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La politica ecclesiastica della sinistra storica in Italia daI 1943 aI 1977 di Sergio Lariccia

3 Gli anni 1943-'46

7 La politica ecclesiastica della sinistra all'Assemblea Costituente

12 Gli anni cinquanta

15 La politica ecclesiastica del PCI e del PSI negli ultimi vent'anni

26 Indicazioni bibliografiche

Mi propongo qui di tracciare un sintetico quadro della politica ecclesiastica adottata dai due maggiori partiti della sinistra italiana, e cioè dal Partito comunista e dal Partito socialista, negli anni compresi tra il 1943 e il 1977: non verranno invece presi in esame in questa sede gli orientamenti di quella che viene definita la « sinistra democratica », che si identifica nella « terza forza », rappresentata principalmente, oltre che dai liberali e dai socialdemocratici, in passato dagli uomini del Partito d'azione ed oggi dal gruppo vicino a La Malfa e al movimento repubblicano (v. L. Valiani, La sinistra democratica in Italia, 1977), né la posizione delle « nuove sinistre » (v. M. Teodori, Storia delle nuove sinistre in Europa (1956-1976), 1976) e dei «nuovi radicali » (v. M. Teodori, P. Ignazi, A. Panebianco, I nuovi radicali, 1977), che hanno svolto una funzione assai importante nel nostro paese soprattutto negli ultimi vent'anni. Il prestigio degli uomini appartenenti alla « sinistra democratica » (da Salvemini a Gobetti, da Rosselli a Calamandrei, da Pannunzio a Ernesto Rossi), certo più significativo del peso numerico di cui


2 essa ha potuto disporre nelle aule parlamentari e l'azione svolta dalle « nuove sinistre » e dal Partito radicale per modificare in profondità le strutture civili, spiegano l'importanza del ruolo assolto da tali forze politiche nellà società civile italiana: ma proprio per questa ragione un'analisi relativa alla loro azione politica richiede una trattazione specifica ed autonoma. Si afferma talora che non si può attribuire al PCI e al PSI alcuna responsabilità per le scelte di politica ecclesiastica o per gli inadempimenti di cui si ritiene responsabile la classe politica con particolare riguardo a tale importante settore della politica nazio nale giacché, considerando la brevità del periodo in cui nel dopoguerra comunisti e socialisti sono stati insieme al governo, questi due partiti non hanno potuto esercitare alcuna azione concreta né esplicare alcuna influenza sulle tendenze della politica ecclesiastica: questa affermazione non pare però esatta se si considera, innanzi tutto, che le

responsabilità in ordine alle scelte formalmente attribuite alle forze di governo possono anche essere riconosciute alle opposizioni, troppo spesso incapaci di svolgere con efficacia il loro compito, e che, inoltre, con particolare riferimento alla situazione italiana, vi è un periodo, breve dal punto di vista crònologico, ma di grande importanza per la nostra -storia nazionale, in cui i comunisti e i socialisti hanno collaborato con gli altri partiti antifascisti nell'elaborazione dei fondamentali principi del nostro ordinamento costituzionale: ed è proprio in tale periodo, come vedremo, che vennero operate le scelte politiche che hanno determinato le più significative cónseguenzé verificatèsi negli- anni seguenti. Nel particolare• settore della politica ecclesiastica, certamente vi è stato un intervento delle forze che hanno governato il paese e di quelle che hanno svolto funzioni di opposizione: si tratta però di valutare se tale intervento risponda ad una visione unitaria, ispirata a criteri coerenti ed organici.

queste istituzioni gennaio-giugno 1978

Direttore: SERGIO RI5TuCCIA - Condirettori: GIovANNI BECHELLONI (responsabile) e MAssIMO B0NANNI. Redazione: ENNIO COLASANTI, MARINA GIGANTE (Redattore capo), MARCELLO ROMEI, FItANcE5CO SIDOTI, VINCENZO SPAZIANTE.

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16-32 pagine,

i fascicolo della serie « rassegne e documenti» o della serie « interventi e inchieste » L. 700. Abbonamento ordinario: annuale L. 6.000, biennale L. 11.000. Abbonamento per enti, società, ecc.: annuale L. 10.000, biennale L. 19.000. Periodico iscritto al registro della stampa del Tribunale di Roma al n. Spedizione in abbonamento postale - IV gruppo. STAMPA: G.E.R. - Grafica Editrice Romana, Roma.

14847 (12 dicembre 1972).


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GLI ANNI 1943-'46 Negli anni della Resistenza i partiti della sinistra italiana non ritengono opportuno formulare alcuna proposta di politica ecclesiastica e questo atteggiamento di inerzia avrà conseguenze assai gravi al momento in cui verrà affrontato il problema della nuova Costituzione italiana: negli stessi anni il partito della Democrazia cristiana ed in particolare Alcide De Gasperi rivolgono una particolare attenzione al tema dei rapporti tra Stato e Chiesa e proprio a questo periodo può farsi risalire la decisione di De Gasperi di perseguire il risultato dell'intangibifità dei Patti Lateranensi stipulati nel 1929. È lo stesso De Gasperi, infatti, che tra la fine del '42 e i primi mesi del '43 formula quelle « ipotesi » che verranno poi rielaborate nei mesi successivi, stampate nel luglio 1943 e diffuse come Idee ricostruttive della Democrazia cristiana. Come è stato di recente posto in rilievo da Scoppola, le

la Chiesa, in ordine ai loro fini rispettivi »; « Intangibilità sostanziale del Trattato del Laterano. Il Concordato mantenuto nella forma attuale fino a che le alte parti contraenti non ritenessero di modificarlo concordemente »: queste le proposte formulate da De Gasperi sin dal 1942, ed è interessante constatare, come ha giustamente osservato Margiotta Broglio, che le formule proposte dallo statista trentino troveranno poi puntuale attuazione nel dettato costituzionale dell'art. 7 (F. Margiotta Broglio,

Dall'articolo 7 alla revisione del Concordato, 1977, p. 171).

Negli stessi anni l'orientamento della sinistra italiana, sul tema specifico della politica ecclesiastica, è invece caratterizzato da una posizione di attesa, di cautela, di prudenza, quasi che i dirigenti dei due partiti della sinistra siano frenati dal timore di porre in pericolo una situazione di equilibrio difficile da dominare. Significativo, per conoscere Idee ricostruttive della Democrazia cristiana, quale sia stato l'orientamento adottato in ciclostilate nella primavera del '43 e stam- proposito dai due partiti della sinistra, è il pate nel luglio dello stesso anno in decine contenuto di un documento redatto da De di migliaia di copie, per essere inviate «a Gasperi mentre si trovava a Castel Gandoltutti i popolari », « ad esponenti del mon- fo, dopo l'8 settembre 1943: si tratta del do cattolico, a circa ventimila parroci» (G. primo, in ordine cronologico, di due docuSpataro, I democratici cristiani dalla ditta- menti battuti a macchina, non firmati e senza tura alla repubblica, 1969, p. 201), costi- data, che hanno lo stesso titolo - Prometuiscono un documento il cui testo, redatto moria - e sul cui contenuto ha recentemenda De Gasperi, fu il risultato di un lungo te richiamato l'attenzione Pietro Scoppola: e paziente lavoro. Scoppola ha ricordato in esso De Gasperi affronta il problema delche nei documenti programmatici del parla presenza e dell'azione dei cattolici nella tito democristiano non vi è alcun accenno vita politica e, nel tentativo di accreditare a possibili modifiche dei Patti Lateranensi presso il Vaticano una linea democratica, fa ed ha rilevato che qui prevale con ogni pro- leva sul motivo dell'anticlericajjsmo e scribabilità l'intuizione politica di De Gasperi ve: « ... è opportuno che i cattolici si pre« dell'impossibilità di rimettere in discussentino con un programma preciso e rassicusione le posizioni conseguite dalla Chiesa rante, sostenuto da uomini che diano affidacon il Concordato senza compromettere la mento e dei quali non si debba temere che, esistenza essenziale del suo consenso alla alla prima occasione, abbandonerebbero il nascente democrazia » (P. Scoppola, La pro- campo della democrazia per sostenere un siposta politica di De Gasperi, 1977, p. 83). stema autocratico. Queste ragioni tattiche Con tempestività la Democrazia cristiana s'impongono nell'attuale contingenza, anche provvede dunque a formulare, già prima per tenere a freno l'anticlericalismo. I partidella conclusione della guerra, i principi ai ti antifascisti finora si sono dati la parola di quali il partito si atterrà negli anni seguenti. non sollevare questioni controverse riguar«Indipendenza e sovranità dello Stato e deldanti la politica religiosa e di non toccare


4 lo 'Statu quo dei Trattati Lateranensi. Non conviene illudersi che ciò possa essere garantito per sempre. Nella futura Camera le differenze ritorneranno; è però interesse dei cattolici di ritardarne lo scoppio a un termine più lontano possibile... D'altro canto sarebbe follia ignorare che alla Camera e nella stessa pratica di governo le questioni religiose potranno d'improvviso assurgere a primaria importanza ed esserci bisogno di (re)agire ad attacchi contro lo Statu quo dei rappòrti fra Stato e Chiesa, l'insegnamento religioso ecc. ecc. » (brano citato da P. Scoppola, op. cit., pp. 121-122). La convinzione di De Gasperi circa l'intenzione dei partiti della sinistra di rinviare ad un momento successivo l'apertura di ogni conffitto riguardante il tema della politica ecclesiastica risulta in effetti confermata dall'analisi di chi valuti oggi, a distanza di 'più di trent'anni, il periodo tra il 1943 ed il 1945: in questi anni nessuna parte politica assume posizioni di deciso anticlericalismo, tanto che giustamente si è osservato che «i due anni circa trascorsi tra l'abbattimento del regime fascista e la liberazione dell'alta Italia hanno rappresentato il periodo dellà maggiore distensione tra clero e cattolici politici da un lato, Estrema Sinistra dall'altro » (A. C. Jemolo, Chiesa e Stato in Italia, 1965, p. 290). In questo periodo, breve ma importante perché ogni partito pone le premesse della propria politica futura, non si assiste ad alcun atteggiamento dell'autorità governativa (centrale e periferica) contrario alle aspettative dell'autorità cattolica. Nei partiti politici, anche in quelli della sinistra, si afferma la convinzione che conviene un po' a tutti considerare la morale e la religione estranee alla polemica politica: questa convinzione risponde anche allo stato di incertezza sulla effettiva consistenza delle forze a sostegno dei singoli partiti, che induce i dirigenti politici ad una estrema prudenza e conciliazione. In tutti i partiti politici appare evidente l'intenzione di risolvere nella continuità la crisi dello Stato ed è per. questa ragione che viene sostanzialmente impedito il moto

di rinnovamento dello Stato e che, per quanto attiene alla materia dei rapporti con la Chiesa cattolica, ritenuta da molti l'unica organizzazione capace di sopravvivere al crollo del regime fascista, tutti si mostrano d'accordo nel non ritenere necessarie la denuncia degli accordi lateranensi e la stipulazione di un nuovo Concordato. Una delle ragioni per le quali, nei primi anni dopo la caduta del fascismo, non si ha in Italia un processo di ampio e profondo rinnovamento con riflessi sul problema reli gioso deve certo individuarsi nella posizione assunta in quel periodo dai dirigenti del Partito comunista italiano, favorevoli ad una politica di realistico rispetto nei confronti dell'istituzione (Chiesa cattolica) e delle organizzazioni (partito e sindacato) con funzioni di rappresentanza dei cattolici, e cioè a quell'impostazione politica che costituisce una costante della linea del comunismo in Italia. « In Italia, a Roma - scriveva già nel 1920 Antonio Gramsci su «Ordine Nuovo » - c'è il Vaticano, c'è il papa: lo stato liberale ha dovuto trovare un sistema di equilibrio con la •potenza spirituale della Chiesa. Lo Stato operaio dovrà anch'esso trovare un sistema di equilibrio ». Fin dalla nascista del loro partito i comunisti si sono impegnati nel sostenere che il cattolicesimo va valutato, crocianamente, come una componente fondamentale della cultura e della storia del nostro paese e il problema religioso ,è sempre stato al centro dell'attenzione dei, maggiori esponenti del Partito comunista in Italia. Gramsci, da politico realista attento ai rapporti fra le forze sociali e i fattori ideologici, si propose di appròfondire i vari' aspetti del fenomeno religioso passando da una posizione di iniziale anticlericalismo ad una fase successiva in cui pervenne ad una rivalutazione della funzione da riconoscere alle forze cattoliche organizzate. Riflettendo sul ruolo della Chiesa cattolica nel quadro dello sviluppo storico italiano, Gramsci criticò, talora assai severamente, la pòlitica della gerarchia ecclesiastica é nello stesso tempo acquisì la consapevolezza dell'importanza del contibuto che


