questo istituii uni K
rassegne e documenti
Partiti e società politica di Francesco Sidoti
I Premessa. L'analisi del sistema po-
litico nel momento della crisi
3 Partitocrazia, correnti, rappresentanza proporzionale
6 Il potere democristiano
8 I limiti dell'opposizione comunista
12 Le componenti internazionali e i gruppi di pressione
14 Indice bibliografico ragionato degli studi politologici
Una bibliografia degli studi sul sistema politico italiano - soprattutto se, come abbiamo cercèto di fare, ha carattere orientativo e non meramente compilatorio implica di per sé la risposta a vari interrogativi, inerenti sia al metodo sia al merito dell'analisi. Una questione di prima grandezza è, anzitutto, quella che riguarda l'autonomia della sfera politica nella società italiana, l'intreccio di economia e politica, di politica interna e politica internazionale. Semplificando, possiamo raggruppare in tre diversi orientamenti coloro che convergono nel dichiarare non significativa un'analisi centrata sulla società politica: alcuni studiosi ritengono di preminente importanza l'analisi delle classi sociali, altri insistono sui condizionamenti di politica internazionale, altri ancora preferiscono sottolineare il ruolo svolto dai gruppi di pressione. Un discorso su questi punti implica un dibattito sul metodo, e quindi in qualche misura è sc.ntato perché « di scuola »; comunque sia, seppure è vero che una completa analisi previsionale deve tenere conto del complesso intrcciarsi di molteplici variabili, è altrettanto vero che le capacità ermeneutiche di un'analisi sub specie scientiae tende per definizione ad isolare una
parte limitata del reale e a considerare per convenzione come variabili indipendenti alcuni fattori che in realtà non sono indipendenti, ma contemporaneamente causa ed effetto. In genere, è questo il punto di vista da cui si pongono le analisi della società italiana che privilegiano il ruolo svolto dai partiti e dalle strutture politiche. Un altro punto di discussione riguarda la quantità e la qualità delle conoscenze finora accumulate intorno ai meccanismi di funzionamento del sistema politico italiano. Anche in questo caso si può operare una sommaria tripartizione: secondo alcuni già conosciamo tutto, o almeno tutto quello che è importante conoscere, la prassi politica si trova in un vicolo cieco non per difetto di conoscenze ma perché non riesce a rimuovere gli ostacoli, il proliferare delle analisi è inutile e « accademico» nel senso più deteriore del termine; secondo altri, invece, non sappiamo niente, o molto poco, le conoscenze sono frutto di esercitazioni retoriche non verificate, vuote di contenuto empirico, ideologiche ed astratte; secondo altri, infine, poco o molto che già si conosca, è fondamentale raccogliere le energie sulla scoperta di strumenti ermeneutici e orientamenti d'analisi alternativi a quelli usuali, in quanto le contraddizioni e le incognite di un futuro progressivamente minaccioso reclamano un « di più» inventivo e categoriale prima ancora che operativo. Ovviamente in queste pagine non c'è la risposta a tali dilemmi, ma la documentazione dello stato attuale dei lavori: l'annosa
polemica Galli-Sartori su bipartitismo imperfetto o pluralismo polarizzato, l'altrettanto vetusta controversia sulla definizione del PCI come partito antisistema o no, l'evoluzione della partitocrazia in coarentocrazia, etc. Alcuni più recenti appassionati dibattiti, come quello sul « compromesso storico », o euli'< alternativa di sinistra », o l'indovinello sul carattere democratico e progressista o parassitario e reazionario della Democrazia Cristiana, non sono affrontati di petto e sviscerati nelle loro più recondite sfumature, sia perché possono essere dedotti more geometrico dalle precedenti controversie, sia perché si dovrebbe allora dare spazio a pieno diritto anche a futuribili del tipo: il colpo di stato, la riforma istituzionale, l'integrazione europea, etc. Rimane, in ogni caso, la realtà della crisi degli equilihri politici, economici e sociali che reggono la società italiana. Lo sfaldamento della maggioranza dorotea, nel 1968; la rottura tra socialismo e socialdemocrazia, nel 1969; l'esplosione delle lotte operaie e studentesche, tra il '68 e il '70; l'endemico i.mperversare del terrorismo politico, l'ulteriore passaggio sotto il controllo pub:blico di larga parte dell'iniziativa imprenditoriale, coniugandosi con fattori di origine internazionale come l'inflazione e la crisi energetica, hanno messo duramente in questione sia il presupposto di una costante espansione produttiva, accompagnata da stabilità monetaria ed equilibrio dei conti con l'estero, sia il presupposto di un allargamento .purchessia dei margini di libertà e
queste istituzioni luglio 1975
Direttore: SERGIO RISTUCCIA - Condirettore responsabile: Giovì.n BECHELLONI. Redazione: MARCO CIMINI, Ee4Io COLASANTI, MARINA GIGANTE, MARCELLO R0MEI, FRANcO SIDO'rI, VINCENZO SPAZIANTE.
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3 di democrazia, in un quadro di stabilità dell'organizzazione di classe e del consenso sociale.
vano ad una conclusione soltanto apparentemente contraddittoria: più i partiti sembrano impegnati in un'azione egemonica di colonizzazione del sistema sociale, e più La critica alla democrazia prefascista e il sembrano impotenti a dare .una guida uninuovo pensiero costituzionale della resi- voca e costruttiva alla società che pure stenza europea formularono a base delamministrano. l'ordinamento repubblicano il principio delLa crisi energetica, il processo inflazionistila democrazia politica, formalizzato nella co, il terrorismo politico ripropongono penorma dell'articolo 49 della Costituzione. rentoriamente, in una luce diversa, tutte Le elezioni per la Assemblea costituente le contraddizioni irrisolte dell'ordinamento legittimarono una linea programmatica di repubblicano, tutti i dati tradizionali del trasformazione dello stato, deiineatasi neldibattito politico. Il carico di sfide che si l'incertezza del regime transitorio (Guarino, profilano nel futuro, provvederà a scioin La sinistra davanti alla crisi del Par- gliere o ad aggravare la minaccia di queste lamento, 1967), che affermava sia la preipoteche. valenza sull'esecutivo di forme di governo « assembleare » (1) sia l'estensione dell'area di intervento di questa forma di governo PARTITOCRAZIA, CORRENTI, RAPPRESENTMJassembleare per realizzare una democrazia ZA PROPORZIONALE. sociale che andasse oltre la organizzazione ottocentesca dei poteri. La polemica sulla partitocrazia è legata al In questa linea programmatica, i grandi parnome di G. Maranini, che impegnò nella titi di massa sono gli strumenti della demodisputa tanta parte della sua autorità di crazia dell'avvenire. Ma, finiti i tempi della docente e di pubblicista. Nella sua ultima mobilitazione sociale postbellica e dei moopera (Storia del potere in Italia, 1967), vimenti collettivi tesi a costituire una nuova egli riconfermava la sua interpretazione, identità nazionale, diventa sempre più desecondo la quale, nel sistema politico itabole l'identificazione e la legittimazione liano, gli autentici poteri sovrani sono departitica (Pizzorno, Il sistema politico itatenuti dai partiti, non dal governo né dal liano, 1971). Le classi sociali, che attraverso parlamento, ridotti a mere camere di regii sindacati esprimono un nuovo soggetto strazione di decisioni prese fuori dal loro politico, (Pizzorno, I sindacati nel sistema ambito di controllo. I partiti sono sottratti politico italiano: aspetti storici, 1971), e i sia al controllo della volontà di base sia detentori funzionali del potere, nelle istitual controllo pubblico, in quanto privi di zioni dello stato e nei grandi interessi del- uno statuto giuridico che garantisca l'osl'industria, tendono a un ritiro della delega servanza del principio di legalità e la pubpolitica ai partiti, per riaffermare senza blicità dei mezzi finanziari. « Oggi in Italia mediazioni le proprie istanze particolarii partiti politici sono organizzazioni autostiche. Così, in Italia, al culmine del procratiche e segrete, nonostante la coreografia cesso di trasformazione dei partiti di massa democratica e pubblicitaria dei loro conin « partiti pigliatutto », gli osservatori arrigressi; sono stati nello stato, protesi in una (1) Non molti mettono in dubbio che la situazione sia questa. Il testo costituzionale, invece, può essere interpretato in maniera diversa: « La forma di governo, quale delineata in Costituzione, non è certamente imperniata sul principio dell'onnipotenza parlamentare... La rigidità costituzionale, con il connesso controllo sulle leggi spettante alla Corte costituzionale; gli istituti di democrazia diretta, culminante nelle varie specie di referendum, ad integrazione e quasi a correttivo delle istituzioni rappresentative; i poteri conferiti in proprio al Presidente della Repubblica, detti, per antonomasia, "presidenziali", perché sottratti a proposta governativa e quindi all'influenza delle forze di maggioranza, sono altrettanti limiti e contrappesi, rivolti a prevenire ed arginare l'arbitrio, sempre possibile, delle assemblee, dando vita ad un delicato sistema di equilibri che, con la sua sola presenza, esclude l'assoluto prevalere dell'uno e dell'altro organo di vertice ». (V. Crisafulli, La Costituzione è intoccabile?, in « Il Tempo », 17 aprile 1974). Sono fuori dai limiti di questa bibliografia i contributi dedicati a soggetti istituzionali e ad organi costituzionali, anche se talora, come in questo caso, si è fatto cenno a talune di queste interpretazioni.
4 lotta sfrenata per la conquista del potere totale, per l'assoggettamento monopolistico dello stato» (p. 390). Con il fascismo gli italiani, costretti ad aggrapparsi alla tessera di partito, hanno subìto una iniziazione partitocratica destinata a sopravvivere al fascismo stesso; la democrazia aritmetica è un mito, infatti il corpo elettorale non sceglie i suoi rappresentanti ma li riceve a scatola chiusa dalle segreterie; il regime non può chiamarsi parlamentare né pseudoparlamentare, ma interpartitico, un regime rigoroeamente contrattuale fra apparati di partito. In conclusione: « una situazione in sostanza non molto dissimile nei suoi effetti da quella del periodo che precedette e suscitò il fascismo; una situazione che, se esprimesse da sola la costituzione materiale della repubblica, potrebbe con probabilità grande e in breve tempo condurre ad un epilogo analogo e forse più pesante» (pag. 512).Secondo il Maranini, le cui simpatie sono rivolte verso il modello costituzionale anglosassone, i partiti debbono essere ricondotti alla loro sola funzione legittima di collettori della pubblica opinione, di elaboratori di programmi e di presentatori di candidàti. Sotto alcuni punti di vista, la polemica di Maranini contro « lo strapotere dei partiti » non è più attuale, e certe sue premesse sono state ampiamente contestate. Tuttavia, alcune delle sue tesi hanno avuto una continuazione e, per così dire, un aggiornamento. Questa è in'f atti la prima impressione che si ricava dalla lettura dell'impostazione che G. Sartori ha dato del problema del « correntismo », e cioè del frazionamento interno dei maggiori partiti di governo (cfr. Correnti, frazioni e fazioni nei partiti politici italiani, 1973). Secondo il Sartori, è vero che i .partiti non sono più quegli organismi onnipotenti che potevano apparire alcuni anni prima, « a certi effetti siamo ancora governati dai partiti; ma ad altri effetti le vere unità operative sono le frazioni, e quindi il nostro sistema è diventato un « sistema di sotto-partiti ». In conclusione, «oggi come oggi il nostro malgoverno, o non governo, è da imputare - più che ad ogni altro fattore (corsivo mio) - al processo degenerativo che ha ridotto la DC
e il PSI allo stato di « coacervo di fazioni ». In questa analisi, la causa sufficiente della proliferazione delle frazioni è da ricercare nel sistema elettorale proporzionale interno dei partiti. Intervenendo nel dibattito sul « correntismo », dopo aver indicato che il nesso causale individuato dal Sartori tra «proporzionalismo, frazionismo, crisi dei partiti » può essere letto in senso inverso, S. Passigli (Proporzionalismo frazionismo e crisi dei partiti: quid prior, 1973) esprimeva la preoccupazione che l'abolizione della proporzionale nelle votazioni interne di partito potesse mettere in moto un processo di revisione del sistema proporzionale nelle elezioni nazionali. Soluzione auspicata dal Fisichella (L'alternativa rischiosa, 1973), che porta alle sue logiche conseguenze le tesi del Sartori e propone la riforma elettorale con collegio uninominale, a doppio turno, secondo l'esempio francese. A. Lombardo (Dal proporzionalismo interpartitico al frazionismo eterodiretto, 1973) propone invece come terapia uno spostamento dei poteri da tutte le assemblee ad organi monocratici elettivi, attraverso l'elezione diretta del presidente della Repubblica, o del consiglio, dei sindaci, dei segretari di partito. Il sistema proporzionale, sia al livello della vita interna dei partiti, sia al livello più generale, viene ritenuto causa prima dell'oligopolio e del privilegio politico nei sistemi multipartitici anche da L. D'Amato, (Partiti di correnti e frazionismo, 1973), che è intervenuto varie volte su questi temi. Tutti gli autori che si n'fanno a •questo filone politico-ideologico convengono nella definizione del partito comunista come partito anti-sistema (problema che qui è af frontato in un capitolo successivo) e convengono altresì nel rifiuto della nota tesi di G. Galli (Il bipartitismo imperfetto, 1966), secondo cui il sistema politico italiano è un «bipartitismo imperfetto », caratterizzato da una mancanza di alternativa elettorale o di governo. Secondo il Sartori, la rotazione dei partiti di governo è invece una modalità rara e difficile della democrazia rappresentativa, in quanto i grandi partiti di massa sono strumenti di irregimentazione e stabilizzazione degli elettorati,
5 ed evitano le elezioni sismiche, con forti spostamenti elettorali. Il sistema politico italiano, dice Sartori, è multipolare (per l'estremo pluralismo politico), polarizzato (per l'assenza di consenso di 'base in merito ai fini da perseguire), cen'trifu;go (in quanto i risultati elettorali tendono a svuotare il centro e a premiare le ali estreme). Queste e altre considerazioni conducono allo scetticismo in merito al potenziale di sopravvivenza del sistema, destinato a vivacchiare, finché potrà, e •forse •a tentare la salvezza nel «grande abbraccio» cattolico comunista (cfr. Bipartitismo imperfetto o pluralismo polarizzato?, 1967, e Rivisitando il "pluralismo polarizzato", 1973).
