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queste s istituzioni interventi e inchieste
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Prospettiva su//e istituzioni USA
Per continuare il discorso sugli Stati Uniti iniziato nel fascicolo n. 8 (Verif i-
3 Riforma dell'Amministrazione e tecniche di bilancio di Mauro Calamandrei
13 La Costituzione tradita: le vicen-
de dei servizi di sicurezza di Henry Steele Commager
che del sistema americano: supremazia mondiale e potere interno) pubblichiamo nelle pagine seguenti due articoli che fanno il punto su alcune questioni assai controverse del sistema istituzionale USA. Si tratta, in realtà, di problemi che appaiono e sono, per più versi, di assai differente peso: uno concerne l'efficienza degli apparati amministrativi e la verifica dell'utilità sociale dei loro fini istituzionali; l'altro la possibilità di ricondurre alle regole costituzionali l'attività dei servizi segreti. Da una parte c'è il riferimento a esigenze di funzionalità, di efficienza e di lotta agli sprechi; dall'altra, c'è invece la preoccupazione e lo sgomento per i colpi inferti ai principi e alla prassi costituzionale dalla logica del potere imperiale. La chiave ideologica della proposta, fatta propria da Carter, di rimettere in questione l'assetto del potere amministrativo è con tutta probabilità neo-liberista. Di quel liberismo che non manca di insofferenze verso l'< inefficienza » indotta dalle stesse procedure di garanzia, soprattutto da quelle poste a difesa delle minoranze (ne fa cenno Calamandrei nel suo
articolo). In linea generale,, il problema di una verifica permanente della funzione pubblica risponde ad esigenze di controllo sociale che possono essere di segno ben diverso da quello liberista. Per questo è interessante cogliere l'affidabilità concreta degli strumenti tecnici ipotizzati e vedere il seguito che potranno avere le proposte carteriane. Il tema della Costituzione tradita tocca il cuore dei problemi del « potere imperiale» sui quali ci siamo soffermati nel-
queste istituzioni
la precedente occasione. La denuncia di Commager trae ispirazione dalla tradizione liberai e pertanto è assai diversa, quanto a valori e criteri di giudizio, dai contributi di matrice new left che abbiamo pubblicato nel fascicolo n. 8. Tuttavia il tono è molto pessimistico. Le oscure vicende del. rinnovamento carteriano dei quadri dirigenti della CIA, dop& la bocciatura senatoriale della candidatura di Ted Sorensen, non sembrano dissipare questo pessimismo.
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luglio 1977 Direttore: SeaGIo RIsTuccIA - Condirettore responsabile: GIOVANNI BECHELLONL Redàzione:' MARcÒ CIMINI, ENNIO COLASANTI, MARINA GIGANTE, MARcaun R0MEI, Fs.NcEscO SID0'rI, VIN.cazo SPAZIANTE.
Segreteria organizzativa: RoDou'o DE ANGELIS. DIRIzI0NE E REDAzIona: Viale Mazzini, 88 00195 Roma. Telefono 354952.
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Riforma dell'amministrazione e tecniche di bilancio di Mauro Calamandrei
Molti esperti di strategia elettorale hanno sempre creduto che non ci fosse tema con minore sex appeal politico e con minore presa sull'elettorato della riorganizzazione dell'apparato governativo, e sono rimasti dello stesso parere anche dopo i risultati delle elezioni del 1976. Ma Jimmy Carter la pensa diversamente. Fra le nevi e i ghiacci del New Hampshire e sulle spiagge e lungo le piscine assolate della Florida, nei quartieri sporchi di Philadelphia e di Milwaukee e negli shopping centers della California, Carter aveva promesso che se fosse stato eletto avrebbe riportato ordine ed efficienza nell'amministrazione pubblica; e nel primo incontro che ha avuto con i leaders democratici del Congresso, subito dopo le elezioni, ha affermato che il suo primo desiderio era di ottenere al più presto l'autorità necessaria per effettuare le riforme promesse. E quando si è accorto che nonostante la forte maggioranza democratica c'erano forti resistenze a concedergli quel potere a causa dell'uso che ne aveva fatto Richard Nixon, Carter non ha esitato a rivolgersi all'elettorato. E il Congresso, dopo alcune settimane di esitazioni e di incertezze, gli ha concesso l'autorità richiesta. La riorganizzazione dell'amministrazione pubblica dovrebbe, dunque, costituire uno dei temi centrali dell'attività presidenziale di Carter. È ben vero che Carter non è certo il primo presidente a voler riorganizzare l'apparato amministrativo dello stato. Dalla fine della seconda guerra mondiale in poi sotto ogni presidente sono stati elaborati piani e programmi per tale riorganizzazione. Dal 1947 al 1949 il compito di affrontare questa difficile impresa fu affidato ad una commissione presieduta dall'ex presidente Herbert Hoover; nel 1953 si sentì il bisogno di istituirne un'altra, pure diretta da Hoover, e mentre
questa si occupava principalmente dell'organizzazione amministrativa federale, la commissione Kestnbaum nello Stesso periodo esplorava il problema delle relazioni fra le varie unità dell'intero sistema federale. Kennedy, Johnson, Nixon hanno cercato, ognuno a suo modo, di riorganizzare l'amministrazione pubblica; hanno perfi. no tentato di fornire nuove e diverse teorie su cui basare il funzionamento del governo, nuovi modi di reinterpretare il sistema federale e la sua dinamica. Nella scia di tanti tentativi non basta prendere atto della volontà di Carter di voler riorganizzare l'amministrazione pubblica, ma è essenziale porsi altre domande. Perché questo impegno è diventato così preminente? Quali forme prenderà la riforma sotto questa amministrazione? Quali sono i maggiori ostacoli alla sua realizzazione? In quali modi il programma di Carter si differenzia da quello dei suoi predecessori? LA LINEA CARTER PER LA RIFORMA DELL'AMMINISTRAZIONE: LO ZERO-BASED BUDGETING E LE SUNSET LAWS Fino dai primi giorni che era alla Casa Bianca, Carter ha cercato di indicare concretamente come i vari enti governativi potessero eliminare sprechi e duplicati e dimostare nei fatti, giorno per giorno, un profondo senso di responsabilità nei confronti del contribuente medio; ha dato ordine che ogni ente riesaminasse meticolosamente gli innumerevoli moduli, eliminasse quelli superflui e semplificasse quelli indispensabili; ha ordinato ai capi dei vari dicasteri di assottigliare al massimo il numero degli avvocati perché è per la pletora di questi legulei che si moltiplicano in continuazione, a ritmo incontenibile, i regolamenti; ai suoi diretti collaboratori al-
4 la Casa Bianca ha dato ordine di creare una presidenza che funzioni con due terzi del personale impiegato dal suo predecessore, ha eliminato buona parte delle auto governative con rispettivi chauffeurs, ed ha perfino ridotto in modo drastico i dollari destinati all'acquisto di giornali e riviste. Le decisioni prese, le esortazioni, gli ordini e moniti volevano soprattutto essere dei gesti simbolici, dei segni del nuovo spirito. Perché la riforma diventi realtà, e realtà duratura, è essenziale che siano creati meccanismi sufficientemente forti per cambiare rotta. In effetti fin dal suo primo rapporto alla Nazione, il nuovo presidente ha detto che il piano a cui stava lavorando l'ufficio per l'amministrazione e il bilancio comprendeva tra l'altro l'abolizione dei regolamenti governativi non necessari, lo Zero-Based Budgeting, ossia l'azzeramento del bilancio, e le Sunset Laws, per abrogare i programmi che hanno ormai cessato di essere utili ed eliminare, nei servizi e nelle funzioni governative, i doppioni e le sovrapposizioni; e ha indicato soprattutto in questi ultimi due i meccanismi chiave della riforma dell'amministrazione. necessario innanzitutto illustrare, sia pure sommariamente, il loro contenuto. Una delle più coerenti e sistematiche definizioni e descrizioni del meccanismo delle Sunset Laws ci viene da John W. Gardner. Già presidente della Carnegie Foundation, Ministro del Commercio e della Salute, dell'Educazione e del Wlfare, in questi ultimi anni Gardner è noto soprattutto per aver fondato e diretto Common Cause, il gruppo di pressione che, propostosi fin dalle origini di tradurre in realtà tante riforme che le élites del potere periodicamente suggeriscono ma non realizzano, è diventato una vera forza politica autonoma. « Il meccanismo del 'Tramonto' è quello che stabilisce che le agenzie e i programmi governativi devono periodica-a mente e automaticamente terminare » dice Gardner —; « la cessazione dovrebbe avvenire regolarmente, per esempio ogni 6 o 8 anni, in modo da istituziona-
lizzare il processo di rivalutazione e di riesame ». Per quanto riguarda lo Zero-Based Budgeting: « Secondo questo nuovo concetto ogni dollaro richiesto per spese nel nuovo bilancio deve essere giustificato e questo riguarda pure le spese correnti che vengono riproposte» - ha dichiarato Jimmy Carter alla riunione annuale dei governatori degli Stati nel giugno dei 1974. « Questo sistema richiede che sia esaminata l'efficacia di ogni attività a vari gradi di finanziamento. Si tratta dii un concetto radicalmente diverso da quello usato dalla maggioranza degli organi governativi, che quando esaminano un nuovo bilancio concentrano l'attenzione quasi esclusivamente sulle nuove spe se. Eccetto per le spese o programmi eccezionali, le voci continuano e di solita le somme richieste sono raramente messe in discussione ».