5 avrebbero potuto dare le forze cattoliche, soprattutto nell'Italia meridionale, per un processo di rinnovamento politico, economico e sociale capace di modificare in profondlità le condizioni di arretratezza del nostro paese. « Gli italiani - scriveva Gramsci - sono in grande maggioranza cattolici, bisogna avere rapporti con essi, se vogliamo diventare maggioranza. Ci sono già oggi dei cattolici che chiedono di lavorare con noi. Dobbiamo farli aumentare di numero, e non respingerli ». Gli stessi concetti sostiene Togliatti sin dal giugno 1944 quando, parlando ai dirigenti comunisti napoletani, afferma: « Noi non dobbiamo né vogliamo urtarci con le masse cattoliche, con le quali dobbiamo invece trovare oggi e domani un terreno di intesa e di azione comune ». Poco dopo il suo rientro in Italia, Togliatti tenta di stabilire contatti con il Vaticano, che rimangono segreti per l'esigenza di non diffondere pubblicamente iniziative destinate a provocare critiche e polemiche da parte di coloro che nel suo partito assumevano posizioni violentemente anticlericali e anticattoliche (larga parte del Partito comunista nel dopoguerra era ancora rimasta fedele all'anticlericalismo di Amedeo Bordiga, uno dei fondatori del PCI insieme a Gramsci, e sono noti gli eccessi di anticlericalismo che, in più di un'occasione, suscitano vivaci proteste da parte cattolica). Il programma di collaborazione con il mondo cattolico enunciato da Gramsci e la formula della mano tesa ai cattolici, che troverà poi attuazione concreta in seno all'Assemblea Costituente, vengono esposti pubblicamente da Togliatti nel discorso pronunciato il - 9 luglio 1944 al teatro Brancaccio di Roma: «Siamo disposti - afferma Togliatti in tale circostanza - a discutere coi dirigenti della Democrazia cristiana le condizioni di questa unità. Siamo disposti, come Partito comunista, alleato del Partito socialista, a stringere col partito della Democrazia cristiana un patto di azione comune, il quale preveda la lotta delle grandi masse

comuniste e socialiste e delle grandi masse cattoliche per un programma comune ». L'orientamento adottato dal PCI sin dai primi anni del secondo dopoguerra si fonda sull'esigenza, sempre posta in primo piano nelle dichiarazioni dei dirigenti comunisti, di collaborare con le masse cattoliche e di difendere la pace religiosa; capisaldi della linea politica del partito sin dal 1943 sono dunque il rifiuto dell'anticlericalismo e l'accettazione del principio della unità dei cattolici nel partito della Democrazia cristiana, al quale il PCI riconosce una funzione di garanzia nella partecipazione agli ordinamenti democratici delle masse popolari cattoliche, attraverso la loro legittima ed esclusiva rappresentanza: in questa prospettiva, indicativo è l'atteggiamento assunto dai comunisti nei confronti della « sinistra cristiana ». Le pressioni vaticane per porre fine al movimento della sinistra cristiana incontrano l'acquiscenza tacita del PCI: nel dicembre 1945 il congresso della « sinistra cristiana » si conclude con l'autoscioglimento, nonostante la ferma opposizione di molti delegati; tale decisione congressuale deve valutarsi nel contesto della politica vaticana, impegnata in tale periodo a costruire l'unità dei cattolici attorno alla DC (è del 6 maggio 1945 l'articolo de « L'Osservatore romano » - A proposito della sinistra cristiana - nel quale è contenuta una chiara condanna del movimento), ma anche nel quadro della politica di Palmiro Togliatti, favorevole ad una intesa con la DC anziché con i gruppi che ruotano attorno alla «sinistra cristiana ». Al problema della politica ecclesiastica è dedicata una parte importante del rapporto di Togliatti al V Congresso del Partito comunista, svoltosi a Roma dal 29 dicembre 1945 al 5 gennaio 1946: è questo il primo congresso comunista che si svolge nell'Italia liberata ed assume una notevole importanza per la valutazione della politica del PCI, poiché esso costituisce insieme un congresso di elaborazione strategica e di scelte immediate, di indicazioni di prospettive generali e di conquiste urgenti. Togliat-


6 ti premette che « se si vuole dare in Italia solide fondamenta alla democrazia le questioni da risolvere sono essenzialmente tre: quella della monarchia, quella dei rapporti con la Chiesa e quella del contenuto economico del nostro regime democratico ». A proposito della « giusta definizione dei rapporti tra lo Stato democratico e la Chiesa », rilevato che «questi rapporti hanno nel nostro paese un rilievo particolare per tutte le condizioni del nostro sviluppo nazionale e dello sviluppo della Chiesa cattolica », Togliatti dichiara: « Poiché l'organizzazione della Chiesa continuerà ad avere il proprio centro nel nostro paese e poiché un conflitto con essa turberebbe la coscienza di molti cittadini, dobbiamo dunque regolare con attenzione la nostra posizione nei confronti della Chiesa cattolica e del problema religioso. La nostra posizione è anche a questo proposito conseguentemente democratica. Rivendichiamo e vogliamo che nella Costituzione italiana vengano sancite le libertà di coscienza, di fede, di culto, di propaganda religiosa e di organizzazione religiosa. Consideriamo queste libertà come libertà democratiche fondamentali, che devono essere restaurate e difese contro qualunque attentato da qualunque parte venga. Oltre a questo esistono però altre questioni che interessano la Chiesa e sono state regolate col patto del Laterano. Per noi la soluzione data alla questione romana è qualche cosa di definitivo, che ha chiuso e liquidato per sempre un problema. Al patto del Laterano è però indissolubilmente legato il Concordato. Questo è per noi uno strumento di carattere internazionale, oltre che nazionale, e comprendiamo benissimo che non potrebbe essere riveduto se non per intesa bilaterale, salvo violazioni che portino l'una o l'altra a denunciano. Questa nostra posizione è chiara e netta. Essa toglie ogni possibilità di equivoco e impedisce che fondandosi sopra un equivoco si possano avvelenare o intorbidare i rapporti fra le forze più avanzate della democrazia, che seguono il nostro partito e la Chiesa cattolica ». Togliatti conclude poi la sua esposizione su

questo punto criticando e denunciando « ogni intervento di autorità ecclesiastiche che esasperi e avveleni i termini della lotta politica con una propaganda tipo 'diavolo rosso' o cose di questo genere ». «Non siamo mai stati anticlericali nel senso deteriore di questa parola - afferma Togliatti -, ma non ammettiamo che la Chiesa possa diventare un'agenzia elettorale per una lotta politica tra partiti democratici. Non ammettiamo che si esercitino illecite pressioni, arrivando fino all'intervento nella vita religiosa di membri del nostro partito, allo scopo di distrarli dalla professione delle idee politiche a cui essi sono legati. Non vogliamo che la lotta politica assuma il carattere di lotta di religione... ». Luigi Longo, intervenendo al congresso sui problema del rapporto con i cattolici, dopo essersi domandato se « la fede e la disciplina religiosa delle masse democnistiane» possano « costituire degli ostacoli insormontabili alla più stretta collaborazione tra comunisti, socialisti, democristiani e cattolici », afferma: « Noi non lo crediamo. L'esperienza del passato e quella presente ci confermano nel nostro avviso... Già delle nostre organizzazioni di partito hanno dichiarato, ed io propongo che il Congresso prenda a suo conto queste dichiarazioni e le faccia proprie: primo, che il Partito comunista non è un partito ateo, perché esso accetta nelle sue file fedeli di qualunque religione; secondo, che l'adesione al Partito comunista non implica l'accettazione delle dottrine filosofiche del materialismo; terzo, che l'anti-clericalismo è sempre stato condannato ed è condannato tuttora dal Partito comunista ». Anche per il Partito socialista italiano, nei mesi che precedono il referendum istituzionale e le elezioni per la costituente del 2 giugno 1946, si pone il problema dei rapporti tra Stato e Chiesa cattolica, in un periodo in cui con insistenza e nelle sedi più varie si sottolinea l'esigenza di non porre in pericolo la pace religiosa. Dall'il al 17 aprile 1946 si svolge a Firenze il XXIV Congresso del PSI e Pietro Nenni tenta di


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attenuare la polemica sul Concordato confermando, d'altra parte, il proposito del suo partito di contribuire alla creazione di una repubblica fondata su un'autentica laicità: «Nessuno di noi - dichiara Nenni pensa di rimettere in discussione il Trattato del Laterano né di promuovere una denuncia unilaterale del Concordato. Ma questa è una ragione di più per riaffermare il carattere laico dello Stato democratico, equidistante dallo Stato etico dei nazionalisti e dallo Stato confessionale dei cattolici, garante della libertà del pensiero, promotore della scienza, educatore della gioventù, al di fuori, se non al di sopra di ogni preoccupazione religiosa »; la mozione approvata a conclusione del congresso precisa che il PSI considera definitivamente chiusa la questione romana, auspica che, di concerto con la Chiesa, vengano apportate «alcune modifiche » ad «alcuni punti » del Concordato ed afferma l'inammissibilità di limitazioni ai diritti dei cittadini determinate da ragioni religiose, pur riconoscendo che la grande maggioranza degli italiani appartiene alla religione cattolica. Nel XXV Congresso del PSI (gennaio 1947), nella relazione di Nenni vi è un invito alla Chiesa a desistere dall'intervenire ripetutamente nella vita politica italiana, e tale invito provoca una vivace reazione de « L'Osservatore romano » (12 gennaio 1947): soltanto la mozione di «concentrazione socialista » accenna tuttavia alla necessità di difendere la laicità delle istituzioni scolastiche « contro la minaccia clericale che incombe sulla formulazione della Costituzione e su tutta la vita nazionale ».

LA POLITICA ECCLESIASTICA DELLA SINISTRA ALL'ASSEMBLEA COSTITUENTE o

All'Assemblea Costituente, sul problema della definizione dei rapporti tra Stato e Chiesa cattolica, inizialmente il PCI si orienta a favore del riconoscimento nella Costituzione della natura di ordinamento sovrano dell'ordinamento canonico e propone, circa

le relazioni tra le due istituzioni dello Stato e della Chiesa, la formula: i loro rapporti sono regolati « in termini concordatari ». Il socialista. Lelio Basso, nel suo intervento del 18 dicembre 1946 nella prima sottocommissione della commissione dei 75, confermando le posizioni già assunte dal Partito socialista nel XXIV Congresso, ribadisce che da parte socialista non vi è alcuna volontà di turbare la pace religiosa ma che, proprio affinché quest'ultima venga preservata, è opportuno che il Concordato venga approvato da un governo di legittima espressione della volontà popolare; è necessario in ogni caso - egli osserva - modificare le statuizioni concordatarie in contrasto con la coscienza giuridica e civile dei socialisti: quindi netta opposizione nei confronti della prospettata ipotesi dell'inserimento del Trattato e del Concordato nella nuova Costituzione. Nella prima sottocommissione i comunisti e i socialisti si trovano così d'accordo nel respingere l'esplicito richiamo dei Patti Lateranensi nella Costituzione: votano infatti contro tale richiamo i comunisti, Togliatti, Jotti e Marchesi, i socialisti Basso e Amadei, il repubblicano De Vita e il democratico del lavoro Cevalotto, mentre votano a favore i democristiani Dossetti, La Pira, Caristia, Corsanego, Umberto Merlin, Moro e Tupini, il liberale Lucifero, Grassi dell'Unione democratica nazionale e Mastrojanni dell'Uomo Qualunque. Nei mesi che precedono la discussione in assemblea plenaria del problema dei rapporti tra Stato e Chiesa cattolica e l'approvazione definitiva dell'attuale art. 7 della Costituzione (I rapporti tra Stato e Chiesa « sono regolati dai Patti lateranensi »), i socialisti tentano di sollecitare una iniziativa tendente a modificare la disciplina dei rapporti tra Stato e Chiesa cattolica: in un articolo sull'« Avanti! » del 22 dicembre 1946 Basso ricorda che la sinistra ha approvato i principi della indipendenza e sovranità della Chiesa e della disciplina pattizia delle reciproce relazioni, ma che essa non può consentire l'integrale inserimento dei Patti Lateranensi nella Carta costituzionale,