mande generiche, volte ad accontentare tutti, l'articolazione delle correnti permette la trasmissione delle richieste particolaristiche. Le correnti mantengono in qualche modo una dialettica all'interno del partito, contro la tendenza accentratrice dell'apparato; in molti casi non sono riconducibili a mere clientele di interesse, in quanto la componente ideologica 'gioca una parte rilevante nel suscitare e mantenere la specificità di gruppo, l'impegno a perseguire fini comuni. Da questo punto di vista le correnti sono una manifestazione fisiologica; e contribuiscono se 'non alla stabilità certo al funzionamento del sistema. Allo stesso modo, altre caratteristiche della meccanica del sistema, da alcuni sono giudicate Rispetto al tipo di interpretazione che insi- patologiche, secondo altri invece contribuiscono al mantenimento della stabilità ste sui temi della partitocrazia e della del regime. Secondo Predieri (Tesi e ipotesi « correntocrazia », gi'uspubblicistj, sociologi e politologi di diverso orientamento ideolo- nel processo legislativo, in corso di pubbligico hanno cercato di cogliere altri nessi cazione), ad esempio, la superproduzione legislativa, 'le cosiddette 'leggine, tèsti•mostrutturali e altre necessità fisiologiche di funzionamento del sistema. nianci non solo l'inefficienza ma anche l'atA proposito dell'impostazione di Maranini, titudine a cooperare di forze politiche in un dibattito deI 1971, G. Guarino e formalmente contrapposte, la capacità di P. Barile così sottolineavano l'affermarsi perseguire l'equilibrio soddisfacendo le ridelle correnti e dei singoli nei confronti chieste dei gruppi di pressione e degli intedei segretari di partito. Poiché viviamo in ressi locali. In questa logica, anche un un sistema parlamentare diverso da quello elemento caratteristico della situazione itainglese e basato sulla proporzionale, diceva liana, quale l'instabilità di 'governo, può essere sdrammatjzzata. Infatti, come è stato Guarino, il partito è la stessa cosa che la notato (Elia, voce "Forme di governo" in calce nella costruzione di un edificio. Se il collante è debole, i pezzi vanno via ognuEnciclopedia del diritto, 1969), al di là delle analogie con la IV Repubblica franno per conto suo. E Barile: «'In sostanza cese e con la Repubblica di Weimar, l'instaproprio il rovescio di quella che era stata l'interpretazione data da Maranini, secondo bilità 'governativa italiana deve essere 'giudicui tutti i mali dItalia derivavano dalla cata considerando la presenza, all'interno di tutte 'le coalizioni governative, di un parpartitocrazia. Non è vero per niente: la ti'to di maggioranza relativa che assicura la verità è che tutti i mali dI,talia derivano stabilità e la continuità dell'indirizzo di non dalla troppa forza, ma dalla troppa fondo nell'apparente discontinuità e instadebolezza dei nostri partiti » (in « L'Espresso », 17-1-1971, pag. 4). bilità dell'a'vvicendamento governativo. Per quanto riguarda le correnti, sono state Grosso modo, gli studiosi della società posvolte analisi meno pessimistiche. Un'inda- litica italiana si possono dividere in due gine empirica condotta nel 1968 da A. gruppi principali. Nel primo vi sono coloro Spreafico e F. Cazzola (Correnti di partito che sottolineano l'instabilità e l'inefficienza: e processi di idenificazione, 1970) indicava pessimisti per quanto riguarda le capacità che in gran parte il 'fenomeno è dovuto al di sopravvivenza del sistema, quando indinaturale processo, in una società pluralista nano a proporre terapie avanzano propoe industrialmente sviluppata, di disaggregaste di riforma istituzionale che tendono in• zione degli interessi e di specificazione della primo luogo, nel nostro ambito di discorso, domanda. Mentre i partiti formulano do- a colpire la rappresentanza proporzionale.
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IL POTERE DEMOCRISTIANO.
partecipazione, non si può disconoscere il positivo mutamento del rapporto tra autorità e libertà intervenuto negli anni trascorsi: « Tutto sommato, la coalizione di centrosinistra, se non è stata in grado di svolgere una politica riformatrice efficace, ha però creato grandi spazi per la libera crescita delle articolazioni della società civile: in altre parole, molte situazioni « deferenziali» sono venute meno, i sindacati si sono rafforzati, la partecipazione extrapartitica si è accresciuta ». (Perché l'italia si è tenuta e si tiene questo sistema di governo, 1973, pag. 229).
Delle analisi del sistema politico italiano, quella meno ostile nei confronti della DC è stata svolta da L. Ella. Il sistema italiano, oltre che per l'instabilità di governo e l'inefficienza, si contraddistingue; secondo Elia, sia per la fòrma di governo coalizionale sia per le caratteristiche del partito di maggioranza. La presenza nella coalizione di varie forze politiche condiziona il blocco partiti di maggioranza-governo-parlamento, anche se le maggiori responsabilità pesano sul partito di maggioranza relativa. La tendenza della DC a surrogare una autorevole guida personale al vertice del sistema attraverso una direzione collegiale, è il motivo principale a determinare quell'impressione di Quarta Repubblica rilevata da molti osservatori dell'assetto politico italiano. Ma una serie di ragioni storiche e strutturali, oltre che di principio, impediscono l'evoluzione verso forme di « democrazia d'investitura », come impediscono il ritocco del sistema proporzionale a tutti i livelli su cui poggia il sistema italiano. Nonostante la minaccia di una grave crisi di rappresentanza e di
Gli osservatori non democristiani sono molto più severi (2) nell'analizzare il ruolo svolto dalla DC nei suoi trent'anni di ininterrotto governo del paese. Dell'ampio arco di queste critiche, la più in vista nel dibattito corrente e più intenta a cogliere le modifiche interne della DC, è quella che insiste sulla nuova conformazione sociologica del partito, con le relative conseguenze che questo comporta a livello della distribuzione del potere (dati sul potere democristiano negli enti, nelle banche, negli istituti finanziari, nelle holdings pubbliche, nel volume G. Tamburrano, L'iceberg democristiano, 1974). Come è noto, la DC del periodo postresistenziale è un partito neoguelfo (3) braccio secolare della Chiesa. Tuttavia, la direzione degasperiana diede certi estremi argini a questo come ad altri rapporti di dipendenza del partito. La seconda generazione democristiana, invece, impegnò la sua fortuna politica nel tentativo riuscito di alterare qùesto equilibrio e di imporre una propria
Nel secondo, vi sono coloro che mettono in rilievo la stabilità del sistema pur nella sua inefficienza, sottolineano le responsabilità della DC, le corresponsabilità delle sinistre, e auspicano inftne iuna più o meno incisiva dislocazione del potere. Per anni, l'ovvia constatazione che il sistema non crollava, sembrava dare ragione a questi; ora, l'altrettanto ovvia constatazione della crisi italiana, sembra dare, se non più ragione, più spazio, a quelli.
In genere, un giudizio globalmente negativo sui dieci anni di centro-sinistra 'viene espresso più facilmente dagli intellettuali radicali che avevano investito nell'operazione una ingente somma di speranze e di attese, anziché dai quadri intellettuali socialisti, comunisti e sindacali. Cfr., ad es., quanto dice Luciano Lama: lo spostamento dell'asse di governo introdotto dal centro-sinistra produsse « un mutamènto di clima, questo sì, che ha mutato il quadro nel quale si sviluppavano le lotte, e che quindi le ha rese, per questo verso, meno ardue... Il centro-sinistra (che, tutto sommato, ha dei momenti e dei personaggi interessanti) non agisce direttamente sulle possibilità del sindacato di andare avanti. Agisce nel senso che costituisce un fatto nuovo nella situazione generale: la pressione a cui era stato soggetto il sindacato per dieci o dodici anni, in una certa misura si attenua ». (Dieci anni di processo unitario, « Rassegna sindacale», quaderno n. 29, marzo-aprile 1971). Una precisa ricostruzione della nascita del centro-sinistra, e della sua evoluzione, è in G. Tambur rano, Storia e cronaca del centro-sinistra, 1971. Secondo un'altra interpretazione, invece, il torto della DC consiste nell'aver ceduto troppo ai partiti laici, senza seguire fino in fondo il progetto di una società cristiana. Per questa interpretazione, vedi G. Baget Bozzo, Il partito cristiano al potere. 1974.
