36\qUeSte isUtuzionì 1980/2° semestre
LA CINA E' VICINA Nota introduttiva
di Francesco Sidoti 6/La dissidenza cinese
di Gregor Benton 21/La Costituzione deI 1978
di Renzo Ristuccia
Nonostante la distanza in termini di geografia e di cultura, e benché i terni privilegiati d analisi siano per l'appunto queste istituzioni, la nostra rivista si è già occupata di istituzioni cinesi (fascicolo 13, dicembre 1976 gennaio 7977), e ora ritorna di nuovo sul problema. Nell' occasione precedente, dicembre 7976, Sergio Ristuccia svolgeva una argomentazione di fondo. la Cina è parte cospicua del nostro dibattito politico e culturale, in quanto emittente di messaggi e di valori che hanno un ascolto e un'influenza assai rilevanti. In particolare, e la cosa è importante dal nostro punto di vista, la Cina occupavaun posto di grande rilievo nella cultura anti-istituzionale che caratterizzò la fine degli anni Sessanta e buona parte degli anni Settanta. Ebbene, questa rivista nacque proprio con l'intenzione di svolgere un discorso analitico e di aprire un dialogo e un contraddittorio con le tematiche anti-istituzionali, fra le quali si annoverano varie ideologie e luoghi comuni: le istituzioni come meri epifenomeni e sovrastrutture, le istituzioni totali, le istituzioni repressive, le istituzioni inefficienti, e non per ultima la concezione nominalistica secondo la quale basta insediarsi nelle istituzioni per riqualificarle ipso facto come democratiche e progressiste (questi temi sono ampiamente commentati in Sergio Ristuccia, Amministrare e Go-
2 vernare. Governo parlamento arnministrazione nella crisi del sistema politico, Edizioni
Officina, Roma 1980). Per chi vede le' cose con il senno di poi, è difficile non convenire sul fatto che concezioni e luoghi comuni di questo tipo caratterizzavano il dibattito culturale, politico e istituzionale degli' anni Settanta; e continuano in vario modo a sopravvivere oggi magari sotto mentite spoglie, beninteso sia dentro la sinistra nuova sia dentro quella tradizionale. La Cina dello « spirito di Yenan », della campagna dei cento fiori, della grande rivoluzione culturale, la Cina insomma dell'invito' a « bombardare, il quartier generale », costituiva naturalmente un f aro ideale di riferimento per fare un discorso acritico e volontaristico sulle istituzioni. E' noto che non era un ./enomeno soltanto italiano. Come dicevano gli autori di Prisoners of Liberation: « l'enorme problema di garantire una società sostanzialmente ugualitaria nell'area tecnologica è ben lontano dall'essere risolto. Ma, dato il loro livello di coscienza e lo stadio di sviluppo della loro società, se c'è qualcuno oggi che può affrontare questo
problema, questi sono indubbiamente i cinesi'» (Allyn e Adel Rickett, Nelle carceri cinesi, Mazzotta, Milano 1976, p. 346). I China Watchers e a volte perfino i più rispettabili studiosi e testimoni dell'esperienza cinese sembravano in vario modo autorizzare ipotesi consimili.' In quegli anni, il Dispotismo orientale di Wittfogel era un libro invenduto e abbandonato ai remainders, mentre si infottivano le traduzioni e le ristampe degli autori « ottimisti »; E. Snow, A. L. Strong, W. Hinton, J. Belden, F. Schurmann, S. Schram, •etc. Dopo la fine del maiosmo il fallimento della rivoluzione culturale, la morte oscura di Lin Biao, la guerra Cina-Vietnam, l'arresto e la condanna della banda 'dei quattro, nella cultura del riflusso, da Newswieek a Apocalypse Mao, la Cina occupa di nuovo una posizione strategica e centrale, in ri/e. rimento a un livello di tensioni internazionali, così come era in qualche modo naturale che fosse. La rivoluzione culturale era nata pro grammaticamente con l'intenzione di esportare all'estero la rivoluzione, e il suo primo gesto simbolico era stato, nell'a go-
queste istituzioni 1980/2 0 semestre
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3 sto 1967, l'attacco dell'ambasciata inglese a Pechino, condotto da un gruppo di studenti, con a capo due membri del comitato centrale. Benché siano molti i profeti del giorno dopo, nessuno ha interpretato il senso della svolta con maggiore decisione di Lucio Colletti, che si dovrebbe leggere e gustare per intero, ma di cui segnaliamo alcuni stralci significativi: « ... fosco clima di complotto da basso impero... la Cina rinnegava la rivoluzione culturale come la più inconsulta e rovinosa delle avventure... Era, veramente, la conclusione di un ciclo e la fine di un'epoca. I più entusiasti e immaginifici profeti del maoismo in Italia tacquero e si appartarono. Ma non per venire finalmente a una spiegazione con se stessi, bensì come fossero in lite con la Storia. » (cfr. Tramonto delle ideologie, Laterza, Bari 1980, pp. 63-65). Tutto sommato, il passare degli anni non ha dunque mutato di molto la maniera di riflettere sull'argomento. Certo, in Italia, sono lontani i tempi della Cina povera e pura di Goffredo Parise, sbiaditi gli inviti a servire il popolo dei nòstri marxisti-leninisti, ma sembra ovvio continuare a supporre che la Cina, un quarto abbondante dell'umanità, per una elementare forza del numero, lanci messaggi e segnali imperativi anche per i villaggi periferici delle comunicazioni di massa. Sul piano del déjà vu, dopo aver premesso di essere « ignorantissimo di cose cinesi », A. Arbasino ha scritto che « l'attuale visitatore culturale e politico, dopo decine e decine di incontri e conversazioni tra Pechino e Sbangai e Canton prova immediatamente e continuamente la sensazione viva e precisa di riattraversare qui certi grandi 1 momenti storici collettivi già attraversati in passato, in gioventù, in patria ». Qualcosa di mezzo tra il 25 luglio, il 18 aprile, la continuità delle tradizioni dispotiche e burocratiche dietro gli apparenti sconvolgimenti dei regimi politici, « vicenda che noi ita-
liani siamo in grado di capire benissimo, anche se è in cinese » (in « la Repubblica », 18 e 27 dicembre 1980). Da un altro punto di vista, scrivendo dopo la condanna di Jiang Qing, R. Rossanda ha denunciato « il delirio » della stampa occidentale, che si è schierata su posizioni di condanna ancora più nette di quelle espresse dall'attuale gru pP0 dirigente di Pechino, con l'intenzione di « criminalizzare » l'intera « rivoluzione culturale ». E così conclude: « improvvisamente la Cina, certo follemente utopica, ma povera e tollerante, diventa grondante di sangue. Un sanguè senza nome, senza date, senza fatti... il maoista pentito gioca in questo un ruolo principale, un po' come i pentiti nostrani su più modesta scala. E' impossibile non vedere un parallelismo, per quanto grandi restano le distinzioni. C'è su scala mondiale una vendetta che si sta traendo sui rivolgimenti degli anni sessanta » (in « il Manifesto », del 27 gennaio 1981). Come ha spiegato chiaramente un sinologo di professione, il corto circuito dai significati epocali a quelli quotidiani, è facilissirno: « Nell'anno in cui una rivoluzione guidata da un ayatollah ha• trionfato nell'iran, e la Cina ha invaso il Vietnam, si è tentati per un momento di mettersi sulla cima di una montagna, e di guardare da lassù la storia contemporanea. E allora si ha come la sensazione del chiudersi di una parentesi... In un'epoca che ha riscoperto e contrapposto il personale al politico.., l'uomo appare sempre più come un animale alle prese, in ogni epoca (e sia pure diversamente in ogni epoca), coi la malattia, la paura e l'ansia, gli affetti, la morte. » (G. Sofri, Voltare pagina. Scritti sulla Cina 1968-1978, Stampatori, Torino 1979, pp 184-185). Eppure, proprio in tema di salute e di malattie, di qualità della vita nel senso primordiale e preconsumistico del termine, la Cina sembrava aver dimostrato fatti e non parole. Una volta sradicato il vecchio mondo
4 degli imperatori, dei mandarini, della nobiltà terriera, della saggezza con fuciana, e delle masse miserabili e analfabete, la Cina maoista ha rappresentato un modello di sviluppo basato sulla mobilitazione popolare, sulla diffusione dell'istruzione e dell'assi. stenza sanitaria, su un tasso elevato di produzione economica: una soluzione al problema della miseria, che aveva affascinato sia molti intellettuali occidentali sia i politici di molti paesi asiatici. I risultati dell'esperienza cinese apparivano significativi se comparati con il modello sovietico e soprattutto con quello indiano. nonostante l'aiuto compelitivo delle due grandi potenze, l'India non è riuscita a superare lo stadio dell'insufficienza di risorse alimentari, della arretratezza tecnologica, della povertà e della malattia come fenomeni che caratterizzano la vita quotidiana di centinaia di milioni di persone. Una contrapposizione tra India e Cina che ormai era entrata di forza nella letteratura politologica, lino ad essere codificata dai più autorevoli òsservatori moderati: « Senza nessuno strumento di controllo democratico, la Cina comunista ha dedicato più attenzione all'alimentazione, all'edilizia, alla salute e all'istruzione della sua popolazione che la democratica India; e forse nessuna nazione al mondo può eguagliare l'energia con cui ha messo sotto controllo schistosomiasi, li/o, colera, -.malaria e malattie veneree. » (C. Lindblom, Politica e mercato. I sistemi politico-economici mondiali, Etas, Milano 1979, p. 134). Contrariamente a quanto pensano Colletti e altri fustigatori del sessantottismo, la critica delle istituzioni mediche ufficiali, della pratica clinica e delle politiche sanitarie si è svolta sovente negli anni Sessanta e Settanta sub specie scientiae, e non esclusivamente in termini di luddismo e di esorcismo della scienza. A ragione, di Maccacaro si è scritto che era « il più impegnato e disponibile dei medici italiani di questo dopo-
guerra », ma « era in primo luogo uno scienziato » (G. Berlin guer, M. Ca.glio e a., Prefazione a G. A. Maccacaro, Per una medicina da rinnovare, Feltrinelli, Milano 1979, pp. 6-7). Chi vuole andare a controllare quanto era significativo il riferimento all'esperienza cinese per la medicina progressista italiana, può andare a leggere direttamente i testi più significativi. In particolare: G. A. Maccacaro, Per una medicina da rinnovare, cit., pp. 455-461; M. Caglio, Medicina e profitto, Nuove edizioni operaie, Milano 1976, pp. 177-187; e, più in generale, perché, come dicevamo, :1 caso cinese non interessò soltanto l'Italia, I. Illich, Nemesi medica, Mondadori, Milano 1977, pp. 67-69. Può darsi che si ritrovi in questi testi la sopravvalutazione della medicina scalza o di Norman .Bethune, riflessioni pregiudizialmente anti-istituzionali o antica pitaliste, etc.; di sicuro ci sono però anche interrogativi ragionati e scientificamente fondati. Probabilmente una risposta non si può trovare nella rivoluzione culturale, ma certo non si trova neanche qui da noi bella e pronta. E' ancora presto per dire se ci troviamo di fronte a una strabiliante inversione di tendenza nella interpretazione dell'esperienza cinese. Un fatto è però sicuro: in positivo, conte modello di sviluppo per i paesi asiatici e come termine di confronto per i paesi occidentali, il Giappone oggi è molto più di moda, e grazie ad argomenti di stabilità e di produttività difficilmente trascurabili sotto certi punti di vista. Nell'illuminante dibattito sulla governabilità, è obbligatoria la citazione del caso giapponese, che appare pèr certi versi un caso particolare, e per altri versi uno svolgimento lineare e potenziato delle stesse esperienze storiche occidentali. Vedi ad esempio quanto riguarda le strutture amministrative. Nel Rapporto alla
5 Commissione Trilaterale, J. Watanuki affer- tuno continuare in questa rivista il discorso ma che la burocrazia giapponese è contrad- sulle istituzioni cinesi, che ci dà l'occasione distinta da una formazione storica avvenu- di ribadire una convinzione di fondo: gli la « secondo il modello prussiano », da uno apparati istituzionali, le convenzioni costispirito di casta « analogo a quello che anima tuzionali, il ruolo delle opposizioni, etc., soil Civil Service britannico », da un predono problemi fondamentali in tutti i sistemi minio dei tecnocrati « paragonabile con la politici; ne è possibile una analisi documenburocrazia francese » (M. Crozier, S.P. Hantata e una discussione non pre giudiziale. So!ingtoon, J. Watanuki, La crisi della demo- lo in questo senso la Cina è vicina, anche crazia, Angeli, Milano 1977, p. 122). a migliaia di chilometri di distanza. Dopo quattro anni riteniamo dunque opporFrancesco Sidoti
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La dissidenza cinese di Gregor Benton
Il movimento democratico in Cina è solo una tra le manifestazioni della instabile congiuntura politica degli ultimi due-tre anni. Occorre pertanto esaminare la natura di tale congi.untura, se non altro perché dipende soprattutto da essa la presenza e il consolidamento di tendenze politiche indipendenti . E' appropriato il termine « dissidente » in riferimento, al movimento democratico cinese? Ben pochi dei suoi sostenitori si oppongono apertamente ai leaders del Partito che attorniano Deng Xiaoping, ed alcuni dei principali attivisti in almeno uno dei gruppi associati al movimento sono membri del Partito comunista e della Lega della gioventù comunista. Uno scambio teorico, vivace anche se di breve vita, si è andato sviluppando tra i suoi cervelli guida ed i collaboratori delle pubblicazioni ufficiali più aperte. Nessuna delle sue principali tèndenze è antisocialista e solo una (Exploration di Wei Jing-sheng) è anti-marxista, se si usa il termine marxista nella sua più ampia accezione; sotto tale aspetto, almeno, esse hanno ben poco in comune con la maggior parte dei gruppi sovietici ed est-europei cui si 'attribuisce l'aggettivo « dissidente ». Ma quali che siano le sue connessioni, il movimento democratico non ha status ufficiale e non tutte le sue dichiarazioni di lealtà nei confronti del Partito debbono essere prese alla lettera. Ma c'è di più: i suoi sostenitori hanno in comune con i dissidenti dell'Unione Sovietica e dell'Europa Orientale la fede nella superiorità della democrazia sulla dittatura ed una tendenza a considerare tali con-
cetti in modo astratto, senza riferimento ai sistemi sociali che ne sono alla base. Da tutto ciò si deduce che non è improprio considerarlo un movimento di dissidenza.