8 per il contrasto sussistente tra alcune disposizioni pattizie ed i principi della Costituzione; i socialisti non intendono denunciare i Patti e riaprire la questione romana: «Nulla di tutto questo... Noi crediamo che questi accordi possano e debbano, di comune accordo tra la Repubblica democratica italiana e la Chiesa cattolica, essere riveduti e aggiornati ». Togliatti, tuttavia, in occasione del discorso del 19 febbraio 1947 sulla fiducia al terzo gabinetto De Gasperi, lamenta che il governo non assuma alcuna iniziativa in proposito, ma limita, in modo sconcertante, i limiti della eventuale revisione: « Non parlo adesso dei dettagli che possono essere discussi, trattati, corretti, ma essenzialmente di cambiare la firma apposta sotto quei patti, di ottenere che al posto di quella che è per noi italiani qualcosa d'infamante, la firma del fascismo, ci sia invece la firma della Repubblica... della nuova democrazia italiana... ». La discussione in aula sul problema dei rapporti tra Stato e Chiesa comincia il 4 marzo 1947 e via via che ci si avvicina al giorno del voto anche una parte dei democristiani appare perplessa sull'opportunità di provocare, su tale importante problema, una spaccatura nel governo e nel paese. Le pressioni del Vaticano e delle organizzazioni ecdesiastiche, che aumentano con l'avvicinarsi alla data fissata per la votazione definitiva, consentono tuttavia alla DC un limitato margine di manovra, come risulta chiaramente dal contenuto di una lettera inviata il 5 marzo a De Gasperi dal presidente dell'Azione cattolica, Vittorino Veronese: «È stato in primo luogo e in modo categorico affermato - si legge nella lettera - che non si potrebbe ammettere una qualsiasi modificazione dell'atteggiamento del gruppo parlamentare democristiano, volto ad accettare emendamenti dell'articolo 5 (che poi divenne art. 7) del progetto costituzionale circa i rapporti tra Stato e Chiesa. Anche se lo schieramento verificatosi nell'assemblea faccia correre il rischio che vengano proposti e approvati emendamenti

contro il voto dei democristiani, dei qualunquisti e di pochi altri, l'attuale formulazione rappresenta l'unica, minima espressione dell'indubbia volontà della maggioranza cattolica del paese che il 2 giugno ha concentrato i suoi voti sulla Democrazia cristiana, né si saprebbe prevedere le reazioni di tale massa elettorale, qualora i democristiani dimostrassero perplessità, anche solo di forma, su un problema fondamentale, che oltre tutto è anche indubbiamente di diretta competenza dell'autorità ecclesiastica. È pure stato fatto presente che la comunicazione fatta si sa rispondere al desiderio preciso della stessa autorità ecclesiastica, mentre si è annunciato che non mancherà da parte dell'Azione cattolica un monito a tutti i deputati, a qualunque partito appartengano e che facciano professione di cattolicesimo, perché ricordino lo stretto dovere di coscienza di votare secondo i principi cattolici. Dipenderà da tale votazione la preferenza dei cattolici stessi nelle future elezioni politiche... L'onorevole Piccioni, accogliendo con piena comprensione quanto comunicatogli, ha assicurato, circa la votazione dell'articolo 5, che il partito intende rimanere compatto e disciplinato sulla posizione assunta » (la lettera è raccolta tra i documenti Bartolotta, p. 9815, ed è citata

da A. Gambino, Storia del dopoguerra, 1975, pp. 305-306). Al margine della lettera De Gasperi annota: « Segreto Confidenziale. Ho fatto capire che se queste cose le hanno da dire, le devono dire direttamente, e che non accettavo intimidazioni di questo stile, benché contro la sostanza non abbia obbiezioni ». Il contenuto della lettera sopra riportata è importante, anche al fine di valutare l'orientamento che nei giorni seguenti assumerà il Partito comunista sul problema dei rapporti tra Stato e Chiesa, perché esso consente di comprendere che un cedimento dei dirigenti democristiani sul problema dell'articolo 7 avrebbe potuto effettivamente comportare la rottura del rapporto fiduciario fra Chiesa e DC ed anche la nascita di un secondo partito cattolico: in proposito sono significativi,


nella lettera, l'accenno all'opinione del Vaticano (cioè del papa) e la circostanza che Veronese si rivolga prima a Piccioni e poi a De Gasperi, provocando la vivace reazione di quest'ultimo per tale procedura, per fare comprendere probabilmente al leader della DC che le organizzazioni cattoliche avrebbero potuto ottenere quanto si proponevano, agendo direttamente all'interno del partito. All'intransigenza del partito democristiano si contrappone però, in un primo momento, la ferma opposizione dello schieramento degli altri partiti: oltre agli azionisti e agli altri esponenti laici, anche i socialisti ed i comunisti intervengono attivamente al dibattito. I socialisti ribadiscono, nell'intervento di Nenrii del 10 marzo, la posizione contraria all'inserimento dei Patti Lateranensi nella Costituzione e chiariscono che la pace religiosa in Italia non è nata con gli accordi del 1929 ma esisteva già fin dai primi anni del secolo; essi tuttavia cercano di svalutare l'importanza della questione dei rapporti tra Stato e Chiesa, considerandola assai lontana da quelle « che tengono acceso e vigile l'animo dei lavoratori » (intervento di Mancini del 17 marzo); e lo stesso Pietro Nenni, pur dichiarando che la formula proposta dai democristiani al fine di ottenere l'intangibilità dei Patti Lateranensi viola lo spirito laico che ha animato la lotta di Liberazione, pronuncia la famosa frase: « La più piccola delle riforme agrarie mi interessa, e ci interessa, più della revisione del Concordato, anche se questa ci apparisse utile ». Il 14 marzo Concetto Marchesi, parlando per i comunisti, sostiene la tesi che l'inserimento nella Costituzione dei Patti Lateranensi costituirebbe un atto di sfiducia verso la stessa Democrazia cristiana; il 20 marzo Giancarlo Pajetta rifiuta l'ipotesi dell'inserimento dei Patti nella Costituzione, ma si tratta dell'ultima manifestazione ufficiale della posizione contraria dei comunisti rispetto al testo proposto dai democristiani, perché cinque giorni dopo il PCI voterà, insieme alla DC e alle destre, a favore dell'art. 7. Cos'era avvenuto in questo breve interval-

lo di tempo? I ripetuti interventi de « L'Osservatore romano » (di particolare rilievo gli articoli del 15 e del 22 marzo: Premesse inderogabili e Storia e logica), ricordati con insistenza da Togliatti nel suo discorso in assemblea, hanno l'effetto di convincere i comunisti e soprattutto il loro leader che sia necessario modificare l'orientamento espresso in seno alla sottocommissione e che la politica della mano tesa ai cattolici e l'esigenza di mantenere la pace religiosa in Italia richiedano un voto esplicito a favore del richiamo dei Patti Lateranensi nella Carta costituzionale. Questo improvviso mutamento di rotta, maturato nel corso di una drammatica riunione svoltasi poche ore prima della seduta conclusiva sull'art. 7, fissata per le ore 16 del 25 marzo 1947, provoca reazioni anche tra gli stessi comunisti. A Togliatti non riesce facile giustificare, di fronte al gruppo parlamentare convocato appositamente, il mutamento di indirizzo che il partito ritiene di imporre ai membri dell'Assemblea Costituente, dopo la posizione polemica assunta sia in commissione che in aula in merito alla pretesa democristiana di richiamare i Patti Lateranensi nella Costituzione: dalla ricostruzione recentemente svolta da Gambino sul fondamento di alcune dirette testimonianze di coloro che parteciparono a quella riunione (A. Gambino, Storia del dopoguerra cit., p. 307 ss.) risulta che, nonostante l'autorità di Togliatti ed un efficace intervento del segretario generale Negarville - Negarville pose in rilievo la necessità di evitare che si giungesse ad una guerra di religione, la presenza nelle file del PCI di almeno un 80% di cattolici, il carattere « piccolo-borghese » delle preoccupazioni « laicistiche », irrilevanti se giudicate sulla base dei veri interessi di classe -, alla fine della riunione del gruppo parlamentare comunista Fabrizio Maffi, Concetto Marchesi e Teresa Noce rimasero fermi sulle proprie posizioni (al momento del voto sull'art. 7 Concetto Marchesi, che aveva chiesto di non partecipare alla votazione, si alzerà dal suo seggio ed abbandonerà ostentatamente l'aula di Montecitorio, alcuni comu-


10 nisti, come Velio Spano e Giorgio Amendola, non saranno presenti alla seduta, ma Amendola ha di recente escluso che la sua assenza fosse imputabile ad un dissenso dalla linea del partito, Teresa Noce sarà la sola comunista a votare contro l'art. 7). La conclusione è che un'ora prima del dibattito a Montecitorio, Togliatti informa Andreotti del nuovo atteggiamento comunista e lo prega di comunicano anche a De Gasperi. Inutilmente il socialista Lelio Basso ripropone in Assemblea, come emendamento, il testo che era stato respinto dalla sottocommissione, nella parte in cui stabiliva che i rapporti tra Stato e Chiesa andassero disciplinati «in termini concordatari »: anche questa volta la proposta viene respinta (De Gaspeni, nel suo intervento del 25 marzo, dichiara: «L'emendamento Basso sarebbe stato accettabile se non fosse intervenuta durante il dibattito un'aspra critica del contenuto dei Patti, cosicché oggi il non affermarli esplicitamente equivarrebbe a metterli in dubbio»). Nenni, nel suo intervento svolto prima della votazione, si propone soprattutto di difendere i socialisti dall'accusa di voler turbare la pace religiosa, dichiarando: « Siamo profondamente convinti che la pace religiosa è un bene altamente apprezzabile, ma per noi la garanzia della pace religiosa è nello Stato laico, nella separazione delle responsabilità e dei poteri per cui lo Stato esercita la sua funzione sovrana nel campo che gli è proprio e garantisce alla Chiesa la sovranità della sua funzione nel campo che le è proprio. Fuori cli questo principio c'è la lotta, la lotta che noi non cerchiamo anche se convinti che, nell'intransigenza di cui ha dato prova la Democrazia cristiana nel corso di questa discussione, vi è un invito esplicito alla lotta ». « La storia - aggiunge tuttavia Nenni - se deve passare, passa anche al di sopra delle disposizioni scritte in una Carta costituzionale » ed è un errore non rendersi conto che per consolidare la Repubblica «bisogna fondare lo Stato e lo Stato non si fonda sul principio di una diarchia di poteri e di sovranità »: i democristiani, umiliando

lo Stato, umiiano la Repubblica e la Nazione. È difficile riassumere in pochi cenni le ragioni che hanno indotto Togliatti a portare il partito ad un voto favorevole all'art. 7, secondo comma, Cost.. La preoccupazione cli non creare ostacoli che potessero giustificare la decisione della Democrazia cristiana di interrompere la collaborazione di governo iniziata nel gennaio precedente può avere esercitato un'influenza sull'operato di Togliatti se è vero che, secondo quanto ha ricordato Lelio Basso, subito dopo la votazione sull'art. 7, il leader comunista gli dichiarò che con tale voto il PCI si era « assicurato il posto al governo per i prossimi venti anni »: è comprensibile che, di fronte alle vio]ente polemiche suscitate nella sinistra italiana dall'orientamento assunto dal PCI sull'art. 7, Togliatti abbia ritenuto òpportuno ricorrere alla più semplice, anche se più machiavellica, delle giustificazioni, ma deve pensarsi che le ragioni che determinarono la scelta comunista siano state diverse e più complesse. «Proprio perché molti di noi intuivano che la collaborazione di governo stava per finire e che ci attendeva un lungo periodo di dura opposizione - ha dichiarato di recente Giorgio Amendola - ritenevamo essenziale sgombrare il terreno da ogni problema che avrebbe potuto portare lo scontro dal piano politico a quello religioso, impedendo quel tanto di dialogo che invece, nonostante tutto, anche negli anni successivi si riuscì a conservare » (v. A. Gambino, Storia del dopoguerra cit., p. 311). Per spiegare l'atteggiamento assunto dal Partito comunista all'Assemblea Costituente si è anche osservato che « il riconoscimento dato all'interlocutore cattolico (quella scelta che restò sempre in qualche modo incompresa e contestata dall'area socialista), non fu solo garanzia data ad una forza come la Chiesa (articolo 7), ma più ancora una scelta democratica che dava spazio all'intervento organizzato di nuovi ceti non proletari, un'opzione circa la messa in movimento e anche la rappresentanza di ceti, che erano