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autonomia in termini di consenso sociale, di organizzazione e di potere, sia nei confronti delle gerarchie ecclesiastiche sia nei confronti degli imprenditori privati. Il successo di questa strategia ha comportato un rimescolamento profondo dell'assetto politico e sociale, determinando la nascita di una nuova classe imprenditoriale pubblica (C•fr. Alberoni, La nuova classe imprenditoriale pubblica, 1972) e un deciso sostegno delle classi medie nuove e tradizionali (Cfr. Sylos Labini, Saggio sulle classi sociali, 1974). Le polemiche sulle « rendite parassitarie », sulla « giungla retributiva », si riferiscono tutte alle conseguenze di questo processo. 'Per usare la prosa colorita• di E. Scalfari, la DC ha organizzato in Italia « la più gigantesca struttura clientelare che la storia europea abbia mai registrato dall'89 in poi. Le cifre della spesa corrente e del disavanzo di gestione 'dello Stato hanno scandito per dieci anni l'avanzata d'una barghesia di Stato famelica e corrotta, il dissanguamento dell'area economicamente sana del paese, il declino degli investimenti produttivi... su questa montagna di debiti prospera un'immensa camorra nazionale annidata negli enti, nelle mutue, nei Comuni, negli ospedali, nelle opere pie, nelle industrie decotte, nel parastato » (in « L'Espresso », 18-8-1974, pag. 63). Molti osservatori, pur nella differenziazione di scelta ideologica, concordano su questo quadro a fosche tinte. Anche alleati della DC, come i repubblicani, ad esempio, pur cercando di accomunare tutti nelle responsabilità, hanno dato alimento alle analisi critiche della « borghesia di stato », attraverso una continua perorazione contro la politica di gonfiamento degli organici statali, parastatali e locali, gli enti inutili, le leggine di spesa votate dalle commissioni parlamentari, l'aumento del disavanzo degli enti previdenziali e ospedalieri, dei Comuni e delle 'Province, delle aziende municipalizzate, delle aziende autonome e degli enti a partecipazione statale. Oltre a mediare le istanze del mondo confessionale, di quello imprenditoriale, dei ceti medi, la DC è ormai essa stessa una ferrea organizzazione di potere, che cementa un blocco sociale con al vertice la classe politica e i dirigenti della imprenditorialità
pubblica; e alla base i controllori e i beneficiari dell'erogazione della spesa pubblica a livello locale, periferico. « Gli strumenti che ha in mano sono essenzialmente di tre tipi: il controllo della erogazione della spesa pubblica; il controllo del credito speciale e, in certe zone, anche di quello ordinario; e infine il potere che chiameremo di interdizione e di licenza, cioè quello che le dà in mano la facoltà di permettere o meno l'esercizio di certe attività economiche ». (Pizzorno, I ceti medi nel meccanismo del consenso, 1973, pag. 329). Anche secondo l'analisi di G. Galli il rapporto fra classi sociali e partiti politici è di fondamentale importanza: la 'DC è l'espressione e l'interprete •di una 'borghesia burocratico-parassitaria, alla base, e finanziariospeculativa, al vertice, che gestisce la cosa pubblica impedendo sia una coerente politica economica sia una moderna politica delle riforme. L'intreccjo di parassitismo e di privilegio determina l'inefficienza, la corruzione, gli scandali; in compenso assicura quell'elevato grado di stabilità, di equilibrio del sistema, che è l'obiettivo di fondo non soltanto della DC ma anche della sinistra comunista, impegnata a mantenere e a sviluppare senza scossoni il quadro politicocostituzionale del 1948 (cfr. Galli, Dal bipartitismo imperfetto alla possibile alternativa, 1975). Al fondo di tutte queste analisi sta il fatto che la DC, mescolando keynesismo e pauperismo evangelico, populismo e costituzionalismo, solidarismo personalista e anticapitalismo socialista, ha esteso l'intervento dello Stato e quello suo di partito ai settori i più ampi e i più minuti della vita economica e sociale: colonizzazione della burocrazia tradizionale e degli organismi del parastato, del settore finanziario - dagli istituti di credito di diritto pubblico alle casse di risparmio -, delle grandi holdings di stato, monopolio della radio televisione, della Cassa per il mezzogiornò, dell'ENI, IRI, EGAM, ;EFI'M, e continuando fino a circa 68.000 enti, uno ogni mille abitanti, quanti ne hanno contato le ricerche del CIRIEC e di Mediobanca. « Questa predominanza giustifica le apprensioni di coloro che denunciano la situazione italiana come una situazione di « regime », 'vale a dire la
scomparsa dei limiti tra il partito dominante e lo stato per la concentrazione nelle mani di una sola formazione di tutte le leve del potere » (G. Bibes, Le sistème politique italien, 1973, pag. 158). Il giudizio dei comunisti sui democristiani è mutato negli anni. La DC non viene più definita il partito della borghesia, dei monopoli, del capitalismo, come si diceva, pur con molti distinguo, negli anni cinquanta; invece, si riconosce in essa l'esistenza di forze popolari, democratiche e antifasciste, che pur minorita'rie, potrebbero determinare un mutamento profondo della linea del partito. Un'analisi ben diversa da quella svolta dai radicali. Non può non essere diversa, altrimenti si collocherebbero in una luce ambigua le profferte di compromesso e •di collaborazione, beninteso nel quadro di.un cambiamento degli indirizzi di fondo della politica italiana. Ma se è vera l'analisi prima delineata della composizione sociale della DC e delle éiites dirigenti, se è vero che nessun democristiano aspira a diventare l'Allende italiano, allora il richiamo comunista ai tempi eroici della resistenza, alle coalizioni allargate dei padri fondatori, è destinato a cadere nel vuoto. A meno che il PCI non compia una « svolta a destra » ancora più vistosa della « svolta di Salerno ». Il rapporto tra democristiani e comunisti è condizionato dalle alleanze scelte da ognuna delle due parti. Viceversa, sono importanti anche le scelte che compiono i gruppi di interesse. Ad esempio, in L'iceberg democristiano, 1974, G. Tamburrano avanza l'ipotesi che E. "Cefis e il gruppo di potere che a lui fa riferimento, in quanto interessati alla modernizzazione e contrari allo spreco, finiranno con lo staccarsi dalla DC. Sempre sul piano delle congetture, non delle previsioni, in La crisi italiana e la destra internazionale, 1974, G. Galli fa l'ipotesi che il « governo invisibile » (pressapoco ciò che da altri viene invece definito « circoli reazionari e imperialistici americani ») possa prendere in considerazione, ai fini della conservazione dell'impero e
della stabilità sociale, i partiti comunisti in quanto fattori di ordine e di equilibrio in Europa, nella logica del « male minore rispetto ai movimenti più radicali. I
LIMITI DELL'OPPOSIZIONE COMUNISTA.
Nel modello interpretativo di G. Sartori, al PCI si applica la nozione di partito antisistema, e non quella di opposizione costituzionale, in quanto quest'ultima « presuppone la leale accettazione delle regole del gioco e il proposito di cambiare un governo non il sistema » (Bipartitismo imperfetto o pluralismo polarizzato? 1966, pag. 7). 'La sinistra ha ovviamente rifiutato questa tesi, sostenendo che essa conduce quanto meno ad un equivoco, poiché 'non tiene conto « di alcuni dati di per sé significativi in senso opposto quali l'accettazione del quadro costituzionale, l'aver contri4uito anzi a crearlo, la partecipazione attiva all'a vita costituzionale, l'utilizzazione degli stessi strumenti che la Costituzione offre, il rifiuto di strumenti di lotta politica incom•patibili con le regole costituzionali, il contributo decisivo alla attuazione del disegno programmatico implicato dalle prescrizioni costituzionali» (Ferrara, Il governo di coalizione, 1972, pp. 82-83, nota 37). Più recentemente, il Sartori 'ha ribadito ancora la sua opinione in merito a questa connotazione. Egli sostiene che l'Italia è caratterizzata dalla presenza di grandi forze, come il POI e il MSI, che sono non legittimanti', ma delegittimanti del sistema politico nel quale operano. Ed invita ad una 'verifica empirica di questa affermazione, attraverso un'analisi di contenuto della propaganda e della stampa (R.ivisitando il "plural'ismo p0larizzato", 1973, pp. 213-214). Nella sua formulazione più perentoria questa tesi induce a facili polemiche, soprattutto perché la nozione di « sistema » non è sufficientemente specificata, e quindi, come vedremo, si può sostenere, e molti infatti ne sono convinti, che al di là delle prese di posizione sulla stampa e nella propaganda, il 'PCI invece di essere « antisistema» è un solido sostegno del « sistema » ( 4).
(4) Cfr. ad es., guanto sostiene Giorgio Galli: « ... in ormai trent'anni di storia della democrazia rappresentativa in Italia, il PCI ha tentato di giovare al sistema con tutte le scelte politiche coscienti del suo gruppo dirigente » (Dal bipartitismo imperfetto alla possibile alternativa, 1975, pag. 148).
La tesi del Sartori è comunque significativa, in quanto riflette, ad un più compiuto livello teorico, sia il punto di vista di rilevanti forze politiche in Italia e negli Stati Uniti sia il punto di vista •di tutto l'elettorato anticomunista. Nel 1965, commentando la nota ricerca di Almond e Verba sulla partecipazione politica in cinque diversi paesi, Alberoni sottolineava che nelle risposte ai questionari il sistema socio-politico italiano, a confronto con vecchie democrazie come gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, ci appare dilaniato da manichee contrapposizioni persecutive, per le fortissime, radicali divisioni ideologiche, e per la violenta intolleranza degli avversari: « ciascuno vede la gente della propria parte pressoché perfetta e quella della parte avversa assolutamente imperfetta. Il bene è da una parte sola e così la libertà, l'intelligenza, etc.; di contro, il male, l'errore, etc. sono tutti dall'altra parte» (L'integrazione dell'immigrato nella società industriale, 1966, pag. 316). Nonostante tutto quello che è avvenuto in Italia dal 1967 in poi, c'è motivo di credere che in questo giro di tempo tali profondi convincimenti della gente siano stati indeboliti, non radicalmente mutati (5). In una ricerca sulla cultura politica e le tendenze dell'elettorato durante le elezioni del 1972, G. Sani nota che « dopo una penetrazione iniziale assai rapida, il PCI procede lentamente, come se il partito si trovasse a fronteggiare una barriera assai solida ». (La strategia del PCI e l'elettorato italiano, 1973). Questa ricerca attribuisce il radicato anticomunismo della maggioranza dell'elettorato (che mantiene una rigida preclusione sia nei confronti del PCI sia del MSI), ad una percezione del PCI come partito anticlericale, oppure non impegnato al mantenimento delle istituzioni democratiche, coinvolto nei disordini e degli atti di violenza politica, legato all'URSS e al movimento comunista internazionale.
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Il radicato anticomunismo di larga parte, forse la grande maggioranza, dell'elettorato italiano, e il timore delle reazioni a livello internazionale, giocano un ruolo preponderante nel mantenere una situazione di stallo, impedendo una evoluzione politica verso una alternanza o un assorbimento del PCI nella coalizione governativa (sul rischio dell'< ipoteca cilena », ofr. Elia, Perché l'italia si è tenuta e si tiene questo sistema di governo, 1973, pp. 227-228). Ma, è necessario distinguere tra la percezione che una parte dell'elettorato e degli osservatori hanno del PCI, e la percezione che ne hanno altri osservatori e altro elettorato. Nonostante il PCI possa per certi versi essere definito un partito antisistema, sono per altri versi ben noti i limiti dell'opposizione comunista al sistema. Basta ricordare le scelte spregiudicate del partito al momento del suo reinserimento nell'arena politica, dopo la parentesi fascista. Nel '44, Togliatti non diede alla disputa istituzionale il peso che le davano i socialisti. Si incontrò con Vittorio Emanuele, entrò nel governo Badoglio e poi nel secondo governo Bonomi. Non diede a Parri un appoggio consistente, come ministro della giustizia diede magnanima amnistia ai fascisti, né si intestardì sul problema dell'epurazione. Concordò l'approvazione dell'articolo 7 della Costituzione, e cercò sempre, fino alla fine, il compromesso diretto con i cattolici. Come ha scritto Longo, commemorando il decennale della sua scomparsa: « Togliatti vide sempre nell'intesa tra il PCI e il PSI, da un lato, e di questi due partiti con la DC, la pietra angolare per costruire in italia una democrazia solida, efficiente... ». La « doppiezza» del gruppo dirigente comunista poteva essere interpretata, allora, come un tentativo di non farsi tagliare fuori dalla legalità. Ma, trascorsi degli anni e caduto in parte quel presupposto, quelle scelte appaiono come strategia e
(5) E' la stessa tesi sostenuta di recente da Alberoni, secondo cui molti di coloro che dopo il referendum si sono spostati a sinistra « non sono affatto di sinistra, non Io sono mai stati. E' gente che, nel '64 guardava inorridita le minigonne e sperava che gli americani mettessero a posto quei gialli del Vietnam; è la stessa gente che insultava e disprezzava i capelloni nel '65 e che, nel 1968, considerava gli studenti dei rivoluzionari forcaioli, gli operai del '69 dei sabotatori pagati e che, ancora nel 1970, giudicava le femministe delle lesbiche insoddisfatte Se le cose stanno così essi costituiscono ancora una massa potenzialmente instabile in cui la paura esaspera l'incertezza e viceversa. Non ci si dovrebbe meravigliare se in un tempo non molto lungo, il loro orientamento dovesse cambiare di nuovo, magari bruscamente » (« Corriere della sera », 29 agosto 1974, pag. 3). ...
