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queste istitui Ioni rassegne e documenti
Classe media vecchia e nuova di Francesco Sidoti
i Nascita e significato del termine 6 La classe media nella storia sociale 11 Lavoro manuale e lavoro non manuale 14 I sindacati della classe media nella pubblica amministrazione 20 La crisi della classe media 23 Indicazioni bibliografiche
La classe media è un discorso e non una cosa, è una categoria interpretativa, non un fatto sociale concreto e univocamente definito. Durante le guerre napoleoniche, quando il termine fu coniato ed entrò nel linguaggio politico moderno, designava i proprietari industriali, « classe media » tra l'aristocrazia terriera e il popolo; oggi, secondo alcuni, per classe media si intende l'insieme degli attori sociali né capitalisti né operai, secondo altri un grande agglomerato sociale, di cui fanno parte anche molte categorie operaie. Il termine, caricato e logorato da un uso storico e politico differenziato, legittima una molteplicità di significati diversi e persino in contrasto fra loro. Il problema filologico è di grande peso nell'intricato e confuso dibattito sulla classe media, e non se ne può uscire fuori senza aver dato almeno alcune precisazioni di larga massima. Pertanto, dopo aver accennato che c'è una preistoria del termine (si dovrebbe citare almeno Aristotele, cfr. S. Ossowski, Struttura di classe e coscienza sociale, 1966, pp. 45-46), cominceremo con l'indicare i luoghi di nascita del suo uso moderno: l'Inghilterra della prima rivoluzione industriale e la Francia della Restaurazione.
2 Ancora nella seconda metà del Settecento mento di pensiero liberale, e in, seguito fu la struttura sociale è caratterizzata séripresa da Marx, con un'inversione del condo espressioni di prevalente signifi- giudizio di valore (A. Omoded, Studi sulcato giuridico: état, stand, rank, order. l'età della Restaurazione, p. 100, 1970). Opere rivoluzionarie come l'Encyciopédie Per B. Constant, per Guizot, per Royero Qu'est-ce que le Tiers tat? ragionava- Collard, tiers état, bourgeisie, classe moyno a.ncorain queSti termini: Nel corso delenne sono sinonimi. Con tutti e tre questi la grande trasformazione sociale - del termini, essi intendono designare un XVIII e del XIX secolo il. termine class -gruppo sociale che detiene il capitale moviene trasferito dal linguaggio scientifi- bile e sta in mezzo, tra l'aristocrazia terco e botanico al linguaggio economico e riera e il popolo; la «classe » che ha fatsociologico. Sono i proprietari industria- to l'89, rompendo le catene del mondo li che si autodefiniscono middle class feudale; il pays legai .che ha diritto di diquando trasformano l'assetto istituzionaventare preminente sul piano politico dei le e doganale dell'Inghiltèrra attraverso rappòrti' di forzà. Nell'à Francia delili' Rel'allargamento del suffragio elettorale e staurazione, dopo la sconfitta degli ultras l'abolizione delle tariffe protezionistiche aristocratici, quando i liberali, da opposui prezzi del grano. L'An ti Corn-law lea- sizione semilegale e spesso cospirativa gue, organizzazione politica degli inte- diventarono gruppo dirigente, Guizot, ressi industriali manchesteriani, fu def i- principale teorico, storico, ed esponente nita dal suo più illustre esponente, R. politico dei gruppi liberali, dichiarava: Cobden, come ((a middle-ciass set of agi((intendo promuovere con tutte le mie tators ». La lunga battaglia per l'abrogaforze la supremazia politica delle classi zione delle Corn laws fu il momento medie in Francia, l'organizzazione definiculminante di una lunga evoluzione, dutiva e costante di quella grande vittoria rante la quale si affermò nel paese una che queste hanno riportato sul privileesplicita terminologia di classe; middle gio e sul potere assoluto nel periodo che class e working ciass diventarono termini dal .1789 giunge al 1830». dj uso corrente per definire la nuova struttura dei rapporti sociali (Asa Briggs, Come abbiamo accennato, in Marx maMi4dle-ciass counsciousness in English tura una concezione «classistica » della politics, 17804846, 156). storia, in larga parte mutuata dagli scheIn Francia si riscontra una evoluzione mi della cultura della Restaurazione, ma analoga. La concezione «classistica » delscompare il termine di classe media, che la storia si sviluppò all'interno del movi- non trovava posto all'interno del suo
queste istituoni luglio 1977
Direttore: Seacro RISTUCCIA . - Condirettore responsabile: GIovNI BECHELLONI. R edazione: MARco CIMÌNI, NNI0 E C0LAsANTI, MARINA GIGANm, MARcEu.o RoIiinz, Frcmco
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Arti Grafiche Città di .Castello.-
3 sistema teorico. Nelle sue analisi delle lotte di classe in Francia tra il 1848 e il 1852, con il termine piccola borghesia Marx si riferisce essenzialmente al boutiquier, la figura sociale dominante nella Parigi di metà del secolo. Queste analisi storiche di Marx sulla Francia, scritte da una prospettiva parigina, trascurano inoltre il ruolo svolto dalle forze contadine, tranne per quanto riguarda le elezioni del dicembre 1848 che portarono Luigi Bonaparte alla presidenza della Repubblica (cfr. C. Baudelot, R. Estabiet, J. Malemort, La petite bourgeoisie en France, 1974, pp. 21-22). Nel Capitale Marx accetta la tripartizione smithiana delle classi sociali, ma il manoscritto si inter rompe al momento in cui l'autore iniziava a trattare sistematicamente delle classi sociali. Benché sia Marx sia Engels ovviamente si rendessero conto dell'esistenza e dell'importanza di altre categorie sociali (che a volte chiamano classi), essi ritengono che borghesia e proletariato siano le due classi sociali fondamentali e che il resto della popòlazione, a causa dello sviluppo industriàle, è destinato a diventare progressivamente par te di questa antitesi. Il termine classe media diventa irrilevante nell'apparato teorico marxiano per molte ragioni, di cui due sono particolarmente significative. Marx ed Engels elaborano con la teoria del materialismo storico una visione dicotomica di tutta la storia, e reputano che il conflitto sociale degli interessi in una società industriale è dominato dalla contrapposizione fra capitale e lavoro salariato, fra padrone e operaio. In base a queste premesse, tutto il marxismo cosiddetto ortodosso concordò su. una ipotesi catastrofica dello sviluppo capitalistico di cui parte integrante era l'ipotesi dell'impoverimento degli strati non operai e della loro caduta nella condizione proletaria. In genere, le costruzioni teoriche marxiste che hanno rifiutato il revisionismo
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bernsteiniano 1 rimangono visioni dicotomiche della struttura sociale (come pro-; va l'uso estensivo del termine proletarizzazione). In esse, una classe « media)) trova difficilmente posto; i gruppi sociali da altri chiamati classe media, vengono relegati al ruolo di componenti, appendici, alleati, dell'una o aell'altra classe fonda: mentale. Si possono citare esempi nell'ambito della recente letteratura marxista francese. Secondo i teorici del par tito comunista francese esistono solo due classi, capitalisti e operai, e il punto decisivo per comprendere il senso della struttura sociale è il concetto di lavoro salariato. Tutti i salariati, nel 1974 l'81% della popolazione attiva, anche se vivono differenti situazioni sociali, sono trascinati in un movimento progressivo di polarizzazione intorno alla classe operaia (C. Quin, Classes sociales et uniondu peuple de France, 1976, pp. 104-105). Altri studiosi marxisti, in polemica col PCF, sostengono invece che tra operai e capitale esiste un'altra classe, la piccola borghesia, ma concludono col dire: « la piccola borghesia è una posta in gioco nella lotta principale che caratterizza la nostra società: la lotta della borghesia contro la classe operaia, la lotta della classe operaia contro la borghesia)) (C. Baudelot, R. Estabiet, J. Malemort, op. cit., p. 303). Proprio in tema di classe media, si registra dunque una significativa differenza teorica tra i sistemi interpretativi che si richiamano al marxismo e quelli che si rifanno al liberalismo. Infatti, il linguaggio di classe nasce con Io sviluppo della rivoluzione industriale, viene usato sia dai marxisti sia dai liberali; ma, mentre Marx pronuncia una condanna senza appello sulla irrilevanza degli strati intermedi tra capitale e salario, le correnti di pensiero liberale ne celebrano l'apoteosi politica, nell'ambito di un diverso sistema teorico e di una diversa interpre-
Una breve citazione da Bernstein, Socialismo e socialdemocrazia, 1968, pp. 92-93: «... la struttura della società si è in larga misura graduata e differenziata, sia pr quanto concerne il livello dei redditi sia per quanto concerne le attività professionali... Se la classe operaia dovesse aspettare fino a che il «capitale » abbia tolto dalla faccia della terra le classi medie, allora potrebbe farsi davvero un lungo sonno».