11 stati oppressi o emarginati nello Stato liberale e nei riguardi dei quali la sinistra operaia aveva canali assai ridotti di comunicazione » (P. Ingrao, Masse e potere, 1977, p. 67): una tale strategia - ha rilevato Ingrao - esigeva che la classe operaia assumesse sino in fondo il terreno della democrazia politica: in tale prospettiva dovrebbe valutarsi l'insistenza di Togliatti sui ruolo dei grandi partiti di massa e sul partito nuovo della classe operaia, come organizzazione che non si chiude nei suoi confini di parte e di classe, ma tende a determinare le forme storiche concrete in cui si può esprimere la scesa in campo organizzata delle masse popolari. Non vi è dubbio che oltre al motivo espressamente addotto da Togliatti nel suo discorso del 25 marzo (il desiderio di evitare all'Italia un'aspra tensione religiosa: « t vero - disse Togliatti a Montecitorio - che per fare la guerra bisogna essere in due ... ; ma per dichiararla, la guerra, basta uno soio. Di questo bisogna tener conto ») e più ancora della speranza di porre le premesse per continuare il dialogo con i cattolici, dentro e fuori della DC, alla base della decisione di non affrontare la questione religiosa e di cristallizzare la situazione con la conferma della disciplina giuridica elaborata con gli accordi del '29, vi era la necessità, per tutte le forze politiche, e quindi anche per il PCI, di pagare il prezzo necessario per guadagnare l'adesione della Chiesa al nascente Stato repubblicano. Nel discorso che, a favore dell'approvazione dell'art. 7, De Gasperi aveva pronunciato, prima che parlasse Togliatti, dal proprio posto di deputato DC, dopo avere abbandonato il banco del governo, era contenuta la seguente frase, sulla quale poi Togliatti richiamerà l'attenzione dell'Assemblea: «Oggi - aveva detto De Gasperi nella Costituzione, secondo il Concordato, i vescovi vengono chiamati a giurare, e giurano, con questa formula: 'Davanti a Dio e sui Santi Vangeli, io giuro e prometto di rispettare e di far rispettare dal mio clero il capo della repubblica italiana ed il governo costituito, secondo la legge costituziona-

le dello Stato'. Amici, noi non siamo in Italia così solidificati, così cristaffizzati nella forma del regime, da poter rinunciare con troppa generosità a simili impegni, così solennemente presi. Alla lealtà della Chiesa io credo che la Repubblica debba rispondere con la lealtà ». Poco dopo Togliatti, rilevando che nel discorso dei leader DC vi era stato «un unico accenno alla necessità di consolidare il regime repubblicano », aveva osservato: «Onorevole De Gasperi, questo accenno l'abbiamo compreso, lo avevamo anzi già compreso prima ». Questa frase, nella raccolta dei discorsi di Togliatti alla Costituente (Roma, 1958) viene commentata con una nota che la riferisce alla minaccia di De Gasperi di far svolgere un nuovo referendum; più esatta sembra però l'opinione sostenuta da Gambino, che, da un esame accurato dei testi, deduce come sia stato soprattutto il desiderio di assicurare l'avallo del Vaticano a quella Costituzione democratica, destinata a rappresentare la migliore garanzia del PCI contro i prevedibili tentativi di estrometterlo dal quadro politico legale, a spingere Togliatti a votare, accanto a De Gasperi e ai suoi, i'art. 7. Togliatti ritiene necessario creare una situazione che, di fatto, vincoli le massime gerarchie ecclesiastiche allo stato repubblicano: con una valutazione che trova consenziente anche De Gasperi, gli pare che questa situazione possa essere rappresentata dall'approvazione dell'art. 7, considerando che, dopo tale approvazione, un eventuale crollo della Costituzione può comportare, per la Chiesa, la rimessa in discussione della questione dei Patti Lateranensi. Quel che appare certo è che, per spiegare le motivazioni che inducono il PCI a votare in concordanza con il partito dei cattolici e con le destre su1 problema dei rapporti tra Stato e Chiesa e ad assumere una decisione contrastante con quella presa dai partiti laici, non può tanto parlarsi dell'esigenza di non porre in pericolo la pace religiosa in Italia, quanto di un problema di stabilità politica. Ed infatti, nell'Italia del dopoguerra, non vi erano indizi che facessero ritenere


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probabile il ritorno ad un periodo di acceso anticlericalismo se è vero che, come si è visto, già ad un periodo precedente l'inizio dei lavori dell'Assemblea Costituente può farsi risalire la decisione dei partiti della sinistra (con l'eccezione del Partito d'azione) di non sollevare questioni riguardanti la politica religiosa e di non toccare lo statu quo dei Patti Lateranensi. Un'altra questione di politica ecclesiastica discussa con toni assai polemici all'Assemblea Costituente fu quella riguardante il problema delle scuole private, che come è noto sono in Italia per la maggior parte rappresentate dalle scuole confessionali. « Se la libertè della scuola di . parte potesse avere il suo pieno sviluppo, porterebbe inevitabilmente alla distruzione della scuola libera, porterebbe all'urto delle diverse concezioni, porterebbe alla fine di ogni formazione veramente libera e democratica », osservò Walter Binni per il PSI, aggiungendo che il suo partito avrebbe rifiutato ogni forma, diretta o indiretta, di sussidio alle scuole private. Tristano Codignola distinse tra religione come patrimonio inalienabile dello spirito umano e conformismo catechistico « che è educazione all'insincerità, all'accettazione acritica », e dichiarò che l'eccessiva influenza clericale nell'istruzione avrebbe potuto portare, per reazione, all'istruzione partiticamente lottizzata, il che avrebbe voluto dire la distruzione della scuola e specialmente della coscienza civile. Concetto Marchesi, relatore ufficiale per le sinistre, sottopose ad una approfondita critica il testo proposto dai democristiani (« Lo Stato provvede all'istruzione con scuole proprie e degli atti autonomi. Lo Stato concederà sussidi alle scuole private in ragione del numero dei frequentanti e del rendimento didattico accertato negli esami di Stato »), rilevando che « la Chiesa, istituzione divina, è convinta di possedere la verità e consente la sola libertà di propagandare il vero e non l'errore: un principio ben lontaìio da quello che regge la scuola di Stato, che non possiede nessuna verità e che si sforza solo di garantire a tutti, insegnanti e alùnni, un

eguale valore di pensiero ». L'accordo sulla libertà della scuola privata fu poi trovato con la norma ora contenuta nell'art. 33, terzo comma (« Enti e privati hanno diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato »), la cui formula « senza oneri per lo Stato » è stata poi in varie forme e in diversi modi resa vana ed aggirata.

GLI ANNI CINQUANTA

La posizione assunta dal PCI all'Assemblea Costituente sul problema dei rapporti tra Stato e Chiesa provoca la vivace protesta dei partiti laici, soprattutto del Partito socialista, ed è subito evidente che, nonostante il patto d'azione concluso tra socialisti e comunisti il 26 ottobre 1946 non prevedesse nulla circa la questione delle relazioni con la Chiesa cattolica, il voto comunista sull'art. 7 introduce un elemento di polemica, talora assai aspra, che può dirsi non sia mai venuto meno nel trentennio successivo. L'« Avanti! » del 27 marzo 1947 afferma che « non è subendo i ricatti clericali che noi rafforzeremo l'unità dei lavoratori, ma denunciandoli »; Riccardo Lombardi, scrivendo sull'« Italia libera» del 28 marzo, dichiara che il PCI, votando sull'articolo 7 in modo diverso dai socialisti per seguire un autonomo disegno, ^ aveva diviso la sinistra in una battaglia essenziale per la Repubblica; Pietro Nenni, in un articolo pubblicato sull'« Avanti! » del 30 marzo La Repubblica vale più di una messa -, dopo avere richiamato l'accenno fatto da De Gasperi ai pericoli che poteva •correre la Repubblica ove l'articolo 7 fosse stato respinto, osserva: « Vero è che De Gasperi dalla minaccia è subito nassto all'allettamento. La Repubblica vaI bene una messa, è sembrato fosse il fondo deF suo pensiero. Togliatti, che •quando ci si mette sa essere cinico, ha accettato il giuoco. Non noi, ingenui fino a credere che la Repubblica vale più di una messa ». Ma quali sono le conseguenze derivanti dalla decisione di riqualfficare la portata storica


r 13 dei Patti e di confermare, nell'Italia repubblicana e democratica, la validità di un accordo di vertice che, come pochi altri atti giuridici emanati nel ventennio fascista, è idoneo a richiamare alla memoria i legami tra il regime di Mussolini e la gerarchia ecclesiastica? Con l'art. 7 della Costituzione, e soprattutto con l'interpretazione che ne danno una parte della dottrina e della giurisprudenza, si instaura in Italia un regime concordatario confessionista contrastante con la eguaglianza nel trattamento giuridico dei diversi culti esistenti nello Stato e con la libertà delle confessioni religiose. Come è noto, il voto a favore dell'art. 7 non impedisce che De Gasperi, anche per la situazione internazionale determinatasi dopo la fine della guerra, ponga fine, nel maggio 1947, nella fase cruciale dei lavori della Costituente e a distanza di appena due mesi dalla votazione sulla norma in tema di rapporti tra Stato e Chiesa, alla coalizione tripartita che aveva avuto inizio nel gennaio precedente. Per molti anni, dopo il 1947, i partiti della sinistra storica mostrano di volere quasi ignorare i problemi della politica ecclesiastica del nostro paese. Il XXVI Congresso del PSI (19-22 gennaio 1948), dopo che già da alcuni mesi era iniziata la persecuzione ai danni delle minoranze religiose italiane ed aveva avuto inizio il tentativo di far soggiacere le pubbliche istituzioni alle influenze confessionali, si limita ad auspicare un governo che garantisca le libertà democratiche, la laicità dello Stato, la difesa della scuola da ogni sopraffazione di parte. Motivi di particolare preoccupazione per l'esercizio della libertà religiosa in Italia provengono dalla situazione venutasi a determinare con la maggioranza parlamentare scaturita dal voto popolare del 18 aprile 1948, che costituisce l'inizio di un periodo, protrattosi per tutto il corso della prima legislatura e cioè fino al 9 giugno 1953, caratterizzato dall'esercizio del potere in contrasto con le istanze di libertà in materia religiosa: il 18 aprile 1948 il Partito della Democrazia 1.

cristiana conquista, col 48,5% dei voti (305 deputati su 574 e 131 senatori su 237) una posizione di preminenza nella « costituzione materiale » del paese. I partiti della sinistra continuano a denunciare all'opinione pubblica l'invadenza clericale e il soffocamento della libera cultura (XXVII Congresso del PSI: 27 giugno-i° luglio 1948), la « clericalizzazione della scuola e dell'amministrazione » (XXVIII Congresso del PSI: 11-16 maggio 1949), «l'invadenza e l'intolleranza clericale, le violazioni più stridenti della Costituzione, la politica di violenza e di ricatto » (VII Congresso del PCI: 3-8 aprile 1951), ma tali proteste sono sporadiche e del tutto inefficaci se è vero che il ministero degli interni e le autorità periferiche continuano a ricorrere alle più iffiberali interpretazioni delle disposizioni emanate durante il ventennio fascista per intralciare ed impedire l'attività delle minoranze religiose italiane, deludendo le aspettative espresse dai rispettivi rappresen-

tanti (S. Lariccia, La libertà religiosa nella società italiana, 1975, p. 333 ss.); e, per quanto riguarda il problema dell'istruzione privata, la battaglia per il finanziamento statale alla scuola privata (confessionale e non confessionale), con particolare riferimento a quella secondaria, si sviluppa in Parlamento e fuori delle aule parlamentari tra le più vivaci polemiche, mentre si moltiplicano le concessioni agli istituti religiosi (L. Ambrosoli, L'istruzione privata italiana tra anarchia e speculazione): il 7 luglio 1948, intanto, la Camera dei deputati respinge la proposta avanzata dal comunista Concetto Marchesi di nominare una commissione di inchiesta sulle scuole legalmente riconosciute. Il 1° luglio 1949, nel periodo della guerra fredda e dello scontro fra i due mondi, la Chiesa cattolica lancia la scomunica che colpisce i comunisti (G. Alberigo, La condanna dei comunisti del 1949) e, secondo l'interpretazione de « L'Osservatore romano » e « La Civiltà cattolica », anche i socialisti. Pochi mesi più tardi, nel novembre 1949, i socialisti promuovono un convegno sul laicismo e Nenni, dopo avere osservato che la :'


