della Windscale Public Inquiry degli anni Settanta sul piano di riprocessamento dell'impianto di Sellafield costituisce un precedente istruttivo. L'insegnamento che ne proviene è che, indipendentemente dai contenuti specifici del dibattito e dai risultati ottenuti, la forma della discussione deve contemplare sia una parte razionale, sia una parte rituale (cf. Brian Wynne, Rationality and Ritual: The Windscale Inquiry and Nuclear Decisions in Bntain, 1982). La prima conclusione da trarre è che le scelte non devono essere semplicemente "convenzionali", anche quando prese in condizioni di incertezza epistemologica e sotto la pressione esercitata dagli interessi corporativi. È proprio quando lo statuto cognitivo ed episternologico dell'informazione disponibile offre spazi al dibattito, e gli interessi in gioco sono alti, che c'è un grande bisogno di ritualizzazione della decisione pubblica al fine di conferire ad essa l'autorevolezza necessaria. La funzione espletata dal rito pubblico deve essere considerata in senso letterale, antropologico, e non soltanto evocativo. Bisogna costruire scenari e ruoli teatrali che possano dare vita a situazioni codificate, stabilite e riconoscibili dall'immaginazione collettiva secondo schemi "tradizionali", ovvero autorevoli ed efficaci, sui quali i partecipanti possono essere d'accordo ed aderire intimamente. Questo e l'intervento che segue sono già stati pubblicati sul sito della Fondazione G. Bassetti (fondazionebassetti.org ).
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queste istituzioni
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IM Science and Governance: la provocazione della responsabilità. conversazione con Mariachiara Tallacchini di Valentina Porcellana
ul portale della Commissione europea si legge che "la Commissione europea ha il dovere di creare le condizioni per un dialogo strutturato sulle questioni relative alla scienza, allo scopo di anticipare e chiarificare le speranze e le preoccupazioni del pubblico. Di fronte ad un pubblico informato e impegnato, le scienze potranno contribuire pienamente a stimolare la competitività, a migliorare la qualità della nostra vita e a garantirci un avvenire duraturo". Con questi obiettivi nel giugno 2005 la Commissione europea ha invitato un gruppo di esperti in Science and Technology Studies (STs) per la stesura di uno studio specifico su scienza e governance: "il mandato del Direttorato Generale per la Ricerca della Commissione Europea - spiega Mariachiara Tallacchini, membro dell'expert group - era di analizzare il crescente senso di disagio che pervade le interazioni tra scienza e società e di esplorare le vie per sviluppare relazioni costruttive tra l'expertise tecnoscientifico e i timori del pubblico, al fine di stabilire una governance più efficace in Europa".
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Nel gruppo di esperti, coordinato da Brian Wynne, sono state L'expert coinvolte personalità del mondo scientifico e accademico europeo group in una prospettiva multidisciplinare: il sociologo francese Michel europeo Callon, la giurista portoghese Maria Eduarda Gonalves, Sheila Jasanoff, professore di Science and Technology Studies alla Har-
L'autrice è consulente scientifico della Fondazione "Giannino Bassetti".
vard University, l'economista belga Maria Jepsen, l'economista e sociologo francese Pierre-Benoit Joly, il sociologo ceco Zdenek Konopasek, il filosofo e sociologo tedesco Stefan May, Claudia Neubauer della Fondation Sciences Citoyennes di Parigi, il filosofo della scienza olandese Arie Rip, Karen Siune, direttrice del Danish Centre for Research and Policy Research, Andy Stirling, direttore del Science for the Science Policy Research dell'Università del Sussex e Mariachiara Tallacchini, che insegna Scienza Tecnologia e Diritto all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza. I lavori dell'expert group si sono conclusi nel gennaio 2007. Il rapporto stilato dagli esperti, intitolato "Taking European Knowledge Socieiy Seriously' è stato presentato il 29 marzo 2007, alla presenza di Goran Hermeren, Presidente del Gruppo europeo sull'etica delle scienze e delle nuove tecnologie e di Christine Majewski, capo dell'Unità delle Relazioni esterne e del Consiglio di amministrazione dell'Autorità europea della sicurezza degli alimenti. La traduzione italiana, a cura di Mariachiara Tallacchini, Scienza e governance. La società europea della conoscenza presa sul serio (Rubbettino, 2008) è stata presentata giovedì 14 febbraio 2008 a Bergamo durante il convegno "Costruire un ponte tra scienza e società. Alla ricerca dei fondamenti della comunicazione della scienza" organizzato dalla Scuola di Dottorato in Antropologia ed Epistemologia della Complessità dell'Università degli Studi di Bergamo e dalla Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati in collaborazione con la Fondazione Giannino Bassetti. Il volume è stato presentato anche a Milano venerdì 15 febbraio, presso la sede della Fondazione, con la partecipazione di Brian Wynne. Spiega Mariachiara Tallacchini: "nel panorama culturale della Commissione europea mancava il punto di vista STs; nessun rapporto aveva mai esplicitamente tematizzato la prospettiva degli Science and Technology Studies. Nicole Dewandre, che all'interno del Direttorato Generale per la Ricerca si occupava di Science and Governance, è stata incaricata di organizzare, intorno a Brian Wynne, un gruppo di esperti che fosse espressione europea e d'oltreoceano di questo approccio. L'idea era quella di presentare al 8
la traduzione in italiano
tempo stesso una varietà di temi che si configurassero come STS e Un'economia di rispondere alle domande contenute nel mandato della Com- fondata sulla missione: percné i cittaaini semorano cosi avversi aiia scienza, scienza perché non si fidano della scienza e degli scienziati, che cosa si può fare in proposito. Da una parte abbiamo cercato di fare appello al principio dell'autoriflessività delle istituzioni. La nostra tesi, infatti, è che i timori del pubblico nei confronti della scienza non siano frutto di un deficit di conoscenza, ma della perpiessità che i cittadini nutrono nei confronti delle istituzioni; il problema, quindi, riguarda piuttosto la policy e il modo in cui viene impostato il discorso tra la scienza e la società, tra la scienza e le istitu,, zioni Nel 2000 gli accordi dell'Agenda di Lisbona del Consiglio dei Ministri dell'UE hanno vincolato gli Stati membri all'ambizioso obiettivo di diventare, entro il 2010, la più importante economia fondata sulla conoscenza al mondo (knowledge-based economy). L'obiettivo è stato riaffermato nel 2004, diventando una preoccupazione costante nelle politiche dell'Europa comunitaria e degli Stati membri. La scienza viene considerata come un fattore determinante nei nuovi modi di produzione e come un prodotto di mercato in sé. Il rapporto "Taking European Knowledge Society Seriously" punta quindi al livello europeo proprio perché, come sottolinea Tallacchini, "Europa ha dei problemi molto specifici: ha il problema del passaggio dall'Europa economica all'Europa politica; ha il problema della creazione della 'società della conoscenza' che dovrebbe essere al tempo stesso una vera polity, una 'società politica e una democrazia basata sulla conoscenza', e in cui la conoscenza è anche in funzione della corsa economica. In questo senso l'Europa, fino ad ora, non è stata abbastanza fiduciosa e self-confident per quanto riguarda la sua natura di polity. Lo sforzo che l'Unione europea sta compiendo per costruire la propria identità politica passa attraverso la definizione di se stessa come società della conoscenza, una realtà nella quale il sapere e l'innovazione tecnoscientifici, l'originaria connotazione economica e la più recente aspirazione ad entità politica unitaria devono fondersi e legittimarsi reciprocamente". 9
Il rapporto "Taking European Knowledge Society Seriously" Un report non si rivolge solo ad un pubblico di esperti, ma a quello che nel per i documento corrisponde alla societa civile europea in apprendicittadini mento costante, democratica, fondata sulla conoscenza e cosmopolita [ ... ] che potrà rappresentare il tessuto sociale che sosterrà, e se necessario implementerà, una società democratica europea della conoscenza, vibrante, diversificata e istituzionalmente aperta". In questa prospettiva, che supera la politica science-based a favore di una scienza policy-related democraticamente orientata, il rapporto potrà - e dovrà - essere letto e "usato" dai cittadini, sempre più partecipi dei risultati della scienza e sempre più responsabili delle sue implicazioni e ricadute sul sociale. Il gruppo di esperti che ha redatto il documento ritiene che accanto alle epistemologie ufficiali ci siano quelle che Sheila Jasanoff chiama le "epistemologie civiche", vale a dire le vere e proprie culture epi-. stemiche che i cittadini elaborano e che non possono essere sottovalutate dagli esperti. Lo stesso Brian Wynne ha dedicato molte sue riflessioni alla nozione di scientific citizenshzp e alle procedure partecipative. La traduzione del documento in lingua italiana può essere considerata come un incentivo al coinvolgimento dei cittadini italiani, dotati ora di uno strumento di riflessione e di azione: "Oltre a questo, per me c'era anche un particolare impegno didattico spiega Mariachiara Tallacchini - perché in Italia gli studi di STS sono ancora giovani. La Società Italiana di Studi su Scienza e Tecnologia è nata nel 2005 (il presidente è Alessandro Mongili). 01tre al rapporto Scienza e governance. La società europea della conoscenza presa sul serio ho appena terminato di tradurre il libro di Sheila Jasanoff Fabbriche della natura. Biotecnologie e democrazia (appena uscito presso Il Saggiatore) per far penetrare questo punto di vista in Italia. Si tratta di un altro modo di vedere il legame tra il sapere scientifico e le scelte sociali, in grado di superare, almeno metodologicamente, talune contrapposizioni (come quelle tra laici e cattolici in Italia, o comunque tra posizioni dicotomiche "a favore o contro" la scienza) che non giovano a nessuno. Gli studi di STS si trovano all'intersezione tra filosofia e sociologia della scienza, antropologia ed etnografia della scienza. Ciò che li caratterizza è l'attenzione per le complesse radici storico-culturali 10
del sapere scientifico e per le dimensioni di sapere-potere che legano scienza e società. Tradurre il linguaggio STS in italiano non è operazione semplice: i riferimenti culturali dei testi, infatti, vanno dalla critica letteraria a una certa sociologia. Tradurre non solo i termini, ma anche il contesto culturale nel quale i testi sono nati rende particolarmente complessa l'operazione di traduzione". Anche per questo motivo, consapevole della difficoltà del Im- Una guaggio STs, Brian Wynne nella sua introduzione definisce il do- provocazione cumento "intellettualmente (per non dire politicamente) provo- non catorio": "Con il rapporto - conclude Tallacchini - noi volevamo (ancora) raccolta suscitare all interno della Commissione europea una sorta di stupore e di autoriflessività. Purtroppo, almeno per il momento, non sembra che le cose siano andate esattamente così. Ma confido nel fatto che questo testo possa produrre qualche effetto culturale nel tempo. La nostra conclusione, secondo cui si dovrebbe adottare un atteggiamento di policy in cui si è costantemente consapevoli dei problemi, pur dovendo continuamente agire, implica che le istituzioni scientifiche e di governance imparino a cambiare le pratiche di policy, attraverso forme di apprendimento più inclusive, riflessive e aperte".
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dossier
Trasformare la conoscenza scientifica e tecnologica
Nei giorni 4 e 5 ottobre 2007, la sede torinese del Css, il Collegio "Carlo Alberto" di Ivloncalieri, ha ospitato il Workshop internazionale "Le politiche del trasferimento tecnologico in Europa: esperienze e progetti' promosso ed organizzato dal Consiglio italiano per le Scienze Sociali in collaborazione con il CERIS—CNR (Istituto di ricerca sull'impresa e lo sviluppo), e con il sostegno della Compagnia di San Paolo. Hanno parteczpato operatori nazionali ed internazionali, rappresentanti di enti di ricerca, del mondo della finanza, della Pubblica amministrazione e scienziati sociali, per mettere aflioco, in chiave multidisciiplinare, i temi rilevanti del trasferimento tecnologico: uno dei fenomeni tzpici delle politiche di innovazione a tutti i livelli. Il trasferimento tecnologico è, infatti, un processo multidisciplinare e di interazione tra soggetti diversi, finalizzato a supportare i processi di innovazione delle imprese e, più in generale, della società, mediante la valorizzazione e l'utilizzo delle conoscenze tecnologiche così come prodotte e trasformate nell'ambito della ricerca pubblica e privata. Abbiamo pensato di trattare gli atti del Workshop come il colloquio ininterrotto di quanti sono venuti a scambiare informazioni ed opinioni relativamente ad un campo che si sta muovendo a ritmo intenso da alcuni anni. Si sono incontrate, insomma, tra le prime volte in Italia, "anime" diverse che spesso si 13
rincorrono senza trovarsi. In questo senso, il contributo del Workshop è stato sicuramente quello di facilitare una discussione interdisczplinare su questo tema ma, più che altro, l'interazione nell'ambito di iniziative concrete in corso d'opera, promosse ed attuate dagli stessi intervenuti, sia in Italia che all'estero. Il Workshop ha allo stesso tempo raccolto una serie di esperienze significative per finalità e modalità dij'ùnzionamento. Tra queste, ve ne sono alcune di assoluto rilievo internazionale (le companies per il trasferimento tecnologico della Steinbeis Stiftung in Germania o di isis ltd in Inghilterra) ed altre in via di costituzione (ad esempio, il Fondo di venture capital per il trasferimento delle tecnologie dellt4genzia Spaziale Europea) da cui possono essere tratti suggerimenti interessanti: la capacità di fare rete, di stimolare la domanda di innovazione, di integrare saperi e di operarli con fare pragmatico. Le esperienze italiane, che non sempre godono della stessa efficacia di quelle estere, stanno però emergendo con convinzione soprattutto su scala locale: da rilevare l'esperienza del "venture capital hub ' di Torino Wireless o dell'istituto Superiore Mario Boella, con sede a Torino, che sono esempi di efficace combinazione di risorse e competenze tecnico-industriali fin dalle fasi più embrionali della ricerca di base e della ricerca applicata. Ma anche quelle dellArea Science Park, il più importante parco scientifico tecnologico italiano, e di Kilometro Rosso, il primo parco tecnologico interamente finanziato da privati. Nel Workshop non è mancata la presenza di soggetti portatori di conoscenze e di risorse, sia pubblici che privati: gli enti di ricerca (come l'INiu e il CERW), le Università (il caso di Udine, università piccola ma dinamica), ma anche gli attori più vivi del territorio: Camere di commercio (Milano e Torino, sicuramente le più rappresentative), Agenzie regionali per l'innovazione (quella pugliese, in particolare), Fondazioni di origine bancaria. Soggetto, quest'ultimo, che si sta ritagliando un ruolo importante non solo come sostenitore finanziario (grant making se non investitore di fondi per il trasferimento, come il costituendo TT Venture) ma anche come promotore, interprete e mediatore di interessi, culture e risorse del territorio. La dimensione territoriale, appunto, appare come importante protagonista, nelle valutazioni conclusive della tavola rotonda del Workshop, per un'innovazione tecnologica che ha aspirazioni globali ma che deve ricercare sostenibilità di lungo periodo non solo dal punto di vista economico, ma anche e soprattutto sociale e culturale: non solo risorse finanziarie o tecnologiche, dunque, ma soprattutto fattori cognitivi, relazioni, cultura, che sono alla base di un "esperanto" possibile. Degli interventi del Workshop è stata fatta una sorta di lungo verbale discorsivo, sottolineando i temi affiontati e il batti e ribatti della discussione. Ricordati i saluti introduttivi di chi ha patrocinato e sostenuto il Workshop, Tom De Alessandri (Vice Sindaco del Comune di Torino) e Stefano Scaravelli (Compagnia di San Paolo), sono 14
state raccolte le riflessioni di Saverio Ambesi Impiombato (docente di Patologia generale all'Università di Udine), Piero Bassetti (Presidente della Fondazione Giannino Bassetti), Adriana Agrimi (Agenzia per l'innovazione della Regione Puglia), Jan E. Bandera (Steinbeis Stftung), Tito Bianchi (UvAi, ministero dell'Economia), Gabrio Boerci (Agenzia Spaziale Europea), Andrea Bonaccorsi (docente di Economia e gestione delle imprese all'Università di Pisa), Massimiano Bucchi (sociologo della scienza all'Università di Trento, Socio del Css), Matteo Bugamelli (Banca d'Italia), Paolo Cattapan (Area Science Park di Trieste), Franco Chittolina (Fondazione Cassa di risparmio di Cuneo), Sergio De Julio (Commissario straordinario dell'Istituto Nazionale di Astrofisica), Federico Ferrini (CERN), Claudio Giuliano (Direttore Generale di Torino Wireless), Claire Hodson (E.-Synergy), Mark Mawhinney (isis ltd), Nazz.areno Mandolesi (Istituto Nazionale di Astrofisica), Attilio Martinetti (Euro Info Centre di Milano), Paul Muller (Quantica SGR), Giorgio Petroni (Rettore dell'Università di San Marino), Marco Ristuccia (libero professionista), Sergio Ristuccia (Presidente del Css), Secondo Rolfo (Direttore del CERJS-CNR), Mirano Sancin (Parco tecnologico Kilometro Rosso), John Tidmarsh (E-Synergy), Alberto Trombetta (Finlombarda), Ezio Villa (Studio legale Pecoraro- Travostino), Paolo Zanenga (Presidente Product Development and Management Association, area Sud Europa). il Workshop di Moncalieri è stato la continuazione del lavoro intrapreso dal Css con la promozione del libro Trasferire tecnologie. Il caso del trasferimento tecnologico di origine spaziale in Europa (di Fabio Biscotti e Marco Saverio Ristuccia, edito da Marsilio, 2006). in qualche modo, il libro è stato un punto di riferimento per lo svolgimento del Workshop, specialmente per il riferimento continuo a casi concreti che non chiudono, ma aprono, il discorso su tanti temi del trasferimento tecnologico. Le conclusioni, a cura di Sergio Ristuccia, tratteggiano delle considerazioni e valutazioni su alcune iniziative dei programmi di trasferimento tecnologico in campo aerospaziale e sono state utilizzate come guida possibile per il Workshop e per lavori di app rofondimento futuri del Css che - attraverso iniziative di questo tipo - vuole esercitare la propria funzione maieutica per i soggetti della società civile impegnati nella definizione ed attuazione di public policies. Trasferire tecnologie è stato presentato in occasione di un Workshop, promosso dal Css e dall'Euro Info Centre di Milano, tenutosi il 28 marzo del 2007 presso la Camera di commercio di Milano. Anche in questo caso abbiamo adottato una tecnica riassunti va per commentare gli argomenti princzpalifferti dal dibattito. inoltre, il dossier presenta un articolo sul tema generale delle politiche per l'innovazione in italia promosse dalle autorità centrali di governo. Si discute, in pratica, di 15
"Industria 2015 ", lo schema di decreto, parzialmente già adottato, volto a ridisegnare e razionalizzare alcuni passaggi della politica industriale italiana. Il tema è rilevante poiché qui è nel processo di innovazione industriale che risiedono i maggiori ritardi italiani rispetto al resto dell'Europa, nel quadro della transizione obbligatoria verso l'economia della conoscenza. Conclude il numero un articolo di approfondimento sul programma europeo Galileo, di Emanuele Barreca. Gli interventi del Workshop di Ivloncalieri sono stati selezionati ed elaborati da Fabio Biscotti, Claudia Lopedote ed Arianna Santero. Gli interventi del Workshop di Milano sono a cura di Fabio Biscotti, che è anche autore dell'articolo su "Industria 2015 "1 (E B.)
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Trasferire tecnologie di origine spaziale a cura della redazione
a tavola rotonda del 28 marzo 2007 su "Le politiche del trasferimento tecnologico", promossa dalla Camera di commercio di Milano e dal Consiglio italiano per le Scienze Sociali, ha fornito un contributo importante di riflessione su un tema cruciale di public policy. Lo ha fatto attraverso le testimonianze di studiosi e professionisti' e partendo dai temi e problemi discussi nel libro di F. Biscotti e M.S. Ristuccia "Trasferire tecnologie. Il caso del trasferimento tecnologico spaziale in Europa" (Marsilio 2007) presentato al pubblico proprio in occasione della tavola rotonda. Sergio Ristuccia ha spiegato perché il Css ha deciso di patrocinare il libro Trasferire tecnologie e quindi di promuovere la tavola rotonda insieme alla Camera di commercio. A tal fine ha ricordato che il ruolo del Css, organizzazione scientifica senza scopo di lucro, è quello di creare connessioni disciplinari intorno a problemi concreti per elaborare proposte per le politiche pubbliche. In questo senso si inquadra il patrocinio del libro sul trasferimento tecnologico che ha effettuato una ricognizione di problemi intorno a temi ed esperienze concrete come quella del caso spaziale. Ilcarattere del libro, come si intuisce ad una prima lettura, è quello di essere un documento di lavoro che rientra in questa "logica maieutica" che il Css si è prefissato di seguire. Non tratta, quindi, il tema del trasferimento tecnologico in termini accademici o di mera ricognizione di esperienze, ma pone problemi e intende suscitare il dibattito per andare oltre queste finalità. Per trovare proseguimenti ed aggiornamenti il Css ha organizzato un Workshop europeo sulle politiche del trasferimento tecnologico, il 4 e 5 ottobre, il primo di una serie di iniziative dedicate all'argomento. Non solo, quindi, ipotesi teoriche ma esperienze concrete, di successo o
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Il testo è una sintesi degli interventi tenuti alla tavola rotonda "Le politiche del trasferimento tecnologico" promossa dalla Camera di commercio di Milano e dal Consiglio italiano per le Scienze Sociali (Milano, Camera di commercio, Sala Consiglio, 28 marzo 2007). 17
meno, per far incontrare accademici, esperti, dirigenti pubblici, imprenditori, ricercatori e uomini della finanza, ed il cui fine sarà quello di agevolare la costituzione di un network di operatori di vario livello, di amministrazioni pubbliche, di imprese private, di centri di studio In questo senso, il libro, ed in particolare le sue conclusioni, sono un'introduzione ai lavori futuri del Css. Perché il caso del trasferimento tecnologico spaziale? Prima di tutto perché il libro è nato da un'occasione di studio condotta per l'Agenzia Spaziale Europea, che ha un proprio programma di trasferimento tecnologico e che ha effettuato diversi investimenti per valorizzare un bacino notoriamente molto ricco di tecnologie - quello spaziale, appunto - in opportunità in termini di innovazione. Poi, perché il caso spaziale può essere preso a modello di riferimento per il trasferimento della ricerca in generale. Lavorare per lo spazio profondo o vicino significa inventare ma anche elaborare (o rielaborare) tante cose; ciò non significa che trasferire tecnologie sia facile: ci sono passaggi difficili, cruciali, primo fra tutti la messa a punto tecnologica una volta che si è lasciato il campo nel quale la tecnologia è stata ideata. Poi si incontrano le varie problematiche degli apporti multidisciplinari necessari affinché la filiera funzioni. Proprio per questo è difficile valutare il successo del programma dell'EsA, soprattutto se paragonato a quello della NASA negli Stati Uniti. Ciò dipende sicuramente dalla complessità dell'Europa e dalla generale scarsa attenzione alle logiche del trasferimento. Prendendo atto, quindi, di una situazione che non pareva soddisfacente, è stato deciso di ricostruire la "filiera del trasferimento tecnologico" in generale, ed in particolare di quello spaziale. DIFFusIoNE, TRASFERIMENTO TECNOLOGICO ED INTERAZIONE
"C'è innanzitutto ai distinguere tra 'dzffiisione' delle tecnologie e 'trasferimento' delle medesime". Con questo richiamo alle prime parole del libro, il consigliere camerale Gianna Martinengo ha invitato a sgombrare il campo da una confusione ricorrente: il trasferimento tecnologico è diverso dal fenomeno della diffusione. Chi promuove ed attua i processi di innovazione deve essere consapevole che trasferire tecnologie è un processo difficile e non poco costoso. Senza voler dare delle definizioni esaustive, il trasferimento può essere considerato come l'insieme degli aspetti tecnico18
operativi o quell'organizzazione procedurale necessaria della conoscenza e dell'azione volta ad utilizzare i prodotti della ricerca. Mentre la diffusione è quel fenomeno più generale che consiste nell'adozione progressiva degli avanzamenti tecnologici da parte delle imprese e del mercato. Diffusione e trasferimento si distinguono quindi per un fattore cruciale che è l'interazione, ossia quel dialogo tra le parti che permette all'innovazione di generarsi a beneficio di determinati soggetti, o almeno due: chi propone la ricerca e chi intende applicarla in altri campi. Certo, l'interazione e la trasformazione della conoscenza è un fenomeno ben più complesso che coinvolge più soggetti, ma la diffusione non richiede allo stesso modo una volontà espressa e predeterminata di affrontare fasi e problemi tipici del trasferimento come, ad esempio, quello dell'adattamento tecnologico per fini diversi dai quali la tecnologia è stata elaborata. E dello stesso avviso Piero Bassetti 2 che, su1 punto, definisce il trasferimento tecnologico come un'operazione in salita, giocata cioè da forze che devono ispirare e dare dei contenuti innovativi a soggetti che non li danno per scontati e la dzffi€sione, al contrario, come un'operazione in discesa, fondata sul gradimento e sulla convenienza del mercato. Se si accettano questi concetti si può affermare che l'innovazione non è la scoperta, ma la "scoperta implementata", la "realizzazione dell'improbabile". E come tale essa non dipende solo dal sapere e dalla conoscenza che porta la ricerca ma anche dal potere ossia dalla capacità di trasformazione di tale conoscenza. Ma è proprio qui che ci si scontra con la realtà dei fatti. LA MARKET FA[LURE DEL TRASFERIMENTO TECNOLOGICO
Sebbene molta enfasi venga riconosciuta all'aspetto tecnologico del trasferimento, specie se esso prende origine da una ricerca così importante come quella spaziale, è stato rilevato che "once the product is designed and developed up to a prototype and enjoys some protection, over-emphasis on technological side ... may not lead to success. (..) The business must evolve from a primarily inward orientation focused upon technical inventiveness toward an outward orientation where managementientrepreneur increasingly devotes its attention to the needs ofcustomers and the market place" 3 In altri termini, da un certo punto in poi il trasferimento tecnologico non riguarda più, prevalentemente, i gestori della tecnologia ma le forze del mercato. Ed è generalmente riconosciuto che l'area del trasferimento tecnologico sia caratterizzata da una chiara "marketfailure", nel senso che la libera vo.
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lontà degli operatori non riesce, da sola, a porre ed affrontare le sfide dell'innovazione e del trasferimento tecnologico. Da qui nasce l'esigenza di guidare l'interazione con adeguate politiche di intervento e di sostegno per facilitare l'incontro tra il technology push e la domanda. Riguardo l'offerta o "technologypush", ad esempio, ci si deve domandare quanta attenzione va prestata alle iniziative nate dalla curiosità degli inventori o degli imprenditori, rispetto a quella che invece può essere dedicata ai casi in cui la ricerca riesce meglio a fare sistema. A tal proposito è condivisibile l'idea che programmi di ricerca ampi e pluriennali, ad esempio, meglio si prestano a favorire opportunità rilevanti anche per il trasferimento tecnologico. Con riferimento al caso spaziale si può citare, ad esempio, il programma Galileo, il Gmes o, in campo astrofisico, il programma PIusfvIA, ma lo stesso vale anche per altre aree di ricerca scientifica. Nel campo della ricerca universitaria, invece, diverse sono le iniziative di networking, tese a valorizzare e a premiare il trasferimento della ricerca, da cui si può partire come ampia base dati. Sul fronte della domanda i problemi sono ancora più complessi. Ve ne sono almeno due. Il primo problema riguarda l'importanza di avere capitali dedicati alle fasi nascenti del trasferimento, capitali che siano in grado di colmare una delle più classiche delle lacune del trasferimento, il c.d. "equitygap". Il secondo, invece, è quello dell'asimmetria informativa che esiste tra il mondo della ricerca e dell'industria, i due protagonisti principali dei processi di trasferimento tecnologico. Su questo punto Ristuccia 4 afferma che, al di là della retorica su parole come "trasferimento tecnologico", si deve riconoscere che manca un ambiente che faccia emergere con sistematicità le necessità dell'innovazione e che agevoli sistemi di interrelazioni fra chi fa innovazione, o chi la conosce concettualmente, e chi la deve operare. Mancano sistemi ben organizzati e, al di là degli episodi fortunati, si opera spesso sostanzialmente in solitudine. E questo non è un fenomeno tipico solamente della situazione italiana, che pure è molto evidente, ma anche europea. Su questo punto vale ragionare intorno a possibili strumenti che la politica deve favorire per migliorare quell'organizzazione della conoscenza e delle informazioni al fine di favorire un rapporto relazionale più stabile e sistematico tra ricerca ed industria. L'analisi di varie esperienze riportate in Trasferire tecnologie ha portato ad individuare varie forme di partenariato pubblico-privato che, in sede 20
europea, vanno emergendo per mettere a sistema la ricerca. Si può citare, ad esempio, il Fondo Europeo degli Investimenti che, per incarico della Direzione Generale Ricerca della Commissione Europea ha suggerito, in un rapporto di fine 2005, la costituzione di un Technology Transfer Accelerator come possibile modello operativo per mettere in rete i centri di ricerca europei con il fine stretto del trasferimento. Vi è poi il caso dell'Università di Oxford che si afferma con una società di gestione - Isis Technology limited— che svolge tutti gli aspetti di gestione ed intermediazione tra ricerca universitaria e mercato e non solo i primi aspetti dell'adattamento tecnologico. Si tratta di forme o modelli di gestione o societari che si danno carico di tutti gli aspetti, dalla gestione di brevetti o di altre forme di assistenza che coprono tutto l'ampio problema della valorizzazione della ricerca. Vi è po15 una forma di partenariato pubblico privato rilevante, ad esempio, nei casi in cui il trasferimento dia come esito delle nuove imprese. È stato interessante scoprire che soggetti che si occupano di questo adattamento, ad esempio, sono soggetti no profit come la fondazione americana Technology Venture Corporation (Tvc) creata dalla Lockheed Martin Corp. e lo Stato del New Mexico, in USA. Per quanto riguarda l'Italia, ad esempio, sarà interessante vedere come si realizzerà il progetto del Palazzo dell'Innovazione di Milano e dell'Agenzia per la diffusione delle tecnologie. In riferimento a tali esperienze, Ristuccia ritiene importante valutare ed approfondire non tanto i modelli formalmente adottati, quanto gli strumenti, i processi, le procedure che sono poi funzionali ad agevolare la scelta di modello di soggetti operativi di gestione oa servizio del trasferimento. Le conclusioni del libro Trasferire tecnologie si articolano proprio intorno a questi temi valutando due possibili proposte concrete - la valutazione di un fondo di venture capital per il trasferimento promosso dall'ESA e la creazione di un database per l'organizzazione della domanda - a cui si rimanda per una più approfondita discussione 6 .
QUALCHE CONSIDERAZIONE IN PIÙ SULL' ORIGINA TION TECNOLOGICA E SUL SUO TRASFERIMENTO
Volendo ricostruire la "filiera del trasferimento tecnologico" appare fondamentale un passaggio: quello dell'adattamento della tecnologia per scopi diversi dai quali è stata creata ed al fine di ottenere una maggiore pros21
simità alle esigenze del mercato. Tale passaggio è dato sempre da un lavoro ad hoc che è difficile svolgere con dei finanziamenti che non siano pubblici, a meno che tali tecnologie non siano già in qualche misura richieste dal mercato o che non siano direttamente finanziate dalla grande impresa che persegua una strategia di corporate venturing. Normalmente, quindi, è un tema che viene mal affrontato ove non si faccia ricorso a soggetti pubblici grandi committenti come, per citare una buona prassi, l'agenzia spaziale francese (CNES). È Giorgio Petroni a dare cenno di questa esperienza che avviene attraverso il cosiddetto "setting standards", una modalità che impone specifiche tecniche molto elevate alle imprese incaricate di realizzare i tools spaziali da parte dell'agenzia pubblica committente. In questo modo, i processi di apprendimento delle imprese finalizzati al trasferimento tecnologico avvengono piii rapidamente, riuscendo ad ottenere un fail out sui fornitori. Ciò, in ogni caso, avviene grazie ad un massiccio impiego di ricercatori che collaborano direttamente con le imprese del settore. I problemi si fanno pRt complessi quando, ad esempio, i protagonisti del trasferimento non siano i grandi enti pubblici di ricerca o le grandi imprese ma, invece, le imprese minori o le università. In questo caso la relativamente modesta cultura tecnica delle piccole imprese mal si combina con le scarse competenze gestionali dei ricercatori (unita alle poche risorse a disposizione di entrambi). "LA COLLINA DEI CILIEGI": PER INNOVARE SERVE CULTURA
Nella prospettiva delle imprese, quando si affrontano "cose nuove", riferisce Pascucci 7 , come l'innovazione ed il trasferimento tecnologico, ci si scontra con "paletti drammatici": il core business, il budget e l'MBo (Management by Objectives). Questi paletti creano resistenze all'innovazione e al cambiamento non per colpevolezza od incapacità creativa, ma per le penalizzazioni normalmente legate al non raggiungimento di obiettivi prestabiliti. Questo fa parte di un fenomeno ampiamente studiato definibile come "capacità di assorbimento". Questa situazione è ricorrente per il manager di vertice che, conseguentemente, presta attenzione al contenimento dei costi e non all'innovazione. Diverso è per l'imprenditore che, invece, ha una accentuata propensione al rischio. Le piccole e medie imprese sono fortemente innovative? La verità è che 22
se non lo fossero non esisterebbero. Per converso, in una grande struttura multilivello, il processo di creazione dell'innovazione è molto più difficile. In questi casi il requisito per poter fare innovazione è accorciare la linea di comando; quanto questa è più lunga tanto più c'è il rischio di trovare lungo la strada manager resistenti all'innovazione. Pascucci racconta due aneddoti esemplificativi. Il primo. Nel 1986 un manager di una società che fabbricava veicolari (cellulari per automobili) ebbe l'idea di importare cellulari portatili dal Giappone. Aveva un budget di 2.000 unità. Il primo anno ne vendette 20.000. "Un successo straordinario", "un MBO incredibile", furono i commenti. L'anno dopo gli fu chiesto: "Cosa svilupperai quest'anno?' La risposta fu: "Niente, abbiamo saturato il mercato." Il secondo fatto. Al Direttore dei sistemi formativi di una grande azienda milanese fu proposto di creare una casa editrice scientifica su internet. La risposta fu: "Internet? mah, io non ci credo molto". Dagli aneddoti di Pascucci si può trarre la considerazione riassunta da una strofa della canzone di Lucio Battisti, "La collina dei ciliegi": "troppo spesso la saggezza è solamente la prudenza più stagnante". Paolo Zanenga aggiunge al dibattito tre concetti. Il primo è che il ruolo dell'innovazione è stato finora complessivamente positivo. Ricerche fatte su campioni global1 8 dicono che gli innovatori radicali ottengono, da un lato, profitti più alti rispetto ai fatturati e, dall'altro, più fatturato in rapporto ai volumi di produzione. Ci sono senza dubbio vantaggi economici nell'investire in innovazione ma occorre tener presente che, in questa fase di cambiamento dell'economia, caratterizzata dal contenuto intangibile dei propri prodotti e servizi, il contesto muta anche per il "mercato dell'innovazione". Le parole d'ordine della nuova innovazione sono date da alcuni concetti forti: prima di tutto viene il concetto di accettare l'errore. Un buon manager è anche un manager che sbaglia. E questo non va d'accordo, come anche detto da Pascucci, con le logiche tradizionali su cui si basa il management aziendale. Il secondo concetto è quello dell'openness, dell'apertura. L'innovazione non si fa all'interno di un'organizzazione ma al suo esterno. E questo pone una serie di problematiche come quelle della differenza tra dffiisione, trasferimento tecnologico ed interazione tra soggetti appartenenti ad ambienti diversi. 23
Il terzo concetto è quello che si può richiamare con le parole di Bassetti: l'innovazione è, oggi più che mai, una realizzazione dell'improbabile e conciliare questo nuovo paradigma con la fortissima resistenza al cambiamento delle imprese, dell'accademia, del mondo della ricerca o del settore pubblico può generare un vero e proprio shock culturale. Ciò, ovviamente, comporta del rischio che deve essere affrontato e sostenuto da un management e da una finanza innovativa. Per supportare l'attività del nuovo management, quindi, sarebbe necessario riuscire ad ottenere: 1) la separazione radicale dei gruppi di innovatori dalle strutture gerarchiche, interrompendo lo statico rapporto gerarchico attualmente diffuso; 2) la creazione di nuovi tipi di ambienti orientati al rischio, in cui team di innovatori possano ampliarsi virtualmente a persone che si trovano fisicamente lontane. Questo significa avere infrastrutture di comunicazione, linguaggi nuovi, contributi forti dal punto di vista concettuale che la knowledge engeneering o l'ingegneria ontologica può dare ed in parte già dà, pur non essendo al momento troppo utilizzata. È questa una branca dell'ingegneria che si sta sviluppando e diffondendo anche grazie al web 2.0, il web semantico, le tecnologie GuD. Con questi nuovi linguaggi sarà possibile incentivare persone e gruppi a lavorare in rete e scambiarsi conoscenze anche di settori diversi. IL FINANZIAMENTO DEL TRASFERIMENTO TECNOLOGICO
Il trasferimento tecnologico è un processo difficile e lungo e come tale una delle sue criticità risiede nel finanziamento. Si tratta di operazioni simili a quelle finanziate, ad esempio, con il projectfinancing anche se di solito qui si è nel campo di settori comprensibili ai più (come le infrastrutture) rispetto al settore spaziale o della ricerca di punta. Nel caso del trasferimento di origine spaziale si è spesso di fronte ad operazioni di frontiera per le quali, come detto, concorrono diversi attori. Nel mondo della ricerca, in generale, l'Italia si presenta in maniera ragionevole e gli sforzi fatti per il trasferimento tecnologico si sono moltiplicati e sono in crescita. Ma l'impressione è che ci sia una notevole difficoltà ad individuare e a coinvolgere la componente finanziaria per tali fini. A tal riguardo una cosa è certa ed è rilevata chiaramente anche in Trasferire tecnologie iniziative di trasferimento tecnologico non possono essere finanziate solo con risorse pubbliche o solo con risorse private ma è necessaria una integrazione tra logiche di finanziamento differenti. Il capita24
le di rischio, in questo senso, ha un ruolo fondamentale come volano di risorse ulteriori che possano essere raccolte in un secondo momento, man mano che il deal maturi. L'importanza del venture capital infatti, non toglie che il ruolo delle banche ordinarie sia rilevante quando il progetto cresca di dimensioni e sia meglio definito rispetto alle fasi iniziali. Diversamente, c'è da ritenere che la cultura bancaria tipica faccia tendenzialmente da freno allo sviluppo perché orientata alla valutazione delle garanzie reali di un'impresa che - in linea di massima - una new venture non può dare. Il rapporto tra ricerca e finanza si fa molto difficile quando esso abbia ad oggetto le fasi nascenti si un'operazione di trasferimento tecnologico. In termini finanziari si parla di early stage che è riconosciuta come fase di massimo valore aggiunto. Dal punto di vista dell'investitore, quindi, non può non essere interessante. La fase di early stage, osserva Zanenga, sta però diventando sempre più ampia, lunga nei tempi e aleatoria nei risultati. Ciò è dovuto alla crescente complessità tecnologica e alla tendenza di cercare di applicare tecnologie extra filiera (in luogo di tecnologie intra filiera), nella logica dell'innovazione aperta e del passaggio dal dogma del core business a quello della core knowledge. In questo contesto tutto si complica ed in tal senso l'early stage diventa meno attrattivo per la finanza. Per cui l'early stage è oggi molto più importante di un tempo ma anche molto più difficile. Il mondo della finanza si trova, dunque, davanti ad un bel dilemma. Deve decidere se entrarci o rinunciarci in toto, cosa che può essere una scelta strategica, con le sue motivazioni, come alcune analisi di Mediobanca e della Fondazione Edison sulle medie imprese italiane possono far ritenere. Queste rilevano che molte imprese prosperano nel pieno equilibrio delle "tre r" - rischio, regolarità e redditività - senza fare innovazione. Anche l'innovazione finanziaria, a questo punto, deve giocare la sua partita e poter offrire, ad esempio, un early stage più compatto ed efficace. C'è in ogni caso da precisare che il trasferimento tecnologico di origine spaziale può offrire, come ha precisato Pascucci, diverse casistiche. Abbiamo, infatti, il caso del trasferimento di un nuovo prodotto o servizio e quello orientato verso l'introduzione di un nuovo processo. I due casi sono completamente diversi anche per quanto attiene alle logiche di finanziamento. Quello che ha oggetto un nuovo prodotto o servizio ha generalmente come esito la creazione di una start-up il cui mercato deve essere 25
creato. Ciò genera un grado di rischio maggiore che può essere più appropriatamente coperto da un venture capitalist. Il trasferimento incentrato sui processo, invece, consiste nel realizzare uno stesso prodotto in maniera più competitiva o a costi più bassi o con risultati di qualità. In questo caso il costo del trasferimento corrisponde ad una capitalizzazione immateriale esattamente uguale a quella dell'impianto che verrà realizzato. Si tratta di un caso tipico della vita d'azienda ed in questo senso può essere finanziato dal capitale di debito. La difficoltà di far dialogare ricerca e finanza viene posta come problema urgente anche da Martinengo. Ancora oggi, nonostante gli eloquenti segnali di cambiamento degli scenari competitivi, si deve constatare che l'imprenditore si trova di fronte ad un mondo bancario che richiede principalmente garanzie reali e non è in grado di saper dare il giusto apprezzamento agli intangi bile assets che un'impresa tecnologica o con altro potenziale di sviluppo può avere. Se è vero che non si può certo cambiare la cultura e l'approccio delle banche ordinarie occorre comunque che queste si sforzino di trovare un loro ruolo anche in questo genere di operazioni ed accettino di giocare la sfida dell'innovazione. La politica, inoltre, dovrebbe fare la sua parte contribuendo a favorire la nascita delle start-up attraverso il trasferimento tecnologico, riducendo così il fenomeno dello "stop now" con appropriate politiche di sostegno. È una questione di vitale importanza per l'imprenditoria del prossimo futuro. ALCUNE TIPICITÀ DEL TRASFERIMENTO DI ORIGINE SPAZIALE
A questo punto va approfondito meglio il caso del trasferimento tecnologico di origine spaziale. Pascucci, 38 anni di lavoro dedicati allo spazio tra industria privata e cariche pubbliche, ha offerto considerazioni di contesto ed è entrato nei dettagli. Ricordando, prima di tutto, che le stime della NASA parlano di un ritorno di circa nove dollari su uno investito nella ricerca spaziale: pur essendo un settore di investimento ad alto grado di rischio, lo spazio presenta dunque potenzialità simili a quelle degli investimenti di venture capital della Silicon Valley. Del resto, già il Presidente Kennedy disse "Proviamo ad andare sulla luna nei prossimi dieci anni non perché sia facile ma perché è difficile" ("We choose to go to the moon in this decade and do the other things, not because they are easy, but because they are hard" John F. Kennedy, Moon Speech 26
Rice Stadium, September 12, 1962). Dietro a questa espressione si legge una fortissima visione strategica di mercato, che ha permesso di realizzare la missione ad un costo tutto sommato modesto, 200.000 miliardi di dollari, il fatturato in un anno di Intel. Si può senz'altro parlare di un ottimo investimento. Certo è che tale ritorno va generato. Poiché il core business "spazio" è tutto sommato piccolo sia in termini di fatturato che di rendimenti, i budget sono limitati e le decisioni - per quanto riguarda le imprese private - sono oggi orientate alla riduzione dei costi più che alla diversificazione in attività nuove e potenzialmente redditive. Ciò non limita però le potenzialità in termini di trasferimento dall'area spaziale, che può dar luogo ad una serie di opportunità rilevanti. Entrando nei dettagli, si può dire che il trasferimento tecnologico di origine spaziale riguardi prodotti, servizi, materiali e processi. I primi tre hanno impatto sul mercato mentre il trasferimento di processi genera più che altro l'efficientamento aziendale e certi apporti di qualità dei prodotti esistenti. Si rivolge, in pratica, a mercati preesistenti. Ecco alcuni esempi delle quattro tipologie di trasferimento ricordate da Pascucci. Prodotti. La ricerca spaziale ha generato dei cuscinetti per rendere più silenziose le ruspe mutuando dei cuscinetti realizzati per il lanciatore Ariane 5 Servizi. La Società Ti - Telerilevamento Europa srl, spin-off del Politecnico di Milano, realizza servizi di analisi di immagini satellitari, fatti da radar meteorologici SAR, realizzando il controllo • di spostamenti dell ordine di millimetri nell arco di anni per verificare il c.d. fenomeno di subsidenza, così da prevedere lo spostamento e il cedimento di edifici o altri manufatti edili. Materiali. Il Goretex, tessuto per giacche a vento, guanti ed altro è l'esempio forse più rappresentativo del trasferimento dall'area spaziale. L'azienda spaziale Gore che ha avuto il contratto dall'EsA per realizzare le (poche) magliette degli astronauti ha poi esteso la sua produzione realizzando prodotti per il mercato consumer con il successo che tutti conosciamo. Processi. Pascucci ricorda un esempio non riuscito di trasferimento tecnologico. Si tratta di un'iniziativa tentata da un'impresa spaziale diretta dallo stesso Pascucci finalizzata alla produzione di tessuti in similpelle evitando di utilizzare solventi cancerogeni. Si trattava, quindi, di realizzare uno stesso prodotto ma con costi ridotti e con notevoli miglioramenti ri27
guardo le condizioni di lavoro e di vita degli operai. Il caso non è riuscito per diverse ragioni, ma principalmente per quelle prima dette. Il trasferimento del processo si rivolge, infatti, ai manager di produzione, quelli che "hanno fatto sempre così" e che non vedono motivo di cambiare modo di fare.