LA SITUAZIONE
Nel discorso pronunciato in occasione del tren tesimo anniversario della fondazione della Repubblica Popolare Cinese, il vecchio leader Ye Jianving ha parlato della Rivoluzione culturale e delle sue conseguenze come di una « spaventosa catastrofe » che « ha traumatizzato il Partito ed 'il Popolo ». Questi sentimenti, ampiamente condivisi , dai cinesi di ogni estrazione sociale, sono una delle principali ragioni dell'attuale popolarità di Deng Xiaoping, che è stato nel contempo oppositore e vittima delle campagne condotte alla fine degli anni Sessanta. La Rivoluzione culturale è stata un avvenimento storico estremamente complesso nel cui ambito si sono affrontate molte forze contrastanti. Una minoranza delle organizzazioni delle Guardie Rosse è riuscita a resistere alla strumentalizzazione dei leaders del Partito ed ha assunto posizioni politiche indipendenti, ma la maggior parte, sotto l'influenza degli opposti gruppi presenti nella 1eadershp del Partito, è rimasta invischiata in una lotta per il potere sempre più violenta, in cui la obbedienza faziosa ha avuto la meglio sui principi politici. Risultato della Rivoluzione culturale al livello della leadership del Par-
'i tito è stato l'emergere, intorno a Mao, di un nuovo gruppo dirigente che mancava, peraltro, nel paese e nel Partito, di un'ampia base di appoggio e che perseguiva i suoi fini politici con mezzi sempre più dittatoriali. Lo strumento politico caratteristico di questo nuovo gruppo dirigente era la «Campagna » o yundong che prevedeva la mobilitazione di molte persone e grandi risorse per raggiungere i fi.ni politici indicati dai dirigenti del Partito. Durante la campagna venivano esercitate sui quadri locali pressioni sempre più forti affinché snidassero il maggior numero possibile di « nemici di classe ». La tensione mentale e fisica derivante da una critica continua, dall'autocritica e, in generale, dalla costante « lotta » provocò numerosi suicidi. Molti incolpevoli vennero esonerati dai loro incarichi, espulsi dalle scuole, imprigionati e persino condannati a morte man mario che la portata delle colpe politiche si estendeva alle accuse più banali. Il decennio successivo al 1966 vide yundong ininterrotte: fu senza alcun dubbio il .periodo più distruttivo e più dispersivo della storia della Repubblica Popolare Cinese; secondo alcuni resoconti di stampa cinesi, avrebbe fatto, direttamente o indirettamente, almeno cento milioni di vittime politiche 2 Il fine strategico centrale per i leaders del dopo-Mao è quello di creare le condizioni per la completa modernizzazione dell'economia cinese prima della fine del secolo. Come parte integrante di questo programma, essi si sono impegnati a riformare il sistema politico, a cominciare dalla riabilitazione delle vittime delle campagne politiche e dall'istituzione di un regolare sistema giudiziario. Deng Xiaoping ed i suoi sostenitori avevano riabilitato diverse centinaia di funzionari del governo centrale già prima della caduta » alla fine del 1976, della « banda dei quattro».
Da allora sono tornati al loro posto, a tutti i livelli dell'amministrazione, decine di migliaia di funzionari. Le riabilitazioiui,om.plete o parziali, hanno riguardato anche ex leaders del Partito estremamente controversi, quali Chen Duxiu, Luo Zhanglong, Peng Dehuai, Wang Guangmei e, più di recente, Liu Shaoqi. La maggior parte di costoro, prima della definitiva caduta, si erano scontrati duramente con Mao; vecchi leaders del movimento trotskista cinese, come il settantanovenne Zheng Chaolin, sono stati liberati nel giugno del '79 dopo 27 anni di prigione, anche se non risulta siano stati ancora riabilitati ufficialmente '. Il nuovo governo ha lanciato una massiccia campagna destinata a riesaminare i casi di milioni di comuni cittadini denunciati, posti sotto inchiesta e imprigionati negli ultimi vent'anni, eliminando la qualifica di « nemico di classe » che è rimasta solo per uno sparuto gruppetto di « latifondisti non riformati, contadini- ricchi, capitalisti reazionari e altri controrivoluzionari ». In passato, l'essere membro di una delle vecchie « classi sfruttatrici », o anche solo esserne figlio, era spesso di per sé sufficiente a far scattare l'accusa di controrivoluzionario. Il nuovo corso ha posto le basi per liberare decine di milioni di cinesi da una colpa ereditaria. Un certo numero di coloro che a suo tempo erano stati denunciati come « conservatori », e che oggi sono stati riabilitati, sono scienziati e intellettuali, le cui capacità .possono avere oggi un ruolo di primo piano nella modernizzazione economica e scientifica del paese. Tra i leaders e i quadri del Partito comunista la recente ondata di riabilitazioni politiche ha incontrato resistenze minime, ove si eccettui l'opposizione della cosiddetta « classe elicottero », passata dalla più completa oscurità a posizioni di vertice durante lè purghe alla fine degli anni Sessanta. Negli ultimi vent'anni, in Cina, non
c'è stata carriera politica priva di costanti pericoli e nessun funzionario ha mai potuto essere certo di sfuggire alla campagna successiva a quella da cui s'era salvato. Per costoro le nuove misure rappresentano il segno positivo di un ritorno a sistemi meno drastici per risolvere i conflitti in seno al Governo ed al Partito. Che cosa è accaduto a chi è uscito sconfitto dai giochi di potere del 1976? Non si deve sopravvalutare la forza dell'appoggio dato al programma del gruppo della Rivoluzione culturale. Sino al 1976 questo gruppo ha sperperato con le purghe buona parte della sua base politica e le sue proposte hanno trovato ben scarso appoggio nel più ampio • contesto della società. Secondo Hua Guofeng, nell'ottobre del 1976, alla caduta della « banda dei quattro », non è stato sparato un sol colpo e non è stata versata una sola goccia di sangue, « non ci sono stati. conflitti sociali, né grandi, medi o piccoli disordini ». Questo quadro viene confermato anche da altre fonti, anche se dopo l'ottobre 1976 si è avuta notizia di combattimenti a Fujian nella Cina sud-orientale. Questa mancata resistenza al blitz di ottobre è sorprendente, non fosse altro perché il gruppo della Rivoluzione culturale aveva speso, negli ultimi anni di potere, ogni energia per costruire una base di massa nella milizia (100 milioni di uomini nel 1976). La passività di questa potente milizia di fronte agli avvenimenti di ottobre è il più sicuro segno dell'isolamento della. «banda dei quattro » nella società cinese. Nel 1977 e nel 1978 si è avuta notizia di alcune esecuzioni (effettuate, secondo testimonianze straniere, in una « atmosfera carnevalizia ») di « seguaci non •pentiti della banda che avevano lottato per costrizione più che per convinzione », e che erano in genere accusati dei peggiori crimini, non escluso l'assassinio; tali accuse erano state portate alla luce per « infrangere la rete faziosa e borghese
intessuta dalla banda ». Tra gli arrestati e i puniti vi erano leaders studenteschi che avevano raggiunto posizioni di preminenza nel quadro .della Rivoluzione culturale e che poi, come Nie Yuanzi e Kuai Dafu, erano stati « purgati » dalla stessa « banda ». Costoro sono ora scomparsi nelle prigioni e nei campi ,di lavoro: sono prigionieri politici e il trattamento cui sono sottoposti è assai duro, anche se il regime da loro sostenuto condannava alla galera assai più gente dell'attuale, spesso con accuse assai meno consistenti. Si ha l'impressione che i metodi della campagna contro i sostenitori della «banda dei quattro» oscillino tra la lotta aperta e la rieducazione. Un editoriale del giorno di Capodanno 1978 chiedeva di « restringere il bersaglio » ed aggiungeva: « Chiunque può essere conquistato con la educazione non deve essere messo da parte». Nel 1978 la V Assemblea Popolare Nazionale adottava una nuova Costituzione che prevedeva un nuovo sistema giudiziario. Questa mossa era dettata dalla profonda insoddisfazione popolare per il sistema giudiziario emerso dalla Rivoluzione culturale. Turbolente campagne di massa ed unità di sorveglianza istituite allo scopo avevano assunto funzioni di controllo sociale. I procedimenti giudiziari non erano più def initi con precisione ed agli accusati politici venivano applicate sanzioni diverse da quelle comminate dai tribunali. Il sistema giudiziario era controllato dappresso dal Partito ed i processi politici si svolgevano prevalentemente a porte chiuse, ad eccezione di alcuni casi particolarmente clamorosi che potevano essere utilizzati a fini propagandistici '. La nuova Costituzione riesaminava l'istituto del Pubblico Ministero (cui spettava di istrùire i procedimenti, approvare gli arresti ed assicurarsi che tutti i cittadini e le istituzioni - compresa la pubblica sicurezza - rispettassero la legge) e fissava le
norme per gli arresti e i processi. Il governo annunciava una serie di leggi di riforma ed il Partito sembrava intenzionato a riaffermare il principio dell'indipendenza della legge dalle autorità politiche. Il nuovo sistema giudiziario è di importanza fondamentale per il successo del governo di Deng e ciò soprattutto per due ragioni. In primo luogo, uno sviluppo economico e industriale del ti.po previsto da Deng richiede condizioni di stabilità e di regolarità. Secondo Deng, la migliore garanzia per tali condizioni è l'esistenza di leggi e normative sistematiche, con organi appositi che le interpretino e le difendano. Ciò vale, in particolare, in vista degli investimenti stranieri che la Cina si propone di attirare su larga scala. Non a caso, tra le varie leggi annunciate nel 1979 l'unica entrata immediatamente in vigore è stata quella che regola appunto gli « investimenti stranieri In secondo luogo, i frequenti richiami dei nuovi dirigenti alla legalità socialista hanno accresciuto nel cittadino comune l'attesa di una magistratura veramente indipendente, che agisca in base a principi certi e prestabiliti, dalla quale essere protetti contro l'esercizio arbitrario del potere dello Stato. Senza questa protezione i cittadini non potranno mai « dire tutto quello che pensano e dirlo senza riserve » come Deng (seguendo Mao) li ha sollecitati a fare; allo stesso modo, i funzionari locali non potranno mai correggere i propri sistemi e gettare le basi di una -moderna amministrazione, basata su modelli razionali, -senza che vi siano efficaci controlli giuridici sul loro operato. I nuovi leadrs hanno insistito sul concetto che senza « democrazia socialista », cioè senza diritti democratici garantiti nell'ambito del controllo generale del Partito, non vi può essere modernizzazione. Una sorta di moderata tolleranza è considerata condizione indispensabile per « emancipare le menti » e quindi promuovere il progresso scien-
tifico e tecnologico; naturalmente, la tolle-ranza non -può andare oltre un certo limite, ed ecco allora le proposte relative alla soppressione di alcuni diritti previsti dalla Costituzione, ad esempio quello di a.ffiggere manifesti, e i tanti episodi di repressione. I comunisti cinesi considerano per tradizione la democrazia più che un fine uno strumento per raggiungere un maggior numero di obiettivi di base, quali il rafforzamento del Partito e lo sviluppo dell'economia. Dietro l'attuale tensione per la riforma politica c'è indubbiamente, anche -un atteggiamento di questo tipo. Ma nel contempo i nuovi leaders subiscono la potente pressione delle masse cinesi che a gran .voce reclamano una maggiore democratizzazione.
