Queste istituzioni 152

Page 1


tiiirsti istituzioni Anno

XXXVI -

numero

152

gennaio-marzo

2009

Redazione Direttore: SERGIO RISTUCCIA Condirettori: ANTONIO DI MAJO, GIOVANNI VETRITT0 Capo redattrice: SAVERIA A DDOTTA Segreteria alnlninistrativa: PAOLA ZACCHINI

Comitato di redazione CARLA BASSE, FABIO BISCOTTI, ROSALBA CORI, ELINA DE SIMONE, FRANCESCO DI MAJO, ALESSANDRO HINNA, CLAUDIA LOPED0TE, GIORGIO PAGANO, PIER LUIGI PETRILLO, ELISABETTA PEZZI. MASSIMO RIBAUDO. CLAUDIA SENSI, LUIGI TRETOLA, FRANCESCO VELO, DONATELLA VISc0GLI0SI, STEFANIA ZuccoLoTro.

Collaboratori ARNALDO BAGNASCO, ADOLFO BATTAGLIA, GIOVANNI BECHELLONI, GIUSEPPE BERTA, GIANFRANCO BETTIN LATTES, OSVALDO CROCI, ROMANO BETTINI, DAVID BOGI, GIROLAMO CAIANIELLO, GABRIELE CALVI, MANIN CARABBA, BERNARDINO CASADEI, MARIO CACIAGLI, MARCO CIMINI, GIUSEPPE COGLIANDRO, MASSIMO A. CONTE, ERNESTO D'ALBERGO, MASSIMO De FELICE, DONATELLA DELLA PORTA, BRUNO DENTE, ANGELA DI GREGORIO, CARlO D'ORTA, SERGIO FABBRINI, MARIA ROSARIA FERRARESE, PASQUALE FEIRo, TOMMASO FROsINI, CARLO FUSARO, FRANCESCA GAGLIARDUCCI, FRANCO GALLO, GIULIANA GEMELLI, VALERIA GIANNELLA, MARINA GIGANTE, GIUSEPPE GODANO, ALBERTO LA CAVA, SIM0NA LA ROCCA, GIAMPAOLO LADU, SERGIO LARICCIA, GIANNI LIMA, ANNICK MAGNIER, ADELE MAGRO, ROSA MAIORINO, GI.AMpA0L0 MANZELLA. DoNATo MASCIANDARO, PAOLO MIELI, ELINOR OSTROM, VINCENT OsTROM, ALESSANDRO PALANZA, ANDREA PIRAIN0, BERNARDO PIZZETTI, IGNAZIO PORTELLI, GIOVANNI P0SANI, GUIDO MARIO REY, GIANNI RIOTTA, MARCO SAVERIO RISTUCCIA, CRISTIANO A. RISTUCCIA, MARCELLO ROMEI, FRANCESCA ROSSI, FABRIZIO SACCOMANNI, LUIGI SAI, GIANCARLO SALVEMINI, MARIA TERESA SALVEMINI, STEFANO SEPE, FRANCESCO SIDOTI. ALESSANDRO SIIJ, VINCENZO SPAZIANTE, PIERO STEFANI, DAVID SZANTON, JULIA SZANTON, SALVATORE TERESI, VALERIA TERMINI. GUIDO VERUCCI. ANDREA Z0PPINI

Hanno collaborato: UMBEITO SERAFINI, FEDERICO SPANTIGAT1,TIZIANO TERZANI

Se.,',etario (lniuhi,os(ratira: PAOlA ZACCHINI Direzione e Rcclo:ione: Via Ovidio, 20 - 00193 Roma Tel. 06.68136085 - Fax 06.68134167 E-mail: queslre@qlicsire.it - www.questeistiluzioni.it Periodico iscritto al i-egistro della stampa del Tribunale di Roma al o. 14.847 (12 dicembre 1972) Responsabile: G II)VANNI BEcHEI .1.051 Editore: Consiglio italiano per le Scienze Sociali ISSN 1121-3353 Slampa: Tipar Arti Grafiche - Roma Chiuso in tipogIo/,a: 25 marzo 2009 Foto (li coperono: Francesca B iscotli Associalo all'Uspi: Unione Slampa Periodica llaliana


queste istituzioni n. 152 gennaio - marzo 2009

Indice

III

Il caso del Partito Democratico

Taccuino i

L'Europa e la crisi Maria Teresa Salvemini

6

Il virus dormiente. Il collasso dei mercati finanziari e il populismo nell'Europa dell'Est Slavenka Drakulic

9

Lotta alla povertĂ e assistenza sociale. Il Rapporto Caritas/Zancan 2008 Saveria Addotta

20

Riflessioni sul futuro del CNEL Salvatore Biasco

Dibattito 29

La vigilanza bancaria europea. Problemi e prospettive Giuseppe Godano fi


--

- Cronache dal sistema politico italiano

49

Dopo il terremoto elettorale del 2008 Carlo Chimenti

58

Il Manifesto dell'Italia che non ci sta a cura di Critica Liberale

64

Il Pd non ancora... Riflessioni su Roma Walter Thcci

Una Finanziaria leggera 79

Il nuovo bilancio dello Stato: gli obiettivi e i tempi della riforma Paolo De loanna, Andrea Montanino, Sergio NicolettiAltimari

92

Riforma del bilancio dello Stato in Francia: quali regole, quale democrazia E/ma De Simone

Saggio 117

Francia 2008: un Paese (una riforma) di debole Costituzione Claudia Lopedote


queste istituzioni n.152 gennaio - marzo2009

-

-

editoriale

li caso del Partito Democratico

A

vevamo pensato di tornare al tema della politica italiana a quasi un anno dalla consultazione elettorale politica del 2008, per avere la possibilità di una considerazione più distaccata degli eventi. In qualche modo, con le dimissioni di metà febbraio da segretario del PD, Walter Veltroni ha marcato la fine di una fase politica breve ma importante, quella della nascita e dell'avvio dell'esperimento del Partito Democratico. Di questa fase è possibile tentare una valutazione d'insieme. L'affermazione della coalizione di destra, confermata poi anche a livello locale nei mesi successivi all'aprile 2008, e da ultimo in Sardegna, si presta a diverse chiavi di lettura. Tutte, probabilmente, da utilizzare per arrivare ad un giudizio più articolato sulle dinamiche che stanno caratterizzando il quadro politico nazionale. Innanzitutto, è il caso di sottolineare un dato che emerge sempre più netto nelle consultazioni, di ogni genere, che si succedono ormai da anni: malgrado ogni apparenza, l'alleanza di destra, in termini elettorali assoluti, non cresce, e in determinati casi addirittura arretra. Però vince. La sua affermazione (che ormai nel breve periodo non pare poter trovare più ostacoli) non deriva tanto da una progressiva conquista di voti, quanto dalla crescita lenta ma progressiva dell'astensionismo e dal fallimento (almeno al momento assai netto) del progetto di alternativa. Ben due diverse configurazioni ha assunto nell'ultimo decennio lbfferta di alternativa. Non vincenti o, quando vincenti, assai deboli. E così avvenuto che seppure l'insoddisfazione per l'eterogeneità delle alleanze opposte per molti anni alla coalizione di destra era ormai divenuta largamente diffusa e prevalente nell'elettorato di centrosinistra, alla prova dei fatti la buona prova del Partito Democratico considerato a sé non soltanto - come era scontato a prescindere dalle parole spese in campaIII


gna elettorale - non ha consentito al centrosinistra di rimanere al governo ma non ha neppure inaugurato un'opposizione efficace e credibile (anche a prescindere dal riproporsi della conflittualità interna). Come conseguenza, stiamo assistendo non ad una polarizzazione del voto tra due schieramenti alternativi (e meno che mai tra due partiti alternativi sul modello Westminster), ma ad una lenta erosione della base elettorale della classe politica nel suo complesso, con effetti di delegittimazione delle politiche pubbliche e il rischio potenziale (non certo remoto) di dinamiche sociali centrifughe, se non caotiche, con conseguenze imprevedibili. Aggravate dagli effetti dirompenti della crisi economica mondiale esplosa nel 2008. IL PARTITO DEL NON VOTO

Si tratta di un fenomeno che è stato ben messo in evidenza da Luca Ricoffi (Elettori in ritirata, La Stampa, 22.12.2008). Ricapitoliamo alcuni dati. Il numero degli astensionisti e degli indecisi al voto ha ormai superato in alcune parti d'Italia il 51%, e quasi ovunque quello dei votanti per il Popolo delle Libertà. Il quale PdL, per parte sua, non arriva a rappresentare un terzo dei cittadini con diritto di voto e qualche volta nemmeno degli elettori votanti. Il Partito democratico fatica ormai a rappresentare il 20% dell'elettorato; nessuna altra forza politica può al momento seriamente candidarsi a raggiungere il 10%. Lo spazio elettorale potenzialmente occupabile è dunque ormai superiore a quello che per segmenti i partiti esistenti effettivamente coprono; l'assenta evoluzione verso una matura democrazia bipolare è soltanto una illusione ottica, che maschera di retorica la diffusa insoddisfazione, che evidentemente accomuna elettori tanto di destra che di sinistra. E la prospettiva di un ulteriore ingrossamento dei ranghi del "partito che non c'è" è molto fondata (nell'analisi convincente di Ricoffi e di altri osservatori con lui). Secondo i calcoli di un centro di ricerca ben noto per autorevolezza come l'Istituto Cattaneo di Bologna, l'astensionismo in Italia è cresciuto in maniera costante dal 1976, l'anno dell'ultima drammatizzazione dell'ipotesi di "sorpasso" del Pci nei confronti della Dc. La percentuale dei votanti nel nostro Paese resta alta, attorno all'80 %, ma in questo dato sono da comprendere anche le schede bianche e nulle. Iv


Che risultano crescenti e che sono state, per esempio, numerosissime nelle recenti elezioni di Sardegna. L'elettorato che ha espresso le proprie preferenze è inferiore al 67% che si è presentato ai seggi elettorali. Insomma, il primo partito in gran parte del Paese è già oggi quello del "non voto". Ciò dovrebbe sollecitare alcune specifiche considerazioni che naturalmente la gran parte della classe politica di ogni colore fa di tutto per mettere in disparte. Indubbiamente i fenomeni di disfunzionalità dei partiti nel veicolare le istanze sociali datano ormai diversi decenni e per il nostro Paese valgono le lontane e serrate denunzie di Giuseppe Maranini. Certo, la "questione morale" continua poderosamente ad alimentare la disaffezione. Eppure il fenomeno di un alto e crescente astensionismo è ben altra cosa. Il malessere elettorale ha ragioni profonde. Le stesse che sono alla base delle fortune elettorali della coalizione di Silvio Berlusconi. Ragioni, ripetiamo, che non significano crescente consenso nazionale ma sicura ed efficace egemonia del "mercato politico". Un'egemonia che ha bisogno di tenere saldamente in mano la propria quota di mercato senza andare alla conquista di un più ampio consenso. PERCHÉ VINCE LA COALIZIONE GOVERNATA DA BEIuusCoNI?

I tentativi di spiegare perché Berlusconi vinca e da ultimo più nettamente sono ormai innumerevoli. Nel dossier centrale di questo numero "Cronache del sistema politico italiano", gli autori ne sposano alcuni. La capacità di Berlusconi di dare voce alla "Italia eterna", disegnata con sconforto già da Leopardi nel "Discorso" sul costume degli italiani (sostenuta da Carlo Chimenti). La debolezza di una cultura di sinistra moderna e modernizzatrice di stampo europeo, incapace di rappresentarsi e di coagulare consenso (perfettamente rispecchiata nel manifesto dell'Italia "che non ci sta" prodotto da una rivista battagliera come Critica Liberale). L'immaturità del progetto politico del Partito Democratico, inaugurato in ritardo, dopo troppe false partenze, ancora acerbo sotto troppi aspetti (così lo disegna un protagonista tra i più lucidi, come 'Walter Tocci). Nessuno di questi tasselli può essere estromesso da un puzzle ricostruttivo effettivamente complesso e dalle molte sfaccettature.

v


E però nessuno pare dar conto delle condizioni del sistema politico. La Democrazia Cristiana, protagonista di oltre un quarantennio di monopolio del potere nella cosiddetta Prima Repubblica, è stata accusata per decenni dall"altra Italia" di dar copertura e sfogo a tutti i malvezzi nazionali. E però, con la giusta prospettiva storica, occorre prendere atto che, nel far questo (noi non siamo fra quanti rimpiangono la Dc), essa dimostrava una certa capacità di guida e di mediazione con istanze anche progressive e civilizzatrici che oggi è arduo scorgere. E questa differenza resta tutta da spiegare. Non è proprio la stessa cosa interpretare istinti ed interessi (anche bassi) ponendosene a capo o inseguendoli in un eterno rilancio al ribasso. Anche la vocazione minoritaria degli happy few laico-riformisti e di respiro europeo rappresenta una costante nella storia italiana; e dunque parlare del "grande buco" come fanno i liberalsocialisti di oggi non spiega perché il degrado politico e civile abbia raggiunto le dimensioni che vengono lamentate. Né offre spiegazione alla totale improbabilità di qualsiasi rappresentanza elettorale di queste minoranze attraverso "partitini laici" che ricordino quelli della Prima Repubblica. Né l'interpretazione positiva e fiduciosa di un "PD non ancora" (che evidentemente implica un qualche domani con un "PD finalmente"), basata sul mero rinvio al giorno in cui avranno potuto esplicarsi gli effetti del "fattore tempo", appare del tutto condivisibile e tranquillizzante, posto che troppi segnali lasciano intendere che un processo di maturazione del "partito nuovo" non si è ancora affatto innescato. DEMOCRAZIA IN DIFESA

Tutti questi elementi contribuiscono dunque ad interpretare qualche aspetto del quadro, ma non ne esauriscono una plausibile spiegazione. E ciò non sorprende, se solo si alzano gli occhi dall'affresco nazionale e si guarda al dibattito che altrove è spesso vivacissimo sulla crisi delle istituzioni democratiche, delle forme di partecipazione politica, sull'impatto delle mutazioni tecnologiche, sui meccanismi massmediatici di sostituzione dei. luoghi politici, sui modi e sui contenuti della democrazia liberale di origine ottocentesca, di fatto pervenuta fino a

vi


noi senza sostanziali innovazioni pur nel turbine di tante altre trasformazioni. La classe politica italiana, in tutti i settori dell'arco delle culture politiche nel nostro Paese, non sembra interessata, e forse neppure consapevole dei fattori di destabilizzazione che hanno investito i modi di essere della politica ormai da decenni a livello planetario. O, se lo è, sembra rimuovere i problemi che questa consapevolezza tende a porre, a cominciare dalla domanda: che cosa è la democrazia oggi? La mancanza di dibattito politico, derubricato a spot di venti secondi con sguardo fisso alla telecamera del politico che parla, spot per il pastone politico dell'uno o dell'altro telegiornale, è solo l'epifenomeno di una più ampia difficoltà delle istituzioni politiche ereditate dallo stato premoderno a fronteggiare ed utilizzare le tecnologie della comunicazione. La politica, un tempo, si faceva - almeno così ci piace immaginare- nelle piazze e nelle sedi dei partiti di massa (che tali erano nei caratteri anche quando raccoglievano consensi limitati), cercando di confrontarsi proprio fisicamente con gli umori delle donne e degli uomini; di modo che anche le fisiologiche derive oligarchiche portate dalla "legge ferrea" del verticismo delle organizzazioni politiche venivano mediate da un accettabile tasso di partecipazione nella vitalità dei conflitti. Nell'età di quello che Giovanni Sartori ha descritto come "homo videns" non è neppure immaginabile qualcosa del genere. Il dibattito mediatico sovrasta, spossessa e incanala le passioni e le idee diffuse nella società. Meglio: ingigantisce i luoghi comuni. La telecrazia non è certo una invenzione dei "demonizzatori" giacobini del berlusconismo; anzi, si può dire che lo specifico del passaggio da una interpretazione proattiva ad una passiva della volontà dell'Italia "eterna" (per dirla ancora con Chimenti), dalla Dc al PdL, sta probabilmente proprio qui. La logica imperversante dei sondaggi, la sudditanza a qualunque umore diffuso (non importa quanto irragionevole o incivile), la semplificazione del messaggio politico che travalica in una ricerca decerebrata di slogan si spiegano tutti in questa chiave. VII


DI COMPLESSITÀ SI PUÒ MORIRE?

Michele Serra osservava, alcuni mesi fa (Il mondo facile della politica format, La Repubblica, 24.9.2008), che di complessità, in politica, si può morire. La retorica della complessità e del dialogo avrebbe delegittimato tante tradizionali forme della politica,agli occhi dei cittadini comuni, perché le si è addossata la colpa dell'irresolutezza e della inefficacia della decisione collettiva (che, invece, sempre più i cittadini reclamano non solo quando è favorevole ai propri interessi, ma in generale perché ritenuta rapida ed efficace). Naturalmente cincischiare con la complessità non è colpa della complessità. Bisogna essere attrezzati ad affrontarla. E non è un modo adeguato pensare alla politica come un format televisivo. La richiesta di decisionismo nella logica del format si trasforma in luogo comune, uno dei più bolsi idola fori. Mentre molte forme tradizionali della politica che non sanno arrivare a decisioni sono morte o morenti perché ormai vuote, non rappresentative di una democrazia vitale. Figuriamoci se sanno affrontare la complessità vera della vita sociale. La politica è tante cose. Lo ricordavamo in un editoriale di qualche tempo fa: è emergenza e risposta all'imprevisto, è costruzione di più solide ed efficaci strutture di convivenza e cittadinanza e così via. I tempi delle diverse azioni politiche sono anch'essi diversi. Rispondere fuori dai casi dell'emergenza alle pressioni generalizzate del tempo corto e immediato (malauguratamente imposte dalla pervasività della logica ossessiva del mercato che vuole profitti a tre mesi e con ciò ha portato a distruggere valore in misura incredibile) significa - molto spesso - semplicemente saltare oltre ogni necessaria comprensione dei problemi. Piuttosto, la comprensione dei problemi vuole capacità adeguate. E queste sono, come di dice, merce rara. Detto questo, non vi è dubbio che nell'età delle trasformazioni in tempo reale, come si dice, o in tempi comunque assai brevi il passaggio dal pressappoco all'esatto vuole tempestività. Questa è anzi divenuta un attributo necessario delle politiche pubbliche. VI"


2001-2006: UNA LEGISLATURA PERSA PER J]OPPOSIZIONE La degenerazione semplificatoria della politica ha prodotto nel nostro Paese danni ben maggiori che altrove. Ma ciò, occorre dirlo ben chiaro, anche per colpa di chi è stato all'opposizione. A questo proposito, bisogna fare i conti con le vicende politiche delle ultime due legislature. Per cinque anni - dal 2001 al 2006 - l'opposizione non è riuscita a influenzare l'agenda politica del Paese, né ad instaurare un metodo di elaborazione, contrasto e comunicazione. Alla fine di quella legislatura, non era alta la reputazione del governo Berlusconi, anzi un certo discredito era piuttosto diffuso per l'evidenza di risultati mediocri. Eppure, l'opposizione nella sua composizione disarticolata non è stata in grado di interrompere il circolo vizioso televisivo, né di porsi alla testa di una qualunque single issue. Cinque anni di opposizione non hanno prodotto altro che un "programma" elettorale come sommatoria delle istanze che le varie parti dellpposizione esprimevano. Difficile scorgere in quel programma intitolato "Per il bene dell'Italia" una visione ben profilata di futuro con scansioni forti di priorità. E così avvenuto che nel 2006 il centro-sinistra si è trovato impreparato (molto più di quanto fosse giusto supporre, data anche l'esperienza di cui alcune sue componenti erano accreditate) a gestire una politica di governo. Si tratta di vicende e passaggi politici che sul piano storico sono da ricostruire e valutare attentamente. Abbiamo visto una coalizione, vincente appena per un soffio, che si è arrangiata a mettere su, un po' alla rinfusa, squadra di governo e priorità di azione. Si può dire, così come più volte è stato detto, che in tal modo si è persa qualsiasi residua credibilità. Eppure, a proposito del Governo Prodi, non è possibile fare discorsi sommari. I diciotto mesi di governo del centro-sinistra costituiscono una vicenda politica che segna la storia del Paese e che quindi è da intendere a fondo. A cominciare dall'avversione che si è diffusa rapidamente nell'opinione pubblica fin dagli esordi. Il fenomeno è stato palpabile e non del tutto attribuibile al sostanziale non riconoscimento dei risultati elettorali da parte di Berlusconi ed alla campagna che egli ne fece seguire. Quel che si è subito avvertito è il distacco creatosi fra Governo e gran parte del proprio elettorato. I '4 Vò


Dal punto di vista che sembra più proprio di questa rivista, è stata per esempio rilevante la trascuratezza nel mettere a punto la macchina di governo, derivante anche da una non regolata logica di coalizione. Agli spunti critici che già si possono leggere in precedenti pagine di questa rivista non dobbiamo aggiungere altro, se non l'auspicio di vedere accuratamente ricostruito un percorso governativo tanto accidentato e controverso. Lungo il quale "la priorità delle priorità", usando le parole del Ministro dell'Economia di quel Governo, Tommaso PadoaSchioppa, è stato il sistema dei conti pubblici. Con qualche successo sì da consentire allo stesso Ministro di scrivere, orgogliosamente, che "il tempo riconoscerà ancora una volta al Presidente Prodi di avere regalato all'Italia, anche se solo per due anni, il bene raro del buongoverno" (v. Prefazione a Politica economica e finanziaria. Glossario di due anni. Ministero dell'Economia e delle Finanze, 2008). In ogni caso, la vicenda di quel Governo ha certamente segnato il seguito della storia politica italiana. Per esempio, la nascita di corsa del Partito Democratico dopo anni di stanca incubazione. Nessuno può negare che la chiamata di Walter Veltroni a candidarsi alle primarie per la Segreteria del nascente partito abbia avuto la caratteristica - da parte del ceto politico dirigente dei due partiti che andavano a fondersi, Margherita e Democratici di Sinistra - di una sorta di Sos per salvare il salvabile dal naufragio. E il risultato minimo Veltroni l'ha conseguito: dare al PD, alle elezioni del 2008, una buona consistenza. Che il centrosinistra, sia nella formula Unione del 2006, sia attraverso la formula del PD, da solo perché a "vocazione maggioritaria", potesse vincere le elezioni erano soltanto fabulazioni a vuoto. Come abbiamo già detto, enfatizzazioni da campagna elettorale. Raggiunto il risultato minimo (il "salvabile"), il problema era quello di trasformare un aggregato elettorale in un partito. Compito sicuramente di grande difficoltà al limite della missione impossibile. Qui è mancata la lucidità. Sono mancate le scelte sulle cose da fare e in quale ordine. Stare tutti i giorni a ribattere a Berlusconi e al Governo, quali che siano le provocazioni del premier, organizzare uno strumento tipico dei sistemi politici a logica maggioritaria come il "governo ombra", curare il radicamento sul territorio del partito mantenendo intatto il suo appeal verso tante persone non provenienti dai partiti precedenti, tro-


vare i modi di un dibattito diffuso e coinvolgente sulle questioni più importanti dell'agenda politica e così via enumerando, sono compiti a cui può accudire soltanto un gruppo dirigente composto da molte persone. Certo in coordinamento tra loro e in forte sintonia, ma anche con forte distribuzione di compiti e responsabilità. Ma c'era un siffatto gruppo dirigente? Probabilmente la prima priorità era quella di fare il partito disseminandolo sul territorio. Il nuovo viaggio per l'Italia che, ad un certo momento, Veltroni dichiarò di voler fare dopo quello elettorale è un'idea che vale quel che vale. Tuttavia, ben esprimeva l'esigenza di porre al primo posto la costruzione del partito in confronto diretto con le realtà locali. Un'idea, in ogni caso, assorbente che voleva il massimo di concentrazione e di dedizione. Come fare nello stesso tempo il governo ombra e, come dire, animare una democrazia d'opinione fondata sul confronto delle idee e sulla verifica delle idee alla prova dei fatti e dei fenomeni? UNA DIGRESSIONE SUL "GOVERNO OMBRK

A proposito di governo ombra facciamo, in una breve parentesi, qualche considerazione. Non sta scritto da nessuna parte che un "governo ombra" debba funzionare in un modo piuttosto che in un altro. L'importante è che sia messo bene a punto il modello di funzionamento e che funzioni con continuità. Attraverso, per esempio, regole di collegialità costruite ad hoc. Affermandosi e ben ftinzionando senza dover catturare la dedizione prioritaria del "capo". Bili Emmott nell'articolo Il governo ombra è una grande scuola (Corriere della Sera, 11.07.2008), pensò di dare alcuni consigli. In realtà, non del tutto appropriati alla realtà italiana, ma fondati soltanto sulla cosiddetta vocazione maggioritaria, pretesa dal Partito Democratico. Vale soffermarsi sul punto. Emmott ricordava che in "Gran Bretagna e negli altri (pochi) Paesi che 1'hanno adottato, il sistema dello shadow cabinet funziona egregiamente". Naturalmente, ciò dipende dal fatto che si tratta di Paesi "con sistemi parlamentari in 'stile Westminster' contraddistinti da due schieramenti politici dominanti": oltre alla Gran Bretagna, il Canada, l'Australia, l'Irlanda e, secondo Emmott, "più debolmente, la Francia e il Giappone". Quest'ultimo solo dal 2007, quando alla Camera Alta c'è stata


una vittoria del partito d'opposizione. Già questa precisazione serve a ridimensionare l'efficacia del funzionamento del "governo ombra". Ma il commentatore spinge molto a non mollare l'innovazione. Per due ragioni: dare credibilità allbpposizione e ai componenti del governo ombra come futuri, possibili governanti; dare maggiore responsabilità agli esponenti di spicco dell'opposizione, e costringerli a maggiore autodisciplina. In linea generale, si possono condividere queste ragioni. Ma con qualche riserva emessa a punto. Se il governo ombra esprime la convinzione di dover svolgere più efficacemente il ruolo dell'opposizione non si può non condividere l'intento dopo quel che abbiamo rilevato circa l'esperienza poco entusiasmante della XIV legislatura. Sull'autodisciplina naturalmente i dubbi sono molti, perché la questione riguarda più che altro lo stato del Partito Democratico e la sola esistenza di un governo ombra sembra strumento assai debole e non sufficiente a garantirla. C'è poi da aggiungere che è francamente discutibile l'affermazione di Emmott che in Francia ci sia un governo ombra, dato lo stato di lacerazione del Partito Socialista. Per realizzare un governo ombra che funzioni è però necessario affrontare alcuni problemi specifici. Il primo consiste nell'organizzare la macchina del governo ombra. Diverso dallrganizzare uffici di settore all'interno del partito. C'e un'esigenza di collegialità da realizzare specie se il funzionamento dell'istituzione governo si è caratterizzata più per essere una camera di compensazione di pulsioni diverse che per una sede di elaborazione collegiale dei provvedimenti. In questbrdine di idee, il governo ombra può anche essere un buon osservatorio della macchina di governo senza doverne essere la copia, ma al contrario il modello corretto. L'attenzione che questa Rivista ha sempre dedicato al funzionamento (o maifrmnzionamento) della macchina di governo induce a sottolineare il punto. Il secondo problema è quello del comportamento da tenere nei confronti del governo in carica, e rinvia a quanto appena detto in merito al comportamento passato delle opposizioni di centrosinistra. Il governo ombra è ovviamente libero di scegliere se giocare di rimessa ovvero se lavorare su propri dossier cercando di dettare i temi dell'agenda politica. XII


Sergio Ristuccia

Costruire le istituzioni della democrazia La lezione di Adriano Olivetti, politico e teorico della politica


Alla vigilia della fIne della seconda guerra mondiale e del tracollo della dittatura fascista, Adiiaiw Olivetti - imprenditore di successo che fu fra i maggiori protagonisti del "miracolo economico" degli anni cinquanta del secolo scorso - si impegnò alla costruzione di una democrazia autentica e rinnovata nel nostro paese. Di qui il suo progetto istituzionale, minutamente disegnato, che partendo dalle comunità territoriali - unità di hase della democrazia - giungeva alla proposta di una costituzione compiutamente federale. Nacque da questo impegno l'Ordine Polituo ddle Comunita Intorno il progitto Olivetti promosse dal 1945 fino alla sua morte nel 1960, un'intensa attività polit1ca. Fondò il Movimento Comunità, di cui la rivisia omonima fu l'organo principale, e creò intorno alla rivista le Edi7ionl di Comunita Li sui fu una battaglia delle idee ricca tuttavia di tentativi di iiieinc concrete pieni di inizi'itivc sociili sul territorio e infine neppure aliena da prove elettorali. Una battaglia chè è parte integrante della storia del riformismo italiano pii riflessivo e costruttivo, fondato su una cultura aggiornata delle scienze sociali iigoroso nel perseguire il coinvolgimento reale delle comunita concrete dei ciiiadini. La sua lezione va ripensata e rilanciata nel momento che il degrado della democrazia sembra prendere definitivamente la strada del populismo che semplifica e delega.

I!

SERGIO RISTUCCIA,

*iij AI

r

presidente del Consiglio italiano pci IL SLILO/L Soci 111 estato segr ctao n generale I

della fondazione Adriano Olivetti. I la compiito Un Ungo percorso pn)fesSl()naie attraverso le itituHi mi pubbliche italiane

'

in posizi

)fli

di

SpicCo.

E autore di molte pubblicazioni in m itei i i istituzlo)fl mIe e politica. Ha fondato e dirige la rivista «queste istituzi()fli».

iIiI!I1


Quando la politica del governo si attesta sugli annunci mediatici, però, non è detto che sia opportuno stare lì a rispondere di continuo, battuta su battuta. Può essere invece conveniente rompere il gioco e parlare ad intervalli seguendo una propria linea, mettendo in secondo piano la replica immediata alle dichiarazioni estemporanee del governo. E spreco di tempo star dietro al cabaret mediatico. Naturalmente, è una questione di apprezzamento della situazione. Il terzo e forse più rilevante problema è quello dei rapporti fra lo shadow cabinet e le rappresentanze dellpposizione nelle Commissioni parlamentari. E' stato sempre delicato e critico il rapporto fra Governo e Commissioni. Nel casi di governo ombra possono emergere, se si fa sui serio, altri aspetti delicati. Dato che un "governo ombra" non è un governo vero i parlamentari di opposizione possono sentirsi maggiormente prevaricati nel loro lavoro nelle Commissioni. Da tutto ciò, beninteso, sarebbero potute derivare lezioni ed indicazioni interessanti. Ma con le dimissioni di Walter Veltroni, l'esperimento del "governo ombra" si interrompe prima che dall'esperimento si ricavi qualche utile frutto. Vale a questo riguardo un'ultima considerazione. Pochissimi giorni prima delle sue improvvise dimissioni Veltroni, accompagnato da gran parte del governo ombra, aveva incontrato con qualche solennità i rappresentanti delle "parti sociali": il presidente di Confindustria e i Segretari confederali.Vengono illustrate alcune proposte anticrisi del PD. E un segno, in qualche modo inaspettato, di accreditamento. Passano pochissimi giorni e il nuovo Segretario del partito Franceschini azzera il governo ombra e lo sostituisce con un'organizzazione a dipartimenti che ricorda molto l'organizzazione interna dei partiti novecenteschi. Viene da pensare che, d'ora in poi, l'incontro con le parti sociali non sarà più possibile. Almeno finora non s'è mai visto un incontro fra parti sociali e un partito. Era la formula del governo ombra ad aver consentito quell'incontro che, per poco che valesse nella sostanza, è stato tuttavia un segno di novità. Che il governo ombra andasse smagrito può darsi. Che dovesse essere più efficiente e comunicativo sicuramente è vero. Che dovesse essere drasticamente cancellato è invece del tutto discutibile. A meno che, con la cancellazione, non si sia voluto ammettere di aver fatto il passo più lungo della gamba. XIII


Da ultimo, "Il Foglio" (7 marzo 2009) ha pubblicato un'interessante inchiesta, Memorie di un governo ombra di Francesco Cundari, che, a parte il malizioso titolo d'anticipo in prima pagina (Origine, ascesa e caduta di uno Shadow Cabinet azzerato tra le ovazioni), è la raccolta delle testimonianze di molti componenti di quel "governo". Ne viene un quadro di eccesso iniziale di aspettative e di simbolismi, e poi di molteplici affanni operativi. Questi ultimi assolutamente scontati per le ragioni già dette e percne per un governo ombra non e possiue cavarseia aicenao i intendance suivrà". Affanni che comunque non giustificano le "ovazioni" cne avreoero accompagnato i azzeramento aei governo om i ra senza alcuna chiara spiegazione. Beninteso, la questione vale quel che vale. Però. I

-

i

I

•l •I

il

I

,,

1•

i

(I

il

LE FACILI LAMENTAZIONI SUL PD

Dunque, è la stessa vicenda del Partito Democratico in questi mesi a sollevare ansia e a seminare pessimismo. Le dimissioni di Walter Veltroni da Segretario del PD subito dopo i risultati negativi, se non disastrosi, delle elezioni regionali dopo l'azzardo spavaldo di Renato Soru (accettato, o subìto dai vertici) di rompere con ampie parti del partito e di andare alla verifica dei rapporti interni attraverso elezioni anticipate ovviamente considerate un facile passaggio, sembrano sancire il drastico declino del progetto politico che a moltissimi era parso assolutamente inedito e meritorio. L'esperienza delle "più larghe intese" e delle "gioiose macchine da guerra" messe in campo contro Berlusconi in un quindicennio è stata a tal punto deludente, da ben giustificare la prospettiva di incentrare in un partito nuovo la funzione di coalizzare l'opposizione in nome di un progetto di governo più chiaramente identificabile e non più sottoposto alle forche caudine di continue mediazioni fra forze politiche dal profilo programmatico diverso se non inconciliabile. Malgrado la loro modesta consistenza. Il problema, però, è che a più di un anno dall'annuncio di questa strategia, non è dato capire bene di che cosa si tratti. Molto ripetute alcune lamentazioni e recriminazioni. Nulla è seguito in termini di profilo

00


identitario; nulla in termini di visione; nulla o ben poco, in concreto, in termini di collegamento e soprattutto osmosi con la società, specie con i suoi settori più innovativi e vitali; nulla in termini di approccio con idee fresche ai problemi della democrazia, dei partiti, delle istituzioni, del rapporto tra politica ed economia (ben poca cosa è la riproposizione della "questione morale", pur se necessaria, talvolta, proprio all'interno del partito). Poteva rimanere la dimostrazione energica della necessità di dare sostanza forte ad un'idea di partito che non tanto prescindesse dalla storia (cosa, tutto sommato, impossibile) ma che da questa storia si affermasse del tutto libero lavorando sulla percezione e sulla intuizione delle novità della situazione sociale. Un lavoro di cui occorreva tracciare un percorso metodologico quanto più possibile rigoroso. Le affermazioni risuonate in occasione della Direzione nazionale di Roma dello scorso 19 dicembre sono, da questo punto di vista, ancora appena introduttive. Non vi è stata che lbrgogliosa ma sostanzialmente inaggettivata rivendicazione dell'identità di un grande partito democratico e riformista dal profilo culturale plurale. Ma il processo che deve enucleare e metabolizzare questa identità non riesce ad essere disegnato e ad avviarsi. Dunque, una rivendicazione che solo apparentemente sembra sensata, laddove si ponga mente a quanto inutile, presa a sé, suoni ciascuna di quelle parole che sono state pronunciate a conclusione della riunione di Direzione: partito riformista di massa. Basta soffermarsi sulla parola riformista in anni nei quali la parola riformismo è violentata quotidianamente e strappata al suo senso profondo, come nelle pagine di questa rivista ha denunciato Giovani Vetritto (La pipa di Magritte, n. 146/147 del 2007). Basta considerare cosa comporta mettere in opera la propria pluralità culturale, posto, fra l'altro, che l'et et rivendicato da Veltroni in materie eticamente delicate si fa soprattutto entro le istituzioni (soprattutto quelle parlamentari), meno all'interno delle stesse forze politiche, cioè all'interno dei partiti. A meno che non si inaugurino metodi di approfondimento e di coinvolgimento dei membri del o dei partiti che sono, al momento, inauditi e neppure lontanamente proposti. XV

-


DEMocITIcI PER QUALE DEMOCRAZIA?

Alla fine di queste considerazioni sorge spontanea la tentazione di fare suggerimenti riguardo all'agenda dell'opposizione, che è inizialmente e fondamentalmente parlamentare. Per esempio, sarebbe molto importante che i gruppi parlamentari del PD facessero l'esercizio di mettere ordine fra le proprie iniziative parlamentari, valutando e confrontando le iniziative dei singoli per rafforzarne alcune. Ne potrebbe derivare un lavoro di comunicazione, anche e soprattutto via internet, che faccia recuperare almeno in parte informazione ed interscambio fra parlamentari ed elettori, in generale e fra parlamentari e cittadini impegnati nel PD in particolare. Dunque, un'informazione che completerebbe quella, più facile ma ripetitiva, sull'azione di contrasto dell'attività di Governo quando ritenuta sbagliata o insufficiente. Fin qui siamo, in ogni caso, entro le coordinate della democrazia parlamentare. Non più sufficienti. Per allargare il discorso sembra ragionevole, innanzitutto, chiedersi perché si è scelto il nome di Partito Democratico. Il nome parve pregnante perché adottava una classica denominazione della politica statunitense che stava anche a rimarcare la speranza di un interlocutore americano più accettabile, se non altro, di quello impossibile rappresentato da un Partito Repubblicano rigorosamente neo-conservatore che ha dominato la scena politica assai a lungo. Dunque, c'è dietro la scelta la reincarnazione di un americanismo "altro" di tipo progressista che ha anche tentato nel tempo qualche timida iniziativa di stabilire legami con i Democrats. Di questo americanismo è chiaro elemento di prova il richiamo costante alle "primarie" anche se in una vulgata molto semplificata. Le primarie significherebbero chiamare a votare per scegliere i dirigenti del partito non solo gli iscritti ma anche e soprattutto i cittadini. Partito "aperto" insomma. Sia pure in una versione troppo essenziale e quindi superficiale. Al di fuori di questo rinvio al modello semplificato americano la parola democratico dice poco. A parte forse qualche sultano o qualche esponente di teocrazie mediorientali nessuno più al mondo sente il bisogno (prima e più che il timore) di dirsi non democratico.

xv'


È il contrario. Mentre l'abitudine al rito periodico delle elezioni a suffragio universale, più o meno idealizzato come lavacro elettorale, sta sempre più spingendo, immaginario collettivo permettendo, verso esercizi di trasformazione del principio di maggioranza in principio fondante la "dittatura di maggioranza". Quella sempre paventata e combattuta, fin dagli inizi, dai maestri del pensiero liberale da Tocqueville a Stuart Muli. La democrazia condotta verso un cesarismo soft. Il saggio di Claudia Lopedote, pubblicato su questo numero, sulla Costituzione francese recentemente, e di nuovo, aggiustata per volontà di Nicolas Sarkozy bene illustra questa condizione democratica. Se le cose stanno così, la qualificazione di "democratico" deve avere una portata forte e in qualche modo provocatoria. Certo, siamo chiamati a salvaguardare le conquiste della democrazia liberal-democratica ma con la consapevolezza che la democrazia rappresentativa è sulla difensiva perché è da gran tempo insufficiente ad esprimere le istanze di una democrazia più adeguata al suo significato più profondo e più letterale. Alla crisi della rappresentanza politica si è data, nell'ultimo mezzo secolo, la risposta della "democrazia dei partiti" (di massa e ideologizzati). Questi partiti, una volta entrati in fase di estinzione, sono stati soppiantati da leader e leaderismi di vario genere e di diversa capacità di successo. La critica, se non il rifiuto, di questa forma politica, agevolata se non creata, dalla telecrazia non può in nessun modo significare un cammino a ritroso verso il recupero puro e semplice della democrazia dei partiti. Ci sono voluti vent'anni dal crollo del comunismo, cioè dalla caduta del muro di Berlino, e il prezzo altissimo che viene ora imposto all'ecumene civile dal trionfo del capitalismo ruggente e senza regole per essere costretti a pensare nuovamente ai fondamenti della democrazia e a come ricostruire le istituzioni della democrazia. Compito certamente difficile ma centrale che non può essere messo da parte soffermandosi su questioni tutto sommato minori come quelle che si sono affermate per spirito conformistico (pensiamo alla diatriba "primarie sì, primarie no"). D'altra parte, la catastrofe economica rilancia come cruciale il rapporto fra democrazia e regole dell'economia. La catastrofe del neo-liberismo spinge a radicali ripensamenti senza però concedere illusioni al mondo progressista e di sinistra di avere davanti a sé praterie dove poter correre. XVII


Il neo-liberismo cade da solo e di esso si stanno liberando, un po' a casaccio, tutti i governi. Né sarebbe saggio dimenticare che dopo la crisi del '29 un buon esempio di intervento misto nell'economia a prevalenza pubblica fu realizzato in Italia per opera del "finanziere di Mussolini" come racconta un bel libro recente su Beneduce (di Mimmo Franzinelli e Marco Magnani, Mondadori, 2009) che fu il creatore di quel modello IRE considerato esemplare fino agli anni Sessanta. Il compito che sta davanti ai "democratici" è certamente difficile. In termini di visione della democrazia possibile oltre quella tramandata che è piena di buchi e acciacchi, in termini di riconsiderazione a fondo dei meccanismi dello sviluppo capitalistico anche attraverso un'accoglienza più attenta delle lezioni del metodo riformista che fu coltivato in passato da minoranze operose ma trascurate, in termini di sperimentazione diretta dei modi di organizzare la propria presenza fra i cittadini, la propria elaborazione progettuale, lo scambio fra i vari livelli di responsabilità politica. Nella prospettiva di lavoro qui appena suggerita è giusto auspicare anche noi - come ha fatto la rivista "L'Acropoli"(gennaio 2009) con uno scritto di Adolfo Battaglia che pure segue un proprio e diverso filo argomentativo - una ripresa di iniziativa del PD ispirata a grande vigore e spessore con "la capacità e il coraggio di sostenere una visione di lungo periodo". Un auspicio che esprime seccamente una necessità. Oltre la quale non ci sarà spirito di sopravvivenza che tenga.

XVIII


queste istituzioni n.152 gennaio - marzo 2009

taccuino L'Europa e la crisi di Maria Teresa Salvemini

A

ll'inizio del 2009 il passaggio dell'Unione europea attraverso la grande crisi attuale appare altamente impegnativo se non drammatico. Una prova di vitalità dell'Europa come istituzione può essere data dal fatto che i cittadini si aspettano dai poteri europei qualche intervento contro la crisi economica in atto, e che i Governi abbiano ritenuto necessario accrescere e dare più sostanza alle procedure e alle occasioni di consultazione della cittadinanza. Potrebbe avere ragione chi sostiene, ottimisticamente, che proprio l'esistenza di una crisi seria, non facilmente trattabile dai singoli Paesi, possa essere un fattore di crescita dell'Unione come realtà istituzionale. Ma, naturalmente, non è detto. Un nuovo paradigma? È necessario partire da un'osservazione. Vi è un cambiamento rispetto al contesto culturale - si potrebbe anche dire ideologico - in cui negli anni più recenti sono stati disegnati i poteri delle istituzioni europee. Il contesto attuale è quello di una forte

ripresa delle politiche di intervento pubblico. Non si sono ritenuti sostenibili, in termini di perdita duratura di reddito e di occupazione, i costi di un aggiustamento affidato alle sole forze del mercato. Ma, soprattutto, i timori di una crisi del sistema finanziario del tutto nuova, e i rischi di incontrollabiità e di imprevedibiità a ciò connessi, hanno indotto Governi e Banche centrali ad interventi di dimensioni che non si vedevano più da decenni. Qesti interventi possono essere letti come una vittoria delle tesi di Keynes che, nel caso della crisi degli anni Trenta, giustificò teoricamente gli interventi di sostegno alla domanda globale già intrapresi dall'amministrazione americana; ma possono anche rappresentare i primi passi di un nuovo paradigma di politica economica, più centrato sulla dinamica delle istituzioni, più finalizzato ad operare su queste ultime per garantire le stabilità dei mercati. Una prova di ciò sembra essere anche il modo in cui è stato considerato il problema di non indurre, con gli interventi pubblici di correzione e salvataggio, maggiori propensioni al rischio, premessa per altre crisi. Si peni


si a come sono state pubblicizzate le penalizzazioni assegnate ai manager responsabili degli errori, ma soprattutto al peso che è stato dato al fatto di accompagnare questi interventi con misure correttive a livello istituzionale, normativo. Un'altra caratteristica importante del contesto di politica economica è il venire meno della stretta separazione tra politica di bilancio e politica monetaria, nel senso che agli interventi delle banche centrali per la creazione di moneta in contropartita di attività finanziarie (acquistate anche su scadenze non brevissime) si sono sommati interventi di acquisto di attività finanziarie attraverso i bilanci pubblici. Questo ha avuto importanti conseguenze dal punto di vista del restringersi degli spazi sui bilanci pubblici disponibili per altri tipi di interventi, ma non ha del tutto risolto, ancora, il problema dell'adeguatezza degli interventi fatti. Se questi spazi dovessero ancora restringersi, verrebbe meno la possibilità di privilegiare, tra gli interventi di politica economica, quelli che possono avere effetti positivi sui fattori fondamentali di crescita. Posto che dal punto di vista dell'Unione si sono sempre giustificate dappiù le politiche che aggiungono al sostegno della domanda un qualche effetto significativo dal lato dellfferta. Il Piano europeo Fatte queste osservazioni di carattere generale, veniamo al tema: l'Eu2

ropa e la crisi. Non si può essere troppo benevoli sull'European Recovery Plan, il piano presentato a dicembre dalla Commissione, e approvato dal Consiglio1 . Un piano basato su una lettura un po' tollerante del Patto di stabilità, e su una sommatoria di interventi decisi da ogni Paese per sé, e consentiti proprio in base a tale tolleranza. Si è dichiarato un valore complessivo dell' 1,5 % del PIL. E una stima di larga massima che forse non tiene conto di tutto quel che nei diversi Paesi si sta progettando di fare (ad es., in Germania), e che certamente nulla dice sull'adeguatezza della cifra in sé. Di questa cifra complessiva fanno parte anche qualche milione di euro tratti dal Bilancio dell'Unione, ma - come alcune spese dei piani nazionali - sono soltanto accelerazioni di spese già decise. Non si sa bene, insomma, quanto di aggiuntivo vi sia effettivamente (a parte l'aumento di operatività della BEI, che però è tutt'altra cosa) in questo un po' pomposamente denominato Piano europeo. La lettura più tollerante del Patto di stabilità consiste nel ritenere inevitabile, e perciò non contrastabile, il vuoto di entrate, e il conseguente aumento dei disavanzi, anche al di là del tetto, e nel dichiarare coerenti con il Patto anche le maggiori spese decise nei piani nazionali. Si afferma -ma senza darne dimostrazioni - la temporaneità di questi aumenti, e quindi sostanzialmente ci si limita ad auspicarla. Negli Stati Uniti, si è arrivati a


prevedere un disavanzo pubblico intorno al 10% del PIL. Come possiamo pensare che le istituzioni finanziarie europee siano davvero uscite dalla crisi, e che non saranno necessari altri salvataggi, altri interventi difensivi a carico dei bilanci pubblici? Nulla si dice sul coordinamento delle politiche, anche macroeconomiche, a livello dei saldi. Per cui sarebbe possibile, per un qualsiasi Paese, fare il virtuoso contando sugli stimoli alla domanda totale europea indotti dai Paesi non virtuosi. Un classico comportamento da free rider. Se poi il canale di trasmissione della crisi dal settore finanziario al settore reale ancor prima che la caduta dei redditi delle famiglie - è quello dei bilanci delle imprese, come si può pensare che bastino misure di politica sociale come sussidi di disoccupazione, casse integrazione, e buoni pasto, per tirarcene fuori? Non possiamo dire con certezza quante nazionalizzazioni, aperte o striscianti, verranno fatte. Non è con il tetto al 3% che le soluzioni potranno essere individuate. Nessun coordinamento è poi davvero realizzato, tutt'al più solo auspicato, nei contenuti delle politiche di bilancio, cioè sul terreno delle politiche di entrata e di spesa pubblica. Le cosiddette "linee direttici" del Consiglio sembrano orientate a consentire a priori aiuti al settore automobilistico e all'edilizia (senza richiami adeguatamente forti alla difesa della concorrenza), e. ad ammettere che ciascun Paese è libero di scegliere au-

menti di spesa o riduzioni di entrate. L'aspetto più propriamente europeo sta, quindi, nell'invito a scegliere misure coerenti con la strategia di Lisbona: infrastrutture, competitività, innovazione, istruzione. C'è da chiedersi se non si sta perdendo una preziosa occasione per portare avanti con più decisione il processo di armonizzazione degli strumenti fiscali e delle politiche settoriali nei vari Paesi. Il saggio di Fìorella Kostoris, "Il coordinamento delle politiche economiche" nel libro L'Unione europea nel XXII secolo 2, ci dice molto sui limiti e le difficoltà del coordinamento. Ma ne riafferma l'esigenza. Sarebbe forse possibile affidare alla crisi qualche ruolo di catalizzatore in questo processo, almeno nell'area dell'Eurogruppo; il rischio di politiche nazionalistiche (non nazionali) non sembra tanto remoto da non dover essere combattuto. La questione del Bilancio Vi è poi la questione del Bilancio dell'Unione. Com'è noto, questo è di dimensione troppo esigue per poter essere, in sé, lo strumento delle politiche anticrisi europee. Ma il vero problema è la sua rigidità: non è possibile muovere né la spesa né l'entrata di questo bilancio, senza modificare il Quadro finanziario pluriennale, fissato fino al 2013. C'è una prospettiva di revisione di questo Quadro connesso a proposte che la Commissione dovrà fare nella pri3


mavera prossima. Ma circolano molti dubbi sul fatto che queste proposte possano avere l'incisività necessaria, o che le decisioni susseguenti possano essere davvero tempestive, ai fini qui indicati. Il Consiglio si è dovuto quindi affidare all'accelerazione nell'attuazione dei programmi, ovvero di un'ipotesi vaga di un elenco di progetti finanziabili con risorse già disponibili nel Bilancio, e ad un uso più sollecito di risorse esistenti nel Fondo sociale e nel Fondo per l'adeguamento alla globalizzazione. Ben poco, occorre dire. Ben poco ci si può aspettare. E stato accantonato ogni discorso sui Bond europei. Mi sembra importante attirare l'attenzione su questo tema. Non è forse possibile riprendere oggi la mia vecchia proposta di eliminare dal Trattato il vincolo di pareggio del Bilancio UE3 . Tuttavia, è ugualmente importante cercare tutte le vie possibili, a legislazione esistente, per finanziare con i titoli qualche tipologia di intervento. Tra le vie possibili, quella da tentare per prima è un utilizzo degli spazi offerti dalle regole statisticocontabili europee in materia di operazioni finanziarie. Poiché queste si collocano sotto la linea del saldo, è possibile immaginare di emettere titoli per finanziare operazioni di credito o assunzioni di partecipazioni al capitale. E facile immaginare quante resistenze ideologiche possono esservi su questa ipotesi di finanziare con debito gli interventi pubblici, ed an4

che quante obiezioni potranno essere mosse a qualsiasi tentativo di identificazione degli interventi da realizzare. Così come non esiste ancora un sufficiente consenso su quali Beni pubblici europei possono essere prodotti con le risorse proprie del Bilancio, anche all'interno delle materie affidate all'Unione dal Titolo Primo del trattato sul Funzionamento dell'Unione (difficile pensare che dipende dal fatto che ancora non è in vigore). A maggior ragione, è difficile immaginare le risposte che verrebbero date al quesito su quali interventi finanziare con Bond dell'Unione. L'importanza dei bond Vale comunque la pena di ragionare in astratto, e indicare le categorie da utilizzare per questo tipo di intervento; primo, crediti e partecipazioni in imprese di natura finanziaria e non finanziaria, non tanto ad integrazione delle misure prese dai singoli Paesi, quanto in casi caratterizzati dalla natura transnazionale dell'impresa; - secondo, crediti e partecipazioni legate a grandi operazioni di Finanza di Progetto nel campo della Infrastrutture a rete che è proprio dell'Unione; - terzo, crediti e partecipazioni legate al potenziamento di grandi centri di ricerca, eventualmente da collocare, in termini istituzionali, entro il perimetro dell'Unione. -


A sostegno della necessità, per l'Europa, di consentire un finanziamento con debito degli interventi dell'Unione, è il caso di portare l'attenzione su un punto non secondario. I titoli emessi dall'Unione europea possono essere un'attività finanziaria molto apprezzata per i portafogli sia europei sia esteri, con particolare riguardo alle esigenze di diversificazione delle riserve ufficiali di grandi Paesi esteri. Titoli sicuri, collocabili nella fascia più bassa dei rendimenti di mercato. Va però ricordato che, per essere ben accolta sui mercati, un'attività deve anche essere presente in quantità adeguata. Occorre garantire spessore, profondità, elasticità negli scambi ad essa riferiti. Deve essere continuamente alimentata da nuove emissioni, per dare significato al prezzo. Lccasione della crisi non può essere colta per fare una piccola sperimentazione; occorre un serio, robusto, piano di interventi. Meno importante è che questi si traducano in pagamenti immediati. La ricerca economica da tempo ha dimostrato che un investimento comincia a pro-

durre effetti di domanda fin da quando viene avviato (mentre, ovviamene, gli effetti sulla capacità produttiva ne richiedono il completamento). In altre parole, non è un intervento una tantum quello che può essere fatto per questa via (o almeno, se lo si fa, si deve farlo un po' fuori mercato). Si tratta di una decisione forte, con un forte impatto sul futuro dell'Unione, che va presa con convinzione e va tradotta in comportamenti da tutti condivisi. Anche qui, nei prossimi mesi si potrà verificare se le risposte europee alla crisi saranno innovative quanto è necessario.