Lo szio TRA PATPJMONIO CULTURALE E RESPONSABILITÀ Che la ricerca spaziale sia una delle massime espressioni dell'avanzamento tecnologico è un dato di fatto. Ed è in questo campo che l'uomo impiega le punte pii alte del suo sapere. La conquista dello spazio affascina e, allo stesso tempo, può apportare dei benefici anche per numerose applicazioni terrestri. Il contributo al progresso scientifico che offre lo spazio, l'avanzata epocale— come la definisce Bassetti - è un fatto che viene posto dalla scienza, non dalla politica. E, come tale, non è un fatto altrui ma un fenomeno che fa parte dell'avventura umana che bisogna sottrarre dalle suggestioni esotiche e al disinteresse dei non addetti ai lavori. Ma esiste, ed è forte, un problema culturale. Il fatto che il trasferimento tecnologico sia così difficoltoso dipende sicuramente da aspetti tecnici, o da "mediazioni tra monoculture", come richiama Bassetti, ma ancor di pi1 da un atteggiamento e da un ambiente culturale sbagliato. Questo è senz'altro vero in Italia, società reticolata verso la conservazione, meno in USA dove, ad esempio, la NASA ha investito moltissimo nella disseminazione della propria attività presso le scuole contribuendo a rendere lo spazio prima di tutto un tema collettivo. Il fatto che non si reputi il progresso scientifico come un patrimonio culturale è senza dubbio un segno di decadenza. Viene infine toccato un'ultima questione, di cui "Trasferire tecnologie" non si occupa direttamente ma che contribuisce a mettere in evidenza, quella della responsabilità dell'innovazione. È Bassetti a sollevare il problema ricordando che non c'è azione politica senza responsabilità e ciò è vero anche per quanto riguarda la politica della ricerca e del trasferimento tecnologico. Si pensi al caso spaziale: familiarizzare con lo spazio è sì una sfida antropologica, ma anche un esperimento non privo di conseguenze; esiste sicuramente, ad esempio, una problematica ambientale provocata dalla fuoriuscita dagli equilibri preesistenti a causa dell'invio di sistemi nello spazio. È una questione che sempre ricorre in tutti i momenti in cui ha a che fare con l'innovazione che, una volta entrata nella vita di tutti i giorni, non è mai priva di effetti negativi. 28
Occorre quindi renderci conto e responsabilizzarci di ciò che stiamo facendo quando trasferiamo tecnologie. Sarebbe un segno assai positivo se criteri di responsabilità rientrassero tra quelli delle metodologie di valutazione delle iniziative di attuazione del trasferimento tecnologico. La responsabilità dovrebbe essere un elemento costitutivo della c.d. receptivity di cui in vari punti si parla nel libro e che dovrebbe quindi essere tenuta sempre presente nei processi innovativi. Il criterio della responsabilità, con riferimento alle proposte del libro, potrebbe essere tenuto in considerazione specialmente per supportare le decisioni applicative tipiche di un fondo di investimento. QUESTIONI APERTE DI TECNOLOGIA POLITICA
La tavola rotonda ha permesso di individuare alcuni fuochi di publicpolicy che andrebbero meglio approfonditi e di cui può cominciare ad occuparsi il Workshop sulle politiche europee del trasferimento tecnologico promosso dal Css e, successivamente, un gruppo di lavoro ad hoc del Css finalizzato alla pubblicazione di un Libro bianco sulla trasformazione della conoscenza. Il primo riguarda l'aspetto generale della riforma dell'organizzazionepolitica. A tal proposito Bassetti commenta che quando i fenomeni diventano global, l'organizzazione politica esistente non funziona più. Va posto il problema, di conseguenza, di quale soggetto può ricoprire la funzione più appropriata di promozione del trasferimento tecnologico. A tal riguardo non occorre solo verificare chi può averne la titolarità, ma anche proporre un rapporto nuovo tra pubblico e privato, che è sempre più ricorrente per operazioni nuove e complesse. Una possibile risposta sarebbe, in linea teorica, un' agenzia globale che favorisca l'interazione e che superi strumenti non più adeguati che si poggiano sul diritto internazionale che favorisca la concertazione tra gli enti soprannazionali dedicati già esistenti, come la NASA, l'EsA, l'Unione Europea. Si può aggiungere che la NASA ha effettivamente una politica che è strumentale ad ottenere successi economici dalle ricadute. Vi è alla base anche un sistema premiante dei finanziamenti dell'Agenzia nazionale. L'EsA, invece, ha un budget garantito dalla stessa carta istitutiva. Da una decina d'anni ha un proprio programma di trasferimento tecnologico, ma solo da poco si sta muovendo con un certo interesse. L'esperienza dell'EsA è comunque notevole. 29
L'Asi (Agenzia Spaziale Italiana) ha tra le proprie finalità quelle del trasferimento tecnologico (art. 3 del D.lgs. 128/03) ma non ha avviato nessun progetto al riguardo. L'UE, nel Settimo Programma Quadro, spende 1,4 miliardi di euro in 7 anni per lo Spazio. Risorse che non devono essere impiegate per nuova innovazione ma per valorizzare le tecnologie e metodologie esistenti. Per quanto riguarda gli aspetti più specificamente finanziari, il fondo early stage promosso dall'EsA che si sta realizzando rappresenta una forma importante (per lo meno come modellistica di riferimento) di innovazione del settore pubblico spaziale. Questa operazione incarna vari elementi e indicazioni che sono prototipali di un tipo di strumentazione finanziaria - presentata e valutata in Trasferire tecnologie9 - che ridisegna l'allocazione delle risorse pubbliche da utilizzare per ridurre il rischio-rendimento nelle fasi iniziali e di avvio delle operazioni di trasferimento con il fine di far leva su risorse private che decidano di accollarsi gran parte del rischio dell'investimento. Lidea di un fondo early stage, quindi, che raccolga fonti private e pubbliche dell'EsA, ed un connesso sistema di garanzie, sembra essere l'anello giusto ed il ponte per il collegamento delle operazioni con il mercato. Il progetto dell'EsA deve ancora, però, essere messo a punto e per questo è importante un suo monitoraggio ed una sua valutazione in itinere. Questa iniziativa sarebbe facilitata da un'apposita strumentazione di organizzazione delle informazioni e di conseguente valutazione: si fa riferimento alla proposta di databasebo finalizzato a creare un linguaggio comune fra diversi soggetti pubblici e privati così da favorire il superamento delle barriere tra ricerca e mercato ed il supporto alla "filiera" del trasferimento tecnologico spaziale. Ciò, inoltre, potrebbe dare la risposta che solo parzialmente è stata data alla questione cruciale del trasferimento, che è essenzialmente come individuare la domanda. Il database non deve però essere interpretato solo come deposito di informazioni ma come una forma nuova di linguaggio, uno strumento di accesso per sistematizzare informazioni da comunicare ad altri soggetti. In generale, può essere utile per collegare vari settori e, quindi, è ben adatto al trasferimento di origine spaziale che si presta molto all'interdisciplinarietà e alla multisettorialità. Un'altra questione, sollevata da Ristuccia, è quella relativa alla proprietà intellettuale della ricerca da trasferire. Nello specifico campo dei brevetti 30
si sta assistendo a qualche misunderstanding che sembra avere poco senso: la proprietà spetta al ricercatore o all'Università? Se ne è molto discusso con un testo unico di qualche anno fa e che ora il disegno di legge "Industria 2015" vuole cambiare. Sembrano, in ogni caso, decisioni apodittiche laddove il vero problema consiste nel fatto che la valorizzazione di brevetti, o di potenzialità non ancora formalizzate, segue strade diverse che derivano da una interazione. Seguire un modello, come quello americano del Bay Dole Act, che pure sta dando alle università fonti di reddito notevole, può essere affrettato quando il ragionamento in termini di interazione e di processo di intermediazione complessa dovrebbe portare ad una flessibilità più pragmatica, dettata dai singoli casi e convenienze. Ciò vale in riferimento al rapporto tra università ed i suoi ricercatori così come tra università ed imprese. In conclusione, la tavola rotonda ha sicuramente manifestato il bisogno della presenza di forti mediatori culturali, come li ha definiti Pascucci, per far dialogare imprese e ricerca. Sia per una questione di linguaggio (per rimanere al caso spaziale, l'impresa ha un linguaggio completamente diverso da quello di altre imprese non spaziali ed il manager spaziale, come è stato rilevato, ha dei limiti oggettivi rappresentati dal perseguimento del core business) sia perché la domanda di innovazione è per lo più implicita o latente (nel caso spaziale le imprese non conoscono le opportunità di innovazione che possono dare le tecnologie spaziali). Il ruolo del mediatore, quindi, è necessario. Può essere un ente pubblico rivato, l'importante è che ci sia. indispensabile che intervenga, nel caso spaziale, l'istituzione o l'agenzia pubblica di riferimento. Ragionando in termini di politica nazionale, l'Agenzia Spaziale Italiana deve esercitare il proprio ruolo, magari insieme a qualche fondo di investimento pubblico-privato allo scopo dedicato.
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I Sono intervenuti: Gianna Martinengo (Consigliere della Camera di commercio di Milano), Sergio Ristuccia (Presidente del Css), Piero Bassetti (Socio ordinario del Css, Presidente della Fondazione Giannino Bassetti), Marco Pascucci (Delegato italiano del Settimo Program-
ma Quadro - tema Spazio), Paolo Zanenga; Presidente di PDvIA SE (Product Development and Management Association area Southern Europe). 2 Presidente della Fondazione G. Bassetti e socio ordinario del Css. 31
M. KAKATI, Success criteria in high-tech new ventures, in «Technovation» 2003, 447. Presidente del Consiglio italiano per le Scienze Sociali. 5 Op. cit., box a pag. 64. 6 F. Biscotti, M. S. Ristuccia, Trasferire tecnologie, il caso del trasferimento tecnologico di origi3
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ne spaziale in Europa, Marsilio, 2007. ' Delegato Nazionale al 70 Programma Quadro - Area Spazio. 8 Si vedano le varie pubblicazioni di Pt»vlA al proposito. Op. cit. pag. 234 e Il Trasferire tecnologie. Op. cit. pag. 236 e ss.
queste istituzioni n. 149 aprile-giugno 2008
Esperienze e progetti. I colloqui di un lungo i ncontro* a cura di Fabio Biscottie Arianna Santero
i Workshop di Moncalieri ha raccolto contributi e testimonianze riguardo alle diverse tipologie e modellistiche del trasferimento tecnologico, a seconda che l'input iniziale sia costituito dalla volontà delle imprese ad innovarsi (marketpull), o dalla spinta tecnologica degli enti di ricerca (technologypush). Oltre a chiarire alcune differenze impostate dalla modeilistica, il contributo del Workshop è stato quello di dare testimonianza di esperienze fino a qualche anno fa inesistenti, e di definire un più chiaro quadro di riferimento per il concreto contributo che le scienze sociali possono dare al fine di abilitare politiche, programmi e processi di innovazione e trasferimento tecnologico, favorendo una ragionata impostazione di operazioni complesse. Soprattutto quando, nell'ambito di settori disciplinari diversi, sfera pubblica e privata entrano in contatto e devono necessariamente confrontarsi ed interagire, trasformando i rispettivi saperi. Di qui l'esigenza di precisare la nozione di "trasferimento tecnologico" inteso come dislocazione, passaggio di risultati utili dal contesto di ricerca in cui sono stati creati a diversi ambiti produttivi che ne faranno uso. Con le opportune distinzioni concettuali illustrate nel volume Trasferire tecnologie. Il caso del trasferimento tecnologico di origine spaziale in Europa, pubblicato dal Css nel 2007. Dunque, il trasferimento tecnologico può essere rappresentato come un rapporto diretto tra uno o più soggetti economici, finalizzato ad utilizzare una tecnologia per fini diversi da quelli per i quali era stata inizialmente progettata o sperimentata'.
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È subito Massimiano Bucchi, sociologo della scienza all'Università di Trento, a porre in apertura un problema concettuale che appare insorFabio Biscotti è Project manager del Programma biennale Css "Industria, società di servizi ed economia della conoscenza". Arianna Santero è Assistente del Vice-Segretario generale del Css a Torino. 33
montabile. Quando si parla di trasferimento, si intende spesso un modello di comunicazione estremamente problematico, inteso nei termini del trasferimento di conoscenza. Si tratta di un modello meccanico criticato dai teorici della comunicazione da cinquant'anni, sul piano tecnico e su quello teorico, poiché la conoscenza non può essere traslata completamente da un soggetto ad un altro e tanto meno si possono mantenere costanti alcune sue caratteristiche. È allora possibile tentare di riflettere su questo tema oppure, come sostiene il sociolinguista inglese B. Ramakrishna Reddy, si deve ritenere che in alcune lingue - tra cui quella inglese non è possibile pensare alla comunicazione se non come metafora del trasferimento? IL Css ED IL CONTRIBUTO DATO AL TEMA DELLA PRODUZIONE, QUALITÀ E TRASFORMAZIONE DELLA CONOSCENZA
Come racconta in apertura il Presidente del Css, Sergio Ristuccia, l'attività del Consiglio italiano per le Scienze Sociali, quale organismo di tipo associativo con una storia più che trentennale 2, è strutturalmente ed originariamente legata ai processi di più generale produzione e trasformazione della conoscenza multidisciplinare orientata all'applicazione in ambiti altri (in primo luogo, le politiche pubbliche), con l'obiettivo di migliorare le condizioni di esistenza in determinate aree, tempi e contesti. Quando, nel 1966, Norberto Bobbio, Manlio Rossi Doria e Franco Modigliani fra gli altri diedero vita al Co.S.Po.S. (Comitato per le Scienze Politiche e Sociali), la cui esperienza è stata poi proseguita nel 1973 dal Css, le Scienze Sociali in Italia non avevano statuto (e prima del 1923, quando nacque il Social Science Research Council, negli Stati Uniti la situazione era la stessa), neanche nel mondo accademico. Anche per questo, la denominazione stessa "Consiglio italiano per le Scienze Sociali" dichiara l'attenzione primaria alla promozione delle scienze sociali. Da allora, l'affermazione delle scienze sociali nelle università è stata assai ampia, ed il loro status congruo e consolidato. Pertanto, oggi la promozione resta un obiettivo primario, ma assume via via nuovi significati, volgendosi alla questione della qualità delle scienze sociali, alla loro capacità di affrontare i problemi della società italiana ed europea, per mettere a punto soluzioni concrete. Ecco quindi le ragioni storiche di questa iniziativa. Venendo all'attualità, l'innovazione scientifico-tecnologica è un ambito strategico e di enorme rilevanza per la realizzazione di politiche efficaci di 34
ampia portata ed impatto. Ambito e politiche delle quali il Css si occupa da tempo, in ragione dell'evidente necessità di chiarire e sistematizzare concetti e discorsi che in questo campo sempre più spesso cedono ad una diffusa "retorica dell'innovazione". La positività dell'innovazione è certamente fuori discussione, ma occorre specificarne contenuti e processi tangibili. A partire dall'attenzione ad aspetti specifici, poiché soltanto così è possibile seguire e guidare il corso degli eventi reali, mettendo a punto valide indicazioni per impostare concrete iniziative. LE SCIENZE SOCIALI COME FACILITATORE ATTIVO DEI PROCESSI DI TRASFERIMENTO TECNOLOGICO
Si delinea così un percorso teorico-metodologico entro il quale va specificato il ruolo delle scienze sociali nei processi di innovazione. Le scienze sociali possono apportare un contributo per superare determinati ostacoli che insorgono nell'ambito del trasferimento di tecnologie originate nel campo della ricerca. Ristuccia si riferisce, ad esempio, alle difficoltà, se non ai fallimenti, del "tecnologicalpush" nei casi in cui non venga opportunamente stimolata la domanda, sulla base dell'errato convincimento che l'offerta trovi da sé la domanda corrispondente, o che non occorra cercarla lontano, quando al contrario il trasferimento tecnologico va considerato in una dimensione di mercato globale. Sia sul lato dell'offerta che della domanda. C'è poi lo sterminato campo di indagine relativo ai possibili impatti sociali dell'innovazione tecnologica. È questo il tema proprio di riflessione delle scienze sociali: un filone sul quale il Css lavora da sempre, e che è ora oggetto di una specifica Commissione di studio denominata Produzione e trasformazione della conoscenza scientfìca e tecnologica 3 (coordinata da Andrea Bonaccorsi e Massimiano Bucchi).
Opera tività Un secondo tipo di percorso nel quale si individua un contributo delle scienze sociali è invece di tipo operativo, e riguarda modi e strumenti per creare e mettere a disposizione un tavolo di incontro che riunisca operatori, amministratori pubblici, amministratori degli enti di ricerca, finanziatori, intermediari tecnologici e consulenti per l'innovazione. Ivfassimiano Bucchi sottolinea il rilievo, tutt'altro che scontato, del ruolo 35
delle scienze sociali nella costruzione di un approfondito dialogo, una collaborazione ed un'integrazione efficace tra le varie aree e discipline interessate: poiché, come è ovvio ed evidente, nel trasferimento tecnologico sono implicati aspetti di rilievo economico, profili di politiche pubbliche, utilizzatori che partecipano ai processi di innovazione. Ci sono quelli che gli antropologi chiamano "stili tecnologici", tra loro differenti, propri di culture diverse, in aree tecnologiche distinte. t? difficile governare l'innovazione senza procedure fortemente inclusive sul versante di tutti i soggetti che abitano un dato territorio o, nel senso più ampio, che sono toccati dai processi che ivi hanno luogo. Bucchi rileva l'importanza dell'illustrazione di esperienze rilevanti, di successo o in fase di lancio, ma anche l'utilità di conoscere le storie degli insuccessi del trasferimento, per comprenderne appieno il significato. Un bellissimo libro di un sociologo-filosofo-antropologo che si è occupato di tecnologia, Bruno Latour, intitolato Aramis, or the Love of Technology, raccoglie racconti straordinari, tra cui quello di un progetto di supermetropolitana intelligente clamorosamente fallito da cui si possono trarre lezioni importanti per la discussione sul trasferimento tecnologico. PER SUPERARE LA RETORICA DELL'INNOVAZIONE
La "retorica dell'innovazione" ha i suoi topoi. Tra questi, Ristuccia cita la frequente richiesta di maggiori risorse da destinare ai più vari interventi. Queste richieste non sono sempre convincenti, e raramente sono basate su reali possibilità di successo. Serve, allora, cercare di individuare percorsi ed iniziative definite per uscire dalla retorica delle proposizioni generiche. Una possibile risposta sta nell'individuazione delle tendenze, delle possibilità e degli obiettivi che l'innovazione presenta su un dato territorio. Poiché ciascun territorio ha qualche speciale predisposizione, ossia una determinata volontà di caratterizzarsi in taluni e non altri termini. Il Css ha portato avanti questa linea di ricerca, realizzata prima con la pubblicazione del Libro bianco Tendenze e politiche dello sviluppo locale in Italia (Marsilio, 2005) a conclusione dei lavori dell'omonima Commissione di studio coordinata da Arnaldo Bagnasco e Carlo Trigilia; e più di recente, nell'ambito di un'autonoma linea di riflessione, con la pubblicazione del Libro bianco per il Nord Ovest. Dall'economia della manifattura all'economia della conoscenza, nel quale è presentato il lavoro della Com-
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missione di studio coordinata da Angelo Pichierri e Giuseppe Berta. Naturalmente, riflettere sull'economia e sul territorio impone una ricerca preliminare su che cosa è il territorio. In particolare, osserva Sergio Ristuccia, bisogna chiedersi fino a che punto il territorio costituisca un fattore di spinta nei processi e nelle pratiche reali dell'innovazione, soprattutto nel momento in cui si verificano radicali ed ampi fenomeni di dematerializzazione e di trasformazione del villaggio fisico in villaggio globale. La letteratura in materia ha decretato la marginalizzazione - quando non la fine - del territorio in relazione alla sua capacità di valere quale fattore dello sviluppo. Non così pensa il Consiglio, che di contro ha maturato la convinzione secondo cui il territorio è tuttora da considerare, a tutti gli effetti, un "dispositivo" fondamentale come fattore di sviluppo e generatore di plusvalore. Il territorio è un sistema cognitivo che, come rilevato anche nel Libro bianco sul Nordovest, alimenta un insieme di conoscenze, talvolta implicite, che gli attori del territorio sono sollecitati a far risaltare e a mettere in comune per favorire lo sviluppo economico. Anche in chiave propria di trasferimento tecnologico.
Taking The European Knowledge Society Seriously Uno strumento irrinunciabile - e siamo così alla seconda via di superamento dei circoli viziosi della retorica dell'innovazione - è, secondo Ristuccia, il disegno di itinerari precisi da seguire in ciascuno dei molteplici campi dell'innovazione. In tal modo, è possibile agevolare, anche attraverso l'apporto interdisciplinare delle scienze sociali, il raggiungimento di obiettivi identificabili. Fino ad entrare nell'ambito dell"innovazione distribuita" intesa come processo all'interno del quale portatori eterogenei di pezzi di conoscenza interagiscono tra loro per fini precis1 4, con tutte le implicazioni e criticità, spesso trascurate, se non vere e proprie conflittualità, che ne possono derivare. Si pensi, ad esempio, al tema assai complesso dei diritti di proprietà, che coinvolge moltissimi settori: non solo le tecnologie di tipo informatico così fortemente caratterizzate da elementi materiali, ma anche le tecnologie a prevalenza di elementi immateriali. Riportiamo, dunque, i passaggi delle testimonianze di queste "vie d'uscita": la centralità dell'elemento territoriale e della rete, e dell'aspetto culturale per favorire l'inclusione e la comunicazione tra soggetti diversi. 37
'TARE RETE": ATTIVARE SINERGIE SUL TERRITORIO
Un aspetto fondamentale del processo tecnologico, che coinvolge anche i decisori politici, è mettere in relazione i diversi attori presenti sui territorio, cioè collegare il sistema formativo e dei centri di ricerca con il mondo dell'industria Impresa tutt'altro che facile, tuttavià non impossibile. Come testimoniano alcune buone pratiche locali. Tom De Alessandri, vice Sindaco di Torino, è ottimista: "Il trasferimento tecnologico non è affatto un tema molto invocato e poco praticato: se c'è la volontà delle parti, esso è concretamente realizzabile. Tuttavia, occorre sottolineare che non si tratta di un tema valido per una stagione, per un certo periodo, limitatamente ad una fase di crisi: se sul piano politico si decide di affrontare il tema del trasferimento tecnologico, allora è necessario mantenere una continuità di azione, che tenga conto anche dei cambiamenti e delle evoluzioni che si verificano sul territorio. È poi necessario, quando occorre, avere il coraggio di rivedere le scelte iniziali, o anche solo correggerle, anche e soprattutto in termini di finanziamenti (quelli europei in primo luogo), ed in termini di risorse da destinare a progetti di lungo periodo che presuppongono anche il ripensamento degli interventi piui strategici per il territorio. Come sta facendo la Regione Piemonte, insieme agli altri attori locali, l'intenzione deve essere quella di dedicare maggiori risorse e spazi alla dimensione tecnologica, gestendo l'uso dei fondi europei nella logica di condivisione di un percorso di lungo periodo e di promozione di azioni concrete. Torino è quindi l'esempio di quanto sia essenziale interpellare il proprio territorio e mettere in atto tempestivamente le opportune correzioni di rotta. Per fare questo, l'attenzione politica alle questioni che via via emergono deve essere mantenuta alta e costante. Anche grazie all'apporto ed alla collaborazione di un insieme di soggetti la cui partecipazione è strategica per il successo degli interventi: "Riuscire a dialogare, riuscire a mettere insieme attori pubblici e privati, contesti di ricerca, contesti formativi e contesti industriali - ripete De Alessandri - non è solo argomento di discussione convegnistica. E una realtà che prende forma giorno per gior-
Territorio e globalizzazione: il veloce mangia il lento Antonio Strumia, Managing Director dell'Istituto Superiore Mario Boella, illustra sinteticamente l'esempio torinese, ricordando lo scenario 38
che fa da sfondo, ossia quello di un mondo in cui Paesi emergenti (tra tutti, la Cina) stanno guidano lo sviluppo mondiale. Ciò rappresenta una minaccia ma anche un'opportunità. In questi Paesi si registra una crescita del PIL di oltre il 10%, molto più alta di quella europea (nell'ordine del 2-3%). C'è ovviamente una grande differenza tra il costo del lavoro delle due aree, che qualifica la Cina come "fabbrica del mondo". L'innovazione tecnologica è pertanto importante perché il ciclo di vita dei prodotti è sempre più breve. Lo vediamo dal fatto che viviamo in un'epoca di "iperscelta" dei prodotti e di fornitori di prodotti: i mercati. sono pressoché saturi. E il contesto industriale è ormai pienamente knowlege intensive. Pasquale Pistorio, presidente onorario di ST Microelectronics e di Telecom Italia, ha così descritto il cambio di paradigma che interessa il mondo di fronte a questo scenario: "Oggi non è più il grande che mangia il piccolo, ma il veloce che mangia il lento ' L'industria evolve verso aziende globali, e anche le professioni vanno in questo senso. A Torino ci sono realtà come Motorola che sviluppa il software 24 ore al giorno, grazie ai propri partner mondiali (concluso il lavoro a Torino, comincia quello negli USA, poi in Giappone e poi di nuovo a Torino). L'IBM ha raggiunto cinquantamila impiegati in India. È in atto una trasformazione epocale dell'industria: non vi sono più multinazionali, ma aziende globali che trasferiscono in altri parti del mondo intere fasi della produzione, e non più solo le classiche parti produttive e commerciali, dove è competitivo essere, ma anche quelle di knowledge nelle aree di eccellenza. Un fenomeno a tutti noto è quello di "Second 107 (è emblematico che il Presidente dell'IBM ha tenuto un suo discorso dal vivo e, contemporaneamente, su "Second lzfe"). In contrapposizione a questi casi di successo, vi sono casi di aziende che non hanno saputo imboccare la strada dell'innovazione. La Kodak è in grave crisi perché non ha saputo vedere in tempo quanto la digitalizzazione avrebbe eroso il suo mercato principale. Gli stessi produttori di macchine fotografiche digitali, oggi, sono minacciati dall'evoluzione dei telefoni cellulari.
La trasformazione di Torino Che cosa ha fatto Torino? Dopo aver passato dieci anni di travaglio si è saputa trasformare profondamente, più di quanto sia percepito all'esterno. Torino ha quattro settori industriali, tutti a forte intensità tecnologi39
Ca: a) l'automobile, i settori correlati e la componentistica; b) I'IcT, con novantamila addetti (il secondo più importante d'Italia); c) I'aerospazio, da sempre è un settore trainante; d) la robotica: a Torino sono nate molte aziende, come "Prima Industrie" che conta circa mille addetti ed esporta il 90% dei propri prodotti di altissima tecnologia. Sono tornati ad essere molto attivi, inoltre, una serie di centri di ricerca, le università - fra tutte, il Politecnico - il Centro Ricerche Fiat, il Centro Ricerche Telecom, Motorola, ed altre strutture. Si rileva, dunque, una densità enorme di centri di ricerca. Ovviamente, la relazione tra centri di ricerca, innovazione e competitività è difficile da cementare ma il Piemonte, con il suo 2% del PIL destinato alla ricerca, viaggia molto più spedita delle altre Regioni italiane verso gli obiettivi di Lisbona. Ciò grazie anche al modello distrettuale che si è scelto come leva evolutiva, sull'esempio di altri distretti come la Silicon Valtey e la Route 128 (basata sull'attività del MIT), Innopoti (ad Helsinki), la Silicon Wedi (a Tel Aviv), il Cambridge Network (a Cambridge). A Torino si sta passando dalla ricerca applicata ad un modello di sviluppo che si accelera anche attraverso gli incubatori (essenzialmente quello del Politecnico di Torino che, nel 2004, è stato eletto il miglior incubatore al mondo) ed i fondi di venture capital di recente costituzione. Da quest'anno undici società di venture capital che mettono insieme un miliardo di euro di capitali sono ospitati presso la cittadella del Politecnico. Le imprese piemontesi nate dallo sfruttamento della ricerca sono cinquanta e trenta sono state ospitate all'interno dell'incubatore che applica criteri di selezione molto rigorosi dei progetti d'azienda: su centosessanta iniziative presentate, ne sono state selezionate solo dieci. Questa selezione molto rigorosa aiuta, però, il venture capitata rischiare di meno. C'è poi l'Istituto Superiore Mario Boelta (IsMB) che è nato nel 2000 proprio per spinta di quegli organismi che hanno promosso la trasformazione dell'area torinese. In particolare, la Compagnia di San Paolo ha contribuito in maniera fondamentale alla costituzione dell'IsMB, così come di altre iniziative in area hi-tech, comprendendo tempestivamente quanto fosse importante l'innovazione e I'ICT per Torino. Anche la Fondazione Torino Wireless è nata in quegli anni per fare da collante e da propulsore della "nuova imprenditoria". Una spinta importante alla costituzione dell'ISMB è anche arrivata dalle aziende che si sono poi unite alla compagine dell'Istituto come Motorola, STM, Telecom Italia e, da ultimo, il Gruppo Si (oltre, come detto, alla Compagnia e al Politecnico di Torino). 40
L'ISMB, in particolare, offre la possibilità all'Università e all'industria di cooperare in una struttura molto snella e flessibile. Ad oggi, nell'istituto operano duecentotrenta ricercatori specializzati in poche aree di ricerca, afferenti alla wireless technology, che possono avere applicazioni importanti. I ricercatori dell'Istituto hanno il compito di fare ricerca applicata in collaborazione con l'università e l'industria. I ricercatori del Politecnico, infatti, apportano il contributo fondamentale di conoscenza di base avanzata, che incontra nell'Istituto quella dei ricercatori industriali. È di fatto una modalità di trasferimento tecnologico che avviene all'interno dei laboratori dell'Istituto, in cui lavorano insieme le tre componenti del sistema. Ciò permette non solo di arrivare al "prototipo" dei laboratori di ricerca, ma anche ad un prototipo in gran parte industrializzato. Questo consente al partner industriale coinvolto di innovarsi o di apportare innovazione in tempi molto più rapidi. L'IsMB in questi anni è cresciuto, attivando relazioni con ricercatori americani e cinesi. Ma è, in generale, rilevante lo sforzo di tutta l'area torinese di stringere sinergie tra i vari centri di ricerca del territorio e Torino 'Wireless. La gestione dell'Istituto è ispirata a criteri privatistici. Ciò ha permesso di raggiungere buoni rendimenti economici, di non accumulare debiti e di avere un'efficienza interna molto elevata.
Oltre la collaborazione con il territorio: Unioncamere Piemonte e la rete IRC Un aspetto del trasferimento tecnologico spesso trascurato ha a che vedere con le relative valenze extra regionali ed extra nazionali, a partire dall'azione comunitaria di promozione degli interventi per la ricerca scientifica e per il trasferimento tecnologico. Marco Mangiantini di Unioncamere Piemonte interviene sul tema. Il sistema camerale piemontese ha un ruolo rilevante nell'ambito delle politiche per l'innovazione ed il trasferimento tecnologico perché è un mezzo di collegamento tra diversi attori del territorio regionale. I risultati dell'impegno della Regione Piemonte sono resi evidenti dalle specifiche iniziative promosse: il progetto Nanomat per la sperimentazione di materiali innovativi; l'Industrial Liasons Office avviato un anno fa; la promulgazione della legge regionale per la ricerca. La Camera di commercio, inoltre, possiede partecipazioni ad enti regionali come l'Environment 41
Park, il Bioindustry Park, la Fondazione Torino Wireless, l'incubatore di impresa del Politecnico di Thrino. La Camera di commercio promuove anche numerosi studi e la partecipazione ai bandi dei Programmi quadro comunitari. Unioncamere Piemonte, come Ente pubblico, ha una propria prospettiva nella promozione delle iniziative di trasferimento tecnologico, orientata alle piccole e medie imprese. Unioncamere Piemonte si confronta con le aziende e collabora con tutti i principali attori del territorio, anche mediante appositi sportelli regionali per la promozione di progetti comunitari di trasferimento tecnologico. A tal fine, essa partecipa alla rete degli Innovation Relay Centres (IRc), la rete più estesa al mondo finalizzata a promuovere la cooperazione tecnologica europea tra imprese, università e centri di ricerca. La rete IRC ha una valenza geografica ampia: si estende praticamente in tutta Europa, comprende anche il Cile ed Israele, ed è composta da organismi di vario tipo. Per quanto riguarda l'Italia, fanno parte della rete, oltre al sistema camerale, soggetti quali i parchi tecnologici ed enti di ricerca come l'ENEA e il CNR. Una diversità di questo tipo comporta efficienze ed anche inefficienze, ed i risultati vanno valutati non in termini assoluti, bensì in funzione di ciò che si vuole ottenere. La missione, per l'appunto, è favorire la cooperazione tecnologica, senza porsi come vincolo il raggiungimento di un livello di eccellenza tecnologica; pertanto, l'obiettivo è quello di favorire il trasferimento di conoscenza, anche non pienamente sviluppata, così come le tecnologie che possono derivare, ad esempio, dalla ricerca universitaria. Il ruolo di Unioncamere in tal senso copre diverse funzioni: l'analisi del territorio; l'identificazione delle opportunità tecnologiche; l'impiego di strumenti mediali di diffusione e sensibilizzazione web, mailshot, Automatic Matching tool, pubblicazioni, poster sessions, newsletters, la promozione di iniziative "porta a porta", di partenariati tecnologici e di rapporti di cooperazione tecnologica; l'organizzazione di convegni e workshop. L'attività camerale è misurata dall'Unione europea sulla base degli accordi firmati da coloro i quali hanno fatto uso del servizio camerale, anche sul piano finanziario. Ad esempio, nell'ultimo anno, l'IRC ha generato circa seicento accordi di trasferimento tecnologico, con un ritorno di un euro a tre sull'investimento fatto. Vi sono differenti categorie di accordi, più o meno stringenti, ma tutte significative per le imprese che li hanno siglati. Tra i risultati raggiunti da questa attività si annoverano per lo più 42
accordi commerciali e di assistenza tecnica e, in misura minore joint ventures, licencing agreements e manufacturing agreements. Buoni risultati sono stati ottenuti anche in ambito di integrazione della politica regionale, orientata a creare i presupposti di crescita per il territorio, a sostenere prospettive di sviluppo allargato delle politiche europee e di creazione di un'infrastruttura condivisa e coordinata perché i vari interventi territoriali siano efficaci ed efficienti. La politica europea ha un ruolo importante in termini di indirizzi. Fino a qualche anno fa, non vi era un approccio di "dimensione europea", ma ora le cose sono cambiate. Le esigenze del territorio piemontese in termini di obiettivi di sviluppo si rifanno all'integrazione a livello europeo e locale così come fissato dalla legge regionale sulla ricerca e perseguito mediante apposite azioni di finanziamento. La legge regionale ha infatti risposto in maniera forte all'esigenza di allargare i confini del territorio. Per il futuro, occorrerà proseguire negli impegni assunti (la Camera di commercio di Torino sarà il coordinatore dell'IRC piemontese per il trasferimento tecnologico fino al 2013) e cogliere le nuove opportunità contenute nella finanziaria regionale. Una nuova struttura vedrà l'avvio per sviluppare le linee d'azione della ricerca per integrare le politiche europee con quelle regionali. La collaborazione con il territorio, dunque, è possibile, ma l'integrazione ed il confronto con l'apparato esterno di risorse non va dato per scontato.
Area Science Park di Trieste: intermediazione per lo sviluppo e la promozione del territorio Paolo Cattapan descrive l'attività dell'Area Science Park di Trieste, un parco tecnologico che coordina un network di ottantacinque centri di ricerca e duemila ricercatori. L'Asp gestisce un budget di due milioni di euro ed ha uno staff di centoventi persone. Cattapan lo presenta come un centro di intermediazione tra la domanda e l'offerta territoriale di trasferimento tecnologico, cui l'Area apporta un valore aggiunto, in termini di interventi ad ampio raggio. L'Area Science Park è un ente di ricerca che, quindi, non fa direttamente ricerca (i suoi collaboratori hanno una cultura universitaria peculiare, con specializzazione in corsi di management dell'innovazione, e non necessariamente specializzazioni tecniche) ed ha come missione storica (persegui43
ta inizialmente dall'ingegnere Mirano Sancin), lo sviluppo del Parco Scientifico e Tecnologico e la contribuzione allo sviluppo socio-economico regionale tramite l'innovazione ed il trasferimento tecnologico. La sua attività si colloca in un ambiente estremamente favorevole, che gli ha consentito di diventare un piccolo modello di sistema sviluppatosi grazie ad un insieme di fattori sociali ed economici. Il Parco di Trieste è multisettoriale opera nei settori del biotech, dei materiali, dei sincrotroni e dell'ICT. Per promuovere questi settori il PsT ha attivato diversi progetti e servizi: nel 1996-97 è stato avviato il primo progetto "Novimpresa", con la missione di "fare l'innovazione tecnologica" che è alla base dell'obiettivo 2 dell'Unione Europea. Il progetto "Novimpresa" ha cercato di interpretare l'esperienza in ambito industriale, della consulenza, dell'imprenditorialità privata, ed ha cercato di colmare il gap tra domanda e offerta nella prospettiva sia dell'impresa che dell'ente di ricerca. Il progetto ha generato una serie di iniziative. Tra queste, dal 2001, c'è il servizio "PatLib" (su scala regionale). Nello stesso periodo, è iniziata la partecipazione al progetto europeo "Quasi e", volto alla creazione di imprese di "primo miglio". È stato poi avviato un progetto finanziato dalla Regione, per la creazione di un sistema permanente per trasferire la ricerca al mercato e, in particolare, per avviare un processo culturale sui temi della brevettabilità, protezione, utilizzo e sfruttamento della ricerca. Generando diversi risultati: cessioni di brevetto, partnership, creazione di spin-offi rafforzamento della credibilità dell'Area stessa. Un'altra importante operazione che ha modificato radicalmente l'approccio al tema del trasferimento tecnologico è "InnovationLab" che prevede l'attivazione di una serie di centri di competenza sul territorio: non si tratta di centri di promozione tecnica, ma di centri per la promozione e la comunicazione della domanda di innovazione, cui in genere non si attribuisce sufficiente attenzione. L'Area ha poi promosso anche piccoli programmi di innovazione, con budget estremamente modesti, ma semplici da utilizzare per le imprese interessate. Riguardo al tema del venture capital, aggiunge Cattapan, in Italia non vi è propriamente un problema di mancanza di risorse finanziarie. Mancano piuttosto "incubatori di primo miglio", quelli che gli americani chiamano "i ponti sulla death valley" che permettono ai progetti avviati di strutturarsi. Molti imprenditori fanno ricorso al love money per finanziare le pro44
prie idee, ma sono "pratiche da bricolage" non sempre utili per passare dal business dream al businessplan. L'Area ha quindi avviato una notevole attività di networking a favore delle imprese, ed oltre cento interventi di promozione dell'innovazione, nonché un incubatore di primo miglio che ospita e che assiste tre imprese del settore biotech, dell'informatica e del trattamento di immagini ed una di sistemi di rating. Nell'Area Science Park vi è un Innovation Campus che è la scuola dell'Area. I risultati ottenuti in questa scuola sono legati alla qualità delle persone che vi lavorano. Nell'ambito di questa iniziativa è partito, da ultimo, un progetto di interscambio tra ricerca ed imprese sulla "domotica" per utilizzare sistemi di cross con tamination tecnologica al fine di sviluppare la "robotica", la "trenotica", l'automazione e le funzioni per il controllo dell'energia in ambienti produttivi.