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10 non come tattica, sono un dato permanente insito nella stessa linea politica del PCI, partito comunista a suo modo rivoluzionario e a suo modo garante dello sviluppo democratico in Italia. Secondo il Tarrow, nel PCI, che concilia il leninismo e la Costituzione, si rileva appunto una contraddizione tra l'aspetto ideologico e quello strategico; infatti attraverso la scelta togliattiana del « partito nuovo » e della «via italiana al socialismo », il PCI perde la connotazione di partito leninista orientato a una conquista violenta del potere, e sceglie una strategia gradualista e so'lidarista. Inoltre, accetta le istituzioni borghesi, e al classismo preferisce una politica di vaste alleanze, «un movimento populista amorfo che stende la sua rete attraverso i diversi strati di una società •frammentata e cerca soluzioni che possano unire gruppi disparati» (Partito comunista e contadini nel mezzogiorno, 1972, pag. 224). A costo di subire, nel Mezzogiorno, la stagnazione elettorale degli anni '60, e di essere poi scavalcato dalla destra, che gestisce in maniera eversiva i vuoti di presenza della sinistra. L'azione dei comunisti nel dopoguerra è diretta soprattutto a rafforzare la presenza del partito nella società civile. Infatti, il PCI è oggi una complessa macchina economica e organizzativa: nelle provincie, nelle regioni e nei comuni collabora all'amministrazione di ventun milioni di italiani; è la forza politica più legata ai sindacati; svolge un ruolo essenziale di mediazione degli scambi commerciali con l'Est; controlla una larga rete di iniziative imprenditoriali e cooperative: dalle assicurazioni all'edilizia, dal consumo a vari servizi di pubblica utilità. A livello ideologico, poi, il PCI ha riconosciuto da tempo i valori del pluralismo, della libertà religiosa e culturale; •ha rifiutato i principi leninisti della dittatura del proletariato e della frattura della continuità costituzionale, accentuando invece i temi del consenso, della partecipazione e della persuasione. Sia sul piano ideologico, sia sul piano delle enunciazioni programmatiche, sia infine sul piano concreto del comportamento legislativo e della organizzazione del potere locale, c'è stata secondo molti nel corso di trent'anni una specifica Bad Godesberg
del PCI (ad es. C. Ripa Di Meana, La Bad Godesberg silenziosa del comunismo italiana, 1974). Come è noto, il partito comunista ha sostenuto in prima linea tipiche battaglie socialdemocratiche, quale quella per le pensioni, che fu la carta vincente delle elezioni del '68; come ha sostenuto (le malelingue insinuano controvoglia) battaglie tipicamente liberali, quale quella per il divorzio; si è pronunciato possibilista nei confronti della partecipazione italiana alla NATO; ha riscoperto «il ruolo essenziale della piccola e libera imprenditorialità ». Le ricerche di Predieri e Cazzola sul processo legislativo hanno messo in evidenza che nel Parlamento i rapporti tra comunisti e maggioranza «si sono svolti sempre all'insegna della contrattazione e per certi aspetti del compromesso », come dimostra il fatto che « quasi i tre quarti della legislazione italiana prodotta tra il 1948 e il 1971 hanno trovato consenzienti i comunisti» (Cazzola, Partiti e sottogoverno, 1974, pag. 99). Nella quinta legislatura la tendenza si è accentuata, in quanto non soltanto le leggine, ma anche la legislazione di più rilevante interesse generale è stata sostenuta dal PCI, a volte in maniera determinante, attraverso 'l'astensione o il voto favorevole. Sulla base di considerazioni di questo tipo, si può giungere a conclusioni diametralmente opposte a quelle di chi insiste sulla definizione del PCI come partito antisistema: « Il PCI è un partito tra gli altri; più moderato di altri qualche volta... Ha soprattutto il difetto di ritenere, a partire da una analisi pessimistica, tragica addirittura, delle prospettive possibili della lotta di classe in Italia e in Europa, da una solida ma statica valutazione della realtà di potenza del mondo, che le «generose illusioni » siano sempre tali e che l'unica possibilità è un'accorta amministrazione della forza esistente, ma senza agitarsi troppo perché gli unici mutamenti radicali possono essere solo in peggio. Quieta non movere et mota quietare ». (Ciafaloni, Sul partito comunista italiano, 1973, pp. 25-26). I non comunisti elencano una lunga lista di cose che si possono pretendere dal 'PCI: la democrazia interna, un dissenso non sfumato e diplomatico nei confronti dell'URSS, l'analisi critica del « socialismo realizzato »,
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11 una profonda revisione ideologica, una minore disponibilità all'abbraccio con gli integral'isti cattolici, una maggiore disponibilità per la difesa dei diritti civili, etc. Ma, soltanto per una diversa scelta di campo, come espediente polemico, può essere negato l'alto livello di integrazione e di legittimazione del PCI nel sistema costituzionale e nel sistema di potere attuale. Su un'analisi di questo tipo convengono i sociologi radicali, gli extraparlamentari (6) e molte forze moderate. Anzi, proprio coloro che vogliono alto lo steccato anticomunista, sono gli stessi che attestano con dovizia di argomenti la corresponsabilità comunista nella edificazione dell'odierna struttura sociale e istituzionale. Infatti, dice La Malfa, « chi ha seguito da molti anni in qua l'attività parlamentare, come i repubblicani l'hanno seguita, sa che le strutture pubbliche e semipubbliche parassitarie e improduttive sono state opera congiunta della DC del PSI e del PCI e delle loro appendici sindacali. Le regioni si sono sovrapposte alle province, che secondo il giudizio repubblicano dovevano essere soppresse, per volere dei tre partiti. Nello stesso modo sono state volute le regionalizzazioni e le municipalizzazioni di molte imprese, la creazione di enti pubblici di gestione con passività di bilancio crescente, l'allargamento sproporzionato di molti quadri burocratici, l'estensione della pensione di invalidità a chi invalido non era, e così 'via di seguito. 'E le esemplificazioni non fin.irebbero mai. Nel campo di queste degenerazioni, nessuno dei tre grossi partiti può lanciare la prima pietra e dirsi immune da colpa, anche se oggi tenta di farlo » ( 7). In ultima analisi, la definizione del PCI come partito antisistema attiene più alla scelta di interesse e di ideologia da parte dell'osservatore, anziché alla vera natura del partito. Tra la «prospettiva greca » e la « prospettiva cilena », il PCI ha sempre
esternato come suo primo problema la conservazione a tutti i costi, e poi, se Dio vuole, DC permettendo, anche il progresso del quadro democratico-rappresentativo garantito dalla Costituzione (G. Galli, L'intersecazione delle' classi sociali nei partiti, in Il caso italiano, 1973). Sebbene sia osservazione lapalissiana, ricordiamo che la proposta del « compromesso storico » venne avanzata da Berlinguer dopo •i fatti cileni, in articoli di commento di quell'amara esperienza del movimento operaio. La scelta di questa linea strategica risale a molto tempo prima: la politica togliattiana, la svolta di Salerno, la collaborazione coi governi di unità nazionale insieme alla DC. Allora come in seguito, il problema per il PCI era costituito non soltanto dalla ovvia alternativa tra andare al governo o restare all'opposizione,' ma anche dalla inquietante prospettiva di essere espulso ai margini della legalità, secondo il collaudato esempio greco o secondo la più breve via della messa al bando, che veniva sostenuta dalle pressioni americane e vaticane ('N. Kogan, La politica estera italiana, 1965, pag. 176). Prima dei fatti cileni, riaffermando la tesi principale del XIII Congresso Nazionale del PCI, (la collaborazione tra le grandi correnti popolari della storia, della cultura e della politica italiana: cattolica, socialista e comunista), G. Chiaromonte rilevava che l'obiettivo di mutare la linea politica della DC « non è semplice, né facile. E tuttavia non ne vediamo altri possibili, al di 'fuori di proposizioni più o meno avventurose che procurerebbero, quasi certamente al popolo italiano, sofferenze e lutti e fratture profonde. Da tutta la storia del nostro popolo emerge in'sece la necessità di un processo pacifico e democratico: a questa esigenza si ispira la nostra politica verso « il mondo cattolico », e verso la DC» (I conti con la DC, « Rinascita - Il contemporaneo », 25 maggio 1973, pag. 14).
Come si sa, è istruttivo l'album delle polemiche tra il PCI ed extraparlamentari. Una citazione per tutte, in merito alla legge di finanziamento dei partiti: « ... la legge modifica la collocazione politica d'un partito, che si voleva comunista e di classe, rendendolo partecipe dello stato, alimentato da esso, sua sottostruttura; e questo ben sentono i compagni della base, e con vergogna. Tanto più che a questo mutamento si aggiunge la pesante contropartita data, questa -sì esplicitamente, dal PCI: il finanziamento del MSI. » (R. R., in « Il Manifesto », 8 giugno 1974). Anche PCI e PSI colpevoli della crisi, «Corriere della sera », 10 luglio 1974. Una recente organica summa delle tesi lamalfiane è contenuta nel volume La Caporetto economica, Rizzoli, Milano, 1974.
12 LE COMPONENTI INTERNAZIONALI E I GRUPPI DI PRESSIONE.
Le analisi della società politica italiana tendono spesso a concentrare l'attenzione sui partiti e a scontare con la clausola del coeteris paribus tutte le variabili esterne, che pure esistono ed hanno carattere condizionante della meccanica di funzionamento del sistema. Pensiamo al ruolo svolto dalle gerarchie ecclesiastiche nel determinare i due più grandi mutamenti di schieramento delle aggregazioni partitiche: il voto del 18 aprile e l'avvento del centrosinistra; oppure, in sottordine, al grado di autonomia e alla capacità di incidenza nella lotta politica di alcune isole di potere, grandi feudalità come la Coltivatori diretti, o la Montedison, o gli enti dell'amministrazione straordinaria (In, Eni, Eflm, Egam, etc.). Nel passato, le analisi dei gruppi di pressione, che all'estero costituiscono uno dei filoni riconosciuti degli studi di scienza politica, non hanno avuto da noi molta fortuna. Infatti, le eccezioni sono costituite da studiosi stranieri, come ad es. J. La Palombara, in un libro notevole, ma ora un po' invecchiato (Clientela e parentela. Studio sui gruppi di pressione in Italia, 1967). In un certo senso l'interesse per i gruppi di pressione è ritornato più di recente nell'analisi di osservatori (soprattutto giovani e in ricerche ancora non tutte pubblicate) che hanno messo in rilievo la compenetrazione esistente tra settori della politica e della economia, cioè tra Democrazia Cristiana e sottogoverno. Noti esempi di questa tendenza sono: P. A. •Allum, Potere e società a Napoli nel dopoguerra, 1975, e E. Scalfari - L. Turani, Razza padrona. Storia della borghesia di stato, 1974. Invece, non ha più seguito il tema della incidenza della istituzione ecclesiastica sulla vita politica italiana, che negli anni sessanta costituiva un passaggio obbligato del dibattito politico. Si è diffusa tra gli osservatori l'impressione di una sostanziale messa ai margini del problema; è stato sostenuto che questo punto di vista è riduttivo, in
quanto non tiene conto di un elemento decisivo per la stabilità del sistema e per l'organizzazione degli interessi che lo sostengono (cfr. S. Ristuccia, Questione cattolica, concordato, sistema politico, 1975). Un problema cui al contrario da qualche tempo, dopo i fatti cileni, si presta più attenzione è la possibile incidenza di variabili di carattere internaziona! Per molti aspetti gli stati sono sottosistemi di un insieme più ampio, il sistema internazionale. Se ciò è vero, la distinzione tra politica interna e politica estera va vista sotto una nuova luce: « Politica monetaria e dell'agricoltura, problemi delle società multinazionali, politica industriale, la quantità e la qualità di quello sviluppo economico che costituisce oggi l'obiettivo primo di ogni stato, sono insieme problemi interni e internazionali. I legami tra i vari stati e le varie società sono molteplici e coinvolgono ogni settore dell'amministrazione e ogni gruppo di interesse. La molteplicità e la complessità dei legami presi in considerazione permettono di cominciare a pensare al sistema internazionale non come ad un vuoto inframolecolare ma come un vero e proprio sistema politico. Pur se mancano alcune caratteristiche che siamo abituati a collegare a questa espressione, l'incidenza del sistema internazionale sui sistemi statali è infatti tale che esso si pone come un universo necessario» (Bonanni, intr. a AA.VV., L'Italia nella politica internazionale, 1973, P. XIII; cfr. anche S. Silvestri, The international Political System, 1974, pp. 175-178). La cronaca corrente del dibattito politico dà un notevole rilievo ai problemi di politica estera (8) e registra, anche a livello di locuzioni d'uso comune (partito con findustriale, partito vaticano, partito americano, partito della crisi), la percezione di forze di pressione che dall'esterno della società politica ne determinano la meccanica interna; mentre gli studi politologici, tranne qualche eccezione (Pasquino, Pesi nazionali e contrappesi internazionali, 1973), tendono a mettere in ombra il peso delle variabili esterne. Una impostazione di ra-
(8) Cfr, ad es., quanto scrive M. Tito, in « Il Corriere della sera», 19 ottobre 1974, p. 1: « Come mai è accaduto prima, la politica estera pesa adesso sulle trattative per la formazione del governo. Pesa in modo ambiguo: quasi ignorata, ad essa risale praticamente tutto )>.