EUROPEAN C0uNCIL, European Economic Recovery Plan, Brussels, 11-12 December 2008 2,3 S. Micossi e G. L. TOSATO (a cura di), L'Unione europea nel )OU secolo. 'Nel dubbio, per l'Europa', il Mulino, 200. Cit., pp. 65-94. 4 M. T SAIvEMINT, O. PESCE, Un bilancio europeo per una politica di crescita, in «Quaderni IM», N. 27,2007.

5


queste istituzioni n.152 gennaio - marzo 2009

-

taccuino

-

Il "virus dormiente". Il collasso dei mercati finanziari e il populismo nell'Est di Slavenka Drakulic

U

n incidente in apparenza banale che ha coinvolto i tifosi di una squadra di football slovacchi nell'inverno 2008 è degenerato in un conflitto ben più serio che ha visto protagonisti gli ungheresi, i quali hanno bruciato le bandiere slovene e chiuso l'accesso alle strade interne verso la Slovacchia. E anche tra le alte sfere politiche dei due Paesi sono volate parole dure. La provocazione, chiaramente pianificata da Jobbik, il partito ungherese di estrema destra, insieme agli alleati della Guardia ungherese, ha creato, come è ovvio, un clima di forte tensione da entrambe le parti. Per di più, Jobbik trae vantaggio dalla situazione, mietendo repentini successi anche tra i comuni cittadini ungheresi preoccupati della brutalità della polizia slovacca. L'incidente in questione ha creato la situazione ideale per quanti mirano a manipolare populisticamente le emozioni. Come nei fatti sta accadendo. I politici di entrambi i Paesi, alquanto esperti in retorica populistica, fanno a gara nel riscaldare ulteriormente il clima già bollente alimentato dai reciproci pregiudizi nazionalistici. Parole quali N.

sovranità, identità nazionale, orgoglio nazionale sono usate in abbondanza, a conferma del fatto che si può anche decidere di abolire i confini statali (etnici, nazionali) all'interno dell'Unione europea, ma questi continueranno ad esistere nelle menti delle persone, più vivi che mai. L'involuzione degli eventi

Una simile involuzione degli eventi non dovrebbe sorprendere, se si pensa alla lunga serie di episodi nazionalistici verificatasi nella ex Yugoslavia non tanto tempo fa. Come disse il noto intellettuale polacco Adam Michnick, il nazionalismo è come un virus: resta inattivo fino a quando si creano le giuste condizioni di azione. Fortunatamente, i recenti sviluppi del virus non conducono nella stessa direzione, o almeno non così lontano, della storia dei Balcani. Tuttavia, il punto è un altro: rancori vecchi di cento anni continuano ad essere usati per creare un clima di conflitto e tensione, favorevoli all'azione dell'estrema destra, così brava a cavalcare lbnda per guadagnare potere dagli odi e dai rancori. Il metodo è noto,


soprattutto in Austria, dove di recente due partiti di estrema destra hanno sfiorato il 30% dei consensi grazie alla retorica xenofobica ed anti-europeista. C'è un bel dire che alla maggioranza della gente l'estremo populismo di destra fa venire i brividi, quando poi riesce a centrare temi e problemi che gli altri partiti preferiscono non toccare in quanto poco attraenti nell'era dell'infotainment. D'altro canto, raggrupparsi col gregge sotto la bandiera di una comune identità nazionale aiuta a sentirsi al sicuro, protetti, vicini a chi è simile a noi. Il gregge non ha un buon odore, ma ti fa sentire sicuro. Questo è ciò che H. C. Strache e Pia Kjersgaard, Umberto Bossi e Krzstina Morvai, Gigi Becali e Boyko Borissov sanno meglio di chiunque altro. Le origini delle tensioni possono differire dall'Italia all'Ungheria, ma gli effetti si equivalgono. Se crediamo di conoscere il populismo di stampo occidentale, come classificare quello emergente nei Paesi ex comunisti? Quali sono le frustrazioni di questi Paesi, che pure sono riusciti nell'intento di confluire nell'Unione Europea, realizzando un antico sogno? Per semplificare un tema assai complesso, due sono le principali differenze tra la vecchia e la nuova Europa: da una parte, si cerca di arginare le immigrazioni e si invocano misure anti-europee che rassicurino le persone che temono di perdere i privilegi che hanno sempre avuto; dall'altra parte, bisogna fare i conti con

lo scontento della gente che non vede i risultati attesi. I populisti hanno gioco facile nel convincere i cittadini che, dopo avere perso la sovranità nazionale, rischiano di dovere rinunciare anche all'identità nazionale. La corruzione delle élite La corruzione è dilagante, le élite politiche non hanno credibilità e la democrazia sembra una giostra con i soliti volti noti che vanno su e giù. Su tutto, il capitalismo liberista ha creato un immenso divario tra classi e grande povertà. Si sa, libertà ed opportunità fanno parte dello stesso pacchetto, ma la gente ha fatto presto ad accorgersi che la libertà senza soldi è solo una nuova forma di schiavitù. Come scrive la politologa romena Alina Mungiu Pippidi: "I cittadini dell'Europa centrale ed orientale sono favorevoli alla democrazia ed all'Europa, ma nel frattempo restano poveri. La maggioranza di loro, con riferimento allo stato dell'economia domestica, si esprime con aggettivi quali 'male' e 'molto male' nel 90% dei casi in Bulgaria e nel 75% in Ungheria". Il nuovo tipo di populismo emergente nei Paesi ex comunisti non è anti-democratico. Secondo alcuni esperti, si tratta di un populismo positivo poiché risveglia masse prima passive e le spinge a cercare un coinvolgimento attivo nella politica. Inoltre, secondo Ivan Krastev, direttore del Centro per le strategie liberali di Sofia, il populismo punta a profonde VA


trasf6rmazioni nelle democrazie liberali europee. Un anno fa, Krastev scriveva: "Le strade di Budapest e Varsavia sono oggi affollate non da spietate formazioni paramilitari in cerca di una soluzione finale, bensì da consumatori senza pace a caccia delle svendite dell'ultimo minuto". Parole che suonavano forse spiritose fino a poche settimane fa, ovvero fino al collasso dei mercati finanziari. E adesso? Gli investimenti dall'estero diminuiranno, caleranno i posti di lavoro ed il credito, mentre aumenteranno i tagli alle spese e i deficit. Ci saranno più incidenti di stampo nazionalistico, simili a quello della Slovacchia e voleranno più parole dure... La situazione nella nuova Europa era abbastanza penosa già prima della recessione. Come cambieranno

i contesti politici? Questa situazione potrà diventare il cavallo di Troia per il rafforzamento dell'estrema destra e per il ritorno delle forze di sinistra? Dopo tutto, anche loro hanno il diritto di dire: "Noi l'avevamo detto". Oggi, in Germania le parole di Karl Marx sono sempre più popolari. Se all'interrogativo circa il rischio di una forte ripresa del populismo nella nuova Europa, solo qualche tempo fa si avrebbe dovuto rispondere con un prudente "No", oggi non è più così: il punto interrogativo resta nell'aria. Tratto da Post, newsletter of the Institute for Human Sciences at Boston University, no. 99, September-December 2008, p. 9. http://www. iwm. at (traduzione di Claudia Lopedote)


-

taccuino

queste istituzioni n.152 gennaio - marzo 2009

Lotta alla povertà e assistenza sociale. Il Rapporto Caritas/Zancan 2008 di Saveria Addotta

I

l nostro Paese, pur facendo parte delle 10 nazioni più ricche del mondo, non ha un piano di lotta alla povertà. E' quanto continua a denunciare il rapporto - giunto ora alla sua ottava edizione - che la Caritas Italiana e la Fondazione Emanuela Zancan dedicano al tema della povertà e dell'esclusione in Italia: Ripartire dai poveri (il Mulino, 2008). Il Rapporto parte da una distinzione, quella tra povertà e impoverimento, ovvero il fenomeno che ha colpito negli ultimi anni in particolare la classe medio-bassa - potremmo dire il ceto medio - e valuta come possa essere possibile un ruolo più efficace degli Enti locali e della società civile nel contrasto del fenomeno. Quindi, delle istituzioni territoriali e di quegli attori sociali come gli stessi estensori del Rapporto, che conoscono il fenomeno dal di dentro, vivendolo attraverso le proprie mense o le file di persone che chiedono un posto per dormire o qualche vestito usato, quale è la Caritas, oppure analizzandolo attraverso l'Osservatorio delle politiche sociali per la tutela dei soggetti deboli quale è quello creato dalla Fondazione E. Zancan negli anni novanta.

La Caritas è bene conosciuta per i suoi interventi concreti di solidarietà sia in Italia che a livello internazionale, per la sua attività di stimolo alle istituzioni e di denuncia, per le sue attività di ricerca e sensibilizzazione, le sue iniziative di educazione alla solidarietà, alla mondialità, all'interculturalità e alla pace. La Fondazione E. Zancan è un centro di studio, ricerca e sperimentazione che opera da più di quarant'anni nell'ambito delle politiche sociali, sanitarie, educative, dei sistemi di welfare e dei servizi alla persona. Chi sono i poveri? I poveri sono il 13 % della popolazione italiana che sopravvive con meno di 500-600 euro al mese. Secondo i dati offerti da Bankitalia poco più di metà degli italiani (54,07%) ha un reddito annuo al di sotto dei 15.000; il 10 % più ricco della popolazione possiede il 45% della ricchezza con un aumento di 2 punti dal 43% al 45% negli ultimi due anni, mentre le famiglie indebitate passano dal 24,6 al 26% del totale. Le percentuali sulla popolazione di persone intorno al-


la linea di povertà sono ben al di sopra dei 7,5 milioni dichiarati: l'Istat nel 2007 precisava che non erano comprese tra i poveri almeno 900.000 famiglie soltanto perché il loro reddito superava di poche euro (da 10 a 50) la linea di povertà. Povera, comunque, è la persona che non dispone di risorse e di strumenti per una qualsiasi autorealizzazione, che non riesce ad inserirsi vitalmente e attivamente nell'organizzazione sociale. La povertà va al di là, quindi, delle condizioni economiche, e riguarda, anche, l'esclusione delle persone handicappate e di molte persone anziane per la presenza di barriere architettoniche. Discorso diverso è l'impoverimento che, per quanto riguarda l'Unione Europea è stato anche prodotto dall'introduzione dell'euro. Finora il fenomeno, seppur percepito, non è stato mai oggetto di una politica. Un "piano di lotta"

E sempre più necessario, quindi, un "progetto di lotta alla povertà" comprendente, oltre a misure di temporaneo sostegno assistenziale, forme per aiutare a uscire dallo stato di dipendenza e di povertà -' in cui le istituzioni e la società cooperino per l'autopromozione delle persone, per attivare le loro risorse considerato che anche i poveri sono titolari di una cittadinanza attiva. Un piano di lotta che tenga conto della realtà multidi10

mensionale della povertà - fattori quali deficit di salute, scarsità d'istruzione, carenze abitative, vuoto di relazioni umane, ecc. -, già colta dal Consiglio Europeo di Laeken nel 2001 che ha proposto agli Stati membri una serie di indicatori per promuovere l'inclusione sociale, appunto: povertà economica, disuguaglianze nella distribuzione del reddito, disoccupazione, abbandoni scolastici, speranza di vita, stato di salute, accesso ai servizi, ecc. Intervenire sulle cause che producono povertà spetta allo Stato secondo la Costituzione: "E' compito della Repubblica rimuovere tutti gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese" (art. 3). Ma l'ambito dei servizi alla persona (sanità, assistenza, cultura, organizzazione scolastica, ecc.) appartiene alla potestà legislativa delle Regioni e alle funzioni amministrative proprie dei Comuni. Il rapporto diretto con il territorio è fondamentale nel contrasto alla povertà poiché consente la conoscenza diretta e immediata delle persone e delle famiglie in difficoltà e delle risorse economiche e umani professionali e volontarie che possono concorrere. Il nodo dell'esclusione dei poveri dipende spesso da una cultura diffusa che tende ad emarginare "i diversi": per que-


sto un piano di lotta alla povertà deve prevedere, innanzitutto, un'azione culturale in cui sono fondamentali le forze sociali per scardinare lo stereotipo che alcune categorie di persone possano essere, irrimediabilmente, inutili o addirittura soltanto un peso per la società! Gli attuali costi

Imeccanismi di socialità e la qualità delle relazioni, invece, sono sempre più messi in discussione. Diversi fattori quali i fenomeni di urbanizzazione (non sempre correttamente guidati), i tempi di vita delle città, i crescenti ritmi lavorativi, il senso di insicurezza, le innovazioni nel settore commerciale rendono meno coese e solidali le comunità che non creano quindi ambienti sicuri. Il Rapporto Caritas/Zancan sottolinea, invece, che soltanto "partendo dal territorio si arriva alla comunità e si riesce a riportare al centro ciò che era rimasto confinato ai margini, a riportare dentro tutti coloro che erano stati relegati fuori". Ed è in questa direzione che il mondo del non profit - le associazioni di volontariato, le cooperative sociali, le case famiglia, le comunità terapeutiche, ecc. - è fondamentale, proprio in quanto contribuisce alla ricostruzione della coesione sociale assicurando, quindi, anche un apporto al contrasto alla povertà. La spesa per l'assistenza sociale, a certe condizioni, può rappresentare

un investimento. Ma certo non sembra lo sia ora visti gli scarsi risultati nel contrastare la povertà. Secondo gli estensori del Rapporto, ciò è dovuto all'attuale composizione di questa spesa. Come è oramai noto, la voce più rilevante della spesa per la protezione sociale è quella pensionistica. La spesa per la protezione sociale italiana non è alta: si situa sotto la media UE sia in termini di percentuale di PIL che in termini di spesa pro capite ma c'è una "distorsione funzionale" nella sua composizione perché è assorbita dal sistema pensionistico piuttosto che dai bisogni della famiglia, della condizione di disoccupazione, di emarginazione, e c'è anche una "distorsione distributiva", poiché riguarda prevalentemente alcune categorie di persone (es. gli invalidi civili). Nel 2007, secondo il ministero dell'Economia e delle Finanze, le istituzioni pubbliche hanno erogato prestazioni a fini sociali pari a 366.878 milioni di euro (395.516 se si somma la cifra da enti privati) di cui il 66% (243.139 milioni) per pensioni (5,2% rispetto all'anno precedente); il 25,8 pari a 94.678 milibni destinato alla sanità (incremento dello 0,5 rispetto al 2006), il 7, 9% (29.061 milioni) per l'assistenza (3,9% rispetto al 2006). Rispetto all'impostazione dei conti della protezione sociale adottata dall'Istat ci sono altre voci di spesa che andrebbero incluse alla voce assistenza sociale (che include pensioni sociali, di guerra, a invalidi civili, ai non 11


vedenti, ai non udenti, altri assegni e sussidi, servizi sociali): le integrazioni delle pensioni al minimo e gli assegni sociali che l'Istat fa entrare, invece, nella previdenza mentre questi, secondo una lettura che la Commissione Onofri (istituita dall'allora Governo Prodi proprio per analizzare le compatibilità macroeconomiche della spesa sociale) aveva proposto più di 10 anni fa dovrebbero rientrare, appunto, nella categoria dell'assistenza. L'analisi del Rapporto Caritas/Zancan e le relative proposte di piano di lotta alla povertà si allineano allo schema della Commissione Onofri. L'anomalia della spesa pubblica La "grande anomalia" della nostra spesa pubblica per l'assistenza sociale è che questa è quasi totalmente caratterizzata da trasferimenti monetari e non da servizi: se la cifra di riferimento è quella quantificata dall'Istat (29.061 milioni di euro) il rapporto è di 3 a 1, se la cifra è quella della Commissione Onofri (46.988 milioni di euro) il rapporto è 7 a 1. Si consideri che la sola spesa per indennità di accompagnamento è di 10.175 milioni e per assegni familiari o al nucleo familiare è di 6.427 milioni. Per servizi si intendono gli interventi domiciliari (assistenza domiciliare nelle sue varie forme, interventi di sostegno a distanza, come teleassistenza, interventi intermedi o territoriali, centri diurni per persone auto12

sufficienti o non autosufficienti, attività di socializzazione, servizi educativi..); interventi residenziali (case famiglia, comunità familiari, residenze per persone non autosufficienti, accoglienza notturna ... ); per i bambini (strutture tipo nidi, centri per la cura diurna, family day care). I servizi per i bambini nei primi tre anni di vita, in particolare, presentano le maggiori differenze tra Paesi per quel che riguarda la spesa pubblica: l'Italia (con la Spagna) è il Paese con la minore spesa pubblica destinata alla prima fase di vita. Un diverso utilizzo delle risorse trasferite potrebbe essere anche l'istituzione di una forma di tutela previdenziale per chi svolge lavoro di cura per familiari non autosufficienti: per recuperare risparmi di spesa assistenziale futura e prevenire l'insorgere di situazioni di fragilità sociale. Le risorse possono trovarsi anche attraverso: la fiscalità generale; la previdenza integrativa negoziata tramite i contratti collettivi di lavoro; la previdenza integrativa privata, tramite polizze assicurative; la lotta all'evasione fiscale e la diminuzione della spesa per il debito pubblico. Gli estensori del Rapporto Caritas/Zancan propongono, come dicevamo, una riconversione di gran parte degli emolumenti economici in servizi. La legge 328 del 2000, cioè la "Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali", almeno sulla carta, ha attualizzato i principi sanciti in Co-


stituzione affermando che: "la Repubblica assicura alle persone e alle famiglie un sistema integrato di interventi e servizi sociali, promuove interventi per garantire la qualità della vita, pari opportunità, non discriminazione e diritti di cittadinanza, previene, elimina o riduce le condizioni di disabilità, di bisogno e di disagio individuale e familiare, derivanti da inadeguatezza di reddito, difficoltà sociali e condizioni di non autonomia, in coerenza con gli articoli 2, 3,38 della Costituzione (art. 1, comma 2)". Non soidi ma servizi

Si parla giustamente di servizi, non di erogazioni, anzi, dare soldi a chi ha bisogno di aiuto diviene una forma di indennizzo per risposte in termini di servizi non prestati, non sufficienti o non presenti. In altri Paesi il trasferimento monetario è una forma superata di welfare o in corso di superamento. In ambito comunitario gli elementi qualificanti i servizi sociali sono: il ftinzionamento basato sul principio di solidarietà; il carattere personalizzato e polivalente, integrante le risposte necessarie ai diversi bisogni per garantire i diritti umani fondamentali e proteggere le persone più vulnerabili; un ancoraggio marcato alle tradizioni culturali locali. Rispetto all'istanza di liberalizzazione degli scambi commerciali e di servizi sono sempre più numerosi i richiami di

istituzioni internazionali che ribadiscono la responsabilità pubblica nel garantire tali servizi in forme accessibili, disponibili, adattabili alle fasce più deboli della popolazione: si cerca di mantenere, cioè, una stretta correlazione tra accesso ai servizi sociali e tutela dei diritti fondamentali. Il dibattito teorico e l'approccio riformista dei sistemi di welfare puntano sull"attivazione", ovvero sul potenziamento delle capacità di autodeterminazione della persona in situazione di svantaggio, in alcuni casi come premessa per l'avvio dei percorsi di assistenza. Indicatori quali il livello e il rischio di povertà, la povertà delle famiglie con figli delle persone anziane prima e dopo i trasferimenti sociali mostrano una situazione di stallo e di incapacità strutturale di affrontare i problemi della povertà. L'Italia, con riferimento all'Europa dei 15 (l'Eurozona), ha una delle più alte percentuali di popolazione a rischio povertà, un valore costante negli ultimi 10 anni; avere più figli comporta un maggior rischio di povertà: nel 2006 il 30,2% delle famiglie con 3 o più figli risulta povero; nel Mezzogiorno l'incidenza sale al 48,9%. Situazione opposta in Norvegia: più bambini si hanno (a meno di non averne tanti!), più basso è il tasso di povertà. Nelle Regioni del nord Italia si assiste anche al fenomeno dell'aumento della povertà tra gli anziani soli e/o non autosufficienti. Nell'Europa dei 13


15, infine, l'Italia è, dopo la Grecia, il Paese in cui i trasferimenti sociali hanno il minor impatto nel ridurre la povertà: abbattono la quantità di popolazione povera solo di 4 punti percentuali. Per questo gli estensori del Rapporto propongono, ad esempio, di dedicare una parte della spesa per indennità di accompagnamento a servizi quali: prestazioni di sostegno alla domiciliarità, di aiuto alla persona, strutture di accoglienza diurna per persone in situazione di disagio sociale, attività di socializzazione, servizi per l'inserimento lavorativo, e così via. Achi ... ? La legge 328 ha inserito il princi,', pio generale dell universalismo selettivo" come criterio guida per la definizione dei destinatari dei servizi che comporta, come è intuibile, seri problemi nella concreta attuazione. Universalismo inteso come accesso ai benefici sulla base solo dell'insufficienza di mezzi, indipendentemente dalle condizioni di lavoro, età, genere, luogo di residenza; selettività perché beneficiari sono i più poveri: "I parametri per la valutazione delle condizioni di cui al comma 3 sono definiti dai Comuni, sulla base dei criteri generali stabiliti dal Piano nazionale". Tre le aree di valutazione: la situazione personale (anche con accertamenti sanitari), quella familiare e sociale e la situazione economica. Molti rego14

lamenti comunali prevedono la partecipazione alla spesa dei parenti tenuti agli alimenti, secondo un'erronea interpretazione dell'art. 433 del Codice civile per cui il servizio pubblico si assicura la copertura dei costi di assistenza chiedendo la compartecipazione alla spesa ai familiari dell'interessato. Ad oggi l'Isee, (Indicatore della situazione economica equivalente) è l'unico strumento "nazionale" condiviso di valutazione della condizione economica. Con il limite, non secondario, che questo si basa sui redditi dichiarati (compresi quelli degli evasori fiscali!). La necessità e la possibilità di abbandonare l'approccio risarcitorio è provato anche della legge 104 del 1992 in tema di politiche e interventi per le persone con disabiità, che prevede una molteplicità di interventi e di politiche indirizzate all'assistenza, l'integrazione sociale e la promozione dei diritti delle persone con disabilità. Il dettaglio dei servizi previsti dalla 1. 104/1992 offre un esempio significativo di quali servizi possono essere offerti in cambio di trasferimenti monetari Gli interventi sono elencati in una lista ben precisa: interventi di carattere sociopsico-pedagogico, di assistenza sociale e sanitaria a domicilio, di aiuto domestico e di tipo economico. .., a sostegno della persona handicappata e del nucleo familiare in cui è inserita; servizi di aiuto personale alla


persona handicappata in temporanea o permanente grave limitazione dell'autonomia personale; interventi diretti ad assicurare l'accesso agli edifici pubblici e privati e ad eliminare o superare le barriere fisiche e architettoniche che ostacolano i movimenti nei luoghi pubblici o aperti al pubblico; provvedimenti che rendano effettivi il diritto all'informazione e il diritto allo studio della persona handicappata, con particolare riferimento alle dotazioni didattiche e tecniche, ai programmi, a linguaggi specializzati, alle prove di valutazione e alla disponibilità di personale appositamente qualificato, docente e non docente; adeguamento delle attrezzature e del personale dei servizi educativi, sportivi, di tempo libero e sociali; misure atte a favorire la piena integrazione nel mondo del lavoro, in forma individuale o associata, e la tutela del posto di lavoro anche attraverso incentivi diversificati; provvedimenti che assicurino la fruibiità dei mezzi di trasporto pubblico e privato e la organizzazione di trasporti specifici; affidamenti e inserimenti presso persone e nuclei familiari; organizzazione e sostegno di comunità alloggio, case-famiglia e analoghi servizi residenziali inseriti nei centri abitati per favorire la deistituzionalizzazione e per assicurare alla persona handicappata, priva anche temporaneamente di una idonea

sistemazione familiare, naturale o affidataria, un ambiente di vita adeguato; 1) istituzione o adattamento di centri socioriabilitativi ed educativi diurni, a valenza educativa, che perseguano lo scopo di rendere possibile una vita di relazione a persone temporaneamente o permanentemente handicappate, che abbiano assolto lbbligo scolastico, e le cui verificate potenzialità residue non consentano idonee forme di integrazione lavorativa ... ; m) organizzazione di attività extrascolastiche per integrare ed estendere l'attività educativa in continuità ed in coerenza con l'azione della scuola. Gli estensori del rapporto Caritas/Zancan giustamente affermano che "seppure l'attuazione della legge abbia avuto esiti eterogenei, l'elemen-' to di forza che emerge dalla sua applicazione riguarda il cambiamento di prospettiva, da assistenziale a promozionale, rispetto ad un tema, complesso quale la disabiità". Lo stesso approccio dovrebbe essere esteso alle altre tipologie di svantaggio. Il ruolo degli enti locali Il quadro istituzionale è caratterizzato da elementi di indeterminatezza circa i temi del federalismo fiscale e dei livelli essenziali di assistenza. Alcuni elementi, comunque, sono ormai acquisiti: la responsabilizzazione crescente delle autonomie regionali e locali nella garanzia dei 15


diritti sociali, dal punto di vista finanziario e organizzativo; la specificità delle flinzioni connesse alla realizzazione dei sistemi di welfare, rispetto alla generalità delle altre ftinzioni amministrative; la necessità di sviluppare cultura e strumenti di leale collaborazione tra livelli istituzionali, con ruoli e funzioni distinti ma complementari. Il ruolo dell'ente pubblico territoriale è sempre più quello di attivatore di reti e di promotore di processi partecipativi, in cui la titolarità pubblica della funzione decisionale si radica su una legittimazione territoriale fortemente partecipativa. La 328 del 2000 introduce la possibilità (art. 17) di concordare le modalità di erogazione di interventi sociali tra Comuni e diretti interessati: prevede, infatti che, i primi possano, su richiesta degli utenti, sostituire le prestazioni economiche con titoli per l'acquisto di servizi sociali. Cruciale è quindi il tema dell'informazione e dell'accessibilità ai servizi: sempre la 328/2000 dispone (art. 22 c.4) che le leggi regionali prevedano l'erogazione di servizi di segretariato sociale per l'informazione e la consulenza al singolo e ai nuclei familiari. L'approccio proposto dal Rapporto tende, quindi, a far uscire la povertà dagli spazi della sola politica assistenziale. Così come, del resto, indica anche l'Unione europea. Il Consiglio europeo straordinario di Lisbona (marzo del 2000) ha sta16

bilito un obiettivo strategico decennale per gli Stati membri per lo sradicamento della povertà entro il 2010, impegnandoli ad una crescita economica di lunga durata, ad un incremento progressivo del mercato del lavoro e al miglioramento della coesione sociale. A dicembre dello stesso anno a Nizza si sono stabiliti i criteri comuni per definire il carattere multidimensionale della povertà attraverso politiche mirate al sostegno dellavoro e della protezione sociale, impostando il "Metodo di coordinamento aperto" e successivamente i "Piani di azione nazionale di lotta contro la povertà e l'esclusione sociale". Gli obiettivi europei sono: promuovere la partecipazione allbccupazione e l'accesso di tutti alle risorse, ai diritti, ai beni ed ai servizi; prevenire i rischi di esclusione; intervenire a favore dei più vulnerabili; mobilitare l'insieme degli attori. Gli obiettivi europei Il Consiglio europeo di Laeken (dicembre del 2001) ha stabilito di adottare 18 indicatori di esclusione sociale e povertà, successivamente aumentati di numero e parzialmente modificati, da far utilizzare a tutti gli Stati membri per la presentazione di un rapporto biennale sullo stato delle politiche di lotta all'esclusione sociale. I primi dieci indicatori sono stati definiti primari in quanto ritenuti di maggiore rilevanza nel misurare l'esclusione sociale: tre indici riguar-


dano il rischio di povertà, uno la diseguaglianza nella distribuzione del reddito, due la disoccupazione, uno l'abbandono scolastico, uno l'aspettativa di vita alla nascita, uno la coesione sociale e uno l'auto- valutazione dello stato di salute suddiviso per classe di reddito. Gli altri Otto indici secondari cercano di fornire ulteriori informazioni sul rischio di povertà, sulla distribuzione dei redditi, sulla disoccupazione e sull'educazione. Nel 2005 la Strategia di Lisbona si rinforza ulteriormente con una Comunicazione della Commissione europea in cui agli Stati membri viene raccomandato di promuovere un modello di sviluppo sostenibile per l'Unione, che elevi il livello di vita di tutti i cittadini europei abbinando alla crescita economica un'attenzione particolare per la coesione sociale. Si suggeriscono sette priorità politiche fondamentali: 1) aumentare la partecipazione al mercato del lavoro; 2) modernizzare i sistemi di protezione sociale; 3) contrastare gli svantaggi nell'istruzione e nella formazione; 4) eliminare la povertà infantile; 5) garantire un alloggio dignitoso; 6) migliorare l'accesso ai servizi di qualità; 7) superare le discriminazioni e sviluppare l'integrazione dei disabili, delle minoranze etniche e degli immigrati. Per poter raggiungere lbbiettivo del 2010 agli Stati membri si raccomanda di: stabilire più stretti collegamenti con la politica economica e dellccupazione; potenziare la capa-

cità d'attuazione; rafforzare la vigilanza e la valutazione delle politiche; potenziare il recepimento degli obiettivi di inclusione sociale in tutte le politiche dell'UE; sfruttare meglio il potenziale OMc per contribuire a prestazioni efficaci; garantire che i fondi strutturali continuino a svolgere un ruolo fondamentale nella promozione dell'inclusione sociale; elaborare indicatori comuni e potenziare le fonti di dati. Per raggiungere tali risultati è necessario cambiare cultura. Occorre ribadire il punto. Il rapporto Caritas/Zancan, rilevando l'assenza di politiche coerenti in materia di lotta alla povertà sottolinea l'importanza di risposte non soltanto di tipo normativo ma che servano alla "costruzione di una cultura sociale condivisa e difftisa... che sia anche in grado di incidere sui comportamenti quotidiani, generando una tensione ed un orientamento proattivo riguardo alle situazioni di disagio". Un difficile cambiamento Risposte tanto più difficili quanto più si assiste - ricordano gli estensori del Rapporto - ad un processo di disancoramento e disconnessione, a quella "scomposizione destrutturate" che il sociologo polacco Zygmunt Bauman ha associato all'immagine della "liquefazione". Si assiste, quindi, ad un processo di individualizzazione che produce l'indebolimento dei legami sociali, anche se tengono 17


le reti relazionali come la famiglia e i gruppi etnici e che crea addirittura un eciissi aene rorme aena socianta e della solidarietà tradizionali. "Dopo il gigantismo ideologico tipico delle associazioni degli anni settanta" si assiste a ciò che Ilvio Diamanti ha chiamato "volontariato personale" e "della vita quotidiana". Nel Rapporto viene ricordata l'ultima indagine Iref sull'associazionismo sociale che pur rilevando l'aumento delle iscrizioni ad associazioni sociali (dal 1989 al 2006 del 3,6%) constata il progressivo declino del tasso di iscrizione a sindacati, organizzazioni di categoria e ai partiti. Indicativo e poi il dato sul volontariato svolto nell'ambito del Servizio civile nazionale: il numero dei giovani coinvolti è aumentato in modo esponenziale passando dai 200 volontari nel 2001 ai più di 50 mila nel 2007, considerando però che, almeno per il 2006, il 40 % dei volontari proveniva dalla Campania e dalla Sicilia il dubbio che questa attività serva, in realtà, come alternativa all'assenza di lavoro è più che legittimo. Di "soggettività spinta dei singoli" parla anche l'ultimo Rapporto annuale del Censis, che descrive un Paese fatto sempre più di individui isolati senza connessioni fra loro e senza tensione a obiettivi e impegni comuni"; descrivendo una vera e propria "regressione antropologica", con i suoi "pericolosi effetti di fragilità sociale" visibile nel primato delle emozioni, nella tendenza a ricercarne ,,,

ffi

1•

i

il

I..

i

li

.

I.

sempre di nuove e più forti (e le cronache di questi giorni, fra violenze a "barboni" e stupri di gruppo lo sottolineano tristemente). Un piano di lotta alla povertà dovrà avere una "visione strategica" che comprenda una "dilatazione della prospettiva temporale": gli interventi non potranno non essere graduali e cumulativi e accompagnati da una seria valutazione intesa come partecipazione consapevole e doverosa dei cittadini ai processi di rendicontazione della gestione economica e finanziaria. Un maggiore controllo da parte dei cittadini sul come sono spesi i soldi pubblici potrebbe indurre a rivedere alcune voci del bilancio pubblico. Nel rapporto Caritas/Zancan viene ripreso l'esempio della spesa statale per l'università: dei sette miliardi destinati a questa circa 4 potrebbero essere risparmiati imputando alle famiglie abbienti i costi dell'istruzione dei loro figli e altri 4 miliardi dai tagli sui programmi per il Sud e sugli aiuti alle imprese. Bisogna recuperare il tempo perduto perseguendo l'idea, molto forte nell'ultimo decennio, che la povertà potrà essere ridotta grazie allo sviluppo ec6nomico; tesi contraddetta dall'esempio americano: negli Usa vi sono 13 milioni di bambini che vivono in condizioni di povertà, il 17% della popolazione infantile, percentuale che sale al 39% se si considerano i bambini in famiglie povere e a basso reddito; tra il 2001 e il 2006 la povertà infantile è aumentata dell'll%. Un se-


rio piano di lotta alla povertà dovrà comprendere una "negoziazione sociale" - i portatori di diritti e chi rappresenta i loro interessi potrebbero concertare soluzioni finalizzate a ridurre la povertà di molte persone e famiglie - e una "negoziazione istituzionale" a livello territoriale: tra istituzioni pubbliche e del privato sociale. L'analisi dei Piani di zona (i documenti programmatici con i quali i Comuni associati, di intesa con le AsL, definiscono le politiche sociali e socio-sanitarie rivolte alla popolazione dell'ambito territoriale coincidente con il distretto sanitario) evidenzia come ancora poco sia stato fatto per-

ché la programmazione locale sia uno strumento di lotta alla povertà: la legge 328/2000 ha puntato su questo strumento non soltanto per migliorare la gestione corrente ma per innovare i sistemi locali di welfare, per fare della lotta alla povertà una questione primaria e non residuale. Con il ruolo importante dei soggetti del privato sociale da cui ci si aspetta, oltre che la capacità di gestire in modo efficace (tenendo in considerazione i bisogni particolari del singolo utente) l'erogazione dei servizi, che mettano in campo la loro creatività per un welfare che sia veramente tale: la promozione del benessere dei cittadini, senza esclusi.

19


-

queste_istituzioni n.152 gennaio - marzo 2009

taccuino

Riflessioni sul futuro del CneI di Salvatore Biasco

L

e mie considerazioni sul CNEL (inclusi i lavoratori), ai quali corrisono nate alla fine di un'espe- spondono modalità diverse e sensibirienza parlamentare nella qua- lità diverse di rapporto tra organizzale mi sono chiesto quale fosse il rap- zioni di interessi da un lato e Parlaporto fra la formazione delle leggi e mento e Governo dall'altro. le organizzazioni rappresentative deIl primo riguarda le grandi decigli interessi coinvolti. Ed è un rap- sioni di politica economica, gli indiporto disordinato. In più, opaco, poco rizzi qualificanti (la conduzione matrasparente e poco formalizzato. Le croeconomica, la politica redistributiorganizzazioni di interesse ovvia- va, le impostazioni di welfare, le mente partecipano alla formazione strutture portanti dell'economia, delle leggi, nel senso che vengono ecc.). consultate e coinvolte, ma si va - a seUn'altro riguarda le modifiche e le conda di vari fattori: cioè, dei canali innovazioni organiche di settore (per che esse riescono a trovare, o dei rap- intenderci, la riforma delle professioporti che riescono a instaurare (anche ni, del commercio, ecc.). di tipo individuale), o della delicatezDa ultimo, la microlegislazione, o za politica di una legge o del suo conla legislazione non organica, che poi tenuto tecnico - dalla completa det- tanto micro non è in quanto riguarda, tatura del dispositivo agli organi de- oltre alla manutenzione della normacisionali alla formulazione dirigista e tiva esistente, anche la sua correzione decisionista da parte di tali organi. e modifica in punti sostanziali, il cui impatto sulla quotidianità degli operatori può essere rilevantissimo (vi Dove non cè da innovare rientrano tutte le innovazioni fiscali e Conviene cercare una schematizle modifiche nell'assetto dispositivo zazione di massima. Sono tre i tipi di di una legge ordinamentale, ecc). intervento legislativo che interessano Modalità, interesse e coinvolgilarga parte degli operatori economici mento sono diversi. L'area delle L'autore è Professore ordinario di Economia internazionale all'Università di Roma La Sapienza

20


"grandi decisioni" è quella attraversata, anche se non esaurita, dai patti concertativi. Finché sono bilaterali o triangolari il coinvolgimento delle organizzazioni è massimo. Gli impegni sottoscritti con il Governo sono in qualche modo solenni, anche se non vuoi dire che non ne possa essere forzata l'interpretazione in una direzione o nell'altra. Tuttavia, i patti bilaterali e trilaterali non esauriscono la casistica dei patti consociativi. Accanto ad essi, abbiamo avuto l'esperienza, sempre nel campo delle grandi questioni di politica economica, di "patti" che hanno visto sedere intorno al tavolo e esserne sottoscrittrici tutte le organizzazioni economiche, quali il Patto per l'Italia del 2002 e il Patto di Natale del 1998. Le organizzazioni più grandi provano qualche fastidio a parteciparvi, perché vengono poste su un piano equivalente ad altre che giudicano minori e non rilevanti. In generale - e per quanto l'accesso delle associazioni di interessi alle decisioni pubbliche e l'istituzionalizzazione del dialogo diventi in questi patti più percepibile, e in un certo senso solenne - essi sono connotati (almeno in via di principio) dalla rivendicazione implicita di una riserva di autonomia da parte del Governo e delle organizzazioni. Connotati anche da minore partecipazione diretta e territoriale, al di fuori dei vertici di categoria, e da minore sentimento di coinvolgimento dei soggetti sociali diffusi appartenenti alle categorie contraenti. Ma

sono gli stessi vertici a investire poco sui patto se, dal giorno dopo la sottoscrizione, iniziano i distinguo e le prese di distanze, anche a beneficio di quella parte di aderenti dell'organizzazione che hanno appartenenze politiche diverse da quelle dei governo in carica. Scambio di volontà Malgrado ciò, il Governo ha l'occasione di provare sul capo il suo programma e marcare un successo politico (anche se sa che il futuro della sua azione si gioca prevalentemente su quanto non toccato esplicitamente dal patto, oppure su quanto è affidato ad allusioni e ambiguità, o connotato da assenza di valutazione dei costi). Le organizzazioni, soprattutto le meno rilevanti, hanno occasione di legittimarsi nazionalmente come parte del "circolo" che ha voce in capitolo nelle grande decisioni. É uno "scambio di volontà," come lo definiva Massimo D'Antona, dentro il quale avviene un reciproco conferimento di forza politica. Ma, in definitiva, le potenzialità che sulla carta questo metodo di governo potrebbe esprimere non si esplicano. Una potenzialità inespressa è nella possibilità, che si offre a governo dotato di visione, di verificare (e ottenere) il consenso attorno ad una agenda organica per il Paese, orientando le categorie in un percorso coerente e, al tempo stesso, registrando la sensibile differenziazione 21


sociale che esiste e che non può più essere ricompressa nel raggio di azione delle organizzazioni rappresentative più grandi. Un'altra potenzialità è nella costruzione di un quadro entro il quale le organizzazioni collettive possono far valere gli interessi in un ampliamento delle logiche e in coerenza con la produzione di beni pubblici. Per quanto riguarda patti e accordi concertativi, la partecipazione degli interessi organizzati alla definizione del programma di governo dovrebbe avere maggior concretezza in termini di impegno politico. Non c'è, però, un disegno istituzionale da attivare né ci sono innovazioni procedurali da costruire per creare canali di rapporto che non siano stati già rodati. E qui prescindo da un giudizio, che attiene caso per caso, di opportunità politica di tali patti. Il ruolo di una istituzione come il CNEL può essere indirizzato a fornire le analisi di base su singoli aspetti e di valutazione delle alternative. Può essere simbolicamente la sede degli incontri; può essere la sede dove le organizzazioni di interesse possano avere un confronto preliminare sulle linee da presentare al governo, fermo restando per ciascuna di esse il mantenimento della propria autonomia. Dove innovare è opportuno Molto c'è, invece, da innovare nelle altre aree di decisione che interessano il mondo degli operatori econo22

mici. Su di esse mi soffermerò in seguito tentando di capire a quale ruolo sollecitino il CNEL. Per quanto possa sembrare paradossale, l'attenzione e il coinvolgimento che le varie aree di decisione suscitano nella periferia si amplia man mano che si giunge alla "microlegislazione". Il coinvolgimento nel processo decisionale ha una domanda implicita dei portatori di interesse più in relazione alla fase di definizione di merito del contenuto normativo di un indirizzo che incida direttamente o lateralmente nella vita settoriale che nella definizione della politica economica generale. Le centrali rappresentative sono allora sotto la pressione dei propri aderenti, le sedi territoriali si mobilitano, sul territorio si diffondono assemblee e tavole rotonde in cui i rappresentanti istituzionali e gli stessi dirigenti di categoria vengono in un certo senso "auditi". La domanda di partecipazione al processo decisionale investe la permeabilità di una legge al contributo che arriva non solo da gruppi e organizzazioni, ma anche da singoli autonomi cittadini. Questa è per lo meno l'esperienza che io ho vissuto. Non sono un politologo; tutto ciò che affermo deriva da una riflessione su un'esperienza di vita parlamentare (nella Legislatura 1996-2001), dove sono stato presidente della Commissione Bicamerale (detta dei Trenta), alla quale era affidato il compito di vagliare la riforma fiscale di allora. Devo a questo com-


pito istituzionale se il rapporto è stato quasi continuo con le organizzazioni di interesse e intenso con situazioni periferiche. (Per inciso, la classe politica, specie a sinistra, non vede questo crescere di interesse con il crescere del dettaglio della legislazione. Agita genericamente le grandi questioni e non percepisce che nel tessuto economico diffuso la credibilità dellbfferta politica e la percezione di sintonia verso una forza politica sono misurate dagli addetti economici sui dettagli programmatici di tipo "particolaristico" e uhraspecifico, che impattano sulla routine quotidiana di quegli anonimi operatori). La realtà è che la micro-legislazione non è mai marginale. Per definizione non lo sono le riforme organiche di un settore. Si toccano parti vitali nella quotidianità di soggetti economici e, d'altra parte, per come si è andata frammentando questa società, è sempre facile che una legge, pensata per una tipologia, poi finisca per avere un altro impatto su una tipologia diversa o, pensata come norma generale, finisca per avere ricadute molto diverse in settori diversi. Un dettaglio produce effetti profondi nella routine di un operatore. Molto non è percepibile a priori dal legislatore, che, generalmente, ha un monitoraggio limitato su molti sviluppi di una società sempre più complessa. Ovviamente, i migliori testimoni dell'impatto di una disposizione sono gli operatori su cui ricade la legislazione, o direttamente o tramite le loro organizzazioni di categoria.

Studio d'impatto

Generalmente, la nostra legislazione è varata senza analisi d'impatto o Libri bianchi. Sebbene sia incontestabile che per alcune questioni l'individuazione delle sue ricadute e conseguenze è questione di studio (è ovvio che se è in ballo la riforma delle pensioni, dobbiamo valutarla anche con modello matematico), non è nella maggior parte dei casi così. Q .uando, ad esempio, un certo giorno (2003) si stabilisce in sede di normativa fiscale che tutto ciò che non è espressamente normato per le società di persone o imprese individuali si intende desunto dalla legislazione relativa alle società di capitale si rischia di non sapere fino in fondo cosa si va a toccare. E, in molti casi come questi, è azzardato pensare che l'impatto possa essere dedotto solo con lo studio. Non nego, per carità, che possa anche avvenire che a tavolino sia possibile mettere a flioco dei nodi, ma, più usualmente, sono le testimonianze specifiche degli operatori su cui si esplicano le conseguenze di una disposizione e quelle delle loro organizzazioni che riescono a far dipanare la matassa o a far emergere i punti critici. Non abbiamo un disegno istituzionale degno di questo nome per raccogliere le testimonianze o, meglio, per gestire l'intermediazione tra gli organismi decisionali e il mondo degli interessi economico-sociali in normative di settore (vaste o ristrette 23


che siano). Il Parlamento non è un luogo di inchiesta. La Commissione dei Trenta a suo tempo lo è stata, ma questi rapporti non possono marciare sulle gambe e la sensibilità dei singoli;.hanno bisogno di un disegno istituzionale formalizzato. Trascuro la parte di tale disegno concepibile in tale funzione che riguarda il Parlamento e investe il rapporto tra i ruoli di Governo e Parlamento nel processo legislativo. Ne ho scritto altrove. Dico solo che, per la missione ottocentesca che il Parlamento si è data - e che si esplica nelle prassi instaurate, nelle modalità in cui si snoda il processo legislativo - oltre che per i limiti di rappresentanza delle sfaccettature della società e per l'inferiorità della qualità tecnica di cui può disporre rispetto a. quella di cui possono disporre le organizzazioni portatrici di interessi, il Parlamento è inadatto oggi a captare o acquisire le conoscenze necessarie o a svolgere ordinatamente una funzione di interlocuzione. Si svolgono, sì, audizioni e si raccolgono memorie, ma sono in genere pure formalità, che si iscrivono in un rapporto che fondamentalmente incoraggia il lobbismo. Affinché ciò non avvenga, è necessario il ripensamento della funzione, della prassi e dei regolamenti parlamentari, nonché della missione stessa dei parlamentari. Questo è un corno del problema (quello che non tratto) nel processo volto a rendere 24

più strutturato il rapporto con le forze sociali (ma a evitare tendenze corporative). L'altro rinvia alla necessità che il processo cognitivo e decisionale del Parlamento sia coadiuvato (e, in un certo senso protetto) da istituzioni che fungano da trait d'union tra le istituzioni e il mondo della produzione. In altre parole, va allontanata dal Parlamento - e va fatto per disegno istituzionale - la pressione confusa dei portatori di interesse e la necessità per esso di barcamenarsi fra chi strilla e chi no, chi riesce, invece, silenziosamente a trovare il deputato o. senatore giusto che infila l'emendamento giusto, chi conosce il ministro e chi non lo conosce, chi ha possibilità di avere rapporti del tutto informali, ma efficaci, con la filiera istituzionale e chi non l'ha. Ci vuole un luogo formale di raccolta ed elaborazione delle istanze dei soggetti della produzione. Nello stesso, i conflitti di interesse fra settori diversi della società, dovrebbero trovare preliminarmente quanto meno una definizione, se non proprio una risoluzione, in primo luogo in via autogestita. Il riferimento più ovvio va al CNEL, qualora esso assuma una diversa rilevanza in sede istituzionale e maggiore rappresentatività. Mi riferisco al disegno di una interlocuzione col Parlamento più formalizzata e fluida, ma anche resa autorevole in forza delle prerogative assegnate al CNEL.


Parlamento e CNEL

Una premessa e una considerazione reggono a monte questo disegno. La premessa è nel presupposto che la classe politica creda e investa in un autogoverno (delimitato) della società, all'interno di un processo collettivo di responsabilità. La considerazione si riferisce alla necessaria presa d'atto che la partecipazione al processo decisionale, o meglio al processo democratico in generale, non av viene più primariamente attraverso la partecipazione dei singoli, ma attraverso le organizzazioni che li raggruppano e li rappresentano. La nostra è una società di organizzazioni. L'intermediazione tra Parlamento e società civile si intende come intermediazione attraverso le organizzazioni. Penso che tra le varie missioni che potrebbe avere il CNEL (su una delle quali organizzare la sua riforma), quella più interessante sia proprio la stanza di compensazione degli interessi diffusi del settore produttivo, in un ruolo istituzionale che lo veda partecipare attivamente e istituzionalmente nel processo di formazione dileggi, che riguardino il suo campo di azione (dirò poi come). Questo ruolo non esclude quello di Agenzia di Valutazione dell'impatto delle leggi. Ma ho già detto che spesso la "valutazione" non è questione di studio, ma di testimonianza diretta degli attori (individuali e collettivi) su cui ricadono le conseguenze di

quelle leggi. Nella funzione "di studio" vedo come più promettente che il CNEL prenda sotto la sua egida (anche limitata alla semplice ospitalità) il lavoro e gli elaborati di Commissioni del tipo di quella che presiedo attualmente [n.d.a. 2007], (incaricata di elaborare per il Governo i suggerimenti per le linee di riforma della tassazione delle imprese IREs), che ha proceduto consultando tutti gli esper ti e organizzazioni interessate, accogliendo memorie e discutendole con i presentatori, reinterrogandone molti tramite mail man mano che la Relazione prendeva forma. Si tratta di indagini valutative su leggi organiche che preludono a un intervento legislativo di cui il CNEL può essere tipicamente sponsor o semplice ospite. Per lo studio in senso vero e proprio, quando necessario, ci vuole uno staff tecnico di primrdine, ma non penso sia la vocazione migliore che il CNEL può perseguire, se non come complemento occasionale ad una funzione centrale, che per me deve essere diversa. Il CNEL potrebbe divenire la sede esterna deputata alla verifica sul campo dileggi con gli attori sociali da esso rappresentati, coinvolti da quelle leggi nel loro campo di azione economica. Potrebbe ampliare questo ruolo con la raccolta di segnalazioni che provengono dal territorio (forse tramite le Camere di commercio se esse venissero indirizzate a svolgere anche quel ruolo).