La Regione Puglia verso l'economia della conoscenza Adriana Agrimi dell'Agenzia Regionale per la Tecnologia e l'Innovazione della Regione Puglia (ARTI) racconta come, nel caso della Regione Puglia, l'aspetto dei "comportamenti" sia centrale nel "modello distrettuale". Nell'ambito del distretto della meccatronica, ad esempio, tre grandi imprese avevano storicamente uno scarso rapporto con il territorio e l'Università, cosa che ha rallentato il processo di formazione del distretto. Il processo di nascita della società consortile tra i diversi soggetti del territorio, di conseguenza, è durato un anno e mezzo per via delle difficoltà di trovare punti d'incontro addirittura nella condivisione degli obiettivi strategici e di ricerca del distretto, oltre che sugli aspetti più prettamente finanziari. Riguardo l'Aim vi è da dire che si tratta di un ente pubblico giovane che ha bisogno di confrontarsi con realtà più consolidate. Il punto di vista è differente rispetto alle altre esperienze finora presentate, essendo quello di un ente di supporto ai policy makers che, come quelli di tutte le altre Regioni, si confrontano con la transizione da un'economia tradizionale ad un'economia della conoscenza. La sfida più grande, per la Puglia, è proprio quella di fare delle scelte che consentano il passaggio da un'economia "a sviluppo intermedio" ad una basata sulla conoscenza. È una fase rischiosa e questo atto di programmazione deve essere percepito come strategico perché determinerà il futuro della Regione. Il "sistema innovativo" regionale di riferimento è molto piccolo. Se si 45
confrontano i dati di spesa e sui personale pugliese con quelli di altre Regioni del sud Italia, le proporzioni sono significativamente basse. In questo quadro, le cinque università (di cui quattro pubbliche) sono il motore del sistema innovativo regionale ed esprimono varie eccellenze (Bari è la prima università italiana per le scienze fisiche e per le scienze degli alimenti). Si sta assistendo, inoltre, alla nascita di sempre pii nuove imprese e spin-offi Una delle prime iniziative promosse attraverso le politiche per l'innovazione regionale è stata la realizzazione della "mappa delle competenze" per capire in quali ambiti tematici risiedano le eccellenze pugliesi. Sono state identificate tre aree: a) le biotecnologie; b) I'ICT e l'alta tecnologia; c) la meccatronica. Quello pugliese è un sistema anche poco organizzato: uno dei punti su cui occorre lavorare è puntare a favorire la collaborazione tra le istituzioni, puntando sulle eccellenze nella dimensione europea. Importanti, a tal fine, sono le opportunità offerte dalle azioni di collegamento con lo Spazio Europeo della ricerca ed il VJI Programma quadro. Per promuovere il sistema regionale sono state individuate tre tipologie di iniziative. La prima muove dalla presa d'atto che l'innovazione sia un "processo sociale". E come tale, per determinare nuovi comportamenti. Quindi, si ha bisogno di iniziative esemplari di diffusione della cultura dell'innovazione. Una seconda attività è il rafforzamento dei singoli attori e del loro collegamento. Infine, occorre individuare le masse critiche delle competenze delle fihiere tecnologiche su cui puntare. Se si considera l'innovazione come una catena o filiera, non ci si deve concentrare esclusivamente sul rapporto tra scienza ed innovazione, che pur è importante (e su cui sono in cantiere iniziative per creare apposite interfacce), ma si deve considerare adeguatamente anche l'alta formazione. L'intervento dell'Agenzia regionale si caratterizza per il tentativo di creare masse critiche utilizzando il modello dei distretti tecnologici, ancora diffuso in Europa e soprattutto in Italia. Si sta perseguendo tale modello non in maniera pedissequa, ma a seconda delle caratteristiche tecnologiche regionali. In Puglia sono presenti tre distretti. Il primo è quello sull'hi-tech, che si basa sul modello di attrazione d'investimento e delle competenze internazionali che risiedono nel centro di nanotecnologia, diretto dal prof. Cingolani dell'Università di Lecce; l'altro distretto è basato sulle piccole e medie imprese del settore agroalimentare, senz'altro 46
uno dei settori di forza della Regione; infine vi è il distretto della meccatronica, di cui fanno parte grandi imprese come la Bosch ed imprese piccole e medie. Un altro intervento importante che è stato promosso è la creazione ed il rafforzamento dei cinque Industrial Liason Offices (ILo) delle università pugliesi. Il rafforzamento e la messa in rete degli ILO è il punto di partenza ed il presupposto su cui si è puntato per migliorare anche gli altri interventi di mediazione e valorizzazione economica dei saperi tecnici e scientifici (come la gemmazione di imprese per spin-off e la brevettazione). Tale approccio, in particolare, è basato sulla centralità delle università ed una forte ripartizione dei ruoli per creare una filiera nell'interfaccia ricerca-industria. L'obiettivo è rendere la rete indipendente dal sostegno regionale e renderla sostenibile nel tempo. Il modello di trasferimento tecnologico si basa, dunque, sul forte ruolo della proprietà industriale, ma altrettanta enfasi ed importanza è data alla promozione degli spin-offi Uno degli obiettivi dell'ARTI è quello di implementare il progetto di costituzione di una piattaforma regionale che deve condividere strumenti operativi flessibili. Un altro obiettivo è quello di creare competenze omogenee specifiche delle persone che lavorano negli uffici di trasferimento tecnologico, ma anche di sensibilizzare fortemente i ricercatori universitari e gli enti pubblici pugliesi. La sensibilizzazione tende ad incidere positivamente sul mondo dell'accademia e sulla dimensione culturale già sottolineata. Infine, vanno citati alcuni strumenti specifici per fare leva sull'interesse e la capacità creativa ed imprenditoriale dei ricercatori. Da un lato vi è il voucher per il rimborso delle elevate spese della brevettazione nazionale, europea ed internazionale che spesso scoraggiano la registrazione delle conoscenze tecnologiche. Sul fronte della creazione di nuova impresa, si cercherà di mettere in competizione i businessplan di idee per la creazione di spin-offi La Regione Puglia ha già una propria "Start-cup", ma accanto a questa iniziativa si è scelto di erogare una parte delle disponibilità finanziarie dei premi (600 mila euro) in servizi professionali di valutazione dei progetti di spin-offi Il progetto è stato appena avviato. Oltre a queste iniziative, l'Agenzia sta valutando la possibilità di costituire un fondo di seed capital, gestito da privati e in parte cofinanziato dalla Regione, per riuscire a completare quell'azione che va dal supporto all'idea alla costituzione di spin-offi 47
TWG Lab e l'organizzazione del nuovo modello d'impresa in forma
di essere vivente Un altro esempio di intermediazione efficace è dato da Paolo Zanenga, Presidente dell'Area Southern Europe di PDvIA, il quale ha promosso TWG Lab (la "T" e la "W" si riferiscono a The Third Wave di Alvin Toffler). TWG Lab è una struttura di accelerazione e di supporto dei territori e delle imprese. Può essere definita un progetto unico per favorire l'innovazione. È dimostrabile che le aziende che fanno innovazione radicale generano tassi di redditività alti, ma è necessario anche un cambiamento dei contesti organizzativi. A tal proposito, si può affermare che le imprese "tradizionali" adottano un modello organizzativo che attinge risorse dall'esterno per concentrarle in un sistema meccanicistico finalizzato alla produzione di prodotti: è la logica push delle imprese cd. "allopoietiche". Oggi si può pensare ad un'impresa "autopoietica" che ha un suo pattern, un modello cognitivo caratteristico che la distingue dalle altre, e che usa per proporre un ecosistema di interazioni per riprodurre la propria conoscenza, in maniera più evoluta e che si propaga e cresce più come un albero (propensa verso l'esterno) che non nella struttura interna. E il modello dell'essere vivente. Il TWG Lab è, dunque, un'infrastruttura economica di nuovo tipo progettata ex novo per far funzionare i processi di innovazione nei casi in cui le imprese partner richiedano risorse, marketing, tecnologie, know how di nuovo tipo, sicuramente diversi da quelli accessibili generalmente dalle aziende industriali. È del resto un'infrastruttura funzionale a queste aziende che, se volessero dotarsi di strutture interne di questo tipo, incorrerebbero in tempi estremamente lunghi, investimenti elevati, crisi di identità, resistenze interne forti, stress, disorientamento del proprio personale e, dunque, alte probabilità di insuccesso. Il fine è quello di superare il modello di "Agenzia" che mette in contatto ricerca ed impresa, e di svolgere attività con elevato valore aggiunto, di intermediazione ed integrazione di competenze e di strumenti. Tale attività funzionale alla trasformazione di idee in business genera un ritorno finanziario elevatissimo. Normalmente, nei laboratori di ricerca, il valore finanziario applicabile all'idea è ancora basso, mentre è più alto se concorre ad alimentare le conoscenze di appositi team, di laboratori fisici con delle strutture estremamente leggere, facenti uso intensivo di tecnologie, technological walls per lavorare in ambienti collaborativi, ma anche in mo48
do virtuale ed aperto all'esterno, mediante interfacce intelligenti e sistemi di accesso al "web semantico" per facilitare interazioni vincenti sul lato della tecnologia, della società, dei mercati della finanza. È un modo per attivare "extended enterprises", uomini che lavorano su progetti, clienti! users e fornitori che diventano collaboratori strategici. Si tratta non solo di creare uno strumento per favorire un avanzamento tecnologico, ma per creare un nuovo modello di impresa e di creazione della ricchezza, su un default industriale
Economia della conoscenza, imprenditorialità e blue oceans L'economia della conoscenza - secondo Zanenga - dovrebbe favorire le piccole e medie imprese, se non le micro aziende e le imprese individuali, nel momento in cui costituiscono contesti di rete. Contesti di opportunità aperte, in cui si realizza quella che gli esperti di strategia contemporanea definiscono "la competizione asimmetrica", ossia quella concorrenza che una piccola impresa può fare ad una grande se sa usare bene le proprie reti, la propria conoscenza e quella degli altri. Questi sono con, " ," e della disruptive strategy , secondo i cetti propri dell open nnovation,, cui l'innovazione e la competitività non va portata in settori consolidati ma in settori nuovi. Tra le varie interpretazioni di questo concetto, ve ne è una che è stata efficacemente divulgata, ed è contenuta nel libro di W. Chan Kim e Renee Mauborgne Blue Ocean Strategy. Il volume esprime il concetto di strategia blue ocean, ossia quella di andare a cercare i "mari blu" piuttosto che i "bagni di sangue". .
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IL TERRITORIO E LE CONDIZIONI DI CONTESTO FAVOREVOLI ALLO SPIRITO IMPRENDITORIALE
Jan E. Bandera, della Steinbeis Stfiung, presenta il modello di trasferimento tecnologico realizzato in Germania. Un'esperienza di successo che, da oltre vent'anni risponde a numerosi problemi ricorrenti nell'ambito del trasferimento tecnologico. In che modo Steinbeis si occupa di trasferimento tecnologico? Da un lato, vi sono molte idee e tecnologie sviluppate nelle università e negli enti di ricerca che possono essere trasferite, dall'altro lato, ci sono i problemi delle imprese che potrebbero essere utilmente risolti ricorrendo 49
alle competenze delle università. Spesso manca un collegamento tra i due versanti, affinché il processo del trasferimento tecnologico funzioni. Steinbeis opera come canale organizzativo del trasferimento tecnologico. L'esistenza di condizioni politico-economiche appropriate non è di per sé un fattore decisivo, ma certamente lo diventa quando si tratta di operare come Steinbeis. Il contesto, dunque.
La mappa del trasferimento tecnologico by Steinbeis Stfiung È utilissimo illustrare la cornice in cui è nata l'esperienza tedesca, ovvero alcuni aspetti specifici dell'area Baden-Wuttemberg in cui si colloca la storia della Steinbefr situata nel Sud Ovest della Germania, l'area vanta una concentrazione in loco di istituzioni di ricerca universitaria in senso classico, nonché di università delle scienze applicate e di centri di alta formazione; Ciò, tuttavia, non basta. Il percorso per immettere con successo risultati ed idee sul mercato è infatti ancora troppo lungo. Arriviamo alle "ragioni politiche" che hanno favorito la nascita di Steinsbeis Stiftung, che oggi conta quattrocento esperti e società affiliate nella sola area di Baden-Wuttemberg, e settecentosessanta nel mondo. Alla luce della storia e dell'evoluzione della Steinbeis Stifrung, il trasferimento tecnologico può essere rappresentato attraverso tre figure principali: Stato, imprese e conoscenze. Lo Stato è il responsabile delle politiche di investimento, comprese le attività di trasferimento tecnologico, nella misura in cui si occupa dei servizi di contorno per le industrie coinvolte. Esso, quindi, non interviene direttamente, ma ha il compito di fornire le condizioni migliori di realizzazione dei processi. Alla base di conoscenza provvedono università ed enti di ricerca. Infine, l'industria elabora le idee e le immette sul mercato. Il trasferimento tecnologico consiste nelle attività che si realizzano nei processi di queste realtà. Il modo di organizzare questi, scambi determina la configurazione del sistema del trasferimento tecnologico. A questo riguardo, Matteo Bugamelli (Ufficio studi della Banca d'Italia) nota come gran parte del funzionamento del modello market driven di Steinbesis è generato dalla grande quantità di ricerca, sviluppo e domanda di innovazione del territorio in cui è collocata. E si domanda se il modello Steinbeis funzionerebbe in aree più povere dell'Europa.
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Un po' di storia La fondazione prende il nome dal suo celebre promotore, Ferdinand von Steinbeis (1807-1893), il quale più di un secolo fa collaborò con il re di Wilttemberg per promuovere l'economia e l'industria. Uno degli aspetti importanti dell'operato fu l'invenzione del "Sistema duale dell'Educazione", basato sulla convinzione che ogni teoria sia connessa all'esperienza. Da qui origina la vocazione ad una formazione che unisca la riflessione teorica all'applicazione pratica, finalizzata a generare produttività nell'industria. È con questo obiettivo che nel 1972 è stata fondata la Steinbeis Stiftung, una fondazione senza scopo di lucro, trasformata in Srl nel 1998, con l'unità operativa commerciale "Steinbeis Gmbh & Co.Kg". Il vero inizio va però datato 1983, anno in cui il professor Jhoann Lòhn iniziò a promuovere un più stretto collegamento tra le università di scienze applicate e l'industria attraverso specifici servizi di consulenza tecnica. Nel 1990, poi, Steinbeis Stiftung iniziò ad allargare il suo campo di intervento dalla sola area di Stoccarda (in cui vi è la sede centrale) all'intera Germania, per poi coinvolgere, a partire dal 1994, anche le altre Università "generiche". Il compito di "messa a rete" è stato arduo, poiché le Università tendevano a considerare Steinbeis un loro diretto competitore. Tuttavia, la forte volontà del governo di Wiittemberg ha consentito di gestire le risorse del territorio (in primo luogo, la collaborazione accademica) per stimolare competitività. Nel 1998 è stata fondata a Berlino anche la Steinbeis University, guidata dal Liihn fino al 2004, quando gli è succeduto Heinz Trasch. La scelta risponde al bisogno di valorizzare anche la formazione di tipo duale: dedicata sia alla teoria che alla pratica. La Steinbeis University opera senza alcun finanziamento pubblico "a pioggia" o sponsor. Ciò perchè il rapporto con le imprese è definito nell'ambito di servizi specifici. Steinbeis Stifrung riesce ad operare in questo modo perchè si fa garante del risultato nei confronti dell'impresa, contando sulla motivazione degli studenti a far bene per affermare la propria professionalità nelle imprese con cui sono a contatto diretto. Oltre all'Università di Berlino, la Steinbeis partecipa anche ad imprese spin-offi Oggi Steinbeis Stiftung offre molteplici servizi: attività di consulenza per ogni fase dello sviluppo del trasferimento tecnologico; un'area strategica dedicata alla ricerca ed allo sviluppo; servizi di trasferimento tecnologico internazionale mirati a trasferire all'estero le competenze degli im51
prenditori che operano in Steinbeis, ed anche per mettere a disposizione attività di valutazione quale base per le decisioni politiche locali. Anche il settore pubblico è un importante cliente per i consulenti Steinbeis. In alcuni distretti, gli esperti lavorano nel settore bancario per fornire consulenza agli attori politici in materia di valutazione degli effetti delle politiche sulle imprese. Esistono anche collaborazioni sui programmi di sviluppo regionale: attraverso cd. business card per le agenzie di sviluppo locale, gli organismi politici con delega alle politiche per l'innovazione che si dedicano allo sviluppo locale hanno automaticamente tutti i riferimenti delle sedi locali di Steinbeis alle quali possono rivolgersi. Gli esperti rappresentano un punto di forza strategico per molti amministratori locali nell'attuazione delle loro politiche.
Il modello operativo: un franchising del trasferimento tecnologico Il network della Steinbeis conta numerosi centri di servizi che operano su commessa, attraverso contratti di base; ogni centro è in competizione con altri consulenti o istituti. Si tratta di un network decentralizzato, il che significa che è costituito da organizzazioni, esperti e società affiliate, ognuna delle quali è specializzata in determinate aree. Network decentralizzato significa anche avere una rete di servizi diffusi sul territorio tedesco, vicini ai clienti e non alla sede madre Steinbeis. Questa può essere vista come un centro di servizi per le società affiliate e i liberi professionisti, e non come un vero e proprio vertice. Le competenze del sistema sono di tipo tecnologico ed economico, e sono la risposta alle richieste del mercato, non delle decisioni strategiche prese dalla sede centrale. Steinbeis ha oltre 10 mila clienti l'anno, di cui il 70% è costituito da piccole e medie imprese (nella definizione europea). Lo staffi sui totale di 4.661 consulenti, 870 sono docenti universitari. Steinsbeis agisce, infatti, come piattaforma per favorire il trasferimento tecnologico collegando esperti di diversa specializzazione. Lo staif permanente è costituito da 1.200 persone, cui si sommano altre 3.000 persone che fanno parte del project-based staff. Gran parte del personale non lavora fu-time per Steinbeis. Le entrate dei 2005 sono state pari a 94,9 milioni di euro, senza alcun tipo di finanziamento pubblico.
Inconvenient ideas Bandera ha "inconvenient ideas" riguardo il tipo di trasferimento giudicato più efficace e di cui deve occuparsi Steinbeis: si tratta del trasferi52
mento technology puil, e non technology push. Secondo il modello "push" non sempre i benefici riescono a compensare i costi generati dall'implementazione del trasferimento a causa della naturale distanza tra offerta e domanda, mentre secondo il modello "puil", invece, l'iniziativa, essendo sempre dell'industria, in forma di idee e/o di problemi, assicura automaticamente un mercato. E Steinbeis serve le imprese interpretando i loro bisogni ed assicurando il collegamento con il mondo della ricerca cercando di superare una delle maggiori difficoltà del trasferimento tecnologico: avviare un dialogo tra impresa e ricerca, caratterizzato da distanza culturale, incomprensioni di linguaggio e diffidenza. Il valore aggiunto di Steinbeis sta, infatti, nel "capire il problema del paziente" e a definirlo in termini comprensibili ai ricercatori con competenze specialistiche. Per questo è fondamentale lo "spirito imprenditoriale" dei consulenti che sono spesso freelance ed intraprendono progetti di trasferimento, assumendosi dei rischi a livello privato. Ciò presuppone una forte motivazione tipica della libera professione. Steinsbeis Stiftung si pone quindi come base operativa a disposizione dei consulenti, e si organizza secondo principi di funzionamento simili al franchising l'organizzazione offre il nome, il logo, il know-how, una piattaforma di servizi; i membri e le filiali Steinbesis5 agiscono come imprenditori.
IVlercato, decentralizzazione, risorse e princzpi Quindi, quali principi adottare per svolgere le attività di trasferimento tecnologico? Steinbeis Stiftung, come detto, segue l'approccio technology pullma non esclude di operare anche seguendo l'approccio technologypush, limitatamente a quelle iniziative di cui si sa già che esiste una domanda di mercato. Ciò non accade nella maggioranza dei casi. La prima regola dell'approccio Steinbeis è dunque conoscere il mercato al fine di rendere utilizzabili le competenze disponibili ed affiancare ad ogni cliente un team di esperti per offrire soluzioni olistiche grazie ad un modello operativo "a rete" degli esperti. Estendere il network del trasferimento è nello stesso interesse di ogni impresa. Nel caso di Steinbeis ciò avviene sempre e soltanto secondo le necessità delle imprese e le decisioni dei free-lancer, mai per una decisione presa a monte dalla sede centrale. La decentralizzazione risponde all'esigenza di essere vicini al cliente e soddisfare la sua domanda. Tuttavia, un grande network crea alcuni problemi specifici in termini di 53
fiducia reciproca e rispetto degli obiettivi industriali che sono diversi da quelli accademici (le pubblicazioni). Una possibile soluzione è quella di attribuire valore non solo al curriculum delle pubblicazioni in ambito accademico, bensì anche all'insieme del partner con cui l'esperto ha collaborato, ovvero l'attività di consulenza svolta con successo. Johann Wolfgang von Goethe scrisse: "Simply knowing is not enough, one has to apply his knowledge. Simply wanting is not enough, one has also to act". IL RUOLO DEGLI ENTI DI IUCERCA: DALLE SFIDE DELL'UOMO AL TRASFERIMENTO TECNOLOGICO
Dopo aver parlato dell'esperienza Steinbeis, focalizzata sul technology puil, nel Workshop viene data testimonianza di una serie di esperienze di eccellenza del mondo della ricerca nell'ambito delle quali sono state avviate, pur con difficoltà, iniziative di trasferimento tecnologico.
Istituto Nazionale di Astrofisica: la catena dell'innovazione tecnologica Nazareno Mandolesi rappresenta l'Istituto Nazionale di Astrofìsica (INd): un ente di ricerca che, da qualche anno, sta dedicando importanti sforzi al trasferimento tecnologico. È, infatti, rilevante l'impegno che l'INAF, pur con un ufficio di piccole dimensioni, l'Ufficio innovazione tecnologica (UIT), sta mettendo nel coniugare la ricerca prodotta per studiare l'Universo, con campi applicativi terrestri. Per fare un esempio della contiguità tra i due settori basti pensare che, alla fine degli anni Sessanta, la ricerca condotta nei laboratori astrofisici ha permesso l'invenzione dell'attuale TAC. All'INAF si costruiscono telescopi, macchine di osservazione dei punti più deboli e lontani dello spazio, in tutti gli spettri, dal gamma all'X, all'infrarosso, all'ottico, e così via. Ad esempio, è stato realizzato il corpo centrale del telescopio Galileo, che ha un diametro di 3,5 metri. Oltre ad altri telescopi costruiti in collaborazione con gli USA, il telescopio ESAXNN, il Telescopio per raggi X e gamma. Inoltre, è stato lanciato il primo satellite italiano finanziato dall'Agenzia Spaziale Italiana nell'ambito della missione 'Agile". Frutto di una ricerca iniziata nel 1992, alla fine del 2007 un Telescopio
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di 1,5 metri di diametro (raffreddato quasi allo zero assoluto, ovvero 100 mK di temperatura) sarà lanciato a 1,5 milioni di chilometri dalla Terra per captare la prima luce mai emessa nell'universo trecentomila anni dopo il Big bang. A bordo dei satelliti, inoltre, ci sono altre tecnologie realizzate dalla ricerca astrofisica come il "piano focale" in grado di distinguere temperature di un milionesimo di grado. Volendo definire la "catena dell'innovazione tecnologica" ed i suoi elementi più importanti, si rilevano almeno cinque attività o fattori essenziali: a) la cultura dell'innovazione tecnologica; b) la formazione che nasce nelle università; c) il (difficile) rapporto tra offerta e domanda; d) la società e la sua recettività rispetto alla ricerca; e) i finanziamenti. Qualche dato generale per contestualizzare l'attività dell'IN: il numero degli spin-offitaliani ammonta a 454 (ve ne sono poi altri due che sta lanciando proprio l'INAF). È un numero rilevante ed in crescita, di cui la maggiore componente è quella universitaria. L'IcT è il settore più presente in queste iniziative che sono costituite per lo più da micro imprese a grande impatto tecnologico. Le imprese sono localizzate soprattutto al Nord, molto meno al Sud. L'Emilia Romagna è la Regione che vanta il maggiore numero di spin-offi Nel 2005, quattordici università hanno prodotto da uno a cinque brevetti, e sette università non ne ha prodotto nessuno. In totale sono stati prodotti duecentocinquanta brevetti, per una media di 7,4 per ogni università. IJINAF ha un Ufficio di innovazione tecnologica (UIT) che, nato solamente nel 2005, ha già raggiunto risultati importanti. Sostanzialmente, esso svolge attività di protezione della proprietà intellettuale, di formazione e di management. In questi due anni e mezzo ha attivato diverse collaborazioni con i ricercatori dell'Istituto, grazie ad una distribuzione delle sue sedi sul territorio che consente di coniugare in maniera sinergica le risorse della ricerca con le imprese, promuovendo diverse applicazioni. L'UIT è formato da pochissime persone, con un comitato di Otto membri, di cui cinque interni e tre esterni (uno dell'Unità di valutazione degli investimenti pubblici del ministero dello Sviluppo economico; un altro dell'Università tecnica di Monaco; uno dall'Istituto Italiano di Tecnologie). Tramite l'UIT Si sono realizzati quindici brevetti ed uno spin-offi ed un altro è in corso di attivazione nell'ambito della rilevazione di polveri. Le attività dell'UIT sono cominciate cercando di far lavorare i ricercatori a contatto con l'industria (fino a qualche anno fa si parlava di "ricerca in-
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dustriale"). A tal fine sono stati presentati due bandi - con scarsi fondi, appena centomila euro - per la realizzazione di attività di trasferimento tecnologico in collaborazione con imprese. È stato inoltre avviato, un anno e mezzo fa, un programma per lo sviluppo di progetti di innovazione nel Mezzogiorno cofinanziato dal ministero per lo Sviluppo Economico che ha finanziato un programma (il cofinanziamento dell'INAF è stato di 1,7 milioni di euro). Il programma ha prodotto cinque sottoprogetti: per la rilevazione delle polveri ultrasottili; per le applicazioni del carburo di silicio; nel settore dei CCD, ovvero oggetti che rilevano la luce delle camere ottiche; nel campo dei raggi X; nel settore degli RFID, una nuova tecnologia che sostituirà quella dei codici a barre. Vi è, infine, il progetto "Waterfall", cofinanziato dal ministero dell'Università e della Ricerca, per dieci milioni di euro. È questo un progetto di livello internazionale nel settore dell'ofralmologia per la correzione personalizzata di difetti ottici a cui partecipa, oltre l'IN, anche l'Università di Catania. IJINAF si occuperà dello studio e della misura del "fronte d'onda". È questo un caso interessante di applicazione di tecnologia astrofisica al settore medico che può essere spiegato ricorrendo alla metafora della luce di una stella: quando questa è osservata dall'uomo può sembrare lampeggiante (fenomeno dello scatterin. Ciò in realtà avviene se c'è un movimento di particelle nell'atmosfera. Accade dunque che i fotoni, che arrivano dal cielo tutti nello stesso momento (fronte d'onda), sembrano invece arrivare in tempi differenti, subendo un fenomeno di "accartocciamento". Se, dunque, si vuole rilevare oggetti lontanissimi bisogna modificare il fronte d'onda intervenendo sulla superficie del telescopio con ottiche adattive, che sono componenti comandati da "attuatori" in grado di modificare la loro inclinazione e ricostruire ottimamente le immagini dello spazio. Lo stesso accade per l'occhio umano: la nostra cornea, quando ha dei difetti, non è più perfettamente sferica e sulla base dello stesso principio sopra descritto, si possono costruire lenti intraoculari per correggere il difetto. In generale, nel futuro della ricerca si intravede la costruzione di oggetti pre-ingegnerizzati per applicazioni non astrofisiche che sono così elencabili: a) breadboard per convertire segnali ad altissima frequenza; b) elettroformature a due unità (ve ne sono in Svizzera, USA, Regno Unito e, grazie all'INAJ, che ha trasferito il proprio know how ad un'impresa di Firenze, anche in Italia); c) antenne planari di cui esistono prototipi in via 010
di utilizzazione presso Magneti Marelli; d) un prototipo di camera in banda Ka a 35 Ghz, trasparente al vapore d'acqua, che permette di vedere attraverso nubi o vestiti; e) correzioni di specchi vari/sensori testati a bordo di velivoli per studiare polveri e gas di vario tipo nocivi per la salute; f) specchi precisissimi al carburo di silicio; g) nuove antenne RFID realizzate con inchiostri, per ridurne i costi; h) rilevatori di gas in ambiente ad alta temperatura; i) sistemi Grid in varie località applicate alla sensoristica, come quella per le polveri; 1) tecnologie per la manipolazione delle immagini.
Dal CERN al trasferimento tecnologico: una prospettiva esterna sull'organizzazione dei processi Federico Ferrini, addetto scientifico presso la delegazione di Ginevra e responsabile del trasferimento tecnologico, è un astrofisico teorico dell'università di Pisa, addetto scientifico delegato al CEIU'.i, con l'incarico di riferire agli uffici competenti dei ministeri italiani della Ricerca e degli Affari Esteri sull'attività del CERN. Inevitabile, quindi, il contatto con il tema del trasferimento tecnologico. Al CERN si fa ricerca di base studiando come sono fatte le particelle elementari dell'universo. Il punto è che dalla ricerca fondamentale è più difficile arrivare all'applicazione, ma ci sono almeno due esempi in cui la ricerca fondamentale ha rivoluzionato la vita dell'uomo. Il primo riguarda il "calcolatore": negli anni 1920-1930, alcuni fisici impegnati nella ricerca di alcuni materiali paramagnetici (materiali aventi proprietà che corrispondevano a quelle che erano le algebre booleane) insieme ad alcuni fisici atomici nucleari cercarono di trovare una soluzione per accorciare i, tempi di calcolo del modello dell'atomo o del nucleo. È proprio a partire da questa esigenza di conoscenza di base che furono studiati e realizzati i calcolatori meccanici ed elettrici più efficienti. Il secondo esempio è il World Wide Web che fu inventato nel 1991 nel CERN, con proprie risorse finanziarie, per trasferire una quantità di dati ed informazioni non trasferibili in altra maniera. È un'invenzione che ha sicuramente rivoluzionato la vita dell'uomo. Nel prossimo futuro sarà la tecnologia GiuD a consentire di risolvere i problemi di immagazzinamento di dati (per fare un esempio, se si volessero immettere tutti i dati del CERN in CD-Rom, si arriverebbe ad ottenere una colonna di CD alta venti chilometri.. 57
Il Cij'j non è una struttura di ricerca, bensì finalizzata alla ricerca ed alla costruzione di attrezzature di ricerca. In questo senso, il CERN Si presenta come un centro da cui deve partire il trasferimento tecnologico. Qual è il motore dell'attività del CEP.ì'? Prima di tutto un acceleratore di ventisette chilometri situato a cento metri sotto il suolo, a duecentosettantuno gradi sotto zero: è l'oggetto più freddo dell'universo. E un superconduttore che, a 12 mila ampere con 1200 magneti, accelera i protoni in due tunnel per farli scontrare, per dare risposta alle domande della fisica. La tecnologia che utilizza il CERN nasce proprio su impulso degli obiettivi posti dalla ricerca. Il CElmi collabora con oltre venti Paesi che ne fanno parte e contribuiscono al bilancio. Il CEru' è un vero e proprio laboratorio di ricerca mondiale. Si veda l'esempio degli oggetti per la realizzazione di alcuni esperimenti: si tratta di oggetti dalle dimensioni spaventose, uno di essi pesa 12.500 tonnellate, costituite praticamente di elettronica, sensori, magneti, ed altre tecnologie. Non sono oggetti facili da ideare né da costruire. Queste strutture sofisticate e di produzione industriale così imponente non potevano essere costruite se non ricercando le soluzioni tecnologiche più elevate. La domanda tecnologica del CERN è estremamente avanzata e rappresenta i settori in cui vi è stato maggiore sviluppo tecnologico negli ultimi dieci anni (superconduttori, magneti, criogenia, vuoto, impianti elettrici, controlli, rilevatori, sensori, elettronica, calcolo). Il CEaì'. non ha una struttura industriale in grado di costruire questa infrastruttura ma una struttura di laboratorio, anche se un laboratorio di ingegneria (tre quarti dei suoi ricercatori sono ingegneri e solo un quarto fisici).
L'i mp atto dell'innovazione sulla società: l'Ufficio di trasferimento tecnologico Quali sono, dunque, le altre possibilità tecnologiche che potrebbero essere utilizzate nella società? Il CEru'T, afferma Ferrini, si occupa di "conoscenza" ma anche della virtude, ed è interessato all'impatto della tecnologia sulla società. Questo è un aspetto intrinseco al lavoro del CEru. Nel 1999, il Consiglio ha preso atto di tale necessità e, a cinquant'anni dall'istituzione del CEIu', ha formalmente preso in considerazione il trasferimento tecnologico, fondando nel 2000 l'Ufficio di trasferimento tecnologico. 58
Nell'affermazione del Consiglio sulla formalizzazione del trasferimento tecnologico emerge chiaramente la scelta "politica" che è stata fatta: "Particle physics research requires the development of very sophisticated devices that are not readily available fi'om industry. To meet its research objectives, CERN supports intensive technological developments that stimulate innovation or push existing technologies beyond current industrial capabilities. These developments generate technologies, knowledge 'or know-how that CERN makes available to industry". Il mandato e la funzione dell'Ufficio di trasferimento tecnologico sono chiari: le sue attività consistono innanzitutto nel Technology Assessment, che riguarda la visione interna del laboratorio e l'individuazione delle aree di interesse, grazie al contributo degli ingegneri e dei ricercatori del CERN, così da capire quali sono i settori e le scoperte trasferibili. Vi è poi l'attività di Intellectual Property Protection in cui, oltre a presidiare la componente finanziaria e legale, ci si preoccupa di formulare linee guida per i ricercatori. Il Technology Promotion è un'altra attività che funziona, perché il CERN edita pubblicazioni tecnologiche che permettono a tutte le imprese fornitrici di produrre i componenti che poi andranno a costituire la macchina. Si parla di mille pubblicazioni di tipo tecnologico all'anno. Negli ultimi dieci anni, il CERN ha prodotto un'enorme quantità di pubblicazioni. A tal proposito, ricordiamo che l'organizzazione ha uno staff di tremila e quattrocento persone, di cui il 10% italiane. Il CERN ha predisposto strumenti informatici per gestire l'attività di promozione del trasferimento tecnologico. E stato realizzato un database di centosessanta tecnologie, fruibile da utilizzatori esterni. L'Ufficio attua anche attività di networking con agenti esterni, delegati dalle varie nazioni, tra cui un Industrial Liason Office. Gli strumenti e le iniziative di "comunicazione" funzionano bene, anche perché il CERN dispone di strumenti informatici e software speciali per trattare tutti i database frutto dell'impiego di milioni di componenti per costruire la propria macchina, che possono essere utilizzati anche per altre applicazioni di tipo amministrativo. Tra le altre attività vi è quella di Technology Dissemination che riguarda la fase in cui si collabora maggiormente con l'esterno, sia con laboratori scientifici che vogliono realizzare esperimenti, sia con imprese che vogliono sfruttare la tecnologia del CERN. La strategia con cui il CERN applica il proprio mandato è sostanzial59
mente quella della cessione dei brevetti a soggetti esterni. Ciò, però, non genera vere storie di successo: si contano, infatti, solamente dodici brevetti concessi tramite accordi di licenza. Questi accordi sono stati raggiunti con laboratori e strutture di ricerca (che hanno grosso modo gli stessi interessi del CE11'). È questo il caso più frequente e più semplice. Sono stati raggiunti, anche se in misura minore, accordi anche con le imprese. Ma è questo il caso più difficile da gestire anche per via delle differenze di natura legale che si presentano tra i venti Paesi aderenti al CERN.
Parte dell'attività del CERN viene svolta, inoltre, mediante collaborazioni con l'industria esterna al mondo della fisica delle particelle elementari. A tal fine vi è un technological advisory board che analizza, caso per caso, la possibilità di utilizzare risorse interne ed esterne. Riguardo ai risultati in termini di start-up e spin-offi finora ne sono state create solo quattro. Gli aspetti di maggiore efficienza riguardano le collaborazioni attivate nell'ambito dell'attività di sperimentazione. Innanzitutto, si è passati da un'organizzazione di duecento personè ad una di circa mille persone, con personale proveniente da tutti i Paesi europei per svolgere attività di progettazione, costruzione e mantenimento della produzione delle installazioni permanenti e le infrastrutture del CERN, mediante la collaborazione con le imprese appaltatrici della costruzione dei pezzi necessari per l'assemblaggio della macchina. La costruzione ed il mantenimento della macchina acceleratrice, ad esempio, ha voluto un impegno di circa ottocento persone. Questa attività ha avuto una forte ricaduta in termini di training e di successiva occupazione, poiché tutto il personale che vi ha lavorato per sei-sette anni ha poi trovato un impiego nel mondo dell'industria che collaborava con il CERN. Riguardo all'aspetto della formazione, il CERN bandisce concorsi di tecnologie per giovani ricercatori e promuove programmi formativi ad hoc per ingegneri (promuove, ad esempio, il programma Delphi). In Italia vi è una sola organizzazione che aderisce a tale programma formativo: l'Associazione per lo sviluppo scientifico e tecnologico del Piemonte che, nata nel 1998, negli ultimi dodici anni ha favorito la formazione di trentuno ingegneri presso il CERN, attivando borse della durata di uno-tre anni. Un'altra modalità attraverso cui viene favorito il trasferimento tecnologico è quella delle collaborazioni con le imprese dei Paesi membri che costruiscono parte dei componenti commissionati dal CERN. Nel biennio 2004-200 5, le imprese italiane hanno ottenuto contratti per circa 8 5-90 60
milioni di euro, superiori alla quota del contributo italiano al CEru'i (75 milioni). Da un'indagine sui ritorni delle collaborazioni con il CEiu'i condotta su un campione del 25% delle imprese contraenti, emerge che il 38% di tali imprese, negli ultimi dieci anni, ha sviluppato nuovi prodotti, ha creato gruppi interni di R&D, ha aperto nuove business unit, si è aperta a nuovi mercati: un ritorno notevole in termini di apprendimento, dunque, al di là degli introiti finanziari del contratto con il CEru'. Due aspetti di questa analisi sono utili per comprendere il fenomeno: la frequenza dell'interazione tra le ditte ed il CEI; la durata dell'interazione con il CEP, con il relativo capitale relazionale, sociale, strutturale, l'impegno e l'uso intensivo delle tecnologie impiegate fin nelle prime fasi della fornitura. Con riferimento all'Italia si deve constatare che vi è un'alta percentuale di ricerca italiana, ma un basso contributo in termini di sfruttamento di questa ricerca. Il CERN sta cercando di definire regole più chiare per i contratti futuri, mirando al coinvolgimento delle imprese (singole od in consorzi) nella fase di progettazione iniziale delle tecnologie future. Ciò per le imprese è fondamentale, non solo per avere una certa continuità contrattuale con il CERN, ma anche e soprattutto per garantire un costante sviluppo tecnologico. È dunque fondamentale il mantenimento del know how dell'industria che ha collaborato con il CERN (attiva è la collaborazione con l'Ansaldo superconduttori, diventata privata quattro-cinque anni prima di cominciare a costruire i magneti superconduttori realizzati insieme all'Istituto Nazionale di Fisica della Materia (INFM) per conto del CERN. Il trasferimento tecnologico al CERN ha grandi possibilità, ma vi è anche un ampio margine di inefficienza a causa della scarsità di risorse dedicate, assorbite per lo più dalla macchina acceleratrice. Di conseguenza, non c'è sufficiente personale tra quanti si occupano di trasferimento tecnologico che, pur possedendo ampie conoscenze ingegneristiche di base, abbia una mentalità aperta alle relazioni con il mondo industriale. Si sta cercando di spingere in questa direzione.
Innovare con l'Università: isis Innovation Mark Mawhinney è il Direttore di isis Innovation Limited, la società di trasferimento tecnologico dell'Università di Oxford che nasce nel 1997, 61
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quando si è iniziato a considerare con maggiore attenzione l'idea di utilizzare gli incentivi messi a disposizione dal governo inglese per supportare iniziative di trasferimento tecnologico. Nello stesso anno, poi, un nuovo managing director con sette anni di esperienza nel settore del trasferimento tecnologico e nel settore degli investimenti ha dato un impulso ulteriore a questa attività. Sicché l'Università ha cominciato ad investire in maniera costante nel trasferimento tecnologico. Nelle prime fasi di avvio, isis ha operato secondo il modello technology push, ed ha investito nello sviluppo di infrastrutture e nella produzione e manutenzione di brevetti. Oggi sta progressivamente cambiando atteggiamento ed opera anche secondo un modello "market driven". Complessivamente, le attività di Isis vanno dal patenting e licensing della proprietà intellettuale, alla formazione di nuove imprese, alla commercializzazione di prodotti e materiali, alla gestione di seedfuncls, alla consulenza generica ed orientata al trasferimento tecnologico. L'offerta di Oxford in termini di conoscenza è molto forte: ha 4.200 ricercatori, 6.700 studenti di dottorato. Tra le università inglesi è considerata la più innovativa e quella a più alta intensità di ricerca: sono stati spesi 303 milioni di sterline nel biennio 2005-2006, grazie ai contributi delle Charities, del governo britannico, dell'Unione europea, dell'industria e di organizzazioni pubbliche straniere. Sono stati ottenuti rilevanti risultati in termini sia di commercializzazione dei brevetti (1,2 milioni di sterline di royalties per anno) sia di creazione di spin-off (una media di sei l'anno, negli ultimi Otto anni). Fondamentale, ovviamente, è il ruolo dell'Università non solo come bacino di conoscenza scientifico-tecnologica - le aree di eccellenza sono in fisica e scienze della vita - ma anche per il contributo di un milione di sterline che, dal 2000, viene erogato annualmente per isis e per la produzione e manutenzione dei brevetti. Il resto del budget di isis è ottenuto mediante autofinanziamento e, quindi, con l'erogazione dei propri servizi, mediante apposite unità: la "Oxford Consulting" e "isis Enterprise". isis gestisce degli appositi strumenti finanziari come 1' Oxford University Challenge Seed Fund di 4 milioni di sterline, dedicato al proofofconcept, lanciato nel 1999. Si tratta di fondi che vengono costituiti grazie alle sottoscrizioni, oltre che dell'Università, del governo, delle charities, dei benefattori, e di altri soggetti pubblici. Il fondo investe in progetti in fase di sviluppo, spin-out companies, con un seed equity. Sono stati effettuati investimenti in settantotto progetti; gli investimenti nel capitale di ventuno 62
aziende già effettuati ammontano a 4 milioni di sterline, di cui sette "completed licensing deals" e trentatré "active technology projects". Le ventuno spin-out companies hanno attratto ulteriori 40 milioni di sterline di seede venture capital. Un altro importante fattore del successo di isis risiede nella capacità di regolare il sistema della proprietà intellettuale. Generalmente, è l'università che ha la proprietà delle ricerche, mentre i ricercatori ricevono compensi per il risultato ottenuto sotto forma di royalty shares dalle licenze, equity delle aziende spin offi compensi per il lavoro prestato. E importante anche un approccio flessibile che isis usa nel gestire il trasferimento tecnologico: si decide di volta in volta se puntare sulla creazione di uno spin-offi se ricorrere alla cessione del brevetto, se puntare, invece, sulla pit semplice collaborazione dei professori con enti terzi, come fossero veri e propri professionisti. È l'Università stessa, in ogni caso, ad incentivare tale collaborazione, mentre generalmente vi è un vincolo che non permette ai professori di gestire direttamente gli spin-off senza un adeguato supporto manageriale. isis, a tal proposito, mette a disposizione e collabora con una rete di manager, consulenti legali, network di business angels che supportano la gestione delle imprese.