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tazione dei rapporti sociali capitalistici. Tocqueville aggiorna in una sintesi geniale un secolo di cultura liberale, da Guizot a Mme de Stael, alla contrapposizione tra Montesquieu e Rousseau sulla funzione degli « organi intermedi» nella divisione dei poteri e nel processo di formazione della volontà generale. In Tocqueville della classe moyenne di Guizot rimane soltanto il guscio, cioè il nome e l'elogio perché il suo contenuto in termini sociali è diverso, vicino all'uso moderno del termine. I corpi intermedi (che non sono più, come in Montesquieu, la nobiltà e il clero) rappresentano la base sociale dell'ordine politico, non sono un fattore di disgregazione dello stato (come affermava la tradizione giacobina, da Rousseau a S. Just, che vedeva in essi un ostacolo alla formazione della volontà generale). Per Tocqueville la democrazia consiste non soltanto nell'eguaglianza delle opportunità e nel governo della legalità, ma anche, se non soprattutto, nella moltiplicazione di organi intermedi e di istituzioni rappresentative. In una struttura pluralistica del potere, in una società in cui le disuguaglianze tendono non ad accrescersi ma ad attenuarsi « si trovano sempre cittadini molto poveri e cittadini molto ricchi; però... non vi sono più razze di p0veri, non vi sono più razze di ricchi. . . Tra questi due estremi si colloca una massa innurnerevole di individui pressoché uguali che, senza essere precisamente né ricchi né poveri, posseggono abbastanza per desiderare l'ordine e non abbastanza per suscitare l'invidia... Costoro sono per natura nemici dei sommovimenti violenti; la loro immobilità mantiene in stato di quiete tutto ciò che si trova al di sotto e al di sopra di loro e rende saldo tutto il corpo sociale » (A. De Tocqueville, La democrazia in America, in Scritti politici, voi. Il, p. 745). Attraverso l'esaltazione delle libere associazioni e dei sistema comunale nella Nuova Inghilterra, si è così giunti alla fondazione di un topos fondamentale nella storia del pluralismo liberale: i corpi e le classi intermedie costituiscono il baluardo stesso della democrazia. Si è insistito su Tocqueville perché, nella
storia ideologica della cultura occidentale, la sua opera segna una tappa decisiva per l'uso del concetto di classe media. Benché spesso, ancora, egli usi come sinonimi 'bourgeoisie e classe moyenne, il termine prende un significato nuovo: la classe media è la maggioranza della nazione, la condizione di esistenza del piuralismo, la base dell'ordine politico. Significato nuovo strettamente connesso ad una immagine della società americana; all'epoca del viaggio di Tocqueville, anche dal punto di vista statistico gli Stati Uniti erano una società di classe media: i 4/5 della popolazione libera occupata era possidente; la produzione agricola impegnava circa i 3/4 della manodopera
(C. Wright - Mills, Colletti bianchi. La classe media americana, 1966, pp. 26-37). Una analisi di questo tipo era inapplicabile al contesto dei rapporti sociali europei. Come si è detto, il termine middle class appare in Inghilterra alla fine delle guerre napoleoniche (una sua prima menzione, secondo l'Oxford English Dictionary, è del 1812). La sua età aurea giunge fino alla tarda Inghilterra vittoriana ed eduardiana, in cui la Middle Class è the backbone of the nation, e in cui si afferma il suo famoso standard of living: suburbian villa, servants and carriage. Come è noto, questa ricchezza « media» conviveva con una povertà dickensiana, e non poteva portare alla conclusione che la prosperità e la sicurezza fossero una caratteristica della maggioranza della popolazio-. ne . In Inghilterra, come in Francia o in Italia, la classe media viene riconosciuta, e si autodefinisce, per tutto l'800 e fino ai primi del 900, come una parte limitata, privilegiata, ma assolutamente non maggioritaria della nazione. Da questo punto di vista, il mito della classe media nasce negli Stati Uniti, come componente di prima grandezza dell'American Dreani •(cfr. R. Parker, The Myth of Middle Class, 1972). Jefferson e molti altri Founding Fathers misero accento ed enfasi sul tema dell'uguaglianza come - messaggio politico della rivoluzione americana, non soltanto perché muovevano da ideali illuministici e rousseauiani, ma anche perché la constatavano già di fatto esistente
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5. Tneila struttura stessa della società ame-
Tricana, rich in land and poor in population, estremamente diversa dalle società europee caratterizzate dalle miserabili condizioni dei più in contrasto con la gigantesca ricchezza dei pochi. Fu questo aspetto della società americana a colpire Tocqueville, a spingerlo a disegnare il tipo ideale della società democratica, caratterizzata dalla libertà e dalla uguaglianza. Come è noto, lo sviluppo industriale, se in Europa si limitò ad attuare una dislocazione delle grandi ricchezze (dall'aristocrazia terriera alla borghesia industriale), negli Stati Uniti introdusse una nuova dimensione della diseguaglianza sociale: una nuova razza di ricchissimi. La crescita numerica di capitalisti e proletari, mentre riduceva fortemente il numero dei contadini indipendenti, lasciava ampio spazio di espansione a nuove fasce intermedie di reddito e di prestigio, che proprio negli anni 90 si organizzavano in una fitta trama di rinnovate strutture associative; tuttavia, uno standard medio di vita non era più la caratteristica generale in cui si riconosceva la grande maggioranza della nazione. Nel periodo che va dal biennio nero 1873-1874 fino al 1945, pur nella alternanza di riprese sostenute e depressioni profonde, la società americana visse una serie di crisi traumatiche che costituirono la pietra di paragone per l'età « affluente>' che si aprì alla fine della seconda guerra mondiale. La nuova fase di crescita del livello di consumo e di grande miglioramento delle condizioni di vita, in stridente contrasto con l'incertezza che aveva dominato gli anni della grande crisi, diede nuovo vigore al mito non ancora in disuso della middie class. Negli anni cinquanta e sessanta, anche attraverso innumerevoli esemplificazioni propagandistiche, si impose la convinzione che la prosperità e la sicurezza erano divenute una caratteristica della grande maggioranza della popolazione, che la povertà -e il bisogno erano un ricordo del passato tranne per piccole minoranze, e che gli Stati Uniti erano entrati in una nuova fase della storia occidentale, come disse
Galbraith, primo a coniare il termine Affluent Society. Il termine middie class riassumeva così tutto un insieme di valenze ideologiche e sociologiche che ne connotavano l'ambiguità sin dal suo esordio nel lessico politico. Negli USA, indipendentemente dalla distinzione « europea» tra lavoratori manuali e non manuali, tra proletariato e piccola borghesia, la maggioranza della popolazione si riconosce come appartenente alla middie class. In Europa, benché un numero minore di fasce sociali si autoriconoscano in questa definizione, il termine viene apprezzato dai più come valido a designare la base sociale dell'ordine politico nelle democrazie occidentali. Il conservatorismo sociale, l'opposizione ad ogni prospettiva di cambiamento sistemico sarebbero le caratteristiche di atteggiamento politico della classe media, mentre il culto del consumo, del privato, dell'< onesta retribuzione del lavoro », ne sarebbero le caratteristiche di atteggiamento culturale. Come ha scritto Valéry Giscard d'Estaing: x< L'evoluzione in corso, invece di condurre al faccia a faccia di due classi, borghesia e proletariato, fortemente contrapposte, si traduce nell'espansione di un immenso gruppo centrale dai contorni poco definiti, e che ha vocazione, per i suoi legami di parentela con ciascuna delle altre categorie della società, per il suo carattere aperto che ne facilita largamente l'accesso, per i valori moderni di cui è portatore, di integrare in se stesso progressivamente e pacificamente la società francese tutta intera.» (in Démocratie Franaise, 1976, p. 56). L'appello alla classe media è così tipico della tradizione liberale, che il pensiero conservatore o reazionario quando ha tentato di individuare un blocco politico e sociale di riferimento, ha fatto ricorso ad un termine nuovo, come « maggioranza silenziosa ». Termine che, seppure in maniera generica, rispecchia alcuni caim biamenti delle società industriali avanzate (cfr., in questo senso, la descrizione della coalizione elettorale che portò Nixon alla presidenza degli Stati Uniti, in K. P. Phillips, The Emerging Republican Majority, 1969).
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La contrapposizione tra la ricchezza del mondo aristocratico e la miseria del mondo contadino è una caratteristica della storia dell'Europa precapitalistica. Ovviamente, anche allora (come già notava
pubblici e privati) iniziarono un processo' di crescita irreversibile; tuttavia, non vi furono in questo ambito della divisione del lavoro, quelle profonde trasformazioni degli aspetti quantitativi, qualitativi, organizzativi che contrassegnarono il periodo storico successivo. Nella fase di transizione tra paleocapitalismo e neocapitalismo (seguo le indicazioni di G. Germani, Sociologia della: modernizzazione, 1971) si sviluppano fino' in fondo le conseguenze in termini sociali e di classe della rivoluzione industriale, che raggiunge il massimo del suo sviluppo, caratterizzando della sua specfficità l'insieme della organizzazione sociale.. Il pieno sviluppo del processo di industrializzazione segna certamente il passaggio ad uno stadio del conflitto degli interessi in cui è prioritario il conflitto , fra capitale e lavoro, tra borghesi e proletari; tuttavia, non si esaurisce in queste classi l'insieme degli attori che si confrontano in tema di ripartizione della ricchezza. Nella seconda metà dell'800 l'Europa e l'America sono ancora in lar ga misura società rurali. Secondo il censimento del 1906, in Francia, c'erano' 946.000 domestici e 828.000 metailurgici e metalmeccanici messi insieme. Cioè,. nel 1906, in un paese di media potenza industriale e coloniale, valletti, cuochi,. cameriere, lustrascarpe, cocchieri, etc. erano numericamente più importanti degli operai delle industrie metallurgiche e metalmeccaniche. Dei resto, tutti questi gruppi erano minoritari in confronto al! settore quantitativamente più importante:: la società rurale, circa il 60 per cento' della popolazione totale del paese W.
Tocqueville in L'ancien régime et la Révolution) esisteva un'estesa gradazione di posizioni sociali intermedie che sfumava tra i due estremi, ma il conflitto sociale degli interessi era polarizzato intorno a questa dicotomia fondamentale. La prima rivoluzione industriale non incise molto sul processo di formazione di una classe media intesa nel senso attuale del termine. Alcuni segmenti delle vecchie classi intermedie (lavoratori indipendenti: contadini, artigiani, professionisti) iniziarono un processo di mobilità discendente; e altri (lavoratori dipendenti: funzionari
Prost, Histoire sociale de la France, 1976-,. voi. 11, p. 144). Nell'800 le classi medie erano soprattutto i contadini proprietari; « vecchia »classe media, che sul finire del secolo attraversò una crisi drammatica e una drastica riduzione numerica a causa dell'impiego su vasta scala dei fertilizzanti edella nuova meccanica agricola, che determinarono uno straordinario aumento della produzione e una diminuzione crescente dei prezzi. Negli USA, la trasformazione della società rurale e l'ascesa del capitalismo furono la rovina dei pic-
Benché vago, il. termine classe media non è più approssimativo di altre espressioni consimili, ad esempio piccola borghesia o settore terziario; infatti, è correntemente usato nella letteratura storica e sociologica più autorevole, e, in una certa misura, non si può fare a meno di servirsene. Per questi motivi, pur non essendo convinti, e si vedrà perché, della attualità di concetti dal significato così comprensivo, partiremo dall'ipotesi che la classe media sia non un'accozzaglia di gruppi sociali eterogenei, ma una classe connotata da alcuni tratti sociologici di carattere generale. Con una distinzione: tra vecchia classe media, composta di lavoratori indipendenti (artigiani, piccoli e medi proprietari contadini, professionisti, piccoli commercianti), e nuova classe media, composta di lavoratori dipendenti stipendiati (quadri dell'impresa e soprattutto funzionari della pubblica amministrazione). Le espressioni classe media, piccola borghesia, ceto medio rinviano a tre diverse tradizioni teoriche (liberale, marxista, weberiana), ma indicano, grosso modo, la stessa cosa (sugli stessi temi qui trattati, c'è stato di recente un ampio dibattito a partire dallo scritto polemico
di P. Melograni, Ceti medi e mito proletario, 1976). LA CLASSE MEDIA NELLA STORIA SOCIALE
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coli e medi agricoltori; la classe che da Jefferson e Lincoln era considerata baluardo e fondamento del sistema americano si impegnò nel tentativo di restaurazione di un mondo di piccoli proprietari indipendenti e nella lotta contro i trusts e le corporations (la « plutocrazia »), che minacciavano di schiacciare la « classe media » sotto il peso dei grandi interessi organizzati; questi poi di fatto emersero a presidio del nuovo sistema, e furono riassunti nella formula: big government, big labor, big business. Ma, nonostante la sconfitta- del movimento populista e la costante diminuzione quantitativa, i contadini non diventarono una forza politica e sociale marginale; anzi, durante tutta la Progressive Era rimasero protagonisti delle grandi campagne elettorali, fino a conquistare il partito democratico e ad affermare il principio e la pratica dell'interventismo statale nella vita economica, in concreto una politica di protezione e di sovvenzione degli interessi rurali, organizzati soprattutto per mezzo della Farm Bureau Federation (cfr. R.
