38
\queste isiltUZioflì 1980/2° semestre
COME RIFORMARE LA FINANZA REGIONALE di Lauro Colombini
I canali di finanziamento delle regioni a statuto ordinario sono determinati dalla Costituzione e dalla legge finanziaria regionale. La Costituzione individua espressamente solo tre grandi canali di finanziamento delle regioni:
tributi propri per le spese necessarie ad adempiere le funzioni normali (2 comma, ar ticolo 119);
quote di tributi erariali, per le spese necessarie ad adempiere le funzioni normali (2° comma, art. 119);
contributi speciali per provvedere a scopi determinati dal legislatore nazionale di volta
in volta, particolarmente per la valorizzazione del Mezzogiorno (3 comma, art. 119). Oltre a queste, sono implicite le entrate che le regioni otterranno dalla gestione del loro patrimonio (ultimo comma, art. 119). La legge finanziaria 281 / 1970 ha delineato i contorni della capacità impositiva propria delle regioni a statuto ordinario, maritenendola in ambiti del tutto trascurabili e destinati ad esserlo sempre di più nel futuro. La stessa legge ha introdotto la distinzione fondamentale fra tre principali canali di finanziamento delle regioni:
- fondo comune,
destinato al finanziamento delle funzioni « normali » delle regioni
(art. 8);
- fondo di sviluppo, destinato a finanziare le funzioni di « sviluppo » (art. 9);
2 - contributi speciali, destinati a finanziare progetti 'speciali, concordati con lo Stto nell'ambito della programmazione nazionale. In realtà questa distinzione si è dimostrata sin dall'inizio difficilmente trasferibile dalla , sfera concettuale ed astratta della norma « generale », a quella, necessariamente più concreta, della legislazione sostanziale che negli anni successivi disciplinò il confuso divenire dei rapporti finanziari fra Stato e regioni.
-
queste istituzioni 1980/2 0 semestre
Direttore: SERGIO RISTUCCIA - Condirettori: GIOVANNI BECHELLONI (responsabile) DIREZIONE, REDAZIONE E AMMINISTRAZIONE,
e MASSIMO BONANNI. Casella postale 6199 - 00100 Roma Prati - Telefono 657.054.
Conto corrente postale N. 57129009 - intestato a: GRUPPo DI STUDIO SU SOCIETÀ E ISTITUZIONI postale 6199 - 00100 Roma Prati. « Queste Istituzioni» esce semestralmente in quattro o cinque fascicoli separati di dei quali dedicato ad un solo tema.
- casella
16.32 pagine ognuno
Un fascicolo L. 3.000 Abbonamento ordinario: annuale L. 15.000. Periodico iscritto al registro della stampa del Tribunale di Roma al n. 14.847 (12 dicembre 1972). Spedizione ,in abbonamento postale - IV gruppo. STAMPA: Litospes
- 'Roma.
3
FONDO « COMUNE » E FONDO DI SVILUPPO DAL
1972
AL
1981
1.1. Fondo comune Nel fondo « comune » affluirono, in sede di sua istituzione, i fondi equivalenti agli stanziamenti di spesa già presenti nel bilancio dello Stato nell'anno del trasferimento delle competenze (1972) sui capitoli di spesa riguardanti funzioni amministrative trasferite alle regioni, fossero esse spese correnti, che spese di investimento. (Il rapporto fu del 63,59% per le spese correnti o del 36,41% per le spese di investimento.) Si sostenne allora che nel concetto di funzione, « normale» fossero da ricomprendere, accanto alle vere e proprie spese di mantenimento e funzionamento dei servizi in essere, anche le spese per il « normale sviluppo e consolidamento » dell'intervento pubblico. Il fatto stesso che nella sua fase costitutiva il fondo comune si sia giovato dell'apporto di stanziamenti statali per spese d'investimento in ragione del 36,41% del totale, costituisce una prova evidente della natura « ibrida » del fondo stesso, a prescindere dal fatto contingente della sua collocazione fra le spese correnti del ministero del Tesoro. 1.2. Fondo di sviluppo Il fondo di sviluppo, dapprima insignificante come entità (20 miliardi nel 1972) e poi crescente sino all'importo massimo di base raggiunto nel 1976 con la legge 356/1976 (315 miliardi), doveva servire - proprio perché aggiuntivo rispetto agli interventi che lo Stato effettuava « a regime » nelle materie trasferite prima del passaggio delle funzioni -, al finanziamento di « ulteriori