25


Quale disegno istituzionale

Ilpunto chiave è che il disegno istituzionale dovrebbe prevedere che - quando le deduzioni che ne trae il CNEL diventano sue prese di posizioni ufficiali trasmesse al Parlamento - valga la formula che imponga la motivazione-risposta del Parlamento per le osservazioni avanzate dal CNEL e non accolte dal Parlamento medesimo, in campi circoscritti in cui il Cnel abbia prerogative specifiche. Non c'è nulla di male se fuori da sé il Parlamento delega una elaborazione di questo tipo, e la prende come base di discussione, riservandosi comunque l'ultima parola. Le technicalities nelle quali il Parlamento trova difficile entrare, e che spesso hanno bisogno di scrutinio informato, non sono mai questioni secondarie, perché entrano nell'ambito di interessi minuti, e dietro a una virgola c'è un mondo a volte. Ma si può andare oltre. Attraveril so CNEL si può valorizzare l'autogoverno dei corpi sociali (e realizzarlo attraverso la delega che il Parlamento o il Governo conferiscono a questa istituzione per la definizione stessa degli statuti e delle regole riguardanti quei corpi (ad esempio, cooperative, professioni, terzo settore, ecc.). Statuti e regole dei quali sia necessario un riconoscimento pubblicistico. E ovvio che il Parlamento deve elaborare, discutere e tracciare le linee guida e i principi non controvertibili del quadro normativo setto26

riale, ma può lasciare poi ai corpi interessati l'elaborazione delle opzioni interne a quelle linee, salvo, per il Parlamento, tenersi l'ultima parola per l'approvazione o il rinvio al mittente dell'elaborazione finale. Personalmente, non escluderei che la stessa iniziativa di proporre regolamentazioni di natura pubblicistica o interventi di correzione limitata della normativa settoriale esistente possa venire dalle stesse parti in causa, attraverso il CNEL, prima, ancora che qualsiasi delega sia ad esso stata concessa. Possiamo pensare che questi elaborati possano venire trasmessi ufficialmente al Parlamento e acquisiti come materiali speciali e, se ritenuto dal Parlamento necessario, trasmessi al Governo, con delega per arrivare ad un progetto definitivo. Persino le modalità di attribuzione di un ammontare dato di somme stanziate per incentivazione o indennizzo, e connesse a riforme di settore, possono essere delegate dal Parlamento o dal Governo a un organismo istituzionale di rappresentanza degli interessi come il CNEL. La società produttiva

Vi è comunque un principio da soddisfare nel modello che tende a far convogliare, con una buona dose di autogoverno, dal basso verso l'alto la testimonianza della società produttiva nella sua variegata composizione: che qualsiasi autoregolazione


Ceto medio. PerchĂŠ e come occuparsene Una ricerca del Consiglio italiano per le Scienze Sociali

a cura cli

Studi e Ricerche


Stefano Sepe, Ersilia Crobe SocietĂ e burocrazie in Italia Per una storia sociale dell'amministrazione pubblica

I IIIfl

III

IIII)

I?mI

IYHI


di natura pubblicistica, o qualsiasi proposta o indicazione di indirizzo che venga dal CNEL debba rispettare gli interessi di coloro che sono esterni al settore che è oggetto e soggetto di variazione di normativa; settori sui quali ricadranno comunque gli effetti di quella regolazione. Mi riferisco a concorrenti, consumatori, utenti, o altri, che devono essere dentro il CNEL e parte in causa nelle sue elaborazioni. Il primo scrutinio di una istanza settoriale è nella compatibilità con altre istanze; un giudizio che deve in primo luogo trovare accoglimento all'interno del mondo degli interessi. Se fatti propri dal CNEL, questi elaborati hanno già passato lo scrutinio di operatori in conflitto potenziale di interesse. Il Parlamento vigila che siano contributi innanzi tutto tecnici e non compromessi corporativi. Per cui, mi riferisco a un CNEL trasformato rispetto ad oggi nella formazione e rappresentatività dei componenti, tale da rispecchiare la fioritura di interessi economico-sociali presenti nel Paese (inclusi consumatori e terzo settore) ed essere riconosciuto dagli stessi come luogo della loro rappresentanza verso il Parlamento e il Governo. Il che pone un problema importante di composizione da risolvere preliminarmente, perché il CNEL è tanto più autorevole (e tanto più può aspirare a un ruolo istituzionale potenziato) quanto più rappresenta, con i loro pesi, tutti i

settori della società: Non so come ci si arrivi, magari con votazioni con collegi e quote riservate per categorie produttive e professionali. Emerge anche l'esigenza di un CNEL agile nelle modalità con cui prende decisioni o adotta i suoi elaborati da trasmettere al Parlamento (evitando unanimismi e poteri di veto), dato il peso che tali elaborati possono avere in un disegno istituzionale del tipo descritto. Se l'insieme funziona e se è efficace diventa forte il desiderio di presenza e peso nel CNEL. Se invece l'istituzione rimane ciò che è oggi, non vale la pena per le categorie produttive di impegnarsi più di tanto. Due indirizzi Ricapitolando, vedo due indirizzi come trasformazione possibile del Cnel: uno è quello di individuazione dei grandi temi, dei grandi scenari, sui quali produrre idee a servizio e supporto dell'attività legislativa; è un indirizzo che va continuato ma non è quello su cui può avere un ruolo decisivo. L'altro è quello di raccolta delle testimonianze ed elaborazioni attorno a tematiche settoriali in corso di definizione legislativa (o che necessitano di definizione o manutenzione legislativa). In entrambi i casi, con prerogative speciali nell'interlocuzione col Parlamento, che nel secondo includono il pronunciamento obbligatorio del Parlamento, in modo da renderlo 27


istituzionalmente un partner nel processo di formazione delle leggi (con funzioni di proposta, segnalazione e miglioramento dello spettro cognitivo dell'impatto) quando gli interessi settoriali vengano coinvolti.

*L o scritto è la trascrizione integrale dell'audizione (rivista) tenuta dall'A utore presso il Cnel il 14 giugno 2007 nell'ambito della preparazione del "Rapporto sul Cinquantenario del Cnel", che ne contiene la sintesi nel capitolo "Il contributo delle Interviste".


queste istituzioni n.152 gennaio - marzo 2009

dibattuto

La vigilanza bancaria europea. Problemi e prospettive di Giuseppe Godano

l dibattito sull'adeguatezza delle strutture di supervisione bancaria in Europa non è nuovo. La realizzazione in Europa del mercato unico e, a partire dal 2002, della moneta unica, la presenza di istituti bancari e finanziari che travalicano i confini nazionali, la percezione del progressivo affievolirsi dei confini tra i vari settori finanziari, hanno indotto esponenti del mondo accademico e una parte rilevante della professione bancaria (le grandi banche multinazionali), a sostenere la necessità di un'autorità unica di supervisione a livello europeo, che si affiancasse, o facesse da contraltare, all'autorità monetaria, la Banca centrale europea. Si è affacciata l'ipotesi che la stessa BCE potesse assumere poteri diretti di vigilanza, almeno nei confronti dei grandi gruppi bancari con articolazione crossborder o con rilevanza sistemica, allorché cioè le conseguenze di un loro eventuale dissesto fossero suscettibili di propagarsi all'intera Unione. L'attuale crisi finanziaria a livello globale ha mantenuto attualità al dibattito. Il presente articolo vuole recare un contributo al dibattito in corso, partendo dal quadro normativo del mercato unico bancario fino a sollevare alcuni interrogativi in merito ai possibili assetti fiìturi. I principi del mercato unico bancario, ormai in vigore dai primi anni novanta, sono a grandi linee i seguenti: vigilanza del Paese d'origine (home country contro!), cooperazione fra le autorità, competenza nazionale delle autorità; essi sono del tutto in linea con i coreprinciples del Comitato di Basilea, cioè i princìpi della supervisione concordati a livello mondiale. Uno dei capisaldi del mercato unico bancario è costituito, appunto, dall'home counrry control, cioè dall'attribuzione delle competen-

I

L'autore è avvocato internazionalista e membro del Comitato di Basilea

lo stato dell'arte


ze di vigilanza alle autorità della casa madre di una banca comunitaria: è un principio che gode di applicazione ormai collaudata anche a livello mondiale e come tale è ricònosciuto dai "core principles" di Basilea sulla vigilanza bancaria (Basilea, principi 24 e 25). Tale principio, già presente al legislatore comunitario fin il Libro dall'inizio del processo di armonizzazione nei primi anni set- bianco tanta, ha ricevuto un impulso decisivo dall'accettazione della del 1985 filosofia del Libro bianco del 1985, e del successivo Atto unico del 1987, basata sugli standard del Paese dbrigine e sul loro riconoscimento nel Paese ospitante. L'art. 40 della direttiva 2006/48, che ha unificato le precedenti direttive bancarie, conferma che la vigilanza prudenziale sull'ente creditizio spetta alle autorità competenti dello Stato membro di origine: queste in effetti hanno una competenza esclusiva per quanto riguarda la solvibilità della succursale (adeguatezza patrimoniale, concentrazione del rischio, ecc.). Nel corpo dello stesso articolo si fanno peraltro salve le disposizioni della direttiva che prevedono una competenza dell'autorità dello Stato membro ospitante. In realtà tali disposizioni ricoprono un'area residuale: il principale ambito riguarda il regime della liquidità, cioè l'equilibrio della struttura per scadenze delle passività e delle attività della succursale (Boccuzzi, pag. 43). La competenza delle autorità del Paese ospitante rimane inoltre per quanto riguarda le disposizioni di interesse generale. Da tenere sempre presente, infine, che la succursale è comunque sottoposta alle regole di carattere "non prudenziale" vigenti nel Paese ospitante, grazie alla circostanza che essa è comunque un soggetto giuridico dellrdinamento di detto Paese e come tale soggetta al normale esplicarsi del principio della territorialità della legge. Il principio dell'home country control si atteggia diversamente nel caso delle fihiazioni. Queste ultime, anche se possedute da capitale straniero, sono vere e proprie banche nazionali nei confronti delle quali l'autorità di vigilanza del Paese ospitante ha piena responsabilità di controllo. Tuttavia esse fanno parte di un gruppo bancario che ha la sede centrale in un altro Paese della Comunità dove l'autorità ha la responsabilità per il 30


controllo integrato del gruppo, è cioè l'autorità che esercita la vigilanza consolidata sul gruppo (consolidated supervisor). Il legislatore comunitario si è trovato nella situazione di dover conciliare due diverse esigenze: vigilanza delle singole componenti del gruppo da parte delle autorità rispettivamente competenti per le singole fihiazioni e vigilanza integrata del gruppo bancario, che è responsabilità del consolidated supervisor. La direttiva 2006/48 trova la soluzione valorizzando l'aspetto cooperativo, anche se è l'autorità competente preposta all'esercizio della vigilanza consolidata a svolgere la fiunzione di coordinamento, una sorta di primus interpares. La collaborazione fra le singole autorità che hanno la responsabiità del controllo delle banche comunitarie è fondamentale per il buon funzionamento del mercato unico europeo sia nel caso delle succursali che in quello delle filiazioni. Lo strumento adottato a tal fine dalle autorità del Paese dbrigine e del Paese ospitante della banca comunitaria è stato generalmente quello dei memorandum d'intesa, che si inquadrano nel variegato universo della soft law, intesa come insieme di norme e principi che non hanno la portata cogente dei trattati internazionali (Condemi, pag. 187) ma sono idonei a risovere i problemi che si presentano in pratica. E' interessante notare come la direttiva 2006/48 non cita i memorandum d'intesa come strumento da utilizzare per la vigilanza sulle succursali. Essi si inquadrano piuttosto nella filosofia enunciata nel considerando 22 della direttiva: "il funzionamento armonioso del mercato interno bancario necessita, al di là delle norme giuridiche, di una stretta e regolare cooperazione tra le autorità competenti degli Stati membri". Proprio la locuzione "al di là delle norme giuridiche" mette in evidenza che la collaborazione prescinde dal quadro giuridico e lascia libertà di azione, per quanto riguarda le modalità e i tempi, alle singole autorità. I memorandum d'intesa hanno una base comune; essi infatti trattano di solito tre tematiche fondamentali: l'entrata sul mercato del Paese ospitante da parte della banca estera, la vigilanza che deve essere organizzata sull'attività svolta in tale mercato, eventuale uscita dal mercato. Su questi tre temi si innestano poi aspetti di rilievo come le ispezioni e lo scambio di informazioni. Quest'ultimo riguarda ogni aspetto della vigi-

cooperare su base bilaterale

31


lanza prudenziale dell'ente creditizio; nel regime del mercato unico bancario gli scambi di informazioni sono divenuti reciproci, frequenti e riguardano il quotidiano esercizio dell'attività di vigilanza. La cooperazione fra autorità è ancora più importante nel caso delle filiazioni, che, come già messo in rilievo, sono sottoposte, sia pure sotto differenti profili, a una duplice vigilanza, quella del Paese ospitante, come banca di detto Paese, e quella dell'autorità responsabile per la vigilanza consolidata del gruppo bancario, di cui la filiazione fa parte. La direttiva 2006/48 adotta un modello più strutturato di cooperazione rispetto al regime delle succursali. All'art. 131 recita: "al fine di agevolare e di rendere efficace la vigilanza, l'autorità competente incaricata della vigilanza su base consolidata e le altre autorità competenti concludono accordi scritti di coordinamento e di cooperazione". Lo strumento del memorandum d'intesa, che nel regime delle succursali è su base meramente volontaria, assurge qui al rango di vero e proprio obbligo giuridico: la sua presenza diviene una condicio sine qua non dell'esercizio della vigilanza. Anche nel caso delle filiazioni, l'architrave della cooperazione è costituita dallo scambio di informazioni. Il secondo paragrafo dell'art. 139 dispone infatti che: "quando l'impresa madre e l'ente o gli enti creditizi sue fihiazioni sono situati in Stati membri diversi, le autorità competenti di ciascuno Stato membro si comunicano tutte le informazioni atte a consentire od agevolare l'esercizio della vigilanza su base consolidata". Il presupposto necessario per lo scambio delle informazioni è quello statuito dal primo paragrafo dell'art. 139 in base al quale "gli Stati membri prendono i provvedimenti necessari affinché nessuno ostacolo di natura giuridica impedisca alle imprese comprese nella sfera di vigilanza su base consolidata lo scambio delle informazioni utili all'esercizio della vigilanza medesima". Il contenuto dello scambio di informazioni è precisato nell'art. 132 che al primo paragrafo prescrive: "le autorità competenti collaborano strettamente tra loro. Esse si scambiano reciprocamente tutte le informazioni essenziali o rilevanti per l'esercizio delle ftinzioni di vigilanza attribuite loro dalla presente direttiva". 32

le autorità cooperanti


Nell'ambito del gruppo bancario l'informazione si rivelerà asimmetrie nècessariamente asimmetrica, nel senso che il consolidated su- informapervisor disporrà di un flusso di informazioni relative al grup- tive po bancario tendenzialmente onnicomprensivo, mentre le autorità delle singole fihiazioni saranno maggiormente interessate alle informazioni che riguardano in prevalenza le entità da loro controllate. Lo scambio di informazioni potrà tuttavia essere modulato diversamente a seconda dell'importanza che la filiazione riveste nel Paese ospitante. L'art. 132 par.1 recita infatti: "nel determinare la portata delle informazioni rilevanti si tiene conto dell'importanza di dette filiazioni all'interno del sistema finanziario di tali Stati membri. Per valutare l'impor tanza della filiazione per l'autorità del Paese ospitante, soccor rono criteri quali la dimensione della banca, le quote di mercato in termini di attività o passività, la circostanza che la filiazione è parte integrante dell'infrastruttura del sistema finanziario (sistema di pagamenti, mercati organizzati, ecc.)". I lavori di recepimento dei principi di Basilea sull'adeguatezza patrimoniale delle banche, anch'essi trasftisi nella direttiva 2006/48, hanno costituito un ulteriore salto di qualità ai fini dell'efficacia della cooperazione bilaterale. Sul versante dello scambio di informazioni, merita menzione l'art. 132.2, che impone uno specifico obbligo di informativa a tutte le autorità coinvolte nella vigilanza di un gruppo bancario per quanto riguarda l'attuazione dei metodi di calcolo dell'adeguatezza del patrimonio del gruppo in relazione al rischio. Ma sicuramente la novità di maggior rilievo è costituita dai collegi di autorità di vigilanza (colleges ofsupervisors) che per ogni gruppo bancario con dimensione europea pongono insieme il "consolidated supervisor" e le altre autorità a vario titolo competenti per la vigilanza sulle singole articolazioni del gruppo. La formazione dei collegi trova il suo fondamento giuridico nella prescrizione dell'art. 131 della direttiva; ma il loro numero si è considerevolmente ampliato in relazione ai compiti che la direttiva impone in tema di adeguatezza patrimoniale. L'aspetto dello scambio di informazioni è inscindibilmente connesso col segreto professionale, cioè con lbbbligodi confidenzialità cui sono tenuti coloro che scambiano le informazioni. E' ovvio che lo scambio di informazioni è essenziale per una effettiva cooperazione. E' altrettanto ovvio che lo scambio di 33


informazioni tra autorità di vigilanza, data la natura estremamente delicata del tipo di informazioni (trattasi di materia bancaria, dominata dalla fiducia), richiede uno standard armonizzato di segreto professionale al quale tutti gli Stati della Comunità devono essere soggetti, in altre parole la creazione di un circuito privilegiato di scambio delle informazioni al di fuori del quale non possono circolare informazioni riservate. L'approccio bilaterale adottato dalla direttiva in materia di segreto d'ufficio ha costituito di fatto un ostacolo al pieno esplicarsi della cooperazione tra autorità di controllo a livello multilaterale: è accaduto che l'esperienza acquisita nella soluzione di un caso problematico che riguarda due Paesi, proprio a causa dei vincoli indiretti derivanti dal segreto, non abbia potuto in molti casi essere utilizzata dagli altri supervisori europei. Non vi è infatti alcun divieto, ma neppure alcun obbligo, di scambiare informazioni in sede multilaterale. Al di là dei riferimenti testuali nelle direttive bancarie centrali nella filosofia che ispira il mercato unico bancario è la cooperazione fra le autorità di vigilanza dei Paesi comunitari e fra esse e la Commissione: in verità, la genesi delle direttive e tutta la costruzione comunitaria riposano sull'interazione fra autorità nazionali e organi comunitari. Il momento multilaterale, che è andato intensificandosi col progredire dell'integrazione finanziaria e con l'espansione delle banche oltre frontiera, è decisivo a questo riguardo. E' importante osservare la tendenza, accentuatasi nei tempi recenti, a ricondurre nell'alveo multilaterale e a rendere quanto più possibile omogenee le procedure di collaborazione bilaterale. A questa stessa filosofia si ispira la riforma Lamfalussy, originariamente limitata al settore dei valori mobiiari e dei mercati borsistici, e successivamente (dicembre 2002) estesa anche al settore bancario oltre che a quello assicurativo. La riforma Lamfalussy ha previsto per i tre settori dei comitati tecnici (cosiddetti di terzo livello), formati e presieduti dalle autorità di vigilanza nazionali, ai quali spetta, da un lato, una funzione di consulenza nei confronti della Commissione per l'elaborazione delle proposte legislative, dall'altro, una funzione di coordinamento delle autorità nazionali responsabili per la trasposizione della disciplina comunitaria negli ordinaRE

cooperare tutti


menti nazionali e per l'esercizio pratico della vigilanza, in modo da promuovere parità di condizioni concorrenziali all'interno dell'Unione. Sulla base di una decisione della Commissione europea è stato costituito, per il settore bancario, il CEBs (Committee of European Banking Supervisors), che ha cominciato a operare a partire dal l gennaio 2004. I compiti del CEBs sono triplici. Da un lato esso assiste la Commissione nella preparazione della normativa secondaria; in secondo luogo, e questo è il compito più qualificante, contribuisce a un'applicazione coerente delle direttive e alla convergenza delle pratiche di vigilanza nell'ambito dell'Unione europea; in terzo luogo contribuisce al rafforzamento della cooperazione anche attraverso lo scambio di informazioni su singole istituzioni. IlCEBS ha svolto un ruolo importante per quanto riguarda il rafforzamento della cooperazione. Nei cinque anni trascorsi dall'inizio dellperatività il comitato, dopo un primo periodo di rodaggio, ha svolto un'intensa attività, volta in primo luogo a favorire un'applicazione coerente tra i diversi Paesi delle nuove regole in materia di adeguatezza patrimoniale delle banche (Basilea 2), in secondo luogo all'emanazione di una serie di linee guida sulle modalità operative di cooperazione fra le autorità della casa madre e quelle del Paese ospitante. Il principio che la supervisione bancaria è una prerogativa delle autorità nazionali trova le sue radici in considerazioni di carattere sia giuridico che pratico. In primo luogo è un corollario del sistema delle direttive europee in materia bancaria il quale dispone una precisa ripartizione di compiti e di responsabilità fra le autorità nazionali secondo le modalità esaminate in precedenza. In secondo luogo, la vigilanza prudenziale in capo alle autorità nazionali appare più coerente col principio di sussidiarietà che permea i trattati comunitari. Le autorità nazionali, che si trovano in prossimità delle istituzioni vigilate, possono più efficacemente sfruttare la conoscenza del modus operandi dei soggetti vigilati e il mantenimento di strette relazioni con loro. Un argomento decisivo a favore del mantenimento della vigilanza a livello nazionale è infine il ruolo che i singoli Paesi

competenza nazionale della vigilanza

35


svolgono in caso di crisi delle istituzioni vigilate. Interventi di risanamento o salvataggio sono infatti a carico delle pubbliche finanze del Paese ove la banca è insediata. Nel mandato del Consiglio Ecofin che ha approvato la riforma si legge che nulla cambia per quanto riguarda le competenze e le responsabilità delle autorità nazionali in tema di regolamentazione e di vigilanza: si riconosce che i compiti di vigilanza sono meglio svolti, in attuazione del principio di sussidiarietà, quando le autorità sono vicine ai soggetti vigilati. Dal momento in cui (agosto 2007) la crisi finanziaria ha dato i primi segni, una serie di iniziative è stata assunta a livello comunitario per temperare gli effetti della crisi e per migliorare l'efficacia dell'azione delle autorità di controllo. Queste iniziative si intrecciano con quelle che erano già state avviate per la revisione del processo Lamfalussy prevista per la fine del 2007. Occorre fare una distinzione fra le iniziative che si collocano nel quadro istituzionale esistente e quelle che invece postulano più radicali mutamenti istituzionali. Una serie di proposte è stata avanzata dalla professione bancaria, segnatamente dalle grandi banche internazionali le quali, essendo insediate in più Paesi della Comunità, lamentano i costi regolamentari dovuti a divergenze, pur nella comune matrice comunitaria, nelle modalità di esercizio della vigilanza a livello nazionale, oltre che a duplicazioni di incombenze amministrative e alla mancanza di un formato comune delle segnalazioni prudenziali. Pur senza prefigurare, se non come obiettivo di lungo termine, un'autorità europea, le grandi banche prospettano l'esigenza di avere un unico interlocutore nei loro rapporti con le autorità di vigilanza. Secondo questo orientamento, l'autorità responsabile della vigilanza su base consolidata, da mero coordinatore, primus inter pares, diverrebbe il "lead supervisor", con la possibilità di far prevalere la propria decisione su quella delle altre autorità coinvolte nella vigilanza sul gruppo bancario. Il punto di partenza di queste proposte è l'art. 131.2 della direttiva 2006/48, il quale dispone che i memorandum d'intesa di cui all'art. 131.1 possono assegnare ulteriori compiti all'autorità competente incaricata della vigilanza su base consolidata e possono specificare le procedure per quanto riguarda il processo deci-

progetti di riforma


sionale e la cooperazione con le altre autorità. La proposta prevedeva che il lead supervisor fosse responsabile dell'intera vigilanza prudenziale sui gruppi bancari cross border, in pratica assimilando in toto il regime delle fihiazioni a quello delle succursali. Il lead supervisor, a differenza di quanto è previsto attualmente, sarebbe anche l'unico punto di contatto tra le autorità di vigilanza e l'intermediario, deciderebbe in merito agli schemi di segnalazione prudenziale (reporting) che il gruppo dovrebbe adottare, pianificherebbe e coordinerebbe le attività di vigilanza, incluse quelle ispettive. La proposta, pur fortemente sostenuta dall'industria bancaria, è apparsa scarsamente conciliabile con le norme attuali. Infatti, il traguardo dell'assimilazione in toto del regime delle filiazioni a quello delle succursali non può essere raggiunto soltanto attraverso gli accordi o la delega di poteri ex art. 131 della direttiva, ma presuppone una modifica legislativa. D'altro canto il progressivo svuotamento dei compiti dell'autorità ospitante confligge con l'orientamento, rafforzatosi di recente in sede comunitaria, di tener conto degli interessi dei Paesi dove il controllo delle banche da parte di azionisti esteri è rilevante e in alcuni casi si estende alla quasi totalità del sistema. Una versione più soft della proposta ampliava i poteri del lead supervisor solo nell'ambito dei requisiti patrimoniali derivanti dall'applicazione di Basilea 2 nell'ambito europeo. Si trattava di estendere il meccanismo delineato dall'art. 129 della direttiva 2006/48 (in base al quale il consolidated supervisor decide, in caso di mancato accordo con le altre autorità, la convalida per fini prudenziali dei modelli interni per il rischio di credito adottati dal gruppo bancario) anche agli aspetti relativi al processo prudenziale e all'informativa al pubblico (secondo e terzo pilastro della costruzione di Basilea). Questo approccio è stato in effetti confermato dal Consiglio Ecofin che, nella riunione del 4 dicembre 2007, ha invitato la Commissione ad apportare le necessarie modifiche alle direttive europee in materia di.servizi finanziari, ed il CEBs a favorire l'introduzione di una serie di linee guida comuni sul funzionamento dei collegi dei supervisori. In relazione all'invito del Consiglio, è in fase avanzata la procedura per modificare la direttiva 2006/48 secondo le linee

lo svuotamento dei compiti

37


suesposte ampliando i poteri del consolidated supervisor. Dal canto suo il CEBs ha creato un gruppo sulle piattaforme operative (group of operational network) allo scopo di rafforzare la coerenza degli approcci di vigilanza e lo scambio di informazioni fra supervisori non direttamente coinvolti nella vigilanza di un medesimo gruppo bancario. In seguito ha elaborato uno schema comune per gli accordi tra le autorità della casa madre e quelle del Paese ospitante e formulato un "decalogo" di best practices sul ftinzionamento dei collegi dei supervisori. In conclusione, la promozione della condivisione di esperienze tra le autorità competenti sulle diverse articolazioni del gruppo e nell'ambito dei collegi dei supervisori è sembrata una via percorribile per ridurre le divergenze che ancora permangono nelle modalità di esercizio della vigilanza a livello nazionale e il modo più efficace per ampliare e rendere più costruttivo lo scambio d'informazioni in sede multilaterale. Un'altra serie di proposte mirava a rafforzare la cooperazione multilaterale accrescendo la funzionalità dei comitati di terzo livello previsti dalla riforma Lamfalussy, operando sulla natura giuridica e sui processi decisionali di detti comitati. Particolare importanza in questbttica assumono il Libro bianco della Commissione sulla politica dei servizi finanziari per il periodo 2005-20 10 e le proposte di revisione della riforma Lamfalussy. Il CEBS, come gli altri comitati di terzo livello, per il settore assicurativo e quello dei valori mobiliare è una semplice persona giuridica di diritto privato senza alcuna precisa collocazione nell'assetto giuridico istituzionale dell'Unione Europea. La decisione istitutiva, all'art.l, parla infatti di un gruppo consultivo indipendente. La mancanza di uno status di diritto europeo condiziona lrganizzazione e il lavoro dei comitati. Non esistono, ad esempio, precise tipologie di inquadramento economico e normativo del personale e il regime fiscale applicato nei Paesi ospitanti può essere un fattore di complessità. L'autonomia finanziaria del CEBS dipende dai contributi delle autorità di vigilanza nazionali: le risorse di cui esso dispone potrebbero nel futuro risultare inadeguate a fronte dei crescenti impegni. Fra l'altro eventuali aumenti delle quote di contribuzione devono tener conto della limitata capacità finanziaria delle autorità di vigilanza dei Paesi entrati di recente nell'Unione europea.

rafforzare cooperando


Un suggerimento prospettato è quello di attribuire ai Comitati di livello 3 uno status giuridico riconosciuto dal diritto comunitario quale, ad esempio, quello delle agenzie dell'Unione Europea, organismi di diritto pubblico europeo, dotati di personalità giuridica propria, istituiti con atto comunitario di diritto derivato, di solito un regolamento del Consiglio. Sul piano pratico lo status di diritto europeo consentirebbe di superare gli attuali limiti legali all'inquadramento economico e normativo del personale e al trattamento fiscale che sarebbero quelli applicati alle istituzioni europee. Un altro vantaggio sarebbe rappresentato dalle modalità di finanziamento: accanto alle contribuzioni della autorità di vigilanza si potrebbero prevedere sovvenzioni a carico del bilancio comunitario. Tuttavia l'attribuzione alla futura Agenzia di funzioni regolamentari, sulla falsariga di alcune delle agenzie esistenti, avrebbe l'inconveniente di creare un terzo livello nella gerarchia delle fonti del diritto comunitario in materia finanziaria che si sovrapporrebbe allo schema Lamfalussy e che quindi, oltre a creare conflitti d'interesse, complicherebbe, anziché semplificare, il processo di convergenza. Sono apparse quindi più praticabii allo stato attuale le proposte che fanno riferimento alla modifica dei processi decisionali del CEBs, come del resto degli altri Comitati di livello 3, senza incidere sul corrente assetto istituzionale e in tal senso si è espresso il Consiglio Ecofin del 4 dicembre 2007. In questa direzione vanno anche le indicazioni della Commissione nella comunicazione sulla revisione dello schema Lamfalussy (Com12007/727). Le regole di terzo livello, in quanto semplici linee guida, sono prive di effetti giuridici vincolanti; esse non impegnano gli Stati membri, né le autorità nazionali di vigilanza che le applicano su base volontaria. lo status Per assicurare la più ampia adesione a tali regole, gli statuti dei comitati richiedono che esse vengano assunte all'unanimi- dei comitati tà. La ricerca dell'unanimità rende particolarmente complesso e lungo il processo decisionale e può condurre all'adozione di soluzioni di compromesso volte a conciliare regole e prassi nazionali tra loro differenti e che autorizzano divergenze anche significative nell'applicazione, in una Comunità formata da 27 Paesi. Di fatto, allo scopo di creare un clima di massima fidu-

39


cia e cooperazione, il CEBs ha seguito il principio dell'unanimità anche per le decisioni assunte nell'ambito della funzione di consulenza alla Commissione per le quali a norma dello statuto è sufficiente la maggioranza qualificata. Si è proposto perciò di superare la regola dell'unanimità per l'adozione delle misure di carattere regolamentare che necessitano di un'applicazione il più possibile convergente. L'estensione dei casi nei quali le decisioni sono assunte a maggioranza permetterebbe di superare le situazioni di stallo in cui il Comitato non riesce a raggiungere l'unanimità. Poiché la modifica dei processi decisionali non è di per sé in grado di superare il condizionamento dell'adesione volontaria alle decisioni del Comitato, è stato ipotizzato un più incisivo utilizzo di strumenti quali la regola del comply or explain che richiede alle autorità che non intendono applicare le decisioni del Comitato di motivare le ragioni del rifiuto, informando gli altri membri e le istituzioni europee. L'applicazione di questa regola consente di distinguere le autorità nazionali che hanno reali problemi nel recepire le regole e con le quali concordare un piano di adeguamento da quelle il cui rifiuto risulta immotivato ovvero fondato sulla protezione di interessi nazionali e quindi, in prospettiva, più difficilmente difendibile. Un altro suggerimento per il rafforzamento delle decisioni del Comitato di livello 3 riguarda l'introduzione degli obiettivi della cooperazione e della convergenza a livello europeo nelle missioni istituzionali delle autorità nazionali di vigilanza. La previsione di una specifica missione delle autorità darebbe maggior risalto sul piano sia interno sia internazionale ai contributi che esse sono chiamate ad apportare al processo di convergenza. Il Consiglio Ecofin in diverse occasioni si è fatto interprete dell'esigenza di questi, sia pur limitati cambiamenti, decidendo (nella riunione del 14 maggio 2008) che vengano inseriti nelle legislazioni nazionali sia il mandato europeo per la vigilanza sia il meccanismo comply or explain. Nello stesso tempo è stato dato incarico ai comitati di terzo livello (e segnatamente al CEBs) di modificare i propri statuti per incorporare il principio della maggioranza qualificata per ogni tipo di decisioni. Il CEBs di conseguenza ha modificato il proprio statuto nel luglio 2008. 40

un lungo processo decisionale


In sostanza le iniziative assunte si collocano nel quadro di un processo evolutivo graduale che rispetta la struttura istituzionale esistente. L'insorgere della crisi finanziaria ha suggerito un radicale cambiamento di rotta rispetto ai fondamenti della riforma Lamfalussy, che si riassumono nella conferma del principio di nazionalità e dello status quo per quanto riguarda la competenza delle autorità nazionali. In particolare si è rimproverato alle autorità nazionali, e ai collegi dei supervisori, un'insufficiente tempestività nello scambio di informazioni e la mancata efficacia degli attuali meccanismi di cooperazione. Non sono mancati, infatti, casi di decisioni assunte unilateralmente da alcuni Stati membri che hanno creato ripercussioni sugli intermediari di altri Paesi, ad esempio nell'estensione di garanzie pubbliche alle passività bancarie come nel caso delle banche irlandesi. A ben vedere, le critiche si rivolgono non tanto contro una presunta inadeguatezza dei controlli, quanto contro una politica generalizzata di beggar-thyneighbour esercitata dai singoli Stati cui le autorità di vigilanza nazionali, per quanto indipendenti possano essere, non riuscirebbero a sottrarsi. La dimensione multinazionale assunta dai principali gruppi bancari aveva già favorito in passato l'emergere di orientamenti volti a superare, nel campo della vigilanza bancaria, il modello dell'autorità nazionale in favore di un'autorità europea, spesso identificata con la banca centrale europea (Hertig). E' stato proposto in ambienti accademici (Masciandaro 2007) anche un modello misto (two-tier approach), con un"authority" europea che assumerebbe là responsabilità della vigilanza sui grandi intermediari, mentre la vigilanza sulle banche medio-piccole rimarrebbe in capo alle autorità nàzionali. La stessa Commissione europea si è fatta ora interprete di queste preoccupazioni, affidando a un gruppo di esperti presieduto da Jacques de la Rosière il mandato di esplorare possibili soluzioni di natura sopranazionale (Commissione Europea 2009). Senza la pretesa di fornire un quadro esaustivo, si enunciano qui i principali ostacoli che si frappongono alla realizzazione di questo obiettivo, cioè l'affidamento ad una autorità sovranazionale delle funzioni di

attribuzione dipoten

41


supervisione. Va in primo luogo messo in evidenza che l'attribuzione di una funzione di vigilanza bancaria accentrata nella Banca Centrale Europea (BcE), sia pure solo nei confronti di una parte del sistema (gli intermediari più grandi), incontra ostacoli nel vigente diritto comunitario. Infatti, il Trattato di Maastricht del 1992, che sotto questi profili non è stato modificato nelle successive revisioni del Trattato (Amsterdam, Nizza, Lisbona), non ha riconosciuto una specifica competenza primaria alla BcE in materia di vigilanza prudenziale intesa nel suo aspetto "microprudenziale", come vigilanza sulle singole banche; ha invece separato la ftinzione monetaria da quella di vigilanza, affidando alla B0E soltanto obiettivi di politica monetaria. E' la conferma, nel campo della vigilanza prudenziale, dell'applicabilità del principio di sussidiarietà: come visto in precedenza, nella Comunità le singole autorità di vigilanza rimangono responsabili della vigilanza sulle proprie banche; il Trattato di Maastricht non ha innovato, sotto questo riguardo, rispetto al regime del mercato unico bancario e alla filosofia sottostante alla riforma Lamfalussy. Non si può tuttavia negare una competenza della BcE nell'area cosiddetta "macroprudenziale". Ai sensi dell'art. 105.5 del Trattato il Sistema europeo delle Banche centrali contribuisce ad una buona conduzione delle politiche perseguite dalle competenti autorità per quanto riguarda la vigilanza prudenziale degli enti creditizi e la stabilità del sistema finanziario. E' un compito che la BcE ha svolto con efficacia nel corso degli anni, attraverso una stretta cooperazione con le autorità di vigilanza nazionali che ha trovato la sede appropriata in un comitato appositamente costituito (Banking Supervision Committee). I fautori di una vigilanza accentrata a livello BcE fanno osservare che esiste nel Trattato (art. 105.6), e nello Statuto della BcE, una enabling clause, in base alla quale vi è la possibilità di attribuire compiti specifici alla Bce in merito alle politiche che riguardano la vigilanza prudenziale degli enti creditizi e delle altre istituzioni finanziarie, con l'esclusione esplicita delle imprese di assicurazione, anche se tali attribuzioni richiedono comunque una decisione unanime del Con42

Maastricht


siglio dei ministri dell'economia e delle finanze dell'Unione europea. Il dibattito si è aperto sul significato da attribuire all'espressione "specifici compiti". Non v'è dubbio che un passaggio integrale di poteri dalle autorità nazionali alla BcE richiederebbe, al di là della procedura dettata dal suddetto art. 105.6, una vera e propria revisione del Trattato; rimane invece controverso se possa attivarsi la detta procedura nel caso di devoluzione parziale di compiti come previsto dall'ipotesi del two-tier system (vigilanza diretta da parte della B0E limitata agli intermediari bancari paneuropei). La risposta a mio avviso è negativa: anche una vigilanza limitata ad alcuni grandi gruppi bancari presuppone, comunque, l'attribuzione di una serie di poteri (ad es. ispettivi) che implicano una trasformazione della natura della BcE quale ipotizzata dal Trattato di Maastricht. E' stato di recente ipotizzato (Saccomanni 2009) che il conferimento alla BcE di poteri in materia di vigilanza bancaria possa essere realizzato attraverso il meccanismo delle cooperazioni rafforzate ex art. 11 del Trattato, i cui esempi più probanti sono l'unione monetaria e gli accordi di Schengen in materia di libera circolazione delle persone. Questa sòluzione appare tuttavia problematica, dato che l'art. 11 fa un riferimento testuale ai "settori di cui al presente Trattato" e prima facie non sembra che la supervisione bancaria vi possa essere ricompresa se non indirettamente per i riflessi sulla stabilità finanziaria ex art. 105.5 del Trattato sopra citato. L'attribuzione di ulteriori compiti alla BcE urta inoltre contro la presumibile opposizione delle autorità politiche a una troppo grande concentrazione di potere nelle mani di un organismo sovranazionale non dotato della legittimazione democratica di cui sono investiti i governi nazionali. Difficoltà ancora maggiori incontra la proposta di un'autorità europea unica di vigilanza bancaria diversa dalla BcE che andrebbe fondata ex novo senza un punto di riferimento in strutture esistenti dato che anche la Commissione europea non sembra attrezzata a svolgere un simile compito. Nell'ottica del diritto comunitario infine, tutte le iniziative che, in un modo o nell'altro modificano le competenze di vigilanza

la BcE che vigila

43


presuppongono una decisione all'unanimità e comunque lo svolgersi di un negoziato che verosimilmente darà i suoi frutti solo nel lungo termine. Si mette in evidenza inoltre che la vigilanza unica a livello europeo per i grandi gruppi paneuropei non sembra adeguata per i gruppi bancari che sono insediati con propri stabilimenti sia nel territorio nazionale, sia negli altri Paesi della Comunità europea sia al di fuori dell'Europa; perché mai un'autorità nazionale dovrebbe abbandonare le sue competenze a favore di un'autorità europea quando magari sono preponderanti le attività che la banca di quel Paese svolge fuori del territorio europeo? L'attribuzione di poteri di vigilanza è, infine, inscindibilmente connessa col problema del burden sharing: cioè di chi in definitiva è chiamato a sopportare i costi della crisi. Sono stati stipulati a più riprese memorandum d'intesa sulla gestione delle crisi (l'ultimo nel giugno 2008), coinvolgendo banche centrali, autorità di controllo e autorità governative (ministri economici), ma i memorandum non hanno forza vincolante e non è certo che non siano disattesi, nel caso di una crisi bancaria, sotto l'incalzare degli eventi. Alla luce di quanto sopra, qualsiasi abdicazione di sovranità nazionale viene guardata dai singoli Stati con estrema diffidenza. In conclusione, la gravità e la durata della presente crisi finanziaria potrebbero, è vero, costituire l'occasione per il superamento degli ostacoli di natura istituzionale e delle divergenze di natura politica circa l'affidamento ad una autorità sovranazionale di compiti di supervisione. Ma i costi e i benefici di un radicale cambiamento di rotta rispetto ai fondamenti della riforma Lamfalussy, avallati a più riprese dal Consiglio Ecofin, e concordati da tempo nelle sedi internazionali (care principles di Basilea), andranno valutati con attenzione.

Note bibliografiche BASEL CorvlrvnrrEE ON BANKING SUPERW5I0N, Core Princzplesfor Effective Banking Supervision, Basilea, ottobre 2006. Boccuzzi G.: Rischi e garanzie nella regolazione finanziaria, Bari, 2006. COMMISSIONE EUROPEA, Legislative and Working Program, 2009 in www.europa.eu .

44


CONDEMI M., Controllo dei rischi bancari e supervisione creditizia, Bari, 2005. CONSIGLIO ECOFIN, Rapportofinale su/progetto di architetturafinanziaria europea, Bruxelles, dicembre 2002. GODANO G., La legislazione comunitaria in materia bancaria,Bologna, 1996. MASCIANDARO D., Divide et Impera: Financial Supervision Unfication

and Central Bank Fragmentation Effect, EuropeanJournal ofPoliticalEconomy, 2007. SACCOMANNI F., Nuove regole e mercati finanziari in «Documenti Banca d'Italia», Roma, 2009.

45



queste istituzioni n.152 gennaio - marzo 2009

dossier

Cronache dal sistema politico italiano

Nel n. 1381139 abbiamo dedicato un ampio dossier alle elezioni politiche del 2006. Ricordiamo che l'avevamo intitolato "La nuova legge elettorale: il prima e dopo di una porcata" e conteneva articoli di Mario Caciagli (Sugli effetti dei sistemi elettorali) e di Nicola Lupo (Un profilo problematico - tra i tanti - delle nuove leggi elettorali. i candidati illustri sconosciuti). Le elezioni del 2008 sono l'argomento dei dossier di questo numero. Abbiamo aspettato a commentare i risultati di una tornata elettorale che cosĂŹ drasticamente ha anticzato la naturale scadenza quinquennale anche per seguirne piĂš compiutamente il seguito. Riprendiamo cosĂŹ ad occuparci del nostro sistema politico, le cui cronache queste istituzioni segue dai suoi esordi negli anni settanta. PiĂš di recente, negli editoriali dei numeri 144 e 146-14 7 (2007), ci siamo soffi rmati sulla macchina di governo, sui programmi di governo e su come questifiniscano per dffirenziarsi dai rogrammi elettorali". Nel n. 148, in Tornando ai programmi, sottolineando come nella norma sulla legge elettorale approvata al-


la fine de12005 non ci fossero indicazioni precise sulla nozione diprogramma elettorale, abbiamo ribadito che, comunque, "spetta al programma di governo trasformare la carta degli intenti di massima in una piattaforma veridica e realistica delle azioni implementabi/i e degli obiettivi concreti e verficabili ". Oltre all'ampio editoriale di questo numero. un dossier che ospita interessanti ed appassionate prese di posizione. Si vedano gli interventi di Carlo Chimenti ("Dopo il terremoto elettorale del 20089 e di Walter Tocci ("Il PD non ancora.... Riflessioni su Roma"). Infine, qua/che parola va premessa per spiegare il 'Manifesto dell'Italia che non ci sta" di Critica liberale. I/Manifesto che riproduciamo - insieme all'Editoriale di Enzo Marzo 'Rovesciare la Piramide" - è stato lanciato nel giugno del 2008 dalla Fondazione Critica Liberale. La Fondazione, soprattutto con l'omonima rivista di cultura politica, dall'inizio degli anni novanta, si èposta nel solco della cultura laica, liberale ed azionista di matrice salveminiana, rivendicando la continuità con una tradizione politica che va dai liberali progressisti e repubblicani ottocenteschi ai democratici de L'Unità, agli antftiscisti gobettiani e gie/listi, agli azionisti, agli intellettuali del Mondo di Pan nunzio. In questi anni la Fondazione si è distinta per una impostazione radicalmente laica, ispirata ad un liberalismo di stampo anglosassone, e dunqueprogressista e riformatore, in particolare con i/IVfanfesto laico del 1997 e con l'iniziativa di Opposizione civile del 2002. É tra le Fondazioni che hanno dato vita allo European Liberai Forum, network di think tank liberali di diversi Paesi europei. In chiave di politica interna, è stata sempre in prima linea ne/l'opposizione alla destra, con toni anche molto accesi e provocatori, raccogliendo crescente attenzione e consensi nel dibattito politico-culturale. Questo IVIanfesto, significativamente pubblicato dopo le ultime elezionipo/itiche, dà dunque voce a/disagio ed alle aspettative di una cultura da sempre minoritaria ne/Paese ma in grado di esprimere, in diverse fasi del/a sua storia, é/ite cultura/i e politiche capaci di incidere in maniera non marginale nella vita politica nazionale. In questo senso, rappresenta la testimonianza della continuità di un pensiero saldamente radicato nelle democrazie occidentali, ma che nei nostro Paese non trova rferimenti ne/l'attua/e quadro politico. Il ]ì/[an,festo è pubblicato e tuttora aperto a//e sottoscrizioni su/ sito www. critica/ibe ra/e. it.


queste istituzioni n.152 gennaio - marzo 2009

M) rJ I

dossier

Dopo il terremoto elettorale del 2008

, di Carlo Chimenti

A

prile 2008: 1' "Italia eterna" - quella di cui da secoli la migliore cultura italiana e straniera (da Machiavelli e Guicciardini a Leopardi, da Lamartine a Ginsborg) apprezza le amenità naturali, ma stigmatizza le abitudini tipiche della maggioranza degli abitanti - risorge nelle cabine elettorali, uscendo dal letargo in cui si era rifugiata nel 1948 allorchè aveva adottato la collaudata tecnica del giunco, che si piega per non essere travolto dalla piena del fiume e si raddrizza subito dopo il passaggio di essa. Nel 1948, infatti, quell'Italia - che a causa dei propri errori (a cominciare dalla guerra, non osteggiata e perduta) aveva permesso all"altra Italia", emersa nel quinquennio '43-'48, di travolgere la dittatura fascista e la Monarchia, di fondare la Repubblica democratica e di approvare una Costituzione moderna nell'impianto dei pubblici poteri e progressista nella ispirazione politico-sociale - lungi dal perire sotto le proprie macerie (come qualche ingenuo aveva sperato) era sopravvissuta agli eventi, acquattata fra le pieghe della neonata Repubblica e pronta a riproporsi nel momento propizio. LA PRIMA REPUBBLICA ERA SCOMPARSA?

Studiosi e politici, come è noto, si sono affaticati a discutere se nel 1993, in conseguenza dell'introduzione di un sistema elettorale prevalentemente maggioritario al posto di quello proporzionalistico fin lì vigente, si fosse prodotta la scomparsa di quella Repubblica - la c.d. prima Repubblica - e la nascita di una seconda; o se invece avesse semplicemente avuto inizio una fase di transizione istituzionale verso approdi sconosciuti. A me pare, in verità, dinanzi agli accadimenti dell'aprile L'autore è Professore di Diritto parlamentare all'Università di Roma Tre 49


2008, che entrambe le tesi fossero fondate. Perché è innegabile che, nonostante il fallimento degli svariati tentativi di radicale riforma della Costituzione, compiuti fra il 1993 e i giorni nostri, in questo periodo si sono registrate notevoli innovazioni sostanzialmente costituzionali rispetto alla prima Repubblica: mi riferisco, ovviamente, alla bipolarizzazione della rappresentanza partitica in Parlamento, che era bensì visibile anche prima del 1993, ma che solo dopo si è evidenziata - grazie alla scomparsa della c.d. conventio ad excludendum nei confronti della sinistra e della destra estreme, che durante la prima Repubblica era stata dominante - con la possibilità per tutti i partiti di alternarsi al Governo; e mi riferisco inoltre alla acquisita preminenza del Governo sui Parlamento, che ha rovesciato la "centralità" parlamentare a lungo verificatasi in precedenza. LA SECONDA REPUBBLICA Sicché, da questo punto di vista, parlare di nascita nel 1993 di una seconda Repubblica non era arbitrario. E tuttavia è altrettanto innegabile che, nel corso di quel quindicennio, non solo erano rimaste immutate tutte le norme costituzionali più significative relativamente alle istituzioni, ed in particolare alla forma di governo e alla rappresentanza politica, ma era rimasto fermo - anche e soprattutto - l'ossequio ufficiale ai valori posti alla base della Repubblica, anch'essi scolpiti nella Costituzione, fra cui l'antifascismo, la Resistenza, il lavoro, l'eguaglianza anche sostanziale dei cittadini, la limitabilità in funzione degli interessi generali di alcuni diritti individuali come la proprietà e l'iniziativa economica private. E' innegabile, insomma, che tali valori, definiti con mirabile sintesi da P. Calamandrei "la rivoluzione promessa in cambio della rivoluzione mancata", risultavano ancora rispettati, durante quei 15 anni; tant'è vero che presupposto esplicito di tutti i coevi tentativi di riforma complessiva della Costituzione era stata l'intangibilità della prima parte di essa, dedicata ai Principi fondamentali e ai Diritti e Doveri dei cittadini, in cui i valori stessi sono in massima parte esplicitati. Certo, non si può dimenticare che in tale periodo alcuni di quei valori erano andati incontro a revisioni critiche e perfino a manifestazioni di disprezzo. Basti ricordare, ad esempio, la subdola equiparazione fra par 50


tigiani e brigatisti neri suggerita dal riconoscimento - compiuto dal neoeletto Presidente della Camera Violante nel 1996 - che gli uni e gli altri erano caduti, durante la guerra civile, in nome di un ideale patriottico onestamente professato; ovvero l'ostentata assenza del Presidente del Consiglio Berlusconi, nel corso dei 7 anni in cui è stato in carica, dalle celebrazioni del 25 aprile, anniversario della Liberazione; per tacere dei rinomati intellettuali che consideravano anacronistica la citazione del lavoro nel primo articolo della Costituzione. Ma poiché, tutto sommato, il rispetto formale per i valori fondativi della Repubblica non era venuto meno, le sporadiche espressioni revisioniste e/o denigratorie di essi potevano essere addebitate alla sensibilità individuale di determinati soggetti ed inquadrate nella fase di transizione che la prima Repubblica stava attraversando; fase della quale comunque restava indefinito l'approdo. IL CATACLISMA DI APRILE

Nell'aprile 2008, invece, i risultati delle elezioni politiche anticipate, svoltesi con un sistema elettorale inteso a "semplificare" la rappresentanza partitica, e di una tornata di elezioni amministrative ricca di risvolti politici (soprattutto perché comprendente la rinnovazione dell'Amministrazione comunale di Roma), hanno terremotato la realtà preesistente, determinandovi cambiamenti profondi. In virtù dei quali, assieme all'auspicata semplificazione della rappresentanza, si è ottenuto un duplice chiarimento: e cioè, per un verso, che va collocata in questa data, e non nel 1993, la fine effettiva della prima Repubblica (benché a Costituzione tuttora invariata), e, per un altro verso, che la lunga transizione italiana, avviata nel 1993, è sfociata nel ritorno in auge della sopraccennata "Italia eterna". I cui tratti deplorevoli, ma salienti in quanto propri della maggioranza dei cittadini, consistono - come già aveva denunciato G. Leopardi, ai primi dell"800, nel suo "Discorso sopra lo stato presente dei costumi degli italiani" - nell'assenza di civismo nazionale, nell'individualismo ftirbesco ed anarcoide, nella tendenza alla cinica irrisione di tutto e tutti, nella carenza di fondamenti etici per l'agire quotidiano, nella egoistica mancanza di solidarietà civile dinanzi alle disgrazie altrui. Tratti salienti che coincidono in larga misura - co51


me risulta dall'illuminante affresco dedicato nel 1975 da G. Procacci alla "Storia degli italiani" - con i caratteri che si possono indovinare negli attori nazionali del bellum omnium contra omnes svoltosi in Italia fra il Xliii e il XIV secolo, nonché nel comportamento di essi - intriso di faziosità, di opportunismo servile, di conservatorismo - durante i secoli successivi; caratteri che si riflettono altresì nella cultura e nella forma mentis, essenzialmente reazionarie, che a metà del secolo scorso diedero luogo al ribellismo protestatario e populista col quale il movimento politico dell'Uomo qualunque si adoperò, con successo, per ridicolarizzare i "miti" fondativi della Repubblica democratica. A ben guardare, dunque, è costituito proprio da una sorta di innato qualunquismo il sostrato antropologico culturale, maggioritario in Italia, che, restando stabile nel susseguirsi delle stagioni e delle situazioni politiche, ha reso a suo modo coerente lo sviluppo della storia patria; sino a consentire l'accostamento, in tempi recenti, fra il fascismo mussoliniano (in cui Gobetti leggeva "l'autobiografia della nazione") con tutta la sua retorica patriottarda, e il berlusconismo rampante (che analogamente Bobbio vedeva come fenomeno italicamente autobiografico), ossia fra l'idolatria di allora per il "Duce" e fldierna indifferenza per i conflitti d'interesse del Presidente del Consiglio, accomunate sotto il segno del disprezzo per lo Stato di diritto e la separazione dei poteri. L' "ITALIA ETERNA' Ritorno in auge - dicevo - dell"Italia eterna" che sembra destinato a risolversi nell'affermazione, anche dentro i nostri confini, di quella "postdemocrazia" che C. Crouch (Postdemocrazia, Laterza, 2003) annovera fra le conseguenze delle ultime e poderose trasformazioni economiche mondiali (la c.d. "globalizzazione"), causate dalla rivoluzione tecnologica nel campo dei trasporti e della comunicazione, oltreché dalla crisi delle fonti di energia; e che non comporta necessariamente una torsione autoritaria dei sistemi politico-istituzionali, ma certamente fa sì che il nostro non sarà più il sistema disegnato (e in parte attuato) dalla prima Repubblica. Di qui la conclusione che i risultati delle elezioni del 2008, lungi dal poter essere minimizzati come fenomeno passeggero o comunque: come una fase di quel periodico alternarsi al potere di for52


ze politiche contrapposte che politologi e costituzionalisti considerano la fisiologica performance di ogni democrazia "matura" - si rivelano piuttosto come la "svolta epocale" (quindi tutt'altro che passeggera) di cui si sono vantati i vincitori. O meglio: come il rientro delle vicende politiche nazionali, nel loro alveo naturale o più congeniale, rispetto al quale la trascorsa fase democratica è stata, essa si una parentesi durata fin troppo - 60 anni! - per i gusti degli italiani. LE PROVE La dimostrazione sta nella cose. Una prima prova è data dalle dimensioni della vittoria del centrodestra berlusconiano, che riesce a distanziare di ben 7 punti percentuali il centrosinistra; evidenziando così, in seno a quest'ultimo, una grossa fuga di elettori, molti dei quali non si sono limitati a volerne punire, con l'astensione, la politica contingente, ma sono trasmigrati nel campo avverso: evento difficile da classificare come prov visorio e rapidamente reversibile, nella misura in cui si tratta del riflesso di una nuova valutazione compiuta dagli elettori a proposito dei propri interessi economico sociali, e di chi è in grado di rappresentarli al meglio sul piano politico. D'altronde, che soprattutto di questo e non d'altro si tratti lo si può ragionevolmente ipotizzare - in attesa di conferma da più approfondite analisi dei flussi elettorali - anche sulla base del diffondersi di alcune opinioni "sovversive" circa i contenuti attuali della politica, tutte legate al ricordato fenomeno "globalizzazione" e fondate sul superamento di tradizionali contrapposizioni politiche, quali l'antagonismo fra destra e sinistra, fra "padroni e manager" da un lato e "dipendenti" dall'altro, fra conservatori e progressisti. Opinioni che vanno da quella, prospettata dai numerosi assertori (ricordati da C. Crouch) di una concezione "moderna" della società, secondo cui la stragrande maggioranza dei cittadini appare ormai unificata nella categoria dei "consumatori" (la sola che conta), all'interno della quale - come accadeva nel nostro medioevo, quando la società (o quel che meritava di essere considerato tale) era composta da un unico e solidale establishment di "signori" - rimane spazio soltanto per contrapposizioni private, o localistiche, o magari religiose, ma comunque prive di spessore politico (dimodoché le associazioni di consumatori parrebbero doversi sostituire ai partiti!).