sta valutativo come di minore importanza della divisione tra capitale e lavoro (fino ad essere confusa con questa), ma che certo tale non è dal punto di vista dello sviluppo del sistema nel suo complesso. Per diverse vie, il medesimo nesso causale era all'origine della crescita numerica e politica sia della classe operaia sia della classe media. Infatti, la crescita di una economia industriale di mercato, implicava, oltre il massimo sviluppo degli addetti al settore secondario, un notevole aumento del terziario, all'interno del quale gli strati in declino si organizzavano per difendersi dalla mutata struttura del mercato del lavoro e gli strati emergenti venivano trascinati in avanti dallo sviluppo del processo stesso di modernizzazione. L'estendersi in tutta l'Europa, tra il 1870 e il 1890, della istruzione pubblica obbligatoria e gratuita svolse un ruolo fondamentale. Con la progressiva scomparsa dell'analfabetismo di massa, emergeva un esercito di lavoratori non manuali e non operai (tecnici, amministratori, insegnanti, ingegneri), Hofstadter, L'età delle riforme, 1962). che avrebbe poi influito in maniera deIn Europa, nel 1870 la guerra franco-prus- terminante nella nuova fase di sconsiana e il suo epilogo nella repressione tro acuto tra classi e tra nazioni che della Comune di Parigi chiudevano sia un si verificò nel periodo compreso tra le lungo periodo di scontro acuto fra le due guerre mondiali. nazioni iniziato con le guerre napoleoniIl processo di espansione quantitativa che, sia un lungo periodo di scontro acu- della classe media era soltanto in parte to fra le classi iniziatosi con la Rivoluzio- una conseguenza del processo di moderne Francese. Si apriva un periodo storico .nizzazione; a parte i rapporti di forza tra di alcuni decenni di pace, che per approsi gruppi sociali, su cui torneremo più simazione e per convenzione indichiamo avanti, influivano in maniera determinancome un periodo di transizione, in cui te le specificità nazionali in cui avvenila classe operaia si impegnò certo in duri va il processo di sviluppo industriale. Da scontri sociali, ma passò sostanzialmente questo punto di vista, ad esempio, i casi da una fase di guerra di movimento ad dell'Italia e degli Stati Uniti sono agli una fase di guerra di posizione, miran- antipodi e disegnano gli estremi dell'arco do soprattutto alla costruzione dei suoi di possibilità che i paesi capitalisti doveallora inesistenti strumenti organizzativano fronteggiare. In Italia avviene, come vi, il partito e il sindacato. La crescita in tutte le società industriali, la grande operaia, in termini quantitativi, organiz- estensione del terziario di cui abbiamo già zativi e di consapevolezza politica avveparlato: tra il 1882 e il 1940 gli impieniva nell'ambito di una frattura pro- gati della pubblica amministrazione pasfonda rispetto alle altre componenti sosavano da 98 mila a 1.436.000. Ciononociali. Infatti, caratteristica precipua di stante, in Italia la situazione del mercato questo periodo storico è l'approfondirsi del lavoro era caratterizzata da un surdella divisione tra lavoratori manuali e plus di offerta rispetto alla domanda non manuali; divisione che a buon dirit- (cfr. M. Barbagli, Disoccupazione intelletto è stata interpretata da un punto di vi- tuale e sistema scolastico in Italia, 1974). -
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Negli USA si riscontrava il fenomeno opposto. Il ritmo impetuoso ed anarchico di industrializzazione insieme ad altri fattori aveva spinto la società americana della fine dell'800 in uno stato di crisi di eccezionale gravità. Da questa situazione, che ebbe la sua prova del fuoco nello scontro elettorale Mckinley-Bryan del 1896, si uscì attraverso unò sforzo poderoso di razionalizzazione e di organizzazione sociale, in cui i membri della nuova classe media ebbero un ruolo di primaria importanza. Questi nuovi self-conscious pioneers (come li definisce R. H.
mentale svolto dai piccoli contadini. Barrington Moore, in un'opera tra le più innovative degli ultimi anni (Le origini
della dittatura e della democrazia, 1972) ha messo giustamente in rilievo che capitalismo e democrazia parlamentare coesistono soltanto laddove (come in Francia, in Inghilterra, negli Stati Uniti) la rivoluzione borghese ha associato capitalisti e piccoli contadini conservatori. I regimi fascisti si insediavano al potere laddove (come in Germania e in Italia), invece di questa alleanza «progressista », il processo di rivoluzione industriale era diretto da una coalizione tra aristocrazia fondiaria e Wiebe in The Search for Order, 1877-1920, rappresentanti del mondo degli affari. In p. 112) furono i principali veicoli del- questi paesi, un regime parlamentare del'emergente sistema burocratico-industria- bole, senza base di massa, scontratosi con le che si affermò nell'America della fron- i mutamenti del primo dopoguerra, cedeva presto il posto al fascismo. Per quantiera e della comunità, del cow-boy e dei Robber Barons. Medici, educatori, to riguarda l'Italia, nella lunga querelle ingegneri, amministratori, specialisti nel tra comunisti e liberali sulla possibilità o mondo dell'industria della finanza e del- meno di una rivoluzione agraria dopo l'ul'agricoltura, soprattutto nei dieci anni tra nità d'Italia, è sempre rimasto indiscusso il 1895 e il 1905, promuovevano l'autoco- che il sostegno dei contadini costituisce scienza di una nuova classe media (< nuo- la stabile base dei regimi democratici. L'alleanza, denunciata da Salvemini e va'> perché diversa dalla « vecchia » classe media di proprietari indipendenti); e Gramsci, tra industriali del Nord e proprietà fondiaria del Sud, escludeva da formavano un fitto intreccio di associaogni forma di partecipazione e di sostezioni professionali, camere di commergno allo stato unitario il mondo contadicio, organizzazioni municipali, movimenti no, costituito da masse rurali miserabili, riformatori che costituirono la struttura e tartassate dal sistema fiscale più pesanla spina dorsale della classe media arnete d'Europa. La formazione di una clasricana. In Europa come negli Stati Uniti, lo se media, «tra l'infima plebe e la classe opulenta », «cemento che dà unità e sviluppo quantitativo ed organizzativo mantiene insieme il corpo della nazione », della classe media nel periodo considerato significò una evidente crescita di fu ripetutamente ribadita dai membri più peso politico, cui non tutti gli storici han- eminenti della classe dirigente come il compito cruciale al fine di mantenere la no dedicato la dovuta attenzione. La concentrazione del 'lavoro storiografico coesione politica del paese (cfr. M. Bare sociologico sull'antitesi borghesia - pro- bagli, op. cit., pp. 85-95). D'altronde, in letariato ha messo un po' in ombra Europa, tra il 1870 e il 1914, pur in differenti contesti nazionali rimaneva irrisolquesto, come altri temi di rilievo, e, benché ci siano qua e là i segni di to il medesimo problema. un notevole risveglio di interesse, per - Riassumendo e schematizzando al massimo, nel progetto di costruzione di mangono vaste zone di indagine tuttora inesplorate. Un interrogativo fon- un forte stato industriale, le classi dirigenti dovevano scontrarsi con una tridamentale riguarda il posto occupato plice sfida: il nascente movimento opedalla classe media in quelle alleanze « progressiste)> che, negli anni venti, resi- raio, l'ipoteca clericale, il mondo rustendo al fascismo, hanno permesso la rale. La crescita quantitativa, organizcoesistenza di capitalismo e democrazia zativa e politica della classe media avparlamentare. È noto il ruolo fonda- veniva dunque sotto la spinta di mol-
9 teplici fattori: non soltanto lo sviluppo delle differenti e sempre più articolate istituzioni portate dal processo di modernizzazione, ma anche il calcolo politico dei detentori del potere. Per questa via si formavano un'autocoscienza e una organizzazione ad esaltazione e a difesa dei propri interessi di classe che sono bene esemplificate dal caso francese, dove la tendenza coronava una tradizione burocratica e professionale che risaliva ai tempi di Richelieu e di Colbert: « La base sociale della Terza Repubblica ebbe il suo centro di gravità nelle classi medie... dopo il 1875 le classi medie conquistarono un controllo di fatto su tutto il meccanismo statale e sulla maggior parte delle posizioni chiave nella società francese. Le molteplici definizioni date alla Terza Repubblica - La République des camarades, La République des Pro fesseurs, e perfino La République des Complices non sono che variazioni su questa verità generale... Le classi professionali (The. professional classes) fornirono lo stato maggiore a tutti gli uffici governativi, alle forze armate, alle università e a tutti gli istituti di istruzione superiore, alle amniinisti-azioni coloniali, ai servizi diplomatici ed esteri, alla magistratura; Naturalmente, questa situazione non era caratteristica della sola Francia: essa prevaleva, con diverse gradazioni, in Germania e in Gran Bretagna.» (D. Thomson, Democracy in France, 1969, pp. 53-57). Soprattutto tra gli impiegati delle poste, i maestri, i medici, gli impiegati dei grandi magazzini, e più in generale in tutta l'area del pubblico impiego si affermarono nella seconda metà dell'Ottocento vigorose associazioni professionali, poi trasformate alla fine del secolo in sindacati veri e propri, che esercitarono un ruolo significativo su tutte le vicende della Terza Repubblica. I sindacati della classe media, in maniera caratteristica del loro sviluppo in Francia, costituirono una rete di alleanza che andava da Milierand a Jaurès, dal movimento operaio organizzato alle più alte autorità del governo. Quando, nel 1909, Clemenceau, che pure si presentava come leader di un progetto riformatore, rassegnò le dimissioni dopo due scioperi generali promossi
dai sindacati dei funzionari e clamorosamente appoggiati dalla Confédération Général du Travail, apparve chiaro che la classe media costituiva un fattore storico decisivo e non un insieme eterogeneo di gruppi sociali secondari. Questa consapevolezza, diffusa nella maggioranza degli storici e dei sociblogi della Terza Repubblica, fu espressa al più compiuto livello da M. Halbwachs, che identificò il tratto comune e distintivo della classe media (rispetto a contadini, operai e borghesi) innanzitutto per il posto privilegiato da essa occupato nella divisione sociale fra lavoro manuale e intellettuale (cfr. Analyse des mobiles dominants qui orientent l'activité des individus dans la vie sociale, 1938). La storia della fortuna o della sconfitta del fascismo (in Italia come in Germania, o in Francia) conferma il ruolo significativo svolto dalla classe media e dalle sue organizzazioni rappresentive sia nelle coalizioni « reazionarie » sia nelle alleanze « progressiste» che decisero le vicende dei paesi europei fra le due guerre. Perché ebbe troppo scarsi successi in quello che era stato il suo terreno d'elezione in paesi come la Germania o l'Italia, il fascismo non arrivò al potere in Francia. Infatti, i sindacati francesi della classe media furono il fulcro della « resistenza degli strati intermedi alla tentazione fascista » (M. Crozier, Il mondo degli impiegati, 1975, p. 78), nel periodo fra le due guerre, quando la classe media dovette affrontare in prima persona le pesanti conseguenze della crisi postbellica: la forte inflazione con la conseguente distruzione dei risparmi; la concorrenza sfrenata nelle professioni liberali o la sparizione di queste con la loro riduzione a « posti » burocratici; la transizione ad una fase di alta concentrazione capitalistica; e soprattutto l'affermazione di un proletariato che pretendeva più potere politico, più reddito e più prestigio (cfr. G. Germani, Autoritarismo fascismo e classi sociali, 1975). In Italia, l'avanzamento della classe dei lavoratori manuali si concretizzò attraverso un aumento spettacolare dei salari reali, un ampio riconoscimento di importanti diritti sociali, e una fase di acuta