13 dicalismo politologico è stata teorizzata, ad esempio, dal Sartori che rifiuta un'analisi discendente dalla società civile ai partiti, o dal sistema internazionale ai partiti, e sottolinea invece la capacità euristica e la validità scientifica di un'analisi esplicativa che risale dai sottopartiti ai partiti, e dai partiti ai sistema politico complessivo. A partire da tale impostazione si stabilisce una catena causale più o meno di questo tipo: sistema elettorale proporzionale, estrema frammentazione partitica e infrapartitica, debolezza dell'esecutivo, persistenza delle divisioni e delle crisi irrisolte della società italiana. Con conseguente verdetto negativo, da un punto di vista predittivo, sulle possibilità di sopravvivenza di un assetto molto simile a quello della Repubblica di Weimar e della IV Repubblica francese. Molti osservatori, pur non consapevoli di queste diverse impostazioni e magari arrivando a conclusioni diametralmente opposte, si situano in logiche dello stesso genere. Lo spartiacque, oltre che di carattere metodologico e accademico, è probabilmente anche di carattere ideologico: chi ha una concezione elitistica della lotta politica tende a dare maggiore importanza al ruolo dei partiti e alla selezione delle loro dirigenze; chi non ce l'ha tende invece a dare maggiore rilievo ai fattori economici e sociali, alla lotta di classe, ai condizionamenti storici e strutturali. Ovviamente, la distinzione non è rigida, e prevede delle eccezioni. Ad esempio, una posizione comprensibile sotto altri punti di vista sostiene l'on. La Malfa, che spiega la crisi italiana accusando soprattutto l'inadeguatezza delle forze politiche dirigenti, ma nonostante questa chiara pregiudiziale elitista rifiuta come ulteriore fattore causale il tipo di sistema elettorale. Come sostengono una posizione comprensibile sotto altri punti di vista i comunisti, che dopo un'analisi marxista, per definizione, della crisi italiana, propongono per terapia una operazione quale il « compromesso storico », che pur con le sue fondamentali conseguenze di politica generale è innanzitutto un'incontro di vertice fra due diverse dirigenze politiche. Comunque, al di là delle formule politiche, il nodo dei fattori esterni alla dialettica
della società politica è veramente estraneo e lontano, risiede cioè nel contesto internazionale in cui si situa l'orticello politico locale. Già nel 1949, Di Vittorio sottolineava quanto l'economia italiana fosse subordinata a quella americana, sì da esserne completamente prigioniera ». Il confronto fra alcuni dati relativi al 1938 e altri relativi al 1949 indicava i radicali mutamenti introdotti dall'attuazione del piano Marshall: le importazioni italiane dall'area del dollaro erano quasi triplicate, aumentando dal 16,3% al 33,2% del totale; parallelamente, le importazioni « dall'Europa marshallizzata» si erano più che dimezzate, scendendo dal 42 al 19,8%: quelle dall'Europa orientale ovviamente erano calate, dall'11,5 al 5,2 (citato in S. Turone Storia del sindacato in Italia, 1943-1969, p. 205). Come e più di altre nazioni ad elevato sviluppo industriale, in concomitanza con la scomparsa dello stato sovrano ottocentesco, l'Italia, con la partecipazione alla CECA, alla NATO e al piano Marshall si è inserita nelle interdipendenze dell'area economica e politica occidentale. La « scelta di civiltà » dell'alleanza atlantica, l'alto livello di commercio con l'estero, il carattere multinazionale delle più importanti compagnie italiane, la presenza di una grande organizzazione sovranazionale come la chiesa, spostano fuori dai confini geografici nazionali, verso un contesto internazionale, molte ragioni delle scelte che le forze politiche compiono sul piano interno. La considerazione precedente vale da due punti di vista diversi ma speculari. Forze politiche sovranazionali esercitano un certo potere di veto e d'intervento nei confronti di alcune ipotesi di politica interna; e le forze politiche nazionali esercitano sul piano dello scontro politico in Italia, un uso simbolico dei problemi internazionali (Hoffmann, Pranzo a tre nella politica estera italiana, 1973). Così i democristiani fanno la politica estera in funzione di quella interna: mediante l'atiantismo mantengono gli equilibri di potere tenendone fuori il PCI; e i comunisti, che ribadiscono la propria appartenenza al movimento comunista
14 internazionale (9) in politica interna finalizzano la loro azione a evitare la « prospettiva greca » del 1944 o la « prospettiva cilena » del 1973, e a ricercare l'accordo con la chiesa, nella sua espressione più concreta di potenza nazionale a carattere sovranazionale. Grandi potenze esterne come la chiesa e gli Stati Uniti svolgono quindi una cospirazione autorizzata, non solo e non tanto per difendere i propri interessi materiali in terra italiana, ma innanzitutto perché l'oligarchia politica nazionale in maniera compatta è parte ditale costellazione transnazionale di interessi e fa della sua subordinazione un mandato, il viatico della sua egemonia. Che poi, al di là di ogni giudizio di valore, al di là della letteratura fantapolitica sulla CIA e dell'aneddotica sui par. roci in provincia, ci sia un reale esercizio di veto e di intervento sulle grandi questioni di schièramento, sarbbe ingenuo non aspettarselo; e forse da stupidi non esercitano. Le sorti precarie dell'economia e le tensioni sociali che ne derivano rendono oggi l'equilibrio italiano particolarmente sensibile alle influenze straniere. Il caso cileno esemplifica l'importanza che, in una situazione di difficoltà della bilancia dei pagamenti, hanno i prestiti esteri, non solo al livello dell'aiuto solidale dei governi amici, ma anche al livello dei grandi organismi finanziari internazionali che, sulla base di motivazioni politiche, possono manovrare lo strumento creditizio al fine di ammorbidire o di moltiplicare gli acuti contrasti sociali caratteristici dei periodi di crisi e di transizione. L'ingresso dei comunisti al go-. verno, sia attraverso l'alternativa di sinistra sia attraverso il « compromesso storico », deve essere considerato tenendo conto delle variabili esterne al sistema politico italiano: « il compromesso storico può garantire un
lungo periodo di prevedibilità economica, e quindi una politica più coerente di investimenti, privati e pubblici. Quindi, sia dal punto di vista interno, sia dal punto di vista internazionale, il compromesso storico troverebbe consensi. Anche dal punto di vista politico, il consenso europeo non dovrebbe mancare, perché la preoccupazione maggiore, oggi, riguarda la stabilità dei rapporti economici ed anche quelli politici vengono dominati da questa considerazione (lo spauracchio degli anni Trenta, etc.). Tuttavia è certo che il compromesso storico può arvve. nire solo se si danno « certe garanzie» al Dipartimento di Stato: sarebbe ingenuo pensare di poterne fare a meno ». (Farneti, in « Biblioteca della libertà », n. 51, 1974, pag. 45). Il ruolo svolto dalle variabili di politica internazionale può essere interpretato in maniera più o meno pessimistica (10), in ogni caso non può essere messo tra parentesi. Le possibilità di sviluppo di questa situazione, sia per il processo di distensione, sia per l'evoluzione dei rapporti nella C:E.E., sia per la dimensione nazionale della crisi economica mondiale, sia per quanto riguarda i problemi dell'area mediterranea,. è questione che rimanda alle vicende politiche future. INDICE BIBLIOGRAFICO RAGIONATO DEGLI STUDI POLITOLOGICI. Questa bibliografia è a carattere orientativo, non enciclopedico, quindi vengono citate non tutte le opere scritte sugli argomenti presi in esame, ma la letteratura più recente (dal 1970 circa) e soltanto alcuni scritti fondamentali ancora significativi della letteratura meno recente. La ripartizione per capitoli e per argomenti è inevitabilmente in qualche misura arbitraria. Sono escluse, tranne eccezioni di rilievo, le opere di carattere più propriamente occasionale, polemico, memorialistico, storico e giuridico, anziché politologico. Per quanto riguarda le interpretazioni che i partiti
In I comunisti italiani, 1974, Timmermann nota che non soltanto il movimento comunista internazionale è una realtà eterogenea in cui il PCI ha una posizione propria, ma che, per di più, le proposte dei comunisti italiani vengono guardate con sospetto dalla ortodossia sovietica, in quanto potrebbero incoraggiare esperimenti revisionistici e autonomistici nei paesi dell'Est. Cfr. ad es. quanto affermato dall'on. La Malfa: « La posizione presente mi sembra delicatissima... negli Stati Uniti, lalterazione dell'equilibrio interno italiano potrebbe essere male interpretata e stimolare, non diciamo il governo americano, ma alcuni gruppi americani, ad iniziative lesive della nostra indipendenza nazionale e della nostra democrazia interna. » (in « L'Espresso », n. 43, 27 ottobre 1973, p. 180).
15 danno di se stessi, si rinvia ai congressi, ai convegni ideologici, alle pubblicazioni di partito. Restano esclusi i contributi che riguardano soggetti istituzionali e organi costituzionali come il parlamento e il governo, in quanto saranno oggetto di altre rassegne bibliografiche in questa stessa collana. La bibliografia non si estende sino all'esame della letteratura sui partiti minori, per qualche indicazione in proposito e per altre ulteriori eventuali carenze si rinvia alle ottime appendici di bibliografia ragionata che si trovano in P. FARNETI, Il sistema politico italiano, Il Mulino, Bologna 1973, e in G. GALLI, I partiti politici italiani, Utet, Torino 1974. Testi che analizzano l'avanzamento degli studi politologici sul sistema politico italiano: N. Bosio, Teoria e ricerca politica in Italia, « Il Politico », 1961, pp. 2 15-233.
A. SPREAFIc0, Studi politici e scienza politica in Italia, in Annuario politico italiano, Comunità, Milano 1965, pp. 202-230. G. PASOUINO, Interpretazioni del sistema politico italiano, « Rivista italiana di scienza politica », IV, 1974. F. CAZZOLA, Partiti e sottogoverno. Note sul sistema politico italiano, « Rassegna italiana di sociologia », n. 3, 1974, pp. 351-385. Le principali interpretazioni del sistema politico nell'Italia fascista e prefascista: B. CROCE, Storia d'Italia dal 1871 al 1915, Laterza, Bari 1967 (I ed. 1928). CHABOD, L'Italia contemporanea (1918-1948), Torino, Einaudi 1961. R. DE FELICE, Le interpretazioni del fascismo, Laterza, Bari 1963. P. FARNETI, La crisi della democrazia italiana e l'avvento del fascismo: 1919-1922, « Rivista italiana di scienza politica », n. 1, 1975, pp. 82. P. FARNETI, Sistema politico e sociale civile, Giappichelli, Torino 1971. GALLI, I partiti politici in Italia, Utet, Torino 1974. G. MARANINI, Storia del potere in Italia, VaIlecchi, Firenze 1968. C. MoRANIJI, I partiti politici nella storia d'Italia, Le Monnier, Firenze, 1963, ed. nv. R. ROMEO, Risorgimento e capitalismò, Laterza, Bari, 1963. G. SALVEMINI, Il ministro della malavita e altri scritti sull'italia giolittiana, a cura di E. Apih, Feltrinelli, Milano, 1966. Testi che affrontano il problema della trasformazione del sistema politico nel passaggio dal fascismo alla repubblica, giudicando il tema dalla continuità o rottura istituzionale: A. GAMBINO, Storia del dopoguerra dalla Liberazione al potere DC, Laterza, Bari, 1975. A. LEPRE, Dal crollo del fascismo all'egemonia moderata. L'Italia dal 1943 al 1947, Guida, Napoli, 1973.
C. PAVONE, Sulla continuità dello stato 19431945, « Rivista di storia contemporanea », n. 2, 1974, pp. 172-206. E. PISCITELLI, Da Parri a De Gasperi, Feltrinelli, Milano, 1975. S. J. WooLF (a cura di), Italia 1943-1950. La Ricostruzione, Laterza, Bari, 1974. Per una informazione di base sulle vicende politiche del dopoguerra: N. KOGAN, L'italia del dopoguerra, Storia politica dal 1945 al 1966, Laterza, Bari, 1966. C. DI ToRo-A. ILLUMINATI, Prima e dopo il centro-sinistra, Edizioni di Ideologie, Roma, 1970. TAMBURRANO, Storia e cronaca del ceni rosinistra, Feltrinelli, Milano, 1971. G. MAMMARELLA, L'Italia dopo il fascismo, 1943-1973, Il Mulino, Bologna, 1974. Testi che, pur non riferendosi all'analisi della società politica, contengono molte utili indicazioni: J. LA PALOMBARA, Clientela e parentela. Studio sui gruppi di pressione in Italia, Comunità, Milano, 1967. A. Pizzoar'o, I sindacati nel sistema politico italiano: aspetti storici, in « Rivista trimestrale di diritto pubblico », XXI, 1971, pp. 197-209. E. SCALFARI, L'autunno della Repubblica, Milano, Etas Kompass, 1969. SCALFARI-L. TURANI, Razza padrona. Storia della borghesia di stato, Feltrinelli, Milano, 1974. M. SALVATI, L'origine della crisi in corso, in « Quaderni piacentini », n .46, 1972. P. SYLOS LABINI, Saggio sulle classi sociali, Bari, Laterza, 1974. S. TURONE, Storia del sindacato in Italia, 19431969, Laterza, Bari, 1974. Antologie e miscellanee che contengono studi significativi: A. SPREAFICO-J. LA PALOMBARA (a cura di), Elezioni e comportamento politico in Italia, Comunità, Milano, .1963. M. .Doo-O. M. PETRACCA (a cura di), Partiti politici e strutture sociali in Italia, Comunità, Milano, 1968. G. SIvINI (a cura di), Partiti e partecipazione in Italia, Giuffrè, Milano, 1969. P. FARNETI (a cura di), Il sistema politico italiano, Il Mulino, Bologna, 1973. L. CAVAZZA-S. R. GRAUBARD (a cura di), Il caso italiano: Italia anni '70, Garzanti, Milano, 1974. M. CACIAGLI-A. SPREAFICO (a cura di), Un siste-
ma politico alla prova. Studi sulle elezioni politiche del 1972, Il Mulino, Bologna, 1975.
Molte informazioni e analisi sul sistema politico italiano si trovano nelle ricerche sulla artecizione politica dell'Istituto di Studi e Ricerche « Carlo Cattaneo »:
16 P. ALBERONI (a cura di), L'attività di partito, Il Mulino, Bologna, 1967. G. GALLI (a cura di), Il comportamento eletto-
rale in Italia. Un'indagine ecologica sulle elezioni in Italia fra il 1948 e il 1963, Il Mulino, Bologna, 1968.
A. MANOUKIAN (a cura di), La presenza sociale del PCI e della DC, Il Mulino, Bologna, 1968.
G. Poci (a cura di), L'organizzazione partitica del PCI e della DC, Il Mulino, Bologna, 1968.
Ricerche empiriche e studi teorici che vertono sul ruolo delle ideologie, sui temi della partecipazione e della apatia politica: BANFIELD, The moral Basis of a backward Society, Glencoe (111.), The Free Press, 1958.
G. ALM0ND-S. VERBA, The Civic Culture. Political Attitudes and Democracy in Five Nations, Princeton University Press, Princeton, 1963. ALBERONI -M. BAGLIONI, L'integrazione dell'immigraf o nella società industriale, Il Mulino. Bologna, 1966. J. LA PALOMBARA, Italy Fragmentation, Isolation and Alienation, in G. Pye-S. Verba (a cura
di), Political Culture and Political Development, Princeton University Presse, Princeton, 1965.