53


A quella, per certi aspetti simile, secondo cui nell"indifferenziato convergere di programmi e progetti su un unico repertorio di atteggiamenti condivisi" c'è da temere che si nasconda il "fallimento della politica", ossia il naufragio "dell'idea del 'politico' come esercizio di un potere pubblico regolato" (M. Revelli, Sinistra destra. L'identità smarrita, Laterza, 2007): con la conseguenza di "un'obiettiva assenza di risposte possibili" alle sfide del tempo presente, assieme alla necessità di una generale, e di non breve momento, ricollocazione rispetto al passato degli interessi individuali e collettivi. Non meno probante è, d'altro lato, l'ascesa di due leader postfascisti al vertici di istituzioni rappresentative quali la Camera dei deputati e l'Amministrazione della capitale d'Italia; personaggi le cui pubbliche professioni di fede democratica (rilasciate, magari, conservando sotto la camicia i simboli dell'antica appartenenza) non hanno suscitato ex adverso segni di evidente scetticismo (che pur sarebbero stati giustificati, se non altro, riguardo alla virtù transitiva di tali professioni dai due leader ai militanti); ed hanno anzi provocato ondate di compiacimento benpensante per l'avvenuto recupero alla democrazia di tante "pecorelle smarrite A mio avviso, neppure la presenza di ministri postfascisti nei precedenti Governi di centrodestra aveva fornito, a proposito della morte della prima Repubblica, democratica e antifascista, nata dalla Resistenza, una certificazione emblematicamente efficace quanto quella costituita da una simile ascesa. Perché non c'è dubbio che l'allargamento delle basi della democrazia - con cui viene motivato il citato compiacimento - era tra gli obiettivi della prima Repubblica. Ma non sembra dubbio neppure che la cooptazione al vertice delle istituzioni rappresentative di esponenti di una forza politica di estrema destra - erede di un partito reputato "antisistema" fino a pochi anni addietro, i cui iniziali aderenti avevano combattuto in armi contro l'avvento della Repubblica democratica, ed avevano inoltre potuto riconoscersi (non essendo il loro partito presente in Assemblea costituente) nei pochi parlamentari delle altre forze di destra che contro la Costituzione avevano votato - sia sopravvenuta dopo un "purgatorio" troppo breve: perlomeno a paragone di quello inflitto all'altra forza "antisistema", ma di sinistra, che aveva combattuto per l'avvento della Repubblica, ed 54


aveva votato a favore della Costituzione dopo un'attiva partecipazione alla sua elaborazione. IL DE PROFUNDIS DELLA PRIMA REPUBBLICA Siamo dunque giunti davvero, secondo me, al de profundis per la prima Repubblica e dinanzi al trionfo dell"Italia eterna". Con quali prospettive? Non è certamente questa la sede giusta per formulare profezie, e tuttavia qualche constatazione è possibile farla. Anzitutto quella che nei lineamenti essenziali che connotano la "postdemocrazia" - importata da noi sotto la duplice spinta proveniente dal disfacimento dei sistemi collettivistici di "oltrecortina" e dalle scelte di politica economica dell'Ue - l"Italia eterna" (sempre timorosa di finire "oltrecortina", e favorevole invece all'Ue) dovrebbe trovarsi a suo agio (a parte qualche attrito su questioni secondarie). Sono infatti numerosi i connotati "pqstdemocratici" capaci di soddisfare l'antropologia culturale essenzialmente qualunquistica dell"Italia eterna", una volta accantonata la violenza alla quale nella prima metà del '900 essa aveva fatto ricorso mettendosi nelle mani di Mussolini (al giorno dbggi, del resto, il manganello fascista appare vantaggiosamente sostituibile con il tubo catodico di televisioni amiche). Fra tali connotati c'è il rifiuto delle "fisime" egualitaristiche di cui la prima Repubblica abbondava, e dalle quali era stata mortificata la crescita spontanea delle disuguaglianze che, nellbttica postdemocratica, rappresentano non già ostacoli da superare nel segno della democrazia, ma il lievito di un benefico sviluppo sociale. E poi, la diffidenza nei confronti delle istituzioni pubbliche in generale (fatte salve, tutt'al più, quelle di campanile) e delle istituzioni statali in particolare (soprattutto se adibite al reperimento di risorse finanziarie, o se rivolte ad assicurare quella solidarietà verso i meno fortunati che - secondo certi schemi culturali tradizionali - andrebbe viceversa affidata alla Chiesa o comunque a mani private); e ancora, la mistica del profitto e del mercato (quali misuratori degli autentici valori esistenziali), assieme alla sfiducia nelle "regole" percepite spesso come vessatorie limitazioni alla creatività individuale. Tutti aspetti, si potrebbe aggiungere, tanto presenti nell' "Italia eterna" (e odierna) quanto contrastanti con la Costituzione della prima Repubblica. Constatazione dalla quale, tutta-

55


via, non discende automaticamente che, in omaggio alla modernità, la Costituzione debba andare incontro ad una prossima abrogazione totale o parziale giacché, per non turbare la quiete spirituale dei suoi residui cultori, ben potrebbe esserle riservata una sorte meno traumatica: simile cioè, a quella capitata alla Costituzione britannica, che è rimasta immutata mentre molte sue norme venivano man mano svuotate di significato pratico da consuetudini disapplicative (come, ad esempio, riguardo alle attribuzioni del Sovrano e del Parlamento, delle quali in buona parte si è impossessato il Governo). Si dirà che nulla del genere può accadere in Italia dove, a differenza che in Gran Bretagna, c'è una Costituzione scritta e c'è una Corte costituzionale pronta a farla rispettare. Così dicendo, però, si sottovaluta la capacità inventiva dei nostri politici e giuristi; ai quali potrebbe non sfuggire lccasione per teorizzare come opportuna la nascita, attraverso lo svuotamento di fatto di certi valori costituzionali, di una sorta di Costituzione-ombra da affiancare, in piena sintonia di risultati pratici, alla formazione del Governoombra, ossia al primo e più appariscente degli effetti istituzionali seguiti al terremoto elettorale del 2008. E L' "ALTRA ITALIA"?

Altra constatazione possibile, poi, è che, se il rinnovato prevalere dell"Italia eterna" non comporta (come non ha mai comportato in passato) il superamento della tradizionale "divisività" (anche politica) che caratterizza gli italiani - in luogo del quale superamento, aiThccorrenza, abbiamo sperimentato surrogati provvisori, come il vecchio "connubio" cauvourriano o la pseudo "consociazione" praticata durante la prima Repubblica -, ciò significa che neanche l"altra Italia" è destinata a scomparire. Ma se così è, ne discende che, per quanto il "fallimento della politica", paventato da M. Reveffi, possa rendere necessaria una rinnovazione di tutte le categorie del "politico", e quindi implicare tempi lunghi per la ripresa (se mai ci sarà) di nuove competizioni politicamente significative, tuttavia all"altra Italia" non dovrebbero mancare occasioni per tornare a farsi valere. Può darsi, cioè, che le ragioni della dialettica destra/sinistra, conosciute nel secolo scorso, non riemergano più; ma che possa venir meno l'antagonismo fra "ricchi" e "poveri", che è connaturale alla

56


specie umana, sembra inverosimile. E allora, se l"Italia eterna" starà, ancora una volta, dalla parte dei "ricchi", all"altra Italia" sarà di nuovo possibile schierarsi a favore dei "poveri", e non per invidia sociale (come taluni potrebbero insinuare), ma in nome di superiori ideali di giustizia, di civiltà e di solidarietà umana che è la storia stessa del pensiero universale a mostrare intramontabili. E quindi battersi per essi, la cui inconciliamuta con queui aeu itana eterna e ai natura antropologico cuituraie, prima che politica. Sicché l"altra Italia" non potrebbe, senza rinnegare sé stessa, cedere alla rassegnazione, camuffata da ossequio alle regole della democrazia, che è insita in ragionamenti del tipo: l"Italia eterna" ha conquistato legalmente la maggioranza, perciò lasciamola governare in pace e restiamo a vedere - come diceva Totò nel celebre sketch degli schiaffoni - fin dove vuole arrivare; ma neppure dovrebbe illudersi che inseguire e/o assecondare 1' "Italia eterna" nelle sue predilezioni e nelle sue fobie possa rivelarsi un modo astuto di combatterla, anziché una vera e propria resa senza combattere. La "rivoluzione promessa" alla quale si riferiva P. Calamandrei, cancellata oppure conservata che sia nel testo della Costituzione, resta pur sempre un'ideale nobile, per il quale mette conto impegnarsi con flttimismo della volontà (ancorché il pessimismo della ragione trovi, nel risorgimento dell' "Italia eterna", eccellenti agganci). L"altra Italia", insomma, non può rinunciare a battersi, né limitarsi a fingere di farlo, se intende mantenersi all'altezza dei suoi più recenti predecessori, che lottarono per i loro ideali senza mai arrendersi al fascismo dilagante - dopo essere giunto al potere per vie formalmente legali - in virtù di consensi maggioritari conservati ad onta di tutte le sue malefatte. Non può: noblesse oblige. I1

11.

1 I1»T

1.

s

1

I

.

I

I

57


queste istituzioni n.152 gennaio - marzo 2009

dossier

Manifesto dell'italia che "non ci sta" Per uno spazio "lib-lab" A cura di Critica libera/e

è un'Italia che non si rassegna né allo sconfortante quadro politico nazionale né al tracollo civile né al conseguente disastro economico e sociale. E un'Italia democratica, laica, europea, riformatrice, in varie forme da liberale a socialista, senza la cui voce si è destinati ai margini della modernità. Un'Italia che vuole la restituzione delle effettive condizioni di democrazia, un Parlamento davvero rappresentativo, la riaffermazione dei diritti civili e sociali, la costruzione di una libera economia di mercato non disgiunta da politiche di equità sociale, la costruzione di una società aperta.

C

2. Questa Italia è ormai da decenni priva di un riferimento politico organizzato. Ma ora la situazione è diventata drammatica. Il Paese è in mano a una coalizione di partiti espessione di una destra populista che in ogni altro Paese occidentale sarebbe limitata a frange marginali perché profondamente illiberale, col culto primordiale del Capo e del Padrone, allergica alla democrazia, affarista, de ricale, corporativa, protezionista, euroscettica, xenofoba e omofoba, in alcuni settori dichiaratamente fascista. Una destra particolarmente pericolosa perché contesta apertamente l'identità di un'Italia unita e fondata sulla resistenza ai totalitarismi; perché vuole imporre la cancellazione o l'adulterazione della memoria storica nonché l'affermazione di uno Stato etico che prevarichi la sfera delle libere scelte private dei singoli. A questa destra affastellata e unita dal potere non si oppone con la necessaria forza un partito che si autodefinisce democratico, ma in effetti è monocratico e senza pratica di vita democratica, senza riferimenti internazionali, privo d'una cultura politica con qualche omogeneità, carente di valori, di ideali, di progetto, perfino di radicamento.


Un partito che dal berlusconismo sta mutuando linguaggio, mentalità, pratica del potere, ormai anche programmi e strategia. Queste due formazioni, composte perlopiù da un mediocre personale politico, - ove non vi sia una sempre auspicabile inversione di tendenza nel PD - corrono il rischio di fondersi definitivamente, nell'immagine pubblica come nella concreta dialettica parlamentare, in un cartello di interessi antidemocratici finalizzato al rafforzamento e all'estensione degli aspetti truffaldini del sistema elettorale, alla distruzione forzosa per legge di ogni competitore politico, all'illegale mantenimento del pieno controllo politico delle televisioni, alla pretesa e all'accondiscendenza verso i conflitti d'interesse. Tra inverosimili riverenze reciproche, questo accordo rischia di sancire la rovina del Paese e il suo definitivo distacco dall'Europa liberaidemocratica. Fuori dal Parlamento, ma ancora con una significativa forza organizzativa, si agita una inutilizzabile sinistra ottocentesca, che sogna la rivoluzione comunista e coltiva il residuo orticello massimalista, estranea com'è alla concezione che considera prioritarie la democrazia e la nonviolenza, lontanissima da una moderna teoria dell'economia di mercato, incline al laicismo ma troppo spesso disposta al suo accantonamento. 3. Eppure, in un Paese che si mostra corrivo a questo desolante panorama, in assenza di minime condizioni di libera informazione, nonostante un dibattito pubblico drogato, in un sistema economico corporativo e familista, nel crescente degrado della legalità e dei costumi civili, resiste un'Italia che non ci sta. Un'Italia che crede nel valore e nella pratica delle libertà, nelle virtù civiche, nei diritti umani, nel pluralismo culturale ed esistenziale, nella convivenza civile, in un'Europa che si è costruita nella lotta all'intolleranza e al dogmatismo. Un'Italia che esige l'affermazione della cultura delle regole e il ristabilimento dello Stato di diritto. Che persegue l'indirizzo d'una sempre maggiore divisione tra il potere politico, il potere economico e il potere mediatico. Che non tollera che gli individui siano sottoposti a imposizioni o a forme di rappresentanza comunitaristico-religiosa.

59


Un'Italia che crede nella necessità dell'Europa e vuole il rilancio del processo d'integrazione federale. Un'Italia che pretende l'instaurazione di una vera libertà di coscienza e di vita contro le pretese e i privilegi clericali, con la ferma difesa del principio della laicità delle istituzioni. Un'Italia che reclama un sistema di informazione libero da condizionamenti padronali, dal monopolio berlusconiano e dalla lottizzazione. Un'Italia che esige trasparenza e certezza di regole nell'economia e nel diritto societario, e una seria disciplina antimonopolistica. Un'Italia che vuole le sanzioni penali strettamente limitate a fattispecie inequivocabilmente definite e davvero uguali per tutti, ma che vuole anche finirla con l'incertezza del diritto e con l'eterna sequela di condoni, indulti e deroghe. Un'Italia che intende garantire indipendenza ai magistrati e liberare l'amministrazione pubblica dalla colonizzazione partitica, pretendendone però efficienza, autorevolezza e responsabilità. Un'Italia che chiede il rispetto di un'etica pubblica esigente, fatta di trasparenza e cultura del servizio da parte di una classe dirigente radicalmente rinnovata. Un'Italia che sente il bisogno di liberare le energie della società riattivando la mobilità sociale, riconoscendo il merito, costruendo un quadro di eguaglianza delle opportunità. 4. Questa "Italia che non ci sta" delinea di fatto uno spazio in cui la sinistra si ridefinisce finalmente sulla base dell'incontro delle esperienze liberali, democratiche e socialiste europee. Uno spazio lib-lab, che in passato è stato rappresentato in maniera insoddisfacente e parziale da una somma di partitini che hanno avuto i loro meriti, ma anche le loro colpe, e che comunque non esistono più e non vale la pena di rimpiangere e di riesumare. Non è guardando indietro che questa Italia avrà finalmente voce. Ma puntando in prospettiva a una nuova rappresentanza politica nel centrosinistra e operando fin da adesso in queste battaglie, delle quali i firmatari del Manifesto sottolineano la necessità e l'urgenza. Questa Italia è ancora determinata a "non mollare".

reirel


RovEscIivIo LA PIRAMIDE Dopo ogni diluvio bisogna ricostruire. Certo, prima sarebbe necessario rimuovere le macerie e allontanare i responsabili del disastro. Ma per ora ciò non è possibile, perché il nostro sistema politico garantisce l'impunità ed è congegnato in modo tale che tutto il ceto dirigente (prima regola aurea del berlusconismo) può fare e disfare le regole per proteggere i propri interessi personali, in questo caso l'autoconservazione al potere. E ai "novisti" del PD il vecchio senso di dignità che imponeva le dimissioni a chi aveva portato alla rovina la sua parte politica è totalmente sconosciuto. Se seguissimo solo la "ragione", saremmo ridotti da tempo alla disperazione, perché il cerchio è chiuso nella sua perfezione perversa, ma conosciamo la politica (e la sua irriducibile essenza conflittuale). E difficile fossilizzarla, alla fine - presto o tardi (ma questo purtroppo non è troppo indifferente) - riprende il sopravvento. Non ci sono media servili che tengano: il disastro politico, sociale e morale trova conferme ogni giorno perché non è un'invenzione di sociologi o di politologi, è una realtà consolidata. E' inutile che le "voci del padrone" si affannino a scrivere che Berlusconi ora è un altro, (ma, il presunto B. di prima, quando mai loro lo hanno descritto?), che è un vero statista, un Craxi redivivo, perché basta che il suddetto governi un mese perché sia evidente a tutti quelli che non si accecano da soli quanto al Cav. interessino i problemi del Paese e quanto i suoi affari personali. Non so se ci sono state persone che abbiano sperato in buona fede in un Berlusconi in "doppiopetto", opposto al preesistente "venditore di tappeti" del "qui lo dico e qui lo nego" o al quel frirbastro che governava per "aggiustarsi" i processi. Dopo qualche settimana tutta la panna che era stata montata per dare qualche pezza d'appoggio al veltrusconismo s'è dissolta pateticamente di fronte a Rete4, alla "sicurezza", al "decreto legge" sulle intercettazioni telefoniche. (Berlusconi: "Non possiamo permetterci di perdere tempo. Altrimenti questi ricominceranno con le solite persecuzioni, costruendo castelli accusatori su qualche intercettazione". 11-06-2008 , La Stampa). Quindi tutto come prima? Non è proprio così, la novità c'è ma sta tutta sull'altro versante, dove lo smantellamento delle ragioni politiche della mancata opposizione è rimasto indifendibile, rivelato nella sua ftitilità e ipocrisia. L'Inciucio, in tutte le sue versioni, anche nell'ultima estrema di stampo veltroniano, non ha portato a null'altro che a due conseguenze: il 61


rafforzamento del potere berlusconiano e al disfacimento di tutte le sinistre possibili. Questa tesi non può essere smentita, perché i fatti durissimi dicono proprio così. Se e quando il Pd deciderà di discutere non di "persone", né di "componenti", ma della strategia politica, solo allora si potrà comprendere il vero destino di questi "balcani in un solo partito". Intanto occorre che tutti facciano un passo avanti. E paradossalmente il passo avanti oggi corrisponde a un passo indietro. Il che significa tornare alla politica, tornare alla testimonianza civile attiva, per molti tornarsene a casa. Noi, lo sappiamo bene, possiamo fare poco di fronte alla gravità della crisi e a tutti i segnali della sua irreversibilità. Spesso abbiamo indicato soluzioni, ma invano. Il ftirore incontrastato della bétise ha travolto tutti e desertificato il paesaggio. Noi di "Critica" contifluiamo a sentire la necessità di sottolineare il dovere che spetta a quella che è definita "società civile", che non è altro che l'insieme di tutti noi cittadini, con i nostri diversi interessi, valori, esigenze, priorità, ma anche con la consapevolezza che viviamo assieme e dobbiamo ripristinare regole condivise di convivenza meno indecorosa. Le discussioni all'ingrosso, da bar dello sport, non agevolano questa presa di coscienza; ingrossare le fila del qualunquismo nazionale non serve che ad aggravare la situazione con soluzioni spesso addirittura ridicole. Allora, rovesciamo la piramide. Anche se molti settori di opinione pubblica non si sentono rappresentati dalle attuali forze politiche, la scorciatoia dell'ennesimo "nuovo soggetto" è ora inopportuna e impraticabile. Il Ca'W (così lo chiama Ferrara, suo ispiratore e aedo, spesso in apprensione per il suo mostriciattolo) ha demolito ogni possibilità pratica di nascita di nuove forze, e tutto lascia intendere che questa operazione liberticida proseguirà con micidiale accanimento nei prossimi tempi. Il "cartello" ha in mano il gioco e vuole garantirsi il monopolio politico. Inoltre, l'opinione pubblica è schiacciata dal monopolio televisivo del nuovo regime e dalla chiusura dbgni ancorché minuscolo pertugio critico nel mondo della carta stampata. Ricordiamoci che in campagna elettorale (caso mai avvenuto in tutta la storia del giornalismo italiano) è stato defenestrato da ambienti diessini il direttore del "Riformista", perché non alineato alla nuova vulgata pro Pd. Quanti hanno protestato? Adesso sarà normalizzata (in flagrante conflitto d'interessi) anche "l'Unità". "La Repubblica" si è normalizzata da sola conducendo la danza in quella massic62


cia distorsione truffaldina dellpinione pubblica che è consistita nel gonfiare a dismisura un inseguimento "quasi vittorioso" del Pd, che nella realtà era inesistente ma che "virtualmente" ha condizionato pesantemente il voto dell'estrema sinistra provocandone il suicidio. Certo, resta Internet, ma è ancora tutta da provare l'effettiva incidenza del web sullbpinione pubblica. Quindi è molto difficile far conoscere idee nuove non affineate. Sappiamo bene che la maggiore difficoltà del nostro Manifesto sta tutta qui. Ma proviamoci, rovesciando il metodo: come dimostra il Pd, finora si è sempre costituita una nuova formazione componendo in vario modo spezzoni di classe dirigente già consumata, poi si è messa su la solita bella commissione col compito di rabberciare un compromesso su programmi e idealità. Per il Pd, il risultato davvero deplorevole è davanti agli occhi di tutti. Ci siamo chiesti: perché non trasferiamo sullo sfondo di un futuro condizionato da chissà quante e quali variabili la possibilità di un "nuovo soggetto", e non andiamo invece a definire rigorosamente uno spazio politico che - anche se non rappresentato, ora - esiste e non può non esistere in un Paese che vuole essere, o diventare, moderno? Da qui nasce la nostra "proposta" alla società civile, ai singoli cittadini-elettori. In quanto tali. Non costruiamo una organizzazione, ma organizziamo una "comunità" d'intenti, culturale e valoriale. E anche programmatica. Senza compromessi. Usciamo dalle protesta individuale, riconosciamoci in un comune denominatore, largo ma ben delimitato, con diversità al suo interno - "plurale", come si dice adesso - ma unito da alcuni principi fondamentali senza i quali non sarà possibile nel nostro Paese alcuna inversione di tendenza. Lasciamo i diessini a friggere il loro vuoto post-muro di Berlino, non disturbiamo i "sinistri" antidiluviani impegnati nei riti devozionali per atroci dittatori estinti o superstiti. E rendiamoci conto che dall'altra parte c'è l'anti-democrazia, il sopruso, il servilismo clericale, l'arroganza, la xenofobia di una assemblaggio reazionario che farebbe orrore a qualunque destra europea. Se la piramide rovesciata sarà pesante e ingombrante, se una parte cospicua dpinione pubblica non si chiuderà nel suo orticello scettico e darà un segno tangibile della sua presenza, chissà che non riusciamo a mettere in moto qualcosa di diverso in questa palude limacciosa... Noi vi chiediamo soltanto un'adesione ideale e lo sforzo di diffondere il nostro, cioè il vostro, Manifesto. Grazie. 63


queste istituzioni n.152 gennaio - marzo 2009

dossier Il Pd non ancora... Riflessioni su Roma di Walter Tocci

er ripartire bisogna capire che cosa è successo. Dobbiamo spiegarlo a noi stessi e prima possibile far sapere agli elettori che abbiamo capito la lezione. Diciamoci la verità, abbiamo regalato Roma alla destra a causa dei nostri errori. Dovevamo fare le primarie, non i sondaggi, per scegliere il candidato sindaco. In tanti, non abbiamo capito in tempo l'errore, a me ha fatto velo il ricordo del grande sindaco con cui ho lavorato. Abbiamo dato l'impressione di una classe dirigente che decide al suo interno il successore, come se la città le appartenesse per sempre. E invece Roma va sempre riconquistata e convinta. Al contrario, nella vittoria alla provincia c'è anche il formidabile lavoro che Nicola Zingaretti aveva svolto nelle primarie di ottobre. Le primarie sono ormai una speranza concreta di rinnovamento della politica; quando tradiamo la fiducia che con esse abbiamo suscitato veniamo sempre penalizzati. La recente decisione di svolgere le primarie per il segretario del Pd nel Lazio è il primo segnale che abbiamo capito la lezione. Nei prossimi giorni analoga decisione deve essere formalizzata per il segretario romano. A guidare l'opposizione devono essere dirigenti che hanno la stima della nostra gente. La sconfitta è stata dura ma siamo caduti in piedi. Abbiamo creato lo strumento per l'avvenire, il Partito democratico, la migliore invenzione di questi anni difficili. Certo se lo avessimo fatto dieci anni fa, ai tempi dell'Ulivo, le cose sarebbero andate diversamente. Al contrario se non lo avessimo fatto dieci mesi fa e fossimo ancora rimasti Ds e Margherita oggi saremmo senza speranza. Il Pd è nato come partito reale nella campagna elettorale, lì si è manifestato come una forza viva, come

P

L'autore è parlamentare del Pd 64


la grande forza politica popolare oltre il 30% e il popolo di militanti che ha riempito le piazze di Veltroni. C'è però un impaccio. Il progetto del Pd è oggi più grande della classe politica che l'ha promosso. Servono nuovi dirigenti, giovani in gamba da sperimentare, persone che arrivano al nuovo partito anche senza essere passati per i vecchi partiti, dirigenti scelti in base ai meriti e non alle cordate, competenze che vengono coinvolte seriamente nel progetto. Di questo ricambio di classe politica c'è grande bisogno qui a Roma. UN PARTITO TUTTO DA COSTRUIRE E' cominciata una stucchevole discussione sulle alleanze, quando ancora erano sui muri i manifesti con lo slogan andiamo da soli. Sono due esagerazioni che partono dal medesimo errore, come se il Pd fosse già un progetto compiuto che ha già detto tutto. Al contrario, il Pd possiede potenzialità ancora inespresse, dispone di risorse non ancora messe in campo, quello che aveva da dire di meglio all'Italia non lo ha ancora detto. Il Pd costituisce il non-ancora della politica italiana: il partito riformatore di massa che non abbiamo mai avuto, la forza capace di unire il nord e sud e di portare l'Italia nel mondo nuovo spalancato davanti a noi, lo strumento per riconquistare la fiducia degli italiani verso la politica, la risorsa culturale per fecondare quella statualità dei diritti e dei doveri sempre carente nello spirito nazionale, l'anomalia politica che aiuta la sinistra europea ad allargare i suoi orizzonti. Ce ne sono di cose da fare; se ci mettiamo a lavoro diventerà più semplice anche sciogliere i nodi delle alleanze. Nei nostri circoli c'è un potenziale enorme da mettere a frutto. Ho fatto tante assemblee e non ho finito di stupirmi. A San Basilio mi sono gustato il duetto tra il capo della vecchia sezione della Dc che ricordava all'anziano compagno del Pci quando gli impediva di attaccare i manifesti nel quartiere e ci scherzavano sopra, trovandosi ormai nello stesso circolo a lavorare insieme. All'assemblea di Donna Olimpia, che credevo di conoscere bene, oltre la metà dei partecipanti non li avevo mai visti prima, erano persone mai entrate in una sezione di partito, e ponevano questioni che costringono tanti vecchi militanti come me a pensare la politica in modo nuovo.

65


Nei circoli del Pd, in questo momento, si riscrive la storia e si prepara l'avvenire. Nei gruppi dirigenti, invece, si organizzano vecchie correnti. Lungi da me demonizzarle, però quelle oggi in voga sono riferite a discussioni svolte dieci o venti anni fa all'interno dei Ds e Margherita. Non c'entrano nulla con la realtà del Pd e tanto meno con il suo futuro, hanno molto potere e poche idee, molte preferenze e pochi voti. D'altro canto non abbiamo creato un nuovo partito per continuare a fare le stesse cose di prima sotto una nuova bandiera. Abbiamo un nuovo simbolo da inverare, con i bei colori italiani e le due lettere, la P e la D, che sfumano una nell'altra, in una convergenza di significati: un vero partito perché democratico e democratico perché organizzatore di democrazia. Partito è una parola che non usavamo da tanto tempo, non sprechiamola. Risparmiamoci il tormentone su partito leggero e pesante, abbiamo una questione pratica da risolvere: tre milioni e mezzo di persone alle primarie dell'anno scorso ci hanno detto che sono disposte a spendere un'ora di tempo per il Pd: quale porta devono bussare? Quale telefono devono chiamare? Quale militante devono cercare? Dobbiamo dirglielo presto, prima che si scoraggino. Per questo serve un partito, non bastano le correnti. Nessun grande partito europeo dispone di una tale energia civile, rischiamo di sprecarla se non la canalizziamo nella politica di tutti i giorni. E ne abbiamo tanto bisogno. Il ruolo di opposizione ci chiama prima del previsto ad affrontare in campo aperto la destra al governo. La luna di miele è già finita. Bersani ci parlerà della battaglia nazionale, io aggiungo solo poche parole su Alemanno che è proprio bravo, sì, è un vero fenomeno a fare l'opposizione, tanto da continuare a farla anche a se stesso, ogni giorno dice una cosa per poi negarla all'indomani. Per adesso continuano a demolire il già fatto senza costruire nulla di nuovo. Avevano parlato di ventimila espulsioni di delinquenti ma si è rivelata la solita bufala, bene ha fatto il nostro gruppo capitolino a chiederne conto nell'aula Giulio Cesare. Insomma, gli argomenti non mancano. La manifestazione del 25 ottobre va preparata intrecciando i temi nazionali del carovita con i problemi della vita cittadina.

-92


UNA RIFLESSIONE AUTOCRITICA La riflessione autocritica sul nostro quindicennio non solo non è un impaccio, ma può conferire maggiore credibilità all'opposizione. Così fti per la mia generazione dopo la sconfitta delle giunte di sinistra nell'85. Noi giovani di allora sottoponemmo a severa critica tutto ciò che aveva fatto la generazione precedente, questo non ci frenò nella lotta contro il sistema di potere di Sbardella, anzi ci diede spunti per elaborare un nuovo progetto per Roma insieme a persone che venivano dalla crisi della Dc e del Psi e dai fermenti dell'area laica e ambientalista. Così sui banchi dell'opposizione si creò la squadra di governo che poi vinse nel '93. Quando ho invitato i giovani del Pd a fare la stessa cosa criticando l'opera della nostra generazione uno di loro mi ha detto che oggi è più difficile. Non era facile neppure fare i conti con l'opera di Argan e Petroselli; per l'elezione a capogruppo a me toccò di andare in competizione addirittura con il sindaco uscente Ugo Vetere, al quale peraltro mi ha sempre legato tanto affetto. Però in quelle battaglie si cresce; credetemi cari giovani del Pd, solo buttandosi in acqua si impara a nuotare. La riflessione autocritica non è neppure cominciata. Molti protagonisti sono rimasti in silenzio. A chi tentava di andare più in profondità è stato risposto che non va smarrito il valore di quanto realizzato. Credo di saperne qualcosa delle benemerenze di quelle amministrazioni. Ricordo bene che cosa era Roma all'inizio degli anni novanta: l'amministrazione disfatta da Tangentopoli, i cittadini che avevano perfino esaurito la voglia di chiedere qualcosa al Campidoglio, il disprezzo dell'opinione pubblica nazionale, l'assenza totale nello scenario internazionale. Eravamo alla vigilia della grande mutazione glocal che ha instaurato relazioni nuove tra le città e il mondo e se Roma avesse perso quell'occasione oggi sarebbe -una città in decadenza. L'Ulivo ha portato la capitale nel nuovo mondo accompagnandola in un passaggio di millennio degno del suo rango. Abbiamo dato alla città due grandi sindaci che hanno avuto un ruolo decisivo nella rinascita della città, aiutandola a ritrovare fiducia nelle proprie risorse culturali e civili. Solo quando avremo maturato il distacco dell'analisi storica si capirà la grandezza della svolta che abbiamo impresso alla vicenda di Roma. La nostra opera di governo non va però imbalsamata, dobbiamo farle onore con l'analisi critica. Proprio noi che abbiamo governato abbia67


mo la responsabilità di spiegare i limiti di quell'esperienza, per quanto mi riguarda anche nella politica della mobilità, non ho qui il tempo ma lo farò in altra sede. Non siamo stati capaci di stare dietro ai cambiamenti che abbiamo suscitato. Come una squadra stanca che butta la palla in avanti senza avere la forza di raggiungerla. La trasformazione è andata al di la delle nostre possibilità di comprenderla e quindi di governarla. Ad un certo punto è venuta meno anche la curiosità di capire che cosa stava succedendo dentro il caleidoscopio romano. Quando avevamo il vento in poppa lo spirito critico non era di casa e abbiamo cominciato a credere alla nostra propaganda, che è sempre il segno premonitore di una sconfitta. Giustamente abbiamo valorizzato il grande balzo in avanti del PIL romano in controtendenza con quello nazionale, ma quel dato era abbagliante, rimaneva solo da applaudire, c'era poco da capire. E invece sarebbe stato utile vedere l'ambigua modernità di Roma. Certo, i dati ci parlano di una formidabile crescita di piccole imprese soprattutto nel terziario avanzato, ma nella maggior parte dei casi sono nate dalle commesse dei ministeri, degli enti locali, delle strutture sanitarie e soprattutto delle grandi aziende pubbliche, le quali, pur affrontando le privatizzazioni, hanno mantenuto ampi margini di monopolio; pensiamo al ruolo di Telecom, Alitalia, Rai, Capitalia, Enel, Finmeccanica, Fs, Eni. La competizione mondiale ha costretto questi gruppi a esternalizzare molti servizi e da questo grande outsourcing sono nate le imprese del terziario avanzato. Qualcosa del genere è accaduto anche nel settore delle costruzioni che ha attraversato una vera e propria bolla speculativa. L'edilizia non è più quella delle palazzine di una volta, ma è un settore integrato con la finanza, i servizi alle imprese, il marketing. La vendita dei patrimoni degli enti previdenziali, ad esempio, ha lasciato ampi margini alla intermediazione finanziaria. L'euforia del mercato ha fatto sorgere in ogni quartiere un'agenzia immobiliare. Così anche questo vecchio motore dell'economia romana ha contribuito alla crescita delle imprese dei servizi. Lo sviluppo di Roma nel quindicennio è stato una sorta di Minotauro, metà bestiale e metà umano, metà new-economy e metà old-economy. La nuova economia romana è un fenomeno reale, è un successo in.11.]


credibile realizzato in un Paese declinante, ma la sorgente del processo è collocata nella vecchia economia dei monopoli e del mattone Quando celebriamo i successi innegabili delle piccole imprese dobbiamo sapere che sono molto diverse da quelle del nord, la gran parte non si sono affermate proponendo prodotti sui mercato, ma sono state sostenute dalla inevitabile ristrutturazione dei settori protetti. Ciò rende incerta la prospettiva soprattutto nei momento in cui quei motori della crescita sembrano rallentare: tutti si aspettano l'esplosione della bolla immobiliare e i player ex pubblici hanno cambiato quasi tutti strategia: il comando di Telecom e Capitalia si è spostato a Milano, Alitalia è in corna irreversibile, la Rai è fagocitata dall'azienda del presidente del consiglio, Finmeccanica ha venduto ai francesi il gioiello romano dell'industria spaziale e tutte le altre - Eni, Enel, Fs - hanno dovuto abbandonare le diversificazioni degli anni novanta per tornare ai rispettivi core-business; scelta positiva per loro, ma negativa per l'economia cittadina. Avanzo qui una tesi controversa e schematica per sollecitare una riflessione: il vero cambiamento non ha riguardato il lato della produzione, ma quello del consumo. E sorta sui Gra ad opera di investitori stranieri una corona di grandi centri commerciali, uno tra i più potenti sisterni della grande distribuzione italiana. La vecchia rete dei piccoli negozi ha reagito con la specializzazione merceologica e l'innalzamento di qualità. Passeggiando per Roma è difficile trovare un negozio rimasto come quindici anni fa; il vostro bar dove si svolge quel rito romano della colazione ha sicuramente modificato gli arredi e i prodotti. Non a caso la Camera di commercio è stato il soggetto più dinamico. Ma non è stato solo un fenomeno economico, ha riguardato gli stili di vita e il senso comune dei cittadini. Pensiamo all'abitudine ormai consolidata in tante famiglie romane di passare il week-end nei grandi centri commerciali non solo per fare shopping, ma per adagiarsi sulle tendenze del momento, scoprire nuovi sapori, vedere un film, sentire musica e partecipare a nuove forme di socialità. I romani hanno dimostrato di essere consumatori scaltri di fronte alle offerte innovative del mercato. Basti pensare al successo di Ikea che in pochi anni ha dovuto raddoppiare gli spazi espositivi. Di questa vivacità si è accorto il marketing e non a caso il dialetto romano è entrato proprio in questi anni di prepotenza nel-


- - - - le grandi campagne pubblicitarie, da Bonolis, a Proietti, Amendola, fino a Totti. La cadenza romana, per tanto tempo considerata volgare, è diventata invece uno stile della comunicazione nazionale della postmodernità. Alla rivoluzione dei consumi hanno contribuito fortemente la cultura e io spettacolo e questa componente è stata intercettata alla grande dalla politica comunale, come dimostra il bel libro appena pubblicato da Gianni Borgna. Il punto più alto di quell'esperienza è stato certamente l'Auditorium, divenuto in poco tempo il migliore esempio italiano e in una certa misura europeo di organizzazione culturale. Da tutto ciò sono scaturiti i record del turismo, aiutati da una formidabile politica di marketing urbano, prima coi Giubileo di Rutelli e poi con i grandi eventi veltroniani. Anche il ritrovato ruolo internazionale di Roma è stato quindi giocato più dal lato del consumo che da quello della produzione. Infatti, nonostante il forte balzo in avanti dei flussi turistici l'indice degli investimenti esteri è rimasto piuttosto basso, lo 0.6% del Pii, poco sopra la media italiana, ma molto lontano dal 3% di Milano, il 4% dell'Ile de France, il 6% della Catalogna. TROPPÀ CULTUPA?

Si sente dire ci siamo dedicati troppo alla cultura, semmai è vero il contrario, dovevamo fare ancora di più per la conoscenza, ma in altre direzioni. La capitale è un grande polo scientifico con un investimento in ricerca doppio rispetto alla media nazionale. E una risorsa che risiede a Roma, ma senza relazioni significative con l'economia cittadina. Il senso comune non vede questa città tecnologica. L'antenna che ha rivelato la presenza dell'acqua su Marte è stata progettata e realizzata nei laboratori di ricerca romani e i progettisti nessuno li conosce. Se il primato avesse riguardato un calciatore o un cantante tutti ne ricorderemmo il nome. Le università sono ripiegate sulle angustie accademiche e colpite duramente dai tagli dei finanziamenti, proprio in questi giorni è arrivato il colpo di maglio di Tremonti. Le università romane sono un giacimento prezioso di saperi e debbono essere stimolate ad attrarre investimenti di ricerca a livello internazionale, come hanno saputo fare, ad esem70


pio, in ambito tecnologico il politecnico di Torino con i laboratori di Motorola e l'università di Trento con la Microsoft. Avremmo un brand eccezionale nelle tecnologie dei beni culturali; proprio mentre i Paesi in via di sviluppo scoprono i propri reperti archeologici e quindi hanno bisogno di archeologi, di tecniche di restauro, di metodi di tutela, Roma potrebbe qualificarsi come centro mondiale per la formazione e la ricerca nel settore; sarebbe l'occasione per creare imprese innovative capaci di portare i nostri giovani a lavorare in tutto il mondo, come aveva visto molto bene un apposito capitolo del progetto industria 2015 del ministro Bersani. Avremmo dovuto insistere di più su iniziative come Enzimi che incoraggiavano la produzione creativa dei giovani; il futuro della società della conoscenza si gioca soprattutto nell'attrazione di giovani talenti. A Roma si passa volentieri una vacanza ma è difficile per un giovane impiantarvi un'attività creativa. Sono mancate politiche di sviluppo fondate sulla scienza e la tecnologia e dobbiamo elaborarle dall'opposizione. I grandi cicli storici dello sviluppo urbano hanno sempre realizzato architetture capaci di cogliere lo spirito del tempo: dalla cattedrale gotica del basso medioevo al boulevard ottocentesco, a volte anche in negativo, come le borgate del fascismo o i palazzi della Magliana della speculazione del dopoguerra. Anche il quindicennio del centrosinistra è stato un formidabile ciclo si sviluppo della città. Mi domando quali sono state le sue cattedrali gotiche? Certo la bella piazza disegnata da Renzo Piano all'ingresso dell'Auditorium; però anche gli ipermercati a forma di scatolone hanno lo stesso diritto di rappresentare il nostro tempo. Con una differenza fondamentale, noi conosciamo bene il popoio che frequenta l'Auditorium, sappiamo leggere in anticipo le sue tendenze, ma sappiamo ben poco degli umori del popolo degli ipermercati. Per preparare la manifestazione del 25 ottobre andiamo a fare volantinaggi davanti ai centri commerciali: sarà lccasione per ascoltare una parte di Roma che abbiamo perso di vista in questi anni. I CAMBIAMENTI POSSIBILI Un partito deve prima di tutto capire i processi in atto se vuole governarli. E questo compito non può essere affidato agli staff dei leader, 71


ma deve tornare ad essere un lavoro collegiale. Come Pd dovremmo creare una casa della città per coinvolgere le tante intelligenze che sarebbero felici di dare un contributo, un luogo in cui parlamentari e consiglieri incontrano permanentemente cittadini, associazioni e forze sociali, un osservatorio sulla trasformazione di Roma. C'è da domandarsi se il nostro riformismo è stato all'altezza del mutamento che pure abbiamo innescato. I miglioramenti sono innegabili ma è rimasto molto faticoso vivere aRoma: fare una pratica, aspettare un autobus, svolgere un'attività. Quindici anni non sono bastati per cambiare la struttura comunale, una burocrazia di circa 50 mila dipendenti a cui è stato chiesto di fare tante cose in più, senza cambiare le logiche di funzionamento. All'inizio tentammo senza successo di riformaria, ma già dal secondo mandato abbiamo smesso di provarci, poi è prevalsa l'idea di dedicarsi a fare le cose senza occuparsi degli strumenti. E questa impostazione è stata premiata a breve dai successi elettorali. Ma alla lunga la macchina si è arenata e sono emerse le inefficienze. Non siamo mai riusciti a coinvolgere profondamente i lavoratori pubblici nel rinnovamento della città, a premiare i meriti, a valorizzare le risorse civili e professionali. Nelle aziende municipali è prevalso un impasto di retorica privatistica e inefficienza pubblica. E' mancato un coerente disegno di fuoriuscita dai monopoli pubblici; realizzammo la prima liberalizzazione italiana del trasporto mettendo a gara un quinto della rete Atac, ma poi guidammo la controriforma con la gestione inhouse. Aziende come l'Ama non sono mai state toccate da una seria ristrutturazione e i risultati si vedono. Ho conosciuto tanti amministratori che a parole facevano lezioni di riformismo, ma quando si passava alle aziende non volevano cambiare nulla. Col passare del tempo il nostro riformismo ha abbassato le ambizioni, ci siamo adeguati alle resistenze corporative. E' un percorso seguito anche a livello nazionale. La cultura di governo del centrosinistra nell'ultimo decennio si è appannata, il primo Ulivo aveva il gusto delle grandi riforme e poi via via ha vinto la gestione dell'esistente. La frammentazione politica ha riportato la lottizzazione nella gestione della cosa pubblica abbassandone la qualità. Se il Pd è contro la frammentazione deve anche ricostituire il primato delle competenze. Dovevamo utilizzare quel 60% di voti per superare le resistenze al 72


cambiamento. I consensi devono essere investiti nelle riforme difficili per produrre nuovi consensi, se invece vengono considerati una rendita alla lunga si consumano. I MODELLI ROIvIA Questo è stato il difetto del Modello Roma. Questa formula era declinata al singolare, proprio mentre lo sviluppo riaccendeva in chiave moderna quel dualismo della società romana che ha radici lontane. Uno studio condotto da economisti di Roma Tre ha messo in evidenza i successi dell'economia romana, ma allo stesso tempo l'accentuarsi degli squilibri nella ripartizione della ricchezza e delle opportunità. Si sono esasperate le differenze tra chi si arricchisce con le rendite e chi si impoverisce lavorando, tra chi possiede la casa e chi paga l'affitto, tra chi sa e chi non sa, tra lavoro garantito e precariato senza diritti, tra chi ha un santo in paradiso e chi si rimbocca le maniche, tra chi apre nuove opportunità e chi recinta il già fatto. Ci siamo illusi che Roma potesse rimanere immune dalle fratture che la globalizzazione rugosa di questi anni innesca all'interno dei Paesi occidentali. C'è stato un momento di consapevolezza con la lettera di Veltroni a Prodi sulle emergenze sociali, ma è stato un episodio passeggero, mentre dovevamo affrontare il problema con una riforma organica del welfare locale. Oggi dobbiamo riprendere quel discorso dall'opposizione. La sicurezza è stato un altro terreno di lacerazione della società romana, forse il più lancinante. Sono nati due diversi immaginari collettivi, da un lato la parte di città che opera nello scenario internazionale e ne avverte le opportunità; dall'altro, il disagio di quartiere che vive con rancore l'arrivo degli immigrati. Due modi inconciliabili che hanno fatto corto circuito nel raid del Pigneto. Che cosa c'è dietro questo bisogno d'ordine che viene dalla periferia romana? Eppure lì le regole non sono mai state rispettate un granché; circa 800 mila romani abitano in una casa condonata, la più grande conurbazione abusiva europea. L'illegalità diffusa c'è sempre stata a Roma, tanto da essere metabolizzata nel costume e nell'economia cittadina. Quando però irrompe l'immigrazione salta il vecchio equilibrio. L'ambulante di un tempo era una figura popolare, ma il suk dei clandestini 73


diventa inaccettabile. La sicurezza è inseparabile dalla legalità. Il rispetto delle regole non può valere secondo il colore della pelle: o vale per tutti i cittadini o non è legalità. Qui è la differenza tra destra e sinistra. Quando dicemmo agli abusivi di smetterla e andammo a demolire palazzine senza licenza i consiglieri di Alleanza Nazionale minacciarono di darsi fuoco in segno di protesta. Roba da matti! Noi di sinistra ci siamo fatti dare lezioni di sicurezza da una destra che ha sempre fomentato gli istinti illegali della società romana. Ad ogni elezione si riscopre la periferia ricorrendo a vecchi stereotipi senza vederne i mutamenti strutturali. A mio parere non siamo riusciti a modificare la tendenza di fondo che ha dominato lo sviluppo territoriale di Roma per l'intero secolo. Si è continuato ad espandere la città nell'agro romano costruendo tanti quartieri isolati tra loro e sempre più lontani dal centro. Ciò ha appesantito la vita quotidiana dei cittadini, sia di quelli che già vi abitavano sia dei nuovi venuti, e soprattutto ha aumentato il pendolarismo tra una periferia sempre più lontana e i luoghi centrali di lavoro, fino a produrre l'ingorgo permanente sulle consolari all'altezza del Gra. Da questo deriva il disagio delle periferie. E nel voto se ne sentono le conseguenze. Federico Tornassi ha dimostrato che il nostro risultato elettorale è inversamente proporzionale alla distanza dal Campidoglio e perde dieci punti passando dalla periferia storica ai quartieri extra-Gra. Queste fratture della società romana non le abbiamo viste per tempo. Certo il sindaco Veltroni si è impegnato allo spasimo per rafforzare i legami comunitari della città. Ha messo in campo una forza morale contro l'egoismo e la frammentazione, dal Colosseo illuminato contro la pena di morte, ai viaggi della memoria ad Auschwitz con gli studenti, fino alle piccole storie di civismo del quartiere. E' stata una politica alta di cui il centrosinistra può essere orgoglioso. Mentre l'Europa si chiudeva su se stessa, come impaurita dal mondo, dalla capitale italiana è venuto un messaggio di fiducia. Eppure questa narrazione comunitaria non è stata sufficiente, i processi oggettivi andavano nella direzione opposta, prosciugando i fiumi della fiducia e riempiendo i serbatoi del rancore. Così durante la campagna elettorale all'improvviso abbiamo scoperto una Roma rancorosa che non conoscevamo prima. 74


Ma forse non poteva bastare un grande sindaco a tenere unite le corde di un'intera città. Noi come partiti di centrosinistra lo abbiamo lasciato solo, come spettatori di una partita difficile. Oggi che non abbiamo più le leve amministrative dovremmo dedicarci a costruire il partito nuovo come connettore delle energie civili, cominciando proprio da quella periferia più estrema dove siamo stati battuti dalla destra. Lì possiamo misurarci con la difficoltà di unire ceti, interessi, territori intorno a politiche positive di riforma. Nel dopoguerra i partiti di sinistra riuscirono nella periferia romana a tenere insieme gruppi sociali molto diversi: dalla classe operaia dei grandi servizi pubblici - ferrovieri, poligrafici, tranvieri - al sottoproletariato dei borghetti, ai contadini inurbati delle borgate abusive. Non era scontato, a Napoli il sottoproletariato costituì la base sociale della reazione laurina. Da noi, invece, il popolo della periferia si unì con l'intellettualità e costituì un soggetto politico di civilizzazione dell'intera città. La Roma dell'Ulivo aveva alle spalle questa storia di emancipazione. Certo oggi non esistono più quelle classi sociali, ma il problema di tenere insieme interessi diversi si ripropone in termini perfino più drammatici. Ciò che tentava di fare Veltroni con l'appello comunitario all'opinione pubblica, dovremmo oggi provare a realizzarlo con il radicamento sociale del Partito democratico. Unire istanze diverse intorno ad una politica significa in fin dei conti fare popolo. Sì, il popolo non esiste in natura è sempre una costruzione politica. Lasciata a se stessa la società contemporanea tende a frammentarsi, solo la politica, quando è alto impegno civile, può ricostituire basi solide di convivenza tra diversi. Fare popolo è compito del Partito democratico, che possiede i fondamentali per svolgere tale funzione; è tornato in campo un grande partito, che ha oltre il 30%; è l'erede delle migliori culture popolari italiane, possiede ancora quella risorsa morale che porta i cittadini a impegnarsi per il bene comune. Il Partito democratico non è ancora il moderno Partito popolare capace di riformare il Paese, ma può diventarlo. E Roma ne avrebbe grande bisogno. *RelaZione all'incontro tenuto con Nicola Zingaretti e Pierluigi Bersani, Roma, Italia. Si riparte, Roma, 16-7-2008.