Innovare nelle università non èpiù un tabù: il caso di Udine Saverio Ambesi Impiombato, docente di Patologia generale, presenta le iniziative di trasferimento tecnologico promosse all'Università di Udine. E d'obbligo una premessa di carattere generale nell'evoluzione del ruolo dell'Università che sta passando dal mero svolgimento di ruoli classici come la formazione, la didattica, la disseminazione del nuovo sapere (per didattica si intende anche quella post-lauream, master o formazione permanente 1zfè long 1earning, un ambito in cui, anche in Italia, l'Università detiene un ruolo forte che intende sviluppare ulteriormente - a nuovi ruoli: anche ad Udine, in particolare nella facoltà di medicina, la funzione didattica è affiancata dalla prestazione di servizi assistenziali (day hospital), diagnostica generica, terapia medico chirurgica e, nel futuro, terapia genetica. In generale, l'università è sempre piìi aperta ad iniziative di trasferimento tecnologico, quali spin-off o start-up. Tutto questo contribuisce senz'altro a rendere migliore il suo ruolo, superando il pregiudizio verso simili attività che nel passato arrecavano a chi se ne occupava una diminuzione di status. 63
Il percorso che porta dalla teoria (ricerca) alla pratica (applicazione) è fatto di diverse tappe. Perché il cammino inizi, occorre che i risultati della ricerca siano significativi. A questo punto, il ricercatore ha un ruolo fondamentale: deve in primo luogo brevettare il risultato, collaborando con l'ufficio brevetti. In Italia, generalmente, questa pratica non è diffusa - lo era ancora meno nel passato recente - perché l'università non è orientata a sostenerne il costo. C'è poi un'ulteriore fase, più complessa, della "cornmercializzazione e della prototipazione . Questa fase, in cui i universita può intervenire fino ad un certo punto, prevede anche lo scale-up industriale. È qui che emerge con evidenza, oltre al gap notevole tra la ricerca universitaria e la sua brevettazione, una distanza ancora più grande: tra brevettazione e la commercializzazione o l'industrializzazione, cui il termine "trasferimento tecnologico" andrebbe più propriamente riferito. Che cosa ha fatto l'Università di Udine per colmare questi due gap? Udine è una città di quasi centomila abitanti, in cui ha sede da trent'anni un'università di sei mila studenti. La facoltà di medicina è stata fondata venti anni fa. Nel panorama italiano, dunque, è un caso giovane ma anche molto innovativo. La produzione di brevetti, in particolare, è aumentata in maniera notevole e vi è, ad oggi, un buon numero di contratti di collaborazione con enti terzi. Il fattore territoriale e di prossimità geografica è senza dubbio rilevante. In termini assoluti sono gli operatori del territorio ad essere interessati alla ricerca dell'Università di Udine ma è significativa anche la presenza di investitori esteri (di USA, Gran Bretagna, Svizzera e Francia). La diffusione di tale pratiche coilaborative ed imprenditoriali è crescente, come evidenziato nei rapporti annuali dell'Università. Questo crea un effetto attrattivo nei confronti dei docenti universitari. Come osservano anche Bucchi e Paolo Zanenga, il tema del coinvoigimento degli operatori è affine a quello della comunicazione: la questione della comunicazione tra ricerca ed impresa può essere rilevante soprattutto se affrontata attraverso il coinvolgimento degli accademici su fronti che non sono quelli della ricerca. Nel caso dell'Università di Udine, per coinvolgere in maniera più convinta il personale delle università in attività di trasferimento tecnologico e per migliorare la commercializzazione dell'attività di ricerca sono stati usati anche i media, che hanno dato molto risalto alla selezione di iniziative di competizione fra idee per la startcup. L'Università partecipa alla "Notte degli angeli", che si tiene ogni anno nei teatro di Udine e alla quale la stampa dà ampia risonanza, grazie 64
anche alla partecipazione di personaggi dello spettacolo. Questo contribuisce ad una forte partecipazione della comunità dell'evento. Nel merito della competizione, v'è anche da dire, i primi classificati partecipano alla selezione regionale e poi nazionale (che per due volte è stata vinta dall'Università di Udine). I vincitori sono stati premiati con un "angelo", ossia un consulente esperto per redigere un businessplan, ed hanno partecipato a "Innovaction", la Fiera del trasferimento tecnologico di Udine. La chiusura, amara, è su alcuni elementi di contesto italiano del sistema della ricerca, che certo non favoriscono il trasferimento tecnologico. Il trasferimento tecnologico non è considerato un indicatore premiante nell'attività di valutazione del docente. Piui in generale, in Italia non ci sono conseguenze pratiche dei risultati della valutazione. Anzi, vige il principio della demeritocrazia accademica, una vera e propria selezione darwiniana" su chi fa meno. Ciò è intenzionale e voluto, non si vuole cambiare tendenza. Il trasferimento dei brevetti è un fenomeno che va in parallelo alla "crescita culturale". Ci si deve porre la questione dell'equilibrio tra offerta e applicazione. In generale è un processo che, se fatto bene, rende nel tempo. Nonostante questo all'Università di Udine il rapporto tra numero di brevetti depositati e sfruttati è soddisfacente. I brevetti pRi innovativi sono stati ottenuti nell'area delle scienze agrarie, chimiche e medico-farmaceutiche Il tempo tra il deposito del brevetto ed il suo sfruttamento, inoltre, è abbastanza breve ed, in generale, il tempo può essere considerato anche un indicatore di validità del brevetto: se esso non viene sfruttato nell'arco di uno o due anni vuol anche dire che potrebbe non suscitare interesse. Al di là del numero di brevetti, si deve registrare una crescita costante del numero di persone iscritte all'Università di Udine e del numero di progetti di trasferimento. Insomma, molto è stato fatto, molto altro c'è da fare. Ad Udine e non solo. A partire dall'individuazione delle risorse necessarie e dalla loro gestione. GASE-STUDY: LA RICERCA ED IL TRASFERIMENTO TECNOLOGICO NEL SETTORE SPAZIALE
L'intento del Workshop di analizzare casi concreti, giunge dopo un lungo lavoro teorico e metodologico, ben rappresentato dal volume citato Trasferire tecnologie, incentrato su casi internazionali originati dalle tecno65
logie della ricerca spaziale. Lo spunto del tema spaziale è stato dato, fra l'altro, dall'esperienza professionale di Ristuccia quale membro del consiglio di amministrazione dell'Agenzia Spaziale Italiana. In quella sede, già alla fine degli anni Novanta, il tema fu posto sul tavolo, originando due forti impressioni. La prima è che la ricerca tecnologica di base nell'ambito spaziale - ponendosi obiettivi molto impegnativi, ad esempio l'esplorazione dello spazio - induce inevitabilmente a considerare il trasferimento tecnologico poco più che un'appendice, pertanto spesso trascurata dai soggetti preposti all'amministrazione ed alla gestione delle attività. La seconda idea emersa è che una politica del trasferimento tecnologico non si improvvisa. Dovendo fornire incentivi adeguati ai destinatari delle commesse per studiare in modo mirato i percorsi di trasferimento delle tecnologie che avrebbero dovuto sviluppare, l'Asi comprese che un indirizzo generico era insufficiente. Bisognava predisporre una serie di indicazioni attendibili, ed attraverso queste valutare l'opportunità o meno di creare incentivi. Non certo un tema semplice.
Un modello operativo La caratteristica del bacino della ricerca tecnologica spaziale è quella di essere un crocevia di diverse tecnologie. Per certi aspetti, un settore unico, poiché non si tratta solo di una fucina di tecnologie specializzate, ma anche di un terreno di applicazione di molteplici tecnologie, a vario spettro e a vario scopo, che circoscrive un campo di possibilità assai ampio per il trasferimento tecnologico. L'esperienza della NASA lo dimostra. Alcuni anni fa è stato chiesto al Css di valutare l'esperienza delle attività di trasferimento tecnologico dell'EsA. Il volume Trasferire tecnologie nelabora e aggiorna il lavoro contenuto nel Rapporto di ricerca preparato per l'EsA nel 2003. Ristuccia racconta che questa valutazione ha da subito posto il problema prioritario di individuare un modello operativo utile a promuovere in maniera efficace e sistematica iniziative di trasferimento tecnologico. Si è allora proceduto identificando l'intera filiera del trasferimento tecnologico, fino ad esaminare la determinazione e la sollecitazione della domanda di tecnologie in campi diversi da quello spaziale; e ancora, fino alla negoziazione tra attori, alla costruzione dei business plan. Per poi arrivare al finanziamento, all'investimento e alle operazioni di 66
commercializzazione che ne derivano. Sono stati chiariti i passaggi ricorrenti nella casistica considerata, che quindi possono essere adattati ad altri campi di trasferimento, diversi da quelli di origine spaziale. L'elemento di convergenza del lavoro è stato il segmento finale, quello del finanziamento e dell'investimento. Le conclusioni hanno considerato l'iniziativa dell'Agenzia Spaziale Europea di promuovere un fondo dedicato ai casi di trasferimento realizzati nel bacino tecnologico di riferimento. Nel contesto europeo, l'European Space Agency ha da tempo sviluppato un proprio programma di trasferimento tecnologico a cui il Workshop dedica un approfondimento specifico. ESA:
il contributo multipurpose delle tecnologie spaziali
Gabrio Boerci (European Space Agency, Technology Transfer Programme) 6 rileva che il primo elemento da considerare, quando si parla di trasferimento tecnologico in sede ESA, è quello di "spazio". Lo spazio è entrato nella nostra vita circa cinquant'anni fa, con il lancio dello Shuttle da Cape Canaveral e, prima ancora, con l'invio dello Sputnik. Sono molti i contributi dati dalle tecnologie spaziali in risposta ad esigenze terrestri. Molte tecnologie afferiscono al settore dei lanciatori; grazie agli ingenti investimenti fatti (l'EsA, in particolare, ha realizzato il programma "Ariane"), sono moltissime le tecnologie trasferite dal campo dei lanciatori ai settori non spaziali. Vi sono, poi, le tecnologie di osservazione satellitare che permettono di gestire una grandissima quantità di dati utili a supportare le previsioni climatiche e di agenti atmosferici anche molto dannosi, come gli uragani. Si tratta di tecnologie che permettono di osservare la presenza di acqua e ghiaccio su Marte, o di avviare nuovi studi sulla composizione del sole e su come questa influisca sulla Terra. Il Programma GALILEO, ad esempio, combina tantissime tecnologie. Qui siamo nel campo delle applicazioni di cui si potrà usufruire per molteplici scopi, tra cui quello delle telecomunicazioni che hanno cambiato il nostro modo di vivere (si pensi alla Tv o alla telefonia mobile, ad esempio). Anche per fare foto scattate durante una "passeggiata spaziale" si utilizzano tecnologie che arrecano benefici terrestri (le fotocamere usate sono a infrarossi e molto complesse). Si tratta, in ogni caso, di trasferimenti "technology push". 67
Uno dei contributi peculiari che apporta la ricerca spaziale è, in generale, l'altissimo livello di testing che è imposto a tutte le tecnologie per ridurre al minimo i rischi. In nessun settore tecnologico al mondo si spende così tanto nel testare tutte le procedure. Questa attività è un punto di forza importantissimo per il trasferimento delle tecnologie in ambienti non spaziali perché è una sorta di "garanzia" da far valere in fase di trasferimento. L'attività di trasferimento tecnologico, all'ESA, è promossa dal Technclogy Transfer Office, che ha ottenuto in questi anni buoni risultati: sono state realizzate iniziative di trasferimento nel campo automobilistico, in particolare nell'ambito dei materiali ceramici per i freni; nel settore dei trasporti (è forse il campo in cui le tecnologie dei sensori e dei materiali in composito hanno trovato il maggior numero di applicazioni). Di seguito alcuni esempi. L'Università di Delft ha realizzato un'automobile "pulita" in grado di raggiungere la velocità media di centrotrenta chilometri e prestazioni elevatissime grazie anche all'uso dei materiali in composito ed un efficiente sfruttamento dell'energia solare tramite celle solari. Un altro progetto di trasferimento è stato promosso, in Italia, da uno dei broker dell'EsA, D'Appolonia, per innovare il settore dell'estrazione mineraria. In particolare, è stata sperimentata l'applicazione di una tecnologia di perforazione dell'ESA in ambito terrestre e le tecniche di atterraggio dei manufatti spaziali su Marte. Un ulteriore progetto è stato finalizzato alla verifica della presenza di acqua sotto il territorio. L'utilità di una tecnologia di questo tipo si è rivelata particolarmente utile in Olanda, dove le infiltrazioni dell'acqua sotto le dighe arrivano fino a sei metri di profondità. Il Programma Global Monitoringfor En vi ronment and Securiiy (GME5) è finalizzato al monitoraggio delle superfici ghiacciate, della crescita delle foreste, dell'inquinamento dell'atmosfera. stata inoltre applicata con successo, in Giappone, una tecnologia studiata per i contenitori di idrogeno dei lanciatori ad un produttore di lattine di bibite. Ancora, un'impresa tedesca ha aumentato la velocità di confezionamento di patatine del 50%, senza romperle, grazie al know how trasferito dalle procedure di rientro delle capsule spaziali. Si è generato, in questo caso, un ritorno elevatissimo in termini finanziari. In provincia di Como, la tecnologia spaziale per l'analisi ed il monito68
raggio dei materiali è stata applicata per controllare la qualità dei tessuti. Il settore della sicurezza può inoltre beneficiare, grazie alla ricerca spaziale, di un sistema di imaging passivo supplementare al metal detector. Il settore medico è secondo per numero di applicazioni delle tecnologie spaziali solo a quello automobilistico. È stato ideato, ad esempio, un tipo di telecamera che può essere ingoiata e riprendere l'interno dell'intestino per poi essere espulsa evitando quindi esami invasivi. Un altro strumento è stato applicato per monitorare il respiro dei bambini di età inferioi'e ai sei mesi ed è stata realizzata una tuta usata nel campo della riabilitazione motoria, utilizzando gli strumenti di cui fanno uso gli astronauti in orbita per mantenere la forma fisica. Nel campo della sicurezza sono state trovate soluzioni per il controllo delle vibrazioni degli edifici, particolarmente utili in caso di terremoto. I sistemi isolanti delle tute spaziali sono stati applicati con successo nel settore tessile. Da questa breve rassegna emerge prima di tutto che le tecnologie spaziali trovano applicazioni praticamente in tutti i settori. Il Technology Transfer Office dell'ESA generalmente opera mediante l'attività di una società broker che ha il compito di individuare i bisogni delle imprese. Da circa due anni ha sperimentato un altro modello operativo, maggiormente finalizzato alla valorizzazione della dimensione locale (nazionale) dei Paesi interessati a promuovere in maniera efficace il trasferimento tecnologico. Sono stati a tal fine sperimentati tre casi pilota in Olanda, Belgio e Finlandia, ottenendo risaltati molto positivi. Anche l'Asi sta pensando di adottare questo approccio, grazie anche alla presenza, in Italia, di aree di eccellenza come quelle del Lazio, del Piemonte e del Veneto. Tra le linee di supporto messe a disposizione 'dell'EsA, inoltre, vi è quella degli incubatori. Ve ne sono tre principali: presso 1'Esmc (in Olanda), l'Esoc (in Germania), l'EsIUN (in Italia). Il Governo olandese, in particolare, ha investito molto in attività di incubazione per la nascita e lo sviluppo di giovani imprese space technology based. Stanno nascendo anche i primi rapporti con il mondo del venture capital grazie anche all'attività di network promossa e gestita dagli incubatori locali.
The European Special Applications Fund Riguardo al finanziamento del trasferimento tecnologico, l'EsA ha promosso, dopo una lunga discussione dell'iniziativa, la costituzione dell'Eu69
ropean Special Applications Funch la cui gestione è stata affidata alla società inglese E-Synergy. Il fondo è partecipato dall'EsA che è anche il garante dell'eccellenza tecnologica dei prodotti oggetto di finanziamento. A tale iniziativa fa riferimento parte dell'intervento di John Tidmarsh, di E-Synergy. L'European Special Applications Fund, di 40 milioni di euro, può investire in progetti di trasferimento tecnologico di origine spaziale nell'ambito di diciassette Paesi europei più il Canada, ossia i Paesi aderenti all'ESA. I deals possono essere rappresentati da aziende che usano reti di satelliti (un caso di successo, ad esempio, e quello di «Torn Tom ). Va detto che, in questo specifico caso di business originati da tecnologie spaziali, l'opportunità di investimento è poco conosciuta dal settore finanziario. Uno studio di FinaceSpace ha rilevato che la ragione per cui non vi sono molti investimenti è la mancanza di conoscenza del settore. Il rischio si abbatte solamente con le competenze del gestore, oltre che con la garanzia dell'ESA e del suo network in qualità di validatori delle tecnologie spaziali trasferibili e detentori di patrimoni informativi rilevanti per orientare le decisioni di investimento. Per questo il rischio tecnologico è molto basso: il dealflow garantito dall'EsA si basa su un investimento di cinque miliardi di euro, che vengono considerati come investimento di seed capital. C'è poi un sistema di relazioni molto efficace, costituito dal Technology Transfer Network e dalle società broker. L'EsA, inoltre, contribuisce con cinque milioni di euro di partecipazione su un totale di quaranta bitre che, come detto, con un dealflow di circa cinquecento aziende. Oltre all'EsA Fund, l'EsA promuove altre iniziative di varia natura (anche progetti su finanziamento comunitario), di cui Boerci dà conto. Si tratta di progetti svolti in collaborazione con soggetti esterni quali, ad esempio, il Parco Tecnologico di Trieste. Queste iniziative sono anche finalizzate a diffondere cultura tra gli operatori che spesso hanno una visione ed un approccio distorto nei confronti del "settore spazio". Ad esempio, spesso, gli operatori finanziari giudicano in maniera "interlocutoria" le tecnologie spaziali in quanto non le conoscono. C'è, dunque, un gran lavoro da fare per rimuovere opinioni sbagliate sul rischio percepito dagli investitori che non sempre comprendono che trasferire tecnologie utilizzate in missioni altamente rischiose aumenta, e non riduce, le possibilità di successo tecnologico in chiave commerciale. E l'ESA può mettere a disposizione un dealflow di tecnologie molto importante. Unitamente a questo, l'ESA presta molta attenzione all'attività di disse70
minazione culturale. Ne sono esempi iniziative come il Galileo Master e l'Investment Forum, volte all'incontro di promotori di spin-offed investitori. SOSTENERE IL TRASFERIMENTO TECNOLOGICO SPAZIALE: PROBLEMI APERTI
Come può essere valutata questa esperienza? Complessivamente, commenta Ristuccia, senz'altro positivamente. Il Css ha avuto l'opportunità di seguire questa iniziativa fin dalle fasi iniziali cogliendone una doppia valenza: la prima, sia pure di difficile operatività visto l'ambito altamente specializzato, finalizzata al sostegno di iniziative profittevoli; la seconda di tipo simbolico, mirata a rilanciare una politica di trasferimento tecnologico che in ambito europeo ancora non è in cima alle preoccupazioni degli operatori e degli amministratori, e che pertanto è stata finora piuttosto frammentata e molto debole se paragonata al potenziale disponibile. Tali valutazioni, insieme ad altre del "sistema EsA" sono state espresse anche nelle conclusioni del libro "Trasferire tecnologie". Con l'affidamento delle operazioni di fund raising ad E-Synergy; vincitrice delI'invitation to tender indetta dall'EsA, l'iniziativa è stata senz'altro efficacemente rilanciata. Ed il Css rivendica il suo contributo al rilancio dell'iniziativa essendosi impegnato nel ricercare il sostegno e gli apporti al fondo da parte di soggetti bancari italiani. Nel 2008 sarà interessante seguirne l'esperienza, per osservare la capacità di trascinamento che questa operazione potrà avere. Soprattutto in riferimento a specifiche problematiche, quale la brevettabilità ed altri aspetti su cui si è recentemente soffermato un ampio dibattito. Ma il trasferimento tecnologico di origine spaziale - e il trasferimento in generale - non è ovviamente solo questione di fondi. E necessario un sistema più articolato per sostenere e finanziare il trasferimento tecnologico. In tal senso, nelle stesse conclusioni di "Trasferire tecnologie" è stata valutata anche l'ipotesi (e l'opportunità) di mettere a punto organismi di accelerazione del trasferimento tecnologico, cioè organismi che abbiano missioni e competenze ampie per sostenere le fonti di ricerca trasferibile. Si tratta di un campo vasto, ove le competenze coinvolte sono molteplici, da quelle tecnologiche a quelle legali-finanziarie. Il problema che, per 71
certi aspetti, deve essere sottolineato è quello della sollecitazione sistematica della domanda, sulla quale il Css si è soffermato per proporre sistematicamente la costituzione di qualche ben attrezzato market piace. C'è infine il tema di tipo marcatamente finanziario relativo all'individuazione dei soggetti prestatori di queste operazioni ad alto rischio. L'interesse è allora quello di raccogliere esperienze e dare una valutazione critica delle stesse, al fine di promuovere una discussione sulle conclusioni che si possono trarre, non solo in termini generali, ma anche in termini più specifici.
Galileo, finanziamenti e contratti: il ruolo della Supervisory Autoriiy Tra le condizioni di contesto rientrano anche le azioni positive implementate al fine di guidare strategicamente i processi, rendendo chiari e trasparenti i rischi e gli spazi di negoziazione disponibili. Ezio Villa, dello Studio Legale Pecoraro Travostino, discute degli aspetti rilevanti, in termini di trasferimento tecnologico, del Programma Galileo, finalizzato alla costruzione di una costellazione satellitare europea per servizi di navigazione e posizionamento, indipendente dall'americana Gps. Galileo sarà un fattore importante di competitività dell'industria europea nel settore satellitare. Le linee guida del programma sono state tradotte in disposizioni normative e regolamentari che impattano sul trasferimento tecnologico. Tra queste vi è il regolamento istitutivo della Galileo Supervisory Authority (GsA), un'agenzia della Commissione europea. Questo regolamento dispone che proprio all'Autorità spetti la proprietà dei tangibile e intangibile assets, inclusi gli Intellectuai Property Rights (IPRs), sviluppati dal concessionario, creati o sfruttati durante la fase di "sviluppo del programma" (sotto la responsabilità dell'ESA nella "vaiidationphase"), oppure dei tangibile e intangibile assets sviluppati dal concessionario durante la fase di "dispiegamento dell'operazione di trasferimento". La proprietà pubblica degli assets risponde in pratica al rilievo strategico di controllo pubblico della tecnologia. Una seconda disposizione rilevante riguarda la struttura contrattuale e finanziaria che si è scelta per lo sviluppo dell'infrastruttura di Galileo. Come detto, ci sono stati cambiamenti sotto questo profilo. Inizialmente era stato deciso di implementare il sistema secondo una tecnica contrattuale e finanziaria di Ppp concession che trova un corrispondente nell'istituto di di72
ritto italiano della "concessione di costruzione e gestione", regolamentata dal codice degli appalti pubblici. Questa struttura contrattuale si caratterizza per avere una parte, il "concessionario", che finanzia l'infrastruttura (nel caso di Galileo l'intenzione era di finanziare un terzo dell'infrastruttura con denaro pubblico e due terzi con risorse private, a loro volta ripartite in un mix di capitali in equity e di debito). Nell'ambito delle concessioni di costruzione e gestione, il concessionario riceve i propri introiti dalla remunerazione delle rendite ricavate dal mercato. Ciò è importante in termini di trasferimento tecnologico perché il concessionario, in tale schema, dovrebbe avere la proprietà e disponibilità degli assets, inclusi gli IPRs. Da questi due atti normativi si coglie, invece, come ci siano istanze divergenti tra la decisione di mantenere la proprietà pubblica dell'infrastruttura per avere il controllo del programma e l'esigenza, da parte del concessionario, di avere diritti sugli assets e sugli IPRs, al fine di sfruttarli e mantenere lafinancial viability della struttura contrattuale. Come concorrono queste due istanze che àppaiono divergenti e come si è tentato di conciliarle? Sono state tentate due soluzioni. La prima rientra nella struttura del "contratto di concessione": in fase di negoziazione si è cercatò a lungo di far sopperire la non completa disponibilità degli assets del concessionario con ingenti finanziamenti pubblici. La seconda, invece, rientra nell'ambito dei finanziamenti dei Programmi Quadro comunitari. Nell'ambito del Sesto Programma Quadro, infatti, almeno per i progetti finanziati al 100% dalla Commissione, la proprietà degli IPR5 è stata attribuita al soggetto privato aggiudicatario dei finanziamenti. Per conciliare le esigenze pubbliche e quelle private si è intervenuto sulle clausole riguardanti gli IPRs, negoziando i c.d. assets rights del settore pubblico. Si è distinto, in pratica, tra licenze di tipo non commercial use, per attività di prosecuzione della ricerca, e licenze commercial use, finalizzate a generare redditi. Su questa seconda tipologia di licenza si è negoziato che il partecipante al Sesto Programma Quadro sia il proprietario degli IPRs. Ad esso è comunque richiesto licenziare il know how derivante dall'attività di ricerca a condizioni diverse a seconda che la conoscenza sia generata all'interno del progetto finanziato o all'esterno. Nel primo caso, alla parte pubblica è concessa una licenza non esclusiva e gratuita e gli è concesso sublicenziare; nel secondo - se si tratta, dunque, di conoscenze pre-esistenti alla gara del Programma Quadro - la licenza è concessa a condizioni di mercato. È interessante, inoltre, capire quali saranno gli effetti delle decisioni del 73
Consiglio dei trasporti che si è tenuto nel giugno 2007. L'approccio allo schema della concessione e gestione si è chiuso, almeno per quanto riguarda la realizzazione della prima generazione di satelliti, con la decisione di un finanziamento interamente pubblico. Il contraente sarà un service contractor e, molto probabilmente, anche il controllo della prima fase di Galileo sarà gestito direttamente dall'EsA mediante una struttura finanziaria completamente pubblica. Cosa cambia, dunque, per il trasferimento tecnologico? Sicuramente non vi è più l'esigenza da parte del privato, in quanto investitore, del controllo degli assets come garanzie di revenues. Questo potrebbe comportare, dal punto di vista della politica degli IPRs, un approccio tendente ad un uso widespread e diffusivo della tecnologia di Galileo, senza i vincoli che derivano dalla necessità di sviluppare il sistema secondo una particolare tecnica finanziaria. Tuttavia, rimane da considerare che, in un settore così cruciale sarà interesse strategico del settore pubblico mantenere il controllo sull'infrastruttura. Chi partecipa al Settimo Programma Quadro per l'uso delle tecnologie di GALILEO deve tenere conto di questi aspetti per una negoziazione consapevole delle esigenze del settore pubblico. I FINANZIAMENTI E LE RISORSE PER IL TRASFERIMENTO TECNOLOGICO Ambesi Impiombato, negli anni Ottanta, ha potuto brevettare negli Stati Uniti cellule coltivate in vitro, importanti per la ricerca nel campo degli anticorpi e delle disfunzioni tiroidee (sono stati, in pratica, i primi esseri viventi ad essere stati brevettati), grazie ad una fondazione che ne ha sostenuto le spese, dal momento che l'università italiana, cui era stata inizialmente proposta la ricerca, non era interessata. Questo è un esempio della debolezza del sistema di promozione della ricerca che è causa di un altro gap che, anche se di minore ampiezza rispetto a quello che c'è tra brevetto e commercializzazione, sta nella "produzione di dati sperimentali". In Italia, c'è da dire, i ricercatori sono molto bravi, soprattutto se pensiamo alle risorse scarse loro assegnate. Alla ricerca è complessivamente destinato meno dell' 1% del PIL, compresi gli stipendi. Il CNR è scomparso, non ha più progetti finalizzati da almeno dieci anni, non effettua external research, ma solo ricerca intra mura: è una catastrofe nazionale e i giornali non ne parlano. Il MUR distribuisce due-tre mila euro di "finanziamenti a pioggia" a testa per anno. La gestione efficiente di un direttore 74
di dipartimento non è cosa facile, quando si vanno a considerare nel complesso gli indicatori di impactfactor e le pubblicazioni. I progetti di interesse nazionale, inoltre, devono ancora partire e non sono ancora stati pubblicati i form. Sul versante della ricerca privata i finanziamenti non esistono. Le imprese più grandi tendono a fare ricerca attraverso commesse pubbliche piuttosto che finanziare direttamente progetti di ricerca. I gruppi internazionali finanziano la ricerca all'estero (in particolare in Svizzera, nel Regno Unito, negli USA). Il venture capital è scarso in Italia: Milano, Torino, Brescia sono gli unici poli. Un'altra considerazione: gli esperti di proprietà intellettuale nel settore biomedico sono pochi e associati a grossi studi legali di Roma e Milano. È necessario lavorare nell'ambito di un "sistema nazionale", non confinati in pochi, piccoli centri di eccellenza. Riguardo alla cd. "fuga dei cervelli", la vera domanda da farsi è come mai c'è ancora qualche ricercatore che rimane in Italia, dal momento che qui è difficile per un ricercatore scegliere tra la pubblicazione e la brevettazione dei risultati della propria ricerca. In USA, ad esempio, per favorire il trasferimento tecnologico, la legge lascia un anno di tempo al ricercatore per brevettare una ricerca già pubblicata. Alcuni dati pubblicati recentemente su "Il Sole 24 Ore" indicano che in Italia sono depositati 43 mila brevetti, in Giappone 1,6 milioni, e negli Stati Uniti 1,2 milioni. Un ulteriore elemento di criticità sta, per le università, nella difficoltà di affrontare in maniera efficace alcune fasi fondamentali del trasferimento tecnologico, come il cd. " Proofofp rinciple?', per testare con rapidità la fattibilità di mercato e preparare lo scale-up industriale, quando le imprese private interessate ad investire nel brevetto hanno tempi di mercato ristretti. Di fatto, l'università tende ad accontentarsi di cedere i brevetti alle multinazionali. In alcuni casi, è oltretutto difficile difendere i propri brevetti, se ad esempio società grandi come La Roche-Posay decidono di brevettare un'invenzione nata in ambito universitario. Un'università come quella di Udine non avrebbe le disponibilità finanziarie per difendersi adendo le vie legali.
Strategie immediate di intervento Bisogna intervenire sulla proprietà intellettuale, poiché essa riveste un'importanza strategica. Occorre difendere la conoscenza, la proprietà immateriale, non semplicemente comprare la tecnologia come fanno i Paesi sottosviluppati.
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Occorre finanziare le strutture di ricerca, ed in particolare le università alle quali, però, le risorse giungono tutt'al più sotto forma di aumento di stipendi, e con la giustificazione che i centri non sono efficienti. È un circolo vizioso, in quanto per rendere questi centri più efficienti occorre dare loro maggiore autonomia, anche per quanto riguarda il sistema di reclutamento dei ricercatori. E qui siamo al tema "concorsi". In Italia non c'è un sistema concorsuale. I concorsi sono bioccati da un anno. L'età media dei professori universitari è di dieci anni superiore alla media europea. Se è così meglio non fare nessun concorso e passare a dei colloqui per valutare i risultati. Potrebbe essere una provocazione: il docente assume chi vuole, ma risponde delle spese sostenute dall'università se i ricercatori selezionati non sono idonei. Due conclusioni. Secondo Ambesi Impiombato occorre: - dare maggiore impulso alla ricerca di base, che non ha applicabilità immediata, ma crea rivoluzioni culturali che tra vent'anni cambieranno i destini dell'umanità, come è stato per la penicillina o i raggi x; - dare maggiore impulso alla ricerca biomedica, che a livello internazionale è riconosciuta come la più promettente. La salute è un bene primario e se si vogliono contare le stelle, lo si può fare solo se si è in buona salute.
Libertà della ricerca: la corretta gestione dei processi e delle risorse Paolo Cattapan, di Trieste Area Science Park, osserva che è fondamentale la "libertà della ricerca" come metodo per porre le competenze del ricercatore a disposizione delle società. Già oggi si registra un incremento occupazionale nei settori della ricerca applicata, ed una crescita del numero dei brevetti. Su questo tema, due sono le riflessioni da compiere: in primo luogo, non c'è dicotomia tra ricerca e impresa e non è questione di DNA, ma di mezzi e strumenti. Il tema del trasferimento tecnologico, in Italia, è stato trattato con estrema superficialità, spesso sostenendo che un ricercatore non può fare trasferimento. Il problema è sicuramente di approccio sistemico. Inoltre, non vi sono risorse economiche adeguate e, pertanto, non è possibile ottenere risultati durevoli. Bisogna concentrare le risorse esistenti. Le Camere di commercio e, ad esempio, le Fondazioni potrebbero fo76
calizzare le proprie risorse su queste iniziative. Ciò consentirebbe al Paese di crescere facendo leva sulla ricerca e sulle opportunità che le imprese possono cogliere dagli spunti della ricerca. Gli enti per il trasferimento tecnologico che percorrono questa strada sono gestiti malamente. Bisogna lavorare sulla cultura e sul modo di affrontare tali questioni. Non si può pensare che dopo due o tre anni un ente di questo tipo entri già nell'area del profitto. Per ottenere risultati significativi è necessario investire in maniera massiccia, strutturare i gruppi, le risorse, lasciare loro il tempo per crescere e maturare.
Il ruolo dei Parchi Scientifici e Tecnologici: Kilometro Rosso per la
competitività Tra i soggetti che possono svolgere un ruolo importane in tal senso, ci sono i Parchi Scientifici e Tecnologici, che rappresentano una forma di collaborazione tra impresa e sistema economico territoriale. In tema di "ricerca, innovazione tecnologica, trasferimento", il ruolo dei Parchi Scientifici e Tecnologici può essere illustrato dall'attività del distretto interdisczplinare della tecnologia di Kilometro Rosso. Mirano Sancin è il fondatore e direttore di Kilometro Rosso, il Parco Scientifico e Tecnologico in fase di start-up, creato nei pressi di Bergamo a seguito di un'esperienza piì'i che ventennale nel settore (Sancin ha diretto l'Area Science Park di Trieste dal 1986 al 2003, avviando alcune esperienze di trasferimento tecnologico già nel 1995). Kilometro Rosso è un parco interamente privato. Una struttura, tra l'altro, di notevole impatto architettonico, essendo stata progettata dagli studi di noti architetti (Jean Nouvel, SoM—Skidmore, Owings & Merril, Richard Meier). E una infrastruttura di un chilometro che sorge su un'area di cinquanta ettari, ed eroga servizi collaborando con partner scientifici sul territorio. Nel Parco si svolgono attività di ricerca e sviluppo, trasferimento tecnologico, diffusione e innovazione. Il Parco punta sulla "diversità" come valore aggiunto, aggregando soggetti sostanzialmente diversi dal punto di vista istituzionale (vi si trovano università, enti pubblici di ricerca, consorzi, grandi e piccole imprese); dell'attività funzionale (vi sono soggetti posti ai vari livelli della "catena del valore" dell'innovazione: ricerca di base ed applicata, sviluppo tecnologico, produzione di hi-tech, servizi, etc.); dell'attività disciplinare (l'approccio interdisciplinare favorisce, tra l'altro, i salti tecnologici più interessanti); del "settore di appartenenza" (quest'ultima dif77
ferenziazione favorisce, in particolare, il trasferimento tecnologico e l'integrazione tra saperi di soggetti di diversi settori). Kilometro Rosso cerca di sviluppare cluster tecnologici (in settori coerenti con le tecnologie prioritarie ed emergenti, gli insediamenti leader e la cultura tecnico-scientifica e industriale locale), realizzare un sistema misto di R&S, sperimentazione, produzione hi-tech ed avanzata, servizi all'innovazione, incubazione di nuove imprese, formazione specialistica 8 , così come costruire un raccordo stabile tra l'industria e le competenze scientifiche e tecnologiche del territorio. Il Parco è una struttura molto "leggera", nel senso che i servizi sono resi in outsourcing da società specializzate. Le imprese di servizi possano trarre un beneficio non solo in termini di mercato (che è ridotto vista la delimitazione territoriale del Parco), ma anche in virtui dell'operatività in un sistema di imprese che ha un management particolarmente sensibile, esigente, preparato, disposto a collaborare e a sviluppare attività sperimentali e ad organizzare esperienze di innovazione. Kilometro Rosso può essere definito un sistema aperto: sono attivi diciannove progetti di collaborazione, vi sono trenta università e centri di ricerca, sessanta imprese. All'interno vi sono situati, tra l'altro, un centro di ricerche e sviluppo della Brembo per attività di sviluppo, design e testing, una joint venture Daimler Chrysler-Mercedes per la ricerca e sviluppo sui materiali ceramici compositi; un consorzio di ventiquattro aziende finalizzato alla ricerca interdisciplinare nell'ambito della Meccatronica, per applicazioni in settori industriali differenti; laboratori nel campo del biotech, farmacologia, materiali, laboratori universitari internazionali; imprese come l'Italcementi. Nell'ambito del trasferimento tecnologico, sono state attivate diverse collaborazioni scientifiche ed industriali che nascono dal confronto e dallo scambio di informazioni. Interessante il fatto che ai consorzi di imprese partecipano anche soggetti dello stesso mercato, in competizione tra loro, i quali si scambiano esperienze ed, insieme, cercano di innovarsi. Sono imprese che hanno capito che possono essere più competitive insieme, attestandosi su standard migliori di quelli degli altri operatori. IL FATTORE C (cuLTuIt) DELIhNNOVAZIONE
Mirano Sancin di Kilometro Rosso e Matteo Bugameii del Centro Studi della Banca d'Italia si soffermano sull'incidenza del fattore culturale sul fenomeno dell'innovazione e del trasferimento tecnologico in Italia. 78
Una prima considerazione utile secondo Sancin è che "l'innovazione e i processi di trasferimento hanno a che fare con i comportamenti, e questo genera ostacoli culturali e resistenze al cambiamento. Ad esempio, nei casi di innovazioni radicali o di prodotto, sono le stesse strutture organizzative, industriali, di mercato, societarie, a frenare il cambiamento". La differenza tra "trasferimento" e "dff" riportata nel libro di Fabio Biscotti e Marco Saverio Ristuccia 9 è corretta, anche se a volte la "diffusione" deve essere comunque stimolata, ed il "trasferimento" non è solo un rapporto contrattuale, poiché il trasferimento avviene anche attraverso forme tacite di conoscenza, senza formalizzazione. Ad ogni modo, proprio per il fatto che si tratta di fenomeni spontanei, le azioni.di stimolo e le condizioni specifiche di contesto del mercato, come l'intensità di ricerca e sviluppo (si è detto quanto conta, ad esempio, per l'esperienza Steinbeis il fatto di operare nella Regione del Baden Wuttemberg), possono aiutare il trasferimento di tecnologie. Una seconda considerazione è che la discontinuità derivante dallo sviluppo radicale di alcune esperienze di trasferimento tecnologico è una caratteristica della creazione di nuove imprese. Si tratta di imprese che non hanno struttura né un mercato da difendere ed hanno un management nuovo che è libero e che presta più attenzione al fattore culturale ed organizzativo. Secondo Bugameii, non deve preoccupare il fatto che l'Italia sia un Paese con un sistema prevalente di piccole e medie imprese, di tipo famigliare. Certamente questo stato di cose genera una maggiore avversione al rischiò al momento di intraprendere attività di innovazione, diventando un fattore interconnesso ed aggravante della già difficile situazione italiana di scarsità di investimenti privati nella ricerca e sviluppo. Il fattore dimensionale delle imprese è, in tal senso, un elemento determinante di questo atteggiamento. L'esperienza di Kilometro Rosso ha come sfondo un'area altamente concentrata di imprese. Ma non basta: la vocazione imprenditoriale non deve arroccarsi su posizioni di difesa della propria attività; le imprese devono essere disposte ad accettare le sfide. Come fanno i molti che hanno saputo rispondere alla sfida dell'innovazione dedicandovi maggiore attenzione e risorse. In tal senso, Sancin - facendo un bilancio dell'esperienza dei Parchi scientifici e tecnologici italiani - parla di un sostanziale fallimento. I Parchi tecnologici, infatti, sono strutture in grado di svolgere un ruolo importante per l'innovazione ed il trasferimento tecnologico, ma devono 79
poter disporre di adeguati strumenti e contenuti, e non restare meri "contenitori" come spesso accade. A questo proposito, non è facile superare alcune difficoltà iniziali, specialmente perché le imprese italiane non riescono a coVere a pieno le opportunità di innovazione radicale o incrementale. un problema di struttura. Nel caso di Kilometro Rosso le imprese si sono accordate per un programma di lavoro comune di almeno due anni da realizzare nell'ambito del Consorzio e, a tal fine, si sono autotassate. C'è stata, da questo punto di vista, la disponibilità a partecipare anche di soggetti pii piccoli ed il laboratorio è divenuto il nodo di una rete, che comprende centri di eccellenza come le Università di Padova, di Bologna, di Torino, di Brescia e l'Università Statale di Pisa. Da segnalare, inoltre, che Kilometro Rosso partecipa anche a bandi pubblici internazionali, nazionali e regionali ed ha recentemente avuto un finanziamento della Camera di commercio che incide sul bilancio del Consorzio per il 20%.
Comportamenti e capitale umano Altro tema importante, lo ricorda Massimiano Bucchi è la "capacità di attrarre capitale umano". È questo un tema tra i pii dibattuti, anche senza necessariamente sposare le tesi, forse un po' enfatiche, di Richard Florida, il quale sostiene che per generare innovazione in un territorio esso deve essere attrattivo sul piano culturale. La questione "talenti" è altrettanto importante e la formazione scientifica è determinante per favorire l'alternanza scuola-lavoro. A tal fine, in Puglia, ad esempio, vengono prese iniziative ad hoc per valorizzare i ricercatori pugliesi come "la notte dei ricercatori" od altre iniziative di collegamento con i talenti pugliesi all'estero. PDA'IA.