Zero-based budget e Sunset Laws non sono certo temi di cui si sente frequentemente parlare nei bar e neppure nei salotti o nei country clubs, ma non sono neppure concetti del tutto nuovi negli Stati Uniti; tutte le proposte citate da Carter erano già state ampiamente discusse nel Congresso e negli ambienti politici. Nel 1976, mentre Carter portava il suo messaggio da uno Stato all'altro, la sottocommissione del Senato per le relazioni con gli enti governativi aveva convocatc nella capitale, da diverse parti del continente, numerosi esperti per discutere due disegni di legge (5 2925 e S 2067), che avevano come obbiettivo ultimo il controllo della spesa pubblica e l'eli minazione degli enti superflui e degli altri sprechi. E le tecniche proposte era no proprio le stesse citate dal presidente Carter nella sua « chiacchierata davanti al camino» del 2 febbraio. Inoltre, entrambi i meccanismi, se introducono concetti relativamente nuovi, non sono però astrazioni di teorici senza esperienza. Da un lato, infatti, Carter ha potuto sfruttare elettoralmente con tanto successo la sua promessa di riorganizzare l'amministrazione pubblica perché quando era governatore della
5 Georgia fece propria e mise in atto una vasta politica di riorganizzazione; e la Georgia fu il primo Stato ad adottare il concetto dell'azzeramento del bilancio. Dall'altro, John Gardner ha cominciato a promuovere su scala nazionale l'adozione delle Sunset Laws dopoché la sezione di Common Cause dello Stato del Colorado aveva studiato per due anni il funzionamento degli enti governativi ed aveva quindi proposto l'adozione di una legge in base alla quale, dopo un certo numero di anni di vita, qualsiasi commissione, ufficio o ente sarebbe automaticamente decaduto. In aderenza a questo modello, Carter, nel presentare i cambiamenti apportati al bilancio lasciatogli in eredità da Ford, ha tenuto a precisare che il bilancio, anche così alterato, non rifletteva il vero atteggiamento della nuova amministrazione; solo il prossimo bilancio potrà essere considerato carteriano perché soltanto l'anno venturo ogni somma richiesta e ogni programma dovranno essere completamente giustificati, ha detto Car ter. In realtà il nuovo presidente ha voluto fino da ora dare un piccolo assaggio di quel che ha in mente eliminando dal bilancio ben tredici programmi idrici. « Solo quelle dighe e sistemi di controllo che dopo un ampio riesame risulteranno davvero essenziali saranno di nuovo finanziati nel prossimo bilancio o forse ancora in questo », hanno spiegato i diretti collaboratori del presidente. Carter non è tanto interessato alle economie che la sospensione di questi progetti comporta, piuttosto ha voluto dare in tal modo un assaggio del modo in cui è necessario procedere per ridurre le spese, eliminare gli sprechi e effettuare una radicale e sostenuta riforma dell'amministrazione pubblica. Tanto le leggi del « Tramonto» quanto il sistema dell'azzeramento del bilancio partono dalla comune premessa che nessun programma o nessun organismo può sopravvivere automaticamente senza giustificare periodicamente la sua esistenza e le sue esigenze come se fosse un programma nuovo. In effetti, durante la campagna elettorale, Carter aveva detto centinaia di volte che sotto di lui
i 1900 organismi federali sarebbero stati riunificati in non più di 200 agenzie e dicasteri. La sostanza della riforma però non sta ovviamente tanto nel numero degli organismi federali quanto nel loro funzionamento, nel numero di persone che impiegano, nel loro costo e rendimento.
PROPOSTE DI RIFORMA ED ESPERIENZE GIÀ REALIZZATE
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Prima di entrare in una discussione sugli obbiettivi ultimi della politica di riorganizzazione e sugli impulsi psicologici e sociali che ormai assicurano ad essa una solida base elettorale e un consenso pubblico impensabile pochi anni fa, vediamo più da vicino le proposte concrete in cui si sono tradotte finora le due tattiche del meccanismo del « Tramonto» e del « Bilancio zero ». Il primo obbiettivo del meccanismo del « Tramonto » è di eliminare i rami secchi; ma un secondo obbiettivo, potenzialmente molto più importante, è la creazione di un sistema che assicuri che gli enti pubblici automaticamente scompaiano invece di moltiplicarsi e sopravvivere per sempre. Il Colorado è lo Stato in cui più si è fatto per realizzare un sistema che eliminasse gli enti superflui e riorganizzasse funzionalmente quelli ancora utili. Questo Stato delle montagne rocciose costituisce un'entità relativamente piccola: benché abbia una superficie di 270.000 chilometri quadrati, la sua popolazione non arriva neppure a due milioni e mezzo di unità. Il suo apparato amministrativo è composto di 42 enti o commissioni, raggruppati sotto un unico ombrello, quello del
dipartimento delle Regulatory Agencies. Il disegno di legge in discussione l'anno scorso prevedeva la divisione dei 42 enti in due gruppi: per uno lo scioglimento si sarebbe dovuto realizzare dopo un anno; mentre l'altro avrebbe avuto altri due anni di vita. « La bellezza del meccanismo del 'Tramonto' è che tocca agli enti interessati
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farsi avanti, pròvare chè devono sopravvivere, chiedere che. la legge che giustifica la loro esistenza sia approvata », ha dichiarato Gerald Kopel. Nello Stato del Colorado si intende sottoporre al meccanismo del «Tramonto'> non soltanto gli enti statali ma anche quegli organismi corporativi, quelle associazioni che dallo stato ricevono l'autorizzazione ad operare. Nel testimoniare davanti alla commissione del Senato, presieduta da Edmund Muskie, Kopel ha preso come esempio della giungla amministrativa uno dei più piccoli fra questi enti corporativi, l'associazione degli stenografi dei tribunali. In teoria questa associazione, creata nel 1925, avrebbe dovuto assicurare la preparazione professionale e la condotta morale degli iscritti; in realtà, essa è servita solo a proteggere gli interessi dei soci e a tener fuori il maggior numero di persone per assicurare, a chi ne facesse parte, abbondante lavoro senza concorrenza. Da parecchi anni l'associazione ammette così pochi nuovi soci che molti tribunali sono costretti ad impiegare stenografi non iscritti. Sottoponendo questa associazione alla legge del « Tramonto », i suoi dirigenti saranno finalmente costretti ad aprire i libri, a sottoporsi a interrogatori pubblici, a spiegare a cosa serva o non serva farne parte. In particolare, questa volta sarà impossibile, com'è avvenuto altre volte nel passato, mobilitare personalità politiche e perfino giudici per bloccare proposte di riorganizzazione o anche solo inchieste. Col sistema delle Sunset Laws, se l'associazione non riesce a convincere i suoi avversari della sua utilità, automaticamente scompare. Tutti gli enti pubblici o parastatali automaticamente scompaiono via via che matura la data della loro scadenza e soltanto quelli che provano di essere utili sono salvati. In questo caso devono però essere riautorizzati come enti nuovi: ciò che sotto il sistema del « Tramonto » è categoricamente escluso, è il rinvio, l'autorizzazione temporanea, la legge tampone, la gestione commissariale; sono escluse cioè tutte quelle trovate con cui
la burocrazia così spesso traduce il temporaneo in perpetuo, il provvisorio nel permanente, tutte quelle formule con cui si garantisce la sopravvivenza e si evitano esami e controlli. Il meccanismo del Sunset vuole insomma instaurare il sistema già proposto da William Douglas al presidente Roosevelt negli anni del New Deal, secondo cui nessun ente pubblico, per quanto utile, avrebbe dovuto avere la garanzia di una lunga esistenza. Douglas voleva invece che la vita di qualsiasi ente fosse breve. L'idea in verità era già venuta in mente ai « padri fondatori» ancor prima della stesura definitiva della Costituzione. Riflettendo sulla difficoltà di far votare dal Congresso l'abolizione di qualsiasi ente pubblico anche dopo che è venuta meno la sua utilità sociale, James Madison aveva suggerito che la migliore alternativa sarebbe stata, all'atto costitutivo di ogni ente pubblico, quella di stabilire un limite di durata. L'idea è stata tradotta concretamente in una proposta di legge solo nel 1969, quando il professor Theodore J. Lowi della Cornell University propose un Tenure of Statutes Act che dava a qualsiasi ente un periodo massimo di vita compreso fra i 5 e i 10 anni. In base a queste proposte la burocrazia avrebbe dunque avuto un ritmo di vita e un ciclo operativo non molto più lungo e più sicuro di quello di un presidente, secondo un criterio - come si vede - non molto dissimile da quello proposto dal sistema dello Zero-Based Budgeting, che parte appunto dalla premessa che solo gli enti e i programmi che possono provare la propria indispensabilità continueranno ad esistere e ad operare. I progetti elaborati al Senato in merito a questi problemi si propongono obiettivi più limitati. Secondo un disegno di legge proposto dal senatore repubblicano Charles Percy (Illinois) e dal suo collega democratico Rcbert Byrd (West Virginia), che è anche il capo della maggioranza democratica della Camera Alta, il meccanismo del «Tramonto» dovrebbe essere adottato in modo graduale e ciclico sotto il nome di Regula-
fory ReI orm Act; questa legge creerebbe una tabella di revisione, che in pratica costituirebbe il primo passo verso la creazione di un sistema permanente di riesame dell'intero apparato statale. Un altro disegno di legge presentato dal senatore Muskie propone di dividere e raggruppare i programmi governativi in 4 categorie: Difesa nazionale, affari internazionali, giustizia e scienze generali. Agricoltura, commercio e trasporti, sviluppo regionale e comunitario, educazione, certi tipi di assistenza. Risorse naturali, ambiente ed ecologia, energia, salute e redditi ridistribuiti e servizi, assistenza ai veterani. Impiego e addestramento, altri servizi per la mano d'opera; servizi sociali, varie forme di finanziamenti del governo federale agli enti locali. Il criterio cui si ispirano questi raggruppamenti è quello di dare un minimo di coerenza al meccanismo per l'abolizione degli enti superflui e per la eliminazione dei duplicati e la riorganizzazione di tutti i servizi governativi. Secondo il meccanismo previsto da questa proposta, infatti, ogni anno scadrebbe l'autorizzazione a spendere per i programmi di uno di questi gruppi, a meno che non sia stato completato un esame integrale e il bilancio non sia stato ridisegnato da basè zero. Nei 12 mesi precedenti alla data di scadenza, il programma o l'ente in questione sarebbe sottoposto ad un completo esame da parte dei massimi organi di controllo del Governo, come l'Office of Manageinent and Budget, il Congressionai Budget Oflice e il Generai Accounting Oflice, nonché da consulenti di management privati nominati con il consenso di que•sti stessi organi. Fra gli esperti ci sono contrasti sul numero di anni più ragionevole per completare il ciclo di revisione; però il vero problema non è se stabilire la scadenza del riesame ogni 4 o 6o 8 anni. I dubbi riguardano la capacità del governo, nel senso più lato del termine, di effettuare i necessari controlli. La maggioranza degli espèrti consùltati dalla sottocòmmis-
sione Muskie era. concorde nel riconoscere che è più facile promettere che realizzare il controllo della burocrazia e una maggiore efficacia degli apparati amministrativi dello. Stato.