14 scomunica pontificia viola il Concordato giacché non può ammettersi che sussistano insieme una guerra ideologica della Chiesa « contro una gran parte dei cittadini e nello stesso tempo Concordato tra Stato e Chiesa », si domanda se non sia giunto il momento di chiedere la revisione del Concordato se non, addirittura, di proporre la denuncia unilaterale del Concordato stesso (« Avanti! », 27 novembre 1949). È interessante ricordare che il solo cenno fatto da Nenni (il Convegno non assumerà poi alcuna delibera in merito alla questione) è sufficiente perché Togliatti ritenga opportuno prendere subito le distanze, giudicando negativamente, nel corso di un intervento al comitato centrale del PCI, la prospettiva revisionista avanzata da Nenni e la politica di laicismo auspicata dai socialisti (« L'Unità », 15 dicembre 1949); e quando Nenni, il 9 febbraio 1950, intervenendo nel dibattito sulla fiducia al sesto gabinetto De Gasperi, chiede formalmente la modifica degli articoli 5, 34 e 36 del Concordato, gli oratori comunisti si astengono dall'assumere qualunque posizione in proposito e, come nota Margiotta Broglio, il loro silenzio, è « più eloquente di qualsiasi intervento» (F. Margiotta Broglio, Dall'articolo 7 alla revisione del Concordato cit., p. 179). Negli anni seguenti, ben presto svanita ogni prospettiva di revisione dei Patti Lateranensi, in contrasto con quanto era stato dichiarato anche da esponenti del partito democristiano in seno all'Assemblea Costituente, viene sempre più accentuandosi il processo di clericalizzazione della vita pubblica italiana: con il passare del tempo assume sempre più scarsa risonanza negli ambienti politici e nell'opinione pubblica il problema della revisione del sistema concordatario e sempre più di rado viene sostenuta l'esigenza di garantire alla Chiesa cattolica, come alle altre Chiese operanti nello Stato, non tanto i privilegi quanto le libertà. Nelle riunioni ufficiali del PCI si continua intanto a proclamare la volontà di perseguire la politica del dialogo tra masse comuniste e masse cattoliche: particolarmente

significativo l'appello con il quale Togliatti il 12 aprile 1954, nel rapporto al Comitato centrale del partito, auspica un accordo tra comunisti e cattolici per un ampio movimento che salvi la civiltà umana dall'ecatombe atomica: « Noi non chiediamo al mondo cattolico di cessare di essere il mondo cattolico. Noi avanziamo quella dottrina che è stata giustamente presentata come dottrina della possibilità di convivenza e di pacifico sviluppo, e indichiamo quali sono le conseguenze che devono essere ricavate oggi da una applicazione di questa dottrina nel campo dei rapporti interni di un solo Stato. Tendiamo cioè alla comprensione reciproca, tale soprattutto che permetta di scorgere che esiste oggi un compito di salvezza della civiltà nel quale, il mondo comunista e il mondo cattolico possono avere gli stessi obiettivi e collaborare per raggiungerli... ». Le forze politiche organizzate per lunghi anni evitano accuratamente di accennare al problema della revisione dei Patti Lateranensi, che pure era stata preannunciata come imminente prima del voto sull'art. 7. Soltanto alcuni gruppi di intellettuali laici, limitati di numero anche se influenti per il prestigio esercitato nel mondo della cultura, si occupano del problema religioso in Italia: i collaboratori di riviste come « Belfagor », « Il Ponte », « Il Mondo », « Rinascita », « Scuola e Città », « Riforma della Scuola », impegnati nella difesa dei valori della cultura e della scuola di Stato, concepita come scuola di tutti ed aperta a tutte le idee, i componenti dell'Associazione per la libertà religiosa in Italia, fondata nel 1953 da Gaetano Salvemini, e il gruppo degli « Amici del Mondo » che, tra le varie sue iniziative, il 6 e 7 aprile 1957 organizza in Roma un convegno sui tema dei rapporti tra Stato e Chiesa in Italia: a questi uomini e a queste organizzazioni, più che ai partiti politici, deve, per un lungo periodo, riconoscersi il merito di ivere saputo tener desta l'attenzione sul problema della laicità dello Stato e sulle esigenze della modifica o dell'abrogazione delle norme dei Patti Lateranensi contrastanti con la Costituzione.


15 Il convegno organizzato dagli «Amici del Mondo» nell'aprile del 1957 si conclude, accogliendo il voto espresso da Salvemini, con l'approvazione di una mozione, che chiede l'abrogazione del Concordato e l'instaurazione di un regime di separazione tra Stato e Chiesa. La conclusione del ennvegno provoca la dura protesta de « L'Osservatore romano » e de « La Civiltà cattolica », ma alla prevedibile reazione degli ambienti cattolici si aggiunge un'aspra critica da parte della sinistra. Togliatti, scrivendo su « Rinascita » del maggio 1957, definisce « massimalista» la proposta di abolire il Concordato: « La richiesta di abolizione del Concordato fatta dai partecipanti al convegno del Mondo - scrive il leader comunista non può essere considerata una cosa seria. Né i comunisti, né i socialisti, le cui masse vivono a stretto contatto e collaborano, anche, con le masse cattoliche, possono prenderla in considerazione » (una critica dell'iniziativa è contenuta anche in un articolo di Maurizio Ferrara su « Il Contemporaneo »). Questa volta sono i socialisti che tacciono, ed anche il loro silenzio è assai significativo, sia perché Togliatti si è espressamente riferito alla posizione dei socialisti, per cui il loro silenzio non può esprimere se non il consenso del PSI circa l'opinione esposta dal leader comunista, sia perché probabilmente proprio sulla solidarietà dei socialisti il gruppo degli « Amici del Mondo» contava per potere esercitare una concreta azione politica. Per un lungo periodo si assiste ad una pesante polemica che investe le cause del processo di clericalizzazione dello Stato e le responsabilità di quanti lo hanno consentito: mentre alcuni pongono l'accento sulle conseguenze derivanti dalla conferma dello strumento concordatario del 1929 come base per la disciplina giuridica dei rapporti tra lo Stato e la Chiesa, i comunisti negano la correlazione tra la premessa (legittimazione democratica attribuita ai Patti del 1929 con il loro richiamo nella Costituzione) e la conseguenza (processo di confessionalizzazione dello Stato) e sottolineano la natura po-

lirica della questione, accusando i rappresentanti dei partiti laici (Partito liberale italiano, Partito socialdemocratico e Partito repubblicano italiano), che insieme alla DC fanno parte del governo, di non avere mai opposto alcuna resistenza all'azione esercitata dalla Democrazia cristiana per impedire il processo di laicizzazione dello stato. La polemica prosegue a lungo tra comunisti e collaboratori de « Il Mondo », insistendosi, da parte dei primi, sulle violazioni delle norme concordatarie poste in essere dalla Chiesa in Italia, sottolineandosi, da parte dei secondi, che proprio sulle norme concordatane trovano fondamento le richieste di parte cattolica che non vengono contrastate dalle altre forze politiche. LA POLITICA ECCLESIASTICA DEL PCI E DEL PSI NEGLI ULTIMI VENT'ANNI

Non è qui possibile esaminare analiticamente le posizioni assunte negli ultimi vent'anni dalle forze politiche della sinistra su questioni come il Concordato, il divorzio, l'aborto, le libertà in materia religiosa e, in genere, la legislazione ecclesiastica, che sono senz'altro tra i temi più delicati e complessi affrontati dalla classe politica italiana: in proposito è soltanto possibile tracciare un sintetico, schematico quadro che consenta di formarsi un'idea, certo approssimativa, dell'orientamento che su tali questioni i due partiti della sinistra storica hanno assunto in questi anni. Dopo che nel 1957 rimangono deluse le aspettative del Partito radicale (nato nel 1955 dopo la scissione della sinistra del PLI) perché il PSI assuma concretamente un'iniziativa capace di tradurre sul piano politico la proposta di realizzare anche in Italia un regime separatista, per lungo tempo il problema dei rapporti tra Stato e Chiesa cattolica cessa di costituire un problema oggetto di attenzione nelle prospettive politiche della sinistra italiana: è comprensibile, d'altra parte, come ha osservato Margiotta Broglio, che la maggioranza autonomista del PSI, che tenta di cogliere i fer-


16 menti presenti nella Chiesa di Giovanni XXIII in vista della svolta di centro-sinistra, ritenga che la denuncia del Concordato costituisca un ostacolo al dialogo con le tendenze progressiste del mondo cattolico (op. cit., p. 181). Nel 1959 i comunisti auspicano una politica di revisione « democratica » dei Patti Lateranensi: su « Rinascita » del giugno di quell'anno viene infatti pubblicato un articolo di Aldo Natoli - Si deve rivedere, e in che modo, il Concordato? - nel quale si pongono in rilievo talune incertezze ed esitazioni dei partiti della sinistra storica di fronte « ad alcuni aspetti dell'invadenza dericale », si riconosce il contributo positivo della stampa radicale nello stimolare l'opinione pubblica e si propone che le forze «laiche » trovino un comune accordo «per impostare la propria elaborazione e azione politica verso taluni obiettivi di revisione dell'attuale Concordato... allo scopo di ristabilire l'equilibrio.., nei rapporti tra Stato e Chiesa e di fermare il grave processo di dericalizzazione dello Stato ». La proposta di Natoli, che provoca la reazione polemica di Leopoldo Piccardi sul settimanale «Il Mondo », sul piano politico non comporta però alcuna pratica conseguenza e per molto tempo della questione del Concordato e degli altri problemi di politica ecclesiastica si occupano soltanto gli studiosi di diritto ecclesiastico, i partecipanti ai convegni, le assemblee delle minoranze religiose in Italia, che inutilmente auspicano una disciplina legislativa coerente con i principi di libertà e di eguaglianza contenuti nella Costituzione, i pochi parlamentari che presentano interrogazioni sulla condizione della libertà religiosa in Italia e le molte persone preoccupate di presentare denunce per viipendio della religione dello Stato. L'li ottobre 1962 viene inaugurato il Concilio ecumenico Vaticano TI. Negli stessi mesi nel PCI assume una configurazione particolare il dibattito sul ruolo dei cattolici e della Democrazia cristiana nella società contemporanea, dibattito che assume uno speciale rilievo nella formulazione delle «te-

si» per la preparazione del X Congresso del Partito comunista (Roma, 2-8 dicembre 1962), in cui sarà inserita la nota affermazione sul rapporto tra « coscienza religiosa » e prospettiva socialista, sostenuta e difesa da Togliatti. È questo l'ultimo congresso a cui Togliatti potrà partecipare prima della morte e nel suo rapporto il leader comunista insiste sulla « garanzia che la coscienza religiosa non solo verrà rispettata, ma avrà dinanzi a sé un terreno democratico effettivo di sviluppo, in cui ogni valore storicamente positivo potrà esprimersi e dare il suo contributo al progresso della nazione ». Sul tema dell'incontro tra comunisti e cattolici Togliatti ritorna nella conferenza tenuta a Bergamo il 20 marzo 1963 e, per l'ultima volta, nel promemoria di Yalta dell'agosto 1964. Nel discorso di Bergamo, posta in rilievo la volontà della Chiesa del Concilio Vaticano TI di superare la « falsa identificazione tra democrazia e cosiddetto mondo occidentale » e richiamata l'affermazione che « l'aspirazione a una società socialista non solo può farsi strada in uomini che hanno una fede religiosa, ma che tale aspirazione può trovare uno stimolo nella coscienza religiosa stessa, posta di fronte ai drammatici problemi del mondo contemporaneo », Togliatti ribadisce l'intento di risolvere in modo positivo « per il bene dei lavoratori e di tutta l'umanità » il problema dei rapporti tra il mondo cattolico e il mondo comunista, dichiarando: « ... non vogliamo la rissa tra cattolici e comunisti, perché questa recherebbe danni a tutti e prima di tutto alla causa per cui noi combattiamo, che è la causa della pace, della salvezza della nostra civiltà, dell'avvento al potere delle classi lavoratrici, della costruzione di una società nuova » (P. Togliatti, Opere scelte, 1977, p. 1123). Nel promemoria dell'agosto 1964 sulla questione del movimento operaio internazionale e della sua unità, in merito al problema del rapporto tra comunisti e cattolici, Togliatti osserva: « ... Nel mondo cattolico organizzato e nelle masse cattoliche vi è stato uno spostamento evidente a sinistra al tempo di papa Giovanni.