Processi cognitivi e condivisione delle competenze
Paolo Zanenga, Product Development and Management Association (Area Southern Europe), si è sempre occupato del rapporto fra tecnologia ed organizzazione, per poi interessarsi ai processi della conoscenza, ossia ai processi con cui le persone apprendono, socializzano e comunicano le loro conoscenze, attraverso l'attività di consulenza in ambito di organizzazione delle aree aziendali dove si formano processi cognitivi e, ovviamente, processi di innovazione. L'incontro con Product Development and Management Association (PDivIA) - associazione nata a Chicago nel
1976 e sviluppatasi in UsA'° per riunire persone che lavorano nel campo dell'innovazione di prodotto e che hanno competenze molto diverse: uomini di marketing, ricercatori, consulenti, ingegneri, studenti, professionisti e così via - ha fatto emergere un forte interesse per la missione di creare uno strato culturale comune a tutti coloro che, con competenze diverse, si occupano di innovazione L'esigenza deriva dal fatto che il processo di innovazione è abbastanza disperso poiché, tradizionalmente, il "tecnico" e l'"uomo di marketing" di una stessa azienda lavorano in contesti diversi. PDMA è stata pionieristica nel porre l'accento sulla necessità delle competenze trasversali. Oggi si può dire che tale concetto è di moda, ma non era così venti-trenta anni fa. PDIvIA ha un lungo curriculum di conferenze e pubblicazioni scientifiche, tra cui la quinta rivista scientifica americana ed effettua il monitoraggio dei centri di eccellenza, anche privati, a livello globale (ad es: 3M e Procter & Gamble) e dei loro sviluppi interni. Con un'attenzione crescente all'Europa. In Germania, ad esempio, vi è il caso di una grandissima società di prodotti di consumo che è meno nota dei suoi clienti e che dedica molte risorse all'innovazione, creando organizzazioni nuove, "StoB" (Science to Business), indipendenti dall'azienda madre, per lasciare più libertà di iniziativa agli start up. Queste strutture, come qualsiasi altra struttura creata ex novo, sono eterarchiche, ossia senza gerarchie ma non senza regole. In esse operano professionalità indipendenti dall'organizzazione, che provengono dal mondo della ricerca, dell'accademia, dalle aziende, dalla finanza, per lavorare insieme a progetti dedicati. La filosofia dell'attività di PDtvIA è focalizzarsi su una determinata parte del processo di innovazione - quella più "caotica" - cercando di organizzarla: la cd. Front End oflnnovation (FEI). Caotica va messo tra virgolette perché non significa disordinata o negativa, ma è sinonimo di concorrenza di più conoscenze di varia origine che deve essere il più possibile ampia, ricca, ridondante, per generare effetti di serendzpity, quell'effetto per cui le idee migliori non sono quelle che si cercavano ma quelle che si trovano sulla via. La focalizzazione sul "FEI" ha portato ad occuparsi dei fenomeni della cognizione, dell'economia della conoscenza e a trattare la conoscenza come materia prima I modi in cui il modello focalizzato sul Front-End of Innovation si differenzia dal sistema di innovazione "americano" definito "Stage gate" sono oggetto di dibattito, in quanto fonda le differenze tra la comunità manageriale scientifica americana e quella europea. La prima è infatti più or81
ganisational oriented e finalizzata a "modulare il rischio" (forse con evidenze minori rispetto alla Germania più che all'Italia). L'idea dello "Stage gate" è, dunque, molto presente in PDMA anche perché inizia dopo il "Front End of Innovation". Nondimeno, è forte anche l'idea che il "FEI" stia espandendosi sempre di più nell'ambito dei processi di innovazione, erodendo fette sempre più grandi dello "Stage gate". In quest'ottica, il contatto con il mercato, nell'atteggiamento del "FEI", è continuo ed avviene fin dagli sviluppi iniziali dell'idea, in modo da acquisire il massimo della conoscenza ed innovare nel modo più brillante possibile. Non sono approcci in contraddizione, dunque, ma si tratta di un'evoluzione di approcci differenti. LA FINANZA PER IL TRASFERIMENTO TECNOLOGICO
Tra gli attori strategici per la costruzione di legami duraturi ed efficaci sui territorio, figurano senz'altro le fondazioni di origine bancaria. Così in Piemonte. Stefano Scaravelli, responsabile dell'Unità operativa Ricerca scientifica e Sanità della Compagnia di San Paolo, descrive il ruolo della Compagnia quale ente non profit nell'ambito del trasferimento tecnologico. Il quadro epistemico di riferimento è quello più ampio del sostegno allo sviluppo economico e sociale del territorio, attraverso le leve dei "fattori pre-competitivi e del capitale umano, che rientrano tra le principali attività della Compagnia: la Ricerca e l'Innovazione sono alcuni degli ambiti di azione della Compagnia, negli anni passati e nel prossimo futuro, soprattutto per quanto riguarda determinati settori entro i quali sono stati avviati e consolidati processi di trasferimento tecnologico." Rientra in queste iniziative il sostegno all'Istituto Superiore Mario Boella (IsMB) sulle tecnologie dell'informazione e delle telecomunicazioni, così come ad altri istituti nei settori delle Biotecnologie e delle Nanotecnologie. Si tratta di centri e competenze eccellenti presenti sul territorio torinese, che costituiscono la base dell'innovazione e della ricerca da cui avviare i processi di trasferimento tecnologico. Senz'altro un arricchimento ed un valore aggiunto per le imprese, e quindi un contributo formidabile allo sviluppo sociale ed economico. Non solo locale. 82
Le fondazioni di origine bancaria: erogazioni, investimenti, intermediazione Franco Chittolina della Fondazione Cassa di risparmio di Cuneo chiarisce innanzitutto che le fondazioni di origine bancaria non investono direttamente in operazioni profit. Il trasferimento tecnologico è un settore che interessa le fondazioni e che esse seguono attraverso diverse iniziative. La prima tipologia di iniziative si colloca nell'ambito dell'attività classica delle fondazioni: le erogazioni. La Fondazione Cassa di risparmio di Cuneo, in tal senso, è tra le prime dieci fondazioni italiane, con circa trenta milioni di euro erogati ai propri beneficiari. La Fondazione ha deciso, in particolare, di triplicare la dotazione per la ricerca, finanziando laboratori di ricercatori (non solo universitari) e sostenendo progetti di media grandezza. Tra i beneficiari delle erogazioni non vi sono solo università ma anche le ASL e le organizzazioni no profit. Tra i risultati raggiunti non vi è tanto l'attivazione di grandi progetti (le aziende hanno in pratica rinunciato ad investimenti in R&S), ma l'immissione di progettualità in una "provincia di mille campanili", in cui ognuno ha il proprio business ma non lo vuole condividere con nessuno. Va ricordato che oltre alle erogazioni a fondo perduto, le fondazioni possono investire il proprio patrimonio perseguendo redditività alte o, in ragione del perseguimento di obiettivi di interesse sociale, redditività anche minime. In particolare, la Fondazione CR di Cuneo ha investito dieci milioni di euro, insieme alla Fondazione Cariplo, nel fondo "TT Venture", per sostenere technology ventures con un'ampia portata territoriale, pur in presenza di un vincolo geografico (a questo proposito, la partecipazione, in via di definizione, con la Banca Europea degli Investimenti allargherebbe l'ambito di intervento al contesto internazionale, nei campi di: biomedicina, scienze dei materiali, agroalimentare, tecnologie energetiche ed ambientali). L'investimento è poca cosa rispetto al patrimonio delle fondazioni, ma pur sempre uno sforzo notevole per iniziative in fase di sta rt-up. E in corso il fi€nd raising dei capitali del fondo che darà luogo ad investimenti intersettoriali: nell'area biomedica, nelle scienze dei materiali, nell'agroalimentare, nelle tecnologie energetiche ed ambientali. È una sperimentazione interessante, anche perché finora il patrimonio delle fondazioni non è stato impiegato con molto coraggio in questa direzione. E possibile inoltre immaginare le fondazioni come soggetto terzo rispet83
to all'Università e l'impresa, in qualità di interpreti della domanda del territorio e di veicolo per agevolare la comunicazione tra gli uni e gli altri. La Fondazione Cassa di risparmio di Cuneo sta avviando alcune iniziative innovative in tal senso, proprio sul trasferimento tecnologico. In particolare, può essere utile la funzione di stimolo e di sviluppo delle leve più critiche. La Provincia di Como, ad esempio, pur essendo praticamente in piena occupazione, ha un terziario avanzato molto scarso e, pertanio, alcune iniziative della fondazione potrebbero essere volte a rafforzare questo settore.
E-Synergy ed il Governo inglese Claire Hodson e John Tidmarsh, di E-Synergy, intervengono sul tema dell'investimento in start-up descrivendo la prassi usata in Inghilterra. Il finanziamento in start-up è molto rischioso e la scarsa propensione sia dell'operatore pubblico che di quello privato va interpretato come un chiaro "fallimento di mercato", nonostante sia riconosciuto che investendo nell'ealry stage ci sia maggiore possibilità di "creazione di valore". L'esperienza inglese à caratterizzata dal frequente ricorso ad expertise private per gestire finanziamenti pubblici al fine di ridurre il rischio connesso a queste operazioni. Promuove, in particolare, dei veri e propri luoghi d'incontro per favorire la nascita di iniziative di partnership pubblico-privata al fine di condividere e gestire questo rischio.
Fondi di venture capital: responsiviness e transaction Nel volume di Fabio Biscotti e Marco Ristuccia, commenta Hodson, è scritto che il trasferimento tecnologico non è un processo spontaneo, in quanto origina dall'incontro di due o più parti, implicando una fase di transizione dall'inventiva/originalità alla responsività, e le relative transazioni. Vediamo questi aspetti. Vi sono tre fasi comuni a tutte le transazioni, ovvero: 1) costruzione delle relazioni, 2) negoziazione, 3) performance del rapporto. Queste tre fasi valgono per le collaborazioni, per le licenze, per gli spinning out, per gli investimenti. Sono tutti processi che beneficiano di un'intermediazione adeguata e di un'attenta ponderazione complessiva. Così anche nell'ambito dell'early-stage e del venture capital, soprattutto laddove i fondi co-investono e gli investitori privati si alleano con i fondi 84
pubblici. Peranto, se per gli investitori esistono un inizio, una fase intermedia ed una fine, è necessario che qualcuno si occupi di sostenere ed incoraggiare queste tre fasi, affinché si realizzino. L'approccio di E-Synergy dedica molto tempo ed altrettante energie alla fase di facilitazione delle relazioni, in molteplici modi. In primo luogo, attraverso fondi proofofconcept. Ovvero fondi successivi alla ricerca e propedeutici alla commercializzazione. E, nel caso di una potenziale nuova spin-out company, anche precedenti all'incorporazione. Sono fondi deliberatamente posizionati in questo modo, al fine di identificare le opportunità che possono scaturire da un periodo di lavoro finanziato da appositi grants e focalizzato sulla commercializzazione in termini di ricerca di una finestra di opportunità entro cui le istituzioni e gli individui possono trovare un accordo reciproco in vista di una possibile nuova fase di avvio. In tal modo, come anche attraverso un lavoro di market validation, Jp validation (Intellectual Property) e technology validation, gli operatori del trasferimento tecnologico sono spinti ad impiegare tempo e risorse per condurre al meglio tutte le necessarie negoziazioni pre-incorporazione. Se ben fatto, questo è un processo di grande valore. Capita spesso di rilevare che, nell'ambito di potenziali investimenti in uno spin-out, gli operatori del tasferimento tecnologico hanno gestito in maniera sufficientemente efficace ed efficiente i necessari accordi di protezione della proprietà intellettuale, ma hanno del tutto trascurato o rimandato i processi, pure fondamentali e talvolta complessi, di negoziazione della proprietà nell'ambito degli incentivi e del riconoscimento motivazionale. F qui che interviene E-Synergy, per incoraggiare il raggiungimento di una risoluzione prima di passare alle fasi successive. A tal fine, è utile informare gli operatori sulle strategie e le soluzioni adottate da altri, in altri contesti, con una fondamentale raccomandazione sempre valida: "keep it simple". La semplicità è fondamentale. Come è facile immaginare, man mano che una società procede attraverso vari stadi di investimenti, gli accordi contrattuali diventano sempre pii complicati. Meglio quindi mantenere una qualche linearità nella fase iniziale. In secondo luogo, ci sono gli "Investment Readiness Programmes", nei quail E-Sinergy applica un unico modello, nel senso che tutti i seminari ed i workshop sono tenuti da imprenditori ed investitori (e non da consulenti o professionisti). È qui che sono messi in evidenza i primi principi che fondano la costruzione delle relazioni: volontà/disponibilità e ricetti-
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vità. Ognuno è incoraggiato a valutare l'importanza del riconoscimento delle debolezze e dei punti di forza reciproci. È questa la chiave dello sviluppo di relazioni durature. In terzo luogo, E-Synergy ha i propri fondi di investimento di venture capital pubblico-privato; fondi gestiti dai soggetti privati, nei quali confluisce denaro pubblico e privato. Tutti gli investimenti effettuati da ESynergy (nel caso dell'East Midlands Early Growth Fund, ad esempio, sono stati fatti sette investimenti nel 2007) includono la costruzione di relazioni tra persone, l'armonizzazione dei loro interessi e il supporto per la realizzazione dei loro obiettivi. Quest'ultima è la caratteristica dell'approccio di E-Synergy che dedica molto tempo al sostegno attivo degli investitori nella fase successiva all'investimento. Come si ricollega tutto ciò alla domanda iniziale? Una commercializzazione di successo, che sia spin-out basedo altro, ha a che vedere in parte con la strutturazione di relazioni efficaci. Queste relazioni sono necessariamente basate sul riconoscimento del bisogno di transazioni attentamente soppesate. Senza l'intervento del settore pubblico prima illustrato, e messo a punto razionalmente sulla base dei fallimenti di mercato, lo spazio di facilitazione in favore dell'iniziale bisogno di responsività non sarebbe stato mai reso disponibile. Gli investitori privati, infatti, non possono svolgere tale funzione, i cui costi non sono giustificati e ragionevoli nel contesto di investimenti finalizzati ad un ritorno finanziario. Il ritiro del denaro pubblico e la presa in carico di ogni responsabilità da parte dei privati allontanerebbe imprese ed investitori dal trasferimento tecnologico. Gli investimenti per il trasferimento tecnologico senza dubbio continuerebbero ad essere fatti, ma i processi perderebbero efficienza e molte opportunità sarebbero perdute. E-Synergy, puntualizza Tidmarsh, opera in questo campo attraverso diversi strumenti. Un p roof of conceptfuncl ("Emerald Fund") focalizzato alla validazione tecnologia e di mercato della ricerca delle università londinesi. Un altro modello di intervento è quello della gestione dei programmi di preparazione all'investimento per giovani imprenditori. Tali programmi sono finalizzati ad illustrare agli imprenditori i rischi ricorrenti nella promozione di un nuovo business e forniscono i possibili punti di vista dell'investitore. Tali corsi coprono aspetti di marketing, di mana86
gement, di valutazione dei rischi tecnologici, e così via. Anche questi programmi sono finanziati dal settore pubblico ma gestiti da operatori privati. I programmi di questo tipo gestiti da E-Synergy sono organizzati cinque-sei volte l'anno. Vi partecipano sessanta aziende preventivamente selezionate, di cui si cerca di apprenderne e comprenderne le opportunità, al fine di finanziare le quattro-cinque più promettenti. È questo, in sostanza, anche un bacino di aziende su cui la società investe, cui anche altri investitori fanno riferimento. Un corso del genere è stato svolto per il "Carbon Trust" e, in quell'occasione, sono state selezionate dieci aziende. In due di queste E-Sinergy ha investito direttamente; in altre due sono stati individuati altri finanziatori privati. È un sistema che funziona e che rende molti profitti. I fondi della Società traggono beneficio dal fatto che vengono fatti molti investimenti per capire quali sono i deals più interessanti. Una unità della Società è dedicata solo a questo. Vi sono poi altri modelli nel Regno Unito finalizzati al sostegno di queste iniziative. Ci sono vari schemi di coinvestimento in partnership pubblico-privata, ci sono pre-equityfrnds, vari tipi di fondi pubblici gestiti da privati, che sono attivi anche nella ricerca di opportunità di investimento e nella gestione di un network di investitori. E-Synergy gestisce diversi fondi, tra cui l'early growthfiind (di 7,5 milioni di euro) e l'enterprise capitalfisnd(di 45 milioni di euro). Si tratta di fondi con mix di capitale pubblico e privato. I profitti del governo vengono riprestati per i due terzi al fondo generando delle leve di incentivo molto alto. Vi è poi il sustainable technology fiind specializzato nelle tecnoiogie per i energia sostenrne il Questi fondi non offrono solo denaro ma anche supporto manageriale e competenze per poter gestire al meglio il rischio. L'investitore privato, infatti, non deve portare solo soldi, ma anche savoir-faire, competenze nel campo del marketing, della vendita commerciale, nel cambio del management per assicurare il proseguimento della vita aziendale. Vi è poi l'European SpecialApplications Funa di cui si è detto. Nelle società come E-Synergy è molto importante la componente manageriale. I soci di E-Synergy sono quasi tutti specializzati e provengono dal mondo delle imprese, oltre che da quello della finanza. Questo è il vero valore aggiunto che consente di attivare public-private partnershzps riducendo i fallimenti di mercato. i
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Fondo Next di Finlombarda: la cassetta degli attrezzi per l'ecosistema del trasferimento tecnologico Alberto Trombetta del Fondo Next di Finlombarda prosegue il dibattito sulle problematiche relative al finanziamento del trasferimento tecnologico. L'esperienza della Regione Lombardia - nel caso specifico della finanziaria regionale Finiombarda, che ha creato una SGR autorizzata dalla Banca d'Italia, con il compito esclusivo di gestire fondi di venture capitai - parte dal fondo "Next". I fondi mobiliari rientrano tra gli strumenti e gli approcci per creare un sistema favorevole al trasferimento tecnologico a patto che non si limitino alla messa a disposizione delle sole risorse finanziarie. È necessario disporre di un sistema più articolato di strumenti. Osservando i dati ed i rapporti dell'European Venture Capitai Association (EvcA), è confermato che per sostenere in maniera efficace un nuovo business non è sufficiente la sola consulenza finanziaria, ma è necessaria la consulenza strategica, specialmente quando si ha a che fare con spin-off di tipo universitario. I ricercatori hanno generalmente network eccellenti nel settore della ricerca, ma non sono posizionati sul mercato delle imprese. È per questo fondamentale, per le iniziative provenienti dall'ambito accademico, l'aspetto del recruiting management e la possibilità di completare le organizzazioni con competenze di tipo commerciale. Un venture capitaiist deve saper offrire, dunque, servizi e consigli diversi. Per questo Finiombarda offre servizi come la consulenza finanziaria, tecnologica, di sounding board, di status quo, di dissemination network, di recruiting management, di marketing e di servizi di tipo tax and legai. Con riferimento all'Italia, va considerato quello che è successo alle aziende che hanno ricevuto finanziamenti di venture capitai. I risultati, in termini generali, sono di una crescita di dipendenti e di lavoro di qualità sul territorio. La Regione, a tal fine, ha promosso iniziative per affrontare la difficoltà di intercettare l'offerta di progetti innovativi. Ha finanziato, in particolare, un programma di scouting, iniziative promosse dalla ricerca universitaria o pubblico/privata. Per quanto riguarda le iniziative che non sono pronte per il finanziamento in venture capitai, si sono introdotti strumenti come voucher - assegni di ammontare limitati (quattromila euro) - per la copertura delle spese per il business plan o per le ricerche brevettuali, vi sono bandi rivolti a ricercatori finalizzati all'acquisizione delle competen88
ze commerciali-industriali. Un altro strumento è l'introduzione di un finanziamento di seed capital, fino ad un massimo di centocinquantamila euro, per avviare la fase di incubazione di una nuova impresa. Poco fa si è parlato molto della cd. "valle della morte" e della difficoltà di colmare il gap tra ricerca e commercializzazione. L'attività di Finlombarda prova anche a colmare questo gap, con strumenti che in parte sono complementari all'attività delle università ed ai public grants, sempre più in diminuzione. Il Fondo "Next" è stato costituito nel 2004, quando c'era ben poco mercato ed è stato necessario investire in azioni di sistema, creando nuovi team di gestione e cercando opportunità di co-investimento. Grazie ad uno screening di molte iniziative che sono state sottoposte, si è deciso di investire, in un arco di tempo di diciotto mesi, in sei operazioni (la selezione è di i a 100), tre aziende (tra cui una spin-offdell'Università di Milano) ed in altri fondi di uguale scopo (il fondo Principia, gestito da Quantica SGR di 16,5 milioni di euro ed Innogest Fund, di 80 milioni). Un dato interessante è che nelle tre aziende in cui si è investito abbiamo coinvolto altri investitori, attraendo capitali per oltre tredici milioni di euro. Non è una gran cifra in valore assoluto ma è considerevole se si pensa che lo scorso anno, in Italia, sono stati investiti solo ventotto milioni di euro in start-up. La nostra esperienza ci porta a dire due cose: da un lato, c'è ricerca di altissimo valore, dall'altro fondi come il nostro (oltre ad Innogest e Principia, ad esempio), stanno ponendo sempre maggiore attenzione a questo genere di investimenti. Come è strutturato il fondo "Next"? Si tratta di un'iniziativa di partenanato pubblico-privata, formata da un fondo di trentasette milioni di euro, interamente sottoscritto da privati, e da un fondo di garanzia, a parziale copertura del rischio, di venti milioni di euro sottoscritto dalla Regione, reinvestibile in caso di mancato utilizzo. La gestione del Fondo può essere orientata ad investimenti nel capitale di aziende innovative, ad altri fondi di investimento di uguale scopo, ad operazioni di co-investimento. Da quanto detto emerge che è fondamentale creare un "ecosistema". È importante non solo investire, ma anche co-investire, anche mediante il ricorso a fondi pubblici di incentivazione che possono fare da leva, far nascere e crescere il settore del venture capital. A Torino è nata un'iniziativa importante in tal senso, il Polo del venture capital. 89
Quantica SGR ed il venture capital: risorse, crescita, valore aggiunto Paul Muller rappresenta Quantica SGR, un'iniziativa che origina dal rapporto tra pubblico e privato, un rapporto di compenetrazione fondamentale. Quantica, una SGR nata sulla base di un provvedimento specifico della Banca d'Italia che permette alle SGR di avere un patrimonio a capitale ridotto (limitato a centomila euro, anziché un milione di euro), nel caso in cui l'attività della SGR sia finalizzata ad interventi di venture capitala favore del sistema della ricerca. Quantica è un soggetto di diritto privato partecipato per il 51%, da Enti di ricerca pubblica e per il restante 49% del management team privato. Essa gestisce, operativamente dal marzo 2005, un fondo di quindici milioni di euro. Con un modello particolare: il management team di Quantica collabora con "Rete Ventures", una società consortile che svolge attività di trasferimento tecnologico per conto di Enti di ricerca, tra cui il CNR ed altri consorzi interuniversitari, che operano nel campo della scienza dei materiali. Rete Ventures, dunque, ha esperienza in questo settore svolgendo attività di gestione della proprietà intellettuale ed ha collaborato alla creazione di quarantadue spin-off in Italia. È a partire da quell'esperienza che è nata l'esigenza di una più forte presenza e collegamento con gli operatori di venture capital. Lo strumento utilizzato da Quantica è un fondo chiusol 1, che raccoglie risorse presso investitori istituzionali, banche, fondi, fondi pensione. Alcuni dati relativi all'intervento di un operatore di venture capital rendono l'idea dell'importanza di apportare ai processi elementi di crescita e valore aggiunto, insieme al supporto finanziario. Alla fase di crescita di un'azienda possono partecipare diversi investitori. Quantica opera nel segmento del venture capital, guardando in particolare alle proposte di generazione di sta rt-up. I dati di una ricerca condotta negli Stati Uniti, finalizzata a studiare l'impatto economico del venture capital nei tre anni successivi al finanziamento, rilevano che le società venture backed crescono, in termini di dipendenti e di fatturato, con percentuali più significative rispetto alle società che non hanno ricevuto questo tipo di supporto. I risultati sono immutati anche nel caso di operazioni di early stage. Anzi, in questo caso il ritorno di fatturato ed occupazione è migliore. Il sistema, dunque, favorisce le condizioni di crescita anche in settori di attività più difficili e più rischiosi, come quello delle sta rt-up. A livello europeo il risultato è analo90
go. La selezione dei venture capitalist, v'è da dire, è altissima, ma il valore apportato è altrettanto elevato non solo in termini finanziari ma anche per il contributo gestionale e di network. Cosa succede in Italia? I dati del 2006 dell'Associazione Italiana degli Investitori di Rischio ( AIFI) mettono in luce un mercato dei capitali di rischio abbastanza strutturato in termini generali sul segmento buy-out, private equity ed expansion. In particolare, si registra una crescita del 22% che fa ben sperare. Il 28% di questi capitali sono destinati a società hi-tech. Diversa è la situazione se si osservano i dati sull'early stage. In questa fase, il capitale di rischio è molto meno presente e si rileva, dunque, un netto sbilanciamento delle attività di tipo buy out rispetto al finanziamento delle start-up (che hanno beneficiato solo di ventotto milioni di euro nel 2006). Ciò in un quadro tendenzialmente altalenante. Ci sono, inoltre, pochi operatori e c'è senz'altro bisogno di una crescita di questo settore. Marco Ristuccia sottolinea l'importanza, discutendo di venture capital, seed ed early stage, equity, di approfondire quali difficoltà devono essere affrontate nel coinvolgere i capitali di debito degli altri grandi player finanziari. Ad esempio, se le operazioni di trasferimento tecnologico di cui si è parlato siano tali da richiedere il coinvolgimento di capitali di debito; se gli operatori italiani (le banche in primo luogo) siano preparati ad offrire il proprio contributo a queste operazioni; o se, invece, è un problema di dotazione di strumenti finanziari. A questo proposito, se le normali operazioni di strutturazione del debito non sono funzionali a supportare l'avvio di start-up, occorrerebbe sviluppare ulteriormente una "cultura del mezzanino" ovvero degli strumenti di finanziamento degli start up tecnologici con una maggiore condivisione del rischio di impresa da parte del soggetto finanziatore. Molto importante - afferma Muller - è la sinergia con gli interventi di tipo pubblico e non solo. Si è fatto ampio ricorso alla legge n. 388 del 2000, gestita da Mediocredito Centrale, che eroga incentivi in grado di raddoppiare gli investimenti dei privati, agendo di fatto come strumento di riduzione del rischio. Utilizziamo, inoltre, strumenti di garanzia e fidi per ogni intervento. In caso di write-offi 2, vi è la restituzione del capitale sottoscritto. Alcune operazioni di spin-off hanno beneficiato della legge n. 297 del 1991; in tal caso si è però verificata una più complessa e lunga gestazione di utilizzo. Alcuni risultati in termini di operatività: su un totale di 550 business 91
plan ricevuti sono stati fatti investimenti in sette operazioni. Il metodo di valutazione segue, partendo da un primo screening, diverse fasi, al termine delle quali si investe in due diligence di tipo legale e tecnologico. Volendo semplificare, si opera su tre livelli di valutazione: a) la tipologia di business, in termini di vantaggio competitivo che la tecnologia può conferire al business, b) la crescita prevista di lungo periodo, in termini economicofinanziari, e non solo per il periodo della partecipazione di Quantica (in genere tre-quattro anni); c) la valutazione dell'affidabilità e solidità imprenditoriale e manageriale cui vengono affidati i capitali. Una volta selezionato il dea1 Quantica entra nella governance dell'azienda, nel Consiglio d'amministrazione, senza però prevaricare l'ideatore-imprenditore. t su questi aspetti, ed in particolare, grazie ad un notevole lavoro preparatorio, che viene fatta la selezione. Tale modello funziona anche per via della collaborazione con gli istituti di ricerca e di esperti del mondo scientifico, collegati al settore industriale, che forniscono indicazioni specialistiche e valutazioni sui vari aspetti dei businessplan ricevuti. Tra gli investimenti di Quantica si cita la società NewCor Tech che ha sviluppato un "cuore artificiale", un dispositivo che si applica nei casi in cui si protrae l'attesa di un trapianto di cuore. Il caso è interessante poiché ha dovuto affrontare, in Italia, molte difficoltà di tipo normativo legate alla commercializzazione del prodotto. Tale fattore (quindi, non solo quello tecnologico) diventa cruciale quando i nuovi prodotti si inseriscono in un mercato regolamentato. Questo è il motivo per cui il prodotto è stato commercializzato prima in Germania, poi in Francia e, dopo alcuni mesi, in Italia. Due indicazioni utili, infine, in chiave di policy. Per supportare il trasferimento tecnologico è estremamente importante curare le fasi di pre-seed e di seed capitalpoiché, come dimostrano i dati, c'è ancora bisogno di sviluppare la filiera. Ma non è solo questione di soldi: il sistema deve essere supportato e occorre lavorare in sinergia lungo tutto il percorso di trasferimento tecnologico. A cominciare dal favorire azioni per la nascita delle opportunità. Per tale motivo rimane fondamentale il finanziamento della ricerca di base oltre ad interventi mirati a togliere anche un po' di paura a chi vuole cimentarsi in un'iniziativa rischiosa. Qualche spunto può essere preso dalle buone pratiche internazionali: un panel promosso da Federchimica, sulla base dell'esempio delle esperienza inglese e francese, ha messo a punto l'idea di una detrazione fiscale
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degli investimenti iniziali per l'avvio di una nuova impresa. La gestione, da parte degli operatori privati, di questi e di altri strumenti pubblici (come la già citata legge 388/2000) è la giusta logica da perseguire.
Il Polo del Venture Capital di Torino: un posto nel Consiglio di amministrazione Claudio Giuliano, coordinatore del poio del Venture Capital di Torino, richiama Torino Wireless, la fondazione che gestisce il distretto piemontese delle tecnologie IcT, puntando all'integrazione del venture capita/con la ricerca e sviluppo. Qui si cerca di perseguire non solo il finanziamento delle imprese ma anche un apporto aggiuntivo di "intelligenza". A tal fine, il venture capita/deve sedere nei consigli di amministrazione delle imprese finanziate, deve aiutare a sviluppare canali commerciali ed a strutturare il management, mettendo a punto le strategie di mercato insieme all'imprenditore. Deve essere uno strumento completo per lo sviluppo dell'impresa. Ci sono vari step od aree di venture capital l'angel investment, il seecl l'early stage, le aree più delicate di un business, in cui di solito si investono centinaia di migliaia di euro, qualche volta uno o due milioni. In queste fasi conta molto il fattore locale e la prossimità geografica delle aziende agli investitori (gli investitori di seea europei ed americani, sono di più ed investono di più a livello regionale; tipicamente si dedicano a business distanti ad un paio d'ore di auto). Il fattore geografico perde di peso nelle fasi successive di investimento (che prevedono soglie di finanziamento più elevate, di tre-cinque milioni di euro), e per gli investitori nazionali ed internazionali. Emerge chiaramente che, nelle prime fasi di investimento, l'azione deve essere più locale. In seconda battuta si deve puntare, invece, allo sviluppo di partnership con altri operatori nazionali ed internazionali. Torino Wireless ha tenuto conto di queste indicazioni ed opera quale angel investment ( che comporta finanziamenti di solito fino a centomila euro) attraverso "Piemontech" che gestisce cinque milioni di euro, e "Innogest Capital" che gestisce un fondo di secondo stadio a livello macroregionale (Nord Italia). L'obiettivo dei due fondi è, prima di tutto, generare ritorni e capitalgain per i propri investitori. Per raggiungere questo risultato, servono degli elementi di contorno e di apporto dell'intelligenza e di capitale umano all'interno delle imprese. La collaborazione tra il pubblico ed il privato si è manifestata, infatti, oltre che nella costituzione di Torino Wireless, nella creazione di fondi in 93
altre aree a livello locale. L'attività promossa nell'ambito del distretto tecnologico, in particolare, interviene nello scouting e supporta le aziende ad interfacciarsi con il venture capital. A tal fine mette a disposizione quattro-cinque project manager e consulenti in businessplanning. Il Venture Capital Hub è nato nel febbraio del 2007 dopo che si è constatato che non sono sufficienti due fondi come Piemontech ed Innogest per mettere le imprese in condizione di sfruttare le opportunità di sviluppo internazionale. L'impresa, per divenire globale, spesso ha bisogno di fondi ancora più importanti. E pertanto necessario ricreare le condizioni che ci sono nel Regno Unito, in Francia od in Germania, dove ci sono più operatori coinvolti nella valutazione e nel finanziamento di una stessa impresa. Tale soluzione apporta maggiori capitali alle iniziative e moltiplica l'effetto networking, che è poi la caratteristica che ha permesso a Silicon Valley ed a Cambridge Valley di diventare quello che sono. Il "Polo del venture capita!" riunisce, dunque, operatori specifici del venture capital ed opera come piattaforma per far scambiare idee di investimento fra diversi operatori tra loro complementari. Il polo si riunisce mensilmente in una assemblea plenaria ed ha una segreteria unica. In questo senso il polo è complementare all'AIFI, che è più un'associazione di rappresentanza e di lobby. Sul modello di un'interazione proficua e continua tra diversi fondi di investimento, al fine di facilitare lo scambio di operazioni e la riconoscibilità del valore per gli imprenditori in cerca di capitali. VALUTAZIONI CONCLUSIVE E PROSPETTIVE DI LAVORO
Andrea Bonaccorsi sintetizza schematicamente i punti e i problemi emersi nel corso del Workshop. A partire da una premessa: bisogna accettare la corretta provocazione di chi sostiene che non esiste un mero "trasferimento" della conoscenza, poiché la conoscenza si condivide e si trasforma. Il concetto di trasferimento come qualcosa che viaggia in canali che ne lasciano invariato il contenuto è sostanzialmente sbagliato. Si continua ad usare questa terminologia non appropriata per semplificazione, ma ciò che realmente deve intendersi è la "condivisione" e "trasformazione" di conoscenza tecnologica. Una seconda premessa riguarda aspetti di tipo istituzionale. In Italia, il trasferimento tecnologico non viene trattato nell'ambito di un luogo istituzionale definito, a differenza di altri Paesi. Nel disegno istituzionale del sistema universitario, così come degli enti di ricerca o nell'esperienza dei 94
ministeri, non ci sono meccanismi duali che favoriscano, come nel Fraunohfer Institute, forme e luoghi di formazione più vicini all'industria. C'è, forse, in ambito regionale, ma l'esperienza è ancora molto recente. Questo implica evidentemente un certo ritardo italiano nei confronti di altri Paesi europei. Di conseguenza, mancano grandi operatori (come la Steinbes, né l'ANvAR ed altre esperienze su larga scala) ed il sistema non funziona sia sotto l'aspetto del finanziamento della ricerca che della regolazione pubblica. Nonostante si possiedono buonissime capacità per fare impresa ad alta tecnologia, accade (come si è visto nel caso citato da Muller) che il ministero della Salute non ne approvi la sperimentazione. Le esperienze italiane che sono state qui raccontate assomigliano più ad un'"attività imprenditoriale", cioè alla creazione del nuovo per prove d'errore, con un alto grado d'incertezza, piuttosto che ad attività consolidate dal punto di vista manageriale. E il contesto di riferimento contribuisce a rendere più complicate le varie questioni in gioco.
Contesti istituzionali e contesti alternativi Dunque, cosa è emerso, in Italia, in assenza di un luogo istituzionale definito? Sicuramente sono emerse esperienze sia sul lato del technology push sia su quello che origina dal sistema delle imprese. Nel primo caso, le principali protagoniste sono le università. Pur in assenza di un disegno istituzionale chiaro, le università hanno cominciato a fare un nuovo mestiere: sono nati i Technology Transfer Offices, gli Uffici brevetti e poi, da lì, network, associazioni di valorizzazione della ricerca, come Tmi Cube e Start-cup. Con riferimento agli enti di ricerca, invece, non si rilevano ancora esperienze di grande successo. Vi sono sì enti come il CNR, l'EN, ma nei casi come I'INFN o I'INAF Si tratta per lo più di attività non ancora mature. Quali sono le difficoltà sul fronte del Technology push? Bonaccorsi ne segnala diverse. Vi è senz'altro un problema di cultura, un "clash of civilization" che va gestito e affrontato: un tema tipicamente da scienze sociali. Vi è poi la distanza, spesso molto grande da colmare che separa il mondo della ricerca e della conoscenza dalla dimensione industriale. C'è la capacità di produrre un prototipo, ma poi è difficile arrivare allo scale-up industriale. Vi è poi una scarsa attitudine alla crescita. Le start-up italiane crescono poco e mancano le storie di successo da questo punto di vista. 95
Diversa è la situazione sul fronte dell'innovazione che viene generata dalla domanda delle imprese. Qui esistono esperienze localizzate come quelle dei Parchi, dei distretti multisettoriali, quelle più recenti dei laboratori congiunti fra enti di ricerca ed imprese, che abbracciano specificazioni tecnologiche più ristrette. Vi è poi il mondo tutto nuovo della trasformazione della conoscenza delle piccole imprese. Le poche esperienze che funzionano - vale l'esperienza triestina (rappresentata dall'Area Science Park) ma anche quella di altre Province - seguono una sorta di sequenza che parte dall'approccio generalista del pro biem setting per aiutare l'impresa nel mettere a fuoco le sue problematiche e l'accompagna fino all'incontro con il mondo della produzione della conoscenza. Nel caso in cui l'innovazione parta dalla piccola impresa, il tragitto è più difficile non solo per problemi finanziari, ma anche per via di quella che è detta "capacità di assorbimento": queste imprese, non avendo generalmente una forza lavoro formata adeguatamente e che viene dedicata all'assorbimento delle routine correnti, hanno un dialogo più complicato con i soggetti del mondo della conoscenza.
Innovare nelle imprese italiane: le sole infrastrutture non bastano Nelle parole di Secondo Rolfo, Direttore del CERJS-CNR, "trasferimento tecnologico" è un sintagma magico che ognuno intende e definisce a modo suo. Per gli economisti, questo è un tema con cui continuamente ci si trova a fare i conti. Ad esempio, quando si dice in genere che bisogna aumentare l'innovazione delle imprese italiane. O quando ci si occupa della ricerca pubblica dell'università: in questo caso, inevitabilmente si torna a parlare di una "nuova missione" del sistema pubblico che si riferisce al trasferimento della propria ricerca. O, ancora, quando si analizzano le politiche industriali fino a scendere alle politiche dell'innovazione (anche locali). Si ritorna ancora a parlare di "trasferimento tecnologico". Individuare il trasferimento tecnologico all'interno delle politiche per l'innovazione è molto difficile, poiché queste politiche sono diventate sempre più complesse e multifocalizzate. Al loro interno c'è sempre una parte destinata al trasferimento tecnologico. C'è poi un secondo elemento di difficoltà di cui finora non si è parlato: il trasferimento tecnologico è oggetto di soggetti diversi; non solo gli Stati nazionali e l'Unione Europea, ma anche le Regioni ed una pluralità di soggetti su scala locale. Ciò crea delle difficoltà di raccordo sul piano istituzionale. 96
Da ultimo, si deve constatare la difficoltà di "mettere le Regioni in concorrenza tra loro", cosa che potrebbe spingere verso livelli di innovazione più elevati. I rapporti della DG Regio (Directorate Generai for Regional Policy) ed altre fonti rilevano che, ad esempio, investire sui "distretti tecnologici" rappresenta un modo per "mettere in concorrenza" i territori fra di loro. Volendo perseguire politiche utili si individuano due ambiti di intervento: un primo, tradizionale, è quello "di tipo infrastrutturale" a cui ha accennato Bonaccorsi (le grandi reti come ANVAR e Steinbeis); il secondo è rappresentato dalle iniziative come i Parchi scientifici e tecnologici e i Centri per l'innovazione di cui l'Italia è estremamente ricca, forse fin troppo. Se è vero che centri come Steinbeis sono autosufficienti, molte iniziative sopravvivono, invece, in Italia come altrove, solo grazie al finanziamento pubblico. Una Regione come la Sassonia, ad esempio, ha quarantacinque Centri di trasferimento, suddivisi in varie categorie, la Catalogna ha tre reti di centri per l'innovazione. Se ci si mette nell'ottica dell'impresa che ha un bisogno tecnologico (ammesso che ce l'abbia, o che sappia espiicitano, o che la domanda non debba essere stimolata), c'è un'abbondanza che crea confusione anche in chi dovrebbe beneficiare di queste iniziative. Analisi del gradimento dei servizi di questi centri rivela che ci sono sicuramente servizi utili ma anche altri che possono distorcere il mercato, in quanto utilizzati solo perché gratuiti. Spesso la reale utilità di tali strutture, nella migliore delle ipotesi, è quella di creare un rapporto fiduciario tra soggetti diversi, ma raramente riesce ad innescare in maniera efficace la domanda di innovazione. Quindi, la sola presenza di infrastrutture su un territorio, di per sé, non costituisce un reale valore se non vi è, invece, un fitto sistema di relazioni tra i diversi soggetti dei territorio.
"Chi deve fare trasferimento tecnologico" Secondo Rolfo, l'esempio di Steinbeis, che è una struttura intermedia tra chi produce risultati e chi li utilizza, suggerisce che possa servire sempre un soggetto terzo indipendente, una virgin institution. Ma il trasferimento tecnologico può essere fatto da molti, poiché si può declinare in tanti modi. Il vero problema è la "massa critica" delle condizioni di partenza. Conoscendo un certo numero di esperienze italiane sul fronte della ricerca pubblica (sia università, sia enti di ricerca), si deve osservare che queste tendono al "fai da te" creando la loro struttura con p097
chissimo personale o con scarse competenze. Difficile pensare che ci possa essere un impatto positivo. All'estero si rileva un maggior collegamento tra queste iniziative per raggiungere massa critica e per acquisire le indispensabili competenze professionali. In Italia (e non solo) si fa più fatica ad operare tramite soggetti pubblici e strutture di networking: il Max Plank ha costituito delle società private per gestire il trasferimento tecnologico; la Steinbes è sì una fondazione, ma tutta l'attività operativa è gestita da una società a responsabilità limitata, per poter agire con flessibilità sul mercato. È dunque ora di razionalizzare perché la fase di entusiasmo e di crescita è probabilmente finita ed è giunto il momento di selezionare le soluzioni più serie e sostenibili. Il trasferimento tecnologico, sottolinea Rolfo si attiva sostanzialmente attraverso le persone. Allora, la loro mobilità diventa indispensabile. Vi sono ricercatori che transitano dal mondo della ricerca alle imprese? All'estero lo fanno. In Italia, invece, non si rilevano iniziative apprezzabili, tranne in qualche caso isolato di iniziative di tutorshzp (in area piemontese). Occorre rilanciare queste iniziative (che, oltre ad essere utili, costano tutto sommato poco) e presentarle al mondo delle imprese. Alcune fondazioni di origine bancaria stanno intervenendo in questo senso, cofinanziando borse di ricercatori presso le aziende. È opportuno promuovere queste iniziative "a dimensione culturale" e darne diffusione anche attraverso il coinvolgimento attivo delle associazioni imprenditoriali. In questa categoria di iniziative non rientra solo il giovane che passa dall'università all'impresa, ma anche il caso della creazione degli spin-offi Anche in questo caso occorre fare chiarezza, in un contesto in cui vi sono pochi esempi a far da riferimento in un contesto di piccole dimensioni per quanto riguarda, ad esempio, il numero di brevetti prodotti. All'estero vi sono numeri maggiori, anche se i risultati non sono così eclatanti. Oltre al numero, infatti, va valutata la crescita delle iniziative avviate ed, in genere, si deve constatare che le imprese tendono a rimanere piccole, continuando, ad esempio, a prestare più che altro della consulenza molto specifica nel loro campo di ricerca. Occorre dunque selezionare gli operatori attivi sul mercato.