COME VENGONO TRATTATI NEL PCC I LEADERS SCONFITTI
Le notizie relative ad un prossimo processo esemplare della « banda dei quattro », suggeriscono inquietanti paralleli con l'Unione Sovietica di Stalin ed appaiono ad un primo esame in contraddizione sia con la tradizionale indulgenza del PCC verso i suoi leaders sconfitti, sia con il clima liberaleggiante che si coglie oggi in Cinà. Durante la pri-ma fase della rivoluzione, quella contadina, i leaders sconfitti o caduti in disgrazia continuarono ad occupare importanti posizioni nel Partito, anche perché la linea politica da essi rappresentata era stata loro imposta da Mosca. Essi dovevano la propria posizione soprattutto allo intervento del Comintern ed erano privi di un elettorato stabile e articolato in seno al movimento cinese, così che la lotta per la leadership raramente raggiunse il grado di violenza che caratterizzava quella sovietica. E tuttavia, nel primo periodo della rivoluzione, le purghe più sanguinose furono tutt'altro che rare: al tempo del cosiddetto incidente di Futian, -nel 1930, lo stesso Mao
lo Zedong fece uccidere molti dei suoi avversari politici. Solo nel 1937 Mao, colpito e addolorato dai processi dimostrativi di Stalin nell'Unione Sovietica, cominciò a rinnegare la violenza faziosa dello Jiangxi e agli anizi degli anni Quaranta, dopo che con la Lunga Marcia la leadership del Partito era ormai saldamente in suo pugno poteva permettersi di trattare con magnanimità lo sconfitto rivale Wang Ming. Evidentemente, il fatto di essere ritornato in Cina da Mosca, alla fine del 1937, come plenipotenziario di Stalin assicurava a Wang Ming l'immunità da ritorsioni maoiste, ma niente indica che la magnanimità di Mao giungesse a tollerare in seno agli organi guida del Partito una discussione effettiva cui partecipassero, in termini paritari, i suoi oppositori. Nel corso della guerra contro il Giappone, anzi, egli ed i suoti sostenitori concentrarono nelle proprie mani poteri sempre maggiori, fino a giungere nel 1945, all'istaurazione del « culto» di Mao. Delle undici « lotte di linea » in cui i maoisti ortodossi dividevano la storia del Partito, cinque appartengono al periodo successivo al 1949. Una loro analisi indica che nella Reubblica Popolare Cinese ai capi sconfitti non è stato concesso di continuare a svolgere funzioni politiche e che la lotta per la leadership è culminata nella condanna a dieci anni di reclusione senza processo a Wang Guangmei dopo il 1966, nella morte violenta di Lin Biao in circostanze che restano da chiarire, ed in una atmosfera di confronto militare neI 1971. Nel contesto di questa escalation di violenza di parte, l'annunciato processo pubblico alla « banda dei quattro » sarebbe in teoria un progresso. L'opinione pubblica cinese avverte tutta l'importanza di una pubblica resa dei conti; purtroppo, però, non sembrano esservi speranze di un processo imparziale. Contro la
« banda » sono state mosse accuse di ogni tipo: da quelle di carattere sessuale contro Jiang Qing, a quelle contro Zhang Chunquiao, accusato di avere svolto « attività controrivoluzionarie per quarant'anni». Hua Guofeng ha affermato che il suo governo « non tratterà la banda dei quattro come essi hanno trattato gli altri. Non li condanneremo a morte ». Non si può che accogliere con sollievo la promessa di clemenza, ma non è certo di buon auspicio per il nuovo sistema giudiziario che Hua non si sia fatto il minimo scrupolo di anticipare la sentenza prima ancora che il processo abbia inizio. Alla morte di Mao sono stati compiuti dei •passi •per riabilitare non meno di Otto dei principali esponenti della tendenza uscita sconfitta dall'undicesima « lotta di linea ». Il ruolo di Chen Duxiu come figura di rilievo nella storia del Partito e come autore, nel 1919, dello slogan « scienza e democrazia » (ora opportunamente trasposto in « democrazia e scienza ») è stato ancora •una volta riconosciuto anche se, vale ricordarlo, l'annullamento del verdetto non si estende al periodo della sua conversione al trotskismo. Il vecchio rivoluzionario Luo Zhaugiong, che si scontrò con Mao agli inizi degli anni Trenta e cercò di dar vita a un Comitato centrale alternativo, è stato nominato consulente per la storia del Partito. Peng Dehuai, che aveva criticato, nel 1959, il « grande balzo in avanti » (implicitamente Mao), ha ottenuto un apprezzamento postumo. Wang Guangmei è stato nominato membro di un Consiglio di Stato. Queste ed altre riabilitazioni confermerebbero che gli attuali leaders respingono la teoria di una eterna lotta tra la linea « giusta » e quella « errata », ed hanno optato uno stile di governo più collettivo e più democratico.
11 PROTESTA E DISSENSO
In Cina, contrariamente a quanto accade nell'Unione Sovietica e nell'Europa Orientale, la maggioranza dei dissidenti è costituita da operai, sebbene nei gruppi non ufficiali ci siano anche alcuni insegnanti e studenti che si identificano con la causa degli operai e dei contadini respingendo con fermezza ogni forma di elitarismo. Un'analisi della struttura della società cinese aiuta a spiegare il background prevalentemente operaio del movimento della dissidenza in questo paese. La Cina è un paese economicamente arretrato in cui il proletariato costituisce solo •una piccola minoranza della popolazione globale. Negli ultimi dieci anni, in particolare, molti milioni di abitanti delle città e di giovani, pur in possesso di titoli di studio, sono stati trasferiti nei villaggi, nell'ambito del xiafang o movimento per il « ritorno alla terra »: a volte come punizione per non gradite attività politiche, più spesso come •parte di una massiccia campagna destinata a ridurre la crescente pressione demografica sulle città. Quelli che sono rimasti rappresentano, in proporzione, una minoranza privilegiata. Il lavoro in fabbrica è considerato, in Cina, un'elevata condizione sociale e le notizie di stampa dimostrano che spesso i quadri cercano di far entrare i propri, figli in fabbrica « per la porta di servizio »; ciò si è verificato in particolare quando, in seguito alla Rivoluzione culturale, era stato interrotto per qualche anno il processo di istruzione ufficiale. In' proporzione, pertanto, i giovani che, per essere, grazie alle relazioni di famiglia, bene al corrente delle lotte politiche ad alto livello, sono riusciti ad entrare nell'industria urbana, sono molto più numerosi in Cina che nell'Unione Sovietica e nell'Europa Orientale. Parte dei leaders del nuovo movimento democratico (ad esèmpio, Xu Wenli di « April Fifth 'Forum ») pro-
vengono da famiglie di influenti funzionari di partito o alti ufficiali dell'esercito. Altri, come Yang Guang del giornale «Exploration », sono figli di scienziati e di tecnici che hanno studiato all'estero. Yang Guang è stato testimone d'accusa al recente processo contro il suo ex compagno di ideologia politica W.ei Jingsheng. Secondo il «Quotidiano del Popolo » ciò è stato possibile dopo « una paziente rieducazione ad opera di 'personale della sicurezza ». Non è possibile esprimere giudizi sicuri sull'originario background sociale del grosso del movimento, sebbene parte della stampa straniera affermi che in esso prevalgono i giovani operai e i reduci dal xia/ang. Si dice che persino gli attivisti del movimento democratico provenienti da ambienti benestanti prendano le distanze dalle loro origini, ostentando abiti dimessi di ruvido tessuto campagnolo. Nella maggioranza, gli attivisti del movimento democratico cinese hanno trent'anni; la Rivoluzione culturale 'ha avuto una certa influenza formativa, non del tutto negativa, sulla loro vita. Analizzando il fenomeno della Rivoluzione cutuale è necessario distinguere tra gli impulsi antiburocratici spontanei che l'avevano ispirata agli inizi e la successiva strurnentalizzazione burocratica che di tali impulsi si è fatta dall'alto. Anche Wei Jingsheng, uno degli ultimi dissidenti arrestati, mantiene questa distinzione scrivendo, tra l'altro, che è un errore parlare della Rivoluzione culturale ome di qualcosa « nato dall'aver incoraggiato (dall'alto) le 'Guardie Rosse a ribellarsi ». « Sono stato' con le Guardie Rosse (nell'aprile del 1966) e so perfettamente perché si sono ribellate: non perché Mao le aveva incoraggiate, ma perché le indignava vedere tante ingiustizie 'e irregolarità nella società e nella scuola. Il fatto che più tardi Mao, abbia dato loro il suo appoggio per usarle a scopi personali, è un'altra storia ».
12 La Rivoluzione culturale ha insegnato alle Guardie Rosse l'importanza di « unirsi per scambiarsi le esperienze rivoluzionarie », una lezione che oggi il movimento democratico •ha messo in pratica. Essa li ha iniziati alle tecniche del ciclostile e di una rozza editoria, ha creato una cultura politica in cui « ribellarsi è giusto », così come è giusto contestare l'autorità (anche se, a lungo andare, i leaders del Partito sono riusciti a strumentalizzare questa ribellione a proprio esclusivo vantaggio). Con le attività sospese nelle scuole e nelle università, alcuni dirigenti delle Guardie Rosse, dotati di spirito indipendente, cominciarono a porsi delle domande e a passare dal semplice catechismo del Libretto Rosso a problemi teorici più complessi, agli scritti di Marx, Engels e Lenin. Nel settembre del 1967, Jiang Qing, uno dei principali leaders del gruppo della Rivoluzione culturale, annunciava un pesante giro di vite sul movimento delle Guardie Rosse, e successivamente molti dei loro leaders venivano marchiati come criminali e puniti con l'esilio nei campi, con il carcere e talora con la condanna a morte. I giovani, sentendosi traditi, reagirono in vario modo a questa traumatizzante esperienza. Solo una minoranza di attivisti, invece, continuò a dedicarsi alla critica politica della burocrazia, iniziata durante la Rivoluzione culturale, ma concentrando ora le proprie energie sul livello teorico anziché su quello pratico. Questa critica riuniva in sé elementi di diversa origine, non escluse le polemiche e le proposte originariamente partite dal gruppo di Mao. L'attuale movimento democratico è nato soprattutto da tale critica. Un'altra categoria di contestatori nelle città cinesi è costituita da giovani reduci dal xia/ang. La condizione di milioni di questi giovani trasferiti nei villaggi è spesso dura e molti di loro pensano che la seJezioneper
il trasferimento in campagna sia stata fatta in modo arbitrario e discriminatorio. Alla caduta della « banda dei quattro » il governo ha fatto qualcosa per migliorare le condizioni dei giovani del xia/ang permettendo persino ad alc.uni di tornare a casa. Si è così messa in moto verso Pechino, Shangai ed altre città una tumultuosa corrente di giovani che chiedevano insistentemente di essere reinseriti nelle aree urba.ne . Questo fenomeno è noto come shang/an,g o movimento per la « Richiesta ». Gli attivisti del movimento democratico in Cina non si fanno illusioni sulla propria forza e riconoscono francamente di dovere la libertà di scrivere e di organizzarsi soltanto al benevolo paternalismo di una parte della leadership del Partito. Dietro la caduta dei « quattro » c'è il grande movimento di massa esploso a Pechino, nella piazza Tien an Men, e in altre città della Cina nell'aprile 1976. Le forze rappresentate ora dal movimento democratico giocarono un ruolo d'importanza decisiva nei fatti del 5 aprile, ma col tempo i sempre più ampi strati sociali e politici rappresentati nel movimento si sono ritirati dalla politica attiva mostrando di essere disposti ad affidare gli affari di Stato al nuovo governo. Alcuni considerano questo fenomeno come il risultato diretto - ed una garanzia - dei fermenti politici del 1976; altri sostengono Deng perché ogni altra alternativa appare peggiore e perché temono che il cambiamento di rotta faccia sbandare la barca, mentre di fronte, ad attendere, c'è ogni sorta di pericoli, specialmente di carattere economico. Né si debbono trarre conclusioni affrettate dal fatto che per la maggior parte i dissidenti sono lavoratori e che il movimento democratico ha una base proletaria. La tiratura della maggior parte delle pubblicazioni non ufficiali raramente supera le poche centinaia di copie. Si dice che il