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IL MOVIMENTO PER LA RIORGANIZZAZÌONÉ DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE In pratica infatti come si distinguono gli enti superflui da quelli che svolgono una importante funzione? Per liberisti ossessionati come Milton Friedman o per gli editorialisti di Barron's, il problema è relativamente semplice: più enti ed uffici governativi vengono ridimensionati e meglio è, perciò qualsiasi meccanismo che riesca a ridurre le dimensioni della burocrazia è benvenuto; e se i processi sono estremamente rudimentali, non c'è da preoccuparsi, poiché i burocrati sanno sempre come proteggere se stessi; l'unico pericolo che non esiste è una nazione con un apparato governativo troppo scarno. Ma chiunque abbia esperienza diretta della vita moderna e non si lasci offuscare da pregiudizi aprioristici avulsi dall'esperienza sociale, sa che la burocrazia svolge funzioni difficilmente ehminabili. Non è un caso che fra i promotori dei programmi di riorganizzazione ci siano in prima fila uomini politici che credono nello stato moderno e nella società moderna, come Edmund Muskie e Charles Percy, John Gardner o Jirnrny Carter, uomini politici cioè che credono negli ideali che sono realizzabili solo nel quadro dello stato positivo moderno. Il movimento per la riorganizzazione dell'amministrazione pubblica non nasc tanto da correnti politiche potenti ma fondamentalmente anacronistiche come il hiberismo di Milton Friedman o il risentimento popuhista òhe fu tanta parte del successo politico di George Wallace; nasce invece, dalla crisi di fiducia nelle istituzioni democratiche, nasce dal conflitto fra le aumentate aspettative del cittadino médio e l'incapàcità degli organi governativi di soddisfare quéste aumentate' richieste; e nasce infine dal-
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la convinzione che se non si trova il modo di imbrigliare l'amministrazione pubblica e contenere i bilanci, le élites progressiste non saranno mai più in grado di varare programmi e di effettuare riforme. La crisi di fiducia ha diverse origini: le istituzioni pubbliche non sembrano più riflettere i desideri delle masse votanti o non votanti; gli organi governativi, per mancanza di mezzi o di risorse finanziarie, non sanno più operare in modo da soddisfare la popolazione. Si tratta al tempo stesso di una crisi di rappresentatività e di una crisi di funzionalità. Però anche quando erano lontani i tempi di maggiori tensioni fra governati e governanti, anche quando le istituzioni hanno mostrato considerevole flessibilità, l'ostacolo più grave è rimasto quello economico, perché lo Stato non trova più abbastanza risorse per svolgere le sue responsabilità ormai enormente ampliatesi. « Il bilancio è lo scheletro dello Stato spogliato di tutte le ideologie », diceva l'economista socialista Rudolph Goldscheid; i bilanci del nostro tempo rivelano che nelle società industriali avanzate lo Stato è chiamato a svolgere nuove funzioni tutt'altro che facili. Una di queste è l'accumulazione di capitale, l'altra è quella che certi studiosi chiamano la legittimazione dei gruppi di opinione e di pressione. Nell'attuale fase di evoluzione politica e sociale le aziende ormai non sono capaci di creare da sole i surplus di capitale necessari al continuo rinnovamento degli impianti e alla sostenuta crescita dell'economia. Il governo deve dare una mano alla for mazione del capitale, talvolta con aiuti diretti, ma più comunemente con facilitazioni fiscali, con credito agevolato, con la politica macro-economica, con il controllo del sistema bancario e con la manipolazione del bilancio. Ma allo Stato non arrivano solo le richieste di capitale delle grandi industrie, ari-ivano i questuanti dei tipi più disparati. I molti cambiamenti avvenuti nel modo di pensare e di sentire della popolazione fanno sì che lo Stato finisca
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con l'assumersi responsabilità che in altri tempi erano riservate alla famiglia, alle chiese, alle associazioni private di qualsiasi genere. Questi cambiamenti, molto più che le eruzioni passeggere di pensiero utopistico, hanno fatto aumentare enormemente le rivendicazioni di particolari settori del corpo sociale. Questo doppio ruolo dello Stato contemporaneo di accumulatore di capitale e di distributore di servizi di ogni genere e il crescente squilibrio fra le esigenze da soddisfare e i mezzi a sua disposizione, sono alla radice della crisi delle istituzioni di cui si sente tanto parlare. La riforma dell'amministrazione pubblica dovrebbe rendere l'apparato statale più adeguato alle esigenze dell'elettorato, ma dovrebbe pure servire a ridurre in modo sostanziale il costo della «cosa pubblica », il bilancio statale in tutte le sue ramificazioni. È possibile raggiungere questi obbiettivi che non combaciano? E riforme quali l'azzeramento del bilancio e le leggi per il « Tramonto » sono tattiche adeguate e sufficienti? Neppure i più accaniti sostenitori della necessità di riformare l'amministrazione pubblica sono pronti a dare risposte categoriche. I
PRIMI OSTACOLI
Numerosi esperti interrogati dalla sottocommissione presieduta dal Senatore Muskie non hanno nascosto le loro perplessità. Leggendo gli atti della commissione appare chiaro che è quasi inesistente il timore che l'adozione delle riforme finisca con l'essere un atto puramente formale e ritualistico. Apparentemente, dati per scontati il sistema federale, la separazione dei poteri e la frammentazione istituzionalizzata dei centri di potere, non si teme che una volta approvata la legge che stabilisce una data di cessazione per gli enti pubblici, il congresso finisca con l'autorizzare così tante eccezioni e soluzioni temporanee da rendere vano lo sforzo riformatore. Secondo moltissimi interpellati il difetto principale
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dello scadimento automatico di tutti gli enti pubblici sta nella inefficienza sem.pre più palese degli organi parlamentari e negli ostacoli istituzionali che danno speciali poteri alle minoranze anche esi:gue. Prendiamo, come esempio, la legge sulla sicurezza sociale, una delle pietre mi'liari del New Deal e il caposaldo del 'Welfare state. Decine di milioni di cittadini dipendono dagli assegni del sistema della Social Security perché sono di-soccupati, invalidi o vecchi. Il sistema 'd'altronde è in serie difficoltà perché le tasse per tenerlo in piedi hanno ormai raggiunto livelli oltre cui è difficile andare, e allo stesso tempo i contributi dei lavoratori e dei datori di lavoro non sono più adeguati a coprire i bisogni. Ovviamente, siamo di fronte ad un organismo che dovrebbe essere studiato da capo a fondo, forse ridisegnato. Ma la strada è davvero quella della leg'de del «Tramonto »? È pensabile che si possa far morire questa organizzazione, 'col rischio che i complicati meccanismi "parlamentari lascino per mesi, forse per un anno intero, decine e decine di milioni' di americani senza l'assegno su cui fanno affidamento per vivere? il filibuster, il diritto illimitato di parlare che esiste tuttora nella Camera Alta, non esclude che due o tre senatori 'possano rendere impossibile il rilancio 'dell'organismo più vitale della politica sociale americana. Il caso è ai margini della probabilità, però la storia parlamentare è piena di si'tuazioni impensabili che diventano realtà. E per evitare simili rischi, la soluzione non è di cominciare ad esentare questo o quell'ente; ogni ufficio ha le sue Tagioni, i suoi gruppi di pressione, i suoi sostenitori e una volta adottata l'idea che al sistema automatico possano esserci eccezioni, con che serietà può essere presa la promessa della riorganizzazione? Per quel che riguarda il bilancio è davvero serio parlare, come fa Carter, di ricostruire anno per anno tutte le voci, di riesaminare uno per uno tutti i programmi come se dovessero essere presi
in considerazione per la prima volta? Il bilancio è l'aggregato di centinaia, di migliaia e decine di migliaia di programmi, i più importanti fra i quali hanno richiesto mesi e spesso anni di ricerche, dibattiti ed esperimenti prima di essere varati; ognuno di essi funziona in base a centinaia, spesso migliaia di regolamenti. È pensabile che l'intero bilancio possa essere tutto ridisegnato anno per anno? È possibile, è cioè realistico, pensare di riesaminare a rotazione le voci principali partendo realmente da zero in un periodo ciclico di pochi anni? La grande paura è che il programma di riorganizzazione dell'amministrazione pubblica finisca con creare una gigantesca superburocrazia, e allo scopo di eliminare gli sprechi si finisca con l'aggravare l'elefantiasi dello Stato. La storia recente è poco rassicurante al riguardo. Il Congresso, per esempio, ha oggi tanti senatori e rappresentanti quanti ne aveva sette anni fa. Ma i dipendenti sono il doppio di allora. In realtà, alla Casa Bianca e nell'Ufficio per l'amministrazione e il bilancio, si hanno molte meno angoscie che sul Campidoglio. Bert Lance, Peter Pyhrr, Carter stesso e i loro amici che hanno sperimentato questo tipo di riorganizzazione in Georgia, sono convinti che il passaggio al bilancio che parte da base zero non porta necessariamente alla paralisi del sistema o all'elefantiasi burocratica. Per capire la diversa percezione dell'organizzazione occorre a questo punto ricordare che questa, come qualsiasi altra riforma, non significa necessariamente la stessa cosa per chi si trovi alla Casa Bianca e per chi, invece, si trovi sul Campidoglio. IL PUNTO DI VISTA DELLA CASA BIANCA