interventi di sviluppo ». Le intenzioni del legislatore nazionale erano apparentemente chiare: il fondo di sviluppo era destinato a sostituire gli interventi speciali o straordinari che lo Stato effettuava con leggi settoriali nelle diverse materie trasferite (Piano verde, ecc .... ), interventi• che non avevano potuto formare oggetto di trasferimento di fondi nell'ambito del fondo ex art. 8 dacché nell'anno del trapasso dei poteri le leggi relative erano ormai prive di finanziamento. Questa impostazione era fondata sull'aspettativa illuministica di una programmazione nazionale, finalmente esistente e funzionante, alla quale le regioni avrebbero dovuto. fare riferimento nella formulazione dei propri programmi di sviluppo. In pratica, il meccanismo doveva essere questo: - il Piano fissava gli obiettivi nazionali di sviluppo relativamente ad un quinquennio individuando fra l'altro, l'ammontare complessivo delle risorse necessarie al raggiungimento degli obiettivi nelle materie di competenza regionale; - il CIPE, sulla base delle indicazioni del Piano, avrebbe distribuito i compiti del raggiungimento di tali obiettivi fra i diversi soggetti dell'ordinamento, regioni comprese; • - le regioni dovevano predisporre i propri piani di sviluppo in funzione delle direttive del Piano e del CIPE, tenendo conto delle risorse proprie e di quelle assegnate dallo Stato attraverso i fondi di sviluppo (art. 9) e dandosi una legislazione propria di spesa. Questo disegno è fallito sin dall'inizio, sia per la mancanza di un Programma economico nazionale, sia per la sostanziale indifferenza che le regioni hanno nòrmalmente
4 dimostrato nei confronti delle direttive generali diramate dal CIPE per indirizzare impieghi finali del fondo verso obiettivi nazionali, durante il primo quinquennio di attuazione della legge 281/1970 (19721976) . Si è preferito allora, da parte del Governo centrale, puntare decisamente sulle leggi « settoriali » e disporre il « congelamento» del fondo di sviluppo cx art. 9 al livello raggiunto nel 1976, « fermando le lancette » a quella data anche per i parametri interni di riparto. Fu consentita, a far tempo da allora, solo una rivalutazione annua dell'assegnazione 1976 in ragione del tasso di incremento dei prezzi assunto a base del calcolo annuale del PIL. Sui criteri di applicazione di tale indice di rivalutazione vi è stato sin dall'inizio un aperto conflitto interpretativo fra Governo e regioni, ancora oggi non risolto. L'impossibilità del riferimento, ad un Piano organico di sviluppo nazionale ha, dunque, fornito allo Stato il motivo principale per procedere tramite « leggi di settore.», riservando alle regioni « assegnazioni speciali di sviluppo » all'interno di tali leggi, sulla base di criteri di riparto discussi di volta in Volta in sede di Commissione Interregionale, ma formalmente decisi dal CIP.E o dal CIPAA. Più spesso tali criteri venivano già dapprima sostanzialmente definiti in riunioni bilaterali regioni-ministeri di spesa. Questa prassi che si è venuta consolidando negli anni, ha apparentemente dato modo al Go'verno centrale di garantirsi maggiormente circa la destinazione settoriale delle risorse ed il raggiungimento degli obiettivi nazionali. Si può ritenere che la legislazione settoriale di spesa dello Stato, così come si è manifestata in tutti questi anni, sia stata certamente « alternativa » all'impiego dello strumento del fondo regionale di svilupp,o (anche se la si è voluta vedere in funzione semplicemente surrogatdHa); questò, perché
fondamentalmente diverso è il rapporto che nei due casi si è venuto a configurare fra Stato e regione, in termini di reale autonomia di spesa. E' peraltro da considerare come viziata da sottile ipocrisia la disposizione del DPR 616/1977 che ha disposto l'accorpamento delle assegnazioni settoriali dello Stato alle regioni nel fondo di sviluppo a partire dal 1978, mantenendo però ad ognuna di esse la propria individualità ed i propri criteri di riparto. Ciò che le regioni hanno contestato sta proprio nel fatto che la legislazione «settoriale » ha posto in essere meccanismi che vincolano fortemente l'autonomia del legislatore regionale. Non si tratta solo del vincolo di destinazione sulle risorse settorialmente assegnate; spesso vi è un vincolo anche nelle procedure, nelle metodologie di intervento, nell'individuazione dei soggetti o delle categorie dei soggetti destinatari dell'intervento: in una parola, spesso vi è 1' esproprio totale dell'autonomia di spesa. Siamo in questi casi veramente agli antipodi del disegno col quale il legislatore della 281/ 1970 aveva concepito il Fondo di sviluppo regionale.