17 Ora vi è, al centro, un riflusso a destra. Permangono però, alla base, le condizioni e la spinta per uno spostamento a sinistra, che noi dobbiamo comprendere e aiutare. A questo scopo non ci serve a niente la vecchia propaganda ateistica. Lo stesso problema della coscienza religiosa, del suo contenuto, delle sue radici tra le masse e del modo di superarla, deve essere posto in modo diverso che nel passato, se vogliamo avere accesso alle masse cattoliche ed essere compresi da loro. Se no avviene che la nostra mano tesa ai cattolici viene intesa come un puro espediente e quasi come una ipocrisia ». Il 4 dicembre 1963 Aldo Moro presenta il primo governo « organico» di centro-sinistra, con Pietro Nenni alla vice-presidenza ed un programma concordato con il PSI (programmazione quinquennale, istituzione delle regioni, riforma della scuola, nuovi principi di politica urbanistica e agraria, adesione alla Nato in funzione difensiva): dopo molte difficoltà, dovute tra l'altro alla grave situazione economica, il governo Moro nel giugno 1964 formalmente cade proprio per una questione di politica ecclesiastica, e cioè per il finanziamento (di 113 milioni) destinato alle scuole secondarie confessionali. Una vivace polemica, due mesi prima, suscita l'interrogazione parlamentare con la quale, il 3 marzo 1964, i deputati socialisti Mauro Ferri, Ballardini e Principe chiedono al ministro delle finanze di sapere se risponda a verità che, con lettera in data 13 novembre 1963 del ministro stesso, è stata data disposizione di non effettuare la ritenuta di acconto e di imposta istituita dalla legge 29 dicembre 1962, n. 1745, per quanto riguarda gli utili societari spettanti alla S. Sede. Il problema del Concordato si ripresenta in Parlamento nel 1965 dopo che il prefetto di Roma, ai sensi dell'art. 1 del Concordato e a tutela del « carattere sacro » di Roma, vieta la rappresentazione del noto dramma di Hochuth, «Il Vicario »: il provvedimento provoca una vivace polemica sulla stampa e presso l'opinione pubblica e il 17 marzo

dello stesso anno Lelio Basso, per il PSIUP (partito costituito l'il gennaio 1964, da parte di esponenti della sinistra socialista) presenta una mozione alla Camera dei deputati per la revisione dei rapporti tra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica. Pochi giorni dopo Paolo VI riceve in « udienza privata » Pietro Nenni, allora vice-presidente del Consiglio e la visita assume particolare rilievo anche perché si svolge quasi in coincidenza con il riaccendersi della polemica sul Concordato seguita alla proibizione della ricordata rappresentazione teatrale. Il dibattito parlamentare sulla revisione del Concordato si svolge soltanto nel 1967, ma nel periodo intercorso tra il marzo 1965 (presentazione della mozione Basso) e l'ottobre 1967 (discussione in Parlamento sui Concordato) si ha un fatto significativo per la politica ecclesiastica italiana: la presentazione alla Camera dei deputati, da parte del socialista Loris Fortuna, della proposta di legge sull'introduzione nel nostro ordinamento giuridico di alcuni casi di scioglimento del matrimonio; nel 1966 inizia così la lunga vicenda della legge sui divorzio che, com'è noto, si concluderà definitivamente soltanto nel maggio 1974, con la conferma popolare della legge Fortuna-Baslini. Il 4 e 5 ottobre 1967 la Camera discute le mozioni presentate da Basso, Ferri, La Malfa, Malagodi, Tripodi e Zaccagnini sulla revisione dei Patti Lateranensi e in una mozione approvata a conclusione del dibattito rileva « l'opportunità di riconsiderare talune clausole del Concordato in rapporto all'evoluzione dei tempi e allo sviluppo della vita democratica ». Le forze della sinistra italiana, votando a favore della revisione di « talune clausole del Concordato », operano una scelta che eserciterà una notevole influenza sul corso del dibattito che in seguito si svolgerà sulla questione concordataria. La limitazione alle sole norme del Concordato dell'opera di revisione viene infatti puntualmente ribadita dal Governo, quando questo nel 1968 istituisce una apposita commissione di studio, e viene rispettata da tale commissione, che esclude ogni esame delle


18 norme del Trattato del Laterano per non valicare i limiti della sua competenza; operando tale limitazione tuttavia non si tiene presente che le imprescindibili. esigenze di armonizzazione costituzionale sussistono sia per le norme del Concordato che per alcune norme del Trattato (per esempio, quelle contenute negli articoli i e 23). Dopo che la relazione della commissione governativa di studio presieduta dall'on. Gonella, il 13 novembre 1969, viene con• segnata al Ministro di Grazia e Giustizia on. Gava, per ben sette anni il Governo non ritiene necessario informare il Parlamento circa le soluzioni proposte dalla commissione e le opinioni emerse in occasione del dibattito svolto tra i suoi componenti: la relazione della commissione viene conosciuta solo nel 1976, dopo la pubblicazione, a cura di Spadolini, del volume La questione del Concordato. In questo periodo il tema dominante della politica ecclesiastica italiana è senza dubbio quello del riconoscimento del principio divorzista nella nostra legislazione, anche per le reazioni suscitate da quello che la S. Sede definisce subito un vulnus del Concordato. Il divorzio costituisce uno dei problemi più scottanti affrontati dalla classe politica in Italia ed è comprensibile la prudenza con la quale i dirigenti del Partito comunista lo affrontano nel timore di creare ostacoli al rapporto con il « mondo cattolico ». «La famiglia - scriveva Antonio Gramsci su "Il grido del popolo" del 9 febbraio 1918 - è essenzialmente un organismo morale. È il primo nucleo sociale che supera l'individuo, che impone obblighi e responsabilità.,. La famiglia deve essere integrata nella sola sua funzione morale, di preparazione umana, di educazione civile ». Il 5 dicembre 1970, appena cinque giorni dopo l'approvazione della legge sul divorzio (Legge 1° dicembre 1970, n. 898), Enrico Berlinguer, in un editoriale su «L'Unità », scrive che la legge non deve essere intesa come eversiva della famiglia tradizionale, ma che bisogna fare presto ed edificare, insieme ai cattolici, la « nuova famiglia comune »: come è noto, nella con-

cezione cattolica, la famiglia è fondata sul matrimonio indissolubile ed in proposito si può ricordare che, quando nel 1947, all'Assemblea Costituente si votò in commissione sulla proposta del democristiano Giorgio La Pira di sancire come principio costituzionale l'indissolubilità del matrimonio, gli onorevoli Togliatti e Jotti prudentemente si astennero. In varie occasioni vivaci polemiche sono state determinate dal timore di accordi segreti tra DC e PCI sul problema del divorzio, per la convinzione di molti che il gruppo dirigente del Partito comunista preferisse una soluzione capace di evitare uno scontro che per esso era causa di notevole disagio. Un periodo nel quale si è discusso a lungo su quale sia stata la posizione del PCI in merito alla legge sul divorzio è stato quello dei primi mesi del 1970, quando molte polemiche hanno suscitato le voci circa un accordo intervenuto tra DC e PCI, per l'approvazione della legge istitutiva del referendum abrogativo. Le stesse polemiche si ripetono quasi identiche più tardi quando, un anno dopo, all'indomani del voto favorevole alla legge Fortuna-Baslini e dopo che il 21 maggio 1970 il Parlamento aveva approvato la legge costituzionale sul referendum popolare, rendendo possibile il collegamento tra i due problemi del divorzio e del referendum abrogativo della legge che lo avrebbe introdotto, nel novembre 1971 la stampa diffonde le voci più disparate sulle trattative intercorse tra democristiani e comunisti (si fanno i nomi del senatore comunista Buf alini e dell'on. Cossiga), alla ricerca di un accordo per evitare i pericoli derivanti ai dirigenti dei due partiti dalla eventualità del referendum. Il 17 novembre Bufalini nega l'esistenza di un accordo diretto tra il suo partito e la DC dichiarando: « la verità è quella pubblicamente e congiuntamente detta da tutti coloro che hanno partecipato ai contatti di questi giorni; stiamo cercando di tradurre in prime formulazioni, e dunque in un primo abbozzo di legge, il sostanziale accordo rilevato sugli incontri che si sono avuti tra i rappresentanti di


19 tutti i partiti che hanno votato il divorzio e che oggi vogliono salvaguardare questo istituto e, nel tempo stesso, evitare al Paese la frattura del referendum ». Dopo pochi giorni, il 2 dicembre 1971, la senatrice del gruppo della Sinistra indipendente Tullia Carettoni presenta al Senato la proposta sul « divorzio-bis », suscitando le proteste di quanti accusano il PCI per le responsabilità derivanti dai rischi della riapertura, in sede parlamentare, del discorso con la DC sul divorzio. L'on. Barca difende l'operato del suo partito in un articolo su « Rinascita » dell'il dicembre 1971, nel quale definisce « non solo spropositata, ma assurda e folle la reazione dei partiti alla presentazione in Parlamento, da parte della sen. Carettoni, della legge sul " divorzio-bis "» ed auspica l'unità e la compattezza dei « partiti laici ». All'on. Barca replicano, tra gli altri, l'onorevole Fortuna, che pone in rilievo l« azione unilaterale » del Partito comunista italiano, e l'on. Biasii che afferma: « È perlomeno sorprendente che proprio un comunista, dopo l'iniziativa Carettoni avallata dal PCI, possa parlare di unità laica, quando essa di fatto non esiste più perché sacrificata a giuochi di potere ». L'on. Scalfari, polemizzando anch'egli con la sen. Carettoni, il 4 dicembre dichiara: « I partiti laici non erano affatto concordi sull'opportunità di presentare in questo momento il progetto di legge. Ma i rappresentanti di questi partiti, purtroppo, anziché pretendere che la presentazione non avvenisse, si sono limitati a chiarire che essa avveniva per 'autonoma decisione ' della senatrice Carettoni. Di ciò bisognerà chiedere conto ai dirigenti dei partiti in questione ». Fino a quando, nel gennaio 1974, non ci si rende conto della assoluta impossibilità di evitare il ricorso alla consultazione popolare per la richiesta di abrogazione del divorzio presentata da un gruppo di cattolici intransigenti, i dirigenti del PCI si impegnano in ogni modo per evitare che su tale questione si pronunci l'elettorato, sostenendo talora l'ammissibilità di soluzioni da molti ritenute inaccettabili sotto il profilo della stessa le-

gittimità costituzionale. Così nel 1972 l'onorevole Nilde Jotti, aderendo alla tesi sostenuta da Andreotti in una intervista rilasciata nell'ottobre dell'anno prima, accenna alla possibilità di prevedere un regime particolare che valga per il solo matrimonio religioso (« il regime del matrimonio religioso nei confronti della legislazione italiana può essere - dichiara l'on. Jotti -, evitandosi il referendum, un punto importante di un nuovo concordato tanto per lo Stato quanto per la Chiesa ») e sostanzialmente ammette che il divorzio possa essere previsto solo per i matrimoni celebrati con rito civile. Tale proposta suscita molte perpiessità perché contrasta con il principio costituzionale di eguaglianza dei cittadini (art. 3 della Costituzione), avalla l'interpretazione, contestata anche dalla Corte costituzionale, che lo Stato italiano non possa legiferare sugli effetti civili del matrimonio religioso, ammette che la Corte costituzionale ha avuto torto e che il Parlamento ha sbagliato quando ha approvato l'art. 2 della legge Fortuna-Baslini (la norma che prevede il divorzio anche per i matrimoni « concordatari »). Ancora negli ultimi mesi del 1973 le dichiarazioni ufficiali dei dirigenti comunisti fanno comprendere la volontà del PCI di arrivare ad una soluzione che consenta di evitare il ricorso al referendum. La posizione del partito, afferma Berlinguer il 26 luglio 1973 parlando al Comitato centrale del PCI, «è quella di ricercare e sollecitare un accordo tra le forze democratiche e antifasciste, laiche e cattoliche, che consenta, ad un tempo, sia la salvaguardia di un'importante conquista civile e di libertà, qual'è l'istituto del divorzio (che sarebbe assurdo pensare di potere cancellare dalla realtà di una società moderna, come l'Italia, caratterizzata da un elevato grado di coscienza democratica popolare), sia il superamento di esasperazioni e lacerazioni non necessarie ». « Non ci si può consentire il lusso - ribadisce il 9 settembre parlando a Milano al festival dell'Unità - di impegnare il popolo italiano in conifitti ideologici e religiosi in un momento grave come l'attuale », ed è quin-


20 di necessaria una soluzione « corretta e ragionevole» del problema del referendum sui divorzio, attraverso una nuova legge che salvaguardi l'istituto del divorzio. L'on. Macaluso, il 17 dicembre 1973, svolgendo la sua relazione al Comitato centrale del PCI, dopo avere rilevato che, «oggi più di ieri, occorre una rinnovata solidarietà tra le forze antifasciste e democratiche qualunque sia la loro collocazione parlamentare », auspica « una giusta soluzione per una nuova legge sui divorzio che tenga conto di alcune esigenze reali dei cittadini di ogni fede e condizioni sociali e possa evitare un referendum che nella mutata situazione economica avrebbe conseguenze negative per la democrazia italiana ». Quando poi, nel gennaio 1974, si comprende l'impossibilità di concludere qualunque tipo di intesa capace di evitare il referendum sul divorzio e si ritiene necessario iniziare la campagna per il referendum, il PCI, tra i partiti che avevano votato a favore della legge sul divorzio, è senz'altro quello che cura in modo più meticoloso gli aspetti organizzativi e propagandistici della consultazione popolare: al momento in cui, il 2 marzo 1974, il presidente della repubblica Leone firma il decreto che fissa al 12 maggio seguente la data per lo svolgimento del referendum, non v'è dubbio che la decisione venga accolta con disagio dalla maggior parte delle forze politiche, che avrebbero preferito evitare, dopo tre anni di attese e di rinvii, di scontrarsi su un problema che può portare a divisioni laceranti per la società civile e la società religiosa; ma è anche innegabile che il risultato del 12 maggio 1974, e cioè la conferma popolare della legge sul divorzio con il 59,9% di «no » all'abrogazione, sia dovuto in primo luogo all'impegno assai attivo posto da parte del PCI nel corso dei due mesi di vivace campagna elettorale. Durante la campagna per il referendum sui divorzio, il PCI si propone di dimostrare che l'anticlericalismo, quale fenomeno storico sorto nel corso della lotta della borghesia contro il potere economico e politico