Lo Zero-Based Budget è una tattica manageriale 'inventata da Peter R. Pybrr per meglio controllare l'apparato anuninistrativo di qualsiasi organizzazione. Sperimentata con successo alla Texas mstruments Company, fu applicata per la
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lo prima volta ad una burocrazia pubblica organismo politico non segue necessaria,da Jimmy Carter in Georgia; da allora mente la logica lineare di una simile lo Zero-Based Budget è stato adottato da operazione in una corporation. In un più di un centinaio di corporations e di promernoria preparato per la sottocomenti politici. Fra questi ci sono Westin- missione del Senato per le relazioni in:ghouse, Xerox e Generai Eiectric, gli tergovernative, Pyhrr ha dichiarato: « Le Stati del New Mexico, dei New Jersey realtà politiche non permettono di solito massicci spostamenti di risorse da un ,e del Texas. Lance, Pyhrr e Carter sono convinti che ente ad un altro ». •in una burocrazia come quella federale, Ma una volta ammesso che la logica maabituata ad incorporare periodicamente nageriale di un organismo politico non le nuove idee del management, introdur- è la stessa di un ente economico, crolla re il sistema dello azzeramento del bilanla semplicistica idea, così cara ai precio non sarà una esperienza traumatica. sidenti, che la riorganizzazione deve « Taluni credono che "base-zero" voglia essere di competenza esclusiva dell'esecudire buttar via e ricominciare da capo, tivo. Per chi comanda, la vera ragione di fondo di qualsiasi riorganizzazione, la riinventare ogni volta la ruota» - ha scritto Peter R. Pyhrr - « In pratica prima e la più importante, è il controllo zero-base" vuol dire riesame e rivalu- dell'apparato amministrativo; la burocratazione di ogni programma. Talvolta la zia deve diventare uno strumento più ef valutazione dei risultati ottenuti e il ne- ficiente, ma soprattutto più. flessibile e • same dei metodi alternativi porta a ri- più obbediente. E le ragioni di Stato aspensare completamente un programma, sumono la precedenza su quelle del goma sono casi rari. Di solito si tratta di verno aperto o della rappresentatività. un approccio estremamente pratico, di Carter, 'Lance e Pyhrr non hanno le uno strumento assai flessibile che permette di riordinare il modo di operare paure di uomini di stato privi di espe'senza ' serie difficoltà nella transizione. rienza manageriale come Nixon e i suoi Si 'tratta di concentrare l'attenzione del compari, non sentono l'incubo che la management sulle valutazioni e sui pro- burocrazia possa in qualsiasi momento diventare una minaccia diretta alla a*1cessi.. decisionali ». « Il.bilancio è diviso in unità che sono torità presidenziale. D'altronde una prechiamate "pacchi decisionali ", prepasa troppo sicura del presidente sull'ammirati dai .dirigenti ai vari livelli e ogni nistrazione pubblica non è il primo desi• .pacco è ordinato gerarchicamente con derio del Congresso: fra l'altro, con il • estrema chiarezza in base a precisi prinpretesto della riorganizzazione, il precipi di rendimento. Contrariamente a sidente ha la possibilità di attribuirsi po• 'quanto si crede, lo "zero-base" non si teri legislativi. presta a quei "giochi" che' sono così Al centro del dibattito sulla riorganizzafrequenti nei bilanci tradizionali'». zione c'è una questione di accountability: Lance è ancora più chiaro: « Lo Zero- è' importante contenere le spese, elimi• Based Budget costringe ,a domandare il nare gli sprechi, impedire la crescita perperché di una certa politica, di un rego- petua della burocrazia descritta in modo lamento,. di una abitudine In Georgia, ,così allarmante più di 20 anni fa da per esempio, c'era l'abitudine di taglia- Nerthcote Parkinson. Però l'efficienza re l'erba' ai margini delle strade per 30 e le economie non sono tutto. piedi 'di profondità. Perché 30 piedi? In Al fondo resta l'interrogativo di chi debbase alla tecnica dello Zero-Based Bud- ba controllare il sistema politico e la geting arrivammo alla cònclusione che sua dinamica. Non è un caso che dopo 'bastava tagliarla per 15 piedi; e così ol- aver predicato la necessità di riorganiz•t'reché risparmiare demmo ai fiori la ,zare il governo, il presidente Carter si 'è :possibilità di crescere,». • rifiutato di enunziare quali siano le" ri•Pyhrr ammette' che la riorganizzazione forme che 'intende introdurre e i' prindel governo, federale 'o anche di 'un altro cipi cui si ispireranno.
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11 D'altra parte, sono ormai trent'anni che i presidenti tentano di riorganizzare l'amministrazione pubblica e troppe volte ciò è servito soprattutto a rendere più imperiale la presidenza e ad indebolire il peso degli organi rappresentativi. In particolare, il Congresso non può dimenticare che col pretesto della riorganizzazione, Richard Nixon cercò di sovvertire gli equilibri costituzionali e di creare un regime autoritario. « Nessun presidente deve assumere di avere automaticamente una certa autorità semplicemente perché altri presidenti l'hanno avuta e nessuno deve supporre che una legislatura automaticamente rinunzi a certi suoi poteri legislativi semplicemente perché legislature in altri tempi hanno fatto simili rinunzie », ha dichiarato Jack Brooks, il rappresentante del Texas, capo della commissione della Camera Bassa per le operazioni governative, che ha preso il posto di cerbero dei diritti costituzionali tenuto fino a non molto tempo fa dal senatore Sam Erwin. La prima •fase del processo riorganizzativo, quella in cui si tagliano i rami secchi e si eliminano i posti di lavoro completamente superflui, è relativamente facile. Il difficile viene quando si tratta •di creare un meccanismo organico che permetta di valutare il funzionamento di un ente o di un programma, misurar•ne i risultati, accertare se i suoi benefici siano superiori ai costi, e che serva da stimolo al rinnovamento interno. Negli ultimi anni gli Stati Uniti hanno fatto grandi progressi verso un clima. politico e sociale in cui è possibile analizzare spàssionatamente la crisi di rappresentatività e funzionalità delle istituzioni politiche. Questi progressi danno agli USA un notevole vantaggio su altre nazioni industrializzate. L'elettorato si è convinto che, per usare una frase cara a Milton Friedman, « Nessuna colazione è gratis ». Qualsiasi beneficio che emani dal governo prima o poi deve essere pagato. E più sono gli invitati al convivio, più alto è il conto. E quel che non si paga in contanti o in tasse oggi, si paga domani in inflazione e disoccupazione. Inoltre, l'elettorato americano ha scoperto che neppure le risorse
disponibili in una nazione ricchissima come gli Stati Uniti sono illimitate; e iL governo, in tutte le sue forme, non è necessariamente lo strumento più economico e più efficiente per risolvere. grossi problemi sociali o individuali. Queste conclusioni sono ormai così diffuse che Jimmy Carter, dall'oscurità dii un villaggio nel più profondo e arretrato Sud, ha potuto raggiungere direttamente la Casa Bianca proprio perché ha avuto il coraggio di articolare questi temi, farne il centro della sua campagna elettorale, prima nelle primarie, poi nella gara per la Casa Bianca. IL PUNTO DI VISTA DEL CONGRESSO
Il Congresso è altrettanto deciso a procedere verso la riorganizzazione quan-. to il presidente. Nessun organismo parlamentare può assumersi la responsabilità di voler mantenere Io status quo di. una burocrazia federale che spende 40: miliardi all'anno per produrre una interminabile valanga di documenti; nessuno vuole essere accusato di difendere: un sistema che spende un miliardo di. dollari all'anno solo per stampare moduli e un altro miliardo per le istruzionii su come riempirli. Anzi, al Congresso interessa varare un piano molto più so-lido e duraturo perché i presidenti vanno e vengono; a chi - si trova alla Casa Bianca importa di far colpo, di ottenere risultati rapidi perché il mandato scade dopo quattro anni, mai comunquedopo più di otto; i senatori e i rappresentanti che contano invece sono, come i burocrati, persone che fanno carriera nella carica che ricoprono. Però dopo la lotta degli ultimi otto anni, al Congresso sta. ancora più a cuore della riorganizzazione: la nuova autonomia conquistata; non ci può essere riorganizzazione che nella so-stanza non sia conforme ai desideri deL Congresso. Al Campidoglio si è decisi a procedere con cautela, collaudando i sistemi di control-lo passo per passo. '<Anche quando gli obbiettivi di un dato programma sono ben chiari, giudicarne i risultati non è facile », ha detto Alice M..