1.3. Funzioni normali e Funzioni di sviluppo L'equivoco fra funzioni « normali » e funzioni « di sviluppo » non è certamente stato risolto con la legge n. 335/1976 di contabilità delle regioni; né, tantomeno, con il DPR 616/1977. Quest 'ultimo provvedimento, con l'intento di portare ordine nei bilanci regionali, dopo il dilagare della « spesa settorializzata » verificatosi negli anni 1975-1977, 'ha cercato di riportare i tanti « rivoli » in cui si era confusamente articolato il rapporto regioniStato (sarebbe più appropriato dire: regioni singoli ministeri) nell'alveo dei due canali fondamentali di finanziamento. La ricon-
5 duzione di tutte le assegnazioni « settoriali », rispettivamente, nel fondo comune (per le assegnazioni destinate a spese correnti) e nel fondo di sviluppo (per quelle destinate a spese di investimento) è stata una ulteriore conferma della equivocità di un assetto classificatorio che vorrebbe la spesa regionale rigorosamente suddivisa fra spesa «normale » e spesa « di sviluppo » ma che non si preoccupa di far passare questa distinzione all'interno della parte entrata. Nell'alveo del « fondo comune» sono infatti confluite sia assegnazioni per funzioni « normali » (scioglimento ONMI, enti di sviluppo, ecc ... ), sia assegnazioni chiaramente di sviluppo, anche se di natura corrente (aborto, consultori familiari, direttive CEE-Assistenza tecnica, tossicodipendenze, ecc ... ). Si può tuttavia dire che il concetto di « spesa di ulteriore sviluppo » si è andato « evolvendo » nel tempo: dapprima esso è stato riferito soprattutto all'assetto organizzativo dei servizi erogati dall'ente: qualsiasi spesa per il miglioramento, l'ampliamento dei servizi resi o finanziati dall'ente; qualsiasi spesa, cioè, destinata a modificare in termini di ampiezza o di qualità lo status quo dei servizi precedentemente in atto, era da intendersi come « spesa di sviluppo ». La più recente interpretazione del legislatore nazionale, invece, fa più marcatamente riferimento alla natura « economica » della spesa: è « sviluppo » tutto ciò che costituisce arricchimento del patrimonio sociale (strutture e beni destinati a produrre servizi alla collettività o ad essere in qualche modo usufruiti dai cittadini); ovvero, anche, tutto ciò che costituisce incentivo o promozione di investimenti privati. Tale natura presentano, infatti, gli stanziamenti statali che sono confluiti nell'ambito del fondo ex art. 9 legge 281/70, in attuazione del DPR 616/1972. Da questa evoluzione doveva conseguire una funzione nettamente distinta dei due fondi:
- il fondo comune, prioritariamente finalizzato a finanziare spese di mantenimento e funzionamento, quindi spese « correnti », anche se riferite al miglioramento e consolidamento dei servizi in atto, od anche all'ampliamento dello « spettro » dei servizi prestati nelle funzioni di competenza delle regioni; - il fondo di sviluppo, finalizzato esclusivamente a finanziare spese di investimento. In realtà una analisi attenta dell'impiego effettuato dalle regioni dei due fondi in parola mette in luce come non siano stati osservati, dalle singole regioni, criteri omogenei al riguardo; e come, di fatto, i fondi siano stati spesso impiegati in termini di complementarità reciproca nel finanziamento della generalità della spesa regionale, sia essa corrente, che d'investimento. Questa circostanza si è verificata specialmente nel periodo precedente la riforma del 1976, allorché il fondo comune manifestò trends di crescita di modestissima entità. La tabella « A », riportata in Appendice, mette in evidenza, con riferimento all'esercizio 1978, la diversa situazione in cui si trovano le singole regioni in materia di destinazione economica del fondo comune. In diversi casi il fondo non è sufficiente a coprire tutte le spese correnti; in altri, si sono mantenuti « margini » discreti per il finanziamento di spese d'investimento. Se il fondo comune è servito e serve tuttora in diverse realtà regionali, a finanziare anche spese d'investimento (quasi sempre ciò è avvenuto per i contributi pluriennali in conto interessi, ma a volte anche spese in capitale «una tantum »), il fondo di sviluppo è servito, in diverse circostanze a finanziare spese correnti attraverso la formula ambigua della « spesa di sviluppo ». Questa ultima circostanza si è verificata più spesso in passato, negli anni 1974-1976 nelle regioni di piccola dimensione (soprattutto Molise, Umbria, Liguria, Abruzzo), er le quali
2. il criterio di riparto fondato su parametri basati precipuamente sulla popolazione e sul territorio ha posto spesso seri problemi alla integrale copertura del costo dei servizi correnti, anche a causa del consistente peso che il costo per i servizi generali e di base hanno presso di esse, sul totale delle risorse acquisite (soglie minime di spese di organizzazione).