La mano pubblica Giorgio Petroni, rettore dell'Università di San Marino, si sofferma sul ruolo della "mano pubblica" in qualità di driver dei processi di innovazio-
ne tecnologica. Una prima considerazione è sulle esperienze presentate nel corso del workshop. Petroni nota che alcune di queste sono ancora ad uno stato embrionale, anche se è interessante notare l'impegno che è stato profuso per il loro avvio, in particolare sui versante dei capitali finanziari. Non c'è che da seguire questo movimento augurandoci che possa rafforzarsi ed essere guidato da scelte decise. E soprattutto da condizione di contesto ben diverse da quelle attuali. Negli ultimi anni, infatti, si è diffusa la convinzione, specialmente tra gli economisti, che certi fenomeni possano essere guidati dalle regole del mercato: si fa innovazione tecnologica se c'è domanda e se c'è offerta di conoscenze. Ma spesso si trascura che, nei Paesi sviluppati, l'apripista principale all'innovazione è il soggetto pubblico che non interviene solo attraverso la leva del finanziamento diretto (come, ad esempio, avviene in USA o in Francia, in settori come il nucleare, l'alta velocità e l'agroalimentare), ma anche tramite commesse pubbliche. Il trasferimento tecnologico sfugge al paradigma puramente sociologico della tecnologia della comunicazione. Sarebbe, questo, un paradigma fin troppo elementare, un wishfiul thinking, anche se siamo stati prigionieri di tale semplificazione. Alcune imprese ed università pensano che non ci sia niente di più facile che fare un ponte per trasferire tecnologie. E invece un problema di comportamenti. Se ne sono accorti, ad esempio, in alcuni Paesi industrializzati che hanno adottato manovre articolate per promuovere comportamenti virtuosi. In Francia, ad esempio, il Centre National d'Etudes Spatiales (CNES) ha una struttura tecnica di mille ingegneri, a Tolosa, che stabilisce elevate "specifiche tecniche" che l'industria francese è costretta a rispettare nel realizzare le commesse. E la pratica del "setting standard' che genera un processo di apprendimento che altrimenti non ci sarebbe e che, di fatto, contribuisce a realizzare il trasferimento tecnologico. In Italia non sempre è così: l'Agenzia Spaziale Italiana (Asi), ad esempio, è una agenzia che sceglie i programmi, li finanzia, ne esegue il controllo, lasciando sostanzialmente alle imprese la determinazione delle specifiche tecniche. Gli standard dei "pendolini" che costruisce la FIAT, inoltre, non sono approvati - se non expost— dalle Ferrovie dello Stato. In Italia, in sostanza, si è rinunciato al ruolo della "mano pubblica" come leva di promozione dell'innovazione tecnologica e della domanda potenziale. Tra le indicazioni di policy per l'Italia, dunque, vi deve essere quella di accrescere e rinnovare il ruolo della "mano pubblica". Oggi la quota di spesa pubblica per la ricerca e sviluppo è complessivamente assai scarsa 99
(soprattutto se si guarda alla quota delle ricerca scientifica sul PIL, appena l'l%) e quella che c'è dovrebbe essere maggiormente orientata da criteri più stringenti nella definizione delle commesse pubbliche. Un altro punto fondamentale è il ruolo delle autonomie locali. Anni fa, con la riforma del Titolo V della Costituzione, si sono trasferite delle competenze alle Regioni in materia di innovazione. Nel 1972, le Regioni nascevano in maniera un po ' asfittica nei confronti della società: i Padri costituenti le avevano concepite più che altro per promuovere la sanità, i trasporti, la caccia, i territori, ma non erano ricomprese competenze per lo sviluppo economico e delle imprese. E questo ha causato il progressivo impoverimento di molte zone, non solo al Sud. A Milano ed a Padova, trent'anni fa, ogni mezzo chilometro vi era uno stabilimento produttivo, ma oggi non è più così. Il Polesine ha ?er50 un terzo della popolazione ed anche 1 Italia centrale puo considerarsi una zona d ombra . Oggi la tecnologia è uno strumento di sviluppo del territorio e occorre un grande impegno per risollevare le sorti di queste zone. Ma le Regioni, nel complesso, non sembrano portare un contributo rilevante, forseper incertezza, per mancanza di disponibilità di risorse, o per non aver compreso del tutto l'importanza di questo approccio allo sviluppo. A tal proposito, l'esperienza della Regione Friuli Venezia Giulia offre esperienze come quelle di Trieste ed Udine. Trieste è un'area ricca di risorse: oltre al Parco Tecnologico c'è una buona università. La Regione (a statuto speciale) e la sua società finanziaria già quindici anni fa hanno stanziato la considerevole cifra di mille miliardi da destinare alle politiche ed interventi per l'innovazione. Per certi versi, il caso della Regione Friuli ha delle analogie con quello del Baden-Wiirttemberg, Regione popolata da dieci milioni di abitanti (come il Belgio e l'Olanda) e con un'altissima intensità e convergenza di strutture di ricerca industriale ed investimenti pubblici in cui, non a caso, opera la Steinbeis. Recenti ricerche mettono in evidenza il crescente desiderio di professori e ricercatori italiani - tradizionalmente molto lontani dallo sviluppo applicativo della ricerca, poiché i concorsi non premiano le "applicazioni" di dedicarsi al trasferimento tecnologico. Che cosa manca per realizzare tale desiderio? Certamente non il sapere, ma il saper fare. Si riesce infatti a realizzare il prototipo, ma poi non si riesce a gestire il trasferimento, che pretende altre capacità. Ciò dipende molto anche dalla tipologia di soggetto protagonista del trasferimento: se questo è una piccola impresa, il percorso è più difficile, soprattutto se il partner tecnologico è un labora100
tono universitario, poiché, in genere, non ha l'expertise e le risorse per investire in innovazione tecnologica. Più semplice, invece, è il caso del trasferimento tecnologico promosso dalla grande impresa, o dalla società di engineering, quando collabora con la piccola impresa. In questo caso il "percorso", che ad ogni modo non è univoco, può essere più breve e diretto. Nelle discussioni di questo workshop è stato assente il mondo del "grande credito". A tal proposito si tende ad identificare il grande credito con il capitale di debito. Non è sempre così. In Paesi come Francia, Regno Unito, Germania, ci si occupa istituzionalmente di grande credito. In USA, la NASA, che è un'agenzia pubblica, ha il 60% delle sue applicazioni di spin-off nel settore della sanità, nate grazie ad alleanze con una grande banca: la Merrill Lynch, che ha una sezione specializzata in trasferimento tecnologico spaziale che promuove la NASA, apportando un valore aggiunto di know how di relazioni commerciali. Un'ultima osservazione è dedicata al "mito dell'innovazione" generata da grandi salti tecnologici. Certo, 1 innovazione radicale e fondamentale, ma si sa bene quali siano le difficoltà di fare massa critica. L'innovazione si fa anche sviluppando delle culture tacite, implicite, che le piccole e medie imprese (prevalenti, in Italia) possiedono. Petroni porta due esempi di canali di innovazione "incrementali", tra l'altro, poco sfruttati, a suffragare questa considerazione: il primo riguarda alcuni "saper fare trasversali" legati ad un uso sofisticato del processo di saldatura. Purtroppo si tratta di professionalità scarse e non oggetto di attenzione da parte delle forze industriali. Il secondo caso, analogamente, si riferisce a tecnologie di anticorrosione che consentono un allungamento della vita degli impianti. Anche queste, tuttavia, non sono oggetto della riflessione di iniziative di diffusione e trasferimento tecnologico. Piero Bassetti sottolinea che, dopo una riflessione sulle policy, il richiamo ad un ruolo finalizzato della "mano pubblica" è di enorme importanza perche conoscenza e «saper fare non si incontrano se non per uno scopo ben preciso. La "conquista" della Luna, l'alta velocità, la creazione di un potenziale di difesa, ad esempio, producono salti tecnologici perché rappresentano ragioni forti per tecnologizzarsi. In questi casi conoscenza e implementazione si incontrano più facilmente. Il punto è molto importante perchè richiama il ruolo della politica, ma anche della burocrazia: per dare le "specifiche" ci vuole un corpo burocratico, un retroterra culturale alla Colbert, più che una cultura giuridica. 101
Settori strategici, sviluppo, azioni Sergio De lu/io, Commissario straordinario INM, sottolinea alcuni pregi e ad alcuni limiti dell'esperienze illustrate. Certamente è un pregio il fatto che vi siano numerose esperienze a dimostrare successi di operazioni di trasferimento tecnologico. Ovviamente quelle estere sono più mature, ma anche in Italia ne stanno nascendo di interessanti. Tra i limiti va detto che, anche in presenza di casi pregevoli e specializzati nell'hi-tech, come quelli del Piemonte, si tratta di esperienze brevi, giovani ed ancora non consolidate. V'è da dire che nel workshop non si è data illustrazione di "casi di insuccesso" che invece sarebbe utile analizzare per trarre qualche lezione utile. Tra gli altri pregi del Workshop va detto che le esperienze di innovazione qui presentate sono riferite al settore hi-tech, in relazione al quale l'Italia ha bisogno di maggiore innovazione. C'è da chiedersi se i buoni tassi di crescita di queste iniziative siano dovuti al fatto che le imprese sono di livello top per aver subito un duro processo di selezione, e non tanto perché sia il settore hi-tech ad essere di per sé performante. L'attenzione forte al settore hi-tech è però - osserva De Julio - anche un limite, poiché il trasferimento tecnologico può dare un contributo fondamentale non solo all'industria ad alta tecnologia, ma anche a quella non hi-tech, tradizionale e manifatturiera. Occorre accumulare le esperienze illustrate, selezionare ciò che funziona, mettere a fattore comune esperienze tenendo presente che la "scala locale" offre molte opportunità a sostegno dell'innovazione. Ciò sarebbe importante per sviluppare nuove iniziative in altre Regioni ed in altri comparti produttivi, senza ripetere errori compiuti in passato. Settori scientifici come quello spaziale ed astrofisico rappresentano esempi forti di innovazione tecnologica (e possibilità di trasferimento di conoscenze) perché sono settori che pongono domande, esigenze e requisiti tecnologici estremi. Costituiscono driver importanti per stimolare 1 innovazione tecnologica senza intermediari Il trasferimento tecnologico non è certamente un problema per le imprese italiane ad alta tecnologia, poiché hanno già, al loro interno, risorse umane qualificate in grado di apportare innovazione. Il trasferimento tecnologico è, invece, una criticità per le piccole e medie imprese, che hanno problemi di management, di finanza, di conoscenza di mercati, di suppor102
to all'individuazione delle proprie esigenze, non soio di intermediari per dialogare con l'offerta di ricerca. E qui emerge, in tutta la sua evidenza, quanto segnalato nel libro di Biscotti e Ristuccia, che non è limitato all'esame del trasferimento dal settore spaziale: non esiste ancora un vero mercato del trasferimento tecnologico. Non c'è un mercato dell'offerta, anche se è molto forte, ben qualificata e ben organizzata in "cataloghi di tecnologie"; né un mercato della domanda, che non riesce ad esprimersi in maniera adeguata e ad interloquire e rintracciare l'offerta tecnologica. Questo è un problema che, se bisogna immaginare interventi di strutture dedite al trasferimento tecnologico, va affrontato con molta serietà. Va dunque lanciata una sfida al Css che, prendendo questa iniziativa, si è assunto una grande responsabilità. Almeno queste - sostiene De Julio sono le aspettative di chi ha partecipato al Workshop. Dunque, cosa seguirà a questa iniziativa? Sicuramente una sintesi di quanto è avvenuto in questi giorni e magari un censimento di buone pratiche, grazie a quanto emerso dal dibattito, individuando anche i luoghi istituzionali deputati al trasferimento tecnologico. E importante fare ordine e definire obiettivi e vincoli dell'intervento pubblico, per impedire gli sperperi che ci sono stati in passato.
Tecnologia, innovazione, mercato Piero Bassetti apprezza che sia stato posto negli interventi precedenti l'accento sul rapporto tra alta tecnologia, innovazione e mercato. Perché c'è una certa tendenza ad assumere il mercato come criterio di validazione dell'innovazione, sia quando si tratti di nuovo "saper fare", sia quando si ha a che fare con la "realizzazione dell'improbabile" e cioè il "poter fare". L'innovazione non è la scoperta ma la realizzazione dell'i mprobabile, e quando c'è di mezzo la scoperta, la verifica non può essere fatta dal mercato, che è organizzato per verificare l'esistente, non per verificare quello che non c'era ed è stato scoperto. L'innovazione si può misurare solo nel medio-lungo termine. Il rapporto che esiste tra chi detiene le conoscenze e chi le deve trasformare in saper fare è un problema complesso ed è un tema fondamentale di cui, tra l'altro, la Fondazione Bassetti si occupa molto. Tutta l'esperienza della Silicon Valley non è un'esperienza di trasferimento di conoscenza agli imprenditori, ma è il trasferimento di imprenditorialita agli scienziati. E la storia di chi sapeva cosa fare ed aveva bisogno 103
di qualcuno che lo aiutasse a fare, non è la storia di chi "voleva fare" ed aveva bisogno di qualcuno che gli fornisse il sapere. L'idea del trasferimento di conoscenza come comunemente si intende ha poco senso. In ogni caso, questo processo di mediazione è qualitativamente diverso a seconda che si sviluppi sul fronte della "domanda di capacita di fare , rivolta da chi ha capito, o invece della domanda di capacità di capire", rivolta da chi ha "da fare". È fondamentale capire ciò, perché in questo sta anche la distinzione - possiamo dire - tra l'innovazione di processo e l'innovazione di prodotto.
Piccole piccolissime imprese e capacità di innovazione Attilio Martinetti della Camera di commercio di Milano (Euro Info Center) riflette su alcuni punti. In primo luogo, ci sono molte conoscenze (tecnologie spaziali, ricerca universitaria, ecc.) e c'è una certa diffusione delle competenze necessarie a trasferire tale conoscenza. Esperienze tipo Steinbeis, che pure concentra quattrocento centri di trasferimento in Baden Wurttenberg, sono anche replicabili: in Lombardia si sta sperimentando un progetto pilota per "importare" il modello Steinbeis. Inoltre, è oramai diffusa la convinzione che la competitività debba essere perseguita attraverso l'innovazione tecnologica. Anche dal punto di vista finanziario si ha abbondanza di risorse: il Settimo Programma Quadro stanzia, per i prossimi sei anni, più di cinquanta miliardi di euro. Sono sì fondi di difficile accesso, ma ci sono. C'è anche un altro programma, strutturato in maniera più semplice, il Competitive Innovation Programme (Cip) che stanzia circa 800-900 milioni di euro per incentivare l'innovazione più vicina al target del venture capital. Non si è qui ancora parlato di "limiti dimensionali", ma si sa bene che la capacità di accesso o di assorbimento è ridotta nelle piccole imprese. Se qualcosa manca, dunque, sono proprio le imprese, le quali sono di piccola dimensione e non sono nelle condizioni per crescere. Guardando al caso dell'Italia, il criterio del numero è severo: non arrivano a quattromila le imprese con più di duecentocinquanta addetti; e quelle con meno di dieci addetti sono più dell'80%, superiori anche alla media europea. Se questa è la dimensione, tra le molte carenze che ci sono, è difficile rintracciare condizioni di crescita. Il trasferimento tecnologico può essere allora uno strumento da utilizzare per affrontare questi problemi, quale che sia 104
il meccanismo o la "capacità di assorbimento" di imprese di queste dimensioni. La Camera di commercio di Milano, senza la pretesa di realizzare un'indagine qualificata su tutto il territorio nazionale, ha promosso un'indagine sulle imprese lombarde dei settori più performanti: il biotech, l'Icr i nuovi materiali e la moda. Su un bacino di 100.000 imprese, sono stati sottoposti questionari ad oltre cinquemila imprese con più di quindici addetti. Mille imprese hanno risposto ad un questionario qualitativo, composto da ottanta parametri. A seguito delle risposte al questionario, solo il 9% di imprese può essere considerato innovativo, il 21% circa aspirante, ossia ha compreso che dovrebbe innovare, ma non lo fa principalmente per mancanza di skills o di prospettiva (il 40% degli imprenditori di questa categoria di imprese sono anziani, ed ha dichiarato che cederà l'attività). Dunque, le imprese innovano poco per motivi diversi e per mancanza di spirito. E perché l'innovazione è un investimento difficile e costoso.
In che misura un soggetto pubblico può svolgere un ruolo efficace? Certamente oggi si è potuto apprendere molto dai casi analizzati, che pur hanno avuto tempi gestazionali lunghi nonostante la localizzazione in aree geografiche circoscritte e fortemente sostenute dal settore pubblico, come l'Area Science Park di Trieste, ad esempio. Non sempre il soggetto pubblico - afferma IVfartinetti - deve essere necessariamente il driver dell'innovazione. Il sistema pubblico, più in generale, deve garantire le condizioni di contesto, rimuovere le difficoltà, non incidere direttamente sugli operatori. Un esempio degli sforzi e delle difficoltà nell'esercizio di tali funzioni in area lombarda: nel 2007 il sistema delle undici Camere di commercio lombarde ha promosso un Accordo Quadro per la Competitività, insieme alle quattro Province, con il fine di creare un fondo unico regionale. Si è convenuto di stanziare la "considerevole" cifra di 208 milioni di euro, su base triennale, per tutta la Regione Lombardia (ottocentomila imprese e dieci milioni di abitanti), equivalente al budget dell'Assessorato all'Innovazione della Provincia di Trento (che conta quindicimila aziende e trecentottantamila abitanti), una Provincia che può contare anche su un'intensità maggiore di investimenti mirati, come quelli di un Parco scientifico e tecnologico che ha una capacità di attrazione di otto-novecento ricercatori, una capacità simile a quella dei Paesi esteri. 105
Un'ulteriore osservazione sulle finalizzazioni del trasferimento tecnologico. Il Centro Ricerche FIAT ha trenta ricercatori che, come attività principale, sviluppano nuovi metodi per la raccolta delle mele, applicando le tecnologie già in uso alla utility company ATM per rifornire le utenze energetiche. Le tecnologie, dunque, sono trasversali, ed è vero che il trasferimento più interessante è anche verso i settori non hi-tech, che sono anche più vasti. Sicuramente occorre intervenire per aumentare la capacità di assorbimento, ossia la capacità delle imprese di recepire il trasferimento tecnologico, al di là di come questo debba essere definito. Infine, un suggerimento per il Css. Nell'ordinare i pensieri della Pubblica amministrazione, che si deve prendere le sue responsabilità, sarebbe bene fare una provocazione: sottolineare la valenza di una prassi, la "definizione stipulativa", con cui la Pubblica amministrazione deve definire i propri interventi in maniera precisa, non in modo generico (come, ad esempio, il solito, generico obiettivo "finanziare l'innovazione"). Un esempio di definizione funzionale è stato dato dai policy makers di Torino, che hanno deciso di puntare sul distretto dell'ICT. Ciò obbliga a dichiarare quali sono gli impegni da prendere e rispettare.
Ridisegnare ruoli e competenze tra Stato ed altri attori pubblici e privati: domanda pubblica eprocessi di apprendimento Secondo Rolfo commenta le osservazioni fatte sul ruolo della domanda pubblica così come verificato (e funzionante) all'estero. In Italia, qual è la domanda pubblica? Pare che, in questi anni, le Ferrovie dello Stato, dopo la privatizzazione, abbiano privilegiato il taglio dei costi, che ha significato smantellare sostanzialmente quell'apparato tecnico che era presente. La tradizione della Pubblica amministrazione italiana è giuridica e non tecnica. La domanda pubblica è un motore importante se ha gli strumenti, ma è francamente difficile pensare ad una riforma del settore pubblico nei termini di acquisizione di competenze che non ci sono mai state. Le esperienze piemontesi, queste sì, sono esperienze nuove, ma si inseriscono in coda ad una serie di esperienze di insuccesso (alcuni Parchi sono stati chiusi) e quindi un processo di apprendimento c'è stato. Il trasferimento tecnologico va favorito anche presso settori non hi-tech. A Trieste è stato fatto un grosso lavoro sul territorio per sviluppare bassa o medio-bassa tecnologia in settori tradizionali di produzione. In questo 106
Paese, le imprese dei settori tradizionali rappresentano uno zoccolo duro e gli interventi innovativi non sono facili. Tutti gli esperimenti di distretti industriali e centri di servizi per l'innovazione hanno avuto poco successo, anche per una ragione di strutturazione di queste iniziative che, in questa fase di intenso cambiamento, non riescono ad essere sostenibili nel tempo. Il tema della domanda pubblica è ripreso anche da Sergio Ristuccia e contestualizzato all'interno del possibile lavoro che il Css si impegna a realizzare. Il Css continuerà a lavorare attraverso il contributo di Andrea Bonaccorsi e di Massimiano Bucchi, che coordinano una Commissione di studio per condurre una riflessione più ricca, sul piano metodologico, sui ruolo che le scienze sociali possono e devono avere in questi processi dell'economia della conoscenza e dell'innovazione. Sono molti i campi di intervento interdisciplinare di interesse per il Consiglio, che ha statutariamente il compito di riflettere sullo stato delle scienze sociali e sul contributo che esse possono dare alle politiche pubbliche. Tra cui, le politiche della scienza e le politiche pubbliche dell'innovazione. La riflessione dovrà considerare anche misura e tipologia del contributo che il soggetto pubblico è chiamato a dare, in modo diverso rispetto a qualche anno fa, visti i cambiamenti della funzione stessa dello Stato, non più sportello cui l'industria chiede dei finanziamenti. Lo Stato non è in grado di fornire ed imporre specifiche tecnologiche esecutive. In Italia si è chiusa la stagione di amministrazioni tecniche brillanti e non è subentrato un diverso soggetto a questo tipo di amministrazioni. Neanchè le agenzie tecniche sono sufficientemente tecniche. È questo il punto che occorre sottolineare, altrimenti si parla del ruolo dello Stato in termini ripetitivi e poco convincenti. Il soggetto pubblico gioca il suo vero ruolo nel campo dei sapere, nelle modalità di fare le commesse e la ricerca, sia nella scelta delle politiche sia nel far seguire alla scelta politica le elaborazioni attuative. Tutto ciò non è un tema consueto, né normalmente affrontato, totalmente superato in maniera brusca. Il Css dovrà riflettere anche sugli spunti che il Workshop e la tavola rotonda hanno dato al tema della Pubblica amministrazione. 107
Linee di sviluppo efficaci Detto tutto ciò, secondo Bonaccorsi va rimarcato sicuramente un dato: fino a cinque anni fa, esperienze come quelle presentate in questo Workshop non esistevano. Ciò pone anche un problema di indirizzare le esperienze lungo efficaci linee di sviluppo. C'è innanzitutto da tenere presente la scala di investimento e l'orizzonte temporale. Non funzionano esperienze episodiche e progetti isolati, non funzionano attività su piccola scala. E importante il market size ed, in un certo senso, occorre selezionare i percorsi ed i progetti in base ad un orizzonte temporale non breve. Ha senso intraprendere nuove iniziative se si ha un orizzonte di tempo e di risorse adeguato. Un secondo tema è quello dell'orientamento al mercato che può giocare il suo ruolo in vari modi (è questo un altro tema interessante di indagine delle Scienze sociali). t chiaro che l'esperienza italiana, rispetto ad esempio ad altre esperienze europee più orientate al mercato (come quella inglese), è caratterizzata da mercati non sufficientemente sviluppati. Non ci sono mercati della tecnologia che funzionano bene, tali da favorire lo sviluppo ed il riconoscimento economico di attività di brokeraggio tecnologico, di marketing oftechnology licencing né esiste un mercato del deal flow delle start-up che si autogeneri. Nella fase attuale il "market creation" è ancora un obiettivo da raggiungere. Chi può "spingere" tali processi? I neoimprenditori che promuovono start-up, i finanziatori, le grandi imprese, disposte a colmare il gap esistente tra i prototipi e lo scale-up industriale. Il ritardo nella "creazione del mercato" è dovuto al fatto che, ancora, vi è elevata incertezza. I soggetti finanziari, tranne qualche eccezione, percepiscono un rischio eccessivo in merito a tali questioni. La divisione del lavoro dei soggetti è ancora abbastanza limitata, e ci si confronta con Paesi le cui storie (ad esempio, Oxford) superano di vent'anni quella italiana. Un altro fattore interessante è quello che riguarda il livello di professionalizzazione degli operatori del trasferimento tecnologico. L'obiettivo importante è far crescere di livello la professione fino ad arrivare ad una sorta di "comunità professionale". Ci sono già esempi molto promettenti di imprenditori-professionisti che si contornano di giovani che, nel tempo, si rivelano una risorsa straordinaria. Quali sono le condizioni che permetterebbero una crescita di questi fattori? Primo. Prendere atto che deve esistere una sorta di "ecologia", di "natura sistemica", di "ciclo di vita" o di "orizzonte temporale" come sfondo delle 108
iniziative di trasferimento tecnologico. Si richiedono attività di una visione ampia, sistemica, in cui nessuno è autoreferenziale e c'è molta interazione fra i vari soggetti. I tempi di tali interazioni non sono comprimibili. In questa categoria di condizioni deve essere data cura alla fase di pre-incubazione, di "primo miglio", di "incubazione", di "exit" e, per la finanza, di pre-seed, di seed, di venture capital, di espansione. Con riferimento al rapporto con le piccole e medie imprese, va posta particolare cura all'attività di assessment iniziale generale e specifico. Ciò vale anche nel caso del trasferimento promosso e gestito dai grandi enti di ricerca come l'EsA ed il CEI.1'4. Anche in questi casi c'è un ciclo incomprimibile di informazione-disseminazione-forum-negoziazioni-informazioni sui significati delle tecnologie. Questo ciclo ha un senso se inserito in un quadro strategicogestionale chiaro ed in un orizzonte temporale di lungo. periodo. È una condizione essenziale ed obbligatoria. Secondo. Orientare le iniziative ai risultati. L'Italia è in ritardo rispetto agli altri Paesi, ma ha la fortuna di avere alcune esperienze importanti di successo da cui trarre insegnamenti. Occorre forzare i processi di progressivo apprendimento istituzionale per ottenere risultati, grazie al contributo di chi sa fare questo mestiere. Dunque, fuori i soggetti di intermediazione passiva. Fuori chi promette di fare il trasferimento e non lo fa. Occorre apprendere il mestiere, non lamentarsi che le cose sono difficili (attirando, di conseguenza, i puntuali rilievi della Commissione europea).
L'apporto del Consiglio italiano per le Scienze Sociali Piero Bassetti, Presidente della Fondazione Giannino Bassetti, ricorda che l'occasione offerta da questo Workshop in termini di raccolta e confronto tra impressioni critiche ed esperienze di metodo e di merito sarà oggetto di un'analisi progettuale, sui suggerimenti e sul quid agendum futuro, da parte del Consiglio italiano per le Scienze Sociali, anche attraverso il lavoro della Commissione "Produzione e trasformazione della conoscenza scientifica e tecnologica", coordinata dai professori Andrea Bonaccorsi e Massimiano Bucchi. Un aspetto su cui il Css potrebbe favorire una riflessione è quello della "dimensione professionale" e sull'emergere di una sorta di comunità professionale che sa esercitare questo mestiere, chi sul versante della finanza, chi sulla due diligence, chi sul supporto alle piccole imprese, chi sul technology transfer, chi sulla gestione brevettuale. Esiste una leva di professio109
nisti di un ambito diverso dalla ricerca e dall'industria, ed è molto importante che acquisisca un'identità ed una robustezza. Per il Css, dunque, ci sono prospettive importanti di ricerca delle scienze sociali. Dal punto di vista delle scienze economiche vi sono molti aspetti legati alla valutazione dell'impatto degli investimenti. Nei prossimi mesi, ad esempio, il ministero dello Sviluppo Economico dovrà garantire che i fondi strutturali su tutto l'asse dell'innovazione, avendo ricevuto un aumento significativo, siano impegnati secondo criteri di efficacia ed efficienza più severi rispetto al passato. Ciò va fatto usando strumenti più sofisticati di quelli attuali. Si è parlato anche del tema dei beni giuridici e della proprietà intellettuale. Ciò è un tema che interessa la sociologia della conoscenza e la psicologia che si pongono domande quali: In che modo si trasforma la conoscenza quando passa da un soggetto ad un altro? Essa viaggia con le persone o no? In quale maniera interagiscono queste persone che esprimono culture forti (la scienza, la tecnologia, l'impresa, e così via)? Date queste premesse, il Css non vuole essere l'ennesimo soggetto che si interessa della questione. Non ha nessuna titolarità e utilità a farlo, ma può essere un autorevole soggetto terzo che apporta il punto di vista delle scienze sociali e, pertanto, non è interessato in senso stretto ai risultati dei processi, ma a far incontrare operatori che hanno linguaggi diversi, che vanno tradotti e valorizzati. In questi anni, è in atto una forte turbolenza e dinamismo. E importante, dunque, che le esperienze emerse non perdano l'occasione di questo apprendimento e che stringano legami forti con i soggetti che hanno maggiore forza e funzionamento. Dal punto di vista di questo tema così complesso e multidimensionale, il Css può svolgere un utile ruolo di servizio e di stimolo. Sergio Ristuccia, ripercorrendo gli spunti di carattere generale e le sfide poste dal dibattito, osserva che non si può accogliere il suggerimento di Ennio Flaiano: "Chi apre un discorso, lo chiuda". Il discorso non si può chiudere, ma va portato avanti, e sarà compito del Consiglio raccogliere le indicazioni emerse e creare l'occasione di incontri più focalizzati, con l'intento di confrontare esperienze e di facilitare, casi concreti in corso d'opera, come quello, ad esempio, del trasferimento tecnologico di origine spaziale. 110
* Resoconto del Workshop "Le politiche del
trasferimento tecnologico in Europa: esperienze e progetti" organizzato dal Css presso Moncalieri nelle giornate del 4-5 ottobre 2007. Alcune definizioni tratte da Technology Transfer Accelerator, Firial Report, a cura dell'European Investment Fund (September 2005): "Technology transfer is the process of converting scientific findings from research laboratories into useful products by the commercial sector" (Biomedical Centre, Uppsala. Fonte: http://xray.bmc.uu.se/-kenth/bioinfo/glossary.h tml); "Technology transfer is the process of moving an unexploited body of knowledge or know-how from a source organisation, where ir has been created or enhanced, to another organisation where it will be reduced to practice and exploited commercially. Generally, the knowledge or know-how is in a 'disembodied' form, i.e., ir is not deliverable in the form of a product or piece of equipment. This can occur through a formai legai arrangement or informally through literature, conferences, personal contacts, or the like" (GeoConnections, iniziativa per la realizzazione della Canadian Geospatial Fonte: Data Infrastructure, CGDI. http://www.geoconnections.org/CGDI.cfm/fuseaction/policySupporting.seeFile/id/95/gcs.cfm); "Technology transfer is the process of developing practical applications for the results of scientific research. While conceptually the activity has been practiced for many years, the present-day volume of research, combined with high-profile failures, has led to a focus on the process itself. Many companies, universities, and governmental organisations now have an 'Office ofTechnology Transfer' dedicated to identifying research results of potentiai commercial interest, and to developing strategies for how to exploit them. For instance, a research result may be of interest, but patents are usually only issued for practical processes, and so someone, not necessarily the researchers, must come up with a specific pracrical process that depends on the re-
sult. Another consideration is commercial value; for instance, while there are many ways to accomplish nuclear fusion in practice, the ones of commercial interest are those that put out more energy than they take in. As a resuir, technology transfer organisations are often multidisciplinary, including scientists, engineers, economists, and marketers" (Wikipedia). 2 Cf. Css, (a cura di A. Silj), Le scienze sociali trent'anni dopo, Marsilio, Venezia 2006. 3 Per i materiali e le informazioni sulla Commissione, si veda il sito web del Consiglio: http://www.consiglioscienzesociali.org ' Così è stata concettualizzata nel recente rapporto dell'Expert Group che ha lavorato per la Commissione europea, intitolato suggestiva-
mente Taking The European Knowledge Society Seriously (2007). Trad. it.: Scienza e Governance. La società europea della conoscenza presa sul serio, Rubbettino, 2008 5 Le filiali si distinguono in base al campo di azione ed alle istituzioni con cui sono in relazione: università di scienze applicate; università di educazione cooperativa; altre università ed enti di ricerca; gestione della cooperazione con i partners; shareholdings. Gli uffici della Steinbeis sono disseminati in quindici Paesi, ed i suoi partner in quarantasette nazioni. Il network giapponese non è una filiale vera e propria, in quanto ha un proprio nome, ma è comunque parte del network Steinbeis. Accade lo stesso anche in Italia, poiché il marchio Steinbeis non è conosciuto quanto il nome dell'impresa locale affiliata. 6 Boerci lavora presso l'European Space Research and Technology Centre (ESTEC), in Olanda, da oltre venti anni, occupandosi di trasferimento tecnologico. 7 Si tratta di servizi di ricerca di partner, contrattualistica per l'industrializzazione, valorizzazione e sviluppo di prodotti e servizi, accesso alla finanza agevolata per la R&S, creazione e svi ; luppo di nuove iniziative imprenditoriali, spinoff della ricerca, tutela della proprietà intellettuale e la disciplina dei brevetti, servizi di rela111
zioni nazionali/internazionali, di stipula di accordi di collaborazione nel settore della ricerca, per conto di partner e istituzioni, di implementazione/sviluppo dei collegamenti tra insediati, università e istituzioni scientifiche, di supporto tecnico scientifico alle Amministrazioni pubbliche, di informazione sulle competenze scientifiche, le tecnologie e i brevetti, servizi promozionali e di supporto (valorizzazione dell'attività di ricerca e diffusione dell'innovazione, organizzazione di convegni, seminari, conferenze, tavole rotonde, simposi). 8 Formazione specialistica, in collaborazione con le università, formazione superiore e imprenditoriale non universitaria, promozione di collegamenti con il mondo della formazione. 9 F. Biscorri, M.S. RISTUCCIA, Trasferire tec-
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nologie. Il caso del trasferimento tecnologico di origine spaziale in Europa, Marsilio, 2006. Qui si afferma che l'elemento discriminante che distingue il trasferimento dalla diffusione sta nella sostanziale volontà di almeno due parti di determinare un trasferimento, e quindi di regolarlo attraverso qualche tipo di accordo formale. La diffusione, invece, è un fenomeno più spontaneo e legato alla capacità del mercato di adottare progressive innovazioni. IO Nel 2006 è stata fondata PDmA Area South Europe, con il compito di espandere il ruolo di PDMA nell'Europa latina. Di recente, è nata anche una sede tedesca. Il Quantica collabora con il fondo rotativo della Camera di commercio di Pisa ed ha, tra i sottoscrittori, il fondo NEx1' di Finlombarda.
queste istituzioni n. 149 aprile-giugno 2008
Verso gli obiettivi di Lisbona? di Fabio Biscotti
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agionare sui tema del ritardo competitivo dell'industria italiana rispetto a quella europea e mondiale significa riferirsi alla c.d. "Strategia di Lisbona" (Consiglio Europeo del 23 e 24 marzo 2000), di cui già si è parlato nelle pagine di "queste istituzioni" (v. n. 140-143/2006) che ha fissato l'obiettivo - da raggiungere entro il 2010 di "fare dell'Unione Europea la società basata sulla conoscenza più avanzata del mondo". A circa due anni dalla meta l'Italia è tra i Paesi ad avere il più forte ritardo, come risulta dalle classifiche redatte da prestigiosi centri europei (si vedano i dati elaborati da Wanlin in Sluggish Eu "Lisbon Agenda' Bodes III for Modernization, European Affairs, pubblicazione dell'European Institute, spring/summer 2006) e come ha affermato il Ministro Emma Bonino, a cui compete la firma del Rapporto suilo stato di attuazione dell'Agenda di Lisbona'. In questo quadro si inseriscono riflessioni autorevoli come quelle degli economisti Bonaccorsi e Grane111 2 e del Consiglio italiano per le Scienze Sociali che ha pubblicato il lavoro di una sua commissione di studio sull'evoluzione delle nuove forme di imprenditorialità da un modello manifatturiero a quello di un terziario avanzat0 3 . Si tratta di analisi che fanno il punto sulle tendenze di un più vasto fenomeno del passaggio dalla c.d. "technology policy" alla "innovation policy" che si basa sull'affermazione di nuove forme di imprenditorialità basate sulla c.d. "economia della conoscenza" (passaggio che è stato esaustivamente spiegato, tra gli altri, da Susana Borrs in The Innovation Policy of the European Union, 2003). L'economia della conoscenza, in generale, sposta l'asse del confronto tra i Paesi evoluti od emergenti: il modello della riduzione dei costi dei fattori produttivi, perseguito grazie alle possibilità della delocalizzazione, risulta già obsoleto e non sufficiente a rispondere a sfide competitive nuove offerte da un'economia sempre più globale. Quello che emer113
ge è uno scenario in cui nuove forme di saperi interagiscono secondo dinamiche che sfuggono alle tradizionali regole dell'economia e della produzione industriale ed entrano in gioco fattori nuovi: il know how, l'intelligenza, il saper fare ed il saper fare rete. Ciò che sempre più conta sono fattori intangibili, come ad esempio l'accesso ad un "sistema aperto" in cui potersi scambiare i saperi ed in cui giocare la nuova sfida dell'innovazione. Nel rapporto del Governatore della Banca d'Italia Mario Draghi "Istruzione e crescita economica" (9 novembre 2006) si legge: "L'Italia, tra i Paesi a più elevato livello di sviluppo, è finora caratterizzata per l'anomalia e la staticità del suo modello di specializzazione, in cui spiccano proprio i comparti caratterizzati da medio-bassa intensità di capitale umano: è un modello coerente con una scarsa dotazione relativa di manodopera a elevata qualifica. Nel nuovo contesto tecnologico e competitivo tale modello penalizza la nostra economia, ostacolandone l'inserimento nei comparti innovativi oggi più dinamici ed esponendola alla inasprita concorrenza dei Paesi emergenti". Sono parole che destano preoccupazione per un futuro che non accenna a dare segnali di svolta. E non bastano certo, a tal fine, i successi positivi ma isolati delle aziende che tengono alto il nome del made in Italy all'estero. Nella convinzione che un sistema di mercato non riesca, da solo, a far adattare ed evolvere la nostra economia e che l'adozione di misure protezionistiche siano controproducenti per le stesse imprese protette, si deve quindi riflettere in che modo le Autorità pubbliche possano efficacemente trovare soluzioni idonee a stimolare innovazione e competitività. A tal fine partiamo da una ricostruzione sintetica e non esaustiva degli interventi di public policy più o meno recenti, di cui viene commentata brevemente la ratio. In particolare, dopo una breve considerazione degli interventi formativi del periodo 2005-2006, ci soffermiamo sugli interventi che ricadono nell'ambito del programma del Governo Prodi "Industria 2015". Di seguito, analizziamo un altro strumento rilevante in ambito di politica dell'innovazione: il ruolo di enti (nuovi ed esistenti) finalizzati all'innovazione. 114
IL FONDO PER LINNOVAZIONE, LA CRESCITA E Ii'OCCUPAZIONE
Nel quadro del rilancio della strategia di Lisbona, nel 2005 il Governo ha elaborato il Piano italiano in attuazione del Piano per l'innovazione, la crescita e l'occupazione - il c.d. "Pico" - deciso nel Consiglio europeo del giugno 2005 ed approvato il successivo 14 ottobre. Le linee guida del PiGo italiano sono state raggruppate in cinque categorie operative: l'ampliamento dell'area di libera scelta dei cittadini e delle imprese; l'incentivazione della ricerca scientifica e dell'innovazione tecnologica, il rafforzamento dell'istruzione e della formazione del capitale umano; l'adeguamento delle infrastrutture materiali ed immateriali; la tutela ambientale. La seconda categoria si riferisce direttamente agli obiettivi della politica dell'innovazione che sono qui di più stretto interesse. La legge finanziaria per il 2006 (L. 23 dicembre 2005, n. 266) ha disposto l'istituzione, presso la Presidenza del Consiglio, di un Fondo per l'innovazione, la crescita e l'occupazione destinato a finanziare i progetti individuati dal Pico. Per il triennio 2005-2008 sono stati individuati fondi all'interno del bilancio dello Stato per 46 miliardi di euro, circa il 3 % del Pil italiano, nel rispetto degli accordi presi in sede europea. Dei 46 miliardi, quasi 30 sono erano già stati individuati negli stanziamenti di cassa 2005 mentre gli altri erano previsti in competenza 2006-2008. Tuttavia non si è stabilita una dotazione per il fondo: il comma 358 della legge Finanziaria ha definito che "gli interventi e i progetti ... possono essere realizzati sui presupposti del reperimento delle necessarie risorse finanziarie con successivi provvedimenti legislativi, e della identificazione di ulteriori coperture finanziarie concordate e verificate con la Commissione europea...". Non è stata quindi stanziata la parte più consistente del fondo. I DISTRETTI PRODUTTIVI Inoltre, con il comma 366 dell'articolo unico, modificato dal comma 889 dell'art. 1, legge 27 dicembre 2006, n. 296, la legge finanziaria per il 2006 ha previsto l'emanazione di un decreto interministeriale di concerto con il ministro delle Attività Produttive, con il ministro delle Politiche agricole e forestali, con il ministro dell'Istruzione, dell'università e della ricerca e con il ministro per l'Innovazione e le tecnologie, per la definizione dei criteri e modalità per i distretti produttivi, ai quali sono destinati incentivi fiscali, alcune semplificazioni amministrative, agevolazioni di ti115
po finanziario e disposizioni per la ricerca e svilupp0 4. I distretti produttivi sono qualificati come libere aggregazioni di imprese articolate sul piano territoriale e sul piano funzionale, aventi la finalità, da perseguirsi secondo i principi di sussidiarietà orizzontale e verticale ed anche individuando modalità di collaborazione con le associazioni imprenditoriali: di accrescere lo sviluppo delle aree e dei settori di riferimento; di migliorare l'efficienza nell'organizzazione e nella produzione. Con il termine "distretto produttivo" si dà per scontato un significato più ampio e coerente ai tempi odierni rispetto a quello del termine "distretto industriale". Distretto produttivo, infatti, sta per capacità del sistema di imprese e delle istituzioni locali di sviluppare una progettualità strategica, orientata a creare e rafforzare i fattori territoriali di competitività. L'esistenza di un distretto produttivo non dipende più solo dalla possibilità di misurare su un dato territorio alcune variabili strutturali (numero di imprese, occupazione, grado di specializzazione), ma anche dalla capacità degli attori locali di costruire strategie cooperative e di investire in progetti e istituzioni comuni5 . Il2 marzo del 2006 è stata nominata una Commissione di studio composta da 39 esperti (più tre componenti in rappresentanza delle Regioni, delle Province e dei Comuni) incaricati di redigere lo schema di decreto entro il 31 ottobre del 2006. ULTERIORI INDIRIZZI DI POLITICA INDUSTRIALE: LA LEGGE PER LA COMPETITIVITÀ
Alcuni tra gli strumenti per favorire la competitività e l'implementazione di misure di politica industriale adottati nel 2005 sono stati in parte rivisitati dal Governo Prodi. Va qui osservato che era stata promulgata la legge 14 maggio 2005, n. 80, di conversione - con modificazioni - del decreto legge n. 35/05 "Disposizioni urgenti nell'ambito del Piano d'azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale", c.d. "legge per la competitività", su cui si basa il "Piano triennale degli obiettivi del Ministro delle attività produttive - indirizzi e priorità di politica industriale" (c.d. Piano Scajola, con periodo di riferimento 2006-2008). Vari i provvedimenti attuativi della "legge per la competitività" orientati prevalentemente alla riforma degli incentivi alle imprese e alla disciplina sugli aiuti di Stato per il salvataggio e la ristrutturazione delle imprese in difficoltà. Per quanto riguarda gli investimenti in ricerca e sviluppo si 116
tratta degli art. 6 e 6-bis e, per il sostegno alle attività produttive, dell'art. 11 (si veda il box n. 1). Box n. i
Incentivi alle imprese Il Decreto interministeriale i febbraio 2006 "criteri, condizioni e modalità per la concessione ed erogazione delle agevolazioni alle attività produttive nelle aree sottoutilizzate" prevede uno snellimento delle procedure ed una diversa procedura di selezione delle proposte, nonché una nuova definizione dei requisiti per l'accesso al finanziamento agevolato a valere sulle disponibilità del Fondo rotativo della Cassa depositi e prestiti. La circolare operativa n. 980902 del 26 marzo 2006 definisce ulteriori criteri di riferimento per l'accesso alle agevolazioni del fondo della legge 488/92. Disciplina sugli aiuti di Stato La Delibera CIPE del 29 settembre 2005, emanata in attuazione dell'art. 11 della legge 80/05, definisce "Criteri e modalità di funzionamento del fondo per il finanziamento degli interventi consentiti dagli orientamenti UE sugli aiuti di Stato per il salvataggio e la ristrutturazione delle imprese in difficoltà".
"INDUSTRIA 2015"
Tra gli interventi di ampia portata che di recente sono stati apportati vi è da segnalare il disegno di legge presentato ed approvato nel Consiglio dei ministri del 22 settembre 2006 dal ministro per lo Sviluppo Economico, che in parte è stato recepito dalla legge 26 dicembre 2006 n. 296, recante "Interventi per l'innovazione industriale, nonché deleghe al Governo in materia di riordino del sistema delle agevolazioni alle imprese, della disciplina delle reti di impresa e del codice della proprietà industriale". Come illustrato nella relazione di accompagnamento conosciuta come "Industria 20 15-Indirizzi per una nuova politica industriale", il disegno di legge vuole "rilanciare una nuova strategia di politica industriale che avrà l'obiettivo di coniugare l'esigenza di rafforzamento complessivo del sistema delle imprese e, in particolare delle piccole e medie imprese, con quella di favorire una evoluzione strutturale del sistema produttivo verso assetti più compatibili con i nuovi scenari competitivi". Tali assetti intendono giustamente il termine "Industria" non soio come "manifattura" ma anche e soprattutto nell'accezione più ampia di un'eco117
nomia moderna ed avanzata caratterizzata da una "crescente integrazione tra beni e servizi". Al fine di restituire all'industria il ruolo di traino dell'economia vengono proposte diverse strategie di intervento: misure per incidere sulle condizioni di contesto mediante il "sostegno generalizzato" dell'apparato produttivo e misure dirette alle imprese, c.d. "misure selettive". Il testo del d.d.l. è diviso in tre titoli: Interventi per la competitività; Interventi per la crisi d'impresa; Interventi in materia di brevetti. Rimangono tuttora sotto forma di progetto di legge le previsioni in materia di riforma della proprietà industriale e di reti di impresa mentre sono state inserite nella legge finanziaria le varie disposizioni di incentivazione finanziaria per l'innovazione tecnologica e per il rilancio industriale. Esaminiamo di seguito le principali disposizioni proposte.
Interventi per la competitività Si tratta di interventi relativi a progetti di innovazione industriale, per la finanza innovativa, di nuove reti di impresa. Prevede, inoltre, interventi relativi alla materia della crisi d'impresa e dei brevetti.