12 Rivlin, direttrice dell'Ufficio congressuale del bilancio. «L'arte di giudicare un pro.gramma economico è in evoluzione e dipende da molti fattori non tutti facilmente ponderabili ». Ugualmente scettici sono numerosi altri esperti: « Non possiamo e.sagerare la difficoltà di quel che cerchiamo di fare'> - ha osservato per esempio 'il direttore di Common Cause John Gardner. «Prima perciò di applicare in modo massiccio sia il meccanismo del "Tramonto" quanto lo Zero-Based Budget dovrebbe esserci un periodo di prova, in cui sviluppare la tecnica per misurare i risultati e collaudarla. I legislatori onesti :sarmo che buona parte dei cosidetti controlli attualmente in atto sono una frode. Il modo migliore per fare questi primi passi è prendere un paio di enti e ordina're di sottoporre il loro operato e i loro programmi per l'avvenire ai rigorosi controlli del meccanismo del "Tramonto" e
quello dello Zero-Based Budget ». La 'Commissione per gli stanziamenti della Camera dei Rappresentanti ha accettato in pieno questo consiglio ed ha scelto come cavie la NASA, cioè un ente autonomo complesso e con un bilancio sostan;ziale, e la Commissione per la Sicurezza 'dei Beni di Consumo che ha invece un bilancio assai ristretto. La battaglia vera e propria però verrà quando si dovrà decidere chi debba avere l'incarico per controllare questi esperimenti amministrativi. I senatori e i rappresentanti stanno pensando a due 'possibilità: .1) affidare l'incarico di gestire questi
esperimenti al Generai Accounting Oflice che è sempre stato il cerbero del Congresso. 2) Una seconda alternativa è quella di affidare l'incarico al nuovo ufficio congressuale del Bilancio. In ogni modo, al Campidoglio si è assolutamente contrari che a gestire i meccanismi permanenti di controllo e
riorganizzazione sia un ente dell'esecutivo come l'Ufficio per l'amministrazione e il bilancio. L'unico compromesso possibile fra Esecutivo e Congresso è la creazione di un ente autonomo a cui partecipino, almeno in una fase iniziale, tanto gli organi di fiducia del Congresso quanto quelli del presidente. Il processo di riorganizzazione e di riforma chiesto da Carter sarà ovviamente lungo e faticoso e, in questa fase, il suo esito è tutt'altro che facile a prevedere. Finora abbiamo parlato dei contrastanti interessi del Congresso e del presidente. Ma al centro della riorganizzazione stanno i milioni di uomini e donne che lavorano per il governo federale o per altri enti. Dall'atteggiamento di questi dipendenti può dipendere il successo o l'insuccesso di qualsiasi decisione governativa. Qual'è l'atteggiamento della burocrazia di fronte a proposte così radicali di riorganizzazione e di riforma? Le proposte di Carter non hanno suscitato reazioni insolite, anzi, di reazioni pubbliche da parte della burocrazia non ce ne sono state. Negli Stati Uniti non c'è solo la tradizione di nominare commissioni di studio o comitati esecutivi per la riorganizzazione dell'amministrazione pubblica; ogni amministrazione mette in atto riorganizzazioni maggiori o minori; i diritti fondamentali dei dipendenti del governo federale sono garantiti dalla Commissione per il pubblico impiego, ma una volta assicurati questi diritti, per lunga tradizione nell'apparato statale, esiste una grande flessibilità. Per i dipendenti statali non rappresenta perciò un fatto straordinario o insolito che un nuovo presidente proponga di aumentare l'efficienza dell'amministrazione, di consolidare uffici e servizi, di dare un più sicuro senso di direzione e una maggiore efficacia alla macchina statale.
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La Costituzione tradita: le vicende dei servizi di sicurezza di Henry Steele Commager
Per nostra sfortuna, la rivelazione delle illegalità commesse dalla CIA, dall'FBI e da altri servizi di informazione (l'uso, per esempio, di notizie segrete da parte dell'Internal Revenue Service a fini vessatori) non è coincisa con quegli esiti drammatici o decisivi che era naturale attendersi. Ogni nuovo giorno ha portato il suo carico di rivelazioni che poi, con la connivenza del presidente, i portavoce della «comunità dei servizi di informazione » puntualmente si incaricavano di minimizzare; nei casi più gravi, la spiegazione era che si trattava di aberrazioni o di prezzi pagati per raggiungere obiettivi mal, comunque; chiariti. Ogni nuova rivelazione è stata ridimensionata: si è parlato di sfortunati incidenti, di casi fortuiti che non potevano invalidare il lavoro per ogni altro verso prezioso dell'agenzia coinvolta. Solo di rado si è fatto cenno alla possibifità che fosse in gioco qualcosa di più che il comportamento maldestro di qualche anonimo agente, i cui errori - peraltro di modesta gravità - potessero essere attribuiti; con buona pace della coscienza, a un eccesso di zelo. La questione della legalità dei comportamenti non è stata, semplicemente, mai sollevata; neppure ai più alti livelli di responsabilità: un esempio ulteriore di quanto la cosa ormai non sconvolgesse più nessuno. Alcuni giornali (The New York Times, e
Dopo aver letto i voluminosi rapporti sulle attività criminali di quella che, con espressione colorita, è stata chiamata la « comunità dei servizi di informazione»
(Final Report of the Select Committee to Study Governmental Operations with Respect to Intelligence Activities. United States Senate. US Governmerit Printing Of fice, Washington, 1976.), non è facile dire cosa colpisca di più, se l'arroganza di tutti quei presidenti che ne sono stati successivamente a capo, o se invece la pusillanimità dei vari Congressi che ne hanno avallato l'operato (con il silenzio o con i iìnanziamenti). Deprime, invece, più che sorprendere, dover constatare che né l'ex Presidente Ford né il Congresso sembrano aver imparato un gran che da questo triste capitolo della nostra storia. Negli ultimi venti anni, presidenti e deputati in armoniosa sintonia e - almeno in apparenza - con piena coscienza hanno tradito quella Costituzione che pure avevano giurato di rispettare. Il tradimento del presidente si può spiegare come effetto, comunque distorto, di quel processo di ampliamento delle funzioni presidenziali che vanta ormai una lunga storia; il tradimento del Congresso, di tipo omissivo più che fattivo, proprio per questa inerzia si è tradotto nel rifiuto del suo ruolo, sia storico che costituzionale: 1 la colpa, in questo caso, è dunque duplice. Non c'è dubbio che l'obbligo costituzionale di vigilare sulla scrupolosa osservanza delle leggi ricade sul presidente; ma è il Congresso che attraverso il controllo della spesa, il potere d'indagine e il potere di impeachment dovrebbe essere il vero garante della Costituzione. É un ruolo, questo, che il Congresso ha a lungo trascurato e non c'è ragione di credere che abbia ora intenzione di rimediare agli errori del passato.