ro sistema 'pubblico-allargato ed opportunamente ripartite f'ra i diversi livelli del sistema; -
- assegnazioni supplementari specifiche per alcuni settori maggiormente sottoposti al coordinamento dèl Governo centrale e del Parlamento (sanità, trasporti, per esempio; ma, anche, entro certi limiti, l'agricoltura, specialmente per quanto attiene agli incentivi per lo sviluppo e la ristrutturazione 1.4. Problema dell'unificazione dei due fondi conseguenti a direttive CEE, o 'per i fondi di solidarietà nazionale). Le ultime considerazione dianzi esposte semAl riguardo dell'unificazion'e 'dei due fondi brano evidenziare come, in effetti, non siasi potrebbe obiettare come essa si muova no del tutto infondate le tesi di coloro che in « controcorrente » rispetto agli orientasostengono la opportunità di garantire alle menti recentemente manifestati, e non solo regioni un unico, consistente, canale di fidal Governo, a proposito della riforma della nanziamento ad impiego discrezionale, f inalizzato sia al mantenimento dei servizi in finanza locale; orientamenti volti alla indiessere (spese normali) che al loro migliora- viduazione di due canali distinti di finanmento, consolidamento, od anche amplia- ziamento degli enti locali: un fondo «.inte-' mento (funzioni di sviluppo ed investimenti grativo » per consentire la copertura della di supporto), nell'ambito dei confini e del- spesa « storica » non coperta dalle entrate tributarie o dalle assegnazioni 'sostitutive le compatibilità consentite da un flusso di delle medesime; un fondo di « riequilibrio » risorse che si presenti sufficientemente cerper recuperare il '< gap finanziario negativo » to e preordinato nel medio periodo. accumulato da una parte degli enti rispetto Una tale impostazione non è evidentemenagli altri. te in contraddizione, è anzi manifestamenIn realtà, 'per le regioni tale problema non te funzionale al mantenimento delle seguensi pone negli stessi termini. C'è, anche nel ti opportunità di finanziamento per le recaso delle regioni a statuto ordinario; una gioni a statuto ordinario: spesa « storica » che nei limiti del possibile applicazione, seppure. entro ambiti ben va tenuta presente nel momento in cui si definiti, di proprie 'imposte od addizionali di intenda riformare i meccanismi di finanza; imposta sui propri cittadini, nel caso in cui ma essa non è « squilibrata » come quella il fondo « indiviso » fosse insufficiente a degli enti locali, o, almeno, non lo è nella garantire la quantità o la qualità voluta di stessa misura e per le stesse ragioni. servizi ai propri cittadini, o la copertura deNon si deve dimenticare che per le regioni gli oneri pluriennali conseguenti ad investia statuto ordinario, i meccanismi di riequimenti diretti od alla promozione di invelibrio sono stati presenti sin dàllinizio nel stimenti di terzi tramite il credito agevocalcolo di ambedue ,i fondi in esame. Per lato; essi si pone semmai, l'esigenza di corregger- ricorso al credito (possibilmente a tassi ne il tiro affinché da essi non scaturiscano agevolati) per i propri investimenti ed i tra- risultati inspiegabilmente punitivi o di vansferimenti « produttivi », nell'ambito di. taggio di alcune regioni su altre; non pare compatibilità complessive fissate per l'inte- invece che l'esistenza di due distinti fondi
7 di finanziamento delle regioni debba essere spiegata ,partendo dall'esigenza di « riequilibrare» col secondo quello che il. primo « squilibra ». L'ipotesi di unificazione dei due fondi comporta due conseguenze: - le regioni a statuto speciale, che ora partecipano al riparto del fondo di sviluppo, dovranno ricevere i fondi loro necessari attraverso gli altri canali di finanziamento previsti dalle loro leggi istitutive. Nell'attuale situazione per alcune di esse (segnatamente •per le province di Trento e Bolzano), sono previste aliquote •preferenziali fisse di riparto che, se trovano giustificazioni di carattere sociale e politico, mal si conciliano con una corretta politica di programmazione finanziaria; - le regioni del Mezzogiorno - alle quali è riservata nel riparto del fondo di sviluppo una quota fissa pari al 60% del totale, contro il 40% riservato alle altre regioni in caso di unificazione dei fondi godranno di una assegnazione menò preferenziale rispetto a quella prevista dall'attuale sistema di riparto del fondo. Esse dovranno quindi ricevere i maggiori fondi necessari al loro sviluppo al di fuori del meccanismo del fondo « indiviso» regionale, o sulle leggi speciali, per il Mezzogiorno, o attraverso riparti « preferenziali » sulle residue leggi « settoriali » dello Stato. A proposito di quest'ultimo argomento, si rende sempre più opportuno il superamento della « dogmatica » ripartizione dei fondi di investimento: 60% al Sud e 40% al Centro Nord, che ha contribuito in diverse circostanze a creare assurde frizioni ed incomprensioni fra i diversi schieramenti regionali e che è stata peraltro foriera di ritardi e di sprechi nell'uso delle risorse. L'alternativa più coerente con una politica seria di programmazione in un paese che ha scarse risorse per investimenti e non può permettersi di i,sciarli « parcheggiare » fra le pie-