lo mobili tazione politica: tra il 1911 e il cola e media pròprietà contadina rimasero 1920 gli aderenti alla CGIL passarono da relativamente sensibili all'appello nazista duecentomila a 2.200.000. Inoltre; con le soprattutto per la tenuta costante del elezioni del dopoguerra, i socialisti diven- Partito cattolico del Centro, che ancora tavano la prima forza politica del paese, ùelle elezioni di emergenza del marzo 1933 mantenne 4 milioni e mezzo di voti. seguiti dai cattolici. Tutte e due queste forze politiche nascevano al di fuori e in Invece, per quanto riguarda la «nuova» opposizione allo stato liberale, e, quindi, classe media, di lavoratori dipendenti e in una certa misura, contro gli interessi e non manuali, gli impiegati privati e la loro l'ideologia dello stato all'ombra di cui si confederazione sindacale rimasero a lunerano maturati gli interessi e la struttugo sostenitori del Partito nazionalista; ra della classe media italiana. Il movi- l'adesione degli impiegati pubblici al namento di contro-mobilitazione di que- zismo rimase di marginale importanza fino alla vigilia della grande depressione. st'ultima « a differenza di ciò che era avvenuto con riguardo alle classi popolari, Come è noto, la grande crisi fece del picnon trovò dei meccanismi organizzativi colo partito nazista una forza politica capaci di esprimerlo politicamente. Do- decisiva; nel 1928 il partito mise da canto vette quindi crearseli ... » (G. Germani, le velleità «rivoluzionarie » della sua ala op. cit., p. 231). Dunque, il fascismo fu sinistra, orientata versa l'area del voto espressione della classe media, e non operaio, e scelse una strategia elettorale soltanto strumento della classe dominanspecificamente orientata a raccogliere te 2 Per meglio dire, una coalizione della l'avversione di tutti gli strati, vecchi e parte più reazionaria (e maggioritaria) nuovi, della classe media contro la Redei poteri costituiti (nell'eòonomia, co- pubblica di Weimar. Quando, tra il 1929 me nella cortè, nell'esercito, nell'alta bue il 1932, la disoccupazione crebbe da un rocrazia), che aveva la sua base di massa milione e mezzo a oltre 6 milioni, il partito nazionalsocialista divenne un multinella classe media. forme movimento di protesta, forte soprattùtto della vecchia classe media di La fertilità della distinzione tra « vecartigiani, piccoli commercianti e conchia» e «nuova» classe media si rivela tadini, che abbandonarono i partiti libeappieno nell'analisi del fascismo tede- rali e di centro. Anche impiegati pubblici sco. Conviene precisare la convinzione lar - e privati, più i primi che i secondi, afgamente condivisa secondo cui la classe fluirono nelle file nazionalsocialiste, ma media, definita in maniera indifferenzia- nell'ambito di un riflusso generale che ta, diede il principale contribùto ai suc- vedeva in prima fila disoccupati, pensiocessi elettorali del partitò nazionalsocia- nati e pure una parte della classe operaia lista, che nelle elezioni del 1932 arrivò (nel 1932, di un milione di iscritti al partito un terzo erano operai). La base del a sfiorare il 40 per cento dei voti e che arrivò al potere per via parlamentare. Partito nazionalsocialista era la classe Se si guarda più addentro a quella che era media tradizionale, travolta dalla crisi la compòsizione sociale del voto (cito economica; nelle ultime elezioni « normali '>, novembre 1932, quando cominciavada T. Childers, The Social Bases of the National Socialist'Vote, 1976), si nota che no a manifestarsi i primi segni di miglioramento della situazione economica, dal '24 al '33 l'asse portante dell'elettorato nazista fu la « vecchia» classe media di i nazisti persero 2 milioni di voti rispetartigiani e commercianti, mentre la pic- to alle elezioni precedenti. -
Sul rapporto tra fascismo e classe media, L'in tervista sul fascismo di R. De Felice ha aperto una polemica che rischia di confondere le idee invece di chiarirle. In questa sede, basterà 'ricordare che anche 'gli studiosi più critici delle tesi di De Felice riconoscono almeno che il fascismo è radicato nella classe media. Cfr. quanto dicono in AA. VV., Fascismo e capitalismo, 1976, G. Quazza, p. 44; P. Aiatri, p. 33; V. Castronovo, pp. 112-113; G. Carocci, pp. 206-207.
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11 LAVORO MANUALE £ LAVORO NON MANUALE
A questo punto, conviene interrogarsi, non più sul piano storico, ma sociologico, a proposito della possibilità di individuare come classe l'insieme di categorie o gruppi o fasce o ceti sociali che sono stati definiti « classe media ». Prenderemo in esame due risposte, che muovono da opposti punti di riferimento teorici e politici. lJna prima risposta parte dal presupposto che il criterio essenziale per defiilire le classi sociali attiene alla distin'ione tra proprietari e non proprietari dei mezzi di produzione. Quali che siano poi le più o meno raffinate distinzioni in tema di lavoro produttivo o improduttivo, questo tipo di argomentazione 'conclude col negare che si possa parlare di una classe media, né come soggetto di azione storica né come oggetto metodologicamente delimitato di ricerca scientifica. Questa posizione fu propria del marxismo classico ed « ortodosso », sostenuta da Kautsky nella polemica con Bernstein, confermata a più riprese sia dalla socialdemocrazia tedesca sia da parte dei teorici della terza lnternazionale, e tuttora ha larga udienza nelle correnti di pensiero che in vario modo si richiamano al marxismo, con una variante « americana» ed una « eurocomunista ». Tutte e due le varianti hanno in comune la tesi del riavvicinamento fra lavoratori manuali e non manuali, con- la differenza che negli Stati Uniti si adopera il termine « classe media », ma a designare un'ideologia e un « insalatone professionale » (come farà C. Wright Mills nel
suo capolavoro Colletti bianchi. La classe media americana, 1966) e in Europa si usa il termine di proletarizzazione o di popolo tout court, volendo significare che il capitale trasforma tutti in salariati, e « la salarisation unisce sempre più la massa dei lavoratori » (P. Boccara, Etudes sur le capitalisme monopoliste d'Etat, sa crise et son issue, 1973, p. 132). Una seconda obiezione nega che si possa parlare correttamente di classe media, in quanto ritiene dubbio che il concetto di classe si possa applicare ai
gruppi di conflitto della società contemporanea, neocapitalista o postcapitalista che la si voglia definire. Le politiche di tassazione e di redistribuzione della ricchezza; gli incrementi del reddito nazionale; la società dei consumi; la società opulenta; l'istituzionalizzazione dei conflitti sociali; la trasformazione dei rapporti sociali in rapporti di competizione e di emulazione, non di conflitto; l'eguaglianza delle opportunità; la mobilità sociale.., questi sono i principali fattori citati a dimostrare l'impossibilità di un consolidamento e di una stabilità delle classi in senso marxiano nella società contemporanea. La gerarchia sociale sarebbe un continuum di suddivisioni; per i più ottimisti, « come una scala'> con piuoli assai vicini (senza nette interruzioni) che gli individui possono salire o scendere secondo le loro capacità; per i meno ottimisti, « come una piramide » in cui i pezzi sono subordinati l'uno all'altro (senza nette interruzioni) secondo una comune, e forse condivisa, necessità funzionale. Paradossalmente, queste interpretazioni, che soltanto per comodità definiamo borghesi, cominciano a volte proprio col dire «Marx non aveva previsto lo sviluppo della classe media », oppure « lo sviluppo della classe media contraddice e falsifica la teoria marxista della società », e poi concludono quasi inspiegabilmente col negare l'esistenza stessa della classe media. Come dice R. Dahrendorf in un'opera tra le più significative della sociologia «borghese »: «... in nessuno dei linguaggi moderni si può trovare un termine capace di definire questo gruppo che non è un gruppo, questo strato che non è uno strato. I tentativi di definizione sono stati innegabilmente numerosi ... Tutti questi tentativi però sono caratterizzati da così numerose specificazioni che è impossibile trarne delle conclusioni di carattere generale... (la classe media) non ha mai costituito una classe in nessuno dei significati posseduti da questo termine, nè mai lo diventerà. Ma anche se non esiste una nuova classe media, esistono però impiegati e burocrati e l'affermazione di questi gruppi costituisce uno dei -
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12 Queste considerazioni introducono a quello che è il nocciolo del problema, e conflitto di classe nella società indu- cioè lo statuto gnoseologico all'interno del quale è possibile parlare di « classe striale, 1963, pp. 92-99). media >', e a maggior ragione di classi Tutti e due gli schemi interpretativi prisociali, in un senso vicino a quello « ottoma riassunti rispecchiano o en'fatizzano alcuni connotati reali della struttura centesco » del termine. L'oggetto del contendere, tra marxisti sociale, e ne trascurano altri. Cominciae non marxisti, non è mai stato l'esimo da chi ritiene che le classi si possastenza dell'ineguaglianza nei sistemi Cano definire solo in rapporto ai mezzi di pitalistici - come è ovvio. Piuttosto, produzione. Ora, mentre rimane acquila disputa si è sviluppata intorno alla sito il punto di partenza marxiano, seconvalutazione morale, sui temi inerenti alla do cui « è sempre nel rapporto immediato tra il proprietario dei mezzi di legittimità o alla razionalità della diseguaglianza; soprattutto, la disputa si è produzione e il produttore diretto (...) che bisogna cercare il segreto più pro- sollevata intorno alla possibilità di stafondo, il fondamento nascosto di tutto bilire un ordine della diseguaglianza, dí l'edificio sociale », rimane invece da di- individuare i fattori sistematici che regolano la sua distribuzione all'interno scutere che questa pur essenziale di-' stinzione basti ad individuare l'insieme di una società nazionale. Come è noto, delle classi sociali e dunque a far comil fondamento della diseguaglianza è prendere il senso di alcune lotte so- stato individuato facendo riferimento a ciali della nostra storia più recente. due criteri: l'iniqua ripartizione del plusUn altro significativo spartiacque si erge valore in casa marxista, e la rarità sul all'interno dei non possessori di mezzi mercato, risultante dal rapporto fra dodi produzione: la separazione tra lavoro manda e offerta, in casa liberale. La vamanuale e non manuale. Impiegati e o- lorizzazione del capitale è a 'fondamenperai, ad esempio, entrambi non pro- to della diseguaglianza, sia che abbia preprietari dei mezzi di produzione, vivono minenza il concetto di rarità relativa e lottano in situazioni di mercato del sia che abbia preminenza il concetto di lavoro, di divisione sociale del lavoro, lavoro produttivo. Rimane da parte il di conferimento di status così diversi, problema di come si scambiano tra loro da mostrare chiaramente che la posilavoro e capitale, ovvero rarità e comzione di classe dei lavoratori manuali non penso; così come rimane da discutere il è la stessa di quella dei colletti bianchi. rapporto fra disuglianza e divisione soCome dice D. Lockwood (The Blackcoa- ciale del lavoro, di cui è un aspetto ted Worker, 1958, p. 15), per individua- rilevante la divisione fra lavoro manuare una classe sociale, e pur conservando le e intellettuale. Se tutte le dimensioni l'essenziale della definizione marxiana, della diseguaglianza registrano una fratci vuole 'di più che la distinzione tra pro- tura significativa all'altezza della divisioprietari e non dei mezzi di produzione, ne fra lavoro manuale e non manuale, e cioè: «primo, 'situazione di mercaallora questa frattura è la linea di deto,', cioè la posizione economica stretmarcazione; al di là e al di qua di quetamente considerata, che riguarda la sto confine sussistono due ambiti di difonte e la grandezza del reddito, grado suglianza, e cioè di reddito, di valori, di di sicurezza del lavoro, opportunità di identificazione politica, etc. mobilità ascensionali; secondo, 'situaÀ Questo, in effetti, è un problema di rizione di lavoro', cioè l'insieme di rela- cerca empirica - a cui sono state date zioni sociali in cui un individuo è coin- varie risposte. Secondo alcuni osservavolto sul lavoro in virtù della sua posi- tori, come abbiamo già detto, le strutzione nella divisione del lavoro; e infine, ture sociali del neocapitalismo sono casituazione di status', ovvero la posi- ratterizzate da una distribuzione conne dell'individuo nella gerarchia del pre- tinua del reddito e del prestigio; identifistigio della società nel suo insieme ». cazione politica e lavoro sono debolmen-
più singolari aspetti dell'evoluzione storica del secolo passato>' (in Classi e