dell'aristocrazia, della monarchia assoluta e del clero nelle condizioni del feudalesimo, «non fa parte dei motivi ideali e politici di cui si serve, nel battersi per la propria emancipazione sociale e politica, il movimento operaio »: « ma è proprio perché l'anticlericalismo è un abito mentale che il movimento operaio si è buttato alle spalle afferma Berlinguer in un comizio tenuto a Padova il 7 aprile 1974 -, proprio perché ha compiuto questa critica e questo superamento, esso ha tutte le carte in regola per opporsi e per combattere - insieme a tutti i cittadini democratici credenti e non credenti - contro ogni ritorno dell'errore uguale e contrario, e cioè del clericalismo che è la pretesa di imporre la fede con la forza della legge, e dettare norme di condotta derivanti da una religione, obbligatorie per tutti, e di servirsi della Chiesa e della religione come strumenti di potere, facendo in pratica della religione cattolica una religione di Stato ». L'elemento principale che Berlinguer ritiene opportuno porre in rilievo pochi giorni dopo l'esito del referendum sul divorzio è che si è trattato di una vittoria « laica e popolare », non di una «vittoria anticlericale »; « Questa di oggi - dichiara Berlinguer al Comitato centrale del partito nella sessione del 3-5 giugno 1974 - è una vittoria laica di tipo nuovo, non di élites borghesi, non comprese o osteggiate da grandi masse popolari, ma è di massa, di popolo. Non è stata una vittoria conquistata su una piattaforma anticlericale, tanto è vero che ad essa hanno potuto concorrere milioni di credenti. Qui sta la novità: una novità ricca cli implicazioni sia nella sfera civile e politica, sia nelle espressioni della religiosità. Si conferma così, anche sotto questo profilo, quella grande scelta ispiratrice di tutta la nostra condotta che ha sempre puntato sull'apporto di masse popolari cattoliche all'avanzata in Italia della democrazia ». Questa concezione, che tende ad evitare che il problema religioso si rifletta sul problema politico e viceversa (« ... la democrazia italiana non ha certo bisogno - dichiara En-


21 rico Berlinguer nella sua relazione al XIV Congresso del PCI, tenutosi a Roma dal 18 al 22 marzo 1975 - né oggi né nel futuro cli lacerazioni sui terreno religioso ») ha ispirato la politica ecclesiastica dei PCI sin dal 1943: ad essa il Partito comunista si mantiene fedele ogni volta che si trova ad affrontare un problema di politica ecclesiastica, sul problema del divorzio come sulla questione del Concordato, in materia di aborto come in tema di consultori familiari. Le questioni dell'aborto, del Concordato e della riforma della legislazione ecclesiastica sono tuttora problemi non risolti e non è facilmente prevedibile, al momento in cui scrivo, quale soluzione nei prossimi mesi (o anni?) verrà adottata in ordine ad essi, considerando anche l'incertezza che sussiste circa il ricorso agli Otto referendum proposti dai radicali, per i quali il popolo italiano dovrebbe essere chiamato a votare nel maggio 1978. Il Partito comunista è consapevole dell'importanza dei problemi di politica ecclesiastica, come dimostra la costituzione, avvenuta nel marzo 1976 nell'ambito del suo Centro di studi e iniziative per la riforma dello Stato, di un « gruppo di lavoro sul tema dei rapporti tra Stato e Chiesa ». Il gruppo, composto di 17 esperti, è guidato da Paolo Bufalini e ne fanno parte, tra gli altri, Giuseppe Chiarante, Pietro Ingrao, Nilde Jotti, Alessandro Natta, Carlo Cardia, Libero Pierantozzi, Franco Rodano, Alceste Santini e Giglia Tedesco. Da un comunicato rilasciato all'atto della costituzione si apprende che il gruppo si propone di studiare due temi: una revisione « profonda e sostanziale » dei Patti Lateranensi e una riforma della legislazione ecclesiastica per adeguarla ai «principi di laicità e di pluralismo sanciti dalla Carta costituzionale ». Sul problema dell'aborto, certo il più delicato e complesso tra quelli sui quali è stato proposto il referendum dal Partito radicale, è noto che subito dopo la presentazione in Parlamento del primo progetto di legge sull'aborto da parte del socialista Loris Fortuna (11 febbraio 1973), anche nell'ambito dei partiti politici di sinistra sono state

espresse varie perplessità (quando la legge, il 6 giugno 1977, cade al Senato per un solo voto, risulta evidente che almeno sette senatori devono avere votato come franchi tiratori). Il 2 novembre 1973, parlando al IX Congresso nazionale dell'Unione donne italiane l'on. Nude Jotti dichiara, con una affermazione che ha quasi il valore di una definizione ufficiale nell'ambito del PCI: « L'aborto è sempre un trauma per le donne. Del frutto di un rapporto d'amore non ci si libera con facilità». L'aborto - ribadisce l'on. Jotti in una intervista rilasciata a « Panorama» nel dicembre 1974 - « è un problema ormai indifferibile per l'Italia. Ma, secondo me, non è ancora maturo tra le forze politiche... Nessun partito ha ancora le idee chiare sulla strada da imboccare, né i socialisti, né i repubblicani, nemmeno noi comunisti. Non parliamo poi della DC. Dubito quindi che, se verrà affrontato subito, potrà avere una soluzione positiva ». Comunque - chiarisce la Jotti - « io sono favorevole a una modifica delle disposizioni in vigore oggi », ma « non alla liberalizzazione dell'aborto »: « Sono convinta che la liberalizzazione non libera le donne: anzi essa è una strada che allontana dalla necessaria corresponsabilità dell'uomo e della donna anche nel rapporto sessuale ». Si sa come poi gli eventi non abbiano consentito ai partiti di rinviare nel tempo l'esame di un problema divenuto con il passare dei giorni sempre più drammatico e grave: ed anche il Partito comunista, il 14 febbraio 1975, presenterà una sua proposta di legge sulla « regolamentazione della interruzione volontaria della gravidanza ». Anche tra i socialisti, sul problema dell'aborto, vi è chi contesta, tra l'altro, la concezione dell'aborto come diritto civile: così il 13 aprile 1977 il socialista Livio Labor, cattolico ed ex-presidente delle ACLI, chiede di presentare una serie di emendamenti al testo di legge sull'aborto approvato dalla Camera, per accentuarne gli aspetti « sociali », dando maggior rilievo al ruolo dei consultori ed evitando qualsiasi riferimento all'aborto come « diritto civile ».


22 Sul problema della revisione dei Patti Lateranensi e della legislazione ecdesiastica, i due partiti della sinistra storica sono, ormai da molti anni, chiaramente orientati a favore di una firma della disciplina attualmente vigente, anziché di un totale superamento del regime concordatario, anche se molti dissensi, talora assai marcati riguardano i contenuti, l'ampiezza e le forme delle proposte di revisione. Dopo che il 1° marzo 1971 la Corte costituzionale, esaminando per la prima volta la questione della legittimità costituzionale delle norme di derivazione concordataria, afferma che le norme immesse nell'ordinamento italiano per effetto dell'attuazione interna dei Patti Lateranensi, qualora contrastino con i supremi principi dell'ordinamento costituzionale italiano, possono essere dichiarate costituzionalmente illegittime al pari di ogni altra disposizione di legge ordinaria, la questione del Concordato sembra avviarsi ad una più rapida conclusione: tale auspicio viene espresso dalla Camera dei deputati il 7 aprile 1971, quando, a conclusione di un dibattito parlamentare suila revisione del Concordato, viene approvato un ordine del giorno con il quale si impegna il Governo a rivedere il Concordato e a riferire al Parlamento l'esito delle trattative future. Nel 1972 l'on. Lelio Basso, del PSIUP, presenta una proposta di legge per la modificazione della disciplina costituzionale della libertà religiosa nel suo aspetto individuale e collettivo (articoli 7, 8 e 19 Cost.). La proposta ha l'effetto di provocare un dibattito assai vivace fra gli studiosi di diritto pubblico sulle nuove prospettive della libertà religiosa, in un importante convegno tenutosi a Siena dal 30 novembre al 2 dicembre 1972. Occorre però attendere l'estate del 1974 perché del problema della revisione dei Patti Lateranensi si occupi nuovamente il Parlamento: è infatti del 19 luglio 1974 una interpellanza nella quale gli on.li Berlinguer, Natta e Jotti chiedono di conoscere « quali iniziative siano state intraprese » dal Gover-

no sulla base dell'o.d.g. 7 aprile 1971, in ordine ad una revisione negoziata del Concordato lateranense, o, se la trattativa non sia stata avviata, le ragioni del congelamento. In una intervista riportata su « Il Mondo» del 19 dicembre 1974 l'on. Armando Cossutta, membro della direzione del PCI, dichiara che il suo partito è nettamente f avorevole alla soluzione della revisione del Concordato, anziché a quella del superamento del regime concordatario: «Non abbiamo mai considerato il sistema concordatario come l'unico schema possibile dei rapporti tra Stato e Chiesa. Riteniamo però di essere pienamente aderenti alle condizioni reali del nostro paese e intrinsecamente fedeli alla migliore tradizione politica risorgimentale, quando diciamo che, stante l'attuale posizione della Santa Sede, invece dell'abrogazione del Concordato serve meglio l'interesse del nostro popolo, del nostro paese e del nostro stato democratico, una profonda revisione dei Patti del Laterano ». Nel febbraio 1975, in coincidenza con il 46° anniversario della firma dei Patti Lateranensi, si iniziano le trattative per la revisione del Concordato e la delegazione italiana, composta del Presidente del Consiglio Moro, dal ministro degli Esteri Rumor e dal guardasigilli Reale si incontra con quella vaticana, formata dal cardinale segretario di Stato Villot e dai monsignori Benelli e Casaroli. L'iniziativa provoca un intervento di incoraggiamento di Nenni suil'« Avanti! » del 2 marzo 1975: Nenni rileva che l'enorme ritardo con il quale il Parlamento affronta il problema del Concordato è dipeso dalla necessità, da parte delle forze laiche e socialiste, di evitare tutto quanto potesse assumere anche soltanto l'aspetto di una guerra di religione (viene quindi ripreso uno dei principali argomenti esposti da Togliatti all'Assemblea Costituente per giustificare il voto del PCI a favore dell'articolo 7); dopo il referendum sul divorzio, osserva però il leader socialista, che ha dimostrato come non si possa più parlare cli guerre di religione, è necessario riaprire il confronto con la Santa Sede per una revi-


23 sione bilaterale: quest'ultima deve eliminare ogni forma di confessionalismo nelle strutture statali e nella scuola e deve intaccare non il solo Concordato, ma anche il Trattato. E questa, avverte Nenni, è l'ultima occasione offerta alle forze politiche per risolvere il problema dei rapporti tra Stato e Chiesa mediante una revisione bilaterale dei Patti Lateranensi, giacché sono sempre più numerosi i laici e i cattolici che propendono per la soluzione dell'abrogazione: questa occasione non deve essere persa, se si vuole compiere un altro passo sulla via dei diritti di libertà. Berlinguer al XIV Congresso del PCI (Roma, 18-22 marzo 1975) prende atto con soddisfazione dell'inizio delle trattative e dichiara: « Fin da Gramsci abbiamo appreso a considerare la portata decisiva della questione vaticana e cattolica in Italia e tutti noi sappiamo quali sviluppi abbiano dato alla nostra elaborazione in questo campo prima Togliatti e poi Longo. C'è una questione specifica dei rapporti tra Stato e Chiesa e dei trattati che li regolano, e da questo punto di vista, dopo anni e anni di inerzia dei governi a direzione democristiana e di nostre sollecitazioni, prendiamo atto che un negoziato per la revisione del Concordato pare essersi finalmente avviato, anche se, considerate le esperienze passate, vi sono molti motivi per nutrire scetticismo sull'effettiva volontà e capacità dei nostri governanti di portare avanti la trattativa con l'impegno e la rapidità necessari ». Dopo che il 19 febbraio 1976 il Presidente del Consiglio Moro accenna, nel discorso programmatico del suo ultimo governo, al problema della revisione bilaterale del Concordato ed afferma l'impegno del Governo a « portare avanti.., le trattative per la revisione del patto al fine di adeguarne la disciplina al progresso dei tempi », Craxi, in un articolo sull'« Avanti! » del 20 settembre dello stesso anno, rileva l'impossibilità di definire in sede concordataria tutta la serie di questioni di dettaglio che nascono dall'attività della Chiesa nel paese e l'inutilità di riprodurre nel nuovo accordo

norme della Costituzione o principi sanciti dal Concilio Vaticano TI ed afferma che il Concordato « non potrà che essere di poche, precise norme fondamentali che precisino gli ambiti già indicati dall'art. 7 della Costituzione e regolino i problemi di effettiva rilevanza politica e religiosa, rinviando per le molteplici materie ecclesiastiche a leggi dello Stato vincolate (come già accade... per le confessioni religiose diverse dalla Cattolica) da intese con la Chiesa italiana che consentono di soddisfare, con maggiore aderenza e rapidità, le sempre nuove, specifiche esigenze della società religiosa ». Tale soluzione, osserva il segretario del PSI, permetterebbe « la piena attuazione del dettato costituzionale, riaffermando, con la stipulazione di un protocollo concordatario, quella indipendenza e sovranità della Chiesa cattolica che la Costituzione sancisce, ma ridimensionando quella situazione privilegiaria e quella sostanziale discriminazione delle Confessioni diverse dalla Cattolica, che sono in pieno contrasto con i diritti di uguaglianza e di libertà garantiti dalla stessa Costituzione, in una prospettiva di riaffermazione della netta separazione dei due poteri... ». Tale proposta, che si ricollega all'ipotesi dell'accordo-quadro già formulata in dottrina da alcuni studiosi come idonea a disciplinare le nuove relazioni tra Stato e Chiesa in Italia, viene ribadita dal segretario del PSI in un intervento al Comitato centrale del partito ed accolta tra le deliberazioni del Comitato centrale stesso: sul piano « politico » essa costituisce una ipotesi originale di soluzione del problema della revisione dei Patti Lateranensi e viene ripresa in occasione del dibattito svoltosi in Parlamento sulla revisione del Concordato alla fine di novembre 1976. Il 3 dicembre 1976, con 412 voti favorevoli e 31 contrari, la Camera dei deputati approva la risoluzione che autorizza il Governo italiano a continuare le trattative con il Vaticano per la revisione del Concordato, sulla base della « bozza» presentata ed illustrata dal Presidente del Consiglio on. Andreotti. Non mancano certo, durante lo