ghe del bilancio, è quella di garantire un flusso consistente di risorse verso il Sud, ma pel- finanziare progetti concreti, per conseguire obiettivi dichiarati. Meglio allora attivare per il Sud il meccanismo dei contributi speciali di cui all'art. 119 della Costituzione ed all'art. 12 della legge 281/ 1970, mettendo però in grado le regioni stesse di ebborare e gestire tali progetti in armonia con gli obiettivi nazionali di sviluppo. L'unificazione dei due fondi incontra molte perplessità in chi ritiene che sia necessario introdurre meccanismi per controllare il dilatarsi della spesa corrente. Lo stato attuale delle rilevazioni statistiche non è tale da fornire garanzie nemmeno sulla conoScenza tempestiva dell'evoluzione del fenomeno nel tempo. La. mancanza di organicità degli stessi bilanci regionali, quanto al modo stesso di rappresentare le poste di spesa, costituisce un ulteriore ostacolo. Sarebbe allora necessario operare su due piani: da un lato, giungere presto a definire un sistema di classificazione e codificazione omogeneo per tutte le regioni a statuto ordinario, sistema che, una volta approvato nelle competenti sedi (la Commissione interregionale, a norma dell'art. 9 della legge 335/1976) deve poter esseré rispettato da tutte le regioni; dall'altro, definire annualmente da parte dello Stato, in sede di legge annuale di ,Bilancio, la quota « minima» del fondo « unificato » che le regioni sono tenute a destinare ad iniziative di sviluppo ed investimento. La soluzione sub b) non è da ritenersi lesiva dell'autonomia ' regionale soprattutto se il Governo ottempererà ap.pieno alla norma dell'art. 34 (legge 468/1978) che stabilisce l'obbligo della consultazione delle regioni nella formazione del Bilancio dello Stato.
8 LA RIFORMA NEL MEDIO PERIODO
2.1. Orientamenti prevalenti Nessuno mette più in dubbio ormai l'esigenza di riformare i meccanismi di finanziamento delle regioni a statuto ordinario. Tuttavia, intorno al problema della determinazione del più importante strumento di finanziamento delle regioni a statuto ordinario, il fondo comune, si sono andati formando alcuni orientamenti divergenti: -- da una parte, si ritiene che il meccanismo adottato nel 1976 con la legge 356, fondato sulla indicizzazione del fondo « comune» in rapporto diretto con l'andamento delle entrate tributarie dello Stato, sia in contrasto con una politica di governo rigorosamente •programmata delle risorse dello Stato. Gli alti tassi di incremento negli ultimi anni, •mediamente superiori all'andamento del PIL (32% nel 1978, 6% nel 1.979, 34% nel 1980 e 46% nel 1981) hanno fatto ritenere che tale impostazione non possa essere mantenuta oltre senza determinare conseguenze negative sul Bilancio dello Stato, e costituire un uIteriòr elemento di rigidità del medesimo, accanto ai tanti già esistenti; - da altra parte, pur valutando positivamente l'aggancio all'andamento delle entrate tributarie dello Stato nella determinazione del fondo « comune », si reputano iniqui i criteri di riparto del fondo stesso fra le regioni a statuto ordinario, sia per il fatto che essi sono « congelati » alla data del 1976, mentre la situazione economica e sociale delle singole regioni si è andata evolvendo spesso in termini divaricanti negli ultimi anni, sia, perché inique ed inaccettabili furono considerate già alla data del 1976 le conseguenze dell'applicazione di taluni degli indici socio-economici di riferimento (tanto da richiedere l'applicazione di al-
cuni correttivi « forf ettari » alle risultanze 1975 e 1976); - da un'altra ancora, si esercitano pressioni affinché la attuale determinazione dei finanziamenti correnti alle regioni in termini direttamente proporzionali alla dinamica annuale delle entrate tributarie dello Stato, sia estesa anche agli enti locali nei loro rapporti finanziari con lo Stato centrale, e si rifletta altresì sui finanziamenti correnti che le regioni corrispondono agli enti locali per le funzioni ad essi trasferite dal
DPR 616/1977. Queste diverse posizioni, che riflettono le preoccupazioni ovviamente non coincidenti di chi opera a livello dello Stato centrale, delle regioni e degli enti locali, hanno tuttavia un obiettivo fondamento nell'esigenza sempre più sentita, e tuttavia ancora difficile da trasferire sul piano della concretezza, di affrontare l'intera materia della finanza pubblica in modo organico e coordinato. L'occasione di arrivare finalmente ad una composizione soddisfacente delle diverse posizioni è ora offerta dalla coincidenza dei tempi della riforma della finanza regionale e di quella comunale, e dall'avvio della .po litica statale di programmazione a medio termine. 2.2. I motivi della ri/orma La riforma della finanza regionale nel suo insieme si impone obiettivamente per una serie di ordini di motivazioni: Motivazioni di ordine giuridico-costituzionale. Si ha ragione di ritenere che il rapporto finanziario che si è venuto a detérminare fra Stato e regioni, non corrisponda affatto a quello delineato sia dal legislatore costituzionale che dallo stesso legislatore ordinario in materia di finanza regionale. Motivazioni sostanziali di ordine « equitativo », nel rapporto fra Stato e regioni e
Pi fra le regioni tra di loro. I criteri di determinazione del fondo « comune» nazionale e di quelli adottati per il suo riparto fra le regioni non sono obiettivamente tali da garantire nel tempo il rispetto del principio di equità. Occorre subito dire che l'equità come « categoria » economico-sociale è un concetto piuttosto soggettivo, e questa éircostanza la espone a valutazioni non sempre coincidenti da parte dei diversi soggetti interessati di volta in volta ai suoi campi di applicazione. c) Motivazioni di ordine tecnico. I meccanismi di calcolo del fondo ex art. 9 ed i criteri di riparto del fondo ex art. 8 hanno suscitato perplessità sin dal loro apparire. In alcuni casi si hanno risultati finali chiaramente incoerenti con gli obiettivi perseguiti.