13 giornale « Mass Reference News » tiri 20.000 copie a numero; ma anche se fosse vero, sarebbe un caso eccezionale. Il Muro della Democrazia nel distretto di Xidan a Pechino, lungo circa 213 metri, attira una ampia pubblicistica, ma i grandi murali presentano molti inconvenienti e gli attivisti del movimento democratico preferiscono divulgare le proprie idee attraverso i giornali ciclostilati. Per qualche tempo le autorità hanno permesso l'uso di manifesti redatti a grandi caratteri sui Muri della Democrazia perché erano ben visibili e quindi più facili da controllare, ma hanno sempre rifiutato di accettare le richieste di riconoscimento ufficiale per pubblicazioni del movimento, il cui stato giuridico, pertanto, è rimasto molto vulnerabile (anche se in teoria la Costituzione garantisce la libertà di stampa). Differenze politiche piuttosto profonde dividono alcuni dei principali gruppi dissidenti, ma ciò non ha impedito loro di associarsi nella protesta contro l'arresto di attivisti, né di tenere i contatti, ai fini di una discussione comune, con altri gruppi in tutto' il paese. Fino a quando non riusciranno a stabilire saldi legami con una base sociale più ampia, la loro forza continuerà ad essere la reciproca solidarietà, il coraggio e lo spirito di sacrificio. Negli anni scorsi il movimento democratico, articolato ma numericamente debole, ha cercato di saldare questi legami con i numerosi, ma essenzialmente disorganizzati, postulanti del shang/ang. Le autorità non sono ancora in condizioni di metterne a tacere le rivendicazioni politiche e sociali: non solo perché sono troppi, ma soprattutto perché i loro problemi nascono a livello locale, dove le nuove norme liberali cominciano solo ora a penetrare. Le autorità di Pechino hanno tentato di trattare, suggerendo di presentare le richieste a livello locale; ma, come commentava l'agricoltore Zhang
sul suo giornale murale, « ... che senso ha consegnare una richiesta proprio alla persona accusata dei misfatti lamentati? ». Per completare il quadro delle cause profonde della protesta e del dissenso nella linea contemporanea, ricorderò brevemente altri due gruppi: gli studenti e gli intellettuali .non-conformjstj. Gli studenti sono stati una delle forze trainanti del movimento delle Guardie Rosse nell'ambito della Rivoluzione culturale. Negli anni successivi all'apertura delle università, agli inizi degli anni Settanta, essi ricevettero una preparazione ispirata alle regole e ai modelli del gruppo di Mao; dopo il 1976 tale 'preparazione risultò poco adatta alle esigenze di tipo pragmatico dei nuovi leaders, i quali puntavano soprattutto sulla specializzazione tecnica e scientifica. Il mondo studentesco non dimostrò eccessivo entusiasmo per i programmi del nuovo governo (anche se non è ancora provata una loro effettiva opposizione ai cambiamenti al vertice dopo la morte di Mao). Per quanto riguarda gli studenti delle classi reclutate dopo il 1976, era prevedibile che questi si identificassero con gli obiettivi dei nuovi dirigenti, anche perché destinati a svolgere un ruolo di rilievo nel raggiungimento di quegli obiettivi. Non deve quindi meravigliare che questo particolare ambiente non abbia sin qui svolto un ruolo di rilievo nelle attuali lotte e polemiche politiche. Ma sembra che qualcosa cominci a cambiare. Nell'ottobre 1979 alcune migliaia di studenti di Pechino hanno inscenato uno sciopero e una dimostrazione di protesta contro l'occupazione stabile del loro campus da parte di un'unità di artiglieria dell'esercito, che vi si era insediata durante la Rivoluzione culturale. Gli studenti hanno coniato in quell'occasione slogans che andavano ben oltre l'avvenimeiìto contingente: essi chiedevano l'abolizione degli « speciali privilegi » concessi all'esercito e dichiaravano che « l'uni-
14 versità non è una caserma ». Nel novembre successivo la stampa occidentale riferiva che un leader studentesco, il quale aveva contribuito ad organizzare lo sciopero, era stato espulso e che i soldati non si erano ancora mossi. Il non-conformismo culturale è una componente essenziale dell'attuale fermento politico in Cina. Al tempo della « banda dei quattro » la vita culturale, guidata quasi completamente da burocrati, era quanto di più misero e tetro si possa immaginare. Il giornale di Pechino Enlightenment traccia un quadro racapricciante della repressione 'culturale e artistica seguita alla Rivoluzione culturale: « ... in questa guerra delle menti, la gente era sottoposta ad una tensione fisica prossima allo spasimo... Le bocche non servivano più a comunicare idee e sentimenti, ma solo a mangiare e respirare... Le tele dei pittori si trasformavano in stracci e i colori si solidificavano. Negli orribili, balletti di •guerra gli arti dei ballerini si paralizzavano;' i violinisti perdevano le dita, i cantanti non osavano aprir bocca, le ragazze non entravano nei negozi per comprare stoffe colorate, gli innamorati non osavano passeggiare a braccetto » 6 A partire dal 1976 il nuovo governo ha notevolmente attenuato i toni della propria politica culturale. Per 'le strade cinesi hanno fatto la loro comparsa alcune piccole libertà: occhiali neri, pantaloni a campana, capelli arricciati e persino tinti. Molti gruppi non ufficiali sono attivamente impegnati a sperimentare nuove forme letterarie ed artistiche e la maggior parte dei giornali non ufficiali pubblica, accanto a dichiarazioni e resoconti politici, poesie e novelle.
« LI YI ZHE »
Nella parte che segue presenterò tre dei più importanti gruppi del movimento democratico, iliustrandone concezioni e ideologie.
Il gruppo di Li Yi Zhe prende nome da tre leaders delle ex Guardie Rosse, Li Zhengtian, Chen Yiyang e Wang Xizhe, i quali, con una quarantina di altre persone, affissero nel 1974 a Guangzhou un controverso manifesto . Questo giornale, che circolò poi. ciclostilato •per tutta la Cina, approfondiva i temi della campagna governativa volta a criticare Lin Biao ed a chiedere il rovesciamento dell'intero sistema di cui lo stesso Lin Biao era soltanto un'espressione, rivolgeva velati attacchi a Jiang Qing ed ai suoi sostenitori (la banda dei quattro) e chiedeva una democrazia socialista, un sistema giuridico socialista e la protezione dei diritti' rivoluzionari ed umani del popolo. Per, un certo tempo gli autori della pubblicazione riuscirono a sfuggire alla repressione grazie alla protezione dei seguaci di Deng Xiao,ping nella leadership provinciale di Guangdong; ma anche se non vennero arrestati subito, dovettere comunque subire una campagna di pesante critica e' furono praticamente affidati alla « sorveglianza di massa ». Vennero incriminati soltanto nel marzo 1977, parecchi mesi dopo il blitz di ottobre e, ironia del caso, furono accusati di essere seguaci della « banda » oltre che di tenere rapporti con Taiwan e con i trotskisti di Hong Kong. All'epoca della « banda » erano stati definiti soltanto « reazionari », ora erano accusati di essere « controrivoluzionari ». Dopo il processo finirono in un campo di lavoro e si sa che almeno uno di loro (Li Z.hengtian) fu condannato all'ergastolo. Nel 1978 la stampa cinese non ufficiale diede inizio ad una campagna per la liberazione del gruppo Li Yi Zhe. Anche Amnesty International si occupò dei tre in quanto «condannati per reati d'opinione ». Nello stesso anno veniva promtllgata la nuova Costituzione che faceva sue molte delle proposte formulate dai tre quando la « banda dei quattro » era ancora in auge. Essi furono comunque li-
15 berati e riabilitati soltanto nel febbraio dell'anno successivo. Dopo il •rilascio, questi veterani del movimerto democratico sono tornati a impegnarsi nella ricerca teorica indipendente. Uno di loro, Wang Xizhe, ha espresso la sua opinione - che egli definisce una messa a punto del manife&to del 1974 - sui giornale non ufficiale di Guangzhou, «Voce del Popolo », con il titolo « Lotta per la dittatura di classe del proletariato ». Questo importante documento sviluppa una critica, valida e originale a livello teorico, della società post capitalistica e può essere riassunto come segue. Dopo aver conquistato il potere in un paese economicamente arretrato, il proletariato si è trovato di fronte a un dilemma: chiudere le porte al mondo esterno e ritirarsi in un regime di « socialismo féudaie », o entrare nel sistema mondiale e diventare « una fabbrica cooperativa su larga scala », una « borghesia senza borghesi », producendo beni per un mercato mondiale dominato dal capitalismo. Data l'enorme dimensione di questa fabbrica cooperativa e il basso livello culturale dei lavoratori, l'economia non dovrebbe essere gestita dai lavoratori, ma dalle loro avanguardie organizzate nel Partito comunista. Ciò porrebbe un ulteriore dilemma: elevare il livello culturale dei lavoratori, così che essi possano gradualmente impadronirsi dell'amministrazione dello Stato, o consentire che l'avanguardia dei lavoratori « venga a perdere le proprie caratteristiche trasformandosi in qualcosa di opposto al proletariato », vale - a dire una dittatura dei « burocrati comunisti ». La base sociale per questo tipo di dittatura esiste ancora in Cina: i quattro erano il prodotto delle condizioni sociali, non la loro causa. Wang condivide con gli altri dissidenti e con i leaders studenteschi del periodo dei Cento Fiori, nel 1957, una visione della jugoslavia piena dell'ingenuità idealizzata di
un pittore naif, ma la sua analisi appare largamente originale, soprattutto quando tratta del rapporto tra socialismo, democrazia e dittatura nel più ampio contesto mondiale. La conclusione è che « il socialismo non è realizzabile nell'isolamento e soprattutto non in un paese economicamente arretrato ». Malgrado le sue teorie radicalmente innovative, Wang appartiene all'ala moderata del movimento democratico quando affronta i problemi dell'azione politica quotidiana. Egli continua a definire Deng Xiaoping «un grande rivoluzionario proletario », anche dopo che questi ha severamente criticato i dissidenti nel marzo del 1979, e aggiunge: « C'è gente che porta avanti troppo frettolosamente il movimento democratico; occorre pertanto porre qualche limite alle loro parole e alle loro azioni. Non è questo, tuttavia, il problema: le forze conservatrici prevarranno solo se all'interno del Partito si prenderanno misure che sopprimano la democrazia del popolo ».
«BEIJING SPRING»
Questo giornale è la tipica espressione di una corrente del movimento democratico che riflette le posizioni dell'ala liberaleggiante della leadership del Partito. La sua dichiarata posizione politica « prende come guida il marxismo-leninismo, sostiene il PCC, aderisce alla via socialista e segue la politica di Mao Zedong per la fioritura dei Cento Fiori e l'affermazione di cento scuole di pensiero »". Lo stesso giornale ha pubblicato numerosi articoli di critica nei confronti della vecchia guardia del Partito, di apprezzamento per i leaders riabilitati e di pressione in favore della revisione del processo di Lju Shaoqi, che condivise all'inizio degli anni Sessanta l'ideologia di Den all'interno del Partito. Almeno fino alla crisi soprav-
111 venuta alla fine del 1979, il ruolo di questo foglio è stato simile a 9uello sostenuto a Hong Kong, prima di Deng, dalla stampa di sinistra; è stato il battistrada del gruppo di Deng quando questo gruppo voleva estendere ulteriormente la politica di liberalizzazione. Come gli altri giornali non ufficiali, « Beijing Spring » presenta dettagliate proposte per una rettifica del sistema politico nel senso di una maggiore democrazia; proposte che, formulate in termini , di marxismo radicale, altro non sono in realtà che una riformulazione delle posizioni proprie all'ala liberaleggiante della leadership. Il foglio, ad esempio, propone come nio-. dello di democrazia la Comune di Parigi, aggiungendo però che le due principali caratteristiche di questa - sostituzione dell'esercito con una milizia popolare e della burocrazia con la democrazia - sono inattuali 'in un sistema internazionale dominato dall'imperialismo. La prematura instaurazione di una Comune porterebbe all'anarchia. Con la leadershp di Hua Guofeng, sarà possibile abolire il sistema in modo graduale , e nel contempo stare in guardia contro le interferenze della « sinistra » ultrademocratica. Il primo passo potrebbe essere costituito dalla richiesta di eleggere democraticarnente dei Consigli di lavoratori, costituiti in unità « rurali » dell'industria, mettendo fine alla leadership diretta del Partitò . su di essi (ma conservandola per i' livelli 'medi e superiori)' 0 in questo senso « Beijing Spring» non è stato tanto il giornale del dissenso quanto il veicolo delle idee della corrente di Deng in seno alla dirigenza del Partito, anche se presentava queste idee' in termini marxisti piuttosto libertari ed è stato apparentemente accettatò come parte del movimento democratico. Dopo la stretta di freni dell'ottobre-novembre 1979, tuttavia, il giornale .
ha adottato posizioni critiche nei confronti dei dirigenti. del Partito.