AA.VV., La partecipazione politica in Italia,
numero speciale di « Quaderni di sociologia », n. 3-4, 1966. J. LA PALOMBARA, Il « declino delle ideologie »:
un dissenso e una interpretazione (il caso italiano), in O. SIVINI (a cura di), Partiti e partecipazione politica in Italia, op. cit., 1969,
pp. 75-102. A. SPIt.4FIco, Ideologia e comportamento politico, Comunità, Milano, 1970, in particolare pp. 58-66. O. DE PALMA, Apaty and Partecipation. Mass Polifics in Western Society, The Free Press, New York, 1970. Testi specificamente dedicati all'analisi dei risultati elettorali: IPSEVICH-ZAMPETfl, Elezioni 1972. Risultati e confronti, Pan, Milano, 1972. C. GHINI, Il voto degli italiani, Editori Riuniti, Roma, 1975. A. BELFIORE-L. GIRARifi (a cura di), L'I talia elettorale, Edizioni di Civitas, Milano, 1975. Per un'interpretazione del referendum sul divorzio: GALLI, Referendum e sistema politico italiano, « Il Mulino », n. 233, 1974, pp. 396-409. M. GUADAGNINI-M. OLAGNERO, Ipotesi di lettura dei risultati del referendum, « Biblioteca della libertà », n. 49-50, 1974, pp. 137-156. A. MARRADI, Analisi del referendum sul divorzio, « Rivista italiana di scienza politica », n. 3, 1974, pp. 489-644. A. PARISI, Questione cattolica e referendum: l'inizio della fine, Il Mulino, Bologna, 1974. O. M. PETRACCA, Il cifrario del referendum, «Biblioteca della libertà », n. 49-50, 1974, • pp. 11-20.
Sul «compromesso storico » è fondamentale il fascicolo monografico, n. 51, 1974, della rivista «Biblioteca della libertà » diviso in due parti: una di interventi originali, una di documentazione comprendente scritti precedentemente pubblicati su altri organi di informazione. Interventi di: Giorgio Amendola, Adolfo Battaglia, Giorgio Benvenuto, Guido Bodrato, Pierre Carniti, Gerardo Chiaromonte, Luigi D'Amato, Giuseppe De Rosa, Paolo Farneti, Enzo Forcella, Vittorio Gorresio, Antonio Landolfi, Arrigo Levi, Nicola Matteucci, Cesare Merlini, Giangiacomo Migone, Gian Piero Orsello, Piero Ottone, Gianfranco Pasquino, Stefano Passigli, Orazio M. Petracca, Giovanni Sartori, Alberto Sensini, Claudio Simonelli, Giuseppe Tamburrano, Valerio Zanone, Giovanna Zincone. Documentazione: Giovanni Agnelli, Aldolf o Battaglia, Enrico Berlinguer, Paolo Bufalini, Gerardo Chiaromonte, Carlo Donat-Cattin, Amintore Fanfani, Carlo Galluzzi, Giorgio La Malfa, Ugo La MaIf a, Antonio La Penna, Riccardo Lombardi, Luigi Longo, Lucio Magri, Giovanni Malagodi, Enrico Manca, Giacomo Mancini, Pietro Nenni, Gian Carlo Pajetta, Luigi Pintor, Pietro Valenza. La rivista « Tempi moderni » ha pubblicato molti interventi sulle interdipendenze economichesociali-politiche del sistema italiano nel contesto internazionale. Fra i più significativi: F. ONOFRI, Tecnica e sociologia del colpo di stato in Italia, « Tempi moderni », n. 6, 1971, pp. 3-6.
AA.VV., La società italiana tra disgregazione politica e colpo di stato, « Tempi moderni », n. 9, 1972, pp. 3-6 e 119-122. ALBERONI, G. BENVENUTO, G. GASPAROTTI, M. TEODORI, R. GUIDUCCI, I. MOSCATI, tavola rotonda sul tema « L'Italia tra autarchia e rivoluzione», « Tempi moderni », n. 18, 1974, pp. 2-16. L'evoluzione dei processi politici ha reso inattuali le polemiche sulla partitocrazia; pertanto, cilimitiamo a segnalare l'ultimo volume di Maranini e una recente messa a punto: O. MARANINI, Storia del potere in Italia, Vallecchi, Firenze, 1968. F. BOURRICAUD, Partitocrazia: consolidamento o rottura?, in F. L. Cavazza-S. R. G,aubard, op. cit., 1974, pp. 81.123. Ad esemplificazione del largo dibattito svoltosi tra protagonisti e studiosi del sistema politico, in merito alle possibilità di operazioni di ingegneria costituzionale: M. D'ANTONIO (a cura di), La Repubblica proba-
bile. L'Italia di domani nel pensiero delle diverse correnti politiche, testi di G. Andreotti,
L. Bertoldi, B. Cottone, U. La Malfa, L. Luzzatto, A. Natoli, F. Orlando, G. Pieraccini, F. Sullo, U. Terracini, Garzanti, Milano, 1972.
17 Ricerche empiriche e ipotesi sulla divisione, in correnti dei partiti politici: R. ZARISKI, Intra-Party Conflict in a Dominant
Party: the Experience of Italian Christiarz Democracy, «The Journal of Politics a, 27 febbraio 1965, pp. 1-32. D'AMATo, Correnti di partito e partito di correnti, Giuffrè, Milano, 1965. SERNINI, Le correnti nel partito, Istituto Editoriale Cisalpino, Milano, 1966. A. SPREAFICO-F. CAZZOLA, Correnti di partito e processi di identificazione, « Il Politico », n. 4, 1970, pp. 695-715. A. J. STEIu'-S. TARROW-M. F. WILLIAMS, Factions and Opinion Groups in Euro pean Mass Parfies, « Comparative Politics », III, 1971, pp. 529-559. Un dibattito, svolto sotto divèrsi punti di vista, sulle origini e l'evoluzione del correntismo, è nel volume G. Sartori (a cura di), Correnti,
frazioni e fazioni nei partiti politici italiani, 11 Mulino, Bologna, 1973. Cfr. in particolare: L. D'AMATO, Partiti di correnti e frazionismo, pp. 107-118. A. LOMBARDO, Dal proporzionalismo intra partitico al fazionismo eterodiretto, pp. 93-106. G. PASQUINO, Le radici del frazionismo e il voto di preferenza, pp. 75-92. S. PASSIGLI, Proporzionalismo frazionismo e crisi nei partiti: quid prior?, pp. 37-50. G. SARTORI, Praporzionalismo, fazionismo e crisi dei partiti, pp. 9-36. G. ZINCONE, Accesso autonomo alle risorse: le determinanti del frazionismo, pp. 5 1-74. Sul finanziamento dei partiti, prima e dopo la entrata in vigore della legge:
L. D'AMATO, Il finanziamento pubblico dei partiti nel sistema democratico italiano, « Rassegna italiana di sociologia », n. 3, 1965, pp. 387-420. V. MAZZE!, Sul finanziamento statale ai partiti politici, in Studi per il XX anniversario del l'Assemblea Costituente, Vallecchi, Firenze, 1969, Il voli., pp. 275-296. S. PA5sIGLI, Il finanziamento dei partiti: finanziamento pubblico e funzionalità partitica, «Sociologia », n. 2, 1970, pp. 51-72. R. CRESPI, Lo Stato deve pagare i partiti? San soni, Firenze, 1971. A. COSSUTTA, Il finanziamento pubblico dei par. titi, Editori Riuniti, Roma, 1974. O. PASGUINO, Contro il finanziamento statale di questi partiti, « Il Mulino », n. 232, pp. 233255. Per una storia della Dc, sono disponibili soltanto volumi un po' invecchiati:
R. WEBSTER, Christian Democracy in Italy 18601960, Hollis and Carter, London, 1961.
T. GODECHOT, Le parti démocrate-chrétien italien, Librairie générale du droit et de jurisprudence, Paris, 1964. J. P. CHASSERIAUD, Le parti démocrate-chrétien en Italie, Armand Colin, Paris, 1965. E. AGA Rossi, Dal Partito popolare alla Democrazia Cristiana, Cappelli, Bologna, 1969. Sulle origini della DC, contributi più recenti sono: G. SPATARO, I democratici cristiani dalla dittatura alla Repubblica, Mondadori, Milano,
1968. BAGET-BOZZO, Il partito cristiano al potere. La DC di De Gasperi e di Dossetti: 19451954, Vallecchi, Firenze, 1974. Scoppoi..&, De Gasperi e la svolta politica del maggio 1947, « Il Mulino a, n. 231, 1974, pp. 25-46. Per una più ampia trattazione della storia dei democristiani e dei cattolici di sinistra: G. GALLI-P. FACCHI, La sinistra democristiana. Storia e ideologia, Feltrinelli, Milano, 1962. R. GiuRA LONGO, La sinistra cattolica in Italia (dal dopoguerra al referendum), De Donato,. Bari, 1975. L. BEDESCHI, Cattolici e comunisti, Feitrinelii, Milano, 1974. Per un punto di vista di parte democristiana della crisi del partito: A. ATWIGò, Evoluzione crisi e prospettive della
presenza politica-sociale dei cattolici in Italia, «Aggiornamenti sociali », n. 9-10, 1974, pp. 557-582. Quattro recenti volumi fortemente polemici nei confronti della DC: L. MENAPACE, La Democrazia cristiana. Natura, ideologia e organizzazione, Mazzotta, Milano,
1974. O. TAMBURRANO, L'iceberg democristiano, Sugarco, Milano, 1974. M. CAPANNA, Monopoli, DC, Compromesso storico, Mazzotta, Milano, 1975. F. VIANELLO, F. CAVAZZUTI e a., Tutto il potere alla DC, Coines, Roma, 1975. Molta parte del discorso sul parassitismo, sui ceti medi, sulla giunga retributiva, sulla borghesia di stato, viene svolta oggi in connessione con l'analisi della composizione di classe della DC. Oltre a rimandare alla letteratura specifica sull'argomento, ricordiamo i seguenti testi: P. INGRA0, Interclassimo dc e nuovi rapporti fra Stato e società nella crisi italiana., « Critica marxista a, n. 2-3, 1972, pp. 3-19. G. GALLI-A. NANNEI, La base sociale dell'economia bloccata, «Tempi moderni a, n. 17, 1974, pp. 9-16.
18 Il giudizio che i comunisti danno della DC, è soggetto esso stesso di interpretazione; sono CO. munque fondamentali i due numeri speciali di «Rinascita-Il Contemporaneo », sul tema Catt olici e comunisti, del 31 marzo 1972, e sul tema La questione democristiana, del 25 marzo 1973; insieme a vari altri interventi e analisi. Per quanto riguarda l'organizzazione del potere locale democristiano, pregevoli studi specifici sono: P. A. ALLUM, Potere e società a Napoli nel dopoguerra, Torino, Einaudi, 1975. G. B0NAzzI-A. BAGNASCO-S. CASILLO, Industria
e potere politico in una provincia meridionale, L'Impresa Edizioni, Torino, 1972. Per alcune utili indicazioni, cfr. anche il libro di politica urbanistica:
R. C. FRIao, Planning the Eternal City. Roman Politica and Planning Since World War Il, Yale University Press, New York and London, 1973. Per la scarsità degli, studi sulla DC, in confronto all'abbondanza di studi sul PCI, si rinvia anche ai seguenti testi, che pur se non specificamente dedicati alla DC, contengono molte lucide indicazioni:
F. ALBERONI, La nuova classe imprenditoriale
D. BLACKMER-A. K1UEGEL, The International Role
of the Communist Parties in France and Italy, Center for International Af-fairs, Harward, 1974.
Una ricerca empirica mediante interviste sui professionisti della politica, in cui i comunisti italiani vengono individuati non come appartenenti a un partito antisistema, ma come « radicali costituzionali », è R. D. PUTNAM, The Beliefs of Politicians. Ideo-
logy, Con flict and Democracy in Britain and Italy, Yale University Press, New Havèn and
London, 1973. La parte relativa a qùesto argomento è condensata in: R. D. PUTNAM, Politica e ideologia dei dirigenti comunisti italiani, « Il Mulino », n. 232, 1974, pp. 178-218. (In questo saggio viene annunciata la pubblicazione in un volume a cura di D. L. Blackmer e S. Tarrow, per i tipi della Princeton University Press, delle relazioni presentate alla conferenza su « Il comunismo in Italia e in Francia » promossa dall'American Council of Learned Society, ottobre 1972). Una trattazione coerente con quella di Putman è in: T. M. HENNESSEY, Democratic Attitudinal Con/ igurations Among Italian Youth, «Midwest Journal of Political Science », XII, 1969, pp. 169-193.
pubblica, « Sociologia», n. 3, 1972, pp. 7-31.