2.3. Le motivazioni di ordine giuridico-costituzionale La Costituzione ha previsto tre canali di finanziamento delle regioni, e, anche se non ha provveduto esplicitamente a delimitare l'ampiezza di ciascuno di essi rispetto alla globalità del finanziamento è logico ritenere che ognuno di questi canali debba po•ter operare in modo significativo. Non vi è dubbio che almeno due dei canali di finanzia'mento delle regioni siano rimasti sostanzialmente « aridi »:
a) quello dei tributi propri, ridotto a giocare un ruolo che è già troppo definire marginale. Dopo una partenza non certo promettente, con la legge di finanza regionale 281/1970, esso si è visto ulteriormente « inaridire » a seguito della scarsissima dinamicità e manovrabilità di tributi, come le tasse di concessione regionale e le tasse di circolazione automobilistica, ed a seguito della « sospensione » e « congelamento » al suo primo «vagito» della quota regionale ILOR, l'unica entrata che presentasse un minimo di dinamicità e di prospettiva,
ed anche la sola che fosse rispettosa del principio della ripartizione dei fondi pubblici in base allo « sforzo fiscale » sopportato dalle popolazioni locali;
b) qùello dei « contributi speciali » alle singole regioni, messo infelicemente in cantiere una sola volta per un ammontare simbolico (100 miliardi con i decreti La Malfa dell'agosto 1975), e mai più ripetuto per la constatata incapacità (per colpa di chi?) di organizzarè forme coordinate di intervento fra Stato e ogni singola regione. Al posto di questi due canali ne è stato invece attivato ampiamente un altro, quello delle leggi settoriali di spesa, che si inquadra.: a fatica nelle fattispecie previste dal legislatore costituente, e che ha favorito inevitabilmente la formazione di un rapporto, a volte sostanzialmente verticale ed esclusivo, fra assessorati regionali e singoli ministeri di spesa, tale da fare apparire le regioni come agenzie di spesa per la gestione amministrativa spicciola di scelte operative già assunte in alto. La legge finanziaria regionale 281/1970 aveva stabilito un meccanismo di calcolo del fondo comune ex art. 8 dichiaratamente provvisorio. Doveva essere modificato non appena I'ISTAT avesse pubblicato i dati della distribuzione regionale del reddito nazionale - comunque, non oltre due anni sulla base di un indice inversamente proporzionale al reddito medio pro-capite di 'ciascuna regione. La modifica doveva riguardare i 3/10 del fondo complessivo, provvisoriamente ripartiti sin dal 1972 con un meccanismo complesso, destinato a produrre di lì a poco tempo una situazione di si,perequazione tale da consigliare già nel 1976 la sua rettifica in termini praticamente « transativi », ed il suo temporaneo congelamento fino al 1981 (legge 356/ 1976).