« EXPLORATION »
« Ex.ploration »; o «Tansuo », è il giornale che il dissidente Wei Jing-sheng ha diretto fino al suo arresto alla fine del marzo 1979. Come molti altri attivisti anche Wei proveniva dalle Guardie Rosse; era stato mi-, litare tra il '69 e il '73 e aveva in seguito lavorato come elettricista nello zoo di Pechino. Secondo Wei, « l'odiato vecchio sistema politico » non è cambiato malgrado i mutamenti al vertice del Partito. La più completa espressione delle sue posizioni politiche e filosofiche è « la quinta modernizzazione: la democrazia », pubblicata su « Exploration » nei numeri I . e 2 del dicembre 1978 e gennaio 1979 11. Nel sistema della Repubblica Popolare Cinese, Wei critica soprattutto la formula totalitaristica della « soppressione dell'individualità come fondamentale condizione di 'sopravvivenza ». Come Wang Xizhe, Wei vede la miglior soluzione per la Cina in un sistema a direzione popolare del tipà jugoslavo; considera il marxismo come il principale elemento « intossicante » della Cina, ma crede ancora nel socialismo che considera « fondamentalmente incline alla democrazia »; cerca, infine, ispirazione nei movimenti presocialisti che considera « legati ai movimenti democratici e direttamente interessati alla felicità cui il popolo ambisce ». Wei Jing-sheng è il più a destra tra i più noti attivisti del movimento democratico. Non sono molti i dissidenti che condividono le sue idee sul marxismo, mentre più numerosi sono quelli che concordano sul suo concetto di democrazia borghese. Persino il successore di Wei quale direttore provvisorio di «Exploration », Lu Lin, sembra favorire un ritorno alle fonti del
17 marxismo genuino, del marxismo tout court, sebbene anche lui respinga ciò che considera il. « falso marxismo di Mao ». A proposito della democrazia borghese non è raro trovare nella - stampa del movimento democratico la più entusiastica adulazione per gli Stati Uniti, anche se in alcuni giornali sono state espresse opinioni più equilibrate12 . Anni di isolamento dal resto del mondo hanno portato persino i cinesi più colti e politicamente più consapevoli a concepire la società borghese occidentale in modo assolutamente indifferenziato senza tener conto delle profonde disparità di ricchezza e di potere. Oltre a Wang Xizhe, sono ben pochi i collaboratori della stampa non ufficiale che hanno analizzato in maniera. approfondita il fenomeno dell'imperialismo.
LA SVOLTA DELLA REPRESSIONE
Il segnale del primo giro. di vite sul movimento democratico è stato un discorso di Deng Xiaoping il 16 marzo 1979 in cui si ponevano ristrettissimi limiti al fermento politico. Al discorso fecero seguito avvisi sulla stampa e comunicazioni pubbliche che proibivano agitazioni e « attività contro-rivoluzionarie ». Il 25 marzo compariva nelle strade un'edizione speciale di « Ex.ploration » che criticava Deng, accusato di voler sopprimere il movimento democratico, e invitava a vigilare di fronte alla sua « metamorfosi dittatoriale »''. Pochi giorni dopo venivano arrestati alcuni dissidenti fra cui il curatore di « F.xploration », Wei Jing-sheng. A.questo punto, il Partito promulgava i suoi « quattro principI fondamentali », base necessaria a mantenere l'ordine sociale; fedeltà al socialismo, dittatura del proletariato, leadership del Partito comunista e marxismo-Ieninismo-maoismo. La stampa occidentale ha, comprensibilmen-
te, evidenziato le vittime .più in vista di questa repressione, ma da notizie attendibili si è appreso che la rete è stata gettata su una vasta superficie, con circa 2.000 arresti a Pechino e a Shanghai 14 . La scelta dei tempi per questo giro di vite è legata alla situazione militare al confine con il Vietnam. I fermenti tra i postulanti shan,g/ang a Pechino e la crescente audacia del movimento democratico minacciavano di provocare, insieme, una nuova ondata li inquietudine e disordine. Era la vigilia del 5 Aprile. Gravi disordini nella piazza Tienan-Men nell'anniversario delle dimostrazioni del 1976 avrebbero vanificato gli sforzi compiuti dai dirigenti cinesi per confermare l'immagine di una nazione unita dietro al suo esercito. -Il discorso di Deng e i successivi arresti avevano soffocato il movimento democratico. Ma non era passato molto tempo che i grandi manifesti ricomparvero sui muri; nel maggio e giugno successivi, i giornali non ufficiali ritornarono nelle strade. Questa seconda fioritura del movimento ha coinciso, più o meno, con il iredicesimo anniversario del discorso con cui Ye .Jianying aveva attaccato la Rivoluzione culturale e con un ulteriore rafforzamento della posizione di Deng Xiaoping in seno al Politburo per il ritorno di Peng Zhen e altri a posizioni di maggiore influenza. Tra la fine di settembre e i primi di ottobre le strade di Pechino e di altre città tornarono a risuonare degli slogans con cui studenti, contadini, operai, disoccupati, giovani xia/ang ancora una volta esprimevano apertamente il loro malcontento. Il 16 ottobre si apriva il processo a Wei Jing-sheng, preludio ad un nuovo giro di vite su alcuni settori del movimento di protesta, che si sarebbe concluso con una condanna a 15 anni di reclusione perÒ avere, in occasione dell'invasione cinese del VietnAm, « fornito ad uno straniero notizie di carattere mi-
18 litare...; per avere scritto e distribuito articoli che diffamavano il marxismo-leninismomaoismo; infine, per avere operato per rovesciare la dittatura del proletariato e il sistema socialista e conquistare il potere ». Sembra probabile, considerando il momento e il contenuto delle accuse rivolte a Wei, che l'intera manovra fosse destinata ad intimidire coloro che criticavano l'azione nel Vietnam. Alla condanna di Wei hanno fatto seguito altri arresti ed una rinnovata accentuazione del « carattere di classe » della democrazia e del sistema giudiziario. Non v'è ragione di ritenere che Deng non abbia approvato in pieno questa nuova linea politica. Al tempo del processo a Wei, nel corso della visita di una delegazione di governatori degli Stati americani, Deng ebbe occasione di dire che il Muro della Democrazia, i sit-ins e le dimostrazioni « non possono rappresentare i sentimenti genuini del popoio ». Durante il periodo della crisi Hua Guofeng si trovava in Europa e Deng era stato nominato premier ad interim: la sua influenza nella leadership era più forte che mai, anche grazie alla sconfitta politica subita dalla vecchia guardia di Wang Dongxing e al suo isolamento. All'inizio di dicembre le autorità dello Stato •hanno annunziato che per il futuro tutti i giornali ed i manifesti murali dovranno essere registrati e firmati e che i loro autori non dovranno « rivelare sègreti di Stato e impegnarsi in altre attività illegali »; concetti, questi che, malgrado il nuovo codice penale rimangono piuttosto elastici. Contemporaneamente, è stato ordinato lo spostamento del Muro della Democrazia dal centro di Pechino, dove quotidianamente passano centinaia di migliaia di persone, ad un parco suburbano. A Changsha, 'Wuhan, Tiajin e Guangzhou è stata ufficialmente vietata la distribuzione di alcuni giornali non ufficiali. (A questo proposito si può vedere
la dichiarazione congiunta di tre giornali di Guangzhou con la quale si chiede a tutti gli attivisti del movimento democratico in tutta la Cina di intraprendere una lotta unitaria per il diritto di tutte le « pubblicazioni popolari » ad ottenere un'autorizzazione ufficiale; la dichiarazione è stata tradotta in francese e pubblicata su « Le Matin » del 6 febbraio 1980).
PROSPETTIVE DEL MOVIMENTO DEMOCRATICO
Un confronto con movimenti non ufficiali del passato può rivelare quali siano gli elementi di forza e di debolezza dell'attuale dissidenza cinese. In tre occasioni della loro storia (nel 1942, nel 1957 e nel 1966) i dirigenti del PCC hanno deliberatamente sollecitato la critica dal basso e questi movimenti di critica di massa - soprattutto quelli del 1942 e del 1957 - 'hanno avuto in comune alcune importanti caratteristiche, oltre che alcune sostanziali differenze. Tra il movimento attuale e la campagna dei Cento Fiori nel 1957 si possono cogliere numerose affinità e, in effetti, i paralleli tra i due periodi sono stati riconosciuti persino a livello ufficiale. La repressione dei Cento Fiori è stata ampiamente illustrata dalla stampa ufficiale come l'inizio di una tendenza «di sinistra », oltre che di tutti i guai del paese. mentre le decine di migliaia di vittime della stretta repressiva del 1957 sono state non solo riabilitate, ma continuano a ripetere oggi le cose che già affermavano prima del loro arresto oltre vent'anni fa. Ci sono, tuttavia, anche importanti differenze nella natura dei due movimenti e nel contesto entro cui ciascuno di essi ha operato. Nel 1957 tutti i settori del Partito erano uniti dietro ai loro leader storico Mao. Il Partito aveva rafforzato la propria posizio-
19 ne ed era riuscito prima a rimettere in moto e poi a ristrutturare radicalmente l'economia cinese. Oggi, gli effetti combinati dell'età e delle lunghe lotte per il potere hanno messo in ombra molti dei vecchi leaders, mentre l'economia e la società cinesi sono appena emerse da un oscuro periodo di debilitante caos. Nel 1957 Mao aveva lanciato i Cento Fiori come se fossero una libera scelta, soprattutto per frenare nel Partito il conservatorismo burocratico e per prevenire il rischio che tra Partito e popolazione si aprisse un baratro simile a quello che lo aveva tanto allarmato nel 1956 in Ungheria. Per l'occasione aveva nobilitato studenti e vecchi intellettuali appena riemersi dalla fossa della riforma culturale. Oggi il movimento democratico si è sviluppato in piena indipendenza attraverso un lungo periodo di fermenti e di sperimentazione ideologica. Esso è formato soprattutto da giovani lavoratori induriti da anni di privazioni personali e di lotta politica che con gli studenti del 1957 hanno in comune solo qualche nozione; per il resto, il loro programma ha, nel complesso, una profondità e una articolazione teoriche maggiori ed una ispirazione più socialista che liberale (come era, invece, nel 1957). Può essere interessante anche un confronto con la Rivoluzione culturale. Nel 1966 la leadership del Partito era spaccata; la gioventù studentesca, che costituiva la base della Rivoluzione, mancava di esperienza quanto ad organizzazione politica ed era facilmente strumentalizzabile da parte di dirigenti più abili. Le correnti rivali all'interno del Partito lottavano tra loro per reclutare sostenitori tra le Guardie Rosse, le quali, a loro volta, avevano perso di vista gli effettivi problemi politici finendo patologicamente invecchiati, ;senza speranza, nella faziosità più cieca. Oggi esistono alcune organizzazioni dissidenti sensibili alle pressioni di Deng Xiaoping, ma nella maggior parte
sono sostanzialmente indipendenti. Esse sono riuscite ad evitare la massiccia personalizzazione dei loro esponenti politici, malgrado la campagna ufficiale violentemente personalizzata contro la «banda dei quattro». I teorici della dissidenza insistono sulla necessità di guardare non ai difetti di questo o quel dirigente, ma al sistema sociale di cui sono espressione. I due grandi caposaldi attraverso i quali gli attuali leaders sono giunti al potere sono la modernizzazione e la democrazia socialista. E' fuori di dubbio che rimangiandosi completamente le loro promesse di riforma essi si alienerebbero l'appoggio delle masse; e tuttavia, come dimostrano fin troppo chiaramente gli avvenimenti degli ultimi tempi, i dirigenti del Partito non sono preparati a tollerare le forme sempre più audaci di organizzazione politica indipendente richieste dal movimento democratico e ad aprire il sistema alle nuove ventate del dissenso di base. L'obiettivo di Deng sembra essere la creazione di una società ben ordinata in cui la « democrazia » sia oculatamente dosata così da rafforzare e stabilizzare il regime. L'attuale responsabilizzata rinascita di quella manciata di « partiti democratici » che nel 1949 hanno sostenuto senza critiche il governo è del tutto compatibile con i progetti di Deng, mentre non lo è l'ulteriore sviluppo di un movimento democratico non conformista e sempre più articolato. La prospettiva più probabile, quindi, è il perdurare di una repressione selettiva contro i dissidenti. D'altra parte, però, costringendo il movimento democratico alla clandestinità, la repressione potrebbe effettivamente rafforzarne la coesione e spingerlo ad affondare sempre più le proprie radici nel mondo contadino e nella classe operaia. E questo è. il rischio che Deng sta correndo.
20 Estratto da China's Oppositions, a New Lft Review », n. 122, 1980. Le fonti di stampa non cinese su cui si basa questo studio (escluse quelle cui si fa riferimento in note distinte) sono costituite da articoli di David Bonavia, Melinda Liu, Jerome Alan Cohen e Helmut Opletal in « Far Eastern Economic Review » per tutto il 1979, e di Jay Mathews e Fox Butterfield in « International Herald Tribune » per la fine di ottobre e i primi di 'novembre 1979. Le dichiarazioni ufficiali di 1aders còmunisti cinesi cui si, fa riferimento in questo articolo, se non altrimenti indicato, in « Beiing Review » o nella cronaca trimestrale e nella sezione documentazione di « The China Quarterly ». Alcuné traduzioni da giornali non ufficiali di Pechino possono trovarsi in Joint Publications Research Series del governo degli Stati Uniti (di qui in avanti JPRS). 2 AFP, cit. in « The China Quarterly a, n. 78. giugno 1979, p. 410. 11 significato di questa immagine, certamente esagerato, è che molta gente in Cina è apertamente pronta ad accettarne la realtà. Zhen Chaolin era membro fondatore, insieme a Zou Eniai, Deng Xiaoping e altri, della famosa sezione francese del CCP. Ha trascorso 34 anni della sua vita da prigioniero politico, prima come « rivoluzionario pericoloso » al tempo del Kuomintang, poi come «contro-rivoluzionario » in regime comunista. Per maggiori informazioni v. i miei articoli in « The Guardian a, 9 novembre 1977 ed in « Intercontinental Press ,>, New York, vol. 17, n. 35, i ottobre 1979. Per ulteriori dettagli v. il Rapporto di AMNESTY
Poi iticai Impresonment in the Peopie's Republic o/ China, Londra 1978. Lasciamo la traduzione inglese dal cinese Quim'eng
INTERNATIONAL,
[ndr]. « «Enlightenment » (« Quimeng »), n. 2 : 24 no-
vembre 1979 (JPRS 73215).