Progetti di innovazione industriale Tra gli interventi per la competitività si prevede la predisposizione di un "Documento di programmazione per lo sviluppo" in cui individuare singoli "Progetti di Innovazione industriale", riferiti a specifiche aree tecnologico-produttive da promuovere mediante un sistema più razionale di incentivi (si veda il box n. 2). Vengono promossi, insomma, vari tipi di interventi di cui la legge finanziaria per il 2007 (co. 842) ha individuato le aree tecnologiche che sono: - efficienza energetica - mobilità sostenibile - nuove tecnologie della vita - nuove tecnologie per il made in Italy - tecnologie per i beni e le attività culturali. L'attenzione in ogni caso è concentrata sull'alta tecnologia quale potenziale di sviluppo di mercati autonomi così come al trasferimento tecnologico, alla creazione di nuove attività imprenditoriali o azioni più generiche di sostegno alle imprese. 118
Box n. 2
Tali progetti si caratterizzano, come enuncia l'art. 1, co. 5, per "la focalizzazione sugli obiettivi di avanzamento tecnologico ... ; la ricaduta industriale in termini di nuovi processi, prodotti o servizi, relativi a segmenti di mercati in crescita; l'integrazione degli strumenti di aiuto alle imprese, le azioni di contesto collegate e le azioni di regolamentazione e semplificazione amministrativa; il coinvolgimento in forma singola o consorziata di grandi imprese, piccole e medie imprese, centri di ricerca pubblici e privati anche attraverso lo sviluppo del partenariato pubblico-privato, in conformità agli orientamenti comunitari in materia; la sinergia delle attività dei soggetti pubblici responsabili delle azioni a sostegno del sistema produttivo, con particolare riguardo al coinvolgimento delle Regioni interessate tramite la valorizzazione delle loro attività di politica industriale; l'attenzione ai processi di creazione e di sviluppo di imprese giovanili nelle aree tecnologiche e produttive individuate come prioritarie; il rilancio dei siti interessati da crisi di settori produttivi, con particolare attenzione al Mezzogiorno.
I Progetti di innovazione industriale possono avere ad oggetto: - gli investimenti e le attività delle imprese coinvolte nel progetto; - le infrastrutture di diretto supporto a insediamenti produttivi e attività di impresa; - gli interventi regionali con effetti complementari e integrativi dei progetti e delle azioni di cui al comma i (interventi di sostegno agevolativo alle imprese); - ogni altra misura ritenuta utile per il perseguimento degli obiettivi fissati. Rilevante e, possiamo dire, quasi scontato, è il richiamo all'utilizzo del partenariato pubblico-privato (nel box 2) per l'attuazione di tali interventi. La definizione dei contenuti di tali progetti è demandata ad un responsabile diprògetto (co. 843 e 844) mentre ad un apposito decreto del ministero dello Sviluppo economico (co. 846) spetta l'adozione del progetto e la definizione delle sue modalità attuative, stabilendone i relativi co-finanziament1 6 . I progetti, infatti, potranno essere finanziati dallo Stato, dalle Regioni e da altri soggetti pubblici e privati 7 Sono stati approvati i decreti attuativi dei primi tre Progetti di Innovazione Industriale (Efficienza Energetica, Mobilità Sostenibile e Nuove Tecnologie per il Made in Italy). I bandi di gara partiranno nel mese di .
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marzo 2008. Quello relativo ai progetti di efficienza energetica ha una dotazione di 200 milioni di euro.
Fondo per la competitività e lo sviluppo I bandi di finanziamento dei Progetti di Innovazione Industriale sono finanziati con le risorse del "Fondo per la competitività e lo sviluppo", istituito presso il ministero per lo Sviluppo economico. Il fondo, in realtà, non stanzia nuove fonti finanziarie ma è un vero e proprio strumento di riorganizzazione e razionalizzazione dei diversi finanziamenti esistenti. L'intervento, in ogni caso, è meritevole proprio per questa ragione, potendo rendere pii semplice l'orientamento dei richiedenti all'interno della preesistente giungla delle agevolazioni finanziarie. Viene disposto, infatti, (art. 4, co. 1) che al fondo confluiscano le risorse già assegnate ad altri fondi, che vengono contestualmente soppressi 8 . Il Fondo sarà altresì alimentato dalle risorse assegnate dal CIPE al Ministero per lo Sviluppo Economico nell'ambito del riparto del Fondo per le Aree Sottoutilizzate (FAs) e, in coerenza con gli indirizzi del Quadro Strategico Nazionale per le politiche di coesione e per la programmazione degli interventi dei fondi strutturali per il periodo 2007-2013, dalle risorse assegnate dalla legge finanziaria. Il co. 841 della legge finanziaria per il 2007 ha stanziato 300 milioni di euro per il 2007, 360 ciascuno per il 2008 e 2009.
Fondo per la finanza d'impresa Oltre al Fondo per la competitività e lo sviluppo, viene previsto dal successivo art. 6 del d.d.1. il "Fondo per la finanza d'impresa" "alfine difacilitare l'accesso al credito e alla finanza e al mercato finanziario da parte delle imprese e di razionalizzare le modalità di funzionamento dei fondi pubblici di garanzia e diparteczazione al capitale di rischio". Anche qui viene stabilita una riorganizzazione e semplificazione degli interventi finanziari già in atto consistenti in una serie di strumenti posti a garanzia ed agevolazione del capitali di rischio. Confluiscono nel nuovo fondo, sopprimendosi contestualmente: - il Fondo centrale di garanzia di cui all'art. 15 della legge n. 266/97, avente ad oggetto la concessione di garanzie a fronte di ampie operazioni finanziarie per le PMI; - il Fondo rotativo nazionale per il finanziamento del capitale di ri120
schio, di cui all'art. 4, comma 106, della legge n. 350/2003, finalizzato ad interventi temporanei di minoranza nel capitale di imprese produttive; - le ulteriori risorse, ancora disponibili, finalizzate all'attuazione dell'art. 106 della legge 388/2000 e dell'art. 1, co., 222, della legge finanziaria per il 2005 (311/2004), volto a favorire l'afflusso di capitale di rischio presso piccole e medie imprese innovative, con particolare riferimento alle aree sottoutilizzate.
Il co. 7 dell'art. 6 dispone che, con decreto del Presidente del Consiglio, "sono conferite al Fondo ... le ulteriori disponibilità degli altri fondi di amministrazioni e soggetti pubblici nazionali per la finanza di imprese individuate nel medesimo decreto". Tra gli altri "soggetti pubblici nazionali" che gestiscono misure di supporto finanziario e di partecipazione al capitale di rischio vi sono, ad esempio, la Cassa depositi e prestiti, Sviluppo Italia e, per quanto riguarda le operazioni con l'estero, Simest e Fimest. Si ritiene sia preferibile destinare al Fondo la quota parte di risorse inutilizzate dai singoli soggetti, per non ledere la loro autonomia e, anzi, per sfruttare la loro capacità di selezione dei progetti nei rispettivi ambiti di intervento. Anche perché dal 1 gennaio 2007, con la stessa legge finanziaria per il 2007 (co. 932), si sono unificati tutti gli stanziamenti gestiti da Simest in un unico fondo complessivo di 228 milioni di euro denominato "Fondo Unico per operazioni di venture capital' per supportare investimenti in aree geografiche ritenute strategiche per l'internazionalizzazione del sistema produttivo italiano, a cui si aggiunge il "Fondo Balcani", gestito da Fimest, di 8 milioni di euro. Il co. 847 della legge finanziaria per il 2007, che istituisce il fondo, ha stanziato ulteriori 50 milioni di euro per il 2007, 100 milioni per il 2008 e 150 per il 2009. In fase di redazione del testo legislativo, inoltre, vi è stata ulteriore specificazione della destinazione delle risorse del fondo per quanto riguarda le operazioni di partecipazione al capitale di rischio, rispetto al d.d.l.. Viene data prioritaria importanza al "finanziamento di programmi di investimento per la nascita ed il consolidamento delle imprese operanti in comparti di attività ad elevato contenuto tecnologico, al rafforzamento patrimoniale delle piccole e medie imprese localizzate nelle aree dell'obiettivo 1 e dell'obiettivo 2 ..., nonché a programmi di sviluppo posti in essere da piccole e medie imprese". 121
Si può interpretare che la disposizione miri ad assolvere ad un duplice compito. Da un lato "facilitare l'accesso al credito da parte delle imprese", dall altra incentivare la partecipazione al capitale di rischio . Si tratta di due compiti distinti ma collegati in quanto spesso l'uno rappresenta il ponte per l'altro. C'è da segnalare che la questione dell'accesso al credito da parte delle imprese, soprattutto piccole e medie, è un problema annoso e le nuove regole di Basilea 2 imporranno un regime di maggiore trasparenza della contabilità e delle garanzie offerte dal sistema bancario. La presenza di misure volte a "facilitare operazioni di concessione di garanzie su finanziamenti" è quindi senza dubbio un intervento che si muove nella direzione di una maggior facilitazione per le imprese. Con riferimento alle modalità operative volte alla patrimonializzazione e all'accesso al credito delle imprese destinatarie degli interventi, viene previsto che il "Fondo per la finanza d'impresa" possa realizzare "interventi mirati a facilitare operazioni di concessione di garanzie su finanziamenti e di parteczpazione al capitale di rischio delle imprese anche tramite banche o società finanziarie sottoposte alla vigilanza della Banca d'Italia e la parteczpazione a operazioni di finanza strutturata, anche tramite sottoscrizione di fondi d'investimento chiusi, privilegiando gli interventi di sistema in grado di attivare ulteriori risorse finanziarie pubbliche e private in coerenza con la normativa nazionale in materia di intermediazione finanziaria Si prevede, giustamente, una possibilità di intervenire sia direttamente sulle singole operazioni, sia tramite il meccanismo del fondo dei fondi, per moltiplicare le possibilità di finanziamento delle operazioni e di redditività del fondo stesso. A tal proposito prospettive interessanti, soprattutto per quanto riguarda imprese piccole o nascenti, si presentano per quei gestori di fondi mobiliari chiusi di venture capital e private equity che si vanno via via costituendo. In particolare, possono essere beneficiati dalla normativa quei gestori dei fondi promossi su impulso delle Regioni che, tramite le finanziarie regionali, avviano e sottoscrivono quote dei fondi di venture capital di ambito tendenzialmente regionale e con scopo - seppur lucrativo - di sostanziale garanzia e incentivo ai capitali privati nella fase più critica e rischiosa del seed capital (si veda il box n. 3).
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Box n. 3 Si pensi, ad esempio, al fondo Next di Finlombarda della Camera di commercio di Milano, ovvero al neonato Fondo Early Stage promosso dalla Regione Toscana e Sviluppo Italia per l'innovazione delle imprese Toscane. Analogamente si può dire per l'Emilia Romagna e per il Piemonte con le iniziative "Ingenium", fondo a partecipazione pubblico privata per il seed capital ed Alpinvestimenti, costituito dalla Fondazione Torino Wireless e la società finanziaria Ersel SpA. Il Fondo di Fondi NExT è il primo Fondo di Fondi mobiliari chiusi italiano dedicato esclusivamente al Venture Capital. Il progetto è stato ideato da Finlombarda per supportare le politiche regionali per l'incentivo dello sviluppo della competitività d'impresa, dell'applicazione della ricerca scientifica e del trasferimento tecnologico. Almeno il 50% del patrimonio viene investito nella sottoscrizione di quote di altri Fondi mobiliari chiusi di Venture Capital. Per la restante parte opera come coinvestmentfina ossia direttamente in singole imprese di concerto con altri operatori qualificati. Il taglio degli investimenti è di 500.000 e 750.000 euro (per le aree obiettivo). Con la legge Regionale 5 settembre 2000, n. 25, la Regione ha costituito un Fondo di Garanzia, gestito da Finlombarda, di 20 milioni di euro, che si aggiungono ai 37 milioni del fondo, per l'abbattimento delle perdite in conto capitale relativamente alle quote del Fondo di Fondi sottoscritte dagli Investitori. Il fondo Early Stage della Regione Toscana è dotato di 11,5 milioni di euro e prevede acquisizioni (temporanee) di minoranza con il limite di 500.000 euro elevabile a 750.000 nelle aree in deroga - in fase seed e start-up. Due imprese sono già state finanziate e sei sono in fase di monitoraggio. Non interviene in situazioni di consolidamento delle passività, iniziative di salvataggio e ristrutturazione di aziende in difficoltà, di ricapitalizzazioni a seguito di precedenti perdite di esercizio (ad eccezione delle imprese in fase di start-up). Il fondo Ingenium dell'Emilia Romagna è dotato di 14 milioni di euro. L'entità e la durata dell'intervento sono strumentali allo sviluppo e al consolidamento dell'impresa partecipata, pertanto non esistono minimi o massimi. È tuttavia possibile prevedere investimenti medi di circa 300-500.000 euro, anche attraverso round successivi, per una durata di circa 3-5 anni. Il fondo è gestito dall'Associazione Temporanea di Imprese Meta Group - Zernike Group, una joint venture italo olandese. Per Alpinvestimenti, Torino Wireless ed Ersel si siano impegnati a costituire un fondo mobiliare chiuso da 40 milioni di euro da investire nelle piiit promettenti piccole e medie imprese operanti in Piemonte in ambiti produttivi a forte contenuto di conoscenza e tecnologia. Posizionato come Seed Capital, è focalizzato ad operare con investimenti singoli che spaziano tipicamente dai 100.000 al milione di euro.
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Aperta parentesi. Sulla questione dei capitali di rischio c'è da fare riferimento a normative soprannazionali, in particolare alla normativa comunitaria sugli aiuti di Stato e sui Piano d'azione sul capitale di rischio (PACR). Occorre prima di tutto ricordare l'atteggiamento di particolare favore della Commissione Europea rispetto alla partecipazione pubblica quando questa debba stimolare e ampliare gli interventi di capitale di rischio. In questo caso si va ad attenuare la logica rigorosa della normativa sugli aiuti di Stato nei casi in cui può aversi un "fallimento del mercato". Gli orientamenti contenuti nel Piano d'azione vanno verso una riduzione degli aiuti e, contemporaneamente, verso una maggior concentrazione in quei settori e attività che rispondono alle priorità assegnate dalla Strategia di Lisbona9 . Tra gli otto settori prioritari evidenziati dal Piano d'azione rientra quello dell'innovazione e delle attività di ricerca e sviluppo e quello dell'investimento in nuove imprese, per stimolare gli investimenti in capitale di rischio. Chiusa parentesi.
Reti di impresa Un altro ambito di intervento per la competitività di "Industria 2015" è quello che riguarda le "reti d'impresa". In particolare, il d.d.1. conferisce delega al Governo in materia di configurazione giuridica delle reti di impresa con il fine di favorire l'aggregazione ed il "fare rete" di imprese senza la necessità di fondersi o di essere controllate da un unico soggetto, per il tramite di "forme di coordinamento stabile di natura contrattuale". Ciò per garantire maggiore forza contrattuale nei confronti di soggetti terzi quali banche, fornitori, committenti e, in alcuni casi, il fisco. La delega consiste nell'individuazione dei requisiti della "rete d'impresa" in ambito dei vincoli contrattuali, delle conseguenze di tipo contabile e di natura impositiva, anche con riferimento alle reti transnazionali, europee o internazionali. A tali reti possono aderire anche imprese sociali nonché enti senza scopo di lucro che non esercitano attività di impresa.
Interventi per la crisi d'impresa I due articoli del Titolo Il del d.d.l. "Industria 2015" sono dedicati agli interventi per la crisi d'impresa. Il co. 852 della legge finanziaria dispone le modalità con cui intervenire per prevenire le situazioni di crisi delle imprese di rilevanti dimensioni, istituendo un'apposita struttura che faccia capo al ministero del Lavoro e che collabori con le Camere di commer124
cio. La previsione fondamentale è che l'Unità operativa abbia funzione di prevenire la crisi. L'intervento è diretto ad imprese "di rilevanti dimensioni" (con più di 200 dipendenti) interessate a crisi di natura economico-finanziaria. L'intervento non appare quindi diretto a modificare l'Istituto fallimentare, ad esempio, con l'introduzione o la modifica di misure depenalizzanti relative ai manifistarsi della crisi. Intervento che potrebbe ulteriormente incoraggiare iniziative imprenditoriali votate all'innovazione in settori tecnologicamente avanzati, di per sé molto esposti al rischio di fallimento. Ma si è qui nel caso della nascita di start-up e non di aziende "di rilevanti dimensioni". Si può rilevare che probabilmente non ci sia ancora sufficiente manifestazione di tali fenomeni, soprattutto in Italia, ma un intervento suilo status del fallito sarebbe complementare alle altre iniziative di incentivazione sopra descritte ai fini di promuovere un atteggiamento più aperto al rischio d'impresa. Ma questa, più di altre, dovrebbe essere prima di tutto una "riforma culturale". Non è del resto un caso se, ad esempio, certi corsi dell'Università di Stanford (USA) rivolti a studenti "aspiranti imprenditori" possano essere tenuti solo da docenti con esperienza di imprenditori con almeno un fallimento alle spalle.
Interventi in materia di brevetti Il co. 851 della legge finanziaria per il 2007 legifera in materia di reintroduzione dei diritti sui brevetti, prevedendo che ciò debba essere attuato mediante decreto, da emanarsi dopo 30 giorni, del ministero dello Sviluppo economico, di concerto con il ministero per l'Economia e delle finanze. Il decreto è stato emanato il 2 aprile 2007. L'aumento del costo avrebbe la funzione di "favorire l'abbandono dei brevetti non di interesse per il titolare e, di conseguenza, il passaggio della relativa tecnologia alla disponibilità gratuita della collettività". Di fatto, il costo verrebbe in parte sostenuto dallo Stato sotto forma di assistenza al potenziale titolare del brevetto nella realizzazione di "un'approfondita ricerca di anteriorità che ne verifica le caratteristiche di novità a livello internazionale". Tale norma recepisce gli articoli 10 ed 11 che costituiscono il Titolo III del d.d.1. "Industria 2015". Viene anche in questo caso proposta una delega al Governo per modificare l'attuale normativa sui brevetti contenuta nel d.lgs. 10 febbraio 2005, n. 30 (c.d. "codice della proprietà industria125
le"). In particolare, si prevede che la delega dovrà prevedere l'armonizzazione e l'adeguamento normativo alla disciplina comunitaria intervenuta successivamente al d.lgs. 30/2005, la semplificazione amministrativa e la "modìfica ... deIl'art. 65 del codice della proprietà industriale, dedicato alle invenzioni dei ricercatori delle Università e degli Enti pubblici di ricerca, prevedendo che l'Università o lAmministrazione attui la procedura di brevettazione, acquisendo il relativo diritto sulla invenzione". questa una previsione normativa volta a ribaltare il rapporto della proprietà delle invenzioni tra ricercatore ed Amministrazione stabilito dall'art. 65 attualmente in vigore, indicante che "il ricercatore è titolare esclusivo dei diritti derivanti dall'invenzione brevettabile di cui è autore". A questo principio di carattere generale il decreto fa seguire diverse deroghe aprendo, di fatto, diverse opportunità per la brevettazione delle invenzioni. Tale intervento è introdotto nel presupposto che l'Amministrazione (università o centro di ricerca che sia) sia in grado sfruttare l'invenzione realizzata (negoziando ed intercettando le opportunità commerciali) meglio del singolo ricercatore. La questione è sempre stata controversa, non solo in Italia. Se, da un lato, l'Amministrazione pubblica può in prospettiva attrezzarsi con competenze e strumenti ad hoc per tutelare nel migliore dei modi possibili l'invenzione prodotta intramoenia, privare il singolo ricercatore della proprietà dell'invenzione a priori può essere un forte disincentivo nel seguire attività di ricerca con prospettive di commercializzazione e di c.d. "spinLa questione può essere comunque riportata nell'ambito della libera contrattazione tra ricercatore ed ente di ricerca, tra cui possono essere raggiunti accordi sulla base della propensione al rischio del singolo ricercatore e dell'ente di appartenenza (esplicitata anche attraverso appositi regolamenti interni) e valutata soprattutto sulla base delle convenienze che suggeriranno le necessarie analisi preliminari di mercato. Il diritto amministrativo e civile (a cui si aggiunge quello penale per le eventuali controversie), che si intersecano inevitabilmente in ecosistemi misti tra pubblico e privato, detiene già tutti gli strumenti per regolare il rapporto tra ricercatore ed amministrazione (qualora la ricerca o la nuova invenzione abbia ad oggetto la cessione di un brevetto che la costituzione di un'entità giuridica separata, controllata od autonoma, dall'ente di derivazione). Ben vengano, dunque, indicazioni ragionevoli per orientare la titolarità 126
delle invenzioni verso prassi che abbiano dimostrato maggiori probabilità di successo, anche e soprattutto per evitare atteggiamenti di paura e di impasse. Ma le decisioni sugli assetti di titolarità e, soprattutto, sfruttamento potrebbero essere questione sostanzialmente di prassi senza necessità di interventi regolativi stringenti a monte. ULTERIORI DISPOSIZIONI DELLA LEGGE FINANZIARIA PER IL 2007
La legge finanziaria prevede (co. 855-859) ulteriori disposizioni in ambito finanziario stabilendo l'estensione dell'ambito di operatività del Fondo rotativo per il sostegno alle imprese e gli investimenti in ricerca (Fru) agli interventi previsti da leggi regionali di agevolazione ovvero conferiti alle Regioni per gli investimenti produttivi e per la ricerca. Tale fondo può essere incrementato dalla Cassa depositi e prestiti fino ad un massimo di 2 miliardi di euro che possono essere integrati nel Fondo per la competitività e lo sviluppo ovvero nelle risorse delle Regioni e delle Province autonome di Trento e Bolzano. In legge finanziaria, co. 870, viene istituito anche il Fondo per gli investimenti nella ricerca scientijìca e tecnologica (FIRsT) presso il ministero dell'Università e della ricerca. Si è qui nell'area delle politiche delle "ricerca scientifica" e non in quelle della politica industriale. Nel Fondo confluiscono le risorse annuali per i progetti di ricerca di interesse nazionale delle università, nonché il Fondo per le agevolazioni alla ricerca (art. 5, d.lgs. 27 luglio 1999, n. 297), del Fondo per gli investimenti della ricerca di base (art. 104, legge 23 dicembre 2000, n. 388) e del Fondo per le aree sottoutilizzate (art. 61, legge 27 dicembre 2002, n. 289). Il fondo è altresì alimentato dai conferimenti annualmente disposti dalla legge finanziaria, dai rientri dei contributi concessi sotto forma di credito agevolato e, per quanto riguarda le aree sottoutilizzate, delle risorse assegnate dal CIPE, nell'ambito del riparto dell'apposito Fondo. Il co. 874 autorizza la spesa di 300 milioni di euro per ciascuno degli anni 2007 e 2008 e di 360 milioni per il 2009. La costituzione del fondo FIRST, di finanziamento della ricerca, sembra opportunamente semplificare a livello amministrativo i finanziamenti esistenti in questo comparto di policy. La disposizione, dunque, soddisfa perlomeno una delle due condizioni che sono indicate come prioritarie: adeguamento e razionalizzazione dell'uso delle risorse disponibili. A ciò si 127
aggiunga una terza condizione che deve essere soddisfatta: l'auspicata "progettazione di meccanismi di raccordo tra ricerca e innovazione industriale", già invocata anche su queste pagine (si veda l'articolo di Calderini, Catalano e Ricci sul n. 129, di queste istituzioni, monografico su La ricerca scientifica in Italia: quali politiche) per una maggiore interazione e condivisione tra ricerca, sviluppo ed utilizzo dei risultati scientifici in contesti multisettoriali e attraverso competenze multidisciplinari. Un maggior coordinamento e continuità delle politiche della ricerca con quella industriale e dell ' innovazione, dunque, diventa necessario e non solo opportuno nella società e nell 'economia della conoscenza. GLI ENTI DI RICERCA E DI PROMOZIONE DELLA RICERCA
Le politiche dell'innovazione industriale e della competitività stanno passando, in Italia (ed anche in Europa), anche per una razionalizzazione e valorizzazione degli Enti. Ne sono nati di nuovi nel recente passato che, con ritmi più o meno serrati, stanno cominciando ad operare. Di seguito, si descrivono brevemente finalità e caratteristiche dell'Istituto Europeo di tecnologia e, per quanto riguarda l'Italia, dell'Agenzia nazionale per l'innovazione, mentre si forniscono informazioni di altri enti italiani nel box 4.
Istituto europeo di tecnologia È opinione generale che una efficace politica della ricerca - così come di un'industria innovativa - sia innanzitutto una politica di respiro europeo. Nel quadro dei tentativi per colmare il deficit di innovazione e la limitata capacità di convertire i prodotti della conoscenza in opportunità commerciali, nel 2003 il Presidente della Commissione Barroso ha esposto l'idea di creare un Istituto europeo di tecnologia (EIT), in occasione della revisione di metà percorso della strategia di Lisbona. La Commissione ha avviato un processo di riflessione e di consultazioni scaturite in due comunicazioni: la C0M(2006) 77 del 22 febbraio 2006 e la C0M(2006) 276 dell'8 giugno 2006. Quest'ultima contenente una serie di azioni specifiche collegate alla struttura ed al funzionamento dell'EIT. Nelle sue conclusioni, il Consiglio europeo del 23-24 marzo 2006 riconosce che "un Istituto europeo di tecnologia costituirà una misura importan128
te per colmare il divario esistente tra l'insegnamento superiore, la ricerca e l'innovazione" e invita la Commissione a presentare una proposta relativa alle nuove misure da adottare. Nel Consiglio del 15-16 giugno 2006 si è riaffermato che "la creazione dell'Istituto europeo di tecnologia (lEi), che coopererà con le istituzioni nazionali esistenti, costituirà una misura importante per colmare il divario esistente tra l'insegnamento superiore, la ricerca e l'innovazione, insieme ad altre misure che favoriranno le reti e le sinergie tra i poli d'eccellenza in materia d'innovazione e di ricerca in Europa". Si tratta di un'iniziativa che ha l'ambizione di operare nell'ambito dei tre lati del c.d. "triangolo della conoscenza" composto da ricerca, innovazione-trasferimento tecnologico e formazione. Sulla base dell'ampio processo di consultazione, la Commissione è arrivata alla conclusione che nel contesto europeo il miglior punto di partenza sarebbe un approccio incentrato sulla creazione di reti, che sarebbe opportuno sviluppare successivamente per valorizzare l'IET per mezzo di partnership integrate La Commissione ha quindi elaborato una proposta di regolamento europeo e del Consiglio che istituisce l'IET con la Comunicazione C0M(2006) 604 def./2 del 13 novembre 2006 dalla quale si evince che l'Istituto accoglierà una "massa critica" di risorse umane, materiali, di "investimenti del settore privato nell'innovazione, nell'istruzione e nella ricerca e sviluppo". È stato altresì concordato che l'IET debba essere un organismo autonomo in grado di polarizzare le migliori risorse a livello della Comunità e di coordinarle nel quadro flessibile delle comunità della conoscenza e dell'innovazione transdisciplinari e interdisciplinari, dando luogo ad una sorta di "IET integrato". Fondamentale, dunque, è la logica di rete che ne ispira l'operatività e che promuoverà la strutturazione delle comunità "come partnershz integrate o imprese comuni tra il settore privato, la comunità dei ricercatori e gruppi di eccellenza provenienti dai poli della ricerca e delle università ..." in settori strategici da definire nell'ambito delle quali creare le c.d. "comunità della conoscenza e dell'innovazione" (Cci). L'IET opererà, come accennato, anche sul lato "formazione", che rappresenta il punto debole e generalmente il più trascurato del c.d. "triangolo della conoscenza". A tal proposito l'IET incoraggerà l'elaborazione di corsi e di programmi di dottorato in grado di integrare l'elemento dell'impren129
ditorialità e, con la collaborazione degli Stati membri, rilascerà titoli e diplomi. Attendendo gli sviluppi che potrà avere in sede operativa la costituzione di un nuovo istituto sembra sia coerente con una esigenza di coordinamento e di messa a fattor comune delle risorse eterogenee per tipologia e provenienza. La selezione a monte di tale risorse e la conseguente valorizzazione potrà essere efficace, a nostro giudizio, grazie alla collaborazione delle altre iniziative che stanno nascendo a livello europeo. Si fa riferimento, ad esempio, al progetto di Technology Transfer Accelerator che mira a costituire un centro di raccordo dei principali centri di ricerca europei con il fine precipuo del trasferimento della conoscenza e delle tecnologie, prevedendo anche il supporto di una struttura di valorizzazione della ricerca in chiave commerciale che operi con il supporto finanziario del Fondo europeo degli investimenti e con fondi di private equity pubblico-privati creati ad hoc. Ulteriore esempio di possibile iniziativa con cui trovare un raccordo è la "rete di incubatori" per nuove iniziative derivanti dal trasferimento della ricerca spaziale europea (di responsabilità dell'EsA e dai suoi Paesi membri, che comprendono anche il Canada) denominata "Esinet" che sta progressivamente entrando a regime anche grazie alle opportunità, oramai da tutti riconosciute come orizzontali - ossia ausiliarie ad altri comparti industriali - derivanti dal Programma Galileo. All'IET viene data una "funzione di orientamento" in ambito di gestione della proprietà intellettuale. La previsione appare opportuna se si considera che presso l'Istituto opereranno soggetti giuridici provenienti da diversi Paesi europei sottoposte a normative diverse. Almeno fin quando non si giungerà ad una formalizzazione del brevetto comunitario. Al fine di adempiere alla funzioni suddette in maniera efficace dovranno essere intraprese attente iniziative di coordinamento con le iniziative dei diversi Stati membri. A tal fine dovrà essere valutato il possibile ruolo che potrà esercitare, in Italia, la costituenda Agenzia per l'innovazione italiana.
IL4genzia nazionale per l'innovazione Nell'ambito delle disposizioni per la "ricerca e sviluppo" dei distretti tecnologici, la Legge finanziaria per il 2006 ha previsto la costituzione dell"Agenzia per la diffusione delle tecnologie per l'innovazione" (comma 130
368, lett. d). L'Agenzia è costituita "alfine di accrescere la capacità competitiva delle piccole e medie imprese e dei distretti industriali, attraverso la diJ fissione di nuove tecnologie e delle relative applicazioni industriali ... promuove l'integrazione fra il sistema della ricerca ed il sistema produttivo attraverso l'individuazione, valorizzazione e diffusione di nuove conoscenze, tecnologie, brevetti ed applicazioni industriali prodotti su scala nazionale ed internazionale; ... stipula convenzioni e contratti con soggetti pubblici e privati che ne condividono le finalità". Nella disposizione viene stabilita la vigilanza della presidenza del Consiglio dei Ministri sulla costituenda Agenzia e l'emanazione di decreti, sentiti tutti i ministeri competenti (allora il MEF, il IVIAP, il ministero per lo Sviluppo e la coesione territoriale ed il ministero per l'Innovazione e le tecnologie) per definire criteri e modalità per lo svolgimento delle attività istituzionali. All'ultima finanziaria del governo Berlusconi non si è riusciti a dare seguito all'iniziativa mediante l'emanazione dei decreti previsti. Al cambio di Governo è comunque ripartita. L'Agenzia è stata disciplinata con Dpcm il 30 gennaio 2008, data di nomina del Commissario Ezio Andreta, e sarà il soggetto valutatore delle proposte progettuali in gara dei primi tre Progetti industriali di Industria 2015 appena approvati. Precedentemente era già stata data notizia che l'Agenzia avrebbe avuto sede presso il nascente Palazzo dell'Innovazione di Milano e che, in futuro, avrebbe ospitato trecento persone tra ricercatori e specialisti. L'edificio, la cui costruzione sarà completata entro il 2008, ospiterà anche gli uffici italiani dei principali centri di ricerca europei, l'ufficio per i brevetti, società che si occupano di trasferimento tecnologico, società di venture capital e gli uffici per l'innovazione della Camera di commercio di Milano. Tra le varie finalità l'Agenzia dovrebbe favorire gli elementi di contesto necessari a migliorare i risultati dell'innovazione nazionale, mettendo in rete i ricercatori che lavorano in Italia e all'estero, connettendo università, centri di ricerca, poli tecnologici e promuovendo anche nuovi strumenti di finanza per la ricerca e l'innovazione. La scelta di Milano come luogo d'élite dell'innovazione trova ragioni facilmente condivisibili. La Lombardia, infatti, è al primo posto per numero complessivo di domande di brevetto (il 38% circa del totale nazionale), per gli investimenti privati in ricerca e sviluppo (il 31% circa del totale privato nazionale), per l'incidenza della spesa privata sul totale della spesa in ricerca e sviluppo regionale (circa il 70%), in linea cioè con i pa131
rametri della Strategia di Lisbona. In Lombardia, inoltre, è concentrato il 22% circa della spesa nazionale in ricerca e sviluppo.
La Camera di commercio di Milano ha presentato una ricerca sul tasso di innovazione delle Regioni europee in base alla quale la Lombardia appare al 14esimo posto. È prima se si considera l'Italia e l'Europa mediterranea. La classifica ha preso in considerazione cinque indicatori: numero di imprese innovative, numero di brevetti depositati all'Ufficio europeo del brevetti, numero di brevetti europei ad alta tecnologia, tasso di occupazione nei settori tecnologici e ad alto tasso di conoscenza nell'ambito dell'industria manifatturiera, occupazione nei settori tecnologici e ad alto tasso di conoscenza nei servizi. I primi quattro posti della classifica sono occupati da quattro Regioni tedesche, al quinto posto la regione inglese del Berkshire, al quattordicesimo la Lombardia, subito prima della Regione di Parigi Ile de France. Tra le prime 20 Regioni europee per tasso di innovazione 11 sono in Germania, 4 in Gran Bretagna, due in Svezia e una in Italia, Francia e Belgio. Guardando le Regioni italiane dopo la Lombardia si piazza il Piemonte, 26esimo in Europa, l'Emilia Romagna, 32esima, il Veneto, 46esimo, e il Friuli Venezia Giulia al 56esimo posto. La Valle D'Aosta fa meglio della Lombardia in termini di brevetti ad alta tecnologia, l'Emilia Romagna per numero di brevetti complessivi, il Piemonte per tasso di occupazione nei settori a elevata conoscenza.
Da un punto di vista prettamente operativo, naturalmente l'Agenzia potrà essere "milanocentrica", perlomeno nella fase iniziale. Ovviamente l'auspicio è che le strutture milanesi possano agevolare e fungere da best practice per far allargare progressivamente il raggio d'azione. Nessuna preclusione di tipo operativo, ovviamente, dovrà essere assunta nei confronti delle singole opportunità di collaborazione con soggetti pubblici e privati che l'Agenzia sarà in grado di promuovere. Importante dovrà essere il ruolo dell'Agenzia nel fare massa critica nella promozione e programmazione dello sfruttamento della ricerca, cercando di limitare le duplicazioni di iniziative in corso. Fondamentale, in ogni caso, ai fini di una efficace gestione a regime, sarà la dotazione di una serie di strumenti per la gestione dei brevetti e delle strumentazioni di tipo economico-finanziario, anche sull'esempio di strumenti, ad esempio, come i fondi NEXT e Politekne già a disposizione di Finlombarda e della Camera di commercio. L'auspicio, anche in questo caso, è che la Lombardia faccia da volano per un'integrazione di risorse diverse da destinare a progetti ben definiti, 132
senza esercitare ingerenze nelle politiche per l'innovazione di carattere regionale, previste dal Titolo V della Costituzione. Si potrebbe pensare ad un ruolo di tale tipo solamente in base al principio di sussidiarietà e, quindi, in caso di inadempienza da parte delle Regiohi. Boxn.4
Fondazione Istituto italiano di tecnologia (In) Con l'approvazione della legge 326 del 24 novembre 2003 è stata creata la Fondazione Istituto Italiano di Tecnologia, fondazione creata per promuovere lo sviluppo tecnologico del Paese e l'atta formazione tecnologica, favorendo così la crescita del sistema produttivo nazionale. Il programma scientifico della Fondazione prevede l'avvio di programmi di ricerca su tre diverse piattaforme tecnologiche: neuroscienze, nanobiotecnologie e robotica. A livello applicativo sono molteplici i possibili impatti di tipo industriale e sociale nei settori manufatturiero, medico/chirurgico, sicurezza, esplorazione dello spazio, ecc delle tre aree di ricerca. Istituto superiore di studi in tecnologie dell'informazione e della comunicazione Costituito nel 2005, è formato da un consorzio di soggetti: Università degli Studi di Genova - Associazione industriali Genova - CcIAA Genova - Provincia di Genova - Ansaldo Segnalamento Ferroviario SpA - DATASIEL Sistemi e Tecnologie di Informatica SpA - Associazione Distretto elettronica e tecnologie avanzate - Club di Imprese DIxET Genova - Marconi Communications SpA Marconi Selenia Communications SpA - T Bridge S.p.A. - Elsag SpA. Finalità precipua dell'IIT è la formazione attivando iter sia all'interno dei corsi di laurea sia nell'ambito di master dii e TI livello.
Il primo rapporto, presentato giovedì 19 ottobre 2006, ed il secondo, approvato il 23 ottobre 2007 sono disponibili al sito internet http://www.politichecomunitarie.it/attivita/49/s tato-di-attuazione. 2 A. B0NACC0RSI e A. GRANELLI, L'intelligenza
s'industria. Nuove politiche per l'innovazione, Il Mulino, 2005. Css, Libro bianco per il Nord Ovest. Dall'eco-
nomia della manifattura all'economia della conoscenza, Marsilio, aprile 2007. " La Corte costituzionale, con sentenza 18 aprile-il maggio 2007, n. 165 (Gazz. Uff. 16 maggio 2007, n. 19 - Prima serie speciale), ha dichiarato, tra l'altro, l'illegittimità del presente comma, nella parte in cui non prevede che le caratteristiche e le modalità di individuazione dei distretti produttivi siano definite con decreto del
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ministro dell'Economia e delle finanze, di concerto con il ministro delle Attività produttive, con il ministro delle Politiche agricole e forestali, con il ministro dell'Istruzione, dell'università e della ricerca e con il ministro per l'Innovazione e le tecnologie, previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, e sentite le Regioni interessate. Camera di commercio di Verona, Dai di-
stretti industriali ai distretti produttivi: un nuovo modello per il Veneto http://www.vr.camcom.it/ artach/content/Generico/statpromo/distretti%202006/web%20introd.pdf. 6 11 decreto è del ministero dello Sviluppo economico, di concerto con quello dell'Università e ricerca e, per le Riforme e l'innovazione nella Pubblica amministrazione e per gli Affari regionali e le autonomie locali (nonché con quello delle Politiche agricole alimentari e forestali per i progetti che riguardano la filiera agroindustriale). 7 A tal Fine è istituita presso il ministero dello Sviluppo economico una sede stabile di concertazione composta dai rappresentanti delle Re-
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gioni e delle Province autonome di Trento e Bolzano e delle amministrazioni centrali dello Stato per pronunciarsi: sul monitoraggio dello
stato di attuazione dei progetti di innovazione industriale; sulla formulazione di proposte per il riordino del sistema degli incentivi; sulla formulazione di proposte per gli interventi per la finanza d'impresa. 8 Quelli del Fondo unico per gli incentivi alle imprese (legge 27 dicembre 2002, n, 289, art. 60, co. 3 e legge 23 dicembre 1998, n. 448, art. 52) per finanziare gli interventi agevolativi di cui alla legge 488192, alla programmazione negoziata (patti territoriali, contratti d'area, di programma), alla legge 181/89 sulla riconversione delle aree di crisi e alla legge 46182 per l'innovazione tecnologica. 9 Si veda la comunicazione della Commissione C235/03 pubblicata sulla GUCE del 21 agosto del 2001 e la COM (2002) 563 def. e, per quanto concerne i limite dell'intervento pubblico, gli "Orientamenti comunitari sugli aiuti destinati a promuovere gli investimenti in capitale di rischio nelle piccole e medie imprese" (GUCE C 194 del 18 agosto 2006).
queste istituzioni n. 149 aprile-giugno 2008
Il Programma Galileo nel quadro delle politiche dell'Unione europea di Emanuele Barreca
ell'ottobre 2005 la Commissione europea pubblica il documento chiave del processo di "restyling" dell'agenda di Lisbona; si tratta del "Communication, Investing in research and innovation in support of the Growth and Employment Strategy: More research and innovation-investing for growth and employment, a common approach Questo nuovo approccio comune ha il fine di stimolare i programmi nazionali alla cooperazione e al coordinamento delle attività di ricerca portate avanti a livello nazionale. L'obiettivo dall'agenda portoghese, fare dell'UE una "knowledge based society" entro il 2010, è in forte ritardo per ragioni di carattere endogeno ed esogeno; per questo i nostri leader politici hanno rilanciato la sfida, consapevoli della loro responsabilità al riguardo e della necessità di realizzare il passaggio verso la "Rivoluzione dell'Informazione". In questo senso, dunque, deve essere letta la volontà di ribadire e rafforzare il progetto nato a Lisbona e di migliorarlo alla luce delle esperienze e dei dati raccolti dal 2000 al 2005. Questo è ciò che è accaduto durante quello che è stato ribattezzato lo "Spring Council", il Consiglio europeo del febbraio 2005, dal quale è emersa una maggior consapevolezza degli sforzi, dei vincoli e dei compromessi necessari per affrontare gli imprevisti di breve termine al fine di garantire il raggiungimento di obiettivi di lungo periodo relativi al programma lanciato cinque anni prima a Lisbona. La rivisitazione del piano per una comunità europea basata sulla "conoscenza" è riportata dai due nuovi documenti-guida, approvati nel giugno 2005. I documenti in questione sono l"Integrated guidelines for growth and jobs" e il "Community Lisbon Programme". Il primo dei due documenti porta in primo piano due punti chiave: la crescita e il lavoro. Que-
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L'autore lavora presso l'Area pianificazione e controllo di gestione della Cassa depositi e prestiti. 135
sti sono un "must" per raggiungere gli obiettivi di una sostenibilità sociale; non sono, quindi, soltanto elementi chiave a medio termine, ma lo sono, soprattutto, per le politiche volte a limitare gli effetti di fattori quali l'invecchiamento costante della popolazione europea e l'intensificarsi della competizione che deriva essenzialmente dall'entrata della Cina e dell'India nel mercato mondiale. Il fine del secondo documento è riprendere la struttura delle linee guida disposte dal Consiglio di Lisbona e riorganizzare la sua azione su tre piani: knowledge and innovantion for growth; making Europe a more attractive piace to invest and work; creating more and better jobs. Ilruolo attuale del settore "Spazio" e l'importanza delle tecnologie spaziali nelle politiche dell'Europa si comprende bene dai punti di tangenza delle indicazioni espresse nei due documenti riguardo il comparto spaziale, come ad esempio: - supporto alla conoscenza ed all'innovazione; - semplificazione delle strutture dei mercati per favorire lo sviluppo e la diffusione delle ICTs; - apertura alla competitività dei mercati; - creazione di terreni più fertili per i business; - espansione e miglioramento delle infrastrutture e completamento dei progetti prioritari cross-border, - aumento e miglioramento degli investimenti in R&D; - concentrazione sull'innovazione e rilancio dell'IcT; - rimozione degli ostacoli alla mobilità fisica, a livello "labour" e "academic Dai punti sopra è evidente il ruolo che lo Spazio è giunto a rappresentare per l'Europa, in particolare, grazie alle applicazioni derivanti dal monitoraggio, la navigazione e la comunicazione satellitare mediante i suoi principali programmi: EGNOS (European Geostationary Navigation Overlap System) e Galileo. Il 30 aprile del 2007 la Commissione europea approva, finalmente, il documento definitivo sulla "Politica Spaziale Europea"l. Realizzato insieme all'Agenzia Spaziale Europea, tale documento concretizza il programma politico per le attività spaziali nella Comunità europea, derivante dallo "Space Council". Dalle comunicazioni si ribadisce l'importanza e il ruolo dello Spazio per l'Europa. Le applicazioni spaziali e i nuovi servizi 136
permetteranno un più autonomo ed efficiente funzionamento della società odierna: i satelliti assistono vari ambiti della vita civile come le telecomunicazioni, i trasporti, le infrastrutture, le transazioni finanziarie in real-time e la gestione di emergenze, e garantiscono il funzionamento dei servizi di sicurezza. Semplicemente, lo Spazio è un "asset" industriale strategico ad elevatissimo valore aggiunto ed un "driver" per il processo iniziato a Lisbona in grado di migliorare la vita dei cittadini e di contribuire alla formazione di una "knowledge-based society". IL QUADRO ECONOMICO DEL SETTORE
Lo Spazio è paradossalmente un settore considerato in crisi da almeno sette anni ma che presenta, invece, tassi sostanziali e costanti di sviluppo nell'ultimo decennio. Infatti, a livello mondiale, gli investimenti sfiorano, nel 2004, i 100 miliardi di $ e la quota dei servizi satellitari sul totale del settore spaziale supera il 60%; quello della manifattura di satelliti presenta oscillazioni di valore assoluto, ma soprattutto, perde posizioni in termini relativi a causa della maggiore capacità e durata degli stessi; quello dei lanciatori diminuisce in valore dal 2000 al 2004; mentre quello della componente manifatturiera degli apparati al suolo (ricezione, controllo, trasmissione, utenza) cresce stabilmente grazie alla diffusione dei servizi spaziali2 Il modello econometrico di valutazione dell'impatto degli investimenti nei settori industriali, sviluppato dal Dipartimento del Commercio UsA, applicato all'analisi a vari settori, dà come risultato un fattore moltiplicativo di 6 per investimenti in sistemi spaziali commerciali. Il settore Spazio genera un ritorno doppio di Aviazione civile e di Cantieristica e triplo di Computer e video games. L'importanza degli investimenti nel settore Spazio, per i territori (Province, Regioni, Stati), risiede anche nell'entità del ritorno atteso in termini di impatto economico e di occupazione, come visto anche nel Piano nazionale per il rilancio delle strategie di Lisbona. Un'analisi del settore allargata al confronto tra i vari Stati membri dell'UE e agli USA è possibile grazie ai dati forniti dalle ricerche dell'EsA. Si può dire chè tra i Paesi UE la Francia si conferma il principale Paese investitore in Spazio: la dimensione del settore raggiunge lo 0,11% del PIL con un piccolo incremento (+3%) neI periodo 2002-2004. Germania ed .