75



queste istituzioni n.152 gennaio - marzo 2009

dossier

Una Finanziaria leggera

Nel dossier del n. 144/200 7, "Sulle tracce della Finanziaria" (con contributi di Paolo De loanna, di Giuseppe Pisauro e Giancarlo Salvemini e di Claudia Lopedote) avevamo considerato lo stato dell'arte, esperienze e applicazionipratiche, a diciannove anni dall'entrata in vigore della legge n. 468 del5 agosto 1978, "Riforma di alcune norme di contabilità generale dello Stato in materia di bilancio' Due anni dopo, c'è da rubricare un'ulteriore esperienza. ildecreto-legge sulla manovra triennale dell'estate 2008, con la blindatura dei conti ad opera del ministro dell'Economia Giulio Tremonti. La manovra,fissando tutti i saldi, ha anticipato in larga parte i margini della Finanziaria successivamente varata (una finanziaria "leggera"), creando quindi una griglia poco flessibile entro cui devono operare i singoli dicasteri, la cui autonomia di scelta nel bilancio di competenza è racchiusa in una previsione massima di spesa da ripartire tra i diversi capitoli. Con tagli per oltre trenta miliardi di euro. "Cerco di sbrigarmi perché non voglio l'assalto alla diligenza. Non è più il


tempo di scialare" - queste le parole di Tremonti, il quale ha parlato di 'nercato" riferendosi alle precedenti legislature. Esame in Commissione, fiducia alla Camera epoi al Senato. Con qualche incidente difine percorso, quando qualche ministro (Sacconi) si è accorto di misure che gli erano del tutto ignote, cui si è dovuto porre rimedio. L'operazione di Tremonti ha dovuto subire una battuta d'arresto ad opera del Presidente Napolitano quando si è cercato di concludere entro l'estate anche il varo della Finanziaria. Blitz fallito. Regioni ed altre istituzioni, titolate ad essere consultate, hanno tirato un sospiro di sollievo.. Questa volta, la spinta a sottrarre la manovra economica triennale del bilancio dello Stato all'attacco rituale di ogni singolo ministro, parlamentare e lobbista, viene dalla crisi: nelle parole di Tremonti, «non è più il tempo di chiedere soldi. Sapete bene tutti com'è la situazione e sapete che non siamo più in grado di scialare. I tempi si devono stringere per questo" (la Repubblica, 2 agosto 2008). In ogni caso, la configurazione della sessione di bilancio in Parlamento ne è stata completamente, ma non organicamente, mod,ficata. Quale debba essere la modalità di discussione e approvazione della leggefinanziaria e del bilancio e se questo debba essere d'ora in poi atto del Governo più che del Parlamento è questione cui sembra al momento data una soluzione favorevole al Governo. Tutta da verificare, tuttavia, anche alla luce degli sviluppi delfederalismo fiscale. Intanto, qui di seguito proseguiamo la disamina di problemi di riclass,ficazione dei contenuti del bilancio, anche in una prospettiva comparativa. (C. L.)


queste istituzioni n.152 gennaio - marzo 2009

dossier

Il nuovo bilancio dello Stato: obiettivi e tempi della riforma di Paolo De loanna, Andrea Montanino e Sergio Nicoletti Altimari

L

aspesa pubblica italiana è elemento di criticità sia dal punto di vista quantitativo che da quello qualitativo. Essa assorbe quasi metà della ricchezza prodotta ogni anno dal Paese e tende a crescere a tassi superiori a quello del prodotto nazionale. Negli ultimi 15 anni, soltanto nel biennio 1994-95, nel 2000 e nel biennio 2006-2007 il tasso di crescita della spesa primaria corrente (quella cioè al netto degli investimenti e della spesa per interessi sul debito pubblico) è stato inferiore a quello del Prodotto InternoLordo. In un contesto di regole europee, dove l'obiettivo di medio termine dei Paesi aderenti all'euro è il pareggio di bilancio, tale andamento della spesa pubblica implica l'impossibilità di contenere il livello di pressione fiscale. Anzi, per far fronte al rispetto degli obiettivi europei ed evitare una dinamica insostenibile del debito pubblico, si. è spesso dovuto ricorrere ad un suo inasprimento. Le tendenze demografiche in atto, con un progressivo abbassamento del rapporto tra persone in età da lavoro e in età da pensione, contribuiscono ad aggravare gli andamenti di finanza pubblica. All'aumentare della spesa per prestazioni sociali e sanitaria (le due voci maggiormente influenzate dall'invecchiamento della popolazione) non corrisponderà infatti un analogo aumento del tasso di crescita dell'economia. Di conseguenza, il rapporto tra spesa pubblica e PIL è destinato - in mancanza di forti correttivi strutturali - ad aumentare ancora. Vi è poi l'aspetto qualitativo, che riguarda il contributo della spesa pubblica alla crescita economica ed al soddisfacimento dei bisogni dei cittadini. Come anche riconosciuto di recente dai ministri delle Finanze dell'Unione europea, una delle sfide più pressanti nei Paesi membri Gli autori lavorano ripettivamente presso il Consiglio di Stato, il ministero dell'Economia e presso la Banca d'Italia. Le opinioni espresse sono personali e non coinvolgono gli Enti citati.


è quella di accrescere efficacia e efficienza della spesa pubblica. Questo è indispensabile non solo al perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica dei Patto di Stabilità e Crescita, ma anche per stimolare la crescita economica. Ma misurare l'efficacia e l'efficienza della spesa pubblica non è esercizio di facile attuazione. Concettualmente l'efficienza viene definita dalla relazione tra risorse impiegate (input) e beni e servizi prodotti (output). L'efficacia invece viene definita mettendo in relazione le risorse impiegate con il risultato finale (outcome) che si era prefissato attivando una determinata politica pubblica. L'evidenza disponibile in Italia riguardo l'efficacia e l'efficienza della spesa pubblica è piuttosto scarsa, fatto che riflette una scarsa cultura alla trasparenza sull'uso delle risorse pubbliche e alla produzione e utilizzo dei dati a fini valutativi. Date le difficoltà oggettive di misurare l'efficacia delle politiche, gli studi empirici disponibili sono maggiormente diretti allo studio dell'efficienza. Le poche evidenze disponibili mostrano una generale inefficienza della spesa pubblica italiana, con forti eterogeneità sui territorio in termini sia di input utilizzati per produrre lo stesso bene o servizio, sia in termini di risultati ottenu til. Per ovviare a questa carenza informativa, e per facilitare il processo della decisione parlamentare nell'allocazione delle risorse pubbliche, nel corso del 2007 è stato, ridato slancio alla riforma del bilancio dello Stato, lungo le linee innovative già incluse nella legge n. 94 dei 1997, in buona parte rimaste inattuate. Vale rilevare che si tratta di un caso concreto di utilizzo delle cospicue aree di potenziale innovazione presenti nella nostra legislazione ma che rimangono inesplorate per una forte tendenza della classe politica a preferire l'annuncio (spesso solo retorico) della novità legislativa al duro e oscuro lavoro di riorientamento dal basso della macchina amministrativa. La riforma del bilancio intende fornire ai responsabili politici (Governo e Parlamento in primo luogo) uno schema più nitido sulla graduazione e la distribuzione delle risorse disponibili per perseguire le finalità pubbliche stabilite dal contesto del l'ordinamento giuridico. In prospettiva, la riforma mira ad una sempli ficazione gestionale del bilancio che faciiti il perseguimento delle prio rità e degli obiettivi determinati dal legislatore.


LA RIFORMA DEL BILANCIO DELLO STATO

Il bilancio dello Stato ha tre funzioni principali: è strumento di rappresentazione delle risorse pubbliche disponibili (funzione informativa), è strumento per la decisione politica (funzione allocativa) e strumento per la gestione delle risorse allocate (funzione esecutiva). L'informazione contenuta nel bilancio deve essere fruibile sia ai membri del Governo e del Parlamento, sia ai contribuenti che debbono essere informati sulle scelte dei decisori politici. Vi è chiaramente un trade-off tra completezza dell'informazione e fruibilità: tanto più l'informazione è completa e di dettaglio, tanto meno è leggibile ai non addetti ai lavori. Questo trade-off può essere attenuato impostando il bilancio per diversi gradi di approfondimento, lasciando le informazioni di tipo generale il più semplici possibili e demandando a livelli più di dettaglio la conoscenza della ripartizione delle risorse tra iniziative più micro. La chiarezza dell'informazione riguarda anche il modo ed il momento di contabilizzazione della spesa, se sotto forma di stanziamento, di disponibilità di cassa, di impegnato, di spese, etc. Questo profilo tocca direttamente aspetti interni della tecnica delle procedure contabili in vigore e della loro coerenza con i criteri di convergenza economica che in sede europea vincolano la politica di bilancio dei Paesi membri. La seconda funzione del bilancio (quella allocativa) si esercita nella ripartizione delle risorse disponibili tra usi alternativi, nel rispetto del comma 3 dell'art. 81 della Costituzione che prevede che la legge di approvazione del bilancio non possa stabilire nuovi tributi o nuove spese. Pur con i limiti contenutistici all'innovazione normativa posti dalla Costituzione (limiti che hanno condotto alla prevalenza di letture eccessivamente formalistiche della innovazione ammissibile direttamente nella legge di bilancio) è indiscutibile che essa abbia un contenuto sostanziale di indirizzo di politica economica e vi sono importanti margini di riallocazione delle risorse anche nell'ambito della legislazione vigente. Da più parti si è anzi sottolineato come bisognerebbe tornare ad una sessione di bilancio incentrata sul disegno di legge di bilancio e alla gestione ordinaria delle risorse, demandando alla finanziaria solo interventi a carattere straordinario2. La funzione esecutiva (terza funzione del bilancio) viene esercitata con riguardo alla gestione amministrativa delle risorse una volta che il

[31


bilancio è approvato dal Parlamento ed incorpora le innovazioni introdotte anche dalla legge Finanziaria. La struttura del bilancio utilizzata fino all'esercizio 2008 non assolveva compiutamente a queste tre funzioni. In particolare, essa era di difficile lettura cosicché la discussione parlamentare sull'insieme della manovra di bilancio finiva inevitabilmente per riguardare esclusivamente il disegno di legge finanziaria e non quello di bilancio. L'attenzione era cioè riposta su quel 1-2 per cento dell'insieme delle risorse da allocare annualmente tra bilancio e finanziaria, trascurando la quasi totalità delle risorse pubbliche. La ripresa del processo di riforma del bilancio dello Stato mira a rendere più efficaci tutte e tre le funzioni, offrendo informazioni più leggibili circa l'insieme complessivo delle risorse disponibili per perseguire specifiche finalità pubbliche. Tale maggiore leggibilità viene ottenuta attraverso una revisione della classificazione delle spese per rappresentare in modo più univoco, sintetico e trasparente le finalità perseguite dallo Stato. La riorganizzazione proposta si fonda sulla classificazione delle risorse pubbliche secondo due livelli di aggregazione, le "missioni" e i "programmi", in linea con le esperienze internazionali di classificazione del bilancio per programmi. Si tratta di un primo passo di un percorso pluriennale che dovrebbe portare ad una rivisitazione della componente gestionale del bilancio e alla diffusione sistematica del monitoraggio e della valutazione della spesa. La classificazione proposta permette di passare da un bilancio strutturato sulla base di chi gestisce le risorse (per centri di responsabilità) ad un bilancio che individua cosa viene fatto con le risorse attivate dalla singola amministrazione attraverso la spesa pubblica (per funzioni). I vantaggi della riclassificazione sono sia per l'organo legislativo sia per l'esecutivo. Al Parlamento, la riclassificazione del bilancio permette di stabilire l'allocazione delle risorse confrontando diverse finalità e ponendo l'attenzione non solo sulle variazioni proposte con il disegno di legge finanziaria ma anche sulle risorse già appostate dalla legislazione vigente. Aumenta inoltre le possibilità di monitorare in itinere e valutare ex-post la realizzazione o meno delle finalità pubbliche per le quali è stata decisa l'allocazione delle risorse.


Il Governo può organizzare e realizzare un processo periodico di analisi e valutazione della spesa (spending review) ed affiancare al bilancio strutturato per finalità dello Stato un sistema di obiettivi ed indicatori che fissino risultati attesi e che possano essere utilmente monitorati e valutati. Un bilancio strutturato per finalità facilita inoltre la semplificazione delle strutture amministrative dei ministeri, con una più diretta identificazione dei responsabili della gestione delle risorse. LE MISSIONI Le missioni rappresentano le funzioni principali e gli obiettivi strategici perseguiti con la spesa pubblica. Sono una rappresentazione politico-istituzionale del bilancio, necessaria per rendere più trasparenti le grandi poste di allocazione della spesa e per meglio comunicare le direttrici principali di azione. L'insieme di tutte le risorse presenti sul bilancio dello Stato sono distribuite tra un numero limitato di grandi finalità che vengono perseguite indipendentemente dall'azione politica contingente ed hanno dunque un respiro di lungo periodo. Le missioni identificate per il bilancio dello Stato italiano sono 34 (cfr. Tavola 1). Le missioni possono essere attribuite ad un singolo ministero o a più ministeri, a seconda dell'attuale ripartizione effettiva delle funzioni, superando l'approccio tradizionale che.segmenta la spesa pubblica secondo l'organizzazione amministrativa del Governo. Nell'ambito della legislazione vigente, tale livello di aggregazione ha una funzione puramente rappresentativa ed informativa, anche se può essere ricondotto ad un concetto di "risorse di settore", dove la missione circoscrive l'insieme di risorse disponibili per quella specifica funzione, e dunque essere utilizzata nell'ambito del dibattito parlamentare per organizzare la discussione della sessione di bilancio. La struttura proposta individua due missioni trasversali a tutti i ministeri: una prima missione include le risorse inserite in alcuni fondi di riserva e speciali che non hanno avuto in sede di legge di bilancio di previsione una collocazione specifica ma la cui attribuzione è demandata ad atti successivi. La presenza di questi fondi è esplicitamente prevista dalla legge e può rappresentare in molti casi un elemento di flessi-


bilità del bilancio anche se la loro struttura dovrebbe essere attentamente rivisitata. Ad esempio, il fondo di riserva per le spese obbligatorie si radica su un concetto giuridico contabile di obbligatorietà del tutto convenzionale (si approva un elenco con l'indicazione dei capitoli), frutto della ripetizione di pratiche gestionali e non di una nitida ricostruzione della natura e degli effetti temporali della spesa. Una seconda missione riguarda i servizi istituzionali e generali, che raggruppa le spese di funzionamento dell'apparato amministrativo, trasversali a più finalità e non sempre attribuibili specificatamente. Rientrano in questa categoria anche le spese per l'indirizzo politico. Lo scopo della definizione di una tale missione (peraltro riscontrabile nella gran parte dei Paesi che hanno strutturato il bilancio per missioni e programmi) è quello di raggruppare alcune delle spese non finalizzate che vengono realizzate all'interno di ogni singolo ministero in modo che le risorse attribuite alle altre missioni siano orientate il più possibile ad obiettivi di policy. La Tavola i mostra gli stanziamenti di bilancio per ognuna delle 34 missioni nel 2007 (colonna A) e nel 2008 (colonna B), la distribuzione delle risorse nelle diverse fasi dell'iter parlamentare di approvazione della manovra di bilancio, nonché la distribuzione delle risorse sul totale delle risorse disponibili (ultime due colonne della tabella). Uno schema di questo tipo permette di avere contezza immediata delle variazioni nel tempo, mettendo in luce le scelte strategiche di politica economica. Si evince ad esempio come siano aumentate consistentemente le risorse trasferite alle autonomie territoriali (missione 1) come conseguenza delle norme inserite nella Finanziaria per il 2008 al fine di ripianare i debiti pregressi del settore sanitario. La tabella mostra come l'aumento si sia registrato in sede di prima approvazione del bilancio il 15 novembre in Senato e non quando è stato presentato il disegno di legge da parte del Governo il 30 settembre. Si osserva anche che più del 50 per cento del bilancio è assorbito dalle prime tre missioni: relazioni con le autonomie territoriali, debito pubblico e politiche previdenziali. Esse rappresentano tre missioni particolari in quanto si tratta di trasferimenti, ad altri enti dello Stato o a soggetti privati. 1.412


Tavola i - Il bilancio previsionale dello Stato per missioni. Dati in milioni di eum

2007 DLIS 30settembre

(A)

2066 Legge 2608-2007 DLB approvata (B) - (A) IS novembre

%del %del bilaneio 2608 bilmseio 200i

Relazioni finanziarie con le autononsie territoriali 2 Debito pubblico 5 3 Politiche prevsdenziali 4 lotmziora scolastica 5 L'Italia in Europa e nel mondo

98.415 75.023 65.329 41.381 24.628

100.023 79226 66903 41.609 24048

112.792 78.623 68.558 41.583 27.205

113.465 78.155 68.216 41.618 27.187

15.050 3.132 2.887 237 2.559

23,7 16,3 14,3 8,7 5,7

21,8 16.6 14,4 9.1 5,4

6 Diritti sociali, solidarietà sociale e famiglia 7 Difesoe sicurezza del tenilorio 8 Fondi doripastios 9 Ordine pubblico e sicurezza

24.178 20.729 20.360 9.551

24046 19.172 17.286 9.422

24.234 19.608 19.961 9.320

24.284 19.022 19.963 9.375

106 -1.707 -397 .176

5,1 4,0 4,2 2,0

5,3 4,6 4.5 2,1

8.716 8.384 9.182 7.629 3.805 4.421 3.882 3.802 3.526

&875 9168 7.960 7.275 5.574 4.545 3.968 3.778 1710

8.993 8.760 10.514 7.267 4.432 5.429 4.060 3.914 3.754

8.935 8.683 10.997 7.278 4.605 4.689 4.062 3.245 3.910

219 299 1.785 -351 260 268 210 -557 384

1,9 1,8 2.3 1,5 0,8 1,0 0,9 07 0,8

1.9 1,9 2,0 1.7 0.8 1.0 0,9 0,8 0,8

3.145

3.233

3.334

3.341

196

0,7

0,7

3.084 3.133

2920 2.701

2.829 3.623

2.842 3.657

.242 524

0,6 0,8

0,7 0,7

22 Immigrazione, accoglienza e garanziadei diritti Tutela e valorizzazione dei beni attività 23 cultusotiepacsaggistici

1.356

1.427

1.485

1.558

202

0,3

0,3

1.471

1.380

1.632

. 1.646

175

0,3

0.3

24 Agricoltura, politiche agroolimnniasi e pesca 25 Casa e assetto urbanistico 26 Giovani e sport 27 Cassunicazioni 28 Tutela della salate Amministrazione generale e sopporto allo 29 rappresentanza generale di Governo e della Stato sal territorio

1.274 1.068 974 1.412 720

1.255 1.060 902 896 702

1.363 1.060 958 1.353 881

1.414 1.052 963 1.386 928

140 -16 -lI .26 208

0,3 0,2 0,2 0,3 0,2

0,3 0.2 0,2 0,3 0,2

340

353

352

352

12

0,1

0,1

IO Politiche ecosasmico-finaeziarie e dibilancio" Il Istruzione universitario 12 Diritto alla mobilità 13 Giustizia 14 Casipelitività e sviloppo delle imprese IS Svsluppo e riequilibrio territoriale 16 Ricerca ed inrasvazionc 17 lnfroatrnttursr pubbliche elogistica 18 Soccorso civile 19 Organi costituzionali, arilnvarszo costituzionale e Ps-esistenza del Consiglio dei Ministri Servizi istituzionali e generali stelle 20 amministrazicesi pubbliche 21 Politiche per il lavoro

30 Csrsmercio internazionale ed 0,1 30 0.1 234 267 265 inturnazionalizzaziorre del sistema produttivo 235 0,0 0,0 113 III -8 119 113 31 Turismo Sviluppo soslenibile e tutela del territorio e 32 0,4 0,2 1.717 700 1.017 1017 1.665 dell'ambiente Energia e diversificazione delle fonti 33 0,0 0.0 -43 102 59 59 59 energetiche 0.0 0,0 16 -18 34 16 16 34 Regeloziooe dei mestati 166,0 100,0 26.031 452.256 479.457 478.466 TOTALE 452.425 • al netta dei rimborsi dcl debito statale "al netto dege regolaziceri contabili, restitwmoni e rimborsi dirrqsosla Nnta: relolivo al disegno di le88e di bilancio approvata in prima lettura al Senato il IS novembre 2667 incarpora sia gli effetti dcl decreto legge di settembre 2607 sia quelli derivanti dalla legge finanziaria approvata in prima lettura al Senato. Il DLB al 30settembre non avevo incorporati oesssaso di questi effetti.

I

PROGRAMMI

Ogni missione si realizza concretamente attraverso più programmi. I 168 programmi al momento identificati rappresentano aggregati omogenei di attività all'interno di ogni singolo ministero e non possono essere ripartiti tra più amministrazioni. Il programma trova la base normativa nell'art. 2 comma 2 della legge 94/1997 e rappresenta il fulcro


della nuova classificazione proposta. Ha un livello di aggregazione sufficientemente dettagliato da permettere al decisore politico di scegliere l'utilizzo delle risorse tra scopi alternativi e allo stesso tempo il livello di dettaglio non è eccessivo, in modo da superare in prospettiva l'attuale rigidità del bilancio. Poiché il concetto di programma si inserisce nello schema della legislazione vigente, esso potrebbe già da subito essere considerato l'unità previsionale di base (UPB) sul quale il Parlamento esprime il voto. E' evidente la semplificazione che si determinerebbe nei lavori parlamentari in quanto il Parlamento si esprimerebbe su 168 unità di voto, una per programma. La discussione parlamentare ne trarrebbe beneficio perché si concentrerebbe sulle attività effettivamente svolte attraverso le risorse del bilancio e non sulla sua ripartizione contabile-amministrativa. Si tratta di uno svolgimento fisiologico della riforma che potrà realizzarsi se il lavoro sui programmi continuerà in modo costante, con la collaborazione delle amministrazioni di settore, e se le Camere, e le strutture tecniche di supporto, potranno apprezzare i vantaggi di questa operazione in termini di trasparenza e chiarezza decisionale. Nellperare la definizione dei programmi si sono seguiti alcuni criteri generali, in parte adattati per tenere in considerazione la legislazione vigente e gli attuali assetti organizzativi. I programmi dovevano indicare quanto più possibile risultati da perseguire in termini di impatto dell'azione pubblica sui cittadini e sul territorio (outcome) piuttosto che input finanziari o elementi procedurali; di conseguenza, la denominazione del programma doveva chiarire in maniera semplice la finalità perseguita con le risorse attribuite al programma e non riproporre definizioni che riconducessero ad unità organizzative dell'amministrazione. In secondo luogo, la dimensione finanziaria di ciascun programma ed il numero di programmi sottostanti a ciascuna missione non dovevano presentare forti eterogeneità. Ciò implicava l'aggregazione sotto un unico programma di attività molto piccole dal punto di vista delle risorse assegnate o la suddivisione in più programmi di attività finanziariamente ingenti. Nell'effettuare questa costruzione bisognava però garantire lbmogeneità tra le attività sottostanti ai programmi in modo da tenere in considerazione il dettato legislativo dell'art. 2 comma 2 della legge 94/1997. .1sJ


Q.uesti principi sono stati parzialmente rispettati anche se permangono molte aree che necessiteranno di miglioramenti e raffinamenti nel futuro. Ad esempio, alcuni programmi hanno carattere strumentale, indicando cioè input dell'amministrazione statale per perseguire le sue finalità. Inoltre vi sono alcuni casi in cui c'è sovrapposizione di competenze tra ministeri e dunque una duplicazione del programma per tenere conto dell'assetto organizzativo attuale. Infine molti programmi sono intestati contabilmente al Ministero dell'Economia e delle Finanze, pur se la responsabilità amministrativa e gestionale risiede altrove. Ciò dipende dal fatto che le leggi che hanno stanziato le risorse prevedevano l'imputazione nello stato di previsione del Ministero dell'Economia. Da tempo è stata posta l'esigenza di una attribuzione diretta di queste risorse ai rispettivi responsabili politici e amministrativi, ma le resistenze sono fortissime, motivate da una visione formale del controllo di bilancio. La tavola 2 esemplifica l'articolazione delle risorse nel bilancio per l'anno 2008 (competenza) per i programmi sottostanti a due delle 34 missioni, "istruzione scolastica" (10 programmi) e "istruzione universitaria" (3 programmi). Il risultato ottenuto, pur se non ottimale e suscettibile di miglioramenti, permette di perseguire con maggiore efficacia lbiettivo di migliorare la qualità della spesa ed è funzionale a: • l'allocazione delle risorse da parte dellrgano legislativo. Il disegno di legge finanziaria potrebbe essere strutturato in modo da essere una rappresentazione speculare del disegno di legge di bilancio; i titoli potrebbero riferirsi ad ambiti contenutistici (aggregati di settore) che richiamano una o più missioni contigue, e per ogni disposizione dovrebbe esserci il raccordo col programma su cui ricade l'effetto finanziario della decisione. Ciò renderebbe esplicito al Parlamento l'intera allocazione di risorse, sommando quelle derivanti dalla legislazione vigente e alle modifiche proposte con il disegno di legge finanziaria; • la modalità di presentazione delle informazioni relative al bilancio pubblico, con l'esplicitazione dellbbiettivo generale del programma, le attività sottostanti con una completa ricostruzione dei riferimenti


normativi, le risorse disponibili sulla base delle principali caratteristi- che (funzionamento, investimenti, interventi), i soggetti responsabili della gestione del programma, gli indicatori quantitativi di performance; • una gestione più flessibile delle risorse, per rendere più semplice la loro riallocazione tra le diverse attività sottostanti al medesimo programma; oggi l'incentivo da parte delle amministrazioni di effettuare risparmi gestionali è penalizzato anche dalle difficoltà che si incontrano a riutilizzare risparmi eventualmente realizzati in una attività per altre finalità 6 • il monitoraggio della spesa pubblica, non solo in termini di flussi finanziari ma con riguardo allo stato di realizzazione degli obiettivi; • la rendicontazione dei risultati da parte del Governo. Ciò aumenta il ruolo del Parlamento nel vigilare se l'allocazione delle risorse stabilite con il voto parlamentare ha perseguito gli obiettivi dichiarati. ;

Tavola 2. Bilancio previsionale per alcuni programmi (2008, dati di competenza) Missione "Istruzione Scolastica" Programma

Risorse finanziarie (in milioni di euro)

Sostegno all'istruzione Diritto allo studio, condizione studentesca Istituzioni scolastiche non statali Istruzione degli adulti Istruzione elementare Istruzione poat secondaria Istruzione prescolaatica Istruzione secondaria inferiore Istruzione secondaria superiore Programmazione e coordinamento dell'istruzione scolastica

154,9 75 535,3 0,6 12.511,8 1,3 4.169,9 9.680,5 14.131,2 425,3

Missione "Istruzione universitaria" Diritto allo studio nell'istruzione universitaria Istituti di alta cultura Sistema universitario e foimazione oost-universitaria II'onte: ililancio dello Mato 2OU

L'I.,

r.ie

249,3 430,1 8 003,5


CONCLUSIONI

Il percorso di riforma riprende slancio con questa prima riaggregazione per missioni e programmi dei bilancio dello Stato. Vi sono però molte iniziative a cui è necessario dar seguito per evitare che la riclassificazione adottata rimanga solo un modo diverso di rappresentare il bilancio senza incidere sui meccanismi di decisione e di gestione della spesa pubblica. E dunque auspicabile in primo luogo sottoporre a verifica la correttezza delle missioni e programmi già individuati, apportando le eventuali modifiche attraverso un confronto continuo con le amministrazioni di spesa. Le esperienze internazionali in materia di bilancio per programmi mostrano che la struttura tende ad avere una fase di assestamento di qualche anno, e che è importante comunque mantenere una certa flessibilità per far spazio a nuovi programmi7. Va poi semplificata la parte gestionale dei programmi, attraverso una rivisitazione degli attuali capitoli di bilancio. La struttura parcellizzata dei capitoli riduce la leggibilità delle informazioni sui bilancio e permette una rendicontazione soltanto finanziaria in quanto non vengono chiaramente individuate le azioni perseguite. Inoltre, rende difficoltosa la gestione delle risorse in quanto "ingessa" la struttura del bilancio ad una classificazione per capitoli molto capillare limitando fortemente l'azione e le scelte del dirigente responsabile. La determinazione di un limite autorizzativo fissato ad un livello più aggregato, aggregazione già costruita nella legge n. 94/97, era un modo pratico per creare le condizioni giuridiche per uno statuto di maggior autonomia e responsabilità di bilancio per i dirigenti. Questo è un profilo rimasto del tutto sterilizzato nelle applicazioni della legge n. 94/97. In terzo luogo, va implementato un nuovo Rendiconto Generale dello Stato, che permetta di evidenziare il rapporto tra risorse utilizzate e risultati conseguiti, integrato con una rendicontazione di tipo economico, sulla falsa riga del "rapporto di performance" dei bilancio francese8. La maggiore flessibilità gestionale delle risorse da perseguire spostando l'attenzione sui programmi, va accompagnata con chiare procedure di rendicontazione, con audizioni periodiche dei ministri di spesa nelle competenti Commissioni parlamentari in cui si andrebbe a "render conto" dell'utilizzo delle risorse assegnate. Per questo, è necessaria l'identificazione di chiari obiettivi ed indicatori di efficacia ed efficienza per ogni programma.


In quarto luogo, va ricordato che la riclassificazione dei bilancio riguarda lo Stato, ma non coinvolge gli enti di previdenza e gli enti locali. Le missioni piĂš ampie finanziariamente sono proprio quelle dei trasferimenti, dai bilancio dello Stato agli enti locali e agli enti di previdenza. A fini conoscitivi, sarebbe utile costruire anche per gli altri enti della pubblica amministrazione un bilancio per missioni e programmi, in modo da individuare come le risorse trasferite dai bilancio dello Stato vanno a contribuire alla realizzazione dei programmi gestiti da altri enti. Vanno poi individuati in maniera formale i "coordinatori" o "responsabili di programma" all'interno delle amministrazioni, in modo da favorire un approccio sistemico e superare le attuali divisioni di competenze nell'ambito dello stesso ministero tra diversi centri di responsabilitĂ . In una prima fase, il coordinatore di programma potrebbe essere uno dei dirigenti generali preposti al programma che abbia il compito non tanto di gestire l'intero programma quanto di favorire un coordinamento tra i diversi soggetti che, all'interno del ministero, hanno la responsabilitĂ condivisa sui programma. Il coordinatore potrebbe essere stabilito dal ministro con semplice atto amministrativo e non richiederebbe una riorganizzazione dell'amministrazione. Infine, poichĂŠ si rende immediatamente leggibile il legame diretto tra risorse stanziate e azioni perseguite, andrebbero individuate e rese note in maniera univoca le norme di spesa che sottostanno a ciascun programma. La presentazione del disegno di legge di bilancio per programmi potrebbe essere associato ad un allegato che elenca la normativa di spesa sottostante. In questo modo si potrebbe gradualmente effettuare un'azione di accorpamento delle diverse leggi di spesa che insistono sui medesimo programma e individuare una o poche "leggi di programma". Il principale risultato di queste azioni sarebbe quello di dare maggiore flessibilitĂ gestionale ai ministeri e di evitare il proliferare di norme che vengono inserite in Finanziaria al solo scopo di spostare fondi all'interno dello stesso programma.


AFONSO A., SCHUKNECHT L. e V. TANZI, Public sector fficiency: an International comparison in «Public Choice», n. 123,2005. COIvIIvIISSIONE EUROPEA, Public Finances in EMU 2003. FONDO MONETARIO INTERNAZIONALE, Italy: budget system reform, 2007 in www.tesoro.it/web/apri.asp?idDoc=17723M INISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE, Libro verde sulla spesa pubblica, 2007. ROBINSON M. e H. vai EDEN, "Program classification", in M. ROBINSON (a cura di), Performance Budgeting, Paigrave, 2007. SENATO DELLA REPUBBUCA, A conclusione dell'indagine conoscitiva sulle linee di rforma degli strumenti e delle procedure di bilancio, approvato dalla V Commissione Permanente (Bilancio), Documento )(V1I numero 5 del 22 maggio 2007 in www.senato.it/service/PDF/PDFServer?tipo=BGT&id=264008 Cfr. Il comunicato del Consiglio informale ECOFIN di Berlino del 20-21 Aprile 2007, disponibile al seguente link: http://www.eu2007.de/en/News/Press_Releases/ApriIIO421ECOFIN.html 2 A titolo di esempio si può utilizzare il caso dell'istruzione. Le risorse impiegate (insegnanti, strutture scolastiche, denaro) rappresentano l'input mentre l'output viene misurato con degli indicatori di performance quali il numero di studenti che conseguono un diploma. Il risultato perseguito dalle politiche dell'istruzione (outcome) invece possono essere rappresentati dall'obiettivo di innalzare il livello delle competenze di un dato Paese o quello di ridurre la disoccupazionegiovanile o aumentare i livelli di benessere della popolazione. Si veda COrvIMIssIONE EUROPEA (2002) e AFONSO, SCHUNKNET, TANZI (2005). Si veda l'audizione del ministro dell'Economia e delle Finanze Tommaso PadoaSchioppa presso le Commissioni Bilancio di Camera e Senato riunite del 13/06/2007 e

disponibile al sito www.tesoro.it/web/apri . asp?idDoc=18963 La riclassificazione è stata realizzata seguendo le linee suggerite dalle Commissioni Bilancio di Camera e Senato in un documento preparato in seguito ad una indagine conoscitiva nella primavera 2007. Il documento è disponibile sul sito www.senato.it/ service/PDF/PDFServer?tipo=BGT8dd=26 4008. 6 Si vedano le considerazioni di Robinson e van Eden (2007) e il sistema di classificazione del bilancio francese, disponibile al seguente sito internet: www.performance-publique.gouv.fr/fileadminlmedias/documents/ressources/LF12008 /missions_programme_2008.pdf Il concetto di missione qui delineato si avvicina al primo livello della classificazione COFOG, il cui scopo è quello di confrontare macroaggregati ed avere una rappresentazione sintetica della spesa pubblica. Se ne allontana per la maggiore capacità esplicativa in quanto la classificazione in missioni ha ricondotto a funzioni primarie dello Stato italiano attività che nella classificazione COFOG (la quale origina nei Paesi anglosassoni) vengono considerate al secondo o terzo livello. Nello stesso tempo non fa riferimento a tutte le funzioni di primo livello COFOG, in quanto alcune hanno una scarsa capacità esplicativa (es. affari economici e generali). 8 Si vedano le considerazioni riportate dal Fondo Monetario Internazionale nel Rapporto del maggio 2007 e disponibile www.tesoro.it/web/apri.asp?idDoc=17723 Si veda ROBINSON e VAN EDEN (2007). 10 Disponibile al sito wwwperformance-publique.gouv.fr/farandole/2007/LRBLEUM SN_MSNAD.htm#resultat

91


queste istituzioni n.152 gennaio - marzo 2009 -

dossier

La riforma del bilancio dello Stato in Francia: quali regole, quale democrazia. dì E/ma De Simone

egli ultimi anni la maggior parte dei Paesi aderenti all'OECD ha intrapreso riforme per rinnovare strutture e procedure per le decisioni di finanza pubblica. Tale processo di rinnovamento ha interessato massimamente le regole di bilancio, ossia quella complessa struttura di meccanismi che regola i conti pubblici e che determina l'indirizzo economico di ciascun Paese. In questo articolo ci si concentrerà sulle ragioni che hanno indotto il cambiamento delle regole in materia di bilancio nonché sulle dinamiche istituzionali che tale processo di rinnovamento ha evidenziato, con particolare riguardo alla riforma di bilancio avvenuta in Francia, ma sottolineando anche eventuali similitudini generali nelle scelte di policy di bilancio tra i Paesi OECD. I modelli di struttura di bilancio che sono stati adottati a livello internazionale, infatti, rispondono a precise scelte di politica economica, come dimostra la recente "pubblicazionemanifesto" del Conseil d'Analyse économique francese, intitolata Economie politique de la L0LF (CAE 2007), in riferimento alla recente legge sul bilancio adottata dal parlamento francese. Le regole procedurali descrivono il modo con cui si stabiliscono le decisioni collegiali da parte delle autorità politiche, amministrative e giudiziarie, così come determinate dal sistema di votazione e di successiva nomina politica (inclusi i sistemi elettorali di cui dispone l'elettorato per partecipare al processo decisionale mediante la nomina dei membri delle assemblee rappresentative) (Kraan, 1996, p. 9). Le modifiche alle procedure possono, quindi, rappresentare il tentativo di controllare la finanza pubblica attraverso la regolamentazione dei processi, lasciando supporre che, attualmente, sia l'ambiente istituzionale a determinare la struttura di governance per ciascuna transazione di carattere politico. Da un'analisi della riforma delle strutture di bilancio presenti in alcuni Paesi OEcD'

N


emerge l'attenzione conferita, negli ultimi anni, a nuove forme di rendicontazione: si ritiene che siano proprio le forme istituzionali stabilite per garantire l'accountabiity ad essere divenute il campo su cui si gioca la partita tra democrazia e regole, tra scelte pubbliche ed istituzioni. In altre parole, sembra emergere una sorta di convergenza nell'adozione di regole simili in grado di garantire un'efficienza prestabilita dalle scelte di policy che proprio la formulazione delle regole dovrebbe rendere automatiche. Sembrerebbe materializzarsi il tentativo di superamento o almeno minimizzazione della fase democratica della discussione mediante l'istituzionalizzazione delle procedure, con flbiettivo di stabilire quadri regolatori predefiniti che suppliscano alla discrezionalità politica che, invece, potrebbe estrinsecarsi solo in processi dinamici e non prestabiliti, eccezion fatta per l'attribuzione delle competenze. A riprova di ciò, gli autori del documento francese citato (CAE, 2007) ritengono che le regole fissate dalla nuova disciplina sul bilancio possano coincidere con, o rendere evidenti, le preferenze rivelate dei policymakers. Tuttavia, è possibile sollevare dei dubbi sull'effettiva possibilità di coincidenza tra preferenze dei politici e quelle delle collettività, a meno di non considerare l'ipotesi (tutt'altro che democratica!) di un dittatore benevolente onnisciente à la Samuelson. A nostro avviso, un maggior ricorso allo strumento della trasparenza delle procedure non elimina necessariamente il conflitto politico ma semmai può ridurlo: d'altro canto sembra, invece, che i policymakers tentino di risolvere il problema della democrazia rappresentativa, ossia della legittimità delle scelte, cristallizzando la struttura di bilancio in regole ed istituzioni ben precise, in cui la bontà della procedura viene addotta a garanzia del raggiungimento degli obiettivi dichiarati di politica economica. La necessità di implementare sistemi di controllo sempre più stringenti appare una necessità politica sia nei confronti della comunità internazionale che nei riguardi dell'elettorato, necessità che spesso, come dimostra l'elevato grado di similitudine nelle scelte politiche, assume le sembianze di un policy learning internazionale di cui appare interessante indagare cause ed effetti. Prima di affrontare i temi specifici della riforma francese, nel successivo paragrafo richiamiamo, sia pur brevemente, gli aspetti dell'impostazione internazionale più diffusa circa gli elementi della riforma del bilancio dello Stato. 93


IL PROCESSO ED I PRINCIPI: TRASPARENZA E CONTROLLO

Come è noto, il bilancio dello Stato è un documento contabile che ha tre funzioni principali: è strumento di rappresentazione delle risorse pubbliche disponibili (funzione informativa), è strumento per la decisione politica (funzione allocativa) e strumento per la gestione delle risorse allocate (funzione esecutiva)2. Le regole prevalenti oggi, che disciplinano il bilancio, rientrano nella categoria più generale delle regole in materia di finanza pubblica che sono adottate dai vari Stati al fine di promuovere una crescita economica stabile attraverso il controllo sui debito. La difficoltà che sorge nel definire tali regole è, tuttavia, legata alla multidimensionalità e degli obiettivi da raggiungere e dei vincoli che si impongono al decisore pubblico, come l'amministrazione, la credibilità e la fattibitità politica: per essere efficaci, le regole devono essere "riconoscibili, eseguibili e credibili" (Anderson e Minarik, 2006, p.165). Le regole di bilancio mirano, all'interno della più generale disciplina di finanza pubblica, a regolare il processo di definizione, esecuzione e controllo del bilancio statale, strumento principale di politica economica: pertanto, la scelta tra le differenti soluzioni di disciplina del bilancio riflette la necessità di trovare un compromesso tra differenti criteri ed obiettivi in un contesto caratterizzato sia da numerosi vincoli che da elevata incertezza. Chiaramente, le regole di bilancio, disciplinando in maniera onnicomprensiva il processo di definizione, esecuzione ed implementazione della politica fiscale di un Paese, possiedono molteplici sfaccettature ma si ritiene che siano soprattutto i concetti di trasparenza e controllo nelle diverse accezioni e forme di applicazione, ad aver condizionato il dibattito sulla struttura di bilancio negli ultimi anni a livello mondiale. Le regole di natura fiscale sono in grado di fornire un'efficace struttura di implementazione delle scelte politiche se possiedono alcuni attributi che coinvolgono sia l'infrastruttura tecnica che quella istituzionale, ossia devono basarsi su un insieme di "institutional building blocks" che la letteratura recente individua negli standard di trasparenza, in un'autorità di controllo che vigili sul rispetto delle regole ed in sanzioni in caso di violazione di esse (Kopits, 2001, p.9). Dal dibattito attuale risulta evidente che il concetto di trasparenza sta assumendo grande rilievo all'interno della struttura di bilancio, al


punto da diventarne un vero e proprio indicatore di efficienza, come dimostrano i numerosi lavori sull'argomento, nonché le scale di rating relative ai Paesi, basate proprio sul diverso indice di trasparenza (Hameed, 2005). Si è passati dai principi classici di preparazione ex ante (base annua, universalità, specificità, unità, equilibrio), ai principi di verifica ex post del processo di bilancio (budget reporting requirements), ossia accountability, trasparenza, stabilità e orientamento ai risultati. La trasparenza fiscale (transparency) coincide con la totale diffusione di tutte le informazioni fiscali in una maniera cronologica e sistematica5. Viene descritta come: " ... openness toward the public at large about government structure and functions, fiscal policy intentions, public sector accounts, and projections. It involves ready access to reliable, comprehensive, timely, understandable, and internationally comparable information on government activities ... so that the electorate and financial markets can accurately assess the government's financial position and the true costs and benefits ofgovernment activities, including their present and future economic and social implications." (Kopits and Symansky, 1998). Alla trasparenza si associa il controllo (audit) che si riferisce alla verifica delle prestazioni sulla base di criteri precedentemente definiti. In base alla definizione OECD (OECD Budget Practices and Procedures survey), "An audit is an expert examination of legai and financial compliance or performance. Audits can either be carried out to satisf' the requirements of management (internal audit), or carried out by an external audit entity or any other independent auditor to meet statutory obligations (external audit)". Ad esso si associa il principio della performance che comporta la pubblicazione dei risultati attesi ed ottenuti nonché i principi di efficienza, economicità ed efficacia. La distinzione tra trasparenza e controllo non è immediata e spesso, soprattutto nella fase di implementazione, entrambi trovano applicazione nelle medesime istituzioni all'interno della categoria più generale di accountability, che consiste nella scelta dei soggetti a cui è affidata la responsabilità fiscale e delle modalità con cui essi devono rendere conto dell'effettivo espletamento dei compiti affidati. Il concetto accountability è complesso e comprende svariati aspetti che includono: il passaggio dalla contabilità semplice alla responsabilità fiscale; la necessità di 95


incrementare la trasparenza; l'importanza dell'interfaccia politica; la distinzione tra accountability esterna ed interna; l'utilizzo delle informazioni relative; l'interazione tra i sistemi coinvolti nella determinazione dei risultati dei programmi. Secondo Posner (2006), la distinzione tra trasparenza e controllo si risolve facendo confluire i due termini, rispettivamente, in sistemi informali di accountabiity, che definiscono gli standard impliciti delle prestazioni e le attese legate all'implementazione (trasparenza) e sistemi formali di accountability; basati sulla verifica e sul controllo di gestione (controllo). L'aspetto maggiormente interessante è il legame forte instauratosi di recente tra sistemi di accountability e forme istituzionali, come lo stesso Posner evidenzia: "In the world ofbudgeting, there bave been efforts to increasingly link accountability concepts and institutions with budgeting" (2006, p.74). La riforma di bilancio pioneristica di Paesi come l'Australia e la Nuova Zelanda è stata, infatti ispirata dalla convinzione che le decisioni in materia di bilancio non erano in linea con i documenti e le dichiarazioni emanati dagli organi ivi preposti. Analizzando la riforma di strutture di bilancio presenti in alcuni Paesi OECD emerge, infatti, l'attenzione conferita, negli ultimi anni, a nuove forme ed organi di rendicontazione, divenute il campo su cui si gioca la partita tra democrazia e regole, ossia tra scelte pubbliche ed istituzioni. Il bilancio di risultati rappresenta effettivamente uno strumento per istituzionalizzare il controllo sul bilancio, e testimonia del ruolo centrale che tale forma di contabilità ha assunto nel dibattito politico in generale e nel bilancio, in particolare. Tuttavia, il problema della politica fiscale che sembra palesarsi è che si dispone di regole ed ordini di responsabilità di carattere universale che potrebbero non essere adatte a soddisfare le esigenze di sistemi in continua evoluzione, con differenti contesti istituzionali, altrettanti obiettivi ed evidenti tradeoffs. La soluzione a tale problema varia in un intervallo esteso, che va dalla creazione di assetti maggiormente coercitivi all'affidamento, ad agenzie terze, del momento di verifica e controllo. Si comprende che il grado di discrezionalità e di indipendenza di tali agenzie di controllo, siano esse pubbliche o private, risulta essenziale nel condizionarne modi e forme del processo. Attori e documenti determinano la struttura di aspetti di gestione e controllo per l'agenda


pubblica che vincolano anche i decisori politici. Come sottolinea Posner, la presenza di più attori in un ambiente politico competitivo, può ispirare un "race to the top" tra altri attori, volto a catturare l'attenzione e le risorse destinate alle riforme ed ai miglioramenti in materia di responsabilità fiscale: "Multiple accountability actors within the Congress, the executive and even the public serve to trigger a mutually reinforcing process in this model" (Posner, 2006, p. 79). Il controllo sulle forme di accountability risulta essenziale non solo in termini di appropriazione delle risorse ma anche, e soprattutto, in un'ottica di controllo sulle regole. Ecco perché, oltre ad essere presente una grande attenzione nei confronti del bilancio di risultati, c'è anche grossa attenzione sul grado di democrazia che ne consegue. Ci si chiede se l'attenzione nei confronti del controllo sui risultati vari in funzione della natura e della struttura delle istituzioni coinvolte, nonché soprattutto in funzione della ricettività della burocrazia pubblica alle informazioni di accountability. Infatti una maggiore trasparenza è un modo per creare quella che Powell e Whitten (1993), definiscono "clarity of responsibility" dal momento che facilita l'attribuzione dei risultati alle azioni che li hanno generati, mettendo in luce sia gli effetti auspicati che quelli non desiderati. In altre parole il pregio della trasparenza consiste nel diminuire le asimmetrie informative legate alla non osservabilità dell'azione, consentendo di distinguere l'effettivo sforzo da un comportamento opportunistico degli agenti burocrati o rappresentanti politici. Il grado di democrazia delle scelte di bilancio finisce col riflettersi nel livello di trasparenza: "Fiscal transparency allows voters, interest groups, and competing political parties to observe - or infer with better precision - causes and consequences of a government's fiscal policy, either directly or through the media" (Alt e Lassen, 2006, p. 531). I RIFERIMENTI TEORICI Il processo di rinnovamento in materia di disciplina di bilancio presenta evidenti punti di contatto con l'evoluzione della teoria della burocrazia, tradizionale campo di indagine dell'economia pubblica ed, in particolare, della letteratura sulle scelte pubbliche. 97