N. ANOREATrA, Politica ed economia dal primo al secondo centro-sinistra, Il Mulino, Bologna, 1973. Un punto fondamentale per l'interpretazione del PCI e del sistema politico italiano è la comprensione del comportamento legislativo dei comunisti. Molti insistono su questo tema, ma per una analisi empirica si veda:
F. CAZZOLA, Consenso e opposizione nel- parlamento italiano: il ruolo del PCI dalla I alla IV Legislatura, « Rivista italiana. di scienza politica », n. 1, 1972, pp. 71-96; saggio ripro-
dotto in F. Cazzola, Governo e opposizione nel Parlamento italiano, Giuffrè, Milano, 1974. P. FERRARI-H. MAISL, Les groupes communistes aux Assemblées parlamentaires italiennes (19581963) et franaises (1962-1967), Presses 'Universitaires de France, Paris, 1969. Sulla « politica estera » del PCI, con riferimento alla posizione nell'ambito del comunismo internazionale: D. BLACKMER, Unity in Diversity: Italian Communism and the Communist World, M.I.T. Press, Cambridge, Mass., 1968. Dello stesso
autore, cfr. Italian Communism: Strategy for the 1970's, « Problems of Communism », n. 3, 1972, pp. 41-56. H. TIMMERMANN, I comunisti italiani. Conside-
razioni di un socialdemocratico tedesco sul Partito comunista italiano, con prefazione di S. Segre, De Donato, Bari, 1974.
Per la storia del PCI nel dopoguerra, segnaliamo soltanto alcuni testi di carattere generale: G. GALLI, La sinistra italiana nel dopoguerra, Il Mulino, Bologna, 1958. G. GALLI, Storia del Partito Comunista Italiano, Schwarz, Milano, 1958. P. SPRIANO, Storia del Partito comunista italiano, Einaudi, Torino, 1974, IV voll. Cfr., inoltre, l'ottima rassegna storiografica. A. COLOMBO, Storiografia e politica sulle origini del PCI, « Il Politico », n. 1, 1972, pp. 39-53. P. TOGLIATrI, Il partito comunista italiano, Nuova Accademia, Milano, 1961. Sul ruolo dell'anticomunismo nella cultura e nella società italiana: G. A. ALM0ND, The Appeals o! Communism, Princeton, Princeton University Press, 1954. BRAGA, Il comunismo fra gli italiani, Milano, Comunità, 1956. CANTRAL, The Politics of Dea pair,. New York, Basic Books, 1958. G. Pocci, « The Politica of Despair» di H. Cantril: note critiche. « Rassegna italiana di Sociologia», I (1961).
AA.VV., La Democrazia Cristiana di fronte al comunismo, Edizioni Cinque Lune, Roma, 1964.
A. Tosi, Analisi critica di tre ricerche sul comunismo in Italia, in F. ALBERONI (a cura di), L'attività di partito, op. cit., 1967, pp. 529-550.
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FI] G. DAMA, L'anticomunismo nella DC, « Critica marxista», n. 3-4, 1973, pp. 87-116. G. SANI, La strategia del PCI e l'elettorato italiano, « Rivista di Scienza politica », n. 3, 1973, pp. 551-579. G. SANI, Canali di comunicazione politica e orientamento dell'elettorato, «Rivista italiana di scienza politica », n. 3, 1974. Per un'analisi del PCI dal punto di vista dell'organizzazione:
L. MAGRI-F. MAONE, L'organizzazione comunista. Strutture e metodi di direzione, «Il Manifesto », n. 1, 1969, pp. 28-40. G. GALLI, Il PCI rivisitato, « Il Mulino », n. 213, 1971, pp. 25-52.
N. CORI, L'organizzazione del PCI a Firenze (1945-1971), « Rassegna italiana di sociologia », n. 3, 1974, pp. 387-442. E, da un punto di vista comparativo: T. H. GREENE, Il partito comunista in Italia e in Francia, « Rassegna italiana di sociologia », 1969, n. 1, pp. 123-168. Per un'interpretazione del PCI, con particolare riferimento al meridione d'Italia:
S. G. Tnxow, Partito comunista e contadini nel Mezzogiorno, Einaudi, Torino, 1972. S. G. TARROW, The Political Economy of Stagnation: Communism in Southern Italy, 19601970, « Journal of Politics », n. 1, 1972, pp. 93123.
S. G. TARROW, Local Costraints of Regional Re /orm: A Comparison o! Italy and France, « Comparative Politics », VIII, 1974.
S. G. TARROW, Partisanship and Political Exchange in French and Ital Local Politics: A Contribution fo the Typology of Part Systems, Sage Publications, 1974. Due brevi saggi che analizzano la politica del PCI come specifico riferimento alle « zone rosse », rilevandone la capacità di adattamento al contesto sociale, sono: R. FRIED, Communism, Urban Budgets and the two Italies, « Journal of Politics », (Gainesville, Ha.), voi. 33, dicembre 1971, pp. 1008-51.
Per quanto riguarda le interpretazioni del PCI enunciate dall'estrema sinistra, ricordiamo soltanto, a titolo indicativo di tutto un approccio: L. PINTOR, Il partito di tipo nuovo, « Il Manifesto», n. 4, 1969, pp. 22-27. L. MAITAN, Teoria e politica comunista nel dopoguerra, Samonà e Savelli, Roma, 1969. CIAFALONI, Sul Partito Comunista Italiano, «Quaderni piacentini », n. 50, 1973, pp. 17-33. Un'ampia indagine sul PCI, svolta sotto diversi punti di vista, con bibliografia ragionata di 347 titoli, è nel volume: S. TARROW, J. BEsSON, BIBES, G. SIVINI, G. VI5ENTINI, Sociologie du communisme in Italie, A. Colin, Paris, 1975. Un volume che non distingue fra politica interna e politica estera, contiene numerosi studi analitici, e parla dell'Italia come parte del sistema politico internazionale, è M. BONANNI (a cura di), L'Italia nella politica internazionale (1972-1973), Comunità, Milano, 1973. Un buon antecedente in questo tipo di approccio è N. K0GAN, La politica estera italiana, Lerici, Milano, 1965. Storia e problemi di politica estera dell'Italia repubblicana: AA.VV., La politica estera della Repubblica italiana, Comunità, Milano, 1967. (Atti del convegno sulla politica estera italiana, organizzato nel 1967 dall'Istituto Affari Internazionali). GRAZIANO, La politica estera italiana nel dopoguerra, Marsilio, Padova, 1968. DEL Bo, GUIDI, QUARONI, SEin, ZAGARI, Inchiesta sulla politica estera italiana, Lerici, Roma, 1970. G. NEGRI ed altri, La politica estera italiana nel secondo dopoguerra, « Terzoprogramma », n. 3, 1971, pp. 170-229.
N. FERRARA, La politica estera dell'italia libera (1945-1971), Pan Editrice, Milano, 1972. AA.VV., Annuario di politica internazionale, a cura dell'Istituto per gli studi di politica internazionale, Dedalo Libri, Bari, 1974. G. ARR, L'Italia nella politica internazionale, Il Mulino, Bologna, 1974.
A. STEs, The Italian CP at the Grass Roots, «Problems of Communism », n. 3, marzo-aprile 1974, pp. 42-54. Sullo stesso tema:
R. H. Evs, Coexistence: Communism and its Practice in Bologna 1945-1965, Notre Dame University Press, Notre Dame, 1967. Per un'interpretazione del « nuovo corso>' del PCI: C. RIPA DI MEANA, La Bad Godesberg silenziosa del comunismo italiano, « Critica sociale », febbraio 1974, pp. 100-102. A. LEVI, PC!. La lunga marcia verso il potere, Etas-Kompass, Milano, 1971.
Contributi di ottimo livello sono contenuti nel volume F. L. Cavazza-S. R. Grabaud (a cura di), Il caso italiano, op. cit., 1974, e precisamente: S. HOFFMANN, Pranzo a tre sulla politica estera italiana, pp. 380-400. K. KAISER, Le relazioni transnazionali, pp. 401419. A. LEVI, Gli ultimi dei primi e i primi degli ultimi, pp. 420-429. C. MERLINI, Fra l'Europa e altri punti cardinali, pp. 430-439.
20 G. PASQUINO, Pesi internazionali e contrappesi nazionali, pp. 163-182. A titolo indicativo di un periodo in cui i fattori internazionali giocarono un ruolo decisivo per la strutturazione del sistema politico italiano: L. SALVATORELLI, La guerra fredda 1945-1 955, Neri Pozza, Venezia, 1956. L. BONANATE, L'Italia nel nuovo sistema internazionale, « Comunità », n. 170, 1973, pp. 13-75. G. WARNER, L'italia e le potenze alleate dal 1943 al 1949, in S. J. Woolf (a cura di), italia 79431950. La ricostruzione, Laterza, Bari, 1974. Per un'analisi dei processi politici comunitari svolta attraverso un approccio politologico: PAPISCA, Comunità Europea e sviluppo poli-
tico. Contributo all'analisi del sistema comunitario europeo, Editori Meridionali Riuniti, Reggio Calabria, 1974. P. VANNICELLI, Italy, Nato, ami the European
Community: The interplay of foreign policy and domestic politics, Center for International Affairs, Harvard, 1974. S. SILVESTRI (a cura di), La sicurezza europea
(Modelli di situazioni internazionali in Europa negli anni '70), Il Mulino, Bologna, 1970. Sui temi del « governo invisibile» e sull'interferenza di gruppi internazionali nel contesto italiano: G. GALLI, La tigre di carta e il drago scarlatto.
Il pensiero di Mao Tse Tung e l'Occidente, Il Mulino, Bologna, 1974; dove si richiama esplicitamente il noto volume di D. Wise e T. B. Rose sul « governo invisibile », Randon House, New York, 1964. G. GALLI, Il governo invisibile: al di là delle trame nere, in « Tempi moderni », n. 19, 1974, pp. 15-17. O. GALLI, La crisi italiana e la destra internazionale, Mondadori, Milano, 1975. Ad esemplificazione di tutto un approccio ai problemi della crisi economica internazionale: O. GRossi, La guerra del petrolio. Chi manovra la nuova grande crisi?, Savelli, Roma, 1974. Per un'analisi di tipo tradizionale si rimanda invece ai saggi e alle note bibliografiche contenuti in COLE-G. PENT, Il potere sovranazionale priva-
to. Le imprese multinazionali e l'integrazione europea, Il Mulino, Bologna, 1973. AA.VV., L'economia italiana nella integrazione internazionale, a cura di O. Vaciago, Ed. Comunità, Milano, 1974. Per quanto riguarda la «politica estera» del Partito comunista, i testi relativi sono citati nella parte della bibliografia relativa al PCI. Dei molti studi sul cattolicesimo in Italia, qui sono citati alcuni che indicano settori di analisi e altri che insistono sui caratteri più generali della
presenza della Chiesa nel sistema politico italiano in quanto attore transnazionale: FALCONI, La Chiesa e le organizzazioni catto-
liche in italia (1945-1955). Saggi per una storia del cattolicesimo italiano nel dopoguerra, Einaudi, Torino, 1956.
P. Scoppoi.j,, Chiesa e Stato nella storia d'italia. Storia documentaria dall'Unità alla Repubblica, Laterza, Bari, 1967. A. PRANDI, Chiesa e politica. La gerarchia e l'impegno politico dei cattolici in Italia, Il Mulino, Bologna, 1968. DE ROSA S. J., Chiesa e comunismo in Italia, Roma, COINES, 1970. I. VALLIER, The Roman Catholic Church: a Transnational Actor, in Keohane-Nye (a cura
di), Transnational Relations and World Politic, numero speciale di « International Organization», n. 3, 1971. A. C. JEMoLo, Chiesa e Stato in Italia negli ultimi cento anni, Einaudi, Torino, 1971. W. DAIM, il Vaticano e l'Est, Roma, COINES; 1974. S. RISTUCCIA, Questione cattolica, concordato, sistema politico. Introduzione a D. Favi, M. Gigante, S. Lariccia, Questione cattolica e scuola clericale, Officina, Roma, 1974. Infine, elenchiamo secondo l'ordine alfabetico degli autori alcuni scritti che dànno un'interpretazione globale del sistema politico italiano: P. ALLUM, italy: Republic Without Government, Weidengel and Nicolson, London, 1973. S. H. BARNES, Italy: Opposition on Lei t, Right and Center, in R. A. Dahl (ed.), Political Oppositions in Western Democracy, Yale University Press, New Haven, 1966. G. BIBES, Le système politique italien, Presses Universitaires de France, Paris, 1973.
F.
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(I), gennaio 1970. L. ELlA, Realtà e funzioni del partito politico:
orientamenti ideali, interessi di categoria e rappresentanza politica, in Partiti e democrazia. Atti del III Convegno di San Pellegrino, Edizioni Cinque Lune, Roma, 1964. L. ELlA, voce «Forme di governo », in Enciclopedia del diritto, Vol. XIX, Giuffrè, Milano, 1969. R. ELlA, Perché l'Italia si è tenuta e si tiene questo sistema di governo, in F. L. Cavazza5. R. Graubard (a cura di), Il caso italiano, op. cit., 1974, pp. 224-230. P. FARNETI, Problemi di ricerca e di analisi della classe poltiica italiana, «Rassegna italiana di sociologia», n. 1, 1972, pp. 79-116. P. FARNETI, introduzione, in P. Farneti (a cura di), Il sistema politico italiano, op. cit., 1973, pp. 7-60. FIS ICHELLA, L'alternativa rischiosa, Sansoni, Firenze, 1973.