V. Appendice V al 'Rapporto di. NATIONAI.,
AMNESTY INTER-
Beijing Spring (Beijing zhi chun), n. '2,
27 gennaio 1979 (J.P.RS 73728); e Peter Schier,
Der Pali Li Yi Zhe, in «China aktuell », Amburgo, aprile 1979. a « People's Voice » (a Renmin zhi sheng »), n. 8, luglio 1979. Q.uesto articolo è stato ripreso dal giornale di sinistra di Hong Kong, « Qishiniandai » (a Seventies Monthly ») e in traduzione in inglese sulla «New Left Review », n. 121, 1980. Il «Beijing Spring », n. 1, 9 gennaio 1978 (JPRS. 73728). io « Beijing Spring », n. i e 2, 9 e 27 gennaio 1979 (JPRS 73421). ,11 JPRS 73756 e 73787. 2 V: ad esempio America is no Haven o! Liberly Either, in Aprii Fi/th Forum citato da HELMUT H0PLETAL in « Far Eastern. Economic Review a. 7 settembre 1979. 13 JPRS 73421. 4 L. FANCHELIEU e W. ZAFANOLLI. «Le Monde», 13 ottobre 1979.
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La Costituzione deI 1978 di Renzo Ristuccia
L'attuale Costituzione cinese è stata approvata dalla quinta Assemblea popolare nazionale nel febbraio del 1978. Il testo costituzionale precedente era stato approvato appena tre anni prima. Di questa Costituzione ci siamo già occupati nel fascicolo 13 di « Queste Istituzioni » (dicembre 1976gennaio 1977). Allora traducemmo un articolo di Yves Viltard, che descriveva la Costituzione del '75, con tutte le sue innovazioni frutto della Rivoluzione culturale; insieme pubblicammo una nota più specificamente « politica » di Tiziano Terzani sulle differenti interpretazioni della stessa Carta costituzionale. Oggi, dopo quattro anni, il clamoroso sviluppo politico del paese dopo Mao (ma per « dòpo-Mao» intendiamo anche gli ultimi anni di vita del presidente) è caratterizzato dalla lotta all'interno del Partito comunista cinese tra « radicali » e « moderati ». Nel '76 la «banda dei quattr3 », accusata « di crimini spaventosi », fu arrestata Tnentre il gruppo moderato iniziava a controllare i maggiori posti di potere. La commozione per la morte di Mao Zedung, però, era ancora viva e nessuno voleva un taglio netto con il passato; la massima preoccupazione del nuovo gruppo dirigente fu di tenersi lontano da qualsiasi rottura ideologica. Questi anni sono stati dunque un periodo di transizione e al potere sono rimasti uomini fedelissimi del presidente, seppure considerati al di. sopra delle parti, cresiuti nel Partito durate,.1a' Riv6luzione culturale. Hua Guofeng dunque, e non un nota espo
nente moderato come poteva essere Deng Xiaoping, ha ereditato le cariche del « grande timoniere ». Solo negli ultimi mesi le giovani generazioni, i protetti di Deng, iniziano a ricoprire le massime cariche del Partito e dello Stato in Cina (ci riferiamo soprattutto alla nomina di Zhao Zyang a' presidente del Consiglio per gli Affari di Stato, cioè del goveriio cinese). Tutte queste trasformazioni sono avvenute al di fuori delle istituzioni, al di fuori del modo di procedere stabilito dalla Costituzione. In questo senso l'esame degli articoli della Costituzione non può essere utile a spiegarci i meccanismi del potere in Cina. Non si sa neppure fino a che punto le indicazioni della Costituzione sulle elezioni, sugli organi politici e le loro funzioni siano rispettate. Eppure una Costituzione, in quanto documento ufficiale di un regime, dà sempre un'immagine, o perlomeno uno schizzo, di quelle che sono le intenzioni e le direttive di una, classe dirigente; o anche, come nel caso delle Costituzioni cinesi del 1975 e del 1978, dei compromessi raggiunti tra le varie forze politiche. Come gli uomini che l'hanno elaborata, anche questa Costituzione è un testo transitorio, e Ye 'Jianying nel suo Rapporto sulle modifiche della Costituzione (1° marzo 1978) si è spesso soffermato ;' sul suo carattere temporaneo come complesso di regole generali per governare lo Stato in un 'periodo nuovo. Per H.ua e i suoi collaboratøj è sempre-il marxismo, il leninismo e i11o" Zedung-pen-,
22 siero l'ideologia direttrice della Repubblica Popolare Cinese (art. 2 e preambolo della Costituzione). Il preambolo si richiama continuamente a Mao Zedung come «guida » e « grande timoniere » e il suo pensiero è definito « garanzia fondamentale ». Il delitto più grave della «banda dei quattro » è di aver deformato il pensiero di Mao, dice la nuova leadership cinese, dimenticando, o meglio fingendo di dimenticare, che questo si presta alle più differenti interpretazioni e che certamente la più « letterale » di esse è quella radicale. I discorsi, i documenti ufficiali, la Costituzione stessa sono, negli ultimi quattro anni, un continuo rivisitare il Mao Zedung-pensiero attraverso il Mao Zedung-pensiero ma, naturalmente, senza Mao Zedung. A questo proposito ricordiamo che è uscita in Cina una nuovissima edizione dei pensieri di Mao ben scelta e curata da ideologi moderati e che sarebbe pronto (per pubblicarlo si aspetterebbe solo la fine del processo ai quattro e il congresso del PCC) un « documento sugli errori del presidente». Il mausoleo di Mao sulla piazza Tien an Men è aperto a giorni alterni e un giorno non troppo lontano, causa la cattiva imbalsamazione del cadavere, verrà chiuso. Una contraddizione troppo profonda, però, si sta aprendo tra la volontà di continuità ideologica di Hua Guofeng e dei vecchi dirigenti maoisti ancora al potere e le nuove scelte politiche ed economiche portate avanti da Deng Xiaoping e dal gruppo moderato. Non si tratta più di criticare la dottrina di Mao secondo la dottrina di Mao, il problema è se accettare o men6 questa dottrina. Non siamo certo originali se affermiamo che il quinto imputato al processo contro la « banda dei quattro » è il « grande timoniere » stesso. Dietro questo proces30 la lotta è ancora tra due linee, una di continuità una di rottura, una che fa cao a Hua, urlà a Deng Xiaoping. Anche la Costitu-' zioné del 1978 viene quindi ad essere 6g-
getto di critica da parte dei dirigenti che fanno capo alla seconda linea. Non a caso è stata nominata una Commissione per la revisione della Costituzione (« Le Monde », 17 settembre 1980). Siamo davanti a una Carta di compromesso e piena di contraddizioni, così legata a Mao da una parte e così vicina a istanze economiche e culturali completamente diverse, che non può essere il testo ufficiale, almeno secondo i moderati, del nuovo corso cinese. Non vogliamo però dilungarci in questioni «politiche », dal momento che vogliamo sviluppare un'esame delle istituzioni politiche nella Costituzione cinese del 1978 in ciò che differiscono da quella del 1975. La Cina ha avuto fino ad ora tre Carte costituzionali. Nel 1954 il testo uscì da una lunga discussione tra i diversi partiti e raggruppamenti, poi fu adottata dal PCC e approvata dall'Assemblea popolare nazionale. Della Costituzione del 1975 non è mai stata precisata l'elaborazione; si seppe che era il prodotto della combinazione tra i suggerimenti degli organi dirigenti e quelli di «larghe masse popolari ». La Costitu-' zione del 1978 è stata elaborata da una commissione ad hoc presieduta da Hua Guofeng, quindi approvata dal Comitato centrale eletto dall'XI Congresso del Partito comunista cinese e infine sottoposta al voto dell'Assemblea popolare nazionale. Il concetto di « dittatura del proletariato » viene riconfermato nell'articolo i della Costituzione. Visto che nell'analisi marxista, la natura di uno Stato non si differenzia nell'essere « democrazia » o « dittatura » ma per la qualità della classe che gode della democrazia ed sercita la dittatura, Mao ha definito la Repubblica Popolare Cinese con la formula « dittatura popolare democratica ». Nel preambolo si parla anche di « Fronte unito rivoluzionario », un concetto pro-
23 prio della Costituzione del 1954, ma lasciato in ombra nel 1975. Il Fronte unito rivoluzionario riunisce infatti al proletariato gli intellettuali, le personalità patriote, i cinesi di Tai Wan, Hong Kong, Macao, nonché i cinesi d'oltremare. Si cita a proposito Mao Zedung: «La dittatura del proletariato deve contare su immense forze alleate e non unicamente sul proletariato ». Visto che nel 1975 non era specificata la composizione di questo « Fronte unito rivoluzionario » è forsé giusto interpretare la definizione data nella Carta deI '78 come una nuova apertura verso le classi medie intellettuali combattute durante gli anni Cinquanta. L'articolo '2 della Costituzione cinese riguarda il ruolo del Partito comunista. Alcune regole mitigano la sua posizione preponderante rispetto alla Costituzione precedente (per esempio ad esso spetta solo la scelta del primo ministro, gli altri membri del Consiglio sono nominati dal primo ministro stesso; non è stato più stabilito che « l'Assemblea popolare nazionale » è posta sotto la direzione del PCC) è comunque certo che tutta la lotta politica in Cina si svolge in seno al Partito e non certo attraverso gli organi dello Stato. I principi del « centralismo democratico », della lotta alla burocrazia, la formula di « Stato m'uItinazionale unito » e la lotta ad ogni ten denza separatistica, rimangono invariati. E' importante soffermarsi sulle differenze che riguardano l'organizzazione della cultura e il suo ruolo rispetto all'apparato istituzionale. Nel 1975 si stabiliva che « il prpletariato deve esercitare la sua idittatura integrale nel campo delle sovrastrutture. La cultura, l'educazione, la letteratura ecc. devono servire alla politica proletaria ed essere abbinate al lavoro produttivo ». Negli articoli 12, 13 e 14 della nuova Costituzione si parla di grandi sforzi dedicat.i dallo Stato allo sviluppo delle scienze e dell'edu-
i.'.