10 2.4. Motivazioni sostanziali di ordine « equitativo », nel rapporto fra Stato e Regioni, e Ira le Regioni tra di loro Viene ,messa in discussione l'equità del fondo comune sotto i seguenti aspetti: a) criteri di determinazione della « dinamica » del fondo nazionale; b) criteri di riparto del fondo fra le regioni.
a) Determinazione del Fondo comune nazionale. Nel caso della determinazione del fondo coinune a livello nazionale, è stato a suo tempo ritenuto non equo il criterio di determinazione della base di partenza del 1972 (si è detto in proposito che non sono stati ridotti gli stanziamnti di tutti i capitoli interessati dai trasferimento delle funzioni), ma questa valutazione delle regioni incontrò poca fortuna nei ripetuti confronti con lo Stato. Analogamente, fu ritenuto, non equo, per le variazioni annuali da applicare al fondo comune « base », il riferimento alla « dinamica » di una serie di imposte dirette, che per loro stessa natura non potevano che rivelarsi poco dinamiche. Questo giudizio, a seguito di una serie di esperiénze più che eloquenti, fu ritenuto alla fine più che fondato; ciò che portò alla modifica del criterio di calcolo del fondo, mediante il riferimento, in termini di proporzione diretta, all'andamento del totale delle entrate tributarie dello Stato (art. 1 1. 356/1976). Ora si assiste ad una inversione di tenderiza nella valutazione di quella scelta. C'è chi ritiene che non sia equo riferirsi all'andamento delle entrate tributarie, in un periodo in cui lo Stato sta premendo fortemente sulla leva fiscale per riequilibrare il proprio bilancio. I « trends » di crescita veramente consistenti degli ultimi anni (32% nel 1978, 6% nel 1979, 34% nel 1980 e 46% nel 1981) hanno fatto ritenere il meccanismo troppo squilibrato a favore delle regioni in termini
economici complessivi, e troppo vincolante per un bilancio statale in cerca di una sistemazione su basi oggettivamente programmatiche nel medio periodo e quindi di una maggiore « manovrabilità », proprio in funzione di questa sua nuova e necessaria attitudinè.
Dinamica del fondo comune ed inflazione. In realtà la « sterzata » apportata dalla leg= ge 356/1976 nei diagrammi di crescita del fondo comune è servita a far acquisire alle regioni a statuto ordinario solo qualche vantaggio in termini reali rispetto alla situazione di partenza. La tabella « Bl » (v. Appendice), mette in evidenza come il valore reale dell'attuale fondo comune « puro » (cioè senza considerare le risorse aggiunte dal DPR 616/1977 e dalle leggi speciali) sia di lire 698.670 milioni, contro una base di 487.250 milioni del 1972. Si sarebbe cioè verificato un incremento di lire 211.420 milioni, in termini di valore reale a prezzi 1972, e quindi un miglioramento complessivo del 43% in un decennio, concentrato soprattutto negli ultimi anni. Il diagramma allegato alla tabella mette chiaramente in evidenza, la « stretta » optta nei confronti delle regioni negli anni 1974-1975 e 1976, dalla quale è conseguita per reazione l'adozione di un meccanismo obiettivamente più generoso nei confronti della finanza regionale. Esso ha infatti consentito 'loro di recuperare nel giro di 5 anni non solo le « perdite » del periodo precedente, ma anche di avvantaggiarsi discretamente sui tasso di inflazione. Dinamica del fondo comune e Prodotto interno lordo. La tabella « C » rappresenta l'evoluzione, in 'parallelo, del fondo comune « puro », in valori assoluti di lire correnti, e quella dello stesso fondo, quale sarebbe se esso fosse stato rapportato in termini di proporzione diretta al Prodotto interno lordo sin dall'inizio. Il raffronto riguarda praticamente l'intero arco di esistenza delle re-
11 gioni a statuto ordinario dal 1972 al 1981 compreso. Si può constatare come nell'ipotesi di crescita proporzionale al PIL, il montante del Fondo comune sarebbe stato di lire 2.682.124 milioni, contro un fondo comune « puro» 1981, già previsto dal bilancio dello Stato in lire 2.761.497 milioni, probabilmente elevabile a lire 2.966.286 milioni, a seguito dei più recenti aggiornamenti delle entrate fiscali complessive dello Stato. La tavola sta a dimostrare la sostanziale corrispondenza dell'evoluzione de] Fondo comune con quella registrata dal prodotto interno lordo. Occorre tuttavia aggiungere che non tutto il Fondo «comune» è indicizzato. Ve ne è una parte consistente (circa trecento miliardi), corrispondente alle leggi speciali settoriali in materia di « funzioni e servizi correnti », il cui importo è restato fisso nel tempo per diversi anni, venendosi così a determinare a tutt'oggi più che •un dimezzamento del suo primitivo valore reale. Chi si preoccupa dell'eccessiva crescita della parte variabile e discrezionale del fondo comune, deve tenere conto anche di questo aspetto e valutarne le conseguenze nel tempo. La tabella « B2 » espone la evoluzione nel tempo del fondo comune « totale» comprensivo, cioè, delle assegnazioni speciali. Se il Fondo « comune» complessivo fosse aumentato sulla sola base del tasso di svalutazione della lira (indice prezzi al consumo) sarebbe ammontato, nel 1981, a lire 2.631 miliardi; il Fondo comune complessivo assegnato per il 1981 ammonta, invece, in termini assoluti, a lire 3.385 miliardi: 754.111 miliardi in più rispetto al limite di mero recupero della perdita di potere reale d'acquisto della moneta.