24 svolgimento del dibattito che precede il voto finale, le espressioni cli giudizio negativo, anche da parte dei deputati della sinistra, in merito alle soluzioni proposte dalla Commissione Casaroli-Gonella che ha elaborato il testo illustrato dal Presidente del Consiglio, ma sia il PCI che il PSI ritengono opportuno votare a favore della risoluzione che autorizza la continuazione delle trattative con il Vaticano per la revisione del Concordato. La preoccupazione principale di Arfè, che interviene per il PSI, è quella di dimostrare la validità dell'ipotesi dell'accordo-quadro, di porre in evidenza la differenza tra tale ipotesi e la soluzione del Concordato ridotto a 14 articoli proposta dall'on. Andreotti e di precisare le riserve del PSI in merito alla materia della giurisdizione ecclesiastica matrimoniale, alla questione della scuola, all'istituto del cappellano militare, al problema degli enti e dei beni ecclesiastici. L'on. Natta, parlando per il PCI, esprime riserve soprattutto sulla questione del patrimonio degli enti ecclesiastici, per la mancanza di una « prospettiva di revisione seria e sostanziale », sui problema della giurisdizione ecclesiastica sulle nullità matrimoniali, considerando inadeguato il tentativo compiuto nella direzione di attenuare il divario tra ordinamento civile e ordinamento canonico, e sulle scelte compiute in tema di scuola ed insegnamento religioso, per la mancata previsione del principio della effettiva facoltatività dell'insegnamento religioso; nel complesso, tuttavia, il lungo ed elaborato intervento di Natta in Parlamento è volto a dimostrare un «dato fondamentale »: la persuasione dei comunisti che « la conquista e la costruzione di una società e di uno Stato democratico, il loro sviluppo in senso progressivo e verso soluzioni di tipo socialista potevano procedere attraverso un coinvolgimento, una partecipazione del mondo cattolico, una convergenza, un impegno unitario del movimento operaio di origine cristiana e cattolica; strategia, possiamo dire, dell'intesa e dell'unità .Ma una strategia dell'intesa e dell'unità

- afferma Natta - che considerava erronei, e comunque pericolosi, gli orientamenti rivolti a fondare il rinnovamento ed il progresso dell'Italia, lo stesso processo di democratizzazione e di laicizzazione della società e dello Stato sulle rotture manichee, sugli scontri frontali sul terreno religioso, sulle ipotesi, anche, delle rivincite storiche nei confronti della Chiesa, che so, sotto l'insegna della riforma religiosa mancata, o del separatismo puro non realizzato dallo Stato unitario, o della contestazione radicale del regolamento pattizio ». Non si possono qui riportare le parti principali dell'intervento svolto da Natta in occasione del dibattito parlamentare del novembre-dicembre 1976 (vedilo in « Il dr. eccles. », 1977, I, pp. 91-108), ma è opportuno sottolineare che in tale intervento sono contenuti i riferimenti necessari per la comprensione e la valutazione della linea politica del Partito comunista in materia ecclesiastica: negazione della « proclamata superiorità del sepa. ratismo sotto il profilo storico e più ancora sotto il profilo teorico » (« come se il fatto religioso - osserva l'on. Natta - vivesse nell'esclusiva sfera del privato, come se la religione fosse una concezione puramente spirituale e non fosse... anche Chiesa, collettività, compagine di persone e di beni, istituzione, ordinamento giuridico; come se la Chiesa e lo Stato vivessero in due campi, in due orbite diverse che non si toccano, non interferiscono mai »); consapevolezza dei pericoli derivanti da una denuncia unilaterale del Concordato (« ... una tale rottura determinerebbe reazioni drastiche e sconvolgenti da parte delle istituzioni che governano la comunità dei cattolici »; ed anche se la denuncia fosse possibile, si potesse imporre, rimarrebbe pur sempre il problema di una legislazione ecclesiastica unilaterale, «che potrebbe essere l'innesco di una conflittualità pericolosa, che sarebbe comunque esposta alle tentazioni e alle prevaricazioni d'una o d'altra natura, e che magari dovrebbe essere risolta per via 'referendaria ', a colpi di referendum »); rilievo che nella politica del PCI hanno assunto i principi della

-


25 tolleranza, del dialogo, del reciproco riconoscimento di valori, del rapporto e dell'incontro con quei movimenti, quelle forze cattoliche in cui sono presenti e vive esigenze e tendenze di rinnovamento sociale, civile e morale del nostro paese; ed anche « il valore che ha avuto la posizione che sostiene la opportunità del regolamento concordatario dei rapporti tra Stato e Chiesa per la stessa affermazione dei principi della laicità, del pluralismo della società e dello Stato, affermati nella Costituzione ». Le trattative con la S. Sede conducono poi alla formulazione di una seconda bozza di Concordato, che viene illustrata dal Presidente del Consiglio ai capi-gruppo parlamentari del Senato e della Camera nel luglio 1977 e dal senatore Gonella ai gruppi parlamentari nell'ottobre 1977. Su «L'Unità » del 5 novembre 1977 un articolo non

firmato - La riforma dei rapporti fra Stato e Chiesa - esprime una valutazione complessivamente positiva per il lavoro svolto dalla delegazione italiana nell'ottemperare al voto del Parlamento del novembre 1976, pur ponendo in rilievo perplessità in tema di enti ecclesiastici e riserve per le soluzioni accolte nella materia della scuola. Negli ultimi mesi si rinnovano le iniziative del PCI destinate ad approfondire i vari aspetti della questione cattolica: per ricordarne soltanto alcune, un numero speciale di « Critica marxista » sul mondo cattolico (n. 5-6/1976), un fascicolo di «Riforma della scuola » su I cattolici e la scuola dalla Costituente ad oggi (n. 8-9/1977) ed un altro di « Donne e politica » su Chiesa, mondo cattolico e DC (n. 39-40/1977) ed infine la lettera indirizzata da Enrico Berlinguer al vescovo di Ivrea, mons. Bettazzi (pubblicata su « Rinascita» del 14 ottobre 1977: Comunisti e cattolici: chiarezza di principi e basi di un'intesa), con la quale il segretario del PCI risponde ad una lettera aperta dello stesso mons. Bettazzi (pubblicata il 6 luglio 1976, poco dopo le elezioni del 20 giugno 1976, sul settimanale della diocesi di Ivrea, « Il risveglio popolare »). La lettera di Berlinguer, che deve

collegarsi agli altri testi nei quali il segretario del PCI ha affrontato negli ultimi anni il tema dei cattolici (principalmente gli articoli, pubblicati su « Rinascita » del settembre e dell'ottobre 1973, che hanno aperto il dibattito sul tema del compromesso storico - Riflessioni sull'Italia dopo i fatti del Cile -, la relazione al Comitato centrale del partito del 1975, il discorso d'apertura del XIV Congresso del PCI e la replica al termine del dibattito congressuale), assume evidentemente un significato che trascende l'occasione di un rapporto epistolare con il diretto interlocutore e suscita una vastissima eco di commenti: una valutazione volta ad approfondire l'articolazione strategica e tattica della linea comunista nel nostro paese richiederebbe una considerazione specifica ed autonoma, che non è qui consentita sia per motivi di spazio, sia perché la politica ecclesiastica, che è stata oggetto di esame in questo scritto, costituisce un aspetto particolare della complessiva questione cattolica e, nello stesso tempo, assume un significato più ampio. I problemi del rapporto con il partito della DC e delle relazioni con i cattolici, in ordine ai quali sarebbe necessario valutare i temi dell'ammissibilità dei partiti cattolici come connotato politico di una presenza religiosa e del modo in cui i cristiani vivono all'interno della Chiesa, non si identificano tra loro; « accettare l'equivalenza dell'unità nella fede con l'unità di voto e di militanza politica ha implicato a lungo per la sinistra italiana subire come dato ineluttabile un collegamento che ineluttabile non era né in linea di principio né di fatto» (G. Alberigo, Ma quanti cattolici ignora la sinistra, 1978). E i due problemi sopra accennati - rapporti con la DC, rapporti con i cattolici non devono neppure identificarsi e confondersi con il tema della politica ecclesiastica e con il problema religioso nel nostro paese, problemi che non riguardano soltanto la disciplina delle relazioni tra Stato e Chiesa cattolica e la previsione delle garanzie dello Stato italiano alla Chiesa cattolica per l'esercizio del suo ministero ma, più in generale,


26 consistono nel precisare quali scelte di politica legislativa debba adottare lo Stato italiano, consapevole che, con l'avvento del regime democratico, anche nel settore riguardante la vita religiosa del paese, al principio dell'autorità è subentrata l'esigenza della libertà dei singòli e delle organizzazioni. Il nostro ordinamento, a trent'anni dall'entrata in vigore del nuovo regime democratico, esprime, in gran parte della sua legislazione, esigenze diverse rispetto a quelle contemplate nella Costituzione: la lunga persecùzione contro le minoranze religiose in Italia e gli impedimenti posti dalla polizia all'esercizio della loro attività, il ripetersi degli odiosi attentati alle più elementari libertà dei cittadini italiani in materia religiosa si sono verificati proprio quando era in vigore una Costituzione che prevedeva delle garanzie formali idonee ad evitare ogni forma cli intolleranza religiosa; soltanto l'inizio dell'attività della Corte costituzionale (1956) e, successivamente, l'affermarsi di un nuovo spirito all'interno della Chiesa cattolica hanno potuto impedire che quella persecuzione continuasse e quella intolleranza potesse denitivamente affermarsi nel nostro paese. Ma è tuttora in vigore una legislazione ecclesiastica che contiene principi incompatibili con le norme costituzionali e non è facile prevedere quanto tempo sarà ancora necessario attendere prima che le forze politiche siano capaci di elaborare una sostanziale revisione del sistema di rapporti tra Stato e confessioni religiose (Chiesa cattolica compresa), una riforma coerente con la Costituzione delle norme sulla tutela penale dei culti, nuovi principi di legislazione ecclesiastica idonei a tutelare le esigenze di libertà dei cittadini. Ed occorre qui dire ,che la mancanza di una organica riforma della legislazione ordinaria in materia religiosa coinvolge la responsabilità di tutte le forze politiche: la maggioranza, che in tanti anni non ha provvedutò alla introduzione di un sistema capace di garantire le istanze di libertà dei consociati nel particolare settore delle libertà in materia religiosa, ma anche le opposizioni, che su tale

tema non hanno mai ritenuto opportuno condurre una battaglia e sono state comunque incapaci cli conseguire, sul piano pratico, risultati idonei a soddisfare le aspirazioni della coscienza collettiva. Troppo spesso anche le forze politiche della sinistra italiana hanno operato nella convinzione che per risolvere i problemi determinati dal mutamento della realtà sociale fosse preferibile attendere, anziché impegnarsi in una seria opera di riforma capace di interpretare il ritmo del progresso della società nazionale: quella convinzione ha recato molto pregiudizio alla società italiana, che si trova a dovere affrontare oggi, in una situazione che si fa sempre più drammatica, problemi che avrebbero dovuto essere risolti contemporaneamente all'introduzione in Italia del sistema democratico.

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