In effetti, dopo le riflessioni weberiane, la teoria della burocrazia non gode di successivi sviluppi per un lungo lasso di tempo. La spiegazione, a nostro avviso, potrebbe ricollegarsi al valore ideologico che viene attribuito in letteratura a tale teoria: essa viene normalmente ricondotta all'interno delle teorie sul fallimento dello Stato, mostrando il lato "debole" del funzionamento dell'apparato statale, in opposizione alla sua pretesa possibilità di risolvere il fallimento dell'altra istituzione per antonomasia, ossia il mercato (von Hayek, 1960). In altre parole, se il fallimento del mercato, causa principale della presenza della burocrazia gerarchizzata, promana da cause oggettive indipendenti dal comportamento degli operatori, l'inefficienza dei burocrati statali è invece l'effetto di un comportamento opportunistico e non di istituzioni inefficienti: è come dire che le regole valgono anche se gli attori sono scorretti. Ecco perché tutta la letteratura più recente (teoria dell'agenzia, teoria dei contratti incompleti, teoria dei costi di transazione), ha cercato di risolvere il problema della scissione tra proprietà e controllo, tentando di moltiplicare gli strumenti di signalling legati al problema dell'asimmetria informativa, o quelli di enforcing tesi a garantire il rispetto delle regole. Attualmente, le nuove teorie, aumentando le forme di controllo sull'apparato statale, a dispetto delle analisi positive proposte dalla scuola di Public Choice, ritornano a meccanismi normativi per vigilare sui comportamenti dei burocrati e per costringerli ad essere efficienti. In realtà, il problema del comportamento burocratico in una democrazia di tipo rappresentativo andrebbe analizzato non solo all'interno della gerarchia statale bensì in relazione al processo di scelte collettive di cui esso è espressione, ossia alla luce dei nessi esistenti con le azioni di tutti gli altri soggetti che figurano nella società, ed in particolare i politici eletti ed i cittadini, soprattutto se organizzati in gruppi di pressione. Il rinnovamento del processo di bilancio, con la particolare attenzione volta alla dimensione della trasparenza, si collega al più generale fenomeno di ammodernamento degli Stati contemporanei manifestatosi negli anni ottanta, con l'emergere della supply side economics e le teorie sociali dei Libertarians. Oggetto di pesanti critiche è stata appunto la burocrazia statale, il cui processo di rinnovamento ha preso le mosse dalla teoria del New Public Management, tesa ad introdurre i principi


della gestione profittevole all'interno del sistema amministrativo pubblico. L'introduzione dellbrientamento ai risultati, con maggiore discrezionalità per i dirigenti pubblici ma anche con l'aumento dei meccanismi di controllo a garanzia dell'efficienza, crea le basi di un sistema in cui il cittadino partecipa, attraverso l'informazione, al processo, garantendone il consenso. Tuttavia è facile comprendere che il prezzo da pagare per ottenere una maggiore democrazia di bilancio, intesa appunto come maggiore trasparenza, è molto elevato, soprattutto in termini organizzativi, dal momento che le amministrazioni centrali sono chiamate a rivedere i metodi di formulazione degli impegni di spesa, procedendo ad una ripartizione ottimale dei trasferimenti che non escluda i soggetti politicamente meno forti, quali enti pubblici e collettività territoriali. Soprattutto, il rischio riguarda le politiche di breve termine dal momento che non appartiene al milieu culturale di molti Paesi non anglosassoni la logica del pragmatismo e dell'orientamento al risultato: il criterio del controllo di gestione diffuso potrebbe paralizzare l'intero apparato amministrativo, il cui funzionamento è ben lontano da una logica di impresa. Infatti, come è facile notare, negli ultimi anni si assiste ad un processo di trasmissione internazionale dileggi in materia di strutture di bilancio, spesso incoraggiato da determinati agenti del trasferimento, ossia organizzazioni internazionali che assumono il ruolo di standard setters: IMF, OECD, INTOSAI (The International Organization of Supreme Audit Institutions) e IFAc (Public Sector Committee of the International Federation of Accountants). Tale processo di imitazione delle procedure fiscali (policy learning) viene confermato anche in un recente documento OECD (2004, p. 128): 'When embracing the budget-related aspects of"New Public Management", the Anglo-Saxon and northern European countries adapted budget laws or introduced new ones. In so doing, some countries looked to the leaders of the reform movements. France's 2001 Organic Budget Law was partly influenced by performance oriented budget reforms adopted in the previous decade in other OECD coùntries. New Zealand's budget reform "model" was imitated in several Countries... The Nordic countries, which compare budget problems and solutions in frequent regional discussions, have


adapted their budget systems (including laws in two cases), being fully aware of similar reforms in neighbouring countries". Questa evidente omogeneizzazione delle scelte politiche in materia di bilancio può essere stata determinata da molteplici fenomeni scatenanti quali il passaggio dallo Stato nazione allo Stato di competizione (Evans e Cerny, 2003) e la spinta, causata dalla globalizzazione, verso l'adozione di nuovi modelli in grado di stimolare l'innovazione e migliorare l'efficienza ("better governance" agenda). E molto probabile, inoltre, che tale cambiamento di rotta sia determinato, in Europa, dalla volontà nonché dalla necessità di tarare le p0litiche fiscali e monetarie sui vincoli imposti da Maastricht che hanno ridimensionato notevolmente la politica di bilancio dei vari Stati membri. A tale esigenza spesso i vari Stati hanno risposto con un processo di mimesi (policy learning), mediante l'adozione di soluzioni politicoistituzionali decontestualizzate, con la speranza che fossero in grado di condurre ad obiettivi condivisi a livello sovranazionale. Infine, un ulteriore aspetto che, a nostro avviso, vale la pena trattare è la diffusione, a livello internazionale, di idee forti in grado di condizionare il taglio delle politiche internazionali con l'obiettivo di ridurre la presenza distorsiva dello Stato nell'economia: Williamson (1990) 6 fu il primo a parlare di "Washington Consensus", per indicare la preminenza di principi quali la stabilità macroeconomica (intesa come bilanci in pareggio, stabilità dei prezzi e stabilità del cambio nei Paesi in via di sviluppo); le riforme strutturali, volte ad incrementare la competizione e l'apertura dei mercati ed il rifiuto di ogni possibile tradeoff tra crescita presente e futura. Tale consenso, in realtà, avrebbe dimensioni più estese, come evidenziano Fitoussi e Saraceno che, addirittura, parlano di "Brussels-Frankfùrt-Washington (BFw) Consensus" (2004, p. 5) e mostra di essere di ispirazione neoliberista, relegando il ruolo della politica attiva soltanto a rimuovere le frizioni ed i fallimenti del mercato dal lato dell'offerta e ad intervenire nella struttura dell'economia in modo che si conformi il più possibile al modello di riferimento. Da qui si spiega la necessità dei targets, ossia di regole stringenti, che tanta parte hanno attualmente nei processi di bilancio, nonché l'importanza della trasparenza del processo, dal momento che la società civile, non potendo più richiedere politiche attive, dovrebbe essere democratica100


mente tutelata dalla massima pubblicità del processo che, garantendo i risultati, dovrebbe automaticamente anche garantire i diritti del cittadino (che non sono tuttavia ancora i bisogni), ossia il consenso: "If tradeoffs do not exist, the policy maker is not confronted by choices, and there is no role for activist policies. Rules become the preferred method for conducting policy, as they prevent biases in policy makers' action, and constitute an anchor for private expectations" (Fitoussi e Saraceno, 2004, p.7). COMPARAZIONE INTERNAZIONALE IN MATERIA DI STRUTTURE DI BILANCIO: IL CASO DELLA FRANCIA Negli ultimi anni la maggior parte dei Paesi OECD ha intrapreso una riforma dei sistemi di gestione di bilancio che, a ben guardare, presenta numerose similitudini. Come osserva Blòndal (2003, p. 10), la necessità di tenere sotto controllo le spese pubbliche si è tradotta in almeno sette fondamentali configurazioni istituzionali che comprendono: 1) quadro di bilancio a medio termine; 2) impegni economici di tipo conservativo; 3) tecniche di bilancio di tipo top-down; 4) un controllo esteso degli inputs a livello centrale; 5) attenzione ai risultati; 6) trasparenza di bilancio; 7) procedure moderne di gestione finanziaria. Le modalità con cui tali aspetti sono stati inseriti nella costituzione finanziaria di ciascun Paese sono funzione dei singoli sistemi giuridici e delle peculiarità politiche ed economiche di ciascun sistema Paese. Come è noto, la ripresa del processo di riforma del bilancio dello Stato in Italia mira a realizzare una semplificazione gestionale del bilancio che faciliti il perseguimento degli obiettivi determinati dal legislatore nonché a rendere il Parlamento più informato circa l'insieme complessivo delle risorse disponibili per perseguire specifiche finalità pubbliche. La proposta di revisione della attuale classificazione del bilancio si fonda sulla classificazione delle risorse pubbliche secondo due livelli di aggregazione, le "missioni" e i "programmi". Si tratta di un evidente prestito normativo dal sistema francese, a cui la riforma italiana si è chiaramente ispirata. Per tale motivo si giustifica la scelta di dare maggiore enfasi al processo di bilancio così come è stato recentemente predisposto dal governo francese, visti gli innumerevoli punti di contatto con la nuova struttura italiana ancora in fieri. 101


La modernizzazione de/processo di approvazione de/ bilancio: /a L0LF

A partire dal 1°gennaio 2006, la costituzione finanziaria francese si è modificata notevolmente grazie alla Loi organique relative aux bis de finances (LOLF, legge del primo agosto 2001), incaricata di introdurre il rinnovamento in profondità delle modalità di controllo di gestione della finanza pubblica. La LOLF si inserisce in un processo di riforma della finanza pubblica avviatosi negli anni settanta8 ma concretizzatosi solo a partire dalla metà degli anni ottanta, secondo un processo di gestaziòne durato ben trent'anni. La riforma incontra necessità non solo di ordine economico e fiscale ma anche di carattere politico: essa, secondo le parole dell'allora presidente della commissione Finanze al Senato Alain Lambert è "un moment d'exception et d'excellence... un acte majeur de maturitè démocratique. . . ", un atto grazie al quale personalità così differenti, ossia esponenti sia di destra che di sinistra, hanno avuto "le génie de s'accorder pour redonner vie et force à leur Etat". Allbrigine di tale ristrutturazione della logica amministrativa e giuridica dello Stato francese troviamo un chiaro riferimento culturale al neoliberalismo, sui cui principi si è sviluppato il concetto di New Public Management che tanta parte ha avuto nel processo di rinnovamento della burocrazia anglosassone. Inoltre, è chiara la volontà di improntare il processo decisionale a standard internazionali di gestione finanziaria che consentano di armonizzare il sistema con quello degli altri Paesi OcsE nonché di esplicitare e gestire il rischio legato a nuove riforme strutturali. Si comprende, pertanto, come mai il processo di rinnovamento della legislazione sul bilancio abbia interessato un periodo di tempo così vasto: era necessario superare il quadro ideologico definito negli anni cinquanta, dominato da una concezione estremamente accentratrice e interventista dello Stato. Infatti, a partire dal 1959, la rigida concezione del ruolo del Parlamento in materia fiscale cominciava a scontrarsi con un contesto politico, istituzionale, finanziario in continua evoluzione, compreso il crescente ruolo dello scenario europeo. In 40 anni sono state depositate 36 proposte di legge che non avevano avuto seguito. Solo negli anni 1998102


2000 si afferma una volontà politica di riforma in materia contabile, che trasversalmente si diffonde tra le istituzioni politiche, sulla scia dei nuovi principi di efficacia ed efficienza e di maggiore partecipazione al processo decisionale. La LOLF è stata emanata sulla base di una proposta di legge dell'Assemblea nazionale depositata a giugno 2000 che godeva dell'appoggio di Governo e Parlamento. Votata tra il 9 febbraio ed il 21 giugno, convalidata dalla Corte Costituzionale il 25 luglio, la legge è stata infine promulgata il 1° agosto 2001, per poi essere applicata a partire dal 2006, dopo 4 anni circa di preparazione. La LOLF implica, dunque, una revisione delle modalità di elaborazione del bilancio basato sulla disposizione n. 59-2 del 2 gennaio 1959 (abrogata il 10 gennaio 2005), una revisione che interessa sia la costituzione finanziaria che il quadro del bilancio statale. La L0LF incide massimamente sul dibattito di orientamento di bilancio (dèbat dbrientation budgétaire) che costituisce "un premier rendez-vous avec la représentation nationale sur la stratégie des finances publiques et les grandes orientations du budget en préparation". Essa, inoltre, è stata definita come "Un nouveau contrat social pour les finances publiques" dal momento che, non solo ridefinisce i rapporti tra governo e parlamento aumentando i poteri di iniziativa e controllo a favore di quest'ultimo, ma ridefinisce anche la logica dei fondi aiministeri sostituendola con una logica d'impresa volta ai risultati. Le passage d'une culture de moyens à une culture de résultat, comportando un raggruppamento dei contributi per missione/obiettivi, ha lo scopo di indurre i ministeri a non ragionare più in termini di mezzi. Secondo l'articolo 7 della LOLF, i contributi destinati a realizzare un'azione o un insieme coerente di azioni rilevanti di un medesimo ministero sono raggruppati sotto forma di un programma, presupponendo che tali azioni siano associate o partecipino a degli obiettivi definiti in finzione di finalità di interesse generale, mentre i risultati devono essere verificati in base ad indicatori di performance. In base agli articoli 5 e 7 della L0LF, il bilancio viene presentato secondo una logica matriciale ossia, da un lato, per destinazione di spesa (missioni, programmi e azioni) e dall'altro per natura delle spese (che si distinguono in 7 titoli e 18 categorie). L'insieme dei contributi è articolato in autorizzazioni di impegno e di crediti di pagamento ed i gestori dovranno dimostrare di 103


aver raggiunto i risultati associati a tali contributi, sottoponendosi a verifiche mediante indicatori (nel budget 2008 vi sono 621 obiettivi e 1276 indicatori). La generalizzazione dei contributi e la loro ftingibilità rappresentano il cuore del programma della LOLF dal momento che consentono più ampi margini di manovra e maggiore autonomia alla gestione pubblica che deve pertanto assorbire la logica d'impresa privata. Tuttavia esiste anche il concetto di "fongibilité asymétrique": l'asimmetria si traduce nella possibilità di utilizzare le spese previste per il personale in altri impieghi anche se non vale l'inverso, essendo tali spese vincolate per programma. I ministri, inoltre, designano per ciascun programma un responsabile amministrativo incaricato di gestire il programma e di attuare una significativa delega di poteri a favore dei responsabili di bilancio locali o Bo (Budget opérationnels de programme), in modo da identificare il livello locale pertinente alla realizzazione della politica pubblica. Un altro elemento della riforma è il passaggio da una contabilità unica ad una tripla contabilità, composta da contabilità di bilancio, ossia di cassa, che registra le operazioni di entrata ed uscita dei flussi monetari e che permette di verificare la conformità delle operazioni svolte rispetto alle autorizzazioni concesse dal parlamento; contabilità generale (di esercizio) che descrive l'insieme delle operazioni finanziarie dello Stato, in termini di impegni e crediti; e la contabilità d'analisi dei costi delle azioni, destinata a trasmettere al parlamento l'informazione circa i mezzi destinati alle differenti azioni dei programmi, secondo un principio di "sincerità" dal momento che i conti pubblici devono essere guliers, sincère et donner une image fidèle du patrimoine et de la situation financière de l'Etat". In sintesi, il bilancio dello Stato attualmente comprende 48 missioni, 170 programmi e circa 687 azioni, mentre in precedenza la suddivisone avveniva per ministeri e capitoli (848, secondo l'ultimo bilancio redatto in base alla legge organica del 1959): tale eccessiva frammentazione è stata, insieme al controllo sull'efficacia delle spese, il punto debole della struttura del bilancio precedente. Altro elemento importante è l'esame del bilancio da parte del Parlamento che non riguarda più, come in passato, solo il 6% dei trasferimenti, coincidenti con i nuovi impegni di spesa, bensì la totalità del do104


cumento, essendo previsto un voto per ciascuna missione. Per questo motivo, le informazioni comunicate al Parlamento nel quadro dei rapporti sull'evoluzione dell'economia nazionale e sull'orientamento delle finanze pubbliche diventano più sostanziali. Il dibattito sull'orientamento di bilancio (D0B) dovrebbe dunque rappresentare l'occasione, per i parlamentari, di fare valere le loro opinioni sull'orientamento e sulla nomenclatura del bilancio, sugli indicatori di performance e, all'occorrenza, di annunciare la loro intenzione di emendare il PLF (Projet loi de finance), ossia il disegno di legge finanziaria.

Il rfforzamento dei poteri parlamentari performazione e controllo del bilancio Al di là della razionalizzazione delle entrate e dei capitoli di spesa, l'aspetto forse più interessante, a nostro avviso, della L0LF risiede nel rafforzamento delle funzioni di controllo e valutazione del bilancio da parte del Parlamento. Se è vero che in molti Paesi europei, sicuramente a causa delle nuove tempistiche determinate dall'appartenenza all'Ue, i processi decisionali per la determinazione del bilancio dello Stato sembrano essersi modificati in questi ultimi anni a scapito della democrazia delle scelte (come avviene in Italia con il sempre più frequente ricorso alla "fiducia" nell'ambito della costruzione della legge finanziaria), in Francia si ha l'impressione che la riforma, pur chiaramente ispirata a principi liberisti, cerchi contemporaneamente anche di riaffermare la sovranità nazionale sulle scelte dell'esecutivo. Tale ipotesi si basa sul duplice mandato della LOLF che si traduce, da un lato, nella volontà di migliorare il controllo della performance delle politiche pubbliche e dall'altro, nella volontà di rendere il bilancio dello Stato maggiormente comprensibile eche ha condotto all'ampliamento del voto parlamentare sul bilancio: tali obiettivi, se perseguiti rigidamente, potrebbero rappresentare un evidente ossimoro dal momento che richiederà un continuo compromesso tra meccanismi di controllo e meccanismi di scelta. Uno dei più grandi cambiamenti della L0LF risiede, infatti, in un maggiore risalto conferito all'Assemblea Nazionale ed al Senato per agire sui fondi dei differenti programmi piuttosto che proseguire auto105


maticamente la maggioranza dei fondi votati l'anno precedente, come avveniva prima. In origine, l'articolo 37 della legge del 1959 prevede che "sous l'autorité du Premier ministre, le ministre des Finances prépare les projets de loi de finances qui sont arrétés en Conseil des ministres" . Tuttavia, la preparazione del disegno di bilancio coinvolge più soggetti: i ministri con portafoglio (dépensiers), che rivolgono al ministro delle Finanze la richiesta di fondi e che partecipano con lui alle negoziazioni di bilancio (con i rispettivi direttori amministrativi e finanziari e consiglieri fiscali); - il ministro delle Finanze che è ministro con portafoglio per il suo ministero ed arbitro in rapporto agli altri. La centralizzazione delle domande in capo a tale ministro riflette una visione globale delle spese e gli dona un ruolo di supervisore dotato di visione d'insieme del bilancio; - il Primo ministro che dispone di autorità sul ministro delle Finanze e che procede agli arbitraggi conclusivi nel caso in cui sorga disaccordo tra i ministri con portafoglio ed il ministro delle Finanze; - il Presidente della Repubblica che presiede il Consiglio dei ministri nel corso del quale il disegno della legge finanziaria viene deliberato. Inoltre, egli interviene nelle scelte di bilancio soprattutto nei ministeri di sua competenza (per esempio, il ministero della Difesa e degli Affari esteri), ma anche in funzione dell'impegno preso nei confronti degli elettori o della comunità internazionale. -

Una prima tappa del processo di definizione del bilancio è la "lettre de cadrage", ossia un documento revisionale inviato dal primo ministro ai ministeri sulla base dei calcoli effettuati dal ministro delle Finanze, è inviata dal Primo ministro a tutti gli altri ministri ad inizio anno e contiene i valori di spesa pubblica revisionali per l'anno incipiente. La seconda fase della progettazione del bilancio, che tradizionalmente si svolgeva tra aprile e giugno, e che è stata anticipataa febbraio/marzo con la L0LF, è divisa in due fasi: - le conferenze di bilancio della prima fase (fase di contrattazione tra 106


i vari ministeri che si conclude con l'arbitraggio del Primo ministro e l'invio delle "lettres plafond", contenenti le indicazioni di spesa per ciascun ministero, generalmente all'inizio dell'estate, anticipate ad aprile-maggio con la L0LF); - le conferenze di bilancio della seconda fase che si svolgono generalmente all'inizio dell'estate ove si prende atto della riorganizzazione dei fondi proposta da ciascun ministero all'interno del massimale definito. Alla fine dell'estate il disegno di bilancio deve terminare affinché tutti i documenti finanziari destinati a chiarire il Parlamento possano essere stampati in tempo. Le modifiche apportate dalla L0LF sono molto importanti e non incidono soltanto sul calendario ma fanno evolvere la natura stessa dell'esercizio dell'inquadramento e dell'elaborazione del bilancio: - esse anticipano di circa due mesi le differenti fasi di costruzione del bilancio consentendo al Parlamento di incidere maggiormente sulle scelte prima dell'adozione del disegno di bilancio nel Consiglio dei ministri; - promuovono il dialogo e la collaborazione tra i ministeri ed il governo, consentendo una maggiore responsabilizzazione di tutti i ministri e scongiurando "comportamenti di "passager clandestin" legati all'assenza di condivisione delle informazioni sui vincoli di bilancio. La L0LF più che incidere sulla struttura della legge finanziaria modifica profondamente la nomenclatura del bilancio dello Stato e quindi la struttura e il ruolo del Parlamento. Un'altra novità riguarda, infatti, l'introduzione della valutazione da parte delle Commissioni delle finanze delle due assemblee su tutte le questioni relative alle finanze pubbliche. Secondo l'articolo 57 "cette mission est confiée à leur président, à leur'rapporteur général ainsi que, dans leurs domaines d'attributions, à leur rapporteurs spéciaux. A cette effet, ils procèdent à toutes investigations sur pièces ou sur place, ou à toutes auditions qu'ils jugent utiles". Il testo dell'articolo, estrémamente preciso, comporta un incremento considerevole dell'attività di controllo da parte del Parlamento: "Tous les renseignements et documents d'ordre financier et administra107


tif qu'ils demandent, y compris tout rapport établi par les organismes et services chargés du contròle de l'administration, réserve faite des sujets à caractère secret concernant la défense nationale et la sécurité intérieure ou extérieure de l'Etat et du respect du secret de l'instruction et du secret médical, doivent leur étre fournis". A questo punto, il primo momento acceso del confronto tra Governo e parlamentari avviene nel mese di giugno, con il dibattito sull'orientamento di bilancio (D0B) che diventa una prima occasione globale di scambio di punti di vista in materia anche se sarà quattro mesi più tardi, nel dibattito di bilancio, che si ordiranno le questioni centrali tra esecutivo e legislativo.. All'interno del D0B viene esaminata la loi de règlement (LR), relativa all'anno fiscale precedente. Il suo scopo è garantire la veridicità dei contenuti della loi de finances iniziale e di valutare la qualità della gestione e della politica di finanza pubblica perseguita, verificando i risultati e rilevando la presenza di eventuali divergenze tra risultati e previsioni. A partire dal 2006, l'utilizzo della nuova costituzione fiscale ha determinato la valorizzazione della loi de règlement, già prevista dalla legge organica precedente, chiamata a diventare il "moment de vérité budgétaire". Tra le innovazioni introdotte dalla L0LF vi è l'arricchimento notevole del contenuto contabile della LR; la presentazione, per la prima volta, e relativamente a ciascun programma, di un rapporto annuale delle performance (RAP) ed infine l'accoglimento del principio dello "chainage vertueux" che permette di legare la loi de règlement al projet de loi de finances (PLF). I RAP (rapporti annuali delle performance) presentano i risultati di. amministrazione rispetto agli impegni presi nei projets annuels de performances (PAP) che compaiono nella loi de finances iniziale, consentendo di valutarne ex post le eventuali divergenze. I parlamentari sono, pertanto, in grado di comparare gli scarti tra il bilancio previsionale e la sua esecuzione effettiva da un lato, e tra gli obiettivi di performance ed i risultati raggiunti dall'altro grazie allo strumento di controllo fornito dalla loi de règlement. Il rafforzamento dei poteri parlamentari rappresenta un aspetto politico-istituzionale importante della legge dal momento che la riforma


del diritto di emendamento dei progetti di bilancio da parte dei parlamentari è considerevole: mentre per quarantacinque anni i parlamentari non potevano in pratica modificare le scelte di spesa fissate dal Governo, adesso dispongono di un potere di modifica sostanzialmente illimitato, la cui portata sarà valutabile nella prassi. Questa prospettiva non concerne soltanto la questione istituzionale classica dell'equilibrio dei poteri: la riforma del diritto di emendamento pone anche una questione politica riguardo le possibili conseguenze che essa potrà avere nei confronti dell'amministrazione e dei suoi dirigenti. Il bilancio votato dal Parlamento potrà differire da quello proposto dal Governo, generando una potenziale crisi nei dirigenti a causa della perduta capacità revisionale in termini di spesa. Inoltre, potrebbe cambiare notevolmente la ripartizione di ruoli e di responsabilità tra Parlamento, ministeri e burocrazia dal momento che la LOLF conduce ad un faccia a faccia prima non previsto tra parlamentari e burocrati visto che i responsabili dei programmi saranno direttamente interpellati dai parlamentari su obiettivi e risultati delle politiche pubbliche a cui sono preposti: in altre parole è possibile che si passerà da uno schema relazionale triangolare tra parlamentare-ministro-burocrate ad uno schema lineare classico, con la possibilità di generare equilibri instabili. L'ESIGENZA DI DEMOCRAZIA: ESISTE UN'EFFETTIVA RIVELAZIONE DELLE PREFERENZE COLLETTIVE?

Nella premessa al presente articolo si dichiara che i modelli di struttura di bilancio rispondono a precise visioni di politica economica, citando come esempio la recente "pubblicazione-manifesto" del Conseil d'Analyse économique francese, intitolata Economie politique de la L0LF, in riferimento alla recente legge sui bilancio adottata dal governo, francese. In questo paragrafo, partendo dai riferimenti culturali espressi in tale rapporto, si cercherà di valutarne un probabile utilizzo a supporto delle scelte di politica di bilancio di uno Stato. All'interno di tale volume si dichiara che "il principale apporto della LOLF risiede nella trasparenza" (2007, p. 28), intesa come sostegno allò sviluppo dell'informazione a favore dei cittadini e dei loro rappresení[#15


tanti al Parlamento. Si sottolinea, pertanto, che la riduzione delle asimmetrie informative assume un ruolo centrale, nella sfera pubblica, per garantire una gestione efficiente del settore pubblico e quindi per la democrazia stessa (2007, p. 28). Si apprende che la nuova struttura di bilancio della Francia fissa un insieme di regole destinate, in ultima istanza, a rendere credibili gli impegni, con esplicito riferimento teorico alla scuola di New Political Economy: "Elle étend ainsi aux politiques budgétaires en particulier, et aux politiques publiques en général, la logique qui a guidé les travaux sur les règles et conditions d'utilisation des politiques macroéconomiques au plan monétaire et fiscal (Persson et Tabellini, 2000)" (2007, p. 36). Secondo gli autori del rapporto, la trasparenza nei meccanismi di decisione collettiva diventa il mezzo per rivelare le preferenze pubbliche e risolvere il conflitto di obiettivi. Tuttavia, sottolinea il rapporto, occorre distinguere tra rivelazione delle preferenze all'interno della teoria del consumatore e quella che permette di migliorare la L0LF, e cioè la rivelazione delle preferenze dello Stato, che non si manifestano mediante i meccanismi di mercato (prezzi), così come avviene per i beni privati: ponendo la trasparenza al centro del processo della nuova gestione pubblica ed assumendo una logica di risultato, la L0LF costituisce un nuovo meccanismo per rivelare le preferenze dello Stato. Gli economisti autori del rapporto, partendo da Samuelson (1950) e Houthakker (1950), ossia dal processo di formazione delle preferenze individuali e dall'integrabilità della funzione di domanda, concludono sottolineando che tali fondamenti della teoria del consumatore, che permettono di stabilire, a livello individuale, un ordine gerarchico corrispondente alle preferenze individuali, non si sovrappongono ai meccanismi di rivelazione delle preferenze dello Stato, di cui poi procedono alla definizione: "Ces fondements de la théorie du consommateur... ne se supefposent pas avec les mécanismes de révélation des préférences étatiques" (2007, p. 39). Mentre Bentham e Arrow, secondo gli autori del rapporto, partirebbero da una visione dello Stato in cui l'autonomia rispetto alle volontà individuali è debole, essi, invece, ritengono che le preferenze dello Stato si basino su di una concezione organica della collettività in cui il punto di partenza non è più rappresentato dalle preferenze individuali, ma dagli obiettivi nazionali: "le point de départ n'est 110


donc plus constitué par des préférences individuelles, mais par des objectifs nationaux" (2007, p. 40). In riferimento a Hicks (1958), e Samuelson (1974), e Sen (1970), gli autori sostengono che, anche se considerare la nazione come un insieme di agenti che consumano il medesimo paniere di beni e che hanno le medesime caratteristiche di benessere e le medesime preferenze sia una forzatura che non traduce affatto la complessità delle scelte pubbliche, tuttavia è la scelta che viene effettuata più spesso in termini di rivelazione delle preferenze governative: "Méme si ce concept ne traduit pas la complexité des choix publics, c'est néanmoins le choix le plus fréquemment effectué en termes de révélation des préférences gouvernementales" (2007, p. 40). Le preferenze dello Stato, diverse da quelle individuali, si basano su meccanismi di rivelazione fondati sulle scelte manifestate dal potere pubblico, ossia vengono rivelate dalle scelte politiche effettivamente realizzate. Citando Frisch, si apprende che la determinazione delle funzioni di preferenza dello Stato diventa l'aspetto più importante delle politiche macroeconomiche per due ordini di ragioni: 1) per fondare le scelte pubbliche sulla funzione di benessere sociale a cui si accede mediante la rivelazione delle preferenze e per "faonner un outil étayant à la fois les décisions publiques future set les décisions del citoyens, dans une démocratie où la publicité des décisions, des éléments qui les sous-tendent, est consacrée, aprés les Lumières, par la Déclaration des droits de l'Homme et du Citoyen"(41). La mancata traduzione delle preferenze individuali nelle preferenze statali sarebbe determinata soltanto dalle imperfezioni del mercato politico (2007, p. 45) che possono essere contrastate mediante il ricorso massiccio all'edificio della trasparenza, che consente la rimozione degli ostacoli alla trasmissione delle preferenze esplicitando le finalità dell'azione pubblica. La disponibilità di informazioni sui documenti di bilancio diventa strumento massimo di rivelazione delle preferenze pubbliche e si traduce nella trasparenza di bilancio, elemento in cui la Francia sembra distinguersi massimamente, secondo le recenti classifiche del Centre on Budget and Policy Priorities (CBPP). Tuttavia, a nostro avviso, appare evidente la criticità del ragionamento degli economisti francesi: come è noto10, il passaggio dalle preferenze alla scelta di consumo non è immediato ma passa attraverso 111


l'assioma generale delle preferenze rivelate (GARP). Inoltre, se si individuano preferenze "well behaved" che conducono alla costruzione della funzione di domanda sulla base dellrdinamento delle preferenze per i singoli, non è detto che si giunga alla funzione di scelta collettiva sulla base della semplice aggregazione di esse, come ci insegna il noto teorema di Arrow. In sintesi, le principali osservazioni da muovere alle ispirazioni teoriche del rapporto, riguardano essenzialmente tre punti: - come è noto, le preferenze rivelate, sia quelle deboli, sia quelle strette, riguardano i singoli consumatori ed i panieri di scelta sono noti mentre nel caso di "preferenze" statali, caso comunque non contemplato nel GARP, i cittadini non sceglierebbero tra possibilità di consumo ad essi note; - il passaggio dal singolo decisore alle scelte pubbliche si scontra con il noto problema di Arrow: gli autori, pur riferendosi alla teoria economica in merito, in realtà operano un processo di rimozione dei suoi effettivi contenuti dal momento che la soluzione alla sintesi delle preferenze è, in realtà, contemplata solo in presenza di dittatura, o accidentale unanimità; - esiste anche un altro processo di rimozione operato dagli autori che riguarda più aspetti che rimandano, essenzialmente, al significato di trasparenza e di istituzioni, come diremo più avanti. In primo luogo, ci appare opportuno muovere qualche dubbio sull'assunto che sembra, più o meno esplicitamente, guidare le scelte di politica di bilancio negli Stati contemporanei, ossia che basti migliorare la trasparenza del processo per assicurarsi il rispetto delle preferenze della collettività. Già gli studiosi italiani di inizio del secolo scorso avevano messo in guardia circa la difficoltà di giungere a scelte collettive complesse se non mediante assetti coercitivi. Il socialista riformista Montemartini, nel suo famoso libro sulla "Municipalizzazione dei publici servigi" (1902), sottolineava che "le produzioni alle quali si dà il Municipio sono contingenti al tempo, ed ai paesi ed alle economie che, in un dato momento, costituiscono l'impresa politica" (1902, p. 47), indicando il forte potere discrezionale che era in capo all'autorità politica la quale poteva giungere a garantire il 112


soddisfacimento dei bisogni collettivi soltanto mediante l'esercizio della propria forza coattiva (simile, per certi aspetti, all'idea di Stato monopolistico di De Viti De Marco). Se non si esplicita la figura del dittatore benevolente, riferimento ovviamente non presente negli attuali documenti di finanza pubblica, la probabile non coincidenza tra preferenze della collettività e preferenze dello Stato sembra rafforzata dalla presenza di quelle che Puviani chiama "illusioni finanziarie", intese come "rappresentazioni erronee delle ricchezze pagate o da pagarsi a titolo di imposta o di certe modalità del loro impiego" (1973, p. 8), le quali, consentendo lo sfruttamento, da parte dei governanti, delle illusioni dei governati sulle entrate e sulle spese pubbliche, garantiscono la nascita e la persistenza di certi istituti finanziari. Alla luce delle riflessioni del Puviani, si ritiene che il problema della trasparenza, intesa nel rapporto come minimizzazione delle asimmetrie informative, più che condurre alla soluzione mediante rivelazione delle preferenze, rimandi più al concetto di illusione finanziaria, a cui gli autori non fanno minimamente cenno, a differenza di quanto avviene nel documento pioneristico del Fivii sulla trasparenza11. L'illusione, in materia di bilancio, a nostro avviso, consiste nella passiva accettazione delle conseguenze finanziarie dei volumi di spesa pubblica e dell'indebitamento, intese, sulla base della trasparenza delle procedure, come inevitabili, e quindi tali da spingere alla rinuncia ad esercitare la sovranità sull'allocazione di tali volumi. In realtà richiamando l'idea di preferenze rivelate dello Stato, gli economisti francesi ne assumono il valore simbolico senza risolverne le criticità, ricadendo nella medesima aporia a cui giunse il noto marginalista Panteleoni con l'idea di razionalità espressa nel suo saggio "Contributo alla teoria del riparto delle spese pubbliche" del 1938, così come riportato in Steve (1976, pp. 34-35). Egli afferma che la formazione del bilancio deve avvenire ad opera del parlamento, in modo che "il grado finale di utilità di ogni singolo capo di spesa, a parità di ammontare, sia eguale a ogni altro, poiché se ciò non fosse, il riparto sarebbe risultato diverso da quello che effettivamente è". Il Pantaleoni non si chiede come si formi il sistema dei valori in base ai quali si procede alla formulazione del bilancio (quelle che dovrebbero costituire le preferenze collettive) dal momento che egli ritiene che l'applicazione dei metodi marginalistici alla formazione del 113


bilancio risponda ad un criterio generale di razionalità che preclude qualsiasi altra considerazione da parte degli organi di governo. Tuttavia, osserva Steve, "la posizione del Pantaleoni viene a perdere ogni contenuto concreto, poiché risulta una pura razionalizzazione a posteriori del comportamento degli organi preposti alla formazione del bilancio. Infatti (si ricordi la citazione fatta poco sopra), l'unica prova della razionalità di un certo riparto delle spese pubbliche sta nel fatto che il riparto è quello che è". Se è possibile l'individuazione dei valori condivisi espressi dalle scelte di policy, tuttavia essa rappresenta la risultante di un'analisi dei contenuti ex post e non, come sembrano suggerire alcuni economisti contemporanei, l'effettiva preferenza della collettività che precede la formulazione delle scelte di bilancio. A questo punto, ha certamente ragione Steve quando critica decisamente ogni tentativo di determinare, in modo puramente formale, le condizioni generali di equilibrio nell'attività finanziaria degli enti pubblici: "I tentativi di dare sostanza alla determinazione delle condizioni di equilibrio cercando di rendere esplicito il sistema dei valori assunto dai governi a base delle loro decisioni in materia economica (cercando, cioè di conoscere i caratteri della "funzione del benessere sociale" ossia della relazione tra il livello del "benessere sociale"- definito secondo determinati criteri di valore - e le variabili economiche e non economiche - produzione e distribuzione del reddito ecc. - che possono influenzare tale livello urtano contro grosse difficoltà logiche e pratiche. Infatti essi danno per ammesso ciò che dovrebbe essere dimostrato, e cioè che l'attività economica degli enti pubblici sia diretta alla realizzazione di un sistema di valori unitario e stabile" (Steve, 1976, pp. 35-36). In conclusione, il problema reale a noi non sembra essere quello delle preferenze rivelate, quanto quello della rappresentatività in sistemi democratici: pertanto, quando ci si riferisce a regole fiscali o di bilancio, a nostro avviso, parrebbe più opportuno discuterne maggiormente in termini di impatto sul sistema macroeconomico (in tutte e tre le branche definite dal Musgrave) più che giustificarne la presenza in riferimento al sistema delle preferenze rivelate. Un ulteriore passaggio, che la letteratura analizzata sembra trascurare, è che le istituzioni stesse che gestiscono il complesso meccanismo delle regole sono anch'esse il risultato di un processo di scelta. Se un problema di cattura e sintesi delle 114


preferenze esiste, per quanto la sua soluzione appaia estremamente complessa, esso si presenta anche in una fase antecedente, che è quella della presenza o meno delle regole di bilancio, visto che il contenuto di queste ultime, a dispetto di quanto dichiari una parte della letteratura, non è evidentemente soltanto di natura esclusivamente tecnica ma, per sua stessa definizione, promana da un complesso processo che è innanzitutto di natura squisitamente politica.

'Cfr. OECD (2004). Definizione della Ragioneria Generale dello Stato: www.rgs.mef.gov.it Si ricorda la famosa tripartizione di Musgrave (allocation, distribution and stabilization branches) in merito alle funzioni di finanza pubblica da assenare ai vari livelli di governoper garantire lefficienza e l'efficacia delle scelte. A tali principi sembra ispirarsi anche il progetto di rinnovamento in materia di bilancio del governo italiano. Nel Libro verde sulla spesa pubblica. Spendere meglio: alcune prime indicazioni si legge che la riclassificazione del bilancio deve tendere a: 1) rendere più trasparente il bilancio; 2) aumentare l'attenzione sullo stock delle risorse già allocate con leggi esistenti; 3) rendere possibile una gestione del bilancio più flessibile e orientata ai risultati. Occorrerebbe fare una distinzione tra tale tipo di trasparenza, più legato alla comunicazione erga omnes, e quella invece più specificamente legata allà contabilità, ossia di tipo ragionieristico: tale secondo aspetto 2

sembra essere passato in secondo piano rispetto al primo. 6 WILLIAMSON, J. (1990), "What Washington Means by Policy Reform', in J. Williamson, (Ed.), Latin American Adjustment: How Much Has Happened?, Washington, D.C., Institute for International Economics, pp. 5-20 Si noti come, rispetto alla letteratura tradizionale, si sostituisce il principio del "bilancio in pareggio" all'obiettivo interno della piena occupazione. 8 Il riferimento è alla RCB (rationalisation des choix budgétaire) che non riuscì a guadagnare credibilità nella classe politica dell'epoca. 9 Gli autori non fanno esplicito riferimento al teorema dell'impossibilità ma ricordano che Arrow, cercando una funzione di preferenza sociale a partire da quelle individuali, è giunto all'impossibilità di pervenire alle preferenze collettive (2007, p. 39). 10 Si veda, ad esempio, Kreps (1990). 1 CrfKOPTIS E CRAIG(1998). 115



queste istituzioni n.152 gennaio - marzo 2009

, Il

saggio

Francia 2008: Un Paese (una riforma) di debole Costituzione di Claudia Lopedote

omment 9a va? In Francia si verifica una forte rottura del consenso sulle istituzioni della Repubblica. A fronte delle pratiche di governo e dei cambiamenti sociali, politici ed economici intervenuti nel tempo, il testo costituzionale del 1958 - che pure aveva dato alla Francia un assetto di poteri stabile ed efficiente, mettendo fine agli squilibri e alle continue difficoltà della Terza e Quarta Repubblica', c.d. dell'irnpuissance 2 - non sembra più in grado di far funzionare il sistema e garantire un quadro chiaro e definito entro il quale si esercitano i poteri e le prerogative dell'esecutivo, del legislativo, del giudiziario. .E, in diversa misura, del Quarto potere. Non una novità nella storia costituzionale francese. A partire dal 1958, la Costituzione francese è stata riformata ventitré volte, con oltre trenta articoli modificati. Raymond Ferretti 3 scrive: "La Ve République a rompu avec une longue tradition non révisionniste. Certes, toutes les Constitutions précédentes avaient prévu des procédures de révision, mais rares ont été les révisions. C'était 'une institution dontn parlait toujours mais dont on ne se servait jamais" '. Prima di squadernare i contenuti dell'ultimo intervento di riforma voluto dal Presidente Sarkozy - al fine di ridisegnare gli equilibri della Repubblica in una chiave che è tutt'altro che quella della riparlamentarizzazione, quanto piuttosto del rafforzamento delle sole maggioranze, parlamentari sì ma anche di governo, con le implicazioni e le conseguenze che si vedranno quando le due coincidono in presenza di fait majoritaire e fait présidentiel, con una forte spinta al modello di democrazia maggioritaria: più governabilità ma a scapito degli equilibri complessivi (a scapito della democrazia?) - è di aiuto ripercorrere brevemente le tappe significative delle vicende costituzionali ed istituzionali francesi. Sul piano qualitativo, le revisioni si distinguono in meno importanti e più importanti. Tra queste ultime figurano: nel 1962, l'elezione diretta del Presidente della Repubblica a suffragio universale, riforma che Vedel ribattezzò «La deuxiéme Constitution de la Ve République»; nel 1974, l'elezione del

C

117


Consiglio costituzionale da parte di sessanta deputati e sessanta senatori; nel 2000, la durata quinquennale della Presidenza della Repubblica (non più settennale); nel 2002, l'inversione dellrdine delle elezioni, con quelle presidenziali di poco precedenti le elezioni legislative. Continua Ferretti: "Mais ce ne sont là que quelques paradoxes. Parmi ceux-ci deux doivent étre soulignés. D'abord, on passe d'une révision exceptionnelle à une révision beaucoup plus ordinaire. Ensuite, on passe d'une révision qui était imposée par le Président de la République à une révision qui est imposée au Président. Dans ses débuts la Ve République a peu révisé la Constitution et quand elle l'a fait c'est par le biais de procédures exceptionnelles. Par la suite, la situation s'est inversée: les procédures normales ont été mises en ceuvre et ce beaucoup plus souvent. La révision s'est banalisée tant sur le plan de la procédure, que sur celui du rythme". NOUVELLE VAGUE Cosa resta del disegno originario? La Costituzione del 1958 - redatta dal governo del generale Charles de Gaulle in rigetto del precedente assetto istituzionale di scarsa funzionalità del Parlamento (con delega de facto della ftinzione normativa al governo), e del sistema politico multipartitico estremo 5 - ha dato vita ad una formula di razionalizzazione del parlamentarismo che secondo Maurice Duverger costituisce una forma di governo innovativa, c.d. semipresidenziale6 . In sintesi: il Presidente della Repubblica, legittimato direttamente dal corpo elettorale, scioglie autonomamente il Parlamento, nomina il Primo ministro, dispone di poteri di emergenza, ricorre all'istituto del referendum. Il governo - che non deve chiedere la fiducia in ingresso - può essere censurato 7 dall'Assemblée nationale (art. 49 Const.), e possiede significativi poteri. Nel 1965, con la prima elezione del Presidente della Repubblica a suffragio universale diretto (nuovo art. 7 Const.), è stata avviata la restaurazione del potere dell'esecutivo a scapito di quello del Parlamento. Si parla di trasformazione dell'assetto istituzionale nel segno del primato della politica 8 il Presidente della Repubblica ha il compito istituzionale di "vigilare sul regolare funzionamento dei poteri pubblici" (art. 5 Const.); il governo, il cui Consiglio dei ministri è presieduto dal Capo dello Stato, "determina e dirige la politica della nazione" (art. 20) e, a questo fine, "dispone dell'amministrazione". 9 Come è chiaro, già qui - segnala Stefano Ceccanti - emerge "una scissione tra potere e responsabilità, con un presidente capo del governo, ma non sfiduciabile: 'l'aporia della Q. iinta Repubblica', segnalata con particolare vigore da Pierre Avril, tra il mandato settennale di una funzione per molti aspetti irriducibilmente :

118


arbitrale' ed il 'suo ruolo dominante nello scacchiere politico" 0. Tuttavia, se si considera il riparto delle relative sfere di attribuzione nella prassi, il dato costituzionale non esaurisce la dinamica dell'attuale forma di governo francese.Nei fatti, dopo la riforma costituzionale del 1962, la Quinta Repubblica si è orientata in senso marcatamente presidenziale, con la netta preminenza del Presidente della Repubblica all'interno del processo decisionale. Gli interventi di riforma delle istituzioni in favore del mandato quinquennale del capo dello Stato e del consolidamento della quasi simultaneità delle elezioni presidenziali e legislative determinato dall'inversione del calendario elettorale inaugurata nel 2002 (il primo turno delle legislative si svolge in contemporanea con il secondo turno delle presidenziali) hanno rafforzato il processo di presidenzializzazione del sistema, a detrimento del Parlamento. Cosicché il neo-Presidente, qualora non si verifichi il caso della dinamica maggioritaria, può esercitare il potere di scioglimento e confidare nelle nuove elezioni, oppure intraprendere una fase di coabitazione con una maggioranza parlamentare di diverso, opposto orientamento politico. In caso di cohabitation, si giunge così alla logica recessiva "se demettre ou se soumettre" (Léon Gambetta, 1877): quella che Duverger (1978) definì "èchec au roi". Nella realtà, molto dipende dalle personalità che di volta in volta ricoprono l'una e l'altra carica - e dalle rispettive maggioranze - in grado di spostare sensibilmente l'ago della bilancia. La dinamica istituzionale del présidentialisme absolu è stata accentuata in alcune legislature più che in altre, a seguito della concordanza politica tra presidenza e maggioranza parlamentare. 11 I meccanismi di rationalisation (previsti dalla Costituzione del 1958 per assicurare al governo il controllo dell'attività legislativa in Parlamento) e il fenomeno del fait présidentiel in regime di fait majoritaire hanno portato all'ulteriore supremazia dell'esecutivo sul legislativo. Viceversa, nelle fasi di cohabitation, la disomogeneità politica tra l'Elysée e Palais Bourbon ha determinato un diverso equilibrio di potere, che però non ha favorito il legislativo, né la "parlamentarizzazione" della forma di governo. La leadership del Primo ministro ha piuttosto fatto leva sugli strumenti del parlamentarismo razionalizzato'2 (v. Tabella) per valorizzare il proprio ruolo e legittimarsi a scapito della figura presidenziale; la costituzione di una maggioranza parlamentare che, da un lato, ha consentito l'attuazione dell'indirizzo politico governativo non ha di contro allargato e potenziato gli spazi e gli strumenti operativi propri delle Assemblee. Tutti aspetti, questi, che conferiscono al governo in Par lamento ogni strumento utile per portare avanti il proprio programma e guidare il procedimento legislativo. 119


Tabella PRIMA DELLA RIFORMA

Gli strumenti del parlamentarismo razionalizzato nelle mani del governo ART. 38 COMMA i IL GOVERNO, CON L'AUTORIZZAZIONE DEL PARLAMENTO,

Può

"EMANARE CON ORDINANZE, ENTRO UN TERMINE LIMITATO, PROVVEDIMENTI

CHE RIENTREREBBERO NORMALMENTE NELLA COMPETENZA DELLA LEGGE" ART. 40.SULL'IRRICEVIBILITÀ FINANZIARIA DELLE PROPOSTE E DEGLI EMENDAMENTI DI ORIGINE PARLAMENTARE ART. 41 SULL'ECCEZIONE DI IRRICEVIBILITÀ CHE CONSENTE AL GOVERNO DI PRESERVARE LA SFERA DI COMPETENZE (REGOLAMENTARI) AD ESSO ATTRIBUITE DALLA COSTITUZIONE ART. 42 "LA DISCUSSIONE SUI DISEGNI DI LEGGE VERTE, DAVANTI LA PRIMA ASSEMBLEA CHE NE È INVESTITA, SUL TESTO PRESENTATO DAL GOVERNO" ART. 44COMMA 2 IL GOVERNO

Può

OPPORSI AGLI EMENDAMENTI CHE NON

SIANO STATI ESAMINATI IN COIvIIvIISSIONE COMMA 3 SULLA PROCEDURA DEL "VOTO BLOCCATO" IN BASE ALLA QUALE IL GOVERNO PUÒ RICHIEDERE CHE L'ASSEMBLEA SI PRONUNCI CON UN SOLO VOTO SU TUTTO IL TESTO, FACENDO CADERE GLI EMENDAMENTI CHE NON ABBIA ESSO STESSO PROPOSTO ART.