21 G. FERRARA, Il governo di coalizione, Giuffrè, Roma, 1973. G. GALLI. Il bipartitismo imperfetto. Comunisti e democristiani in Italia, Il Mulino, Bologna, 1966. G. GALLI-A. PRANDX, Patterns of Political Partecipation in Italy, Yale University Press, New Haven, 1970. G. GALLI, Il compito degli intellettuali: favorire
una revisione critica della classe politica e della borghesia, « Il Mulino », n. 215, 1971, pp. 391-398.
G. GALLI, Il difficile governo, Il Mulino, Bologna, 1972. G. GALLI, L'intersecazione delle classi sociali nei partiti, in F. L. Cavazza-S. R. Graubard (a cura di), Il caso italiano, op. cit., 1974, pp. 183195. G. GALLI, Dal bipartitismo imperfetto alla possibile alternativa, Il Mulino, Bologna, 1975. f. J. LINZ, La democrazia italiana di fronte al futuro, in F. L. Cavazza-S. R. Graubard (a cura di), op. cir., 1974, pp. 124-162. A. LOMBARDO, Dal pluralismo polarizzato al fazionismo eterodiretto, « Il Mulino», n. 216, 1971, pp. 733-740. N. MATTEUCCI, La cultura politica italiana: fra
l'insorgenza populistica e l'età delle riforme, « Il Mulino », n. 207, 1970, pp. 5-23.
N. MATTEUCCI, La grande coalizione, « Il Mulino,> , n. 218, 1971, pp. 989.997.
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O. M. PETRACCA, Relazione al convegno Per una nuova politica liberale ( Sirmione, 22-23 gennaio 1972), « Biblioteca della libertà », n. 37-38, 1972, pp. 61-133. A. PLZZORNO, Potere e partito, in AA.VV., Potere e istituzioni, Giappichelli, Torino, 1972, pp. 29-50. A. PIzzoruo, Elementi di uno schema teorico con riferimento ai partiti politici italiani, in G. Sivini (a cura di), Partiti e partecipazione politica in Italia, Giuffrè, Milano, 1969, pp. 3-40. A. Pizzoio, Il sistema politico italiano, «Politica del diritto », n. 2, 1971, pp. 197-209. A. PIzzoRNo, I ceti medi del meccanismo del consenso, in F. L. Cavazza-S. R. Graubard (a cura di), op. cit., 1974, pp. 314-337. A. 'PREDIERI, La dinamica delle istituzioni, «Politica del diritto », n. 2, 1971, pp. 237-240. A. PREDIERI, Tesi e ipotesi sul processo legislativo, in corso di pubblicazione. G. SARTORI, Partiti e sistema di partito, Editrice Universitaria, Firenze, 1965. G. SARTORI, Modelli spaziali di competizione tra partiti, « Rassegna italiana di sociologia », n. 1, 1965, pp. 7-29. G. SARTORI, The Case o! Polarized Pluralism, in J. La Palombara-M. Weiner, Political Parties and Political Development, Princeton University Press, Princeton, 1966, pp. 137.176. Una traduzione leggermente riveduta, col titolo Bi-
partitismo imperfetto o pluralismo polarizzato?, in «Tempi moderni », n. 31, 1967, pp. 1-34. S. SARTORI, Tipologia dei sistemi di partito, « Quaderni di socoilogia >', n. 3, 1968, pp. 187226. G. SARTORI, Rivisitando il « pluralismo polarizzato », in F. L. Cavazza-S. R. Graubard (a cura di), op. cit., 1974, pp. 196-223. Mi SERNINI, La disputa sui partiti, Marsilio, Padova, 1968. R. ZARISKI, Italy, The Politics o/ Uneven De velopmenf, The Dryden Press, Hinsdale, 111., 1972.
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Notizie sul « programma regioni » della Fondazione Adriano Olivetti L'iniziativa promossa dalla Fondazione Adriano Olivetti si propone di seguire da vicino l'istituzione regione nel suo concreto divenire storico, individuando, misurando e analizzando criticamente, di essa, l'impatto sia con il complesso delle altre istituzioni dell'ordinamento sia con la società civile e le sue articolazioni, per coglierne e valutarne le innovazioni prodotte. La nascita delle regioni infatti è stata l'occasione non solo, e non tanto, di un rinverdimento di antiche - e forse generiche aspirazioni di pluralismo, di maggiore compenetrazione della società civile nelle strutture statuali, ma ha costituito anche, e soprattutto, un punto di coagulo di temi e problemi del tutto peculiari al clima culturale politico ed istituzionale di questi anni. Così, la regione ha funzionato da catalizzatore di temi come quello della riforma dello stato, della rifondazione dei partiti come strutture di partecipazione e di aggregazione delle domande che germinano nella società civile, del riassetto deHe autonomie locali e più in generale di tutta la rete dei poteri locali, venendosi il nuovo istituto a caricare di significazioni e implicazioni che, probabilmente, l'operazione - forse nulla più che moderata - che aveva portato, dopo venti anni di elusione, all'attuazione della Costituzione, non aveva preventivamente scontato. In questo quadro, si è dato vita nel 1972 ad una collana di pubblicazioni, i Quaderni di studi regionali. Ai quattro volumi apparsi negli anni scorsi: La via italiana alle Regioni; Politica cult urale e Regioni; Le regioni: politica o amministrazione; Il controllo della regione sugli enti locali, se ne sono aggiunti nel corso del
1974, altre tre, a completamento delle ricerche iniziate per analizzare e rimeditare criticamente l'esperienza regionale nel suo complesso fin dalla prima legislatura. Essi sono: Regioni e servizi sociali, a cura di Angela Zucconi, che raccoglie, ampiamente rielaboratò, il materiale di un convegno svoltosi a Torino nel 1973; Gli enti locali nella prospettiva regionale, a cura di Serenella Romeo, con i materiali, anch'essi rielaborati, dell'incontro svoltosi a Numana, nell'estate 1973, in collaborazione con l'istituto di studi giuridici della Facoltà di Economia e Commercio dell'Università di Urbino; e Dalla parte delle Regioni - Bilancio di una legislàtura, che nasce da un seminario tenuto a Roma nel dicembre 1973 e prosegue il discorso iniziat col primo quaderno della collana di studi regionali, « La via italiana alle regioni ». Nel 1975 verranno a conclusione altre due ricerche: la prima, che ha per oggetto la legislazione regionale, è un tentativo di anausi, condotto su un campione di regioni (Emilia-Romagna, Lombardia, Marche, Piemonte, Puglia, Toscana), del modo in cui si è sviluppata la legislazione regionale in questa prima legislatura. Ad essa si accompagnerà un esame della esperienza del controllo governativo sulle leggi regionali. Il tema è di grande importanza: infatti l'idea regionalistica ha sempre individuato nella potestà legislativa regionale la « sede » dell'autonomia politica dei nuovi enti e, dunque, lo strumento per mezzo del quale essi avrebbero potuto prendere parte, come soggetti autonomi, alla predisposizione degli indirizzi politici nazionali. Il tema, al momento dell'attuazione regionale fu visto, così, in chiave di « riforma dello Stato », di
23 pluralizzazione » degli indirizzi politici e italiani della non isolabilità del problema così via. regionale da quello (o da quelli) del riordino •dei poteri, locali minori, tanto più in• In che misura la effettiva legislazione re un momento, come l'attuale, in cui la pregionale, quella concretamente posta in esvalente proiezione delle regioni italiane versere in questo primo quinquennio, risponde so il « centro » cioè il suo privilegiare il a tali aspettative? O quanto, piuttosto, il rapporto con 'lo Stato, sembra in fase di tipo di legislazione regionale che si è affermato evidenzia, da un diverso punto di 'vi- riflusso anche per le note vicende del la sta, la tendenza da più osservatori rilevata situazione economica che vengono per lo verso una « amministrativizzazione » delle più interpretate nel senso di imporre una regioni? L'essere cioè queste, più che sog- fase di « riaccentramento ». Sorge, allora, la necessità per le regioni di trovare e far magetti di autonoma individuazione di inditurare una più vasta legittimazione alla prorizzi politici, soggetti cli « democratizzazio pria esistenza attraverso un raccordo più ne» della amministrazione pubblica. Alcuni intenso e meno episodico con i poteri lodati sembrano sorreggere questa ultima tesi, piuttosto che la prima: la «fuga » delle re- cali minori. Ma questo esige che la regione gioni dalla attività legislativa e il privile- si dia carico anche dei processi di profonda giamento della « via amministrativa »; la modificazione in atto a livello subregionale, in modo da inserirsi in essi come compoprevalenza di leggi di spesa, piuttosto che dileggi di riassetto e riforma degli indirizzi nente essenziale di tutto il tessuto dei come delle modalità dell'azione pubblica nei plessivi poteri locali. Questo approccio poteva essere tentato anvari settori regionali, e così via. che con riferimento alla sola situazione itaCon la seconda ricerca, che conclude nel liana. Ma non vi è dubbio che, in questo 1975 una sua prima fase, viene compiuto caso, avrebbe pesato sulla ricerca un certo l'esame dei problemi del governo locale in provincialismo» del dibattito italiano che Europa. Oggetto della ricerca è il tema comper lo più non riesce a cogliere il problema plessivo del « governo locale » e cioè, da oltre una ristretta ottica di « riforma della una parte la spinta regionalistica alfa quale legge comunale e provinciale ». Mentre 'le si assiste in Europa e, dall'altra, il profondo esperienze straniere mostrano un ben dirimescolamento del tradizionale assetto dei verso spessore problematico e di soluzioni. minori poteri locali. Il confronto sarà fatto fra le esperienze di L'obiettivo della ricerca è duplice. Si tratta tre paesi che, per sistema politico ed istitudi porre in primo piano e di far prendere zionale, sono raffrontabili all'Italia: Francoscienza agli operatori politici e culturali cia, Inghilterra, Germania. (a cura del Centro Studi della Fondazione A. Olivetti)
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Un servizio di documentazione critica: la nuova serie di « Queste Istituzioni »
Nell'ambito del programma di ricerca sulle culture e sulle istituzioni politiche promosso dal Centro Studi della Fondazione Olivetti, è nata l'idea di un servizio di documentazione sulle condizioni e sui problemi dei poteri e delle istituzioni in Italia. E' parso utile cominciare con alcune rassegne bibliografiche ragionate quali interpretazioni danno gli studiosi sulla situazione di singoli settori o soggetti istituzionali? L'iniziativa può realizzare una prima ricognizione utile per ulteriori programmi di ricerca sui problemi dell'ordinamento democratico in Italia. In prospettiva, l'idea è di costituire un « osservatorio » critico e sistematico della vita istituzionale in rapporto alle principali trasformazioni della società. La stesura delle rassegne bibliografiche è stata curata dal « Gruppo di studio su società e istituzioni » con l'intento di fare una panoramica generale della problematica relativa ad alcune istituzioni (il sistema politico italiano; il Parlamento; il potere militare; il dibattito sull'istituzione scolastica). Alle prime bibliografie pubblicate in fascicoli brevi di facile uso ne seguiranno altre dello stesso tipo. In una seconda fase l'orientamento di lavoro si specificherà per problemi e si allargherà ai contributi della letteratura di altri paesi. Alle rassegne bibliografiche del programma promosso dal Centro Studi della Fondazione Adriano Olivetti sono dedicati i primi 4 fascicoli della nuova serie di « Queste Istituzioni ». Alcuni successivi fascicoli conterranno i contributi autonomamente elaborati dal « Gruppo di Studio » sulla linea <indicata nei numeri usciti nel 1973 e 1974. Come scelta di metodo ci interessa soprattutto la possibilità di intervenire su fatti e problemi in modo rapido e possibilmente, sintetico ma con intenti di informazione critica. Siamo convinti che non sempre è necessario avere dati e documenti originali o « riservati », molto più conta in taluni casi analizzare, elaborare, controllare i dati disponibili. Molto spesso i centri di potere fanno conto sulla superficialità dei loro critici. I temi che saranno oggetto di intervento verranno scelti secondo criteri di attualità. Anche qui è bene precisare: non l'attualità dei con formismi pubblicistici ma quella verificata da una valutazione politica d'insieme. Nel complesso i singoli interventi verranno a costituire i filoni di interesse che caratterizzeranno la nostra presenza culturale. Lo strumento del fascicolo di 1-2 sedicesimi dedicato ad un solo tema ci sembra congeniale ai nostri propositi. Ci sembra infatti necessario prendere atto che la rivista specializzata, di struttura sia antologica sia monografica continua a rimanere chiusa nel ben delimitato circuito culturale degli addetti ai lavori ed in questo senso non riesce ad essere portatrice di discorsi politici più ampi.