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13 te correlate; in ultima analisi, la frattura tra lavoro manuale e non manuale diventa progressivamente o meno importante o meno visibile o tutte e due le cose insieme. Almeno nella versione più estrema che ne dava la sociologia funzionalista, queste tesi sono state messe in dubbio, se non proprio smentite, nel corso degli ultimi anni. Il mondo degli interessi e dei valori si mostrano così fortemente differenziati, da ridare ragione a chi ha continuato a lavorare sull'ipotesi di esistenza di spaccature profonde al loro interno. Nonostante i confini di classe siano diventati meno precisi, la gente continua a nascere e a morire nella sua classe d'origine; benché si palesi in qualche caso eccezionale, l'eguaglianza delle opportunità non si dà tuttora indipendentemente dall'ineguale distribuzione della proprietà; per quanto possa essere migliorata la condizione di vita operaia, certo questo non è conseguenza di una radicale distribuzione della ricchezza, ma degli spettacolari aumenti del reddito nazionale verificatisi nel dopoguerra; i gruppi a più alto livello di reddito sono stati fra i maggiori beneficiari del Welfare State; etc. (su questi temi, cfr. tra gli altri: T. B. Bottomore, Le classi nella società moderna, 1970; R. M. Titmuss, Commitment to Wlfare, 1968; A. Giddens, La struttura di classe nelle società avanzate, 1975). .Quindi, « non si può dire che, nel giro degli ultimi tre decenni circa, nelle società europee occidentali la bilancia dei vantaggi di classe abbia subito cambiamenti di rilievo.)> (F. Parkin, Disuguaglianza di classe e comportamento politico, 1976, p. 156). Il convincimento che tra lavoro manuale e intellettuale sussista tuttora una ineguaglianza fondamentale è largamente condiviso sia da una parte consistente della comunità scientifica in vari paesi europei (qualche riga sopra avevamo citato soltanto sociologi inglesi) sia dai pubblici poteri. Una « commissione di saggi)> francese, in cui erano rappresentati soprattutto dirigenti industriali, istituita su commissione del governo nella prospettiva di intraprendere una impor-
tante azione di rivalutazione del lavoro , manuale, dopo aver osservato il basso' livello dei salari e della mobilità profes-. sionale tra i lavoratori manuali, così affermava: « In rapporto alle altre categorie di Francesi, i lavoratori manuali si. sposano più giovani, hanno delle famiglie più numerose e vivono più ripiegati su se stessi; le loro partenze per le vacanze sono meno frequenti e la loro , partecipazione a delle attività sociali o. culturali è più bassa; la televisione occupa un posto privilegiato nel loro tempo libero. Il contrasto è sorprendente tra la monotonia della loro vita privata e i rischi della loro vita professionale: la frequenza degli incidenti è più elevata per loro che per gli impiegati e i qua-. dri; l'usura fisica, più importante, ridu-. ce la loro speranza di vita; essi sono infine più toccati dalla insicurezza dell'impiego)> (Rapport du groupe d'étude, Rémuneration des travailleurs manuels, 1976, p. 21). Benché la parcelliz-. zazione e l'organizzazione tayloristica del lavoro siano penetrati negli uffici e nel commercio, e certo in maniera diversa nei differenti contesti nazionali, il lavoro impiegatizio-intellettuale continua ad essere privilegiato nei confronti di. quello manuale sotto molteplici punti di vista, oltre quello della retribuzione monetaria: in termini di ambiente di lavoro e di sicurezza del lavoro, soprattutto, ma anche in termini di opportunità di promozione e di carriera, di. numero delle mensilità retribuite, di ferie pagate, di orario di lavoro e di osservanza dell'orario di lavoro, di progressione retributiva per anzianità, di trattamenti di malattia, pensione, liquidazione, etc.. Che poi, in concreto, non molto si faccia per cambiare questa situazione, è problema che riguarda i rapporti di forza tra. le parti sociali, e non un problema di conoscenza. Perché « non è solo il padro-. ne-industriale' o il 'grande monopolio che svolge una funzione di sfruttamento,. intesa in senso lato; anche altri ceti par tecipano ai benefici dello sfruttamento , del lavoro operaio e contadino'> (E. Gorneri, La giungla retributiva, 1972, p. 15).. Ovvero, nei termini della commissione francese precedentemente citata: «
14 un miglioramento della condizione di vita dei lavoratori manuali implica una -certa redistribuzione del reddito nazionale... la resistenza delle altre categorie 'di salariati a ogni cambiamento delle loro posizioni in rapporto a quelle dei lavoiatori manuali tenderà a fare deviare l'operazione (di rivalutazione del lavoro manuale) verso una rivalutazione quasi proporzionale dell'insieme dei salariati » (op. cit., pp. 90-91). Per ultimo, rimane da considerare che operai e impiegati non costituiscono una maggioranza sottoprivilegiata che in un senso molto relativo, sia di fronte alle povere condizioni di vita dell'immensa maggioranza dell'umanità sia di fronte :alle molte minoranze all'interno delle singole comunità nazionali. Disadattati, vecchi, casalinghe, disoccupati, giovani in cerca di prima occupazione, manodopera minorile, e soprattutto i molti che lavorano, sì, ma in occupazioni gravemente alienate, pericolose, degradanti, comunque intollerabili, in genere immigrati, « stranieri », uomini di altra razza e altro colore, spettatori ed accattoni delle briciole del benessere. In ItaTli, circa tre milioni di persone sono occupate senza la protezione delle clausole retributive, previdenziali, normative 'degli accordi sindacali « fra i più avanzati del mondo »; in Francia, al dicembre 1974, la popolazione straniera si valutava intorno ai 4 milioni di persone; in Germania, più del 10 per cento della forza lavoro è costituito da immigrati; negli USA il 12 per cento della popolazione è di colore (sulla tripartizione, o il dualismo, o i poveri del mercato del •lavoro, cfr. M. Paci, Mercato del lavoro e classi sociali in Italia, 1972; G. Fuà, -
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'Occupazione e capacità produttive: la realtà italiana, 1976; L. Stolerù, Vincre la pauvreté dans les pays riches, 1974; -e, in generale, sui problemi della divisione del lavoro, le tesi ormai note di F. Alberoni, Classi e generazioni, 1970). Il trattamento ineguale della divisione 'del lavoro, e la ripartizione tra lavoro manuale, non manuale, marginale, rinviano di per sè alla ricerca degli attori politici che ne regolano gli aspetti siste-
matici. Questo argomento introduce un altro ordine di considerazioni, attinente ai problemi del pluralismo e della rappresentanza degli interessi in una società a capitalismo avanzato, che tratteremo riferendoci ai sindacati della classe media, fatta avvartenza, a scanso di equivoci, che ci sono ben altri centri di decisione, politici ed economici, al di fuori delle limitate strutture di cui ci stiamo interessando.
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I SINDACATI DELLA CLASSE MEDIA NELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE.
La distribuzione per settori della forza lavoro tra il 1929 e il 1965, è nircata da un mutamento di carattere eccezionale. Nel periodo considerato, mentre l'occupazione nell'industria è cresciuta in termini assoluti, ma non in termini relativi, la quota di occupazione nei servizi è cresciuta in maniera macroscopica: nel terziario vi sono più occupati che nel secondario, anzi si raggiunge una percentuale che oscilla intorno al 50% della forza lavoro in tutte le economie avanzate, e che è del 55% negli Stati Uniti. Questa « tendenza secolare» (V. Fuchs, The Service Economy, 1968, p. 22) alla crescita del settore dei servizi si è manifestata in maniera diversa nei differenti contesti nazionali. Anche in paesi periferici come la Francia e l'Italia, lo sviluppo dei tre settori tende a seguire una logica evolutiva simile a quella degli Stati Uniti, anche se con modificazioni non irrilevanti, come ad es. la permanenza di una forte quota di occupati nell'agricoltura (nel 1965, in Francia il 18% della popolazione attiva, negli USA soltanto il 5,7%), oppure uno sviluppo ritardato del processo di industrializzazione (il caso dell'Italia). Per quanto confusa e discutibile possa essere la nozione stessa di « settore terziario », è incontestabile che la struttura Occupazionale delle società industriali avanzate si sia profondamente modificata. La svolta si è verificata nel 1945; il volano di questo grande cambiamento è stato il ruolo crescente svolto dall'amministrazione pubblica, come conseguenza dell'ondata di nazionalizza-
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15 zioni 3 e di legislazione sociale che nell'immediato dopoguerra accentrò nelle mani dello Stato vari servizi fondamentali. I settori bancario, dei trasporti (ferrovie, linee aree), dell'energia (elettricità, gas, carbone, acciaio), insieme a tutto il settore assistenziale e burocratico tradizionale furono trascinati in un tentativo collettivo di modernizzazione e di coordinamento della ricostruzione. Fu, ovviamente, una rinnovata crescita industriale; fu soprattutto, per l'ambito dei problemi che stiamo esaminando, l'ingigantirsi del ruolo dello Stato e lo straordinario sviluppo della classe sociale che nell'area della pubblica amministrazione già da tempo coltivava gli interessi e l'ideologia della propria legittimazione sociale. Oueste osservazioni, che sono parte di una nota serie di indagini a cui rimandiamo, da quelle pionieristiche di Colin Clark al volume di Sylos Labini sulla situazione italiana, sono introduttive alla messa in rilievo di un fatto centrale per la comprensione del significato attuale del termine « classe media ». In questo agglomerato eterogeneo, ma unificato in termini di reddito e di status per la contrapposizione tra lavoro manuale e intellettuale, c'è una quota di lavoratori indipendenti che diminuisce, e una quota di lavoratori dipendenti che cresce. Di questi ultimi la parte più significativa è costituita dai dipendenti statali, la cui percentuale di sindacalizzazione, in alcuni paesi come l'Italia o la Francia, è già superiore o di gran lunga superiore a quella che si registra nell'impiego privato. Come è noto, coltivatori indipendenti ed insegnanti rappresentano i poli opposti e più significativi di questo processo, ma la tendenza in quanto tale si esprime su tutto l'insieme della forza lavoro. Basti pensare a come si sono modificate le caratteristiche di quella che si ritiene una professione « liberale » ed «indipendente)> per eccellenza, i medici, la cui grande maggioranza è convenzionata, cioè esercita il rapporto di prestazione d'opera a cari-
co di enti che operano nel sistema mu-
tualistico (cfr. Relazione della Corte dei Conti sull'ENPAM, 1972 reI. S. Ristuccia, e, per il caso inglese, in cui questo processo è giunto alla sua logica conclusione: H. Ecknstein, Pressure Group Politics: The Case of the British Medical Association, 1960). Le trasformazioni nell'esercizio della professione medica vanno osservate a partire dai cambiamenti di tutta la struttura occupazionale. Le fratture del mercato del lavoro (intellettuale, manuale, marginale) sono mantenute stabili da un sistema di protezione corporativa garantita dalle norme giuridiche non meno che dai modelli culturali. L'azione sindacale di « rappresentazione - rivendicazione)> non senza fondamento suggerisce alcune generiche analogie storiche. Bene illustrate proprio dal caso degli Ordini professionali: corporazioni che in parte sono residui sopravvissuti alla fine dell'ancien régime, in parte sono state promosse dai regimi liberali e integrate nell'apparato decisionale, per assicurare la rappresentanza ufficiale degli interessi (J. Meynaud, Nouvelies études de pression en France, 1962, pp. 143.145). Il caso italiano è rappresentativo di una fase « patologica» di questo processo. Tutti i gruppi, a cominciare da quelli che hanno una capacità di mercato privilegiata (es. classico: i piloti di aviolinee), sono impegnati, e in larga misura vincenti, nella rincorsa salariale e nella specificazione dell'ambito dei propri privilegi normativi. Il concetto stesso di lavoro dipendente o di classe media dipendente sono messi a dura prova dall'esistenza delle tante corporazioni superpagate e ipersindacalizzate del lavoro dipendente: medici ospedalieri, settore assicurativo, alta burocrazia, bancari, magistratura, e la miriade di impiegati in Enti statali e parastatali, dalla Camera alla Cassa del Mezzogiorno. In queste mutate condizioni, come ha notato l'autore che più ha messo enfasi sugli aspetti sociologici del processo
- Ovviamente, non è il caso degli Stati Uniti, ma dell'Inghilterra, della Francia, dell'Austria e dell'Italia.