45 COMMA i SUL POTERE DEL GOVERNO DI CONCLUDERE I DIBATTITI

PARLAMENTARI MEDIANTE CONVOCAZIONE DELLA COMMISSIONE MISTA PARITETICA (SÉNAT ED ASSEMBLÉE NATIONALE) COMMA 2 SULLA "DICHIARAZIONE D'URGENZA' CHE CONSENTE AL GOVERNO DI ACCELERARE I DIBATTITI PARLAMENTARI COIVIMA 3 PER I TESTI PROVENIENTI DALLE C0ÌvuvuSSIONI MISTE PAPJTETICHE, SONO MESSI IN DISCUSSIONE SOLTANTO GLI EMENDAMENTI ACCETI'ATI DAL GOVERNO COMMA 4 SULL'ULTIMA PAROLA DELL'ASSEMBLÉE NEL CASO DI FALLIMENTO DELLA COMMISSIONE MISTA PARITETICA: "SE LA COMMISSIONE MISTA NON RAGGIUNGE L'ACCORDO ( ... ), IL GOVERNO PUÒ (...) RICHIEDERE ALL'ASSEMBLEA NAZIONALE DI DECIDERE DEFINITIVAMENTE ART. 48 COMMA i ASSEGNA AL GOVERNO IL DOMINIO SULL'ORDINE DEL GIORNO DELLE ASSEMBLEE PARLAMENTARI ART. 49 COMMA 3 SU UN ULTERIORE STRUMENTO A DISPOSIZIONE DELL'ESÈCUTIVO PER CONCLUDERE I DIBATTITI, OVVERO L'APPOSIZIONE DELLA FIDUCIA SUL TESTO IN DISCUSSIONE

Mel


À BOUT DE SOUFFLE

Secondo Stefano Ceccanti 13 , " le mal institutionnel franais" - cui Lionel Jospin, nel suo saggio Le monde comme je le vois (Gailimard, Paris, 2005), ha dedicato un intero capitolo - è quello stesso "che un Autore come Philippe Lauvaux aveva chiaramente descritto in Destins du présidentialisme (Puf, •Paris, 2002) poco prima delle scorse elezioni presidenziali e legislative: l'elezione diretta è difftisa, ma non è associata quasi in nessun luogo a poteri tali da fare del capo dello Stato il vero leader della maggioranza". Qindi, ad essere elemento di preoccupazione e critiche - e di rischiose, ingenue o malaccorte, emulazioni, come nota Leopoldo Ella' 4 - è innanzitutto la figura del Presidente della Repubblica eletto a suffragio universale diretto (a par tire dal 1962, inaugurando il c.d. esecutivo "bicefalo" della V Repubblica), al centro di una complessa questione di "un déséquilibre institutionnel contraire aux principes du constitutionnalisme moderne", a seguito del quale - dice Franck Laffaille - "Le Président gouverne; il est irresponsable". E continua: "L'histoire de la Vème République est celle d'une responsabilité politique présidentielle inexistante. Irresponsable juridiquement (article 6815), le chef de l'Etat dispose de pouvoirs propres dispensés de contreseing (article 1916), en rupture complète avec la logique parlementaire. Sbpère un évident hiatus entre pouvoir et responsabilité... Cela ne serait pas dommageable s'il était véritablement un arbitre super partes. Or, tel n'est pas le cas. En période de présidentialisme absolu, il phagocyte les prérogatives du Premier ministre. A cetre convention contra legem, s'ajoute celle de la révocabilité du chefdu gouvernement: alors que ce dernier est seulement responsable devant l'Assemblée nationale". Irresponsabilità giuridica coniugata ad ampi e rilevanti poteri, nonché a prerogative e finzioni che fanno del Presidente della Repubblica tutt'altro che un arbitro super partes. Molto critica la conclusione di Laffaille: "La notion de démocratie de garantie est étrangère à l'humus constitutionnel franais. Les régimes politiques passés ont ce point sacralisé un organe constitutionnel - le législatif, l'exécutif, le législatifl'exécutif... - au détriment des autres que la notion d'équilibre institutionnel est étrangère à notte culture. Etrange au pays de Montesquieu; il est vrai que la France n'a rien d'un pays authentiquement libéral' 7". Fin qui abbiamo seguito l'evoluzione della storia e della prassi costituzionale francese. Per giungere alla recente modifica che, come si vedrà, asseconda alcune significative pratiche che rappresentano un fattore di squilibrio, a tratti preoccupante, della macchina istituzionale, pur cercando di recuperare su altri versanti che, tuttavia, hanno diversi pesi specifici. 121


LE NOUVEAU MONDE Con decreto del Presidente della Repubblica n. 1108 del 18 lùglio 2007, è stato istituito il Comitato di riflessione e di proposta sulla modernizzazione ed il riequilibrio delle istituzioni della V Repubblica (Comité de réflexion et de proposition sur la modernisation et le rééquilibrage des institutions de la Ve République), per fare il punto sullo stato di salute della Repubblica ed approntare le riforme. Il cosiddetto Comitato Balladur, nato per rispondere alle preoccupazioni e sollecitazioni che il Presidente Sarkozy 18 ha espresso nella lettera di missione allegata al decreto, "Plus de transparence, plus de débat, plus de semplicité", ha prodotto e reso pubblico (24 ottobre 2007) un ponderoso dossier di circa duecento pagine e settantasette proposte di riforma, intitolato Une Ve Republique plus democratique 19 incentrato su tre macro-aree tematiche: un migliore assetto del potere esecutivo; il rafforzamento del Parlamento; l'introduzione di nuovi diritti per i cittadini. E di qui, dal progetto di una riforma di sistema, "un ensemble cohérent, qui propose un changement institutionnel global et ambitieux", che prende le mosse la riforma costituzionale approvata lo scorso 21 luglio, dal Parlamento francese riunito in Congresso, con una faticosa maggioranza di tre quinti (un solo voto in più rispetto ai 538 necessari sugli 896 espressi) e la strenua opposizione dei socialisti 20 La riforma introduce quarantasette nuove misure (su un totale di ottantasette articoli), con modifiche apportate a più della metà degli articoli della Costituzione. Vediamo i profili più rilevanti in tema di rapporti tra poteri dell'esecutivo e del legislativo. Questi gli obiettivi specifici della riflessione: - in primo luogo, il riequilibrio dell'architettura istituzionale: chiarire il ruolo dell'esecutivo in una prospettiva più generale di trasparenza e responsabilità; e procedere al rafforzamento del Parlamento dopo la riforma del 1958; - in secondo luogo, la governabilità: consentire al Presidente della Repubblica di esercitare le proprie funzioni in maniera trasparente ed agevole, anche di fronte al Parlamento, senza l'intermediazione del Primo ministro; - in terzo luogo, i limiti: apporre un certo numero di limiti ai poteri del Presidente della Repubblica, garantendo, di contro, maggiore spazio alle iniziative del Parlamento. Il progetto è insomma assai ambizioso, fino a comprendere la riforma ,

.

122


della giustizia (diversa composizione del Conseil supérieur de la magistrature; nuova disciplina del diritto di concedere la grazia; introduzione di un controllo di costituzionalità delle leggi a posteriori; etc.), gli istituti della democrazia diretta 21 , ed i nuovi diritti di cittadinanza. D0MIcILE CONJUGAL Il nodo centrale della riflessione è l'assetto dei poteri interni allo Stato, dal quale sembra poi derivare un complessivo riaggiustamento a catena delle altre funzioni e strutture, in modo tale da ridare coerenza all'insieme. Il Presidente della Repubblica ed il Primo ministro formano l'esecutivo. Come già detto, nella pratica degli ultimi quarant'anni, è il primo ad essere connotato quale capo dell'esecutivo in un regime imperfetto di responsabilità e di margine di manovra. Scrive Laffaille: "L'article 20 (dénaturé) de la Constitution de 1958 doit se lire (improprement) ainsi: le Président détermine la politique de la nation qui est conduite par le Premier ministre, ramené au rang de (puissant) chef de cabinet. Le Président arbitre (article 5) n'existe donc pas et prend les traits d'une fiction juridique; l'histoire de la Vème République est celle d'une violation quotidienne du texte constitutionnel". Ragione per incentrare le riforme anche sul ruolo del Parlamento. Ma non per rivedere l'elezione diretta della Presidenza. In Francia, il presidenzialismo è una realtà consolidata, confermata proprio dalla riforma che ha trasformato il mandato del capo dello Stato in una carica quinquennale (e non più di sette anni, poiché, come riferito nel Rapporto Vedel, "Un mandat de cinq ans rend plus sopportable le cumul de l'autorité et de l'irresponsabilité") con elezione a suffragio universale diretto. Secondo Sarkozy 22, è quindi necessario rafforzare i poteri del Presidente della Repubblica come "colui che è eletto", diversamente dal Primo ministro, che è nominato. Quest'ultimo dovrebbe essere "colui che coordina e non più che dirige/determina l'azione del governo, creando al tempo stesso una diretta responsabilità presidenziale di fronte all'Assemblea per spiegare direttamente la sua politica ai parlamentari". Detto fatto, il nuovo art. 20, co.1, recita: "le gouvernement détermine-e conduit la politique de la nation"; mentre (co.2), il governo "dispose à cet effet de l'administration et de la force armée". La riforma concerne quindi anche l'art. 21: "Le Premier ministre dirige l'action du Gouvernement. Il met en oeuvre les décisions prises dans les conditions prévues à l'article 15 en matière de défense nationale...", in combinazione con l'articolo 523, che conferisce al capo dello Stato il ruolo di arbitro e ga123


rante dell'unità nazionale, spingendosi a configurarne pieni poteri politici ("Il définit la politique de la nation"). La riforma, cioè, opta per una ulteriore presidenzializzazione del regime francese, con un avvallo ufficiale dellbrientamento de facto della prassi dell'ultimo mezzo secolo. Vediamo come. LE PRJSIDENT

Il nuovo art. 6 Const. fissa il limite di due mandati presidenziali consecutivi (nelle parole di Balladur: "quand on se préoccupe troup de durer, on se préoccupe moins d'agir"), ma il capo dello Stato potrà - questa è la misura principalmente osteggiata dai socialisti - riferire direttamente alle Assemblee sul proprio operato. Il nuovo art. 18 Const. 24 infatti, sancisce la possibilità per il Presidente di prendere la parola davanti alle Camere riunite in Congresso, con possibile dibattito successivo senza voto, abolendo la prassi dei messaggi alle Camere per il tramite del Primo ministro. In molti hanno cercato di ridimensionare la portata di tale novità, fino a porla sul medesimo piano (stesso genus, ma diversa qualità) delle comunicazioni di massa attraverso le quali la politica quotidianamente parla al suo interno ed ai pubblici esterni (è di questa idea F. Bassanini). A voler guardare meglio, non si tratta propriamente di quale modalità scegliere per rivolgersi alle Camere o di quale strumento dimostri un maggior rispetto delle istituzioni. Il nodo è negli equilibri che mutano e nelle figure che avanzano con le relative sfere di attribuzioni e di poteri, laddove lo scavalcamento delle funzioni del Primo ministro è evidente25 . Robert Badinter, ex Presidente del Conseil Constitutionnel, compie questo sforzo, e osserva che ciò che fa il nuovo art. 18 non è tanto permettere al capo di Stato di parlare alle Assemblee riunite in Congresso, presentare il programma di governo ed essere acclamato dalla propria maggioranza parlamentare lì seduta - con buona pace della tradizionale divisione dei poteri (che tale più non è dai tempi della guida presidenziale di un regime pur parlamentare, laddove l'elezione diretta a suffragio universale ne ha allargato la portata e gli ambiti di influenza: "de l'arbitre on pase au capitaine. De purement institutionnelle, la fonction présidentielle devient politique" 26, con tutta la forza, non solo simbolica, che gli viene dal fatto che, nelle parole di Valéry Giscard d'Estaing, "sa circoncription c'est la France") - bensì far scomparire il Primo ministro quale capo della maggioranza parlamentare, consegnando al Presidente della Repubblica lo scettro. Facendolo apparire il vero capo della maggioranza. E creando - anche in virtù della quasi coincidenza dei mandati - una non ottimale competizione tra le due cariche, con importanti river,

124


beri anche sulla rappresentanza nazionale all'estero: "le Palais-Bourbon demeurera une annexe du palais de l'Elysée. Cy veut le Roi, cy fait la loi, l'axiome de l'Ancien Régime demeure la régle sous la Ve République." 27 A chi, come Balladur, replica che tale disposizione non cambia le carte in tavola - poiché non è esistito presidente che, nella condiiione di Sarkozy, non abbia di fatto rappresentato ed agito da capo del governo essendo parte in causa anche in quanto presiede il Consiglio dei ministri -, andrebbe ricordato il contenuto dell'art. 5 Const., che attribuisce al Presidente il ruolo "de gardien de la Constitution, d'arbitre national au-dessus des parti set enfin de garant de l'indépendence nationale, de l'intégrité du territoire er du respect des traités"28, con alcuni poteri (e responsabilità) in materia di difesa e di politica estera. L'assetto costituzionale è stato nel tempo ribaltato, e le funzioni formali ed istituzionali sono divenute prettamente politiche, poiché i Presidenti sono consci della verità proferita da Vedel: "La position d'un candidat qui ne promettrait que l'arbitrage au sens faible est sans avenir" 29 Ad ogni modo, l'anomalia, se tale è, piuttosto che regolarizzata con la costituzionalizzazione dello status quo, andrebbe meglio affrontata con un'opportuna quanto chiarificatrice messa a punto dei lacci e dei lacciuoli atti a ricreare e dare sostanza alla funzione del Primo ministro, che va sbiadendo sempre più. Non, come auspica Sarkozy per l'amico Fillon, nella direzione di un Primo ministro co-organizzatore degli eventi mondani internazionali 30 .

.

LE LÉGISLATIF

Il Parlamento francese è costituito dall'Assemblea nazionale e dal Senato, eletti con differenti sistemi (suffragio universale diretto la prima, indiretto 31 il secondo), in modo tale da assicurare la rappresentanza territoriale (art. 24 Const.: "d'assurer la représentation des collectivités territoriales de la République") dei cittadini francesi. Il caso francese, all'interno di una forte instabilità istituzionale, presenta - a detta degli storici delle istituzioni e dei costituzionalisti - "l'alternarsi di cicli costituzionali a prevalenza delle Assemblee e dell'esecutivo"32 . A riprova di ciò vi è la documentata vitalità costituzionale del periodo 1789-2003, che ha visto nascere e susseguirsi ben sedici documenti costituzionali, tra cui Costituzioni democratiche (Legge costituzionale del 1875; Costituzione del 27 ottobre 1946) e non (Costituzione del 24 giugno 1793) a prevalenza dell'Assemblea, e Costituzioni democratiche (Costituzione del 4 novembre 1848 e Costituzioni del 1958) e non (Costituzione del 13 dicembre 1799), a prevalenza dell'esecutivo. E così che giunge a configurazione, quale tendenza del sistema, un muta125


mento radicale nella struttura funzionale del Parlamento, che è sempre meno il luogo dove si forma l'interpretazione del bene comune dopo deliberazione aperta, a conclusione del fatto che "solo ritualmente oggi nel regime democratico liberale si può collocare nel Parlamento e nelle istituzioni rappresentative, e quindi nel 'popolo' di fronte al quale essi si considerano responsabili, la sede della sovranità" 33 In tale veste, il Parlamento - in quanto luogo di incontro e mediazione delle istanze pluralistiche della società civile tutta - non può e non dovrebbe trasformarsi nella "sede del conflitto permanente tra la maggioranza organo di applicazione delle direttive dell'esecutivo e lpposizione rappresentante di un altro pezzo del Paese, perché la forza del Parlamento nei confronti del governo non è determinata tanto dai poteri che lpposizione ha dentro il Parlamento, ma dai poteri che il Parlamento complessivamente ha nei confronti del governo" 34. Tuttavia, la teoria del Parlamento come blocco unico contrapposto all'esecutivo presuppone un sistema politico consociativo ove non vi è unpposizione come alternativa realisticamente concepibile. In Francia, invece, il sistema è competitivo, nel quadro di una democrazia maggioritaria tale per cui chi vince le elezioni va a costituire la maggioranza e deve attuare il programma politico presentato in campagna elettorale, mentre 1pposizione ha qualche spazio in Parlamento per controllare lperato del governo e prospettare il proprio programma alternativo. Di qui la problematicità dei contenuti della riforma nelle parti relative al Parlamento francese, che induce legittimamente ad affermare che non di rafforzamento del Parlamento si tratta, bensì della sola maggioranza parlamentare, ossia del governo. E del Presidente nei casi sempre più frequenti di fait présidentiel. Nell'ambito del processo legislativo, il ruolo (non simmetrico e paritario) del Sénat e dell'Assemblée nazionale è in primo luogo limitato alle sole materie ex art. 34 della Costituzione, poiché le restanti sono affidate ai regolamenti governativi. In virtù del diritto d'iniziativa governativa ex articolo 39, primo comma, della Costituzione, il governo avvia il dibattito parlamentare presentando i propri disegni di legge nonché avvalendosi del diritto di emendamento (articolo 44, primo comma, Const.) 35 . Tuttavia, vi è una considerazione politica relativa all'organizzazione della maggioranza parlamentare, per cui anche quando è il Parlamento a presentare una proposta di legge, "Il arrive méme que ce soit le Gouvernement qui suscite le dépòt de propositions de bis; c'est un moyen commode pour lui de ne pas endosser officiellement la paternité d'un texte. Quant aux parlementaires de l'opposition, ils déposeront des propositions sans se faire grande illusion sur leur aboutissement"36 Les fonctions du Parlement: en rupture avec la tradition, le Par.

. "

126


lement n'a plus la maitrise absolue de la procédure législative. Le Premier ministre et son gouvernement peuvent contròler la création de la loi. Il reste que lbpposition parlementaire au fu des années a su développer des moyens dbstruction qui génent considérablement le gouvernement. Nous allons le vérifier en étudiant successivement les étapes principales de la création de la loi puis plus largement les rapports gouvernement-parlement" 37 Lo strumento a disposizione del Parlamento nel suo insieme come controlimite al potere dell'esecutivo è sostanziato da un potere di controllo in capo ad esso che si basa sul riconoscimento formale in Costituzione delle Assemblee quali soggetti partecipi del procedimento legislativo attraverso l'esercizio di ftinzioni e prerogative, tra cui il lavoro delle Commissioni parlamentari (che "jouent un ròle de préparation et de canalisation du débat" 38) e le missioni di informazione e di inchiesta, su tutte. All'interno della più ampia fttnzione di controllo 39 il Parlamento recupera senso in termini di ruolo e ftinzioni delle due Assemblee. Tuttavia, prima della riforma, la Costituzione fissava a sei il numero delle commissioni legislative permanenti (art. 43). Ecco perché "afin de compenser le nombre restraeint des commission permanentes autorisè par la Constitution et d'accomplir leur mission avec davantage d'efficacitè, les Chambres ont recours, depuis 1974, aux délégations parlementaires, depuis 1983, aux offices d'évaluation et, depuis 1991, aux missions d'information"40 Con l'intervenuta riforma, il limite passa da sei ad Otto, e non a dieci come nel progetto originario del Comitato Balladur, registrando un'evidente preoccupazione ed una troppo prudente azione, quasi un sospetto, del legislatore francese nei confronti delle Commissioni parlamentari. Non a caso, il dibattito di studiosi e i politici francesi da tempo disegna ampie volute sul punto, chiedendosi se siano preferibii le Commissioni speciali create ad hoc o, al contrario, quelle permanenti. Sul punto, la soluzione adottata dalla Costituzione del 1958 all'art. 43 prevede quanto segue: "I disegni e le proposte di legge sono, a richiesta del governo o dell'Assemblea che ne è investita, inviati per l'esame a Commissioni espressamente designate. I disegni e le proposte di legge per le quali tale richiesta non è stata fatta, sono inviati ad una delle Commissioni permanenti, il cui numero è limitato a sei per ciascuna Assemblea". Il rinvio di un disegno o di una proposta di legge ad una Commissione legislativa permanente è dunque previsto solo a titolo eccezionale, in quanto la regola è la costituzione di una Commissione specialmente designata a tale scopo. I sostenitori delle Commissioni permanenti sono convinti che esse soltanto possano favorire la specializzazione dei parlamentari, senza cambiare le carte in tavola di volta in volta, garantendo altresì un efficace strumento di .

,

.

127


controllo sul governo. Un'altra parte della dottrina ritiene che esse non siano affatto una garanzia di competenza tecnica, quanto piuttosto un'attrazione irresistibile per l'azione di gruppi a difesa di interessi particolari. Delle Commissioni permanenti è poi denunciata la lentezza dei lavori, appiattiti sui ritmi dell'Assemblea, fino a costituire un ostacolo all'attuazione del programma di governo. Anche se esiste una esplicita tutela in tal sens0 41 , le ragioni di questa preoccupazione hanno radici nella critica resa al precedente sistema, in cui la prevalenza delle Commissioni permanenti aveva condotto ad abusi e lentezze nel procedimento legislativ0 42, e nella decisa opzione in favore di un sistema in cui non ci sia un Parlamento onnipotente quanto piuttosto una preponderante influenza del governo, in omaggio alla logica maggioritaria. Le medesime ragioni spiegano non solo il perché di un numero così esiguo di commissioni, ma anche la circostanza che tale numero sia stato fissato rigidamente dalla Costituzione, espropriando la fonte regolamentare di un campo che, di norma, le appartiene. 43 La prassi ha tuttavia smentito tale scelta disegnando un sistema in cui le commissioni permanenti hanno avuto la meglio su quelle speciali. " ... Qu'au mépris dell'article 43 de la constitution, la compétence del commissions permanentes constitue aujourd'hui la règle de droit commun tandis que la constitution d'une commission spéciale est deve. 44 nue lexceptlon Nei fatti, quindi, le Commissioni speciali non hanno soppiantato le Commissioni permanenti 45 , come dimostra il fatto che da tempo l'esame di un testo da parte di una Commissione permanente è diventato una soluzione sistematica, mentre la creazione di Commissioni speciali è piuttosto l'eccezione. Le ragioni della scelta di limitare il ricorso alle Commissioni speciali sono molteplici46 . In primo luogo, la forza della tradizione parlamentare - che ha sempre privilegiato le Commissioni permanenti - ha finito col prevalere sulla volontà innovatrice della Costituzione: è improbabile che le Commissioni permanenti accettino di essere private delle loro competenze a vantaggio di una Commissione speciale. Da ultimo, perché è lo stesso governo che preferisce rimettersi alle Commissioni permanenti; infatti, in seno a queste ultime, esso dispone della maggioranza dei seggi e può controllarne la presidenza, mentre una Commissione speciale bisogna comporla e dominarla. Di conseguenza, il governo sarà incline a proporre la creazione di una Commissione speciale solo quando sarà certo della propria forza. A questo punto, il testo depositato e rinviato all'esame di commissione 47 è oggetto del dibattito in seduta pubblica, che si tratti di un disegno o di una proposta di legge: il vecchio articolo 48, comma primo, della Costituzione stabiliva che: "L'ordine del giorno delle Assemblee comprende per priorità e 1

128


nell'ordine fissato dal governo la discussione dei progetti di legge presentati dal governo e delle proposte da esso accettate". Con il nuovo art. 4848, ciascuna Assemblea dispone del proprio ordine del giorno, secondo le seguenti indicazioni: in due settimane di seduta su quattro - salvo nei casi in cui subentri un ordine del giorno prioritario deciso dal governo, nel quale rientrano tutti i progetti di legge finanziaria, di finanziamento della sicurezza sociale, relativi allo stato di crisi e alle richieste di autorizzazione ex art. 35, nonché i testi trasmessi all'altra Assemblea da oltre sei settimane - la Camera potrà decidere l'ordine dei lavori; una settimana è riservata al controllo sull'operato del governo ed alla valutazione delle politiche pubbliche; un giorno di seduta al mese (!) è riservato all'iniziativa dei gruppo di opposizione e di quelli minoritari; una seduta a settimana è riservata alle interrogazioni del Parlamento ed alle risposte orali del governo. Jean-Louis Debré, Presidente del Conseil Constitutionnel, ha accolto criticamente la modifica dell'art. 48, riportando casi ed esempi della storia politica francese a sostegno delle enormi difficoltà cui si va incontro e degli ostacoli che si frapporranno alla modernizzazione ed alle misure necessarie al Paese: "Lorsque Joseph Caillaux, alors ministre de Fìnances dans le cabinet de Georges Clemenceau, a voulu faire passer son project de loi sur l'instauration d'un impòt sur le revenu, il lui a fallu sept ans pour le faire voter. Et il a fallu quatorze ans au député républicaine Léopold Goirand pour faire voter sa proposition de loi donnànt à la femme marine la libre disposition de son salaire. Pourquoi? Parce que le gouvernement n'avait pas la maitrise de l'ordre du jour du Parlement... Lorsque le gouvernement n'avait pas la maitrise de l'ordre du jour, le réformes peuvent étre bloquées". 49 Tuttavia, la gestione dell'ordine di giorno da parte delle stesse Assemblee non coincide con l'emancipazione del Parlamento dai poteri del governo, laddove per Assemblee si intendono le maggioranze interne, e quindi il governo stesso, non certo l'opposizione, cui spetta fissare l'agenda una volta al mese. Per di più, tramite lettera semplice o comunicazione orale in seduta, il governo può modificare l'ordine del giorno prioritario 50. L'art. 48 Const. costituisce un'efficace "arma" a disposizione del governo 51 il quale può, al momento della riunione della Conferenza dei presidenti, utilizzare la priorità dei propri progetti di legge per cancellare dall'ordine del giorno le proposte di legge del Parlamento. La priorità di governo, tuttavia, già con la revisione del 1995 non era più assoluta, nel senso che una volta al mese la priorità era assegnata all'ordine del giorno redatto da ciascuna Assemblea. Il governo può anche avviare la procedura d'urgenza ex art. 45, limitando i tempi di discussione parlamentare, ed ha inoltre il potere di bloccare e/o selezionare i progetti di leg,

129


ge e gli eventuali emendamenti attraverso lo strumento della questione di irricevibilità ex art. 41 Const. ("S'il apparait au cours de la procédure législative qu'une proposition ou un amendement n'est pas du domaine de la loi ou est contraire à une délégation accordée en vertu de l'article 38, le Gouvernement ou le président de l'assemblée saisie peut opposer l'irrecevabilité") e dell'irricevibiità finanziaria ex art. 40 Const. 52 . Nel caso in cui la questione di irricevibilità ex art. 41 Const. implichi un disaccordo tra governo proponente e Presidente d'Assemblea, su richiesta dell'uno o dell'altro può essere adito il Conseil Constitutionnel, che decide entro otto giorni (art. 39)53. Elemento importantissimo è rinvenibile all'art. 42 Const., la cui norma disponeva che la discussione in Assemblea si svolgeva sul testo così come presentato dal governo, dal'momento che gli emendamenti adottati in commissione non si integravano con il testo originario, ma costituivano un testo a se stante (co. 1). Il nuovo testo 54 concede maggiori spazi alle Commissioni parlamentari, sui cui testi si svolge il dibattito in aula, con eccezioni non di poco conto (co. 2): "Toutefois, la discussion en séance des projets de révision constitutionnelle, des projets de loi de finances et des projets de loi de financement de la sécurité sociale porte, en première lecture devant la première assemblée saisie, sur le texte présenté par le Gouvernement et, pour les autres lectures, sur le texte transmis par l'autre assemblée". Con la modifica dell'art. 42, c'è chi teme che il governo rischi di vedere rigettati o stravolti i propri progetti di legge, come nel 1906, quando Georges Clemenceau dovette attendere quattro anni, e mandare giù non poche modifiche al testo originario, prima di riuscire a fare approvare una riforma audace ed essenziale (la legislazione sociale sulle pensioni degli operai e dei contadini), proprio perché la Commissione competente in Senato era contraria. Posto che il ruolo del Parlamento e, nello specifico, dellpposizione non è quello di bloccare, bensì di provocare il dibattito, obbligando il governo ad assumere una posizione chiara e, laddove ci siano i numeri, a migliorare e rivedere i testi, va detto che la forza parlamentare è un elemento di buona salute della democrazia parlamentare, in omaggio alla tesi storica secondo la quale - come ribadisce Roberto Bin - "nessun ente politico può funzionare a dovere se l'assemblea rappresentativa che concorre alle sue decisioni non funziona a sua volta a dovere". Il che significa semplicemente che: "a nessun capo di Esecutivo (salvo non sia nato in Lombardia, potrebbe aggiungersi malignamente) conviene augurarsi di operare in un sistema in cui l'assemblea elettiva è incapace di esercitare ejficientemente un ruolo istituzionale adeguato. Almeno il bilancio e un cer130


to numero di leggi importanti devono essere approvati ogni anno. non è opportuno che diventino l'occasione per la resa dei conti e tanto meno è conveniente che questa sia rimandata afine legislatura, quando si ridiscute delle candidature... In secondo luogo, solo un'assemblea efficientepuò difendere il proprio ruolo, altrimenti l'Esecutivo ha tutte le ragioni di escogitare tutti i modi per scansarne i meandri procedurali. Insomma, visto che l'Esecutivo non può governare senza assemblea, ma l'assemblea non può dfèndere il suo ruolo se non opera con fficienza, lfficienza delle procedure assembleari è interesse di entrambi i poteri. Il secondo postulato è dunque speculare al primo: a nessuna assemblea elettiva conviene essere infficiente, ingovernabile, incapace di rispondere in tempi ragionevoli alle esigenze prospettate dall'Esecutivo' 55

Tuttavia, con una maggioranza favorevole al Presidente, resa assai più frequente e probabile dall'effetto di trascinamento del calendario elettorale ("Qui plus est la ma] orité parlementaire qui s'est formée et structurée à partir de la majorité présidentielle coincide politiquement avec celle-ci. Elles sont imbriquées l'une dans l'autre, la majorité parlementaire se réclame de la majorité présidentielle, ce phénomène majoritaire à la franaise place le président de la République dans une situation où il peut effectivement disposer en dehors de ses propres pouvoirs d'une bonne partie de ceux du Premier ministre et du gouvernement: c'est le présidentialisme majoritaire" 56), tale "inconveniente" non potrà verificarsi: ci si dimentica che il Parlamento comprende (in Francia) destra, centro e sinistra, laddove è la maggioranza presidenziale, al di ftiori dei casi di coabitazione, a conquistare spazi, mentre all'opposizione (sinistra e centro) spetta un giorno ogni tre settimane. Come anche nel caso delle Commissioni parlamentari, la cui composizione è proporzionale ai numeri del Parlamento e sono presiedute in sette casi su otto dalla maggioranza di governo. Si vede quindi chiaramente che il nuovo art. 42, nella parte relativa alla discussione in Aula sul testo delle Commissioni competenti (e non più del governo), è tutt'altro che una minaccia per il governo. Mentre, nel caso di cohabitation, l'inconveniente in questione non è altro che il gioco della democrazia, ove pari e distinti poteri - eletti, come piace dire a Sarkozy - esercitano le rispettive prerogative e funzioni. Se il parametro unico di riferimento deve essere la speditezza della legislazione, allora occorrerà pensare a ben altre riforme, per vie di fatto. Il mito dell'efficienza, del resto, ha ciclicamente eretto i suoi altari ed animato sterminate folle. Basta dirlo. Del resto, se la sola differenza che egli stesso 57 individua ri131


spetto al dispotismo è l'essere stato eletto, quale condizione sufficiente per poi fare il proprio comodo, in omaggio allrigine etimologica del lemma (gr. despctis: padrone di casa, tradizionalmente con poteri di vita e di morte sugli schiavi), è in discreta compagnia. L'inganno del riequilibrio del Parlamento rispetto all'esecutivo compare anche nel caso dell'articolo 13 Const., sui limiti ai poteri di nomina presidenziali58 per le alte cariche (Conseil Constitutionnel, Conseil Supérieur de l'Audiovisuel, etc.). Limiti che restano solo sulla carta nel caso di fait majoritaire, poiché le designazioni presidenziali dovranno essere rigettate da una maggioranza di tre quinti59 dei membri della commissione parlamentare competente presso ciascuna Assemblea, ovvero con l'apporto fondamentale della maggioranza presidenziale. Ecco perché, a detta di Robert Badinter, se realmente si intendeva porre un limite e stabilire alcune garanzie al riguardo, sarebbe stato opportuno prevedere il voto di una maggioranza favorevole dei tre quinti dei membri, con l'apporto dell'opposizione. L'attuale riforma, invece, corazza i poteri di nomina del Presidente dando loro una parvenza solo formale di condivisione, controllo e maggiore legittimazione. Il senso è che senza uno statuto dellbpposizione tali riforme vanno nella direzione di un rafforzamento della sola maggioranza parlamentare: non del Parlamento, bensì del governo. Adesso in relazione diretta con il Presidente della Repubblica. In sintesi, la questione del ruolo e dei processi che investono la maggioranza parlamentare nei casi di fait majoritaire e fait présidentiel va necessariamente inquadrata nel complesso delle dinamiche e dei cambiamenti che hanno investito il sistema politico e quello partitico all'indomani della riforma del 1962, con l'elezione diretta a suffragio universale del Presidente della Repubblica. In tal senso, ad esempio, vale quanto osservato da Ferretti: Yusqu'à l'alternance de 1981, la concordance des deùx majorités allait de sai. Ilfallait élire des deputés soutenant le président et quand l'élection présidentielle arrivait, ilfallait élire un président qui disposait deà d'une majorité de deutes et ainsi de suite. Brefi le changement dans la continuité devenait le slogan qui caractérisait la Ve Relpublique... L'élection présidentielle est en effet l'occasion révée pour le partis du système d'affirmer leur existence. Natureliement ils vont avoir tendance à présenter un candidat. Leur existence semble d'ailleurs sejustfierpar laprésentation d'un candidat. Ils sont devenus des 'écuries présidentielles"60 .

132


LE GOUVERNE

L'articolo 49, comma 3, Const. istituisce ed illustra tre distinte procedure di messa in causa della responsabilità del governo: al primo comma, troviamo la cosiddetta "questione di fiducia" ("il governo impegna la propria responsabilità su di un programma o su una dichiarazione di politica generale"), laddove è il governo a prendere l'iniziativa e l'Assemblea nazionale ad esprimersi in merito; al secondo comma, è disciplinata la procedura della mozione di censura, con i deputati autori dell'iniziativa e chiamati a pronunciarsi; al terzo comma, infine, vi è una particolare forma di messa in causa della responsabilità di governo su di un testo legislativo da fare approvare, che inizia come una questione di fiducia e può risolversi con una mozione di censura. Altrimenti, in base ad un complesso meccanismo che vedremo, il testo di legge è considerato adottato senza il voto dell'Assemblea nazionale (secondo quanto previsto all'art. 34 Const.: "la legge è votata dal Parlamento"). Espressione del parlamentarismo razionalizzato, l'art. 49.3 della Costituzione francese regola le condizioni di esercizio di tale procedura, al fine di garantire la ftinzione di controllo del Parlamento sull'operato del governo, evitando allo stesso tempo l'instabilità ministeriale ed i suoi esiti paralizzanti. Usato a fasi e con intensità alterne e discontinue (nel corso della Quinta Repubblica, 85 volte in totale, di cui 43 volte dal 1959 al 1962, e ben 38 nel quinquennio della IX legislatura, dal 1988 al 1993), l'art. 49.3 Const. ha connotato alcune delle principali vicende della Quinta Repubblica, quale strumento importante nelle mani del governo e della realizzazione della sua azione. La decisione di ricorrere all'articolo in questione spetta al Consiglio dei ministri, con delibera ministeriale ad hoc. A questo punto, il Primo ministro avvia la procedura ed il meccanismo concreto. Nei fatti, egli decide anche circa l'opportunità della decisione e questa, inoltre, segnala preventivamente ai deputati il grado di determinazione del governo affinché il testo sia approvato. Così anche la scelta del momento in cui il governo impegna la propria responsabilità segnala il tipo di politica del Primo ministro: il caso in cui il ricorso all'art. 49.3 Const. avvenga in fase iniziale di esame del testo da parte dell'Assemblea nazionale, senza che alcun dibattito sia stato intavolato, è ben diverso dal caso in cui il Primo ministro, dopo una lunga discussione parlamentare, ricorre a tale procedura come ultima cartuccia, dopo avere cercato in ogni modo il dialogo ed il compromesso con i contrari, senza potere fare altro. Non a caso, l'art. 49.3 Const. è detto anche la "Grosse Bertha", ad indicarne la funzione di artiglieria pesante nelle mani del governo. In primo luogo, il dibattito si sposta dai (de)meriti del testo a quelli del governo stesso, per deciderne la sorte e, soprattutto, se ne valga la pena o no. E, allo stes133


so tempo, viene segnalata la posta in gioco e quanto il governo è disposto a scommettere (fino ad impegnare la sua stessa sopravvivenza e ragione di essere/restare). A questo punto, è lo stesso Primo ministro che comunica la decisione all'Assemblea nazionale, dando inizio alle 24 ore al termine delle quali il testo è considerato adottato, senza alcun voto, e senza che l'Assemblea abbia avuto la possibilità di esaminare il testo, di pronunciarsi su di esso. A meno che l'Assemblea nazionale decida di opporsi all'adozione del testo, e prima dello scadere delle 24 ore presenti e depositi una mozione di censura che biocca il testo e rovescia il governo. Non cosa semplice da attuare, dal momento che è prevista una soglia minima di deputati, pari ad un decimo dei componenti dell'Assemblea nazionale, ed un limite massimo di tre mozioni consentite a ciascun firmatario per ogni sessione. Se si pensa che, seguendo la normale procedura, il governo ha bisogno del voto favorevole della maggioranza dei suffragi espressi, mentre il ricorso all'art. 49.3 Const. pone quale ostacolo all'adozione di un testo la difficile evenienza in cui la maggioranza assoluta dei membri dell'Assemblea vota la mozione di censura, si comprende l'utilità della procedura in questione. Utilità che, in verità, va ricondotta a distinte finalità e contingenze, così come è possibile ricostruirle seguendo la storia della sua prassi. Nella volontà originaria di tale istituto è rintracciabile l'idea di dovere consentire ed assicurare la sopravvivenza ad un governo minoritario, sprovvisto della maggioranza assoluta necessaria a fare approvare i propri testi, quindi ricattabile dalle opposizioni pronte ad allearsi contro il governo impedendone un'azione efficace di realizzazione del programma. Così è stato per il governo "aperto" del socialista Rocard (IX legislatura, 1988-1991), osteggiato da repubblicani e democratici a destra e dai comunisti a sinistra, che registra ben ventisette casi di ricorso all'art. 49.3 Const.. Non così nel caso dei governi Barre (V e VT legislatura, 1973-1981), con quattordici ricorsi in totale, a fronte di una maggioranza di governo frammentata e litigiosa (fino al rigetto della legge finanziaria nel 1980 da parte dei repubblicani). Caso distinto è, ancora, quello del ricorso all'art. 49.3 Const. per superare flstruzionismo dellpposizione che si esprime classicamente in forma di dilatazione massima dei tempi di parola al momento della discussione sui testi in esame al fine di ritardare se non impedire il voto. A tale strategia non è in grado di porre un argine neanche l'articolo 44.3 Const. con il voto bloccato sull'intero testo e non sui singoli articoli, poiché il problema è giungere al voto. In Italia, la strategia è stata efficacemente usata dal Partito Radicale (non s010 61 ) tra il 1976 ed il 1979. Con oltre 160 interventi in aula per richiami formali al regolamento, i deputati ra134


dicali si opposero a numerosi comportamenti contrari alle regole (interpellanze ed interrogazioni ignorate dal governo; abuso del ricorso ai decreti-legge senza che sussistessero le condizioni atte a configurare "casi straordinari di necessità ed urgenza"; scarsa trasparenza ed informazione sui lavori parlamentari). Subentrarono allora le riforme dei regolamenti parlamentari in materia di programmazione dei lavori di esame ed approvazione dei testi legislativi ed il contingentamento dei tempi, così come attuate nel 1981 e nel 1998. In Francia, l'art. 43.9 interviene sospendendo il dibattito e facendo partire il conto delle 24 ore per il deposito della mozione di censura e le successive 48 ore per votare la mozione o dichiararla rigettata. Gli inevitabili abusi emergenti dal ricorso a tale procedura con frequenza e con motivazioni spesso non condivisibii hanno da tempo aperto la riflessione sulle opportune e possibili riforme dell'articolo in questione, fino all'ipotesi di soppressione dell'intero comma. A vincere, lo dice la riforma approvata da ultima, è stata la linea (tra cui il comitato presieduto da Georges Vedel nel dicembre 1992, su nomina del Presidente Mitterand 62) schierata in favore di un meno drastico intervento volto a disciplinare e limitare il ricorso a tale istituto, fissandone gli ambiti, l'oggetto e la frequenza del suo esercizio. Nel suo messaggio alle Camere sull'istituzione del Comitato, il Presidente Sarkozy ha scritto: "l'usage de cet article s'est banalisé. Il a permis d'encadrer une majorité structurellement étroite et incertaine entre 1967 et 1968, puis entre 1988 et 1993. Depuis quinze ans, il est essentiellement destiné à surmonter l'obstruction parlementaire. Ce dévoiement doit prendre fin" 63 . Ecco che la riforma limita il ricorso alla questione di fiducia nei soli casi dei progetti di legge finanziaria, dei progetti di legge sul finanziamento della sicurezza sociale e di un altro testo a scelta per ciascuna sessione 64, per un totale di tre-quattro testi per anno. RETOUR A LA TERRE Nella riforma approvata si ritrovano alcune delle proposte contenute nel rapporto Vedel del 15 febbraio 199365 e più volte riprese negli anni, da ultimo dal rapporto Balladur: in particolare, la costituzionalizzazione della finzione di controllo del Parlamento sullperato dell'esecutivo - con la previsione della possibilità di consultare la Corte dei conti (v. nuovo art. 47, co. 2 66) e la restrizione del ricorso alla questione di fiducia ex art. 49.3 Const., l'aumento delle Commissioni permanenti da sei a otto (art. 43 Const. 67) che è pendant con la maggiore autonomia delle Assemblee in tema di predisposizione dell'agenda dei lavori e dellrdine del giorno. 135


Non così per altrettante proposte di maggiore rilevanza e necessità: la messa a punto di uno Statuto dellpposizione (che tuttora non dispone di un reale diritto di iniziativa sulle procedure di controllo, quale l'istituzione di una commissione d'inchiesta, la possibilità di ascoltare i ministri e gli amministratori responsabili delle politiche pubbliche, la previsione di un relatore sul rapporto di minoranzalopposizione per l'esame di tutti i progetti di legge, la previsione di uguali tempi di parola per opposizione e maggioranza in seduta comune su materie di controllo), la limitazione del cumulo di mandati (frequente quello di ministro e sindaco) e la connessa questione dell'assenteismo dei parlamentari che in Francia tocca vette parossistiche che vanno ad incidere pesantemente sull'effettività e l'efficacia del controllo esercitato dal Parlamento sull'esecutivo (anche in Francia, per intenderci, esistono i pianisti o serruriers, con buona pace del principio della personalità del voto cx art. 27 Const. 68 ). Tutto rimandato a data da stabilire, pur con la legittima giustificazione di intervenire con legge ordinaria. Soprattutto, non è stato toccato il sistema di voto al Senato (per quanto la sinistra aveva ottenuto la promessa di introdurre un nuovo sistema elettorale e circoscrizionale per la Camera Alta insieme ad una quota proporzionale alla tedesca per l'Assemblea nazionale), congegnato in modo da dare sempre la maggioranza alla destra: dal 1958, nonostante nel tempo la sinistra abbia conquistato la maggioranza nelle circoscrizioni regionali e dipartimentali (dal 16 marzo 2008, la sinistra è vincente in tutte le categorie di collettività locali), un particolare sistema 69 di sovrastima del peso e della rappresentatività dei Comuni con popolazione inferiore ai mille e cinquecento abitanti consegna automaticamente la vittoria alla destra. Se si pensa che il Sénat ha un'ampia finzione legislativa, seppure inferiore a quella dell'Assemblée nazionale, ed ha diritto di veto per le riforme costituzionali, il quadro si aggrava). Nonostante i molti consensi che raccoglie l'assioma secondo cui l'elezione diretta dell'esecutivo produce la crisi dell'Assemblea rappresentativa70 , non è questa la ragione della debolezza delle assemblee francesi. Il dubbio è che, come suggerisce più d'un commentatore 71 l'hyperprésidence sia nei fatti nutrita da una condizione di generale indebolimento e scarsa incisività degli altripoteri: la giustizia, l'opposizione, i sindacati, la stampa, il Parlamento stesso. Ecco, allora, l'importanza di quello che la riforma lascia fiori e che pure era contenuto nel testo del Comitato Balladur. Da ultimo, il conteggio dei tempi di parola del Presidente sui media ai fini della quota riservata all'esecutivo. Il CsA applica la regola dei tre terzi: uno per il governo, uno per la maggioranza, uno per l'opposizione, la,

1*2


sciando fuori il capo di Stato. In un'intervista, il socialista Arnaud Montebourg, ex portavoce di Ségolène Royal, ha dichiarato che il mancato conteggio dei tempi di parola del Presidente e dei suoi collaboratori ha determinato, nel 2007, un surplus di presenza televisiva dell'esecutivo pari al 99% su France 2 e del 256% su TF1: "L'opposition est en voie d'élimination audiovisuelle". I tempi di parola del Presidente, dunque, secondo l'opposizione dovrebbero rientrare nel terzo del governo 72 , e secondo un recente orientamento del CsA dovrebbero semplicemente dare luogo, ogni volta che il Presidente si esprime, ad un diritto di replica da parte di maggioranza ed opposizione in omaggio al principio della par condicio. Al momento, lettera morta. Volendo credere a chi, come Carcassone, sostiene che "Ce qu'on appelle l'hyperprésidence n'est qu'une hyperprésence médiatique", si deve comunque cogliere con preoccupazione la scarsa consapevolezza circa la complessa funzione dei media nell'arena politica. Lungi dall'arruolarsi nelle già folte schiere degli apocalittici per disperdere quel che resta degli integrati 73 , non è possibile ignorare l'oramai lunga ed articolata storia delle teorie e degli studi in materia, cui i Cultural Studies e la Scuola di Francoforte prima e le teorie della ricezione poi hanno impresso sviluppi fondamentali, in direzione dell'interpretazione degli effetti dei media con attenzione ai contesti (risorse, istituzioni, culture, mezzi, processi) di decodifica dei testi. Sicché, letture resistenti, antagoniste, aberranti, parzialmente dissonanti, sono sempre possibili, ma tutt'altro che scontate in contesti ed assetti (politico-economici) accentrati ed egemonici. L'ARGENT DE POCHE

Qualcosa di sostanzialmente buono, seppure incompleto, nella riforma c'è. Sul fronte dei nuovi diritti dei cittadini, della giustizia e degli istituti di garanzia. Il Consiglio superiore della magistratura 74 non sarà più presieduto dal capo dello Stato edal ministro della Giustizia, e sarà composto da consiglieri non togati. E quello che Robert Badinter saluta come lo scacco a due grandi pericoli: "le Scylla du corporatisme et le Charybde de la politisation". Quanto ai pubblici ministeri, essi continuano a dipendere dal ministro della Giustizia, con buona pace di ogni pretesa di indipendenza. In materia di riordino del CsM, restano non poche aree oscure, e le nomine sono tra queste. Badinter osserva: "La parité. IVlagistrats et personnalités extérieures doivent étre en 137


nombre égal dans chacune des sections du CSM compétentespour le siège ou le parquet. Nous sommes Ioin du compte dans le projet voté à l'Assemblée! Les personnalités extérieures sani' en majorité, sauf évidemment en matière de sanctions disciplinaires. Quelle pesanteur de la tradition polirique franfaise! La méme inspiration se retrouve dans les procédures de nomination. Les magistrats du siège doivent étre totalemeni' indeendanh du pouvoirpolitique: c'est une garantie indispensable d'impartialité pour les justiciables. Les juges devraient donc étre nommés à tous les niveaux directementpar le CSM La solution retenue par leprojet est boiteuse, comme si lepouvoirpolitique nepouvait se déprendre de la tentation de peser sur la carrière desjuges. Quant aux membres du parquet, leur condition est complexe. Les procureurs, voués à mettre en oeuvre la politique pénale du gouvernement, doivent étre nommés avec l'avis conforme du CSM Les autres membres duparquet, corps hiérarchisés, doivent étre nommés directementpar le CSM. Au regard de ces princlpes simples, le projet voté est Ioin du compte. Je comprends la déception et l'in quiétude du corpsjudiciaire"

La parte riservata ai rapporti tra cittadini e istituzioni è tra le più interessanti, e prevede: nuovi diritti in materia referendaria (art.11, co.2 75 sull'iniziativa legislativa popolare; art. 88, c0.5 76 sul referendum propositivo per la ratifica dei trattati relativi all'adesione di uno nuovo Stato all'Unione europea); l'apertura della composizione del CsM; la possibilità di ricorso al Consiglio costituzionale da parte dei cittadini non in via diretta, bensì attraverso il rinvio dei giudici, nel corso di una concreta controversia, su istanza della parte, ex artt. 54 e 61 Const., quindi un meccanismo di controllo di costituzionalità delle leggi a posteriori ("exception d'inconstitutionnalité" ex art. 61.1. Const. 77); l'istituzione di un "difensore dei diritti fondamentali" 78 il diritto di petizione dei cittadini davanti al Consiglio economico, sociale ed ambientale; l'indizione di referendum popolare per le sole leggi che non siano state sottoposte all'esame delle Camere entro un termine prefissato; un'iniziativa legislativa mista, ovvero avviata da un quinto dei parlamentari e sostenuta da un decimo degli aventi diritto al voto (oltre quattro milioni di cittadini!). ;

SAUVE QUI PEUT (LA VIE)

Con questa riforma, il Presidente afferma simbolicamente una rottura nell'ambito della Costituzione, ufficializzando la posizione dominante che occupa all'interno dell'esecutivo: un ruolo esplicitamente di governo nell'ambito di 138


una pratica presidenziale. Con l'ambiguità di voler riequilibrare la partita tracciando nuovi margini di azione per il Parlamento. In realtà, l'inganno è duplice: la responsabiizzazione dei poteri presidenziali non c'è; la cura per la crescita dei poteri del Parlamento è omeopatica. Il problema maggiore è proprio la mancanza di responsabilità politica del Presidente. In una democrazia parlamentare, il capo dell'esecutivo è responsabile di fronte al Parlamento. In Francia, invece, il Primo ministro - ridotto a poco più che una figura di rappresentanza - può essere sfiduciato, ma non è lui che definisce la politica della nazione. L'aver rafforzato i poteri del Parlamento, in un sistema parlamentare che da quasi mezzo secolo è organizzato attorno al fait majoritaire, significa rafforzare, a discapito dell'opposizione, una maggioranza disciplinata (nella pratica, a partire dal 2000, una maggioranza presidenziale) che il Presidente può sciogliere in qualunque momento. E molto interessante l'analisi fatta da Franck Laffaille 79 in un raffronto con il caso italiano. D'accordo con le evidenze addotte da Leopoldo E1ia 80, egli parla di un curioso paradosso: "le nèo-parlementarisme italien repoussée enjuin 2006 par les électeursprenait à bien des égard les tra its de la V'eme Reubliquefranais. Etonnante comparaison: comment une révision constitutionnelle s'mspirant (pense-t-on!) du modèle de Westminsterpeut-elle infine ressembler en certainspomnts à ce 'régime bìtard (la formule est de Pompidou et se veut élogieuse) qu'est le régime semi-présidentiel franais? En d'autres termes, comment une réforme duparlementarisme centrée sur le Premier ministre (premierato)peut-elle - volontairement òu non - évoquer nombre deprincipes inhérents à ce régime hybride, sui generis inventéjadispar de Gaulle, Debré et enracinépar leurs successeurs?"