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con maggior risalto The Washington Post) e alcune riviste (The New York Review of Books, The Nation, The Progressive) hanno fatto del loro meglio per richiamare l'attenzione dell'opinione pubblica sulle questioni di principio, ma senza successo: il risultato è stato che si è riusciti a interessare soprattutto chi già aveva una certa sensibilità ai problemi di ordine costituzionale, senza raggiungere chi, invece, a questi problemi era del tutto sordo. Quanto alla televisione, era in un certo Senso la sua stessa natura a spingerla
14 al servizio sul singolo fatto di cronaca piuttosto che all'interpretazione dei nodi durevoli e di fondo dell'intera vicenda: è embiematico il fatto che dei servizi televisivi sulle hearings per il caso Mc Carthy o per l'affare Watergate non sia stata disposta nessuna replica. Il rapporto Rockefeller, tra reticenze e rivelazioni, non era certo un capolavoro di chiarezza, e lo stesso atteggiamento del presidente Ford, favorevole a un più efficiente controllo sui servizi di informazione, si rivelava semplicemente una conferma dell'esistenza di intrighi e di illeciti, più che una riforma. Così, laddove era fallito il complotto ordito da Nixon per coprire il caso Watergate e l'affare dei nastri, ha avuto invece successo il complotto Ford-CIA per disorientare e far tacere la critica, ovvero per metterla sulio'stesscr piana di- certa arrendevolezza nei confronti del comunismo. Di questo successo, comunque, il merito va al Congresso, per la sua connivenza. Il rilievo che nell'ultimo quarto di secolo hanno assunto i servizi di informazione come apparato dell'esecutivo in posizione di quasi completa indipendenza, in larga misura non soggetto a condizionamenti politici o a controlli legali, pone una serie di questioni di ordine costituzionale più gravi di quante mai si siano avute' sin dall'epoca della Guerra Civile e della Ricostruzione. Le sfide investivano 'aMora la sopravvivenza e l'integrità dell'Unione: la crisi di oggi lancia una sfi:da alla Costituzione. Se quella che possiamo chiamare la teoria Nixon-Ford del •potere esecutivo e della Costituzione (precisazione, quest'ultima, forse superflua, :dal màmento che mancano prove certe che i due abbiano elaborato una teoria costituzionale vera e propria) dovesse prevalere, la Costituzione vedrebbe profondamente alterati i suoi caratteri, originarir assisteremmo ad una rivòluzione di portata pari a quélla' del 1860-1868 (ma non altrettanto positiva), compiuta senza pubblico dibattito, senza sanzione legale, ma con l'inganno e il sotterfugio, approfittando di una diffusa apatia e di molte omissioni. È proprio questo 'il problema più grave; al . confronto passano in secondo piano
tutte le altre questioni e. tutte le crisi che hanno attirato e distratto la nostra atténzione negli ultimi due anni: è in gioco, questa volta, la sopravvivenza stessa del nostro sistema costituzionale e l'autorità della legge. La nostra breve analisi prende le mosse dalla metamorfosi di due antichi concetti, strettamente legati alla vita stessa delle istituzioni politiche: il concetto di sicurezza nazionale e quello di segretezza. Poche cose sono meno inquietanti della temerarietà di cui ha dato prova l'esecutivo quando si è richiamato alla sicurezza nazionale per coprire quasi tutti i suoi progetti, fatta eccezione per la facilità con la quale tale rivendicazione è stata accolta. Del resto, l'espressione in sé è sconosciuta nella Costituzione; non si tratta quindi di un potere reale ma di un principio che occorre ancora definire. La Costituzione richiede che il presidente « vigili sulla scrupolosa osservanza delle leggi »: un monito che non autorizza certamente il presidente a porre nel nulla le leggi. Cionondimeno è stata proprio la presunzione - unilaterale, è chiaro - che il concetto fosse un assegno in bianco a fornire la giustificazione per lo sbarco alla Baia dei Porci, e per l'invasione di Santo Domingo decisa da Johnson, a reggere le fila di quel grosso imbroglio che fu l'operazione del Golfo del Tonkino (alla cui approvazione il Congresso fu indotto con l'inganno), a ispirare l'invasione della Cambogia, ad autorizzare le pesanti interferenze negli affari interni del Cile, a suscitare l'isterica 'approvazione dell'illegale operazione Mayagùez, e ad essere infine invocata come giustificazione per la sistematica turlupinatura del Congresso e del popolo americano su tutte queste imprese. Il secondo dei due concetti è altrettanto noto: segretezza e politica camminainsieme da sempre, e in Americà almeno dai tempi della Rivoluzione e de! Patto Federativo. È sòlo ai giorni noStri però che' la segretezza ha preso ad essere considerata più che un mezzo ùn fine, e a permeare di sé l'intera vita pubblica. Che certi piani debbano esserè tenuti segreti - così cme segrete vàdano
15 tenute certe riunioni di consiglieri, di esperti, di commissioni, e dello stesso gabinetto per la direzione delle operazioni di guerra e così via - è considera:zione ovvia; ma ciò è ben diverso da quella clandestinità in cui si discutono gli affari più importanti e l'alta politica. Il fatto è che la funzione prima del segreto di governo ai nostri giorni non è più quella di difendere la nazione dai nemici esterni, ma di negare al popoio americano le informazioni essenziali al funzionamento di una democrazia, al Congresso le informazioni necessarie al funzionamento del legislativo, e contemporaneamente allo stesso presidente le informazioni di cui dovrebbe poter disporre per svolgere il suo incarico. Il metodo della segretezza in tutte le situazioni tranne che in quelle di effettiva necessità è non solo contrario ma sovversivo addirittura dell'ordine democratico: da sempre è il metodo proprio di governi assoluti. La ragione per cui le indagini sulla CIA e sull'FBI si rivelano di così grande importanza non sta nella semplice scoperta e denuncia di singoli crimini, ma nell'aver messo in chiaro che proprio il principio della segretezza, se non trova una disciplina e dei limiti precisi, si pone in forte contrasto con il nostro sistema di governo e può, al limite, distruggerlo. Per buona parte degli ultimi dieci anni il presidente e la « comunità dei servizi di informazione>) si sono considerati al di sopra della legge e della Costituzione, oppure hanno fatto come se la Costituzione fòsse ciò che essi volevanò: forse - è proprio questa scarsa considerazione dei limiti posti dalla Costituzione la maggiore minaccia che sia emersa tra tutte le rivelazioni della commissione Church. Sia Johnson che Nixon hanno pensato di essere al di sopra della legge, e nel rafforzarli in questa convinzione il parere dei loro avvocati ha avuto un peso non trascurabile; non meno allarmante è però la cònstatazione che un ampio settore del Congresso non abbia trovato niente da ridire in merito a questa pretesa immunità dell'esecutivo dai limiti costituzionali. Ma non è forse proprio questa la migliore definiziorfe di dittatura?
Il . Ma passiamo ad affrontare le questioni poste implicitamente dall'invocazione da parte dell'esecutivo della «sicurezza nazionale» e della « segretezza », ed esplicitamente emerse dalle relazioni della Conimissione Rockfeller, della Commissione Church e di quella Pike, ma da queste non chiarite del tutto o comunque non risolte. Là prima rigùarda l'integrità della democrazia e del sistema di governo rapprésentativo. A rischio di cadere nell'ovvio (un rischio, purtroppo, assai remoto) si può dire che quando, come nel nostro ordinamento, il governo è fatto, o meglio emana dal popolo, quest'ultimo ha non solo il diritto ma il dovere di sapere che cosa fa il governo, se solo si voglia una democrazia viva. Il tema è stato uno dei leit-motiv all'epoca della Rivoluzione: solo dove il governo è aperto, ]a stampa libera e il senso civico diffuso, là solo l'autogoverno trova un terreno fertile. Negare ai cittadini la possibilità di sapere ciò che fa il loro governo equivale a negare loro la capacità di giudizio sulla condotta del governo, e perciò a farsi beffe del processo di crescita della democrazia. Se le recenti amministrazioni avessero rispettato questo principio elementare, forse avremmo evitato lo sbarco alla Baia dei Porci, la guerra in Laos, Vietnam e Cambogia, e il risentimento di gran parte dell'opinione pubblica mondiale per le nostre sconsiderate interferenze negli affari interni di Grecia, Portogallo, Cile e di molti altri paesi. Una seconda questione investe invece la integrità della Costituzione. Una concezione del tutto soggettiva della sicurezza nazionale e il ricorso alla segretezza, soprattutto negli affari esteri, violano non solo specifiche norme, ma la stessa ispirazione di fondo della Costituzione: niente è più fondamentale del principio per cui nelle loro rispettive e distinte sfere - cioè nell'esercizio di poteri debita mente autorizzati - l'esecutivo e il legislativo sono organi pariordinati e indipendenti l'uno dall'altro. Il principio, implicito nella Costituzione Federale, si trova esplicitamente affermato in parecchie co-
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16 stituzioni statali. Al Congresso furono specificamente attribuiti ampi poteri legislativi; fu stabilita inoltre la sua partecipazione all'esercizio di alcuni poteri di natura tipicamente esecutiva. È chiaro che per adempiere ai suoi doveri costituzionali il Congresso deve poter avere accesso a tutte le informazioni che siano rilevanti per l'attività legislativa. Rifiutare o tenere segrete le informazioni essenziali per il procedimento legislativo - come ha fatto per più di un decennio, in ampia misura, l'esecutivo - significa minare alle fondamenta la Costituzione. L'esecutivo non ha il diritto di negare ai Congresso le informazioni di cui ha bisogno per fare leggi, così come non ha il diritto di negare alla magistratura tutte quelle informazioni indispensabili per giungere a una completezza di giudizio nei processi in corso. Una terza questione riguarda la difesa di quella norma fondamentale della Costituzione per la quale il potere di spesa spetta al Congresso. I Padri Fondatori conoscevano benissimo l'annosa vicenda del conflitto tra Parlamento e Corona per assicurarsi il controllo della spesa all'epoca dei Tudor e degli Stuart, e sapevano pure che la vittoria del Parlamento aveva posto fine per sempre alla minaccia di una tirannia reale sull'Inghilterra. Quel conflitto costituì pure un capitolo della storia americana, e il controllo della spesa pubblica da parte delle assemblee legislative all'epoca delle colonie si è rivelato uno dei mezzi che hanno consentito l'indipendenza. Che il principio fosse di così vitale importanza lo prova il fatto che i Padri io scrissero sia nelle costituzioni statali che in quella nazionale. A ciò erano mossi proprio dai timore che del denaro pubblico si potesse incautamente abusare per avventure militari, così come è avvenuto ai giorni nostri. Osservava George Mason - al quale dobbiamo la stesura del primo Bili of Rights - che «spesa e guerra non devono stare nelle stesse mani », e, analogamente, James Madison considerava «assai pericoloso affidare le chiavi della Tesoreria e il comando dell'esercito alle stesse mani ». Nei suoi me