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16 di terziarizzazione, o meglio sulle trasformazioni societarie inerenti alle molteplici conseguenze e cause di questo processo, un problema politico fondamentale diventa quello della istituzionalizzazione di nuovi tipi di conflitto sociale, le cui caratteristiche sono finora largamente ignote, così come il problema politico fondamentale della società industriale era l'istituzionalizzazione della forza eversiva del movimento operaio, che venne poi stemperata in un sistema di rappresentanze e di mediazioni di cui il sindacato di classe e il partito di massa furono gli strumenti decisivi (D. Beh, The Coming of Post-industrial Society, 1973, pp. 123-164). Da questo punto di vista, il caso degli Stati Uniti fornisce un modello paradigmatico di istituzionalizzazione del conflitto: lo sviluppo dei sindacati attraverso il sostegno attivo dei pubblici poteri. Quando, nel gennaio 1961, il presidente Kennedy prese la decisione politica di incoraggiare il sindacalismo nel pubblico impiego, diede a questo tipo di sindacalismo lo stesso appoggio univoco che la legge Wagner aveva dato neI 1935 ai sindacalismo operaio, facilitando sia il quadruplicarsi del numero degli iscritti sia la scomparsa del movimento operaio americano come forza politica alternativa. Per molti versi analoga è l'esperienza inglese: nel 1916, allo scopo di trovare una soluzione ai problemi sindacali che prevedibilmente sarebbero scoppiati alla fine della guerra, il governo costituisce il comitato Whitley « for securing a permanent improvement in the relations between employers and workmen ». E la principale conclusione del comitato fu che. per raggiungere lo scopo era essenziale un'« adequate organization on the part of both employers and workpeopie>) (G. S. Bain, The Growth of WhiteCollar Unionism, 1970, p. 143). Sulla base dei Whitley Councils, la contrattazione collettiva si estese ai Civil Service (che fino ad allora ne era escluso); i sindacati del pubblico impiego si rafforzarono per numero degli iscritti e si consolidarono come strutture organizzative; questa parte della classe media inglese adottò definitivamente un comporta-
mento <cleale» nei confronti del sistema, come riconobbe esplicitamente il Cancelliere dello Scacchiere, W Churchill, in riferimento appunto ai comportamento dei sindacati del pubblico impiego durante la grande prova del 1926, lo sciopero generale del 4-12 maggio, che chiuse un ciclo di storia europea, quello apertosi con la Rivoluzione d'Ottobre, i grandi scioperi del dopoguerra e la paura della rivoluzione in Occidente. Nell'area dei paesi cosiddetti a diritto amministrativo si respira un clima ben diverso. Mentre in Inghilterra e negli Stati Uniti la moderna organizzazione burocratica nasceva sulla crisi del patronato, del clientelismo e dello spoyls system (colpo di scure di Gladstone nel 1870, e Pendieton Act del 1883 negli Stati Uniti), la concezione napoleonica della pubblica amministrazione tentava di ricalcare il modello organizzativo della chiesa e dell'esercito: autorità più. gerarchia. Nonostante l'opposizione di alcuni liberali, come Tocqueville o Anatole France, e i continui cambiamenti di regime, la Fonction Publique rimase ancorata a questi principi essenziali per tutto l'Ottocento e oltre, secondo una concezione che fu seccamente e sinteticamente riassunta nella celebre frase dell'Hauriou a commento della sentenza del Consiglio di Stato (arrét Boisson 131-1922) che confermava la diversità della disciplina dei funzionari da quella di diritto privato: «Pas des luttes des classes à l'interieur de la hierarchie administrative, par suite pas de syndacats de fonctionnaires, parce que la forme syndacale est liée à la lutte des classes» (citato in Y. Saint-Jours, Le syndicalisme dans la fonction publique, 1974, p. 10). In termini non dissimili si esprime, nello stesso periodo (1922), in Italia, O. Ranelletti: « Crediamo fermamente che in nessun modo di fronte allo Stato, 'fra le persone, che con esso sono in rapporto di servizio (funzionari, impiegati, salariati, operai) si possa ammettere legalmente la costituzione di sindacati, con le finalità e i metodi di lotta, che ad essi sono propri. Lo Stato
17 vano chiesto di poter aderire alle Bourses du Travail per bilanciare l'influenza del sindacalismo rivoluzionario soreliano sul movimento operaio. A conclusione di un tormentato processo storico, soltanto nel 1946, con i comunisti ai governo, fu legalmente riconosciuto il principio della libertà sindacale ai funzionari; quando Michel Debrè e Maurice Thorez, gollisti e comunisti, guidarono la riforma della pubblica amministrazione, l'uno per ristrutturare i modi di formazione dei « grands commis'> dello stato, l'altro per ottenere appunto con lo Statut général des fonctionnaires la piena cittadinanza e il rafforzamento del sindacalismo nella pubblica amministrazione.
deve essere una unità compatta in tutta la sua organizzazione» (citato in Casse-
se-Dente, Una discussione del primo ventennio del secolo: lo Stato sindacale, 1971, p. 965). In Italia e in Francia dominava un'elaborazione giuridico-politica che defi niva il rapporto di pubblico impiego come rapporto sui generis, fondato sulla non contrattualità e quindi soggetto a regolamentazione unilaterale. Come già abbiamo accennato, anche in Inghilterra furono avanzate tesi dello stesso tipo, imperniate sulla distinzione fra impiego privato e impiego pubblico, sugli obblighi specifici, etc., ma furono definitivamente sconfitte già nel 1919, anno in cui il Governo escluse ogni ipotesi di carattere « consultivo» dei Whitley Councils, che si impiantarono nel Civil Service come strutture di rappresentanza dei pubblici impiegati con competenze «determinanti'> su tutti i problemi di regolamentazione del rappor to di lavoro (cfr. B. Dente, Contrattazione e consultazione nel pubblico impiego, 1971). Comunque, anche in Italia e in Francia, al di là delle posizioni che • abbiamo ricordato, e che rimangono ufficiali e maggioritarie, maturava una situazione di fatto contraddittoria con quanto si affermava in diritto. In Italia, questo tipo di evoluzione fu assorbita nel corporativismo fascista; in Francia il sindacalismo amministrativo si impose lentamente ma progressivamente nei confronti del pubblico potere, che gli era ostile nel suo insieme, ma diviso sulle scelte tattiche. Infatti, accanto alle sentenze conservative del Consiglio di Stato, c'erano le pressioni dei parlamentari che, attenti alle conseguenze elettorali, si erano fatti ripetutamente interpreti delle esigenze « del proletariato degli uf fici, delle imposte, delle scuole, delle poste ». Gradualmente, varie forme di partecipazione vennero riconosciute ai sindacati dei dipendenti statali, che pure si erano presentati come forze assolutamente riformiste, sia quando nel 1924 avevano dato un appoggio aperto e decisivo alla vittoria del Cartel des gauches sul Bloc national, sia quando, alle origini della loro formazione storica, ave-
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La storia dell'istituto giuridico del pubblico impiego può essere analizzata sotto due punti di vista distinti e complementari. Uno, a cui finora abbiamo fatto riferimento, è quello dell'organizzazione e dell'emancipazione del sindacalismo amministrativo; l'altro, che stiamo per esaminare, è quello dell'organizzazione di un potere amministrativo autonomo sia nei confronti del ceto politico sia nei confronti degli amministrati. Per incamm.inarsi agevolmente su questa strada occorre innanzitutto mettere in rilievo quali sono i limiti di una concezione puramente « strumentale» della burocrazia. L'idea di una pubblica amministrazione apolitica e neutrale, super partes, al di sopra dello scontro degli interessi, è ovviamente ideologica e inverosimile; per questo ha avuto buon gioco chi ha notato quanto invece l'amministrazione è permeabile all'azione dei gruppi di pressione, fino a svolgere una funzione di canale di rappresentanza degli interessi. Queste osservazioni sono tipiche di una impostazione marxista (sia per quanto riguarda la denuncia e « la critica dello Stato », sia volte come parte di progetti politici che mirano a sostituire i « cattivi » con gli « onesti » amministratori); ma sono condivise anche da impostazioni non marxiste, come dimostrano le analisi neopluraliste dei rapporti tra amministrazione e gruppi di pressione (cfr. il noto volume