Con particolare riguardo al rafforzamento del premier attraverso l'elezione/designazione diretta, che andava nella direzione di una costituzionalizzazione ex post della prassi successiva al 1994 (con la "discesa in campo" di SIIvio Berlusconi), Laffaille sottolinea l'analogia con la figura del Presidente della Repubblica francese all'indomani dell'elezione diretta del 1962, uti singulus. Stessa fonte di legittimità (popolare), diverse sòrti: poiché l'Italia godrebbe di un sistema di garanzie che la Francia non ha: "Les organes et mécanismes de garantie en Italie - chef de l'Etat,

139


Cour constitution nelle, CSJt/J, procédure de révision de la Constitution de l'article 138 - renvoient à une logique de contre-pouvoir et d'équilibre institutionnel. L'humus politicoconstitution nel italien est centré sur la crainte très 'constantienne' de la dictature de la majorité: la démocratie majoritaire doitpasser sous lesfourches caudines de la démocratie de garantie afin d'éviter les abus des vainqueurs dujour. Les critiques visant le texte de 2005 sont sur cepoint virulentes, afortiori dès lors que l'opposition n'étaitguère dotée d'un statut digne de ce nom et que demeurent vives les inquiétudes reliant impartialité de l'information et conflit d'intéréts'

Stessi problemi. Tuttavia: "un inacceptable hiatus pouvoir/responsabilité" ed une "démocratie de garantie inexistante ou affaiblie... Ce n'est donc pas tant le mécanisme électif qui inquiète que l'absence éventuelle de freins et contrepoids synonyme de déséquilibre institutionnel et l'existence d'une faible responsabilité politique". A tali fondamentali garanzie al servizio dell'esercizio concreto dei poteri del Parlamento si è preferito un maquillage di minore forza, che in larga parte risponde all'esigenza del capo di Stato eletto dalla Francia di governare senza impicci, per cinque anni, e poi altri cinque: "Assumer ses responsabilités, dire qu'on fixe la ligne qu'on est responsabile des éches et, peut-étre, des succés, c'est étre démocrate, profondément démocrate 81 . Ecco perché i proclamati intenti di riparlamentarizzazione del sistema (che, di certo, sulla carta è parlamentare, se non altro in virtù del rapporto fiduciario tra il governo e la sola Assemblea nazionale ex art. 49.1 Const. 82 ) non appaiono convincenti. Meglio dire, come fa Guy Carcassone, membro del Comitato Balladur, che siamo in presenza di "un régime parlementaire à direction présidentielle. Le président de la République est déja, de facto, le chef de la majorité". 83 È quello che si dice un sistema ad alta decisionalità 84 . Il punto di rottura è con quella che Pasquale Pasquino definisce la "concezione anti-monocratica, scettica e pluralista della democrazia", che sostiene che "il popolo è meglio protetto da una pluralità di élites che si controllano l'una con l'altra che dall'esistenza di una sola élite controllata dal popolo una volta ogni 4 o 5 anni"85 La V Repubblica francese si conferma "un'invenzione continua" 86•

140


Ne è convinto il Presidente Sarkozy (Lettre de mission du Président de la République, 18 luglio 2007): "La Ve République a sauvé la République. Elle a permis enfin que le chef de l'Etat en soit un, que le gouvernement gouverne, que le Parlement légifère. Ma anche con un conseguente squilibrio dei poteri, in favore dell'esecutivo sul legislativo. A rimarcare la necessità di partire dal dato reale e concreto: "Je ne parle pas non plus d'une politique de la table rase. Je ne parle pas d'une politique qui voudrait faire comme si la France était un pays neuf, sans histoire, sans mémoire, sans héritage. Je parle de cette profonde réforme intellectuelle et morale que la France a toujours su accomplir quand elle sentait que son destin lui échappait». 2 Maurice DUVERGER, La nostalgie de l'impuissance, Paris, 1988 R. FERRErrI, La révision de la constitution: les paradoxes d 'une évolution, in «Revue de I 'Actualité Juridique Fran9aise», i avrile 2001. Fonte: http://www.rajf.org 4 L. FAVOREU, Souveraineté et supraconstitutionnalité, in «Pouvoir», n. 67, 1993, pp.71-77 "Dopo la disastrosa esperienza, sotto la Terza e Quarta Repubblica, di un Parlamento giuridicamente onnipotente, ma di fatto impotente, corrotto dal 'regime esclusivo dei partiti' al punto da essere paralizzato nella sua funzione legislativa, ed anarchico nell'esercizio della sua funzione di controllo del Governo, i fondatori della Quinta Repubblica, in testa il generale de Gaulle, vollero realizzare un parlamentarismo razionalizzato". D. ROUSSEAU (a cura di), L'ordinamento costituzionale della Quinta Repubblica francese, Giaprichelli, Torino, 2000, p. 245 M. DUVERGER, La nozione di regime semi-p residenziale e I 'esperienza francese, in «Quaderni costituzionali», a. 1983, n. 2. Cf. anche M. DuVERGER, Les institutions de la Cinquième République, in «Revue franaise de science politique», 1959,p. 118. Il 28 giugno 2004, ai sensi dell'art. 49, comma 2, Cost., è stata presentata - a firma di 115 deputati del gruppo socialista - una mozione di censura contro il Governo Raffarin e la sua politica economica (in particolare contro il progetto di riforma delle pensioni presentato il 28 maggio 2003 all'Assemblea Nazionale). Il 2 luglio è stata votata la mozione di censura; la maggioranza richiesta era di 289 voti, ma solo 176 deputati (149 del gruppo socialista, 22 del gruppo comunista e repubblicano, 5 non iscritti) hanno votato a favore. La mozione non è stata quindi adottata. 8 Scriveva E. N. SULEIMAN nel 1974: "11 presidente, assistito dai suoi principali collaboratori, è riuscito a dominare l'intera gamma delle istituzioni politiche e amministrative e l'importante ruolo svolto dal suo stato maggiore nel processo politico è paragonabile a quello del personale della Casa Bianca a Washington". Politics, Power and Bureaucracy in France, Princeton U. P. 1974, pp. 168-78.

Vi sono opinioni discordanti, secondo cui la tesi del primato della politica è smentita dal venir meno del controllo del Parlamento sull'amministrazione, lamentata soprattutto negli ultimi anni; segno, questo, del potere onnipotente di quest'ultima, come affermato dai teorici della tecnocrazia e della tecnostruttura. O S. CECCANTI, Ora la Francia è un po' meno gollista. Il semi-presidenzialismo è un premierato, ne «Il riformista», 22 luglio 2008 "Il cosiddettofait majoritaire - verificatosi principalmente dal 1962 al 1986 e nelle due parentesi del 1988-1993 e del 1995-1997 - è caratterizzato dall'egemonia del Presidente della Repubblica all'interno del sistema politico-istituzionale, nella doppia veste di primo rappresentante della politica nazionale, e di leader della maggioranza parlamentare politicamente coincidente con quella presidenziale (fait présidentiel). /2 Gli stessi Regolamenti parlamentari francesi ne sono una esempio, dal momento che la loro posizione sul piano delle fonti del diritto è differente da quella degli interna corporis di altre Assemblee legislative nazionali, tra cui quelle italiane. L'art. 61, comma I, della Costituzione francese prevede un organo terzo di restrizione dell'autonomia parlamentare: il Conseil Constitutionnel. Esso giudica sulla costituzionalità dei regolamenti parlamentari prima dell'effettiva applicazione. Il parametro di giudizio è costituito in primis dalle norme costituzionali, ma anche dalle leggi organiche relative al funzionamento delle istituzioni parlamentari. Il Conseil può anche corredare le sue decisioni di indicazioni e precisazioni circa le modalità di applicazione di una disposizione, e con la sua giurisprudenza contribuisce in modo significativo alla formazione del diritto parlamentare. Il regolamento interno delle due Camere, attraverso cui si esplica la libera organizzazione delle stesse, è così sottoposto ad un controllo di conformità alle disposizioni fondamentali da parte del Conseil Constitutionnel, con la conseguenza di un limite forte al potere parlamentare di auto-organizzazione. Alcuni autori, tra cui Maryse Brimont-Mackowiak, si interrogano sugli effetti di tale controllo, e precisamente su "l'existence d'un syndrome d'autocensure touchant la conception de la révision" (BRIMONT-MACKOWIAK, Les révisions du règlement de / 'Assemblée Nationale de mars 1994 et d'octobre 1995 ou le constal d 'une certaine récurrence. In «Revue du Droit Public et de la Science Politique», n. 113, 1997, Mars-Avril, p. 429). Alla funzione di controllo sui Regolamenti svolta dal Consiglio costituzionale si deve aggiungere il fatto che molti aspetti del procedimento legislativo - in particolare nel rapporto Governo-Parlamento - sono disciplinati in maniera vincolante dalla Costituzione. La costituzionalizzazione di parte della materia regolamentare ne impedisce modifiche frequenti. Ad esempio, in materia di: numero delle commissioni legislative permanenti (art. 43); modalità della navet-

141


te (art. 45); redazione dell'ordine del giorno (art. 48); procedura di adozione e riforma del testo del Regolamento stesso. Cf anche L. PEGORARO, Il Governo in Parlamento, Cedam, Padova, 1983, pp. 19-24. S. CECCANTI, La Francia si interroga sulle sue istituzioni: si scopre anomala e cerca alternative, «Quaderni costituzionali», n. 2, giugno 2006, Il Mulino, Bologna, pp. 347-350 14 L. ELlA (La "stabilizzazione "del governo dalla Costituente ad oggi, Convegno "La Costituzione ieri e oggi", Accademia Nazionale dei Lincei, Roma, 9-10 gennaio 2008): "11 sistema francese soffre di squilibri strutturali profondi, perché accoppia alla stabilità del Presidente statunitense i poteri del premier europeo che può far ricorso alla questione di fiducia e proporre lo scioglimento della Camera. Inoltre il Presidente francese resta politicamente irresponsabile, mentre paradossalmente responsabile davanti all 'Assemblea Nazionale rimane il Primo ministro che ha poteri molto minori. Chi afferma di voler insieme la vitalità del Parlamento e il semipresidenzialismo francese nega l'evidenza: o scambia l'Assemblea di Palazzo Borbone con il Congresso statunitense. Non è certo un caso che il Comitato Balladur si sia fermato appena sulla soglia del sistema presidenziale vigente negli Stati Uniti, considerato come l'unico sistema veramente alternativo a quello parlamentare: e comunque le proposte di modifiche toccherebbero ben 25 articoli del testo costituzionale che verrebbero assoggettati a revisione. In realtà il fascino del sistema gollista consiste oggi nel risolvere con l'investitura popolare il problema di un potere esercitato per un quinquennio senza effettivi controlli: una prospettiva che otrebbe attrarre qualche imitatore italiano." Art. 68 Const.: "Le Président de la République ne peut étre destitué qu'en cas de manquement à ses devoirs manifestement incompatible avec l'exercice de son mandat. La destitution est prononcée par le Parlement constitué en Haute Cour". Art. 67 Const.: "Le Président de la République n'est pas responsable des actes accomplis en cetre qualité, sous réserve des dispositions des articles 53-2 et 68". 16 Art. 19 Const.: "Les actes du Président de la République autres que ceux prévus aux articles (premier alinéa), 11, 12, 16, 18, 54, 56 et 61 sont contresignés par le Premier ministre et, le cas échéant, par les ministres responsables". 7 F. LAFFAILLE, Quand le neo-parlementarisme italien ressemblait au paleo-presidentialisme franais. Brèves considérations sur la révision constitutionnelle italienne (2005) et 1 'ingéniene constitutionnelle entendue comme pathologie juridique, «forum di Quaderni costituzionali», 2006. Fonte: http://www.forumcostituzionale.itlsite/index3 .php?option=com_content&task=view&id= 1107 8 Changer d'image. Una forte retorica delle istituzioni democratiche - in omaggio al generale

r

142

De Gaulle che, nel suo celebre discorso di Bayeux (16 giugno 1946), attribuì alle istituzioni "le ròle de préserver la cohésion des gouvernements, l'efficience des administrations, le prestige et l'autoritè de l'Etat, ainsi que le crèdit des bis" - è il fulcro della strategia politica e riformista di Sarkozy: "Les institutions, c'est tout ce qui permet que les énergies, les volontés, les imaginations d'un pays, d'une Nation, se complètent et s'additionnent au lieu de se disperser et de se contrarier... le institutions sont notre règle commune, elies sont fortes que si chacun les accepte et leur reconnait une légitimité". Sulla base della convinzione e preoccupazione che "la faiblesse excessive de l'Etat est aussi dangereuse pour la liberté de la toute-puissance de l'Etat. Un régime faible, à un moment donné, conduit un régime trop fort". Dunque, lungi dal celebrare Sarkozy come nuovo De Gaulle o temerlo come Napoleone III, ne va però rilevata l'intelligenza politica (tutta a suo favore) dell'aver dato una nuova faccia all'alternanza, con l'apertura all'opposizione - "non un ghetto", come sottolineato da Franco Bassanini - pur all'interno di una struttura forte, con una cabina di regia (decisionista, pragmatica, conservatrice) alla guida di un laboratorio di modernizzazione ed innovazione che faccia appello e rifletta le forze presenti nella società. Ed anche, come dice più di uno, la sostanza di una furba strategia per scompaginare il fronte opposto. Per legittimarsi riconoscendo l'opposizione fino a portarne alcuni pezzi dall'altra parte, a lavorare con il Governo e, con ciò, rendendola un po' meno "opposizione". È pienamente condivisibile la glossa di Stefano Ceccanti, secondo il quale Sarkozy "utilizza il partito di maggioranza in chiave di destabilizzazione del sistema, impedendo un chiaro legame tra potere e responsabilità". Certo è comprensibile come così facendo le responsabilità siano diluite. E l'ipocrisia del rassemblement riadattata in chiave di più accentuato presidenzialismo, in cui cioè il Presidente della Repubblica non è tanto capo dello Stato quanto capo effettivo dell'Esecutivo. ' Cf. http://www.comite-constitutionnel.fr 20 Per le critiche e le analisi dedicate alla strategia dei socialisti, commentate a sinistra con duri toni, vista l'incapacità di guidare un'azione efficace di rigetto della riforma e, allo stesso tempo, di proporre una valida alternativa in senso costruttivo, si vedano, tra gli altri: AA. VV., Occasion manquée pour le Parti socialiste, in «Le Monde», 23 juillet 2008; F. FRESSOZ, Paradoxes de la révision constitutionnelle, in «Le Monde», 24 juillet 2008 21 Secondo Sarkozy: "La campagne présidentielle a mis en évidence l'attente de nos concitoyens d'une vie politique plus ouverte, plus proche de leurs préoccupations, plus représentative de la diversité de leurs opinions, et où les droits des citoyens seraient renforcés. A cet effet, vous étudierez les moyens d'instiller plus de démocratie directe dans notre fonctionnement institutionnel, sous la forme, le cas échéant, d'un


droit d'initiative populaire. Vous examinerez les conditions dans lesquelles le Conseil Constitutionnel pourrait étre amené à statuer, à la demande des citoyens, sur la constitutionnalité de bis existantes". 22 N. SARKOZY, Lettre..., cit. 23 Di altra opinione è il socialista Arnaud Montebourg il quale, nella sua "Convenzione per la VI Repubblica", anche a partire dall'ampia interpretazione attorno all'art. 5, sostiene da diversi anni un'ipotesi di evoluzione in chiave "primo-ministeriale", ora redatta in un articolato costituzionale compiuto, insieme al politologo BASTIEN FIoNois (La Constitution de la Sixième République. Réconcilier lesfranais avec la démocratie, Odile Jacob, Paris, 2005). 24 Art. 18 : "Il peut prendre la parole devant le Parlement réuni à cet effet en Congrès. Sa déclaration peut donner lieu, hors sa présence, à un débat qui ne fait l'objet d'aucun vote". 25 Cf. Réforme constitutionnelle: le Premier minisire disparait, «Le Monde diplomatique», 22 uillet 2008 6 R. FERRETTI, L 'election présidentielle au suffrage universel: force ou faiblesse pour la Ve? 7 avril 2002, http://rajf.orglspip.php ?article619 27 R. BADENTER, No ò l'hyperprésidence, in «Le Monde», 20 luglio 2008. 28 R. FERRETTI, L 'election présidentielle..., cit. 29 G. VEDEL, Le pari de la succession, «La Nef», 1968,p. 145. 30 "J'ai été content de pouvoir compter sur Franois Fillon pour préparer la présidence franaise de l'Union européenne. Franois Fillon assume pleinement sa mission. En ce moment, il souffre beaucoup du dos, c'est sùr, mais je ne pense pas qu'iI souffre davantage dans l'excercice de sa fonction que Pompidou ou Debré sous de Gaulle ou que Mauroy sous Mitterand Il est normal que celui qui a été élu fixe le cap par rapport à celui est nommé". Intervista a N. SARK0zY, cit. I senatori sono eletti, a suffragio universale e indiretto, da un collegio elettorale composto, in ogni dipartimento (il numero dei delegati varia secondo la popolazione del Comune): dai deputati e dai consiglieri generali e regionali; dai delegati dei Consigli municipali (per una quota pari al 95 per cento del collegio). L'elezione avviene con scrutinio uninominale maggioritario a due turni nei settanta dipartimenti metropolitani e d'oltremare (che eleggono da uno a tre senatori), e nei territori d'oltremare; e con il sistema della rappresentanza proporzionale nei trentanove dipartimenti che eleggono quattro o più senatori. Cf. http://www.senat.fr 32 In F. LANCHESTER, Gli strumenti della democrazia. Giuffrè editore, Milano, 2004, p. 409. 33 A. P1zzoRJo, La dispersione dei poteri, intervento tenuto nell'ambito del "Seminario di studi sull'Europa" della Fondazione Lelio e Lisli Basso Issoco, Atti del Convegno Internazionale "Sfera pubblica e Costituzione europea". Roma, 15-16 dicembre 2000.

l

r

»l Cf. L. VIOLANTE, Seduta della Camera dei Deputati di mercoledì 6 ottobre 2004, n. 552, sul disegno del provvedimento che modifica l'art. 64 Cost. e ridefinisce le modalità di funzionamento delle Camere, con riferimento alle disposizioni volte e definire l'opposizione parlamentare quale forza contrapposta in Parlamento al raccordo maggioranza-governo, cui è garantito l'esercizio delle funzioni di critica e prospettazione di un indirizzo politico alternativo, coerentemente con un assetto competitivo del sistema politico. u Se in passato il diritto d'iniziativa governativa era sovente ridotto a zero - ad ulteriore conferma di quel "parlamentarisme ò lafranaise" che talvolta considera il Governo come un nemico piuttosto che come l'organo esecutivo sostenuto da una maggioranza parlamentare - oggi le cose sono cambiate: "L'ègalité du gouvernement et des parlementaires en matière d'initiative tend de plus en plus à devenir théorique... Le % en France est de l'ordre de 5% pour les bis d'origine parlementaire". Andando a leggere i dati recenti relativi alla produzione legislativa dal 1990 al 2006, la media percentuale dei projects de bl (d'iniziativa governativa) è pari all'87% contro il 13% delle propositions de loi (di iniziativa parlamentare); quest'ultima, poi, ha raggiunto il record minimo del 4% nel 1992 e nel 1995, e le massime punte attorno al 20% negli anni 1998 (23%), 2001 (22%), 2002 (20%). Nel corso del 2006, c'è stato un recupero dell'iniziativa parlamentare pari a cinque punti percentuali (dal 12% nel 2005 al 17% nel 2006). Fonte: Camera dei deputati, Rapporto 2004-05 2006-07 sullo stato della legislazione, parte V "L'attività legislativa 2006 in Francia, Germania, Regno Unito e Spagna". Fonte: http://www.camera.it 36 Ibidem. 37 Ibidem. 38 J.-P. CAMBY, P. SERVENT, Le tra vail parlementaire sous la VRépublique, Montchrestien, Paris, 1994, p. 73 39 La funzione di controllo si svolge nel contesto dell'assemblea mediante le interrogazioni, ma anche nelle commissioni parlamentari che esercitano tale potere sia preventivamente - nel momento in cui esaminano i testi legislativi loro assegnati sia in un secondo momento (è previsto, infatti, il controllo dell'applicazione delle leggi: le commissioni fanno una valutazione di impatto delle leggi, stimandone gli effetti e i risultati). Al di fuori dell'attività strettamente legislativa, le commissioni procedono ad un controllo ancor più approfondito; esse, infatti, possono avere accesso a tutte le informazioni necessarie all'esercizio del controllo politico sul Governo. Uno degli strumenti più utilizzati è quello delle audizioni dei membri del governo e dei funzionari, previa autorizzazione del ministro cui essi fanno capo. Tali audizioni possono derogare al principio di riservatezza dei lavori in commissione, con facoltà di organizzare, secondo modalità specifiche, la pub-

143


blicità di tutta o parte dell'audizione. I rappresentanti della stampa scritta e audiovisiva possono così essere invitati ad assistere a queste riunioni che peraltro sono, nella maggior parte dei casi, trasmesse sul canale televisivo interno. Fatti salvi questi poteri ordinari, è possibile inoltre la creazione di organi ad hoc affinché esercitino un controllo o un'inchiesta in un ambito particolare. Sicché, le Assemblee possono creare una o più commissioni d'inchiesta, ed ogni commissione può istituire missioni informative. E possibile che alcune missioni siano comuni a più commissioni. 40 X. LATOUR, Des rapports entre le pariernent el le gouvernement sous la Xlème législature. In «Revue du Droit Public et de la Science Politique enFrance età l'étranger», n. 6,2000, p. 1673. 41 E stabilito che le commissioni non possano impedire, ritardando la presentazione delle conclusioni, l'esame di un testo prioritario. La non pubblicazione della relazione della commissione su un testo non ne impedisce il dibattito. Questo risulta dalle decisioni della Corte Costituzionale (nn. 84-81 del 10 e 11 ottobre 1984) che indicano che la discussione in seduta pubblica può cominciare, con o senza relazione, allorquando il progetto è stato esaminato in commissione e si è potuto esercitare il diritto di emendamento. 42 Cfr. Dimitri-Georges LAVROFF, Les commissions de I 'Assemblée Nationale sous la V République, in «Revue de droit publique», n. 6, novembre-décembre 1971, pp. 1435 e ss. 'U Come fa notare L. PEGORARO, op. cit., p. 42. 44 Maryse BRIMONT-MACKOWIAK, Les révisions du règlement de I 'Assemblée Nationale de mars 1994 et d 'octobre 1995 ou le constat d 'une certaine récurrence, in «Revue de Droit Public», n. 2, 1997, p. 444. 45 Soltanto un centesimo dei testi sono stati deferiti a tali commissioni (tra cui alcuni progetti molto importanti: le ordinanze economiche e sociali nel 1967, le nazionalizzazioni nel 1981-1982, il disegno relativo all'assetto del territorio nel 1994). Peraltro, nel 1980 si è soppressa l'automaticità della creazione d'una commissione speciale in caso di investitura per parere di due commissioni permanenti. 46 Si consideri che dal 1959 al 2003 sono state create all'Assemblea nazionale solo 68 Commissioni speciali. 41 Accanto alla procedura d'esame tradizionale, vi è quella semplificata. Istituita nel 1991 e poi modificata nel 1998, essa è definita agli articoli 103107 Regolamento dell'Assemblée nationale con l'obiettivo di alleggerire e velocizzare i lavori dell'Assemblea in seduta plenaria, abbreviando alcune fasi di dibattito e valorizzando le discussioni preparatorie in sede di commissione. Per porre in essere tale procedura, è necessario però un certo consenso, ed essa viene avviata soltanto su richiesta del Presidente dell'Assemblea, del Governo, del presidente della commissione competente per il merito o del presidente di un gruppo, unicamente se non si è manifestata alcuna op-

144

posizione in sede di Conferenza dei Presidenti. L'article 48 de la Constitution est ainsi rédigé: Art. 48.- Sans préjudice de l'application des trois derniers alinéas de l'article 28, l'ordre dujour est fixé par chaque assemblée. Deux semaines de séance sur quatre sont réservées par priorité, et dans l'ordre que le Gouvernement a fixé, à l'examen des textes et aux débats dont il demande l'inscription à l'ordre dujour. En outre, l'examen des projets de loi de finances, des projets de loi de financement de la sécurité sociale et, sous réserve des dispositions de l'alinéa suivant, des textes transmis par l'autre assemblée depuis six semaines au moins, des projets relatifs aux états de crise et des demandes d'autorisation visées à l'article 35 est, à la demande du Gouvernement, mscrit à l'ordre dujour par priorité. Une semaine de séance sur quatre est réservée par priorité et dans l'ordre fixé par chaque assemblée au contròle de l'action du Gouvernement et è l'évaluation des politiques publiques. Un jour de séance par mois est réservé è un ordre du jour arrèté par chaque assemblée è l'initiative des groupes d'opposition de l'assemblée intéressée ainsi qu'à celle des groupes minoritaires. Une séance par semaine au moins, y compris pendant les sessions extraordinaires prévues è l'article 29, est réservée par priorité aux questions des membres du Parlement et aux réponses du Gouvernement". ' Debré, ourquoi tu tousses? Intervista a JeanLouis Debré, di CAROLE BARJON, in «Le Nouvel Observateur», 5 giugno 2008 50 L'ordine del giorno prioritario è comunicato alla Conferenza dei Presidenti che si riunisce una volta a settimana. In seguito, nel corso della prima seduta pubblica successiva, l'ordine del giorno è comunicato all'Assemblea ed è valido "per la settimana in corso e le due settimane successive" (articolo 48, co. 4). SI L 'ordre du jour priorilaire e il voto bloccato, che a suo tempo erano stati fatti oggetto di molte critiche nella letteratura giuridica di oltralpe, trasformano radicalmente la prassi parlamentare del procedimento legislativo francese con riferimento al ruolo delle Commissioni. Il voto bloccato, ad esempio, vietando la discussione e/o una dichiarazione di voto sui singoli articoli (quest'ultima è consentita al momento della votazione finale, sull'intero testo del disegno di legge), espone al rischio che l'esame in commissione sia solo formale. Gli stessi regolamenti, attraverso la previsione di diverse forme di procedura semplificata, fanno sì che l'esame da parte dell'Assemblea diventi una registrazione rituale delle scelte del Governo. 52 Le proposte e gli emendamenti formulati dai membri del Parlamento non sono ammissibili quando la loro adozione abbia per conseguenza sia una diminuzione delle entrate sia la creazione o l'aggravamento di un onere pubblico: ovvero, l'irrecevabilité financière. Tale limitazione del diritto d'iniziativa esisteva già nella IV Repubblica, ma solo con riferimento alla discussione della legge finanziaria. Oggi è estesa all'insieme dei

48


procedimenti in generale. Essa può essere invocata in ogni momento (in sede di commissione permanente, di commissione mista paritetica, in seduta plenaria) dal Governo, dai parlamentari, dalla Commissione finanziaria, dalla commissione adita per il merito (saisie au fond). Esiste un controllo iniziale di irricevibilità finanziaria sulle proposte di legge parlamentari. La portata (potenziale) ditale facoltà è subito evidente: "Il est évident que si l'article 40 était appliqué de faion draconienne cela aboutirait à paralyser l'initiative parlementaire. En effet toute proposition de loi saufà n'avoir qu'un contenu symbolique a forcément une incidence financière. On constate qu'après une application stricte de cette disposition, dans les premières années de la Vème République, la pratique s'est orientée vers une interprétation raisonnable. En fait, ce sont essentiellement les amendements, plus que les propositions qui se trouvent écartés au moyen de cette irrecevabilité". (Fonte: http://www.droitconstitutionnel.netlfonctions-parlement.htm ). Art. 39 Const.: "La présentation des projets de loi déposés devant l'Assemblée Nationale ou le Sénat répond aux conditions fixées par une loi organique. Les projets de loi ne peuvent étre inscrits à l'ordre du jour si la Conférence des présidents de la première assemblée saisie constate que les règles fixées par la loi organique sont méconnues. En cas de désaccord entre la Conférence des présidents et le Gouvernement, le président de l'assemblée intéressée ou le Premier ministre peut saisir le Conseil Constitutionnel qui statue dans un délai de huit jours. Dans les conditions prévues par la loi, le président d'une assemblée peut soumettre pour avis au Conseil d'Etat, avant son examen en commission, une proposition de loi déposée par l'un des membres de certe assemblée, sauf si ce dernier s'y oppose". Nella prassi, come sottolinea D. ROUSSEAU (op. cit., 2000, p. 310), "solamente undici decisioni sono state rese secondo questa procedura. Questa ridotta utilizzazione si spiega con l'evoluzione del sistema politico francese. Nel corso della V Repubblica, la coerenza delle maggioranze governative e parlamentari (il 'fatto maggioritario') ha condotto il Governo a non contestare più la violazione della sua sfera regolamentare da parte del legislatore". L'ultima decisione del Conseil risale al 1979 (décision n°79-11 FNR du 23 mai 1979). Al contrario, le decisioni dei Presidenti di assemblea sono state ben più numerose: 40 per quelli dell'Assemblée nationale tra il 1959 ed il 1991. » Art. 42.-La discussion des projets et des propositions de loi poi-te, en séance, sur le texte adopté par la commission saisie en application de l'artide 43 ou, à défaut, sur le texte dont l'assemblée a été saisie. Toutefois, la discussion en séance des projets de révision constitutionnelle, des projets de loi de finances et des projets de loi de financement de la sécurité sociale porte, en première lecture devant la première assemblée saisie, sur le texte présenté par le Gouvernement et, pour les

autres lectures, sur le texte transmis par l'autre assemblée. La discussion en séance, en première lecture, d'un projet ou d'une proposition de loi ne peut intervenir, devant la première assemblée saisie, qu'à l'expiration d'un délai de six semaines après son dépòt. Elle ne peut intervenir, devant la seconde assemblée saisie, qu'à l'expiration d'un délai de quatre semaines à compter de sa transmission. L'alinéa précédent ne s'applique pas si la procédure accélérée a été engagée dans les conditions prévues à l'article 45. Il ne s'applique pas non plus aux projets de loi de finances, aux projets de loi de financement de la sécurité sociale et aux projets relatifs aux états de crise. Il R. BIN, Assemblee rappresentative, forma di governo e investitura diretta dell 'Esecutivo, in «Forum costituzionale», Relazione tenuta a Firenze, 28 ottobre 2004 nell'ambito del Convegno "Rappresentanza e governo alla svolta del nuovo secolo" promosso dalla Facoltà di Scienze politiche Cesare Alfieri. 56 R. FERRETTI, L 'élection présidentielle... ,c it. "Je rappelle qu'a la différence d'un despote, je suis élu. A la différence d'un despote, je limite le nombre de mandats successifs du président". Cf. Intervista a N. SARKOZY, cit., in «Le Monde», 16 luglio 2008 58 "Une loi organique détermine les emplois ou fonctions, autres que ceux mentionnés au troisième alinéa, pour lesquels, en raison de leur importance pour la garantie des droits et libertés ou la vie économique et sociale de la Nation, le pouvoir de nomination du Président de la République s'exerce après avis public de la commission permanente compétente de chaque assemblée. Le Président de la République ne peut procéder à une nomination lorsque l'addition des votes négatifs dans chaque commission représente au moins trois cinquièmes des suffrages exprimés au sein des deux commissions. La loi détermine les commissions permanentes compétentes selon les emplois ou fonctions concernés". Art. 13: "le pouvoir de nomination du Président de la République s'exerce après avis public de la commission permanente compétente de chaque assemblée. Le Président de la République ne peut procéder à une nomination lorsque l'addition des votes négatifs dans chaque commission représente au moins trois cinquièmes des suffrages exprimés au sein des deux commissions. La loi détermine les comrnissions permanentes compétentes selon les emplois ou fonctions concernés". 60 R. FERRErrI, cit. 61 Cf. S. M. C!CCONETrI, Ostruzionismo e antistruzionismo. Cronaca della più lunga seduta parlamentare, in «Il Foro Amministrativo», 1967, III, pp. 625 Ss.; V. Di CloLo, Ostruzionismo parlamentare, in «Nov. Dig. it.», app., 1984; G. ZAGRESELSKY, Ostruzionismo Parlamentare dell'opposizione e della maggioranza. Uso degli articoli, 30, 65 e 92 del regolamento, in «Il Parlamento nella costituzione e nella realtà». Atti, Roma, 20-22 ottobre 1978, Giuffrè editore, Milano,

145


1979, pp. 391 ss.. V. anche: Costituzione della Repubblica; Regolamento del Senato, Senato della Repubblica, Roma, 2001; Regolamento della Camera dei Deputati, Camera dei Deputati, Roma, 2001. 62 Décret n. 92-247 du 2 décembre 1992 instituant un Comité consultatifpour la révision de la Constitution (Journal officiel du 3 décembre 1992). Cf. "Rapport remis au Président de la République le 15 février 1993 par le Comité consultatifpour la révision de la Constitution", in Journal Officiel de la République franaise, 16 février 1993, pp. 2537-2555. Di grande interesse è l'analisi introduttiva che il Comitato fa in relazione alle sfere di competenza del Presidente della Repubblica e del Primo ministro, con riferimento alle implicazioni della durata quinquennale del mandato presidenziale (e dell'eventuale rinnovabilità). 63 N. SARKOZY, Lettre..., cit. " "Le troisiéme alinéa de l'article 49 de la Constitution est ainsi modifié: 1° Dans la première phrase, le mot: 'texte ' est remplacé par les mots: 'projet de loi de finances ou de financement de la sécurité sociale'; 2° Dans la deuxième phrase, le mot: 'texte ' est remplacé par le mot: 'projet'; 3° Il est ajouté une phrase ainsi rédigée: 'Le Premier ministre peut, en outre, recourir à cette procédure pour un autre projet ou une proposition de loi par session". CL Comité consultatif pour la révision de la Constitution, Propositions pour une révision de la Constitution, Paris, 15 février 1993 66 "Art. 47.2 -La Cour des comptes assiste le Par lement dans le contròle de l'action du Gouvernement. Elle assiste le Parlement et le Gouvernement dans le contròle de l'exécution des bis de finances et de l'application des bis de financement de la sécurité sociale ainsi que dans l'évaluation des politiques publiques. Par ses rapports publics, elle contribue à l'information des citoyens. Les comptes des administrations publiques sont réguliers et sincères. lIs donnent une image fidèle du résultat de leur gestion, de leur pamoine et de leur situation financière". Urt. 43.-Les projets et propositions de loi sont envoyés pour examen à l'une des commissions permanentes dont le nombre est limité à huit dans chaque assemblée". 68 Che in verità, nota Leopoldo Elia, "dispone nel suo secondo comma che con una legge organica, in deroga alla 'personalità' del voto, si possa disciplinare queste circostanze particolari (n.d.r.: secondo l'opinione che 'la presenza in aula del collega surrogato conforterebbe l'ipotesi di una delega di fatto del senatore che non vota a quello che vota due volte. Ma se, al di là delle difficoltà pratiche di accertamento, ciò può costituire un'attenuante sul piano morale, la delega di voto è ammissibile sul piano giuridico solo se è prevista per casi eccezionali dalla Costituzione')." L. ELlA, Qualche colpo sui pianisti, in «Forum di Quaderni Costituzionali», 8 novembre 2002.

146

69

Dal 2003, i senatori sono eletti per sei anni a suffragio universale diretto da 150 mila grandi elettori ripartiti tra i 577 deputati, i 1870 consiglieri regionali, i 4000 consiglieri generali e i 142.000 delegati dei consigli municipali. Che corrispondono al 95% dell'insieme dei grands électeurs. Di questi, il 53% proviene da comuni con meno di 1500 abitanti, che contano per il 33% dell'intera popolazione francese. Mentre le città con oltre centomila abitanti esprimono solo il 7% dei delegati, nonostante siano rappresentative di oltre il 15% della popolazione. 70 Come scrive Roberto Bin: "È un assioma indimostrabile perché sbagliato, ed è sbagliato perché ancora una volta confonde il piano analitico dell'analisi dei modelli con quello empirico della realtà istituzionale. Sotto il primo profilo è ovvio che togliere ad un organo il potere di insediare e rimuovere un altro organo ne depotenzia le funzioni. Sotto il secondo profilo, però, si può obiettare che quando si parla di 'crisi' delle assemblee elettive si fa riferimento ad un fenomeno che ben poco ha a che fare con le regole dell'elezione diretta dell'esecutivo... Le cause che generano la o le crisi dei parlamenti sono molteplici, variamente descritte e interpretate, denunciate da destra e da sinistra, da chi si colloca dentro e da chi opera invece fuori della tradizione liberale o democratica. La 'tecnicizzazione' della politica, la predominanza dei temi economici, il peso della politica estera, il trasferimento delle decisioni in sedi comunitarie o internazionali, la globalizzazione: su ognuna di queste cause, e su tante altre, si può avvitare un intero filone di letteratura, ma tutti convergono su un'unica nota di fondo, l'insufficienza dell'istituzione parlamentare, a qualsiasi livello essa sia riprodotta." F. FRESSOZ, cit. 72 La proposta di legge (n. 852), presentata all'Assemblée nationale il 6 maggio 2008 da Jean-Marc Ayrault, Franois Hollande, Patrick Bloche, Arnaud Montebourg, Gérard Charasse, comprende un unico articolo: "Le premier alinéa de l'article 13 de la loi n° 86-1067 du 30 septembre 1986 relative à la liberté de communication est complété par les dispositions suivantes: "Il veille à ce que les services de radio et de télévision respectent, au sein de leurs programmes, une répartition par tiers du temps des interventions: - du président de la République et des membres du gouvernement, des personnalités appartenant à la majorité parlementaire, des personnalités appartenant à l'opposition parlementaire". Il Cf. U. Eco, Apocalittici ed integrati. La cultura italiana e le comunicazioni di massa, Bompiani, Milano, 1964. 71 Art. 65 Const.: "Art. 65.-Le Conseil supérieur de la magistrature comprend une formation compétente à l'égard des magistrats du siège et une formation compétente à l'égard des magistrats du parquet. La formation compétente à l'égard des magistrats du siège est présidée par le premier


président de la Cour de cassation. Elle comprend, en outre, cinq magistrats du siège et un magistrat du parquet, un conseiller d'Etat désigné par le Conseil d'Etat, un avocat ainsi que six personnalités qualifiées qui n'appartiennent ni au Partement, ni à l'ordrejudiciaire, ni à l'ordre administratif. Le Président de la République, le Président de l'Assemblée Nationale et le Président du Sénat désignent chacun deux personnalités qualifiées. La procédure prévue au dernier alinéa de l'article 13 est applicable aux nominations des personnalités qualifiées. Les nominations effectuées par le président de chaque assemblée du Pariement sont soumises au seul avis de la commission permanente compétente de l'assemblée intéressée. La fonnation compétente à l'égard des magistrats du parquet est présidée par le procureur général près la Cour de cassation. Elle comprend, en outre, cinq magistrats du parquet et un magistrat du siège, ainsi que le conseiller d'État, l'avocat et les six personnalités qualifiées mentionnés au deuxième alinéa. La formation du Conseil supérieur de la magistrature compétente à l'égard des magistrats du siège fait des propositions pour les nominations des magistrats du siège à la Cour de cassation, pour celles de premier président de cour d'appel et pour celles de président de tribunal de grande instance. Les autres magistrats du siège sont nommés sur son avis conforme. La formation du Conseil supérieur de la magistrature compétente à l'égard des magistrats du parquet donne son avis sur les nominations qui concer nent les magistrats du parquet. La formation du Conseil supérieur de la magistrature compétente à l'égard des magistrats du siège statue comme conseil de discipline des magistrats du siège. Elle comprend alors, outre les membres visés au deuxiéme alinéa, le magistrat du siège appartenant à la formation compétente à l'égard des magistrats du parquet. La formation du Conseil supérieur de la magistrature compétente à l'égard des magistrats du parquet donne son avis sur les sanctions disciplinaires qui les concernent. Elle comprend alors, outre les membres visés au troisiéme alinéa, le magistrat du parquet appartenant à la formation compétente à l'égard des magistrats du siège. Le Conseil supérieur de la magistrature se réunit en formation plénière pour répondre aux demandes d'avis formulées par le Président de la République au titre de l'article 64. Il se prononce, dans la méme formation, sur les questions relatives à la déontologie des magistrats ainsi que sur toute question relative au fonctionnement de lajustice dont le saisit le ministre de la justice. La formation plénière comprend trois des cinq magistrats du siège mentionnés au deuxiéme alinéa, trois des cinq magistrats du parquet mentionnés au troisiéme alinéa, ainsi que le conseiller d'État, l'avocat et les six personnalités qualifiées mentionnés au deuxiéme alinéa. Elle est présidée par le premier président de la Cour de cassation, que peut suppléer le procureur général près cette cour. Saufen matière disciplinaire, le ministre de

la justice peut participer aux séances des formations du Conseil supérieur de la magistrature. Le Conseil supérieur de la magistrature peut étre saisi par un justiciable dans les conditions fixées par une loi organique". "Un référendum portant sur un objet mentionné au premier alinéa peut étre organisé à l'initiative d'un cinquième des membres du Pariement, soutenue par un dixième des électeurs inscrits sur les listes électorales. Cette initiative prend la forme d'une proposition de loi et ne peut avoir pour objet l'abrogation d'une disposition législative promulguée depuis moins d'un an. Les conditions de sa présentation et celles dans lesquelles le Conseil Constitutionnel contròle le respect des dispositions de l'alinéa précédent sont déterminées par une loi organique. Si la proposition de loi n'a pas été examinée par les deux assemblées dans un délai fixé par la loi organique, le Président de la République la soumet au référendum. Lorsque la proposition de loi n'est pas adoptée par le peuple franais, aucune nouvelle proposition de référendum portant sur le méme sujet ne peut étre présentée avant l'expiration d'un délai de deux ans suivant la date du scrutin". 76 "L'article 88-5 de la Constitution est ainsi rédigé: Art. 88-5.-Tout projet de loi autorisant laratification d'un traité relatifà l'adhésion d'un Etat à l'Union européenne et aux Communautés européennes est soumis au référendum par le Président de la République". 71 "Art. 61-1. - Lorsque, à l'occasion d'une mstance en cours devant une juridiction, il est soutenu qu'une disposition législative porte atteinte aux droits et libertés que la Constitution garantit, le Conseil Constitutionnel peut étre saisi de cette question sur renvoi du Conseil d'Etat ou de la Cour de cassation qui se prononce dans un délai déterminé. Une loi organique détermine les conditions d'application du présent article". 78 Il titolo XI bis, all'art. 71, co!, istituisce il difensore dei diritti come figura universale di riferimento per il rispetto dei diritti di cittadinanza. Resta da vedere in quale misura la legge ordinaria di attuazione configurerà la forza e le prerogative, nonché gli strumenti a sua disposizione, regolandone anche gli ambiti di intervento, senza creare problematiche di sovrapposizione con altri enti di tutela affini. "Titre XI bis - Le Défenseur des droits: Art. 71.1-Le Défenseur des droits veille au respect des droits et libertés par les administrations de l'Etat, les collectivités territonales, les établissements publics, ainsi que par tout organisme investi d'une mission de service public, ou à l'égard duquel la loi organique lui attribue des compétences. Il peut étre saisi, dans les conditions prévues par la loi organique, par toute personne s'estimant lésée par le fonctionnement d'un service public ou d'un organisme visé au premier alinéa. Il peut se saisir d'oflice. La loi organique définit les attributions et les modalités d'intervention du Défenseur des droits. Elle détermine les conditions dans lesquelles il peut étre

147


assisté par un collège pour l'exercice de certaines de ses attributions. Le Défenseur des droits est nommé par le Président de la République pour un mandat de six ans non renouvelable, après application de la procédure prévue au dernier alinéa de l'article 13. Ses fonctions sont incompatibles avec celles de membre du Gouvernement et de membre du Parlement. Les autres incompatibilités sont fixées par la loi organique. Le Défenseur des droits rend compte de son activité au Présidnt de la République et au Parlement". 79 F. LAFFAILLE, op. cit. 80 L. ELlA, La Costituzione aggredita. Forma di governo e devolution al tempo della destra, Il Mulino, Bologna 2005. 81 L'ultime geste de Nicholas Sarkozy sur le institutions, Intervista di A. FRACHON, F. FRESSOZ, A. LEPARMENTIER, P. ROGER, in «Le Monde», 16 luli o 20088 2 "Le Premier ministre, après délibération du Conseil des Ministres, engage devant l'Assemblée Nationale la responsabilité du Gouvernement sur son programme ou éventuellement sur une déclaration de politique générale. L'Assemblée Nationale met en cause la responsabilité du Gouvernement par le vote d'une motion de censure". A tal proposito, il rapporto Vedel riporta alcune delle ragioni forti in favore della fiducia in entrata, radicate nell'idea di azione efficace del governo e, quindi, di misurazione ex ante delle

cm

sue forze e dei suoi spazi di negoziazione e compromesso. 83 Guy Carcassone: "On ne constitionnalise pas le sarkozysme". Intervista di X. TERNISIEN, in «Le Monde», 22 luglio 2008 84 "L'esecutivo si trasforma nel gabinetto ministeriale espressione della maggioranza parlamentare-presidenziale e "scompare dal governo rappresentativo delle origini quell'elemento di moderazione. Il sistema parlamentare si impone come aristocrazia elettiva, come monopolio tendenziale della classe politica rappresentativa". P. PA5QUINO, Gli organi non elettivi nelle democrazie: le corti costituzionali, in "Trasformazioni della politica. Contributi al seminario di Teoria politica" (contributi di SILVANO BELLIGNI, FRANCESCO TNGRAVALLE, GUIDO ORTONA, PASQUALE PASQUINO, MICHEL SENELLART), Department ofPublic Policy and Public Choice "Polis", University ofEastern Piedmont Amedeo Avogadro, Alessandria, 2006, pp. 31-40. Fonte: http://polis.unipmn.it/ 85 Ibidem. Si veda una ricostruzione alternativa in «Ratio Juris», voI. Il, n. 1, marzo 1998, pp. 38-50 (P. PASQUINO, Constitutional Adjudication and Democracy). 86 Cf. D. ROUSSEAU, L'invenzione continua della Quinta Repubblica, in D. ROUSSEAU, "L'ordinamento costituzionale della Quinta Repubblica francese", Giappichelli, Torino, 2000.


IL CONSIGLIO ITALIANO PER LE SCIENZE

SociAli

Il Css è un'associazione con personaità giuridica. Fondata nel dicembre 1973, con l'appoggio della Fondazione Adriano Olivetti, ha raccolto l'eredità del Comitato per le scianze Sociali (Co.S.Po.S.) che svolse a suo tempo, negli anni Settanta, grazie a un finanziamento della Fondazione Ford e della stessa Fondazione Olivetti, un ruolo fondamentale nella crescita delle scienze sociali italiane. Le finalità che ne ispirano l'azione sono: - contribuire allo sviluppo delle scienze sociali in Italia ed in particolare promuovere il lavoro interdisciplinare; - incoraggiare ricerche finalizzate allo studio dei principali problemi della società contemporanea; - sensibilizzare i centri di decisione pubblici e privati, affinché tengano maggiormente conto delle conoscenze prodotte dalle scienze sociali per rendere le loro scelte consapevoli, razionali e più efficaci. Il Css rappresenta un forum indipendente di riflessione che, con le sue iniziative, vuole offrire meditati contributi all'analisi e alla soluzione dei grandi problemi della nostra società. A tal fine il Css associa ai propri progetti anche studiosi ed esperti esterni e può contare su una rete di contatti e di collaborazioni in tutti i principlai centri di ricerca e di policy studies europei. Attualmente operano 3 commissioni di studio sui seguenti temi: le fondazioni in Italia; governo delle città e territorio; valutazione degli effetti delle politiche pubbliche. Vi è attualmente un gruppo di lavoro sul tema della produzione e trasformazione della conoscenza scientifica e tecnologica. Vi sono anche due progetti speciali pluriennali sui temi del ceto medio e della politica dell'innovazione e dei trasferimenti tecnologici. Da ricordare infine, l'attività di ricerca di Etnobarometro sulle minoranze etniche d'Europa. Presidente SERGIO RISTUCCIA Vice Presidente ARNALDO BAGNASCO Comitato direttivo SERGIO RJSTUCCIA, MAURA ANFOSSI, ARNALDO BAGNASCO, FArnIzIo BARCA, PIERO BASSETTI, GIOVANNI BECHELLONI, ANDREA BoNAccoRsI, GIUSEPPE DE MArrEIS, ANTONIO DI MAJO, BRUNO MANGHI, RICCARDO PATERNÒ, LORENzO R0MITO, CARLO RONCA, CARLA Rossi, FELICE SCALVINI Collegio dei Revisori MARCO COLANTONIO, MARCO MIGNANI, LUIGI PUDDU Segretario generale ALESSANDRO SILJ Vice Segretario generale NICOLA CREPAx

Via Ovidio, 20 - 00193 Roma Tel. 06.8540564 - Fax 06.8417110 cssroma@libero.it - cssroma@consiglioscienzesociali.org Via Real Collegio, 30 - do Fondazione Collegio Carlo Alberto 10024 Moncalieri (To) Tel. 011.6705290 - Fax 011.6476847 csstorino@consiglioscienzesociali.org www.consiglioscienzesociali.org


LIBRERIE PRESSO LE QUALI Ăˆ IN VENDITA QUESTE ISTITUZIONI

---

ANCONA Libreria Fagnani Ideale CATANIA Libreria La Cultura GENOVA Libreria Feltrinelli Athena MILANO Cooperativa Libraria Popolare Libreria Feltrinelli Manzoni NAPOLI

Libreria Internazionale Treves

PADoVA

Libreria Feltrinelli

PISA

Libreria Feltrinelli

ROMA

Libreria Feltrinelli (Babuino) Libreria Feltrinelli (V.E.Orlando) Libreria Forense Editrice Libreria De Miranda

T0PJN0

Libreria Feltrinelli

URBINO

Libreria "La Goliardica"


MARSILIO SAGGI E RICERCHE - QUESTE ISTITUZIONI Daniele Archibugi, Giuseppe Cicarone, Mauro Maré, Bernardo Pizzetti, Flaminia Violati - Advisory Commission on Intergovernmental Relations IL TRIANGOLO DEI SERVIZI PUBBLICI pp. 235, 2000, Euro 19,63 Sergio Ristuccia IL CAPITALE ALTRUISTICO. FONDAZIONI DI ORIGINE BANCARIA E CULTURA DELLE FONDAZIONI pp.l8l, 2000, Euro 12,91 Antonio Saenz de Miera L'AZZURRO DEL PUZZLE. FONDAZIONI E TERZO SETTORE IN SPAGNA pp. 289, 2003, Euro 23,00 Giancarlo Salvemini (a cura di) I GUARDIANI DEL BILANCIO. UNA NORMA IMPORTANTE MA DI DIFFICILE APPLICAZIONE: I]ARTICOLO 81 DELLA COSTITUZIONE pp. 161, 2003, Euro 12,91 Giovanni Vetritto LA PARABOLA DI UN'INDUSTRIA DI STATO. IL MONOPOLIO DEI TABACCHI 1861-1997 pp 160, 2005, Euro 15,00 Elinor Ostrom GOVERNARE I BENI COLLETTIVI pp. 353, 2006, Euro 28 Fabio Biscotti, Marco Saverio Ristuccia TRASFERIRE TECNOLOGIE. IL CASO DEL TRASFERiMENTO TECNOLOGICO DI ORIGINE SPAZIALE IN

pp. 255, 2006, Euro 19,00

EUROPA


Gentile lettore, se il nostro impegno editoriale è di Suo gradimento, potrà abbonarsi o rinnovare il suo abbonamento utilizzando la cedola sottostante. Potrà altresì richiedere i numeri arretrati direttamente alla redazione. Ringraziandola per l'attenzione posta al nostro lavoro, Le porgiamo i più cordiali saluti. la redazione

queste istituziofli AB BO N AM E N TO

Nome........................................................................................................................................................................ Cognome................................................................................................................................................................ Ente-Società ....................................................................................................................................................... Indirizzo................................................................................................................................................................ Città.......................................................................................................................................................................... Cap............................................................................................................................................................................. Telefono.................................................................................................................................................................. E-mail ...................................................................................................................................................................... Segnare quale tipo di abbonamento si intende sottoscrivere: 1. Abbonamento sostenitore da 105,00 Euro LI 2. Abbonamento annuale ordinario 43,00 Euro Spedire in busta chiusa a: queste istituzioni - Via Ovidio, 20 - 00193 - Roma Oppure via fax al numero - 06.68134167


Nuovi saperi per la scuola Le Scienze Sociali trent'anni dopo a cura di Clotilde Pontecorvo e Lucia Marchetti

o



Per la pubblicità su queste istituzioni Consiglio italiano per le Scienze Sociali - Tel. 06.68 136085- Fax 06.68134167 Le inserzioni a pagamento sono pubblicate su pagine patinate, inserite al centro del fascicolo. QUOTE DI ABBONAMENTO 2009 (IVA inclusa) Abbonamento annuale (4 numeri) €43,00 Abbonamento per studenti 50% di Sconto Abbonamento per l'estero € 57,00 Abbonamento Sostenitore € 105,00 CONDIZIONI DI ABBONAMENTO L'abboriamento si acquisisce tramite versamento anticiparo sul dc postale n. 24619009 o bonifico bancario do Intesa SanPaolo, Ag. 80 di Roma Prati - Via E. Q. Visconti, 22- 00193 Roma - IBAN: 1T12 X030 6903 3150 7400 0004 681 intestato a «Consiglio Italiano per leScienze Sociali». Si prega di indicare chiaramente nome e indirizzo del versante, nonché la causale del versamento. L'abbonamento decorre dallo gennaio al 31 dicembre e, se effettuato nel corso dell'anno, dà diritto ai fascicoli arretrati. Gli abbonamenti che non saranno disdetti entro il 30 novembre di ciascun anno saranno tacitamente rinnovati e fatturati a gennaio dell'anno successivo. Ifascicoli non ricevuti devono essere richiesti entro un mese dalla data di pubblicazione. Trascorso tale termine verranno spediti, in quanto disponibili, contro rimessa dell'importo più le spese postali. In caso di cambio di iiidirizzo allegare un talloncino di spedizione. L'IVA è assolta dall'editore ai sensi dell'art. 74lett. c) del d.PR 26.10.1972 n. 633 e successive modificazioni nonché ai sensi del d.m. 29.12.1989. N.B.: Per qualsiasi comunicazione si prega di allegare il talloncino-indirizzo utilizzato per la spedizione


?h4 -

ri

Consiglio italiano per le Scienze Sociali Via Ovidio, 20- 00193 Roma

â‚Ź 15,00

Anno XXXVI - n. 152 / gennaio-marzo 2009 Sped. abb. postale DL 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 N°46) An. 1 comma DCB Roma


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.