cazione. Viene inoltre applicato il principio « che cento fiori sboccino, che cento scuole rivaleggino ». La libertà di dedicarsi alla ricerca scientifica e alla creatività letteraria soppressa dalla. Rivoluzione culturale, viene così ristabilita. Ora, è vero che le « cento scuole » devono servire il proletariato, il socialismo, il Partito comunista, favorire l'unione di tutte le nazionalità, il centralismo democratico, la solidarietà internazionale, e sono perciò limitate a 'precise direttive, ma è comunque un grosso allargamento dei quadro délle possibilità dello sviluppo artistico, scientifico, educativo ecc. E' da notare soprattutto l'incitamento all'uso « delle esperienze degli altri » e quindi un invito ad appropriarsi anche di tecnologie straniere. In questa nuova situazione sono state riorganizzate le associazioni di poeti, di letterati, di intellettuali in genere, che erano cadute in disuso dieci anni fa. Il più grande motivo di dissenso tra la «banda dei quattro » e il gruppo di Deng riguarda' senz'altro i principi politico-econo mici. I due slogans più famosi durante la Rivoluzione culturale furono cerl;amente « la politica prima di tutto » e « fare la rivoluzione e promuovere la produzione ». Ambedue entirono a far parte della Costituzione del 1975. Si è scritto e parlato molto a questo proposito anche in Occidente. Il secondo slogan è scomparso nel n'uovo testo. Deng ha sempre rimproverato alla « banda dei, quattro » di aver fatto la rivoluzione a scapito dello svìluppo economico e viceversa Deng, fu criticato per aver lasciato da parte Fideologia a•'vore della produzione. Per quanto riguarda il primo slogan, i 'radicali l'hanno interpretato alla lettera come supremazia della politica sull'economia, mentre i dirigenti attuali l'hanno rigirato citando Mao: « Il lavoro politico è vitale per ogni nostro lavoro nel campo economico », collegando così stretta-
24 tività » sono decisamente innòvativi. Inutile mente economia e politica. La nuova Costiricordare, come sia stato ampiamente sfruttuzione si sofferma dunque .più diffusamente tato dal nuovo gruppo dirigente quest'ulsui principi, economici che devono ispirare timo principio, come grandi quantità di cala Repubblica Popolare Cinese. pitale straniero siano entrate in Cina negli « La lotta di classe, la lotta per la produultimi due anni (basti pensare all'accordo zione e la ricerca scientifica sono i tre grandi cooperazione con gli Stati Uniti), con di movimenti rivoluzionari dell'edificazione di un paese socialista» ha detto Mao in tutti i problemi di rapporto tra le classi un testo del 1937. Da questa massima, pre- che sta provocando. Sempre l'articolo 11 sente nel preambolo della Costituzione de- parla di graduale miglioramento del tenore di vita del popoio attraverso « la crescita rivano le leggi che regolano la partecipazione di ogni cittadino cinese al lavoro di continua delle forze di produzione ». Varproduzione. Attraverso il lavoro collettivo rebbe la pena non dimenticare la polemica di produzione si cerca di eliminare la. dif- in corso tra la teoria denghista degli « incentivi materiali » per l'aumento della proferenza tra lavoro manuale e intellettuale. Gli articoli 13 e 16 confermano la parteci- duttività, contrapposta a quella radicale depazione dei quadri al lavoro manuale, frut- gli « incentivi ideologici » che è tornata d'attualità, perché riproposta recentemente to del pensiero di Mao già dagli ultimi da Hua Guofeng. La Costituzione del '78 anni Cinquanta, ma meglio sviluppatosi duattua un compromesso in questo senso, aurante la Rivoluzione culturale. L'obiettivo spicando « la combinazione di incoraggiapolitico di queste leggi riguarda soprattutto mento , morale e materiale » ponendo però la formazione ideologica dell'individuo e la lotta contro la burocrazia. Se tutto ciò è l'accento sul primo. Nello stesso articolo 10 si parla di « emulazione socialista del lavosancito dalla Costituzione le cose nella realro » e di « politica proletaria al posto di tà degli ultimi anni sono andate diversamencomando », due punti che il gruppo di Hua, te: per gli alti quadri del Partito l'obbligo di lavoro manuale è scomparso, per quanto Guofeng difende alacremente dall'offensiva riguarda i dirigenti locali il numero di gior- di Deng. Lo sviluppo dell'economia è naturalmente ni da dedicare ad esso è progressivamente diminuito. Deng ha parlato dell'obbligo di .pianificato. Senza entrare nel merito della pianificazione in sé, basti dire che accanto lavoro manuale come residuo della Rivoluzione culturale non adatto alla nuova poli- ai piani quinquennali e ai piani settoriali è stato lanciato dal nuovo gruppo dirigente tica economica. Obiettivo dell'economia cinese è « fare del- un ambizioso piano decennale che prevede tra l'altro un incremento annuale della prola Cina, prima della fine del secolo, un duzione agricola del 4-5% e di quella ingrande e potente sfato socialista con agricoltura, industria, difesa nazionale, scienze dustriale del 10%. e tecniche moderne">». Gli articoli ti e 12 La proprietà dei mezzi di produzione è, si occupano del metodo per ottenere ciò. come nel 1975, di due soli tipi: la proprietà socialista del popolo (o proprietà dello Alcuni di questi principi sono cardini del Stato) e proprietà socialista delle masse laMao Zedungpensiero: « contare sulle provoratrici (o proprietà collettiva). Viene manprie forze »; «'prendere l'agricoltura come tenuta una minima percentuale di proprietà base e l'industria come fatto dominante »; individuale (utensili da lavoro e 'piccoli apaltri come « unire lo studio delle esperienpezzamenti di terra) mentre non viene più ze altrui con i nostri propri sforzi di crea'A
ME contemplato il caso di espropriazione, requisizione o nazionalizzazione di altri mezzi di produzione nelle città e nelle campagne eccetto la terra. I cardini degli affari esteri cinesi sono noti a tutti in Occidente collocandosi la Cina, con il suo miliardo di abitanti tra le maggiori potenze militari, anche se continua a rifiutare a parole il ruolo di superpotenza. Dunque ne' parleremo qui solo dal punto di vista costituzionale. Nel preambolo come nel discorso di Deng Xiaoping alle Nazioni Unite, di qualche anno fa, vengono ribaditi « i cinque principi della coesistenza pacifica », il rifiuto cinese al ruolo ed egemonia. di superpotenza, la teoria maoista dei tre mondi. Il primo mondo comprende Stati Uniti d'America e Unione Sovietica, le due superpotenze egemoniche; il secondo mondo comprende i paesi che nello stesso tempo sono sfruttati dal primo mondo e sfruttano il terzo mondo, il quale comprende i paesi sottosviluppati. Scopo principale dell'internazionalismo proletario, secondo Mao, è l'unione del secondo e terzo mondo contro le superpotenze. La Costituzione richiede di essere pronti a far fronte all'eggressione del social-imperialismo e dell'imperialismo. Più avanti, essa si soffera a lungo sul carattere ineluttabile di una nuova guerra; questa si può ritardare per prepararvicisi meglio, ma non può essere evitata. Hau Guofen in materia di guerra ha detto: « Primo, noi siamo conIro; secondo, non ne abbiamo paura »; « attacchererno solo se saremo attaccati, ma se saremo attaccati, contrattaccheremo ». Basta però ricordare l'aggressione suicida al Vietnam nel gennaio del 1973 per capire come questi principi rimangano sempre fin troppo lontani dalla realtà contingente. Nella nuova Costituzione compare anche una clausola riguardante la liberazione di Tai Wan definita « territorio sacro della patria ».
La Carta •costituzionale del 1978 è formata da sessanta articoli, a differenza, dei trenta di quella del 1975. Sono comparsi nuovi principi, parecchie formule sono state rigirate in modo da rispecchiare un diverso orientamento politico, alcune tendenze derivate dal precedente testo sono state apertamente condannate. Tutto questo riguarda soprattutto i principi generali. Molto spesso, invece, si è trattato di dare una rnaggiore spiegazione « giuridica » ad' alcuni articoli che nel 1975 erano resi in 'modo più che altro « ideologico », lasciando la piena discrezionalità dell'interpretazione alle autorità incaricate di applicarli. E' il caso del capitolo III riguardante i diritti e i doveri dei cittadini. In questa Costituzione sono ben sedici articoli che se ne occupano mentre nella precedente erano solo quattro, ma le novità sono ben poche. Dovere di ogni cittadino (ma nel testo del 1975 era anche diritto) è di « essere con la direzione del Partito comunista, per il regime socialista, salvaguardare l'unità della patria e l'unione delle diverse nazionalità, conformarsi alla Costituzione e alle leggi » (articolo 56). Gli altri doveri sono elencati negli articoli successivi. Nel testo precedente mancava il dovere di « mantenere il segreto di Stato » come quello di « aderire alla milizia popolare » che sono stati aggiunti all'elenco. La lista dei diritti e delle libertà è più particolareggiata. Ogni cittadino 'ha il diritto di eleggere ed essere eletto dopo i, 18 anni di età. Tra le libertà sono comprese quelle di stampa, di associazione, di sciopero, di praticare una religione. Il lavoro è un diritto come è pure un « glorioso dovere »; non esiste infatti in Cina disoccupazione ma non è prevista la libera scelta del proprio lavoro. Naturalmente sono contemplati i vari diritti al riposo, all'assistenza, all'istruzione. L'articolo 47 si occupa della libertà indivi-
26 duale. L'arresto non è più subordinato solo all'approvazione degli organi di pubblica sicurezza, che assumevano funzione di tribunale, ma alla decisione di un tribunale popolare con approvazione di una procura (le procure erano state soppresse nel 1975, ma di questo ci occuperemo più diffusamente esatìiinando gli articoli riguardanti il potere giudiziario). La libertà di dedicarsi alla ricerca scientifica e alla creazione letteraria e artistica (garantita dall'art. 52) è frutto della nuova politica culturale intrapresa dagli organi dirigenti; mancava infatti nella Costituzione del 1975, pur essendo presente in quella
del 1954. E' stato ripreso e ampliato l'articolo riguardante la protezione della donna e della f amiglia. E' stata anche aggiunta una clausola che auspica l'applicazione della pianificazione delle nascite. Veniamo ora ad esaminare propriamente le istituzioni politiche cinesi, secondo quanto detto negli articoli del secondo capitolo della nuova Costituzione. L'Assemblea popolare nazionale è il supremo organo di potere. dello Stato cinese. I suoi membri vengono eletti dalle 'Assemblee popolari di livello inferiore. Le elezioni in Cina, infatti sono dirette solo a livellò di base, cioè al- livello delle comuni popolari, dei villaggi, delle circoscrizioni urbane, delle municipalità senza circondano. A livello di municipalità con circondano, di distretti, di regioni e di province le Assemblee popolari vengono elette da quelle di livello inferiore. Capita così che lo scrutinio per le elezioni dell'Assemblea popolare nazionale avvenga a tre, quattro o cinque livelli, a seconda dei casi. Anche la Costituzione precedente prevedeva un sistema elettorale analogo. Viene in questo modo sancito il controllo a tutti i livelli del Partito sullo Stato. Bisogna oltretutto ricordare che questo sistema, già molto lonta-
no nella legislazione da una democrazia diretta, nella realtà non è mai stato applicato del tutto. La IV Assemblea popolare nazionale (vedi « Queste Istituzioni », cit., p. 21) è stata formata in modo alquanto misterioso; ed anche •per quanto riguarda la quinta, eletta con due anni di anticipo nel '78, si hanno dei dubbi sulla democraticità (che qui intendiamo necessariamente nel senso occidentale) della sua elezione. Le liste elettorali, proposte dal Partito, contengono un numero di candidati almeno doppio del numero dei seggi. Gli elettori per le assemblee di base e le unità elettorali (come assemblee di distretto, di -regione autonoma ecc.) per i livelli superiori, possono in ogni momento destituire un eletto dalle sue cariche. L'Assemblea è eletta per la durata di 5 anni, ma in casi eccezionali è possibile prorogare o anticipare i termini di scioglimento dell'Assemblea stessa. A decidere sui « casi eccezionali » è naturalmente il Comitato centrale del Partito comunista. Le sessioni si dovrebbero tenere una volta l'anno, ma questa è stata finora una delle clausole meno rispettate. Sono 'aumentate dal 1978 le funzioni dell'Assemblea e i suoi .poteri (Costituzione artt. 22-23). Oltre ad emanare la Costituzione, votare le leggi, decidere (su proposta del PCC) la scelta del primo ministro, approvare i piani dell'economia e il bilancio dello Stato, essa può eleggere ed esonerare il presidente della Corte popolare suprema e il procuratore generale del Tribunale popolare supremo; decidere sulle questioni della guerra e della pace (funzioni rivestite nel 1975 dal suo Comitato permanente). Il Comitato permanente dell'Assemblea p0polare nazionale, eletto dall'Assemblea stessa, è, come indica il nome, il suo organo permanente; non è specificata la periodicità delle sue riunioni, dovrebbero comunque aver luogo tre, quattro volte l'anno. Ha fun-
27 zioni amministrative relative all'elezione e alla convocazione dell'Assemblea; ha il potere di emanare decreti; controlla inoltre le attività del Consiglio per gli affari di Stato, della Corte popolare suprema e della Procura del Tribunale popolare supremo, delle assemblee di livello inferiore; nomina e destituisce ministri nell'intervallo tra le sessioni dell'Assemblea popolare nazionale. L'elenco è rimasto invariato rispetto al 1975 anche se più dettagliato. Il presidente del Comitato permanente riveste funzioni di Capo di Stato, cioè riceve i rappresentanti diplomatici stranieri, promulga le leggi, ratifica i trattati, rilascia i titoli onorifici. Il Consiglio per gli affari di stato esercita il potere esecutivo. E' composto dal presidente (o primo ministro), dai vice-presidenti e da una serie di ministri o presidenti di commissioni. Spesso le cariche vengono cumulate. Il Comitato centrale del Partito propone all'Assemblea popolare nazionale il primo ministro; gli altri membri del Consiglio sono invece proposti dal presidente stesso. NeI 1975 il Partito proponeva anche i nomi dei ministri. Si trattava naturalmente di una mossa del gruppo radicale per diminuire i poteri di Z'hou Enlai, essendo quasi sempre stato il governo cinese nelle mani di moderati (non a caso la riabilitazione di Deng Xiaoping è avvenuta prima all'interno del Consiglio per gli affari di Stato, poi nel Partito comunista). Le decisioni vengono prese collegialmente dal Consiglio. Non è fissata la periodicità delle riunioni ma generalmente sono mensili o più frequenti. Nella Costituzione del 1975 il suo potere era stato bruscamente ridotto, e le sue funzioni definite con formule generiche - come « occuparsi dègli affari amministrativi dello Stato ». Attualmente può prendere misure amministrative, emettere delibere e ordinanze. Queste devono conformarsi alla Costituzione, alle leggi adottate dall'Assemblea popolare nazionale, ai