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18 di J. La Palombara, Clientela e parentela, 1967, eE. N. Suleiman, Les hautes functionnaires et la politique, 1976, che arriva a conclusioni analoghe in riferimento al caso francese, contraddistinto come è noto, da una lunga tradizione ideologica sull'onnipotenza e la indipendenza dell'amministrazione). Il punto è che ad accentuare troppo le analisi in termini di lobbyng, di pantoufflage, di mediazione o di corruzione tout court si rischia di cadere in un peccato di unilateralità parallelo a quello che si vuole condannare: certo, gli amministratori non sono imparziali, ma non sono neanche « degli esseri passivi che si limitano a marcare i punti in una competizione a cui non prendono parte » (J. Meynaud, op. cit., p. 398). Anzi, « uno dei grandi problemi del secolo » è che « Il potere amministrativo ovunque sta affermandosi come potere a sè, sempre meno tollera di essere amministrato dal ceto politico. È sintomatico che in paesi a diritto amministrativo or mai vecchi, come la Germania, la Francia, la Spagna, l'Italia, esso sia stato posto nell'ultimo ventennio in modi, sovente non chiari e di compromesso (come quello delle scuole superiori di amministrazione) ma comunque impegnati»
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temo dell'amministrazione stessa. Contrapposizioni attinenti alla struttura di differenziazioni retributive, di asimmetrie di potere, di inuguaglianze di prestigio, etc., che tuttavia si schieravano almeno in Itajia, sempre davanti la stessa controparte: il Parlamento come « consiglio di amministrazione sui generis del pubblico impiego » (S. Ristuc-
cia, Sulla contrattazione collettiva net pubblico impiego, 1971, p. 623). Del resto, governo e parlamento, leggine e contrattazione mascherata, sono state sistematicamente scavalcate sia in maniera informale attraverso l'allargamento del ventaglio reale delle remunerazioni, la proliferazione di indennità ed emolumenti straordinari, sia in maniera ormai istituzionalizzata attraverso la partecipazione dei sindacati agli organi di amministrazione degli enti (una trattativa con se stessi), oppure attraverso meccanismi istituzionali di cui fu vicenda esemplare la sentenza dell'ottobre 1974 del Consiglio di Stato che, giudice e parte, dopc la procura generale della Corte dei Conti ed il Consiglio superiore della magistratura, si pronunciò per la parificazione del trattamento retributivo dei magistrati al livello B della superdirigenza statale (sui prodromi, cfr. A. Pizzorusso, Tensioni sindacali fra i magistrati, 1971). (M. S. Giannini, Impiego pubblico (teoria e storia), 1970, p. 305). In altri termini, e fatte salve tutte le Il rifiuto di una concezione meramente distinzioni che sono proprie del dualistrumentale della amministrazione non smo burocratico italiano, ministeri ed enti (cfr. S. Cassese, La formazione delsignifica tuttavia ricadere in vecchi dilo stato amministrativo, 1974, pp. 65lernmi letterari del tipo « la burocrazia: serva o padrona? »; piuttosto, il ricono234), il modello burocratico dei paesi a diritto amministrativo, organizzato sa scimento di un reale potere amministrativo tende a dissolvere il concetto stesso basi «garantiste » e gerarchiche prima di pubblico impiego come fenomeno uni- ancora che funzionali, produce aree di tario. Infatti, anche le interpretazioni competenze riservate, di interessi pro« culturaliste » del pubblico impiego, cotetti, di particolarismi, che sono il fertile terreno di una conflittualità estremame a torto o a ragione viene definita quella di M. Crozier (Le Phénomène mente parcellizzata e settoriale. Il sindabureaucratique, 1963, e Crise et renou- calismo amministrativo è contemporaveau dans l'administration franaise, neamente causa e prodotto di questo 1966), a partire dalla definizione del mo- stato di fatto. Causa, perché un motivo dello burocratico come sistema stabile cardine dell'azione sindacale è la richiedi relazioni omeostatiche, concordano sta di norme protettive dell'impiegato; nell'individuare un insieme di stratifi- prodotto, perché «la politica di govercazioni gerarchiche, fondamento di una no, tante volte definita empirica e senza serie pressoché illimitata di contrappo- orientamenti generali, in verità era qui sizioni tra subordinati e superiori all'in- la più connaturale alla concessione di -
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19 compensi e pourboires.. Soprattutto, era una politica in grado di utilizzare tutti i molteplici rivoli della naturale competizione fra i diversi strati della piccola e media borghesia » (S. Ristuccia, op. cit., p. 621). Il risvolto di questa strategia politica rende evidente lo spessore e la capacità di resistenza di fenomeni tanto denunciati a parole quanto inattaccabili nei fatti: «giungla retributiva », « lavoro improduttivo », « rendita parassitaria », etc. Perché «la spoliticizzazione formale dei pubblici impiegati ha linito per ritorcersi contro i suoi inventori. L'intensa protezione legale ad essi accordata allo scopo di garantirne la «neutralità» ha rafforzato la propensione della burocrazia pubblica a svilupparsi ed a stabilizzarsi come un ceto dotato di un potere a se stante utilizzabile per l'affermazione di interessi suoi propri, dei quali si rendono portatori, in ordine sparso, o i sindacati c.d. autonomi o le dirigenze burocratiche)> (U. Romagnoli, Il nodo politico dell'amministrazione pubblica e i sindacati, 1975, p. 693). Il modello burocratico in Italia e in Francia ha in comune 4 una caratteristica ulteriore, relativa al tipo di politicizzazione prevalente nell'ambiente sindacale. Come è stato osservato, nel maggio 1968 i funzionari francesi parteciparono in massa al movimento contestatario, ma probabilmente solo per ottenere risposta positiva a rivendicazioni vecchie e nuove; infatti, soddisfatte le rivendicazioni, a giugno, davanti alle urne elettorali, si ritrovarono con la maggioranza degli elettori, cioè dalla parte dell'<c ordine'> e non della «rivoluzione ». Più in generale, in Francia, in una situazione in cui da lunga data le organizzazioni di sinistra sono maggioritane nella fonction publique, a parte le dichiarazioni ideologiche sulla riforma e sulla partecipazione, i sindacati del
pubblico impiego organizzano « una massa di aderenti conservatori, in opposizione ad ogni cambiamento di fondo.., incapaci di immaginare altro che il quadro attuale della fonction publique che essi contestano ma tengono a conservare » (G. Moreux, Un syndicalisme ambigu, 1970, p. 47). Osservazioni in larga misura analoghe si possono avanzare nei confronti del caso italiano. Qui le forze di sinistra nel pubblico impiego non hanno' dietro la lunga tradizione storica caratteristica della Francia, ma sono diventate: maggioritarie in seguito alla mobilitazione politica più recente (dopo il 68-69) di ceti sottoposti a un processo di dequalificazione e di perdita di storici privilegL La sinistra si è trovata quasi impreparata a gestire uno spazio sociale da cui era stata sempre esclusa; basti pensare che le federazioni sindacali sono in larga misura il risultato a mosaico di molteplici sindacati di settore, strutturati in maniera autonoma, strumento per la difesa di interessi particolari di categoria. La difficoltà di riunire sotto un unico disegno egemonico i numerosi segmenti in cui si organizza la difesa degli interessi della pubblica amministrazione sembra legittimare il sospetto che gli obiettivi dei ceti impiegatizi non sono stati fusi in una proposta politica radicalmente nuova, ma «semplicemente assorbiti e riproposti dal movimento sindacale,... pena di vedersi emarginata negli uffici, nelle scuole, nei luoghi insomma dove meno forte è il sindaca-. to di classe» (F. P. Cesare - F. Mignella Calvosa, La nuova piccola borghesia 1976, p. 221). Le cifre sulle percentuali di sindacalizzazione parlano da sole. In Italia, il tasso di sindacalizzazione nel pubblico impiego è del 60%, mentre nel settore industriale è soltanto del 43%. In Francia è del 35% nell'industria, debole nel settore privato dei servizi ed elevatissimo nel settore pubblico, dove spesso.
Ovviamente, siamo ben lungi dal pensare che le cose in comune siano poi tante. Basti pensare all'immagine tradizionale del « grand commis» o deil'enarca, in confronto alla più: prosaica tradizione dell'élite amministrativa italiana, sulla cui evoluzione storica cfr. S. CAsSESE, op. cit. e, per un ritratto tragicomico, cfr. IB. DENm, La DIRSTAT. Ideologia dei sindacato dei dirigenti statali, 1975.