morabili Commentarjes on the Constitu-
tion, Justice Joseph Story riafferrnava questo principio fondamentale: «Nelle forme di governo fondate sul potere assoluto di una sola persona, il sovrano impone ai sudditi i tributi che ritiene opportuni, ne dispone come ritiene giusto, non se ne assume alcuna responsabilità e non può pertanto essere criticato. In una repubblica è prudente stabilire ogni tipo di limiti per fare in modo che il pubblico denaro (i soldi di tutti, in fondo) sia rivolto con onestà scrupolosa a quegli impegni legittimi che riguardano la difesa del paese e il benessere di tutti i cittadini. A guardia di questo tesoro è posto il Congresso, e perché la sua responsabilità sia veramente completa è sancito l'obbligo di pubblicare regolari resoconti delle entrate e delle uscite, così che la gente possa sapere quanto denaro è stato speso, da chi e per quali scopi ». Il tempo non ha fatto che confermare la validità di quel principio -. non, purtroppo, la sua effettiva osservanza. Tanto che Justice Robert Jackson, nella causa Youngstown-Sawyer, era costretto a ricordare al presidente che solo « il Congresso può controllare la riscossione delle entrate dello Stato e il loro impiego e determinare in che modo e con quali criteri debbano aver luogo le spese per le forniture dell'esercito e della marina... Mentre il Congresso non può privare il presidente del comando dell'esercito o della marina, è solo il Congresso, però, che può dare al presidente un esercito o una marina da comandare ». Laddove il potere del presidente di fare la guerra e le attività paramilitari della CIA si sono intrecciate, proprio là i! Congresso si è reso due volte colpevole, per la sua connivenza con l'esecutivo nel prendersi gioco di due precise norme della Costituzione, ambedue formulate all'articolo 1, paragrafo 9. Dice la prima di queste due norme che « Nessuna somma può essere prelevata dalla Tesoreria se non a seguito di stanziamenti decisi per legge ». Il presidente ha invece a lungo aggirato questa disposizione usando gli stanziamenti decisi a un certo scopo per coprire le spese dei servizi segreti e delle operazioni paramiitari, senza riferir-
17 ne al Congresso: spese chiaramente non autorizzate dal Congresso e dunque ifiegali. La seconda violazione è ancor più sfacciata. Sempre il paragrafo 9 stabilisce che « una regolare relazione con il resoconto delle entrate e delle spese del denaro pubblico deve essere pubblicata periodicamente ». Il significato preciso di termini come « regolare » e « periodicamente » può anche non essere chiaro. Certo è che la questione si rivela di se. condario interesse: delle spese della CIA, nessun « resoconto », regolare o meno, è mai stato pubblicato. La cosa grave - e non solo in questo caso - è che il Congresso abbia ignorato di proposito la norma costituzionale. Non mancano, certo, dei precedenti relativi a stanziamenti « per operazioni di carattere generale» il cui impiego possa essere deciso discrezionalmente dall'esecutivo; nel passato, però, a indicare per linee generali quali dovessero essere questi impieghi, è stato sempre il Congresso, che quindi era in grado di sapere - ed ef fettivamente sapeva - come era stato speso il denaro pubblico. Non risulta invece che ci siano precedenti che si riferiscono alla possibilità di prendersi gioco dell'obbligo di rendere pubbliche le entrate e le spese. Eppure non c'è bisogno di un grosso sforzo di fantasia per immaginare di quali poteri il Congresso possa valersi per costringere il presidente e il ministro del bilancio a conformarsi alla norma costituzionale: potrebbe intanto provvedere per proprio conto a pubblicare un bilancio, potrebbe rifiutare l'approvazione di stanziamenti, potrebbe infine ricorrere al potere di impeachment. Ciò nonostante negli ultimi venticinque anni non si è mai neppure accennato alla possibilità di un ricorso a qualcuna di queste misure da parte del Congresso. È vero, piuttosto, l'esatto contrario. Nel suo rapporto la Commissione Pike, pur stimando superiore ai dieci miliardi di dollari il totale delle spese per i servizi segreti, ha accettato senza batter ciglio, così come già aveva fatto la Commissione Church, il rifiuto opposto dalla CIA o dal Bilancio di fornire un quadro attendibile o di permettere che le
Commissioni rendessero di pubblico dominio le loro scoperte! Un quarto problema: la Costituzione attribuisce al Congresso un ruolo di un certo rilievo nel curare le relazioni con l'estero. Il potere di dichiarare guerra è specificamente assegnato al Congresso, e così pure l'esercizio di quei poteri essenziali alla direzione della guerra. A? Senato sono affidati sia il potere di esprimere il proprio parere e il proprio assenso ai trattati, che quello di approvare la nomina di ministri e ambasciatori fiduciari del presidente. Il Congresso ha lasciato che il primo di questi suoi due poteri venisse eroso anche se recenti leggi sui poteri di guerra hanno riscoperto alcuni di quei poteri che durante le amministrazioni Johnsort e Nixon erano venuti meno per il mancato esercizio. Quanto al secondo, ha grossolanamente trascurato di farne uso; si può dire anzi che abbia proprio ignorato il significato storico e le implicazioni costituzionali sottese alla richiesta dell'assenso per i trattati, permettend& all'esecutivo di sostituire ai «trattati» gli «accordi esecutivi », permettendo cioè ai presidenti di eludere l'obbligo costituzionale della ratifica e di nascondere al Congresso e al popolo la sostanza di alcuni trattati internazionali di notevole importanza. È rassicurante, però, che il senatore Eagleton abbia• presentato un progetto di legge che dovrebbe porre fine a quest'abuso. La Costituzione stabilisce, per quel che riguarda la politica estera, una duplice competenza, dell'esecutivo e del Congresso. Non c'è ragione di discutere le conclusioni di quell'insigne studioso del nostro sistema costituzionale che è Arthur Bestor, per il quale «un sistema di checks and balances è previsto esplicitamente tanto per le relazioni con l'estero quanto per gli affari interni, e ciò anche se la precisa distribuzione del potere varia poi nel dettaglio ». Difatti, mentre spetta al Congresso il potere di dichiarare e sostenere la guerra, al presidente è assegnata, nelle parole di Hamilton, «la direzione della guerra », ma solo di quella guerra
18 autorizzata o aperta> da ùna deliberazione del Congresso. Mentre le relazioni con l'estero e la di plomazia, nella dimensione specifica del « giorno per giorno », devono per forza di cose essere poste sotto il controllo del presidente, il Senato è chiamato a parte•cipare alla formulazione della politica estera e alla conclusione dei trattati. Il che è esplicito nella clausola che ne ri chiede l'< advise and consent », ed è implicito nel più generale potere di fare le leggi: non dobbiamo dimenticare che i trattati sono leggi e che come tali devono essere approvati dal Congresso nei modi stabiliti dalla Costituzione (ratifica da parte del Senato, stanziamento di fondi e altre leggi di autorizzazione da parte di entrambe le assemblee). Di questo parere erano anche i più accorti tra i padri della Costituzione. L'interessante opinione di Madison era infatti che « solo il Senato rappresenta gli Stati e per questa come per altre ovvie ragioni era giusto che nella conclusione dei trattati il presidente fosse niente più che un semplice rappresentante ». Considerazioni analoghe erano svolte anche da un avvocato di grande pregio, quell'Alexander Hamilton il quale scriveva nel numero 75 dei Federalist Papers che concludere trattati era, proprio per la sua particolare natura, un potere di competenza del Congresso più che dell'esecutivo: « per quanto a rigore di termini non sembri rientrare nella definizione né dell'uno né dell'altro organo », e per quanto sia senza dubbio il presidente « il soggetto costituzionale più adatto a rappresentare il paese nelle trattative con le altre nazioni, tuttavia la grande importanza dell'incarico e il fatto stesso che i trattati hanno valore di legge spingono fortemente per la partecipazione dell'intero corpo legislativo, o di parte di esso, allo svolgimento di questa funzione ». E aggiungeva, profeticamente, che « sarebbe stato veramente pericoloso oltre che poco giusto affidare quell'enorme potere (la conclusione di trattati) al solo Presidente, dato che la storia non giustifica .<c
un'opinione così alta. dell'umana virtù pèr cui pòssa dirsi prudente quella nazione che affidi la cura di interessi di tale delicatezza ed importanza quali quelli che riguardano le sue relazioni con il resto del mondo alla esclusiva disponibilità di una magistratura elettiva e cir costanziata come dovrebbe essere quella del Presidente degli Stati Uniti ». In un altro passo Hamilton lasciava in tendere chiaramente quale era la sua attesa per un Senato che giòcasse un ruolo effettivo nel concludere i trattati. « Il Senato - egli scriveva - farà bene a punire l'esecutivo che devii dalle istruzioni impartite dal Senato stesso ». E James Wilson, che dopo Madison è stato l'uomo di maggiori qualità alla Convenzione, affermava con vigore che « fare la guerra e concludere la pace sono funzioni che in genere chi scrive di diritto costituzionale ritiene veri e propri poteri legislativi ». III La questione del controllo della politica estera non è affatto mal posta in una discussione sul ruolo della « comunità dei servizi di informazione », dal momento che il presidente Nixon e il professor Eugene Rostow della Yale Law School, nella sua relazione alla commissione Church, hanno rivendicato all'esecutivo il diritto di condurre operazioni segrete, e addirittura operazioni paramilitari, ai daniii di paesi con i quali non ci sia uno stato di guerra dichiarato secondo la legge, facendolo rientrare nel diritto di condurre la diplomazia e le relazioni con l'estero, e nel suo dovere di garantire la sicurezza della nazione (1). È chiaro che queste operazioni, più che riguardare gli affari esteri, sono proprio esse stesse, in larga misura, gli affari esteri. Quanto ciò sia vero lo provano gli interventi in Iran per rovesciare Mossadeq nel 1953, in Guatemala per deporre Arbenz nel 1954, a Cuba alla Baia dei Porci, e a Santo Domingo nel 1965. Agli
(1) La lettera del .protessor Rostow alla commissione è pubblicata nella Yale Law Report, primavera 1976.