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UK hanno una quota sul PIL inferiore alla media europea, ma presentano discreti tassi di incremento nel periodo 2002-2004. L'Italia è l'unico fra i principali Paesi spaziali europei a segnare una riduzione di domanda pubblica (superiore al 20%) nel periodo 2002-20043. Il peso dell'Europa sul totale mondiale Spazio rimane, in definitiva, inferiore al 10%. In particolare, in Europa, gli investimenti della Difesa in R&S ed in sistemi spaziali sono stimati in circa 760 milioni di euro nel 2004, pari al 18,5% della domanda istituzionale europea, mentre la corrispondente domanda per Difesa e Sicurezza USA supera i 20 miliardi di $, oltre il 57% della domanda istituzionale USA. Le previsioni europee al 2012 mostrano la necessità di incrementare la spesa per programmi spaziali della Difesa in Europa per effetto dei costi dei programmi già in atto, tra cui Galileo. La cifra al momento è indefinibile dato il riassetto organizzativo in atto per la realizzazione dell'infrastruttura che vede il passaggio da una concessione di realizzazione e gestione ad un finanziamento totalmente pubblico (l'UE dovrà sostenere i restanti 2,4 miliardi di euro, più i costi di manutenzione del sistema che si aggirano intorno ai 200 milioni di euro all'anno fino al 2030). IL PROGRAMMA GALILEO, IL BIVIO PER UNA SOCIETÀ EUROPEA BASATA SULLA CONOSCENZA
L European Civil Navigation Programme ,, Galileo viene lanciato dall'accordo del Concilio europeo del 26 marzo 2002. Gli Stati membri dell'Unione danno il via libera dopo aver compreso le potenzialità della navigazione satellitare sul piano economico, tecnologico e sociale. Si tratta del primo grande Programma portato avanti insieme dalla Commissione europea e dall'EsA. Fornirsi di un sistema satellitare "indipendente" è un'azione strategica decisiva per il futuro dell'UE. Con Galileo si potrà interrompere la obbligata dipendenza dai sistemi satellitari attualmente esistenti (il Gs - Gbbal Positioning System - americano e il GLONASS - Gbobal Navigation Satellite System - russo), eliminare i rischi legati all'utilizzo di servizi offerti da un potenziale nemico/concorrente, per il settore militare/civile ed avere a disposizione, invece, un sistema satellitare proprio, sicuro e più affidabile anche dal punto di vista tecnico. Al di là del rapporto di alleanza tra i singoli Stati membri dell'UE e gli USA, in caso di conflitto o decisioni militari discordanti l'accesso ai segnali satellitari potrebbe essere negato. .
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Il Volpe Report, realizzato dalla stessa amministrazione degli Stati Uniti, indica che il Gs ha dei limiti di affidabilità legati alla vuinerabilità del sistema alle interferenze occasionali e non al fallimento dei satelliti. Il solo segnale di Galileo garantisce uno scarto nel posizionamento del raggio di 4 metri, mentre il sistema americano è a livello di 15 metri. Galileo, quindi, coprirà i buchi del Gs attraverso tre linee d'azione: 1) Services Guarantees (Galileo non può essere disattivato dal Dipartimento per la difesa come invece potrebbe essere per il Gps); 2) Integrity Monitoring; 3) Improved Service Performance And Signal. D'altro canto la scala dei futuri bisogni dei mercati e la richiesta di copertura globale non può essere soddisfatta da un singolo sistema. I risvolti sono evidentemente positivi e molteplici, tanto per la Difesa militare e, più in generale, per il settore pubblico, quanto per l'economia e il commercio europei 5 , in particolare a livello locale. Le imprese europee nel settore GNSS (provider di applicazioni, prodotti e servizi a valore aggiunto) attualmente detengono solo una piccola fetta del mercato. Questa condizione dipende da barriere tecnologiche che le industrie statunitensi pongono a quelle europee. Il successo per la crescita di queste ultime nel mercato GNSS e, quindi, la riduzione della loro dipendenza dalla tecnologia è condizionata da due fattori principali: 1) capacità di incrementare la divisione del mercato attuale della navigazione; 2) capacità di mantenere l'attuale divisione in un mercato di applicazioni, servizi, prodotti per la navigazione globale più allargato. Galileo contribuirà fortemente al raggiungimento di ciascuna delle due opportunità di crescita dell'industria europea, migliorando la sicurezza degli investimenti e portandoli "in casa". I dati previsionali che saranno forniti più avanti sono affatto incoraggianti ed, inoltre, l'incremento delle entrate dei "provider" di servizi e dei produttori di equipaggiamenti e terminali mobili di nuova generazione si correlerà ad un aumento dei benefici sociali, in termini di sistemi di trasporto più efficaci e più efficienti, riduzione dei problemi dell'accumulo di emissioni dannose e del traffico e nuovi servizi, ad esempio, per le emergenze e per i disabili. Per quanto riguarda le previsioni relative al flusso di redditi dei mercati che saranno coinvolti e si formeranno grazie alle applicazioni di Galileo, due sono le fonti di riferimento: lo studio commissionato dall'Ec al consorzio di società guidato dalla PriceWaterhouseCoopers (Pwc,X, "The inception Study to Support the Development of a Business Plan for the 139
Galileo Programme TmN/B5/23-200 1", e il lavoro "The Galilei Galileo design Consolidation", 2003 della Galileo Market Observatory7 Il dato di fatto è che allo stato attuale il valore delle previsioni passate, ha perso d'importanza dato lo slittamento di circa 3 anni della fase operativa del sistema Galileo8. Gli USA e la Cina stanno lavorando ai loro nuovi sistemi satellitari e saranno pronti ad aggiudicarsi le quote di mercato che lo "user segment" di Galileo non avrà avuto il tempo di penetrare. .
Perché Galileo è in ritardo e quali prospetti ve lo attendono? Lanalisi costi-benefici realizzata dalla Pwc nel 2003 stima i benefici derivanti da Galileo per l'economia e la comunità europea; tra i vari indicatori quello benefit-cost ratio è di 44 La ragione dei benefici sta nell'imperfezione del mercato: molti di questi, come il miglioramento dell'efficienza nell'uso delle flotte aeree, si trasferiranno ai consumatori piuttosto che essere catturati dalle industrie che utilizzano i servizi di Galileo, poiché la maggior competizione tenderà a servizi migliori a prezzi sostenibili. L'analisi mostra, inoltre, che l'economia di Galileo non può sopportare gli investimenti dei privati sulla base dei soli criteri finanziari. La previsione sul tasso interno di rendimento della seconda e terza fase del programma ("Deployment & Operation") risulta pari al 4.1%, che è meno del costo del capitale privato. Questo significa che sarebbe necessario, in queste fasi, il ricorso al supporto dell'autorità pubblica per gli investimenti e che il settore privato sarebbe disposto a finanziare il progetto solo se continuamente accompagnato e supportato da fonti pubbliche. Dal lato pubblico, tale sostegno sarebbe giustificato da un ritorno in termini di "benefici sociali" per gli Stati membri dell'UE. In tal senso rappresenta un elemento chiave la previsione positiva della Pwc di un robusto rapporto costi-benefici per il programma. L'UE giocherebbe un doppio ruolo: dapprima finanziatore totale della fase di sviluppo, e, poi, affidabile sostenitore economico delle richieste dei privati. In definitiva, stando all'analisi della Pwc, la parte pubblica avrebbe vantaggio dal sostenere il sistema Galileo dato che il costo dello stesso vale il prezzo per l'intera economia, tenendo conto, nella loro totalità, dei vasti benefici economici e sociali che deriveranno dal Programma. Nella realtà, però, il modello scelto inizialmente per la Public Private Partnership (Ppp), quello della "concessione", raccomandato dallo studio della Pwc, si è rivelato non efficace ed è fallito proprio per la complessità 140
e la delicatezza dei rapporti di garanzia sul lato finanziario tra pubblico e privato. I privati hanno ritenuto di sostenere dei rischi troppo alti: la creazione dell'incentivo per la Galilei Industries, la società concessionaria responsabile della realizzazione deli'infrastruttura e della fase di commercializzazione dei serviz1 9 , non si è realizzato. La realtà, quindi, non ha rispettato le previsioni; oggi, il Programma Galileo è andato fuori bersaglio ed è slittato di circa tre anni. Questo intanto vuoi dire che si perderà, almeno in parte, il vantaggio di essere arrivato primo sul mercato, dato che per il 2013-2015 il nuovo Gs americano e il nuovo sistema cinese Beidou saranno pronti a rosicchiare delle quote di mercato a Galileo. Sono due i punti sui quali sono sorti i problemi nel negoziato tra l'UE e il consorzio unificato d'otto industrie cui due anni fa è stato affidato il programma: il rischio tecnologico e quello commerciale. In primis, è emerso il dubbio che i quattro satelliti previsti per la fase di "in-orbit vaidation" non siano sufficienti, ma ce ne vogliano sei oppure Otto per garantire una validazione affidabile del sistema. La ripartizione dei finanziamenti prevedeva che con un miliardo d'euro a carico del bilancio pubblico dell'UE sarebbero stati realizzati il segmento di terra e i primi quattro su 30 satelliti, ma occorrendo pi1 satelliti per la fase sperimentale, secondo i privati, bisognerebbe prevedere maggiori risorse. Il secondo punto di discussione tra il concessionario e la Galileo Joint Undertaking'° riguarda l'assunzione dei rischio commerciale: ovvero chi debba assumere la responsabilità di instaurare e gestire i rapporti commerciali con gli "users" del segnale". Il 20 maggio 2007 è stata chiusa definitivamente la porta al piano per finanziare il programma di navigazione satellitare Galileo per due terzi con fondi privati. Però, alcuni di questi grandi attori del settore aerospaziale comunitario, se non tutti, potranno rientrare in gioco nella nuova fase di appalti e concessioni pubbliche. La proposta scaturita dall'incontro del 16 maggio tra i rappresentanti dell'esecutivo UE, presentata al Consiglio dei ministri europei dei traspor ti del 7 giugno 2007, vuole affidare all'ESA nuove gare d'appalto, eventualmente in diverse tranches, che comportano la messa in orbita di tutti i 30 satelliti (e non più solo i primi 4) con finanziamenti pubblici. Un'altra gara d'appalto nel 2010-2011 sarà poi destinata a scegliere chi dovrà gestire il sistema satellitare, a quel punto impegnandosi ad offrire anche un ritorno economico. Il commissario dei trasporti che ha elaborato la 141
proposta, Barrot, preferisce un finanziamento interamente comunitario, pur lasciando aperta la porta alla scelta di fondi da trarre dalle casse degli Stati, con uno schema inter-governativo. Giacché un miliardo del bilancio UE è stato contabilizzato per Galileo, si tratterebbe di prevedere l'impiego solo di 400 milioni l'anno per sei anni, per l'intera fase di installazione; un impegno sostenibile se davvero si ritiene Galileo una infrastruttura strategica 12 Il 7 giugno 2007, a Lussemburgo, tuttavia, i ministri europei dei trasporti non hanno sciolto il nodo cruciale di come e dove reperire i 2,4 miliardi aggiuntivi, necessari per completare l'opera. Da convincere erano i governi meno propensi ad allargare i cordoni della borsa, come Paesi Bassi, Irlanda e Gran Bretagna 13 , ma il cambiamento del progetto, si sostiene a Bruxelles, potrà essere approvato dal Consiglio anche a maggioranza qualificata. Resta, inoltre, il problema degli usi militari del sistema. Paesi neutrali come Finlandia, Svezia e Irlanda avevano posto fin dall'inizio la condizione che Galileo fosse gestito da autorità civili. Barrot ha, però, sottolineato come sia ovvio che organismi militari siano messi in grado di usare il sistema. A fine novembre 2007, finalmente e fortunatamente per le sorti di Galileo, si arriva ad un importante accordo: l'Europa sembra aver messo da parte i vari dissapori e aver deciso finalmente di guardare al futuro in maniera compatta rispondendo alla competizione mondiale e mostrando le sue reali potenzialità: la Spagna si unirà ufficialmente ai 26 Paesi dell'Unione europea che stanno collaborando per la creazione del sistema di navigazione satellitare Galileo. I ministri dei Trasporti dell'Unione arrivano, il 23 novembre scorso, ad un accordo per trovare i finanziamenti da dedicare allo sviluppo del progetto, pur con il voto contrario della Spagna per non aver ottenuto la concessione di una base di controllo in suolo spagnolo. Inizialmente, infatti, per la penisola iberica era stata prevista una base chiamata "Safety-of-Life", che avrebbe dovuto coordinare le operazioni di salvataggio delle persone, ma in seguito al rifiuto i ministri UE hanno deliberato a favore di un centro di controllo in Spagna che lavori in rete con le basi di Roma e Monaco. La sede del centro spagnolo sarà Madrid. I finanziamenti per il progetto, pari a 2,4 miliardi di euro, proverranno dai fondi inutilizzati dai Paesi membri, nello specifico da quelli dell'agricoltura. Dopo un paio di mesi di gestazione, l'assemblea di Strasburgo ha dato il via ai conti comunitari per il prossimo anno. Nel 2008 l'Europa .
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destinerà 11,1 miliardi di euro, cioè il 18,3% in più rispetto allo scorso anno, per migliorare la competitività dell'Unione e 46,9 miliardi, il 3,1% in più, per aiutare le Regioni. Lo si legge nel budget europeo: dei fondi destinati alla competitività, 6,1 miliardi (+ 11%), andranno alla ricerca; 1,9 miliardi, ossia quasi il doppio rispetto all'anno scorso, all'energia e ai trasporti; i miliardo all'istruzione e alla formazione. Previsti 940 milioni di euro al sistema di navigazione satellitare Galileo per la fase di start up: il totale è di 129,1 miliardi di euro, un aumento del 2,2% rispetto allo scorso anno. Si tratta dell' 1,03% delle entrate nazionali lorde. Ancora insoluto, però, è il rebus della collocazione della futura Agenzia di controllo di Galileo (GsA), un'agenzia di prestigio, con il rango delle altre agenzie dell'Unione europea. Anche l'Italia la rivendica e Roma è la candidata. La Commissione europea sarebbe però orientata a tenere a Bruxelles l'Autorità di controllo. Non è stata fissata una data, ma la decisione potrebbe essere presa entro l'anno. Fino ad ottobre scorso, prima della scadenza per la presentazione delle candidature, tra le 10 città in lizza, quella con più frecce al proprio arco sembrava proprio Roma. CASI DI TRASFERIMENTO TECNOLOGICO E NETWORKING PER
Galileo
Nella "società dell'informazione" l'aspetto chiave per il raggiungimento degli obiettivi di medio e lungo termine è proprio l'applicazione di nuovi modelli di azione di cui Galileo è un esempio strategico. Queste nuove modalità sono imprescindibili anche per lo sviluppo della politica spaziale europea e di tutte le politiche comuni della nostra era. Ad esempio, nel settore Spazio le PMI andrebbero inserite nel contesto con un ruolo centrale, sia come strumento di collante tra Università e grande Industria, che come potenzialità di sviluppo industriale in settori di mercato nuovi o che possono consentire forti crescite. Cooperazione, trasferimento tecnologico e networking sono gli strumenti da utilizzare per ottenere i benefici dal comparto Spazio. Ad esempio, nel contesto delle attività spaziali europee il trasferimento tecnologico può: - facilitare il peso imposto sulle risorse pubbliche (R&D) adattando tecnologie, sistemi e know-how sviluppato nel settore Spazio ad usi ed applicazioni non-space - massimizzare il ritorno di investimenti degli Stati membri dell'EsA; 143
- minimizzare la duplicazione della ricerca e quindi sfruttare le sinergie del settore Spazio con gli altri settori terrestri; - fornire opportunità interdisciplinari a ricercatori per collaborare con altre organizzazioni; - fornire potenziale economico e motivazione sia per chi dona che per chi riceve la tecnologia, dove l'impatto sociale è alto ed il mercato potenziale è vasto. Oggi, l'Agenzia Spaziale Europea e l'Unione Europea si stanno impegnando attraverso accordi di intesa e realizzano insieme la stessa programmazione politica per lo Spazio. Nel bene e nel male, le sorti del Programma Galileo, come quelle di altre iniziative e politiche dell'UR, derivano dalla definizione di linee guida, responsabilità e ruoli che per la prima volta si realizzano attraverso modelli particolari di collaborazione, pur essendo forte il rischio di fallimento. Bisogna aver coscienza delle numerose difficoltà che implica l'innovazione organizzativa, ma anche prendere atto dei grandi benefici che da essa derivano. A tal fine, di seguito viene proposta una sintetica rassegna di esperienze relative alle attività di cooperazione e networking orientato al trasferimento tecnologico e, più in generale, allo sviluppo del settore "spazio" promosse nell'ambito di realtà più piccole di quella comunitaria, ma comunque: iniziative locali, regionali e nazionali o che derivano dall'operare di singole istituzioni.
Box i Forum sul trasferimento tecnologico L'esperimento dei Forum sul trasferimento tecnologico nasce per iniziativa della Provincia di Roma come una sfida verso la realizzazione di un dialogo efficace tra gli attori che si avvicendano sulla scena dell'innovazione tecnologica nel territorio romano: ESA-ESRIN, Regione Lazio, associazioni industriali e no profit, come il CoPIT, Comitato Parlamentare per l'innovazione e la tecnologia, onlus il cui fine è lo sviluppo della cooperazione nell'innovazione tecnologica. Il primo Forum, svolto nell'ottobre del 2004 presso Villa Mondragone a Frascati, nasce per valorizzare il trasferimento tecnologico al sistema delle imprese come asse fondamentale per sostenere la ricerca scientifica e lo sviluppo economico. Già durante la prima riunione dei partner che ne sono stati artefici, circa un anno 144
prima, presso la Camera di commercio di Roma, uno degli aspetti di maggior interesse e importanza fu identificato nel settore spaziale. Sin da quel primo appuntamento, il Programma Galileo assunse un rilievo di primo piano. Venne allora costituito a livello provinciale un Comitato scientifico per discutere, attraverso un gruppo d'esperti, quali e quante materie potevano essere oggetto d'investimenti nell'ambito del progetto Galileo. Il Forum ha mostrato che le attività del Comitato scientifico "Galileo" della Provincia di Roma sono state focalizzate su un'analisi delle potenzialità applicate della navigazione satellitare allo scopo di evidenziare quelle più promettenti ed adatte al territorio comunale e provinciale, sia dal punto di vista del ritorno in termini di benefici al cittadini che in termini occupazionali, stimolando e promuovendo lo scenario industriale e di ricerca presente in modo apprezzabile sul territorio. In una prima fase il Comitato si è posto l'obiettivo di identificare le attività che possono essere considerate le migliori applicazioni nell'area geografica della Provincia; la chiave di lettura è stato il trade-offi tra la disponibilità dell'industria, le competenze dei centri di ricerca, la sensibilità delle istituzioni, la presenza del mercato e delle risorse umane. Partendo da una base informativa sono state selezionate una serie d'applicazioni sulla base di elementi dello stato dell'arte a livello europeo e provinciale. Queste analisi hanno cercato di identificare i bisogni degli utenti, la catena del valore, le tecnologie coinvolte, le infrastrutture necessarie, le quali sono poi state focalizzate in base anche all'indagine conoscitiva fatta dalla Provincia sulla situazione dell'industria in ambito provinciale, in modo da confrontare il bisogno tecnologico con la realtà locale, identificando le tecnologie coperte, le competenze specifiche e le carenze. Lo spettro d'applicazioni esaminate sono: - infomobilità urbana; - navigazione da diporto; - ATM (Air Trafflc Management); - applicazioni ferroviarie (Safety & Security); - navigazione marittima; - infomobilità personale (personal mobility); - Search & Rescue; - applicazioni nel settore spaziale; - Timing & Certification. Su ciascuno di tali temi ha operato un gruppo d'esperti che, partendo dallo stato dell'arte oggi noto a livello comunitario, in termini di definizione delle funzionalità applicative, potenziale comunità d'utenti, tecnologie coinvolte, finanziamenti già erogati nel V e VI programma quadro, ne ha analizzato gli aspetti industriali ed applicativi relativamente alla situazione locale di riferimento. Una volta individuate le aree d'interesse, nella seconda fase, sono state approfondite le tematiche applicative fino ad arrivare a dei progetti abbastanza concreti. Questi progetti sono poi stati presentati durante il TI Forum sul Trasferimento tecnologico, nel marzo 2005 al CNR di Roma.
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Box 2 Conferenza nazionale sulle "Politiche industriali nel settore dell'Aerospazio" Il 10 febbraio 2006 si è svolta presso l'ESA-Esrin di Frascati la Conferenza nazionale sulle "Politiche industriali nel settore dell'Aerospazio". Per la prima volta, l'Unione Province Italiane, insieme alla Provincia di Roma, hanno lavorato in sinergia per la mobilitazione dei territori provinciali italiani per lo sviluppo di uno dei settori più importanti nella crescita e lo sviluppo economico del Paese, appunto il settore Spazio. Durante questo incontro 14, l'Unione Province Italiane (Ui) ha avanzato la proposta di un'azione strategica: la firma del Protocollo di Intesa Interistituzionale tra le Province italiane a vocazione aerospaziale, per il coordinamento delle politiche del settore, con particolare attenzione al sistema di Navigazione Satellitare Galileo. Le Province coinvolte hanno proceduto alla firma del protocollo al termine della Conferenza. L'obiettivo di questo Protocollo è realizzare un modello di collaborazione innovativo nella forma e nei contenuti, nella convinzione che questo sarà un contesto di innovazione radicale degli strumenti di politica industriale in linea con il concetto di cluster di innovazione e che sia il canale che permetterà il migliore sviluppo di applicazioni innovative per la grande sfida che si pone al Paese con Galileo. L'Upi vuole dar vita a un modello di cluster innovativo. Le tre aree di politiche principali sono: 1) politiche regionali, industriali e di sviluppo delle PMI; 2) politiche di attrazione degli investimenti; 3) politiche per scienza, ricerca e innovazione. L'Upi, per favorire il successo nel settore aerospaziale, vuole, sia approfondire i modelli di funzionamento dei cluster, sia mettere in atto le strutture di governo e le politiche industriali necessarie per costruire una politica condivisa. La sperimentazione di un modello di cluster virtuale allargato attraverso la collaborazione istituzionale di settore tra i territori italiani sedi di aziende aerospaziali, prevederà il confronto con l'esperienza e risultati dei cluster aerospaziali di altri Paesi, come Francia, Svezia ed USA.
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Box 3 Accordo Regione Lazio e Finmeccanica Al 31 maggio 2004 risale l'accordo tra Regione Lazio e Finmeccanica per lo sviluppo dell'industria aerospaziale: Memorandum d'Intesa per la costituzione di un Polo di eccellenza aerospaziale nell'area della Regione Lazio. L'obiettivo del Memorandum è quello di favorire la crescita occupazionale e la riqualificazione professionale del settore aerospaziale, sostenendo la competitività, lo sviluppo delle eccellenze tecnologiche, la ricerca, l'innovazione tecnologica, la formazione professionale ed incentivando il trasferimento di know how tra le aziende, comprese le PMI e quelle dell'indotto attive nel settore. La Regione Lazio ed il Gruppo Finmeccanica hanno deciso l'istituzione di un tavolo di coordinamento paritetico, con funzioni di monitoraggio e di valutazione complessiva per la realizzazione dei progetti comuni. Il patrimonio di conoscenze di queste aziende, a cui si aggiungeranno i contributi di enti di ricerca e università, è stato individuato come un elemento significativo per il potenziamento di alcuni settori dell'industria aerospaziale considerati particolarmente importanti per l'economia della Regione, come: la formazione, lo sviluppo delle tecnologie, il monitoraggio ambientale del territorio, i sistemi e servizi per la mobilità, la security. In particolare la Regione Lazio e il Gruppo Finmeccanica hanno evidenziato nel programma Galileo uno degli elementi catalizzatori per razionalizzare e ottimizzare le diverse realtà operative industriali e istituzionali del territorio laziale, sia a livello di grandi industrie che di Piccole medie imprese (PMI). A tale proposito è stato studiato un piano per la realizzazione di infrastrutture di carattere istituzionale, ma aperte a tutti gli utilizzatori, a supporto del funzionamento del sistema Galileo e per la progettazione, sviluppo e verifica delle sue applicazioni e dei servizi che ad esso faranno capo. Una di queste infrastrutture è il Centro per la Certijìcazione e Validazione dati del Programma Galileo (Galileo Test Range), fondamentale per offrire agli utenti un servizio commerciale affidabile. Tale piano prevedeva anche la creazione di un Centro per la Sicurezza delle Applicazioni, una struttura operativa e decisionale permanente responsabile di gestire i vari aspetti relativi alla sicurezza di Galileo, tra cui definizione della crittografia e di specifiche tecniche del servizio pubblico. Per rispondere all'esigenza di fornire servizi a valore aggiunto nel settore aeronautico ad utenti quali enti aeroportuali, compagnie aeree e soprattutto enti di controllo del traffico aereo, compresi quelli di Paesi limitrofi, come quelli dell'area balcanica e del bacino del Mediterraneo, è stata prevista la realizzazione di un Centro di Servizi Aeronautici. Il Centro è di particolare importanza perché coinvolge in ampia misura organismi istituzionali e industrie operanti nel territorio del Lazio per la gestione dell'innovativo sistema EGN0s- Galileo dedicato al controllo del traffico aereo via satellite. Infine, il piano ha previsto particolare attenzione per la formazione e la ricerca, promuovendo la creazione di un Laboratorio di Formazione e Centro Congressi con il 147
fine di realizzare un background culturale relativo alla navigazione satellitare. Tale Centro, che vedrà un forte coinvolgimento delle università e dei centri di ricerca della Regione, si propone di formare quello strato culturale necessario a supportare, con una preparazione post-laurea adeguata, le nuove generazioni, garantendo un loro efficiente inserimento nelle attività future d'applicazioni e di gestione e del siste-
ma Galileo. La concentrazione di strutture operative all'interno di un comprensorio tecnologicamente avanzato quale sarà il Tecnopolo Tiburtino - di cui è stata recentemente avviata la realizzazione - porterà alla costituzione nel territorio del Lazio di un vero e proprio "Polo di eccellenza spaziale della Regione". La Filas e il raggruppamento d'imprese costituito da TeleSpazio e Alcatel Alenia Spazio (società del gruppo Finmeccanica), sono i siglatari del contratto per la realizzazione del sopra citato Galileo Test Range (GTR). Il GTR è un laboratorio permanente per la validazione del segnale Galileo e lo sviluppo d'applicazioni di navigazione e posizionamento. In particolare, nel laboratorio sono effettuate sperimentazioni e analisi del segnale orientate alle necessità di utenze istituzionali (enti pubblici, agenzie spaziali nazionali ed europea, università, centri di ricerca e comunità scientifiche) e clienti privati dei settori industria e servizi. Sono previsti test e supporto allo sviluppo di prototipi per applicazioni "Mass Market", "Professional" e "Safety of Life", come il trasporto di passeggeri e merci (aereo, ferroviario, marittimo e stradale), i servizi di emergenza (ambulanze, polizia, vigili del fuoco, ecc.) e la sicurezza (ATM, VTS, "road tolling", ecc..). Il laboratorio sarà, infine, in grado di fornire la necessaria certificazione delle apparecchiature, aspetto particolarmente cruciale per tutte le attività legate agli aspetti di "Safety of Life". Il GTR rappresenta, infine, un fondamentale strumento per lo sviluppo e la valorizzazione delle forti competenze (industria, ricerca, università) presenti nell'area laziale nel campo della navigazione satellitare, che coinvolgerà anche altri enti tra cui l'Agenzia Spaziale Italiana e I'ENAV. Inoltre, costituisce un forte fattore competitivo per il settore dell'aerospazio italiano a livello internazionale e un importante elemento a sostegno della candidatura del Lazio e di Roma a sede della Supervisory Authority di Galileo.
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Box 4 Casi di start-up
Infine, citiamo alcuni esempi di start-up, ossia nuove imprese che stanno nascendo per commercializzare applicazioni satellitari innovative sotto la tutela dell'incubatore CEsiI-I (Centre for Satellite Navigation Hessen), fondato nel 2006 a Darmstad dal governo regionale dell'Hessen col supporto dell'ESA e delle università della città (a Darmstad si trova l'Esoc, il centro di controllo delle operazioni dell'EsA). Eta_max sta sviluppando l'applicazione "G-Wale" (Galileo Supported Measurement of Water Leve!) che servirà a monitorare l'innalzamento dei livelli dell'acqua nei bacini idrici. I! sistema G-Wale si compone di una serie di unità galleggianti, mobili, equipaggiate di un ricevitore integrato per Galileo. Una volta rilasciate in un fiume soggetto ad alluvioni questi galleggianti rimangono ancorati al fondo del fiume, ma possono salire e scendere col cambiamento del livello dell'acqua. Questo cambio di livello in altitudine può essere rilevato usando Galileo e può essere utilizzato mappando in tempo reale il livello dell'acqua di una determinata area. L'informazione sul livello dell'acqua, poi, è trasmessa da ciascun galleggiante attraverso un telefono cellulare o un modem radio ad un dispositivo che in un momento successivo opererà il processamento dei dati. Quando il livello dell'acqua diventa critico il sistema può generare tempestivi segnali di allerta alle autorità civili ed anche ai singoli residenti. 54U, situata a Francoforte, è un'agenzia di "media" che sta creando "Satelles", un sistema di informazione mobile per i viaggiatori. Il sistema combina i dati di localizzazione forniti da Galileo con informazioni pescate da Internet al fine di fornire una guida interattiva basata su un sistema di posizionamento. L'interazione si sostanzia nella possibilità di avere testo, immagini, brani audio e video che contestualizzano il luogo in cui ci si trova e che viene rilevato attraverso Galileo. "Satelles", inoltre, sarà accessibile attraverso ciascun tipo di nerwork "mobile", come il GsM, l'UMTs, o il WiFi. S@amango, invece, situata a Karlsruhe, ha sviluppato "4d-miner" un sistema che permette a tutte le tipologie di dati di essere geocodificati sia con dati di localizzazione che di altitudine basati su Galileo. Questi dati così riclassificati possono essere messi a disposizione di varie applicazioni commerciali, agenzie di ricerca, governi, e "provider" di servizi d'informazione. I campi di applicazione riguardano la logistica, le imprese di assicurazioni e proprietarie di grandi infrastrutture, l'e-governement, ed altri potenziali clienti.
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Per approfondimenti al riguardo si veda: «euroabstracts - a review of European innovanon and ennerprise» Augusn 2005, voi, n° 44 "Taking SMEs under the Eu's wing"-; una rivista parte dell"European Community's Sixth Research framework programme". 2 Nel 2003, l'anno della ripresa economica, esattamente il 21 gennaio, la Commissione europea, tramite l"European Research Commissioner" Philippe Busquin, presenta il primo documento inerente il progetto politico comune per lo Spazio: "The Green Paper on European Space Policy", ovviamente preparato in cooperazione con l'EsA. Tale documento guarda agli "assets" e alle debolezze dell'europa nel settore spaziale al fine di lanciare il dibattito e coinvolgere gli interessi di tutti i "players", includendo organizzazioni nazionali ed internazionali, l'industria spaziale europea ed i suoi clienti, la comunità scientifica europea ed i cittadini. Sempre nel mese di novembre 2003, la Comunità europea adotta il "XThite Paper". Elaborato insieme con l'EsA, esso costituisce un piano per implementare ed allargare la politica spaziale europea attraverso proposte basate sul "Framework Agreement", accordo ESA/UE seguito al "Green paper". 3 Fonte: Futron, SIA, giugno 2005. 'I La domanda di satelliti negli ultimi anni è tornata ad essere prevalentemente pubblica: i satelliti lanciati nel 2005 erano per oltre 213 a carattere istituzionale. È dal 1994 in realtà che la Commissione europea ha identificato il bisogno di contribuire al futuro "Global Navigation Satellite System" (GNss). 6 Dall'esperienza del Gs americano possiamo osservare le conseguenze e i cambiamenti socioeconomici che possono determinare le applicazioni e i servizi a valore aggiunto della navigazione e del posizionamento satellitare, nonché le loro prospettive di sviluppo. Negli Stati Uniti d'America il Global Positioning System è oggi considerato quinto nella scala delle cose più utili all'uomo, dove i primi quattro posti sono oc150
cupati da acqua, elettricità, gas e telefono. Us Military trova nel Gs un fondamentale aiuto per l'efficacia delle operazioni di comando, controllo e consegna (i sistemi Gs e GLONASS sono nati per scopo militare), mentre il mercato civile sta costantemente aumentando, specialmente per l'uso dei servizi personali per l'autotrasporto e la telefonia mobile. Se consideriamo, quindi, che Galileo nasce per scopo commerciale/civile, garantendo un miglioramento delle performance del segnale, è immediato intuire che questo sistema ha il potenziale per diventare il nuovo "benchmark"di riferimento per tutto il globo. 7 Istituto di ricerca nato dalla Commissione ruropea per effettuare degli studi sui mercati che saranno toccati dalle applicazioni dei servizi del sistema Galileo. Gli studi del Galileo Market Observatory, stimano, invece, che saranno circa 96 le differenti applicazioni tra mercato di massa e gli altri settori specifici. I numeri del "mass market" stanno crescendo costantemente e sono destinati a rimanere superiori a quelli dei settori relativi alle applicazioni commerciali e professionali, a causa della forte domanda per i servizi di navigazione via "mobile" o "in-car system". Per il Galileo Market Observatory i "Galileo's user" saranno circa 2,5 miliardi nel 2020. Questa previsione è più alta rispetto a quella della Pwc in quanto tiene conto che i "chip" Galileo+Gps si diffonderanno in tutto il globo e che i telefoni cellulari supporteranno l'uso combinato dei due segnali. I vecchi terminali mono segnale saranno rimpiazzati da quelli con doppio segnale dato che il servizio "open access" sarà così più affidabile. Dal 2020 in poi cominceranno a registrarsi 1 miliardo di unità vendute all'anno. La stima effettuata sul numero di veicoli che nel 2020 utilizzeranno una, o tutte, le applicazioni sopra elencate è intorno ai 495 milioni. Sebbene inferiore ai 2 miliardi del mercato della telefonia mobile, in relazione al numero di terminali installati, le tecnologie per 1' "in-car navigation" sono molto più dispendiose poiché incorporano più componenti (ad esempio, lettori video o musicali integrati, schermi larghi
per la visualizzazione). Infatti, i redditi stimati del mercato del trasporto stradale si attestano sui 76 mld di euro e sono molto prossimi a quelli della telefonia mobile, sui 94 mld. Gli attuali redditi de! mercato GNSS sono stimati attorno ai 15 miliardi di euro. Gli scenari esposti dal Galileo Market Observatory attestano che nel 2020, si dovrebbe raggiungere quota 180 miliardi di euro. Inoltre, il mercato di Galileo sarà dominato dai redditi da prodotto fino al 2014. Tuttavia il livello dei redditi da servizio migliorerà al crescere della vendita dei terminali e come il mercato dei prodotti diverrà saturo (si stima dopo il 2015), saranno i servizi a valore aggiunto a continuare l'espansione fino al 2020. 8 Un aspetto fondamentale della ricerca della PriceWaterhouseCoopers è la necessità che Galileo dovesse divenire operativo per il 2008, perché in questo periodo il mercato si dovrebbe trovare in una fase di rapida crescita e il Gs III (una versione più sofisticata dell'attuale) dovrebbe essere competitivo solo dopo 5 anni. Ii successo di Galileo dipende, quindi, dall'essere in tempo sul mercato, così da rispondere alla domanda di nuovi servizi e applicazioni e diventare lo standard di riferimento. Pwc stimava che se il passaggio all'operatività per il 2008 fosse stato rispettato la vendita annua dei ricevitori sarebbe stata da 100 milioni nel 2010 a circa 875 nel 2020. In termini di penetrazione del mercato, un incremento dal 13% al 52%. Pwc riteneva, inoltre, che le entrate maggiori (circa l'80% al 2020) sarebbero derivate dalle cinque seguenti aree di applicazione: 1) personal communications and locations; 2) commercial aviation; 3) police and fire (pedestrian resource management); 4) oil and gas-rig positioning; 5) oil and gas-land sismic exploration. 9 Lex ministro degli Interni Giuliano Amato, in un'intervista rilasciata al Sole24ore il 12-062007, a riguardo, dice: "in Europa vengono sempre a mancare i finanziamenti privati; Galileo è un progetto troppo importante per l'Europa, dobbiamo portarlo a termine". IO La Galileo Joint Undertaking (Gju) nasce
con l'obiettivo di coordinare la gestione della fase di sviluppo e di concessione ai privati delle fasi "Deployment & Operations", al suo interno hanno lavorano congiuntamente ESA e UE. Il Originariamente, secondo lo studio della Pwc, sarebbe stato compito della compagnia Concessionaria (la Galileo Operating Company) ricevere il pagamento delle "royalties" sui chipset installati nei ricevitori per l"open access service", e il pagamento dei decriptaggio del segnale nei casi di applicazioni professionali. 12 Poco più di 2 miliardi in 7 anni potrebbero essere trovati senza traumi, in un bilancio comunitario che nel solo 2009 prevede spese per 129,2 miliardi di euro, di cui 56,3 per politica agricola e pesca. 13 Questi Paesi preferirebbero continuare a usufruire de! Gps, che è gratuito, ma soggetto alla volontà degli Usa di sospensione. Questi Paesi, con al seguito Slovacchia e Malta, hanno fatto mettere a verbale una dichiarazione per ricordare che in precedenti occasioni il Consiglio si era impegnato a trovare finanziamenti aggiuntivi per Galileo all'interno dei tetti già concordati del bilancio UE, senza nuovi contributi dalle casse statali. Londra e L'Aja hanno anche chiesto garanzie che i costi non salgano più e che la porta non sia chiusa a partecipazioni private. 14 Hanno preso parte, oltre all'assessore regionale all'Innovazione, Ricerca e Turismo Raffaele Ranucci, anche gli altri operatori del settore provenienti dal mondo dell'industria, delle imprese e della ricerca: Marcello Spagnulo, della direzione Coordinamento Attività Spaziali Finmeccanica, Giovanni Fabrizio Bignami, all'epoca al Centro Studi Radiazioni Spaziali di Tolosa, Mario Musmeci della Business Development Division Galileo Joint Undertaking. Di politiche condivise ha parlato anche l'Onorevole Massimo Cialente, intervento durante la successiva Tavola rotonda, moderata dal giornalista Giovanni Caprara, sul tema "Come cogliere le opportunità dell'AeroSpazio per lo sviluppo di applicazioni e servizi innovativi con soluzioni nazionali". Ha 151
concluso il confronto il Presidente dell'Upi, Fabio Melilli, spiegando il perché dell'iniziativa ed il significato della firma dell'Intesa Interistituzionale tra Province sottolineando che "il coordinamento a livello territoriale è importante perché permette di creare le condizioni affinché nuovi imprenditori si misurino con le nuove attività date dal settore Aerospazio". 15 La teoria sulle "cluster initiative" come fattore di competitività si è molto strutturata; sono chiari i requisiti per il successo, validi anche per il Distretto tecnologico AeroSpazio. I principali requisiti sono: mantenere una visione di lungo termine; mantenere una visione di sviluppo del cluster e non di singole aziende; strutturare un
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modello di governance efficace e collaborarivo, fondato sull'azione delle "tre eliche": istituzione-industria-ricerca. 1611 Gruppo Finmeccanica è attivo nel Lazio con numerosi insediamenti produttivi delle sue aziende controllate e joint venture: TeleSpazio (Roma), Galileo Avionica (Roma, Pomezia), Alenia Spazio (Roma), Elsacom (Roma), Avis (Roma), AgustaWestland (Frosinone, Anagni), MBDA (Roma), Marconi Selenia Communications (Roma, Pomezia, Cisterna di Latina), per un totale di circa 8.000 addetti cararterizzati da un profilo professionale di alto contenuto. 17 Vehicle telematics system.
Il Consiglio italiano per le Scienze Sociali Il Css è un'associazione con personalità giuridica. Fondata nel dicembre 1973, con l'appoggio della Fondazione Adriano Olivetti, ha raccolto l'eredità del Comitato per le Scienze Politiche e Sociali (Co.S.Po.S.), che svolse a suo tempo, negli anni Sessanta, grazie a un finanziamento della Fondazione Ford e della stessa Fondazione Olivetti, un ruolo fondamentale nella crescita delle scienze sociali italiane. Le finalità che ne ispirano l'azione sono: • contribuire allo sviluppo delle scienze sociali in Italia, ed in particolare promuovere il lavoro interdisciplinare; • incoraggiare ricerche finalizzate allo studio dei principali problemi della società contemporanea; • sensibilizzare i centri di decisione pubblici e privati, affinché tengano maggiormente conto delle conoscenze prodotte dalle scienze sociali per rendere le loro scelte consapevoli, razionali e più efficaci.
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