20 (come in Italia) arriva a punte di circa 1'80% (cfr. R. Razzano-D. Cmi, L'organiz-
zazione sindacale nel pubblico impiego, 1974, pp. 102-103; e G. Lefranc, Le syndicalisme en France, 1975, p. 116). Non solo in Italia, ma dovunque, la sinistra in tutte le sue esperienze di governo e di opposizione ha sempre riscontrato grandi difficoltà ad attuare una politica « di principio » nei confronti della classe media e del pubblico impiego. A volte i primitivi obiettivi rivoluzionari ed egualitari sono stati sottoposti a revisione formale; altre volte programmi generali e pratiche quotidiane sopravvivo. no per compromessi e concessioni reciproche. A meno di parlare soltanto, in termini più o meno eufemistici, di tradimento, di legge ferrea delle oligarchie, etc., si vorrà riconoscere il peso specifico esercitato su questa evoluzione dalla esistenza di una struttura degli interessi storicamente consolidata e protetta da un insieme corente di nonne giuridiche, modelli culturali, forme associative e regole di mercato. Si è detto di recente, e molto autorevolmente, a proposito della concezione gramsciana del partito, il « nuovo Principe », che non siamo più in principato, ma in repubblica; dunque bisogna rinunciare alla prospettiva, totalitaria, di un partito che da solo riesca a risolvere tutte ie tensioni sociali. Queste considerazioni sulla necessità di fare coerenza fra tradizione teorica e pratica politica, sono quanto mai necessarie, ma nascondono qualche insidia. Quale che sia il ritardo teorico o piuttosto ideologico, di fatto i partiti operai, socialisti e comunisti, hanno trovato nell'articolazione pluralistica delle società occidentali il mezzo più efficace per la crescita della propria influenza politica. E poiché il pluralismo, a qualche secolo di distanza dalle guerre di religione e dal riconoscimento del diritto alla libertà di opinione, consiste oggi in larga misura in una competizione, spesso senza arbitro, dei gruppi di pressione, la fine del dibattito su quanto c'è da prendere e quanto da lasciare nella teoria e nella pratica del pluralismo sarebbe un impoverimen-
to sia della tradizione critica del movimento operaio sia della cultura liberale (per maggiori chiarimenti sulla teoria pluralistica dei gruppi di pressione, e in particolare sui suoi maggiori esponenti, Bentley e Truman, cfr. J. Meynaud, op. cit., pp. 394-402). LA CRISI DELLA CLASSE MEDIA Per quanto si è detto in precedenza, le classi medie dovrebbero essere considerate, nella fase attuale, come composte di «topi nel formaggio », secondo la nota' espressione di Sylos Labini, di parassiti e guardiani dell'ordine costituito. Ma sarebbe un'immagine esaustiva? Non si può forse, e con qualche ragione, affermare anche il contrario, e cioè che i gruppi del dissenso e della protesta appartengono in larga misura all'area sociale della classe media? I movimenti femministi, studenteschi, per i diritti civili, sono gli esempi che più di 'frequente vengono citati a dimostrazione di una presunta crisi o trasformazione della classe media. Ma si possono fare anche altri esempi, meno familiari sulla scena politica italiana: gruppi ecologici (in Francia), movimenti di protesta antinucleare (in Germania), movimenti di protesta delle minoranze etniche e linguistiche (in Belgio e in Canada). Tutt'altro che marginali, questi movimenti sono non senza conseguenze sugli equilibri politici di vari paesi europei. Ad es., nella Germania Occidentale, i Birgerinitiativen, un « tipico movimento della classe media », cui aderiscono alcuni «estremisti » e una grande maggioranza di cittadini moderati, hanno raggiunto il numero di circa 800.000 membri, insieme di aderenti comparabile a quello del Partito socialista, che ha il più alto numero di militanti. Ma prendiamo il caso della Francia. A volte si dice che mentre in Francia la contestazione ha avuto la durata di un mese di maggio, in Italia non finisce più. Immagine esatta per quanto riguarda le barricate, ma che trascura altri non minori problemi. Un aspetto specifico della società francese è che la
21 contestazione », oltre ad essere permanente nel mondo studentesco, ha messo radici in ambienti fino a quel momento refrattari a ogni forma di impegno orientato a sinistra. Dopo gli avvenimenti del maggio '68, anche nei più alti livelli dell'amministrazione e delle professioni, sono nate nuove organizzazioni e forme .di protesta. Ad esempio: la crescita .dei sindacati CFDT della Corte dei Conti e dell'ENA; oppure la crisi della gran.de corporazione nazionale della salute, l'Ordine dei Medici, organizzazione contestata da circa il 25% dei medici francesi; oppure i cambiamenti nell'apparato giudiziario, che più hanno impressio:nato l'opinione pubblica: 1.200 magistrati, su 4.000, sono sulle posizioni del Syndicat de la Magistrature (cfr. Y. SaintJours, Le syndicalisme dans la fonction publique, 1975, p. 48; G. Caro, La méde.cin en question, 1976; R. Charvin, La Ju-stice en France, 1976, p. 21). Davanti a fenomeni di questo tipo, caratteristici non della Francia solamente '(si veda ad es. F. Parkin, Middie Class Radicalism. The social bases of the Bn!ish campaign for nuclear disarmament, 1968), se a sinistra si coltivano speranze sulla « crisi finale del capitalismo », a destra non si trascurano foschi presagi. Nello scenario di Huntington sulla evoluzione politica della società postindustriale, la tendenza crescente verso una radicalizzazione a sinistra della classe media ha un posto di particolare importanza (Postindustrial Politics: How Benign Will It Be?, 1974, tradotto anche in italiano). Nella nozione « crisi della classe media'> si nascondono alcuni equivoci terminologici. Innanzitutto, a proposito del termine crisi. Come è stato osservato, quando si grida al fuoco, si spera nella venuta dei pompieri; a volte parlare di crisi è già mettersi in qualche misura nell'ottica di un potere, esistente o emergente, che definisce come crisi fenomeni di trasformazione dei rapporti sociali a cui si spera di imporre un ordine particolare (A. Touraine, Au-delà de la cnise, 1976, p. 24). La classe media è parte in causa di un processo di trasformazione. Fino a qualche de-
cennio fa, soltanto alcuni intellettual rifiutavano la propria classe d'origine, per raggiungere le fila del movimento operaio oppure per dare vita alla contestazione che si esprimeva nelle avanguardie artistiche e letterarie; oggi, l'insofferenza e il rifiuto sono largamente diffusi. Maggioranze e minoranze non sono più quelle di una volta, quando l'opposizione tra i pochi sfruttatori e i molti sfruttati era semplice e netta. I partiti operai, socialisti e comunisti, continuano a fare appello alla maggioranza, anzi alla stragrande maggioranza della gente (e in proposito la letteratura sui partiti pigliatutto è istruttiva), ma spesso i conflitti sono opera di minoranza, si esprimono al di fuori delle strutture organizzative preesistenti, e ricercano obiettivi insoliti o trascurati nella tradizione del movimento operaio (A. Tourai, Pour la sociologie, 1974, pp. 189190). Dai gruppi ecologici ai movimenti femministi, dai movimenti studenteschi ai gruppi della controcultura, si ribellano minoranze che fanno confusamente appello alla difesa di ciò che sembra più specifico del proprio essere sociale, della propria identità essenziale, di ciò che si è: l'età, il sesso, la religione, la razza, la lingua, la natura. Di questi fenomeni, al cui centro ci sarebbe la crisi della classe media, sono state date soprattutto interpretazioni culturaliste. Per D. Bell la crisi morale della classe media ha origine dalla « disgiunzione» che esiste nei paesi occidentali tra struttura sociale e struttura culturale: mentre le strutture della tecnologia, dell'economia, delle organizzazioni si razionalizzano sempre più, le strutture culturali sviluppano valori antinomici; lo spirito del capitalismo si afferma nei fatti, ma la sua etica viene negata dalla coscienza (D. Bel!, The Cultural Contraddictions of Capitalism, 1976). Di fronte alla fine della società affluente e della piena occupazione, un'interpretazione in termini esclusivamente cuituralisti mostra da sola la propria parzialità. Poiché questo discorso ci por terebbe troppo lontano, ci limitiamo a soffermarci su un equivoco terminologico implicito nell'uso attuale del ter-
22 mine classe media. In breve, quando si parla di classe media si rischia di chiamare con lo stesso nome realtà molto diverse, sia gruppi organizzati e sindacalizzati, schierati ad accanita difesa dei privilegi del lavoro non manuale, sia gruppi che sottopongono a critica radicale proprio quei valori, quelle istituzioni, quella organizzazione del lavoro in cui gli altri si riconoscono. In una certa misura, le due specie di gruppi appartengono allo stesso genus, perché è gente che appartiene alla stessa fascia di reddito e perché a volte la protesta è un'altra maniera di difendere privilegi minacciati; tuttavia, ne conseguono differenze sostanziali di valore, di comportamento, di scelte elettorali. Parlare di crisi della classe media appare dun. que come una maniera di aggiungere confusione alla confusione: per esprimersi in termini elementari, c'è classe media e classe media.
Non è questa la sede per verificare se e come l'ambiguità del termine classe media trovi un corrispettivo nell'usura e nell'ambiguità di un certo linguaggio di. classe, almeno nei suoi termini più rigidi e ideologici. Si può solo dire che la struttura ottocentesca delle classi sociali è profondamente cambiata; uomini di sinistra (fra i tanti, Sweezy, Wright Mills, Touraine) sostengono che nelle società capitalistiche avanzate anche la composizione della classe operaia e la coscienza operaia si sono modificate. Si è già sottolineato, all'inizio di questo saggio, che il termine classe media » e il linguaggio di classe, nascono contemporaneamente all'avvento della rivoluzione industriale. Prima, il termine classe individuava le specie botaniche » e la struttura sociale era definita con termini come état, rank, order. Lo sviluppo storico delle scienze sociali è contrassegnato sia dall'insistenza sul tema della classe media, sia da tentativi Nel corso dello sviluppo storico delle di ridefinizione della struttura sociale economie, delle società e delle politiche volti a precisare o a scartare l'uso del industriali, i processi di specializzazio- termine classe. La letteratura sui gruppi ne delle istituzioni e di differenziazione di pressione, le analisi sul ruolo delle delle strutture e dei ruoli hanno reso ideologie, gli studi degli autori « terzosempre più problematica ogni grande mondisti », le scuole di sociologia del classificazione interpretativa. In un'otlavoro operaio costituiscono una parte tica marxiana la classe media non esiimponente di questi tentativi (che nelste; in un'ottica liberale la classe me- l'esposizione abbiamo appena sfiorato). dia esiste, ma è una categoria così comGli studiosi marxisti hanno ragione da prensiva che ci stanno dentro quasi vendere quando sottolineano che scientutti. A incamminarsi sulla strada delle za e ideologia sono mescolate anche nelle definizioni chiare e distinte sembrerebanalisi apparentemente più imparziali; be non ci sia altra via di uscita che tuttavia, sarebbe altrettanto ideologico rinunciare a parlare di classi sociali o fare rientrare sempre nella stessa teoria, quanto meno di classe media; rinuncia magari continuamente riaggiustata, i 'fatche non significa di per sè occultare i ti sociali nuovi che a quella teoria marapporti di dominazione o accettare le si adattano. Alla fine dei conti, Marx un'immagine ottimistica della società atdiceva di non essere marxista, Gramsci tuale. Si può continuare a ragionare definì la Rivoluzione d'Ottobre come e lottare contro le ingiustizie, la vio- « una rivoluzione contro Il Capitale », lenza, le inuguaglianze, senza che il came fu lo stesso Lenin, marxista ortodosso mino difficile dal semplice al complesse mai ce ne furono, a parlare di « ariso, dalla realtà alle categorie esplicatistocrazia operaia» e ad analizzare in ve debba mettere capo ad una interpretazione in termini di classe. Tutta la maniera originale il ruolo degli appastoria è storia di lotte, ma queste non rati burocratici nel processo di transisono sempre e soltanto lotte di classe zione ad una società socialista (cfr. i (sul tema, cfr. A. Pizzorno, Le classi so- discorsi di Lenin sulla burocrazia, posteriori a Stato e Rivoluzione, raccolti e ciali, 1960). -
23 commentati in F. Ferraresi-A. Spreafico,
La burocrazia, 1976). Nondimeno, le classi, messe in discussione nell'ordine delle cose, non scompaiono dall'ordine del linguaggio. E se talvolta i marxisti ripropongono in maniera ripetitiva una visione dicotomica delle classi sociali, una parte significativa della letteratura sociologica e politologica «borghese », mentre ha messo da parte ogni visione dicotomica, continua a fare un uso generico del termine classe media. In qualche caso, più forte del mutamento delle situazioni è la capacità di sopravvivenza delle parole, e nell'uso di alcune vi è più dichiarazione di fedeltà ad una tradizione che dimostrazione di attualità della tradizione stessa 5 . INDIcAzIoNI BIBLIOGRAFICHE ALBERONI, Classi e generazioni, Bologna, Il Mulino, 1970. S. BuN, The Growth of White-Collar Unionism, London, Oxford Un.iversity Press, 1976. M. BaAcLI, Disoccupazione intellettuale e sistema scolastico in Italia, Bologna, Il Mulino, 1974. G. BARRINGTON Moois, Le origini sociali della dittatura e della democrazia, Torino, Einaudi, 1970. BAUDELOT, R. ESTABLET, J. MALEMORT, La petite bourgeoisie en France, Paris, Maspero, 1974. Beu, The Coming of Post-industrial Society, Basic Books, New York, 1973. D. BL, The Cultural Contradictions of Capitalism, London, Heinemann Educational Books, 1976. BE1msTEIN, Socialismo e socialdemocrazia, Laterza, Bari, 1968. P. Boccut, Études sur le capitalism monopoliste d'État, sa crise et son issue, Paris Èditions sociales, 1973. T. B. BorroMoRE, Le classi nella società moderna, 'Milano, Comunità, 1970. A. Brucs, Middle-class counsciousness in English politics, 1780-1846, in « Past and Present », Aprii, 1956, n. 9. G. Cuto, La médecine en question, Paris, Maspero, 1976. S. CASSESE, L'amministrazione dello Stato, Milano, Giuffrè, 1976.
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