19 occhi della legge - e della Costituzione nessuno di questi paesi poteva dirsi nemico. È certo che se Castro avesse attaccato la Florida con truppe e aerei, oppure se Bosch avesse fatto sbarcare 20.000 uomini sul suolo americano, avremmo considerato quelle azioni come veri e propri atti di guerra, non certo come 'operazioni segrete' giustificate con il pretesto della sicurezza nazionale. Per non parlare poi delle 'operazioni segrete' in Laos che finirono con l'essere momenti della più lunga guerra di tutta la nostra storia. La difesa da parte del presidente Nixon di queste come di altre analoghe operazioni, altrettanto recenti, ha già ottenuto il rilievo storico che meritava. È stato chiesto esplicitamente a Nixon se considerasse legittime certe azioni altrimenti illegittime, quando ad autorizzarle fosse stato il presidente sulla scòrta di un giudizio, formulato dallo stesso presidente o da qualche altro alto funzionario del governo, con il quale se ne affermasse la necessità a fini di difesa della « sicurezza nazionale,> degli Stati Uniti. A questa domanda il signor Nixon ha così risposto: « io credo che per 'azioni altrimenti illegali' si debbano intendere quelle azioni che costituiscono violazioni del diritto 'penale, quando a compierle è un comune cittadino. È addirittura ovvio che certe' azioni, 'per essere inerenti all'attività' di governo, sono pienamente legittime se a compierle è la massima autorità dèllo stato nell'interesse della sicurezza nazionale; non lo sono più quando a compiene è un comune cittadino ». A sostegno di questa bizzarra teòria costituzionale il signor Nixon citava come precedenti il trasferimento dei giapponesi della costa occidentale nei « campi di collocamento >', la proclamazione da parte di Lincoln del blocco navale del Sud e una sentenza incidentale emessa da Justice White nel processo Katz sulle intercettazioni illegittime del 1969. Di queste citazioni le prime due sono dei falsi grossolani, la terza offre argomenti di ben scarso peso. L'ordine di trasferimento dei giapponesi venne dato in tempo di guerra - una guerra dichiarata dal Congresso: quale che sia il no-
stro parere in merito alla bontà di quel provvedimento, resta il fatto che la sua legalità venne sostenuta a dovere dalla Corte Suprema in due sentenze. Anche la proclamazione del blocco da parte di Lincoln giunse in tempo di guerra e anche la sua legalità fu affermata dalla Corte Suprema nel famoso processo Prize. Quanto alla sentenza Katz, che rigettò con decisione unanime la pretesa di un diritto da parte dell'esecutivo a compiere intercettazioni telefoniche illegittime, solo Justice White suggerì, in una sentenza incidentale, che una speciale dispensa consentisse, in alcuni casi, di parlare di una prerogativa presidenziale, ma la Corte respinse decisamente quest'opinione, giudicandola non rilevante nel caso in esame. Lo stesso vale per gli argomenti del legale del signor Nixon. Ma a prescindere dalla questione dei « precedenti » che possono ritrovarsi in osservazioni marginali di qualche processo, il principio della sovranità dell'esecu tivo, ovvero della supremazia dell'esecutivo sulla legge, è sconosciuto nel nostro' sistema costituzionale. Il presidente, come 'chiunque altro, trova dei limiti nella legge: la Costituzione non riconosce « prerogative presidenziali ». -
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Il professor Rostow, comunque, nella sua relazione alla Commissione Church, si è detto d'accordo con il presidente nella rivendicazione di un diritto alla direzione di operazioni segrete all'estero in assenza di un potere statutario, per il fatto' che il presidente è... il presidente, ovvero « l'unico organo della nazione nella condotta degli affari esteri », il comandante in capo delle nostre forze armate. Possiamo rigettare gli argomenti usati dal signor Nixon, che dal punto di vista costituzionale assolutamente non reggono, ma non possiamo ignorare quelli addotti da un così insigne studioso del nostro sistema costituzionale come il professor Rostow. La relazione' di Rostowoffre, inoltre, un compendio delle rivendicazioni di ordine costituzionale che sono state avanzate, e che senza dubbio ancora lo saranno, per sostenere la legittimità' delle operazioni segrete realizzate all'estero, e merita perciò un attento esame
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:20 Ciò che colpisce qui, in primo luogo, è 'che la giustificazione di un potere ampio •e ambiguo venga fatta risalire all'esistenza di un potere ancora più ampio ed ambiguo: è un circolo vizioso. Prendiamo la rivendicazione di poteri desunta dalla -speciale posizione di comandante in capo dell'esercito e della marina. La CIA non fa parte né dell'esercito né della ma:rina. Nella Costituzione non se ne parla. È una creatura del Congresso, e dal Conresso può essere disciplinata o addirittura soppressa. Neppure i poteri, del resto vaghi, che possono farsi risalire alla funzione presidenziale, potrebbero autorizzare il presidente a impegnarsi in attività contrarie al diritto internazionale come fu sicuramente nel caso della Baia dei Porci, per non fare che un esempio -, non più di quanto i poteri « sovrani » che ebbe Hitler in Germania autorizzassero quest'ultimo a invadere altri paesi o a violare il diritto internazionale. E 'questo la Corte di Norimberga lo ha messo molto bene in chiaro. 'Quanto ai. rapporti diplomatici in senso 'stretto, il presidente ha certamente il diritto di ricevere ambasciatori stranieri, ma il potere di nominare ambasciatori lo 'divide con il Senato. Se però, al di là di questo potere abbastanza specifico, ci po:niamo di fronte al problema della diplomazia in senso ampio, dobbiamo ricordare che nel nostro regime anche quest'ultimo potere è diviso con il Senato; che il Dipar'timento di Stato è stato istituito da una legge e non dalla Costituzione, e che il 'Congresso può disciplinarlo, limitano e -al limite sopprimerlo con legge ordinaria. la pretesa che il presidente derivi qual-
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che speciale potere, indipendentemente da ciò che decide il Congresso o da ciò che dice la Costituzione -, dal fatto che gJi, come dice Rostow, è « il solo organo a condurre le relazioni estere » non merita che poche parole. Questa affermazione, che per le frequenti reiterazioxìi è divenuta ormai un luogo comune, non è storicamente valida; né da un punto di vista logico esatta. È stato John Marshall - la terminologia è importante - a dire che « il presidente è il solo organo del paese nelle sue relazioni estere e il solo che lo rappresenti con gli altri paesi ». Va ricordato, però, che a dire queste cose non era il Marshall Presidente della Corte ma il Marshall deputato; che egli discuteva del potere esecutivo in polemica non tanto con il Congresso quanto con la magistratura; e che ciò cui si riferiva era un problema molto tecnico di comunicazioni, non di sostanza. Come ha messo in risalto E.S. Corwin, che in altre occasioni il professor Rostow mostra di apprezzare, « ciò che Marshall aveva in mente era, semplicemente, il ruolo del presidente come mezzo per comunicare con gli altri paesi » - il che è assai diverso da un autonomo potere di ;ngannare la Costituzione con operazioni segrete ai danni di paesi con i quali altrimenti saremmo in pace. Nella sua relazione il professor Rostow giustifica un analogo potere del presidente di varare operazioni segrete su altri terreni. Egli cita a titolo d'esempio il diritto intrinseco di autodifesa. È troppo, non c'è dubbio: dopo Pearl Harbor, non c'era proprio nessun bisogno di una dichiarazione di guerra!
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