decreti del Comitato permanente dell'Assemblea. Deve naturalmente controllare la applicazione delle leggi, coordinare l'attività degli organi amministrativi inoltre « elabora e mette in applicazione i piani dell'economia nazionale e il bilancio dello Stato ». Passiamo quindi al Partito. Se, come abbiamo visto, il grosso delle decisioni in Cina passa attraverso il Partito comunista, sarebbe sterile un discorso sugli organi dello Stato che non ne tenesse conto. Nella Costituzione se ne parla unicamente nell'art. 2 e nell'art. 19, che rig.uarda l'Esercito di liberazione, ma tutti i cambiamenti apportati alla stessa nel 1978 sarebbero stati impensabili senza le svolte dell'XI Congresso del PCC e il suo nuovo Statuto. Il Partito comunista cinese è infatti contemporaneamente « il nucleo dirigente del popolo cinese» e « il distaccamento d'avanguardia' della classe operaia » (art. 2). Le principali differenze dall'epoca della Rivoluzione culturale riguardano le condizioni di reclutamento di nuovi membri. Per essere ammessi bisogna essere maggiorenni e proletari, accettare gli Statuti e la disciplina militare al suo interno, versare regolarmente le proprie quote. La procedura di ammissione è stata maggiormente elaborata dal nuovo gruppo dirigente del Partito. Sono stati soprattutto riformati i corsi annuali per i nuovi membri. Questi corsi erano stati soppressi nel 1960, permettendo così alla « banda dei quattro » di introdurre nel Partito elementi indesiderabili. Questa « ammissione precipitata », sempre secondo i moderati, permetteva anche di accedere a posti di responsabilità senza seguire una via gerarchica. Di tutto il potere conquistato dai radicali tra gli anni Sessanta e 'Settanta sono quindi accusati gli Statuti del IX e X Congresso di partito. Tra i doveri fondamentali di studiare il marxismo-leni.nisino, di lottare per le masse ecc., compaiono nel 1978
28 nuovi paragrafi, direttamente usati contro la « banda dei quattro »: « Servire il popoio senza cercare il proprio particolare interesse »; preservare l'unità del Partito messa in pericolo dalla Rivoluzione culturale. Gli altri compiti e doveri dei membri del Partito comunista cinese non sono sostanzialmente cambiati. Le commissioni di controllo di disciplina tidivengono operanti, sebbene e comunque non possano infliggere sanzioni. Queste uitime sono di cinque diversi tipi; le più gravi sono la destituzione dalle cariche (come accadde a Deng Xiaoping nel( 1976 dopo gli incidenti nella piazza Tien an Men) e l'esclusione. Organo 'ìdirettivo e supremo del Partito comunista cinese è il Congresso nazionale che dovrebbe essere eletto e riunirsi una volta ogni cinque anni. In realtà tra l'Vili Congressd (che si riunì in due sessioni nel 1956 e nel 1958) e il IX Congresso, passarono undici anni. Il X e l'XI Congresso vennero tenuti con un anno di anticipo rispetto ai termini fissati, e anche il prossimo Congresso verrà anticipato, e probabilmente si terrà nei primi mesi dell'8 1. All'inizio di ogni sessione si elegge un praesidium, il presidente e i vice-presidenti del q\iale coincidono con quelli del Comitato centrale. Il Comitato centrale è eletto dal Congresso stesso e lo sostituisce negli intervalli tra le sessioni. A sua volta il Comitato centrale elegge un Ufficio politico composto da un presidente (generalmente il presidente del Partito) e quattro vice-presidenti. Il Comitato Centrale propone la scelta del -Primo ministro all'Assemblea popolare nazionale, il cui presidente è anche capo dell'Esercito popolare di liberazione; ai lunghi intervalli tra le sessioni dell'Assemblea corrispondono le frequenti riunioni del Comitato centrale del Partito e del, suo Ufficio politico: bastano queste precisazioni a com-
prendere il ruolo .preponderante in tutti i campi del Partito sullo Stato. I Congressi locali sono invece di durata triennale, eleggono i congressi di livello superiore come avviene per le elezioni indirette delle Assemblee popolari. Esistono poi naturalmente le organizzazioni di base; cellule o comitati di base, alle quali sono affidati i compiti essenziali del Partito, dall'organizzare, lo studio dell'ideologia al propagare ed applicare la politica del Partito a sviluppare la democrazia e reclutare nuovi aderenti. Accanto al Partito comunista cinese esistono altre forze popolari quali, ad esempio, la Conferenza consultiva politica del popolo cinese. Essa riunisce, all'interno della politica maoista del « Fronte rivoluzionario unito », tutte quelle' classi intellettuali, artigiani ecc., non propriamente proletarie ma alleate della classe operaia. Dagli anni Cinquanta (quando funzionò anche come Assemblea popolare nazionale) ad ora ha naturalmente perso di importanza, non essendo più citata né nella Costituzione né negli Statuti del Partito. Le sue funzioni attualmente sono di collegamento tra il Partito comunista, a cui è sottoposta, e i diversi strati delle masse popolari. I Sindacati operai sono 'anch'essi sotto la direzione del Partito ed hanno .più che altro funzioni di proporre miglioramenti al lavoro, denunciare ingiustizie e violazione degli interessi e dei diritti democratici, insegnare agli aderenti le tecniche produttive e i 'problemi della gestione. A livello di amministrazione locale grossi cambiamenti erano già contemplati nella Costituzione del 1975. Organismi come i comitati rivoluzionari, le prefetture, i « comitati di quartiere » sorti durante la Rivoluzione culturale furono istituzionalizzati nel 1975. Caratteristica comune nella legisla-
29 zione nel 1978 ad essi relativa è il ridimensionamento a organismi delegati o comunque sottoposti gerarchicamente ad altre istituzioni (le Assemblee popolari locali). La Cina è divisa in 22 province che, insieme alle regioni autonome e alle grosse municipalità (Pechino, Shangai), dipendono direttamente dall'autorità centrale. Le province e regioni autonome sono divise in distretti autonomi e municipalità A loro volta i distretti si dividono in comuni popolari (rurali) e villaggi (o borghi); le municipalità, se superiori ai 200.000 abitanti, in circoscrizioni. A volte però vari livelli si sovrappongono: se, ad esempio, sul territorio di un distretto vive una minoranza etnica di una certa importanza, viene costituito un dipartimento autonomo. Le prefetture si ponevano, come organismo provvisto di Assemblea popolare, intermedie tra province e distretti. Nella nuova Costituzione la prefettura torna ad essere un semplice ufficio amministrativo delegato dalla provincia e non costituita né da Assemblea popolare, né da Comitato rivoluzionario. Le minoranze etniche che si organizzano nei vari organi autonomi a diversi livelli hanno diritto di conservare la propria lingua e le proprie tradizioni economiche e amministrative, pur rimanendo nell'ambito di uno sviluppo socialista. Le Assemblee popolari, a livello di provincia vengono elette ogni cinque anni, a livello di distretto ogni tre anni, a livello di comune ogni due anni. Compiti delle Assemblee popolari e locali sono l'esercizio del potere legislativo per la propria circoscrizione territoriale, l'esame e l'approvazione di piani economici e dei bilanci locali, le funzioni di polizia, l'elezione del proprio Comitato rivoluzionario. I comitati rivoluzionari, sorti dall'esigenza della Rivoluzione culturale di liberare forze popolari locali dai vincoli della burocrazia, per dieci
anni hanno assolto a tutti i compiti delle Assemblee 'popolari da cui sarebbero dovuti dipendere. Ma la loro funzione rivoluzionaria si era già persa nel 1975: da una parte gli erano stati affidati compiti burocratici, dall'altra, sottoposti al controllo del Partito, erano venuti meno anche i presupposti demòcratici (Mao aveva lanciato i comitati rivoluzionari come esigenza a livello locale di un organo a triplice unione: operai, soldati e quadri; naturalmente prevalsero questi ultimi). Nel 1978 sono state ben specificate (artt. 36, 37) le differenze di funzioni e poteri tra Assemblee popolari e comitati rivoluzionari.' Questi ultimi ora sono semplicemente «governi popolari locali »; devono rendere conto del loro operare all'Assemblea popolare dello stesso livello e al Comitato rivoluzionario di livello superiore. La gerarchia dei comitati rivoluzionari fa capo al Consiglio per gli affari di Stato. Le Comuni popolari sono 'le circoscrizioni rurali di base. Sono insieme circoscrizioni amministrative ed entità economiche. Sono divise in brigate e squadre di produzione. Rispetto alla Costituzione del 1975 non è cambiato quasi nulla. L'« unità di conto di base », cioè il calcolo della remunerazione dei suoi membri, è rimasta generalmente la squadra anche se nella Costituzione (art. 7), a differenza del 1975, si parla 'della possibilità per le brigate 'di produzione di divenire esse stesse « unità di conto di base ». I comitati delle strade e i comitati di abitanti hanno perso la qualifica di organi di potere; sono rimasti, anche se non citati nella Costituzione, organismi delegati della Ciroscrizjone come è avvenuto per le prefetture. La conoscenza del terzo potere in Cina è poco approfondita sul piano 'pratico; ci basiamo dunque sui principi che lo hanno ispirato nelle tre Costituzioni. Il sistema
30 giudiziario in sé non è cambiato molto: è organizzato in una Corte popolare suprema, in tribunali popolari locali e tribunali speciali (attualmente dei 3 tribunali speciali è mantenuto solo quello militare). Sebbene si trovino tribunali a quattro livelli, le istanze possibili sono solo due. Tutti gli affari dunque passano per il tribunale di base, quindi in appello al livello appena superiore. Se però le cause sono ritenute. di soluzione troppo difficile vengono trasmesse di competenza alle corti di grado più alto. I presidenti dei tribunali popolari sono eletti ed esonerati dalle loro funzioni dall'Assemblea popolare. L'Assemblea popolare nazionale controlla l'operato della Corte suprema, e le assemblee locali quello dei tribunali dello stesso livello. Gli altri membri del personale giuridico 'vengono nominati dal tribunale di grado superiore.' La Costituzione del 1975 definiva semplicemente i principi di base della procedura: «Nel procedimento istruttorio come nel giudizio deve essere applicata la linea di massa. Nei casi di gravi crimini controrivoluzionari, è necessario mobilitare le masse » '(art. 25, 1975). La nuova Costituzione specifica che la rappresentanza delle masse è riconosciuta nel corso delle udienze dei tribunali popolari, e che « le cause sono giudicate in pubblico, fatta eccezione per i casi speciali previsti dalla legge ». Inoltre viene riportato il diritto 'dell'imputato alla difesa, del .quale non si parlava nel 1975. Le procure .popolari erano state ,soppresse in quanto rappresentavano un doppione degli organi di 'pubblica sicurezza. Questa soppressione è ora definita una mossa della « banda dei quattro »' per togliere potere agli organismi giudiziari e far regnare l'anarchia che ha permesso a tanti radicali di raggiungere i posti di comando. Ora queste sono state ristabilite (art. 43) con gli stessi compiti affidati loro dalla Costituzio.
ne del 1954 (controllo dell'applicazione della Costituzione nell'organizzazione amministrativa; controllo delle deviazioni al principio di « legalità socialista »; repressione dei controrivoluzionari; funzione di pubblica accusa nelle attività del tribunale). E', stato però rinforzato il controllo dello Stato su di esse. Il sistema delle procure popolari, infatti, è parallelo a quello dei tribunali, con una Procura :popolare suprema, procure locali e procure speciali. Tutte queste, naturalmente, sono sottoposte al controllo dell'Assemblea popolare di livello 'corrispondente. Come si è visto da questa descrizione l'indi'pendenza del potere giudiziario dal 'potere politico non viene neanche presa in considerazione. La giustizia è far rispettare la legalità socialista »; essendo quest'ultima espressione delle masse, il potere giudiziario non può che essere messo sotto il controllo dei loro rappresentanti. Un diritto puro (o presunto tale) è una caratteristica dell'ordinamento borghese e come tale non degno di considerazione in Cina. Ancora oggi, è comunque da vedere, come si chiedeva Yves Viltard, se sia possibile un diretto controllo del popolo sull'attività giudiziaria o se questo debba necessariarente naufragare in direttive imposte dai vertici del Partito e dello Stato. Da ultimo, facciamo un' cenno alle forze armate, uua pedina da sempre molto importante nel gioco politico cinese. Nel 1954 la Costituzione parlava di « forze armate » genericamente, non rilevando nessuna differenza tra Esercito di liberazione e milizia popolare. Durante la Rivoluzione culturale i più potenti oppositori dei radicali furono i marescialli dell'esército. I radicali, che controllavano facilmente la milizia, tentarono di invertire la bilancia a favore di quest'ultima. L'articolo 15 del 1975 è un compromesso,
31 poiché le due forze vengono poste sullo stesso piano e subordinate al Partito comunista. Ora, seppure la Costituzione del 1978 formula un sistema a triplice unione: «armate da campagna; forze locali e milizia popolare », in pratica la milizia è direttamente subordinata all'esercito e ha perso ogni capacità di opposizione politica. Ancora fòrtissimo è invece il gruppo dei generali
(con in prima fila Ye Janying, veterano della Lunga Marcia e presidente del Comitato permanente dell'Assemblea popolare), che pur essendo stato, alleato di Deng nela battaglia contro i quattro, non è affatto favorevole alla demaoizzazione forzata e giocherà prevedibilmente ancora un ruolo di protagonista al XII Congresso del PCC da tenersi nell '81.
paperbacks/officina in collaborazione con il Centro Studi della Fondazione Adriano Olivetti
ViNCENZO SPAZIANTE
Questione. nudeare e politica legislativa Primo rapporto' del Centro Studi della Fondazione Adriano Olivetti sui problemi della politica energetica
Officina Edizioni Roma, 1980