Riferimento al PIL od alle entrate fiscali complessive. Il giudizio di « equità » può scaturire da valutazioni soggettive, fondate su sensazioni o valutazioni spesso superficiali o parziali dei fenomeni. Diverso sarebbe
se si potessero prima definire gli obiettivi specifici dell'azione regionale, il ruolo che esse debbono giocare nell'ambito dell'ordinamento e poi verificare se le risorse che un determinato meccanismo produce sono suf-' ficienti o crescono in modo sufficiente a conseguire tali obiettivi. Ora è evidente che, non essendoci sempre intesa sull'incidenza del ruolo delle regioni e sull'« ampiezza » che il momento politico fa ritenere di volta in volta più opportuna per gli obiettivi da assegnare loro, le risorse regionali, quali che esse siano, corrono sempre il rischio di essere ritenute o troppe o poche secondo il diverso modo di giudicare i primi. Molto dipende dalla funzione che si 'vuole debba avere il fondo « comune » Se si vuole che esso non sia destinato alle sole spese correnti (o normali) di mantenimento'ocl anche di normale consolidamento dell'assetto dei servizi, ma anche allo svolgimento di una funzione di promozione,. di incentivo sull'economia, di arricchimento del patrimonio sociale (ad esempio, attraverso i contributi in conto interessi sui mutui contratti da terzi, Enti e privati), si può ritenere corretto che le regioni usufruiscano, come lo Stato, della manovra fiscale e finanziaria complessiva e delle possibilità di governo dell'economia che essa può consentire in certi momenti. Diversamente può dirsi per le assegnazioni agli enti locali, le cui funzioni sono eminentemente di gestione di servizi, e per i quali può apparire più corretto fare riferimento alla dinamica del PIL, che esprime maggiormente l'andamento dei costi dei fattori di produzione dei beni e dei servizi stessi.
Il fondo comune come entrata « tributaria ». In ogni caso, una soluzione che vedesse adottato, per il Fondo comune delle regioni a Statuto ordinario, un riferimento in termini di proporzione diretta non più alle entrate tributarie complessive dello Stato (come ora avviene), ma al prodotto in-
12 temo lordo nazionale, porrebbe con mag- gior forza l'esigenza di una « concessione » in termini di contropartita sul versante delle entrate tributarie: ad esempio, la restituzione della quota regionale ILOR. Se, infatti, anche il fondo comune, finisse col perdere in tutti i sensi la natura di entrata tributaria (tutt'ora è considerato tale in quanto devoluzione di una quota di tributi erariali dello Stato), si inaridirebbe anche il terzo canale di finanziamento delle regioni, l'unico . finora vitale fra' quelli previsti dalj.a Costituzione, che è proprio quello dei tributi statali devoluti pro-quota. Questa circostanza potrebbe peraltro far sorgere una delicata questione di legittimità costituzionale in quanto il 2° comma dell'art. 119 della Costituzione affida proprio alle entrate tributarie la funzione di 'provvedere alle funzioni normali delle regioni! Di questa circostanza si dirà più avanti in una apposita annotazione. Altra importante conseguenza 'della perdita della qualità di entrata tributaria da parte del fondo comune, sarebbe poi la sua atti-. tudine a costituire base di riferimento, assieme alle altre entrate tributarie della regione, 'per il calcolo del tetto massimo di ricorso al credito per investimenti. E' ovvio che a tale conseguenza occorrerebbe trovare un rimedio in sede di legge di riforma, estendendo anche alle altre entrate di natura « corrente » l'attitudine dianzi richiamatà. b) Riparto del Fondo comune fra le regioni.
Se ci sonò pareri contrastanti nel valutare l'equità dei criteri di determinazione del fondo nazionale, a maggior ragione ce ne sono per quanto riguarda i criteri di ri.parto del foido tra le .gioni, se non altro per il maggior numero dei soggetti coinvolti e la maggiore varietà delle posizioni. L'attuale metodo di riparto del fondo comune « puro », cioè, della parte non a de-
stinazione vincolata, determina una netta divaricazione nella distribuzione pro-capite delle risorse. Si va dalle 33.160 lire del Lazio alle 79.858 lire della Basilicata, per una media nazionale di 42.064 pro-capite nel 1980 (vedi tabella « Dl » in Appendice). La divaricazione tende peraltro ad accentuarsi ulteriormente se si tiene conto anche delle assegnazioni statali correnti confluite sul fondo « comune » in attuazione del DPR 616/1977 aventi una destinazione vincolata. Si va dalle lire 43.084 procapite della Lombardia alle 103.994 pro-capite della Basilicata (vedi tabella « D2 »). Con una distribuzione a ventaglio così ampio appare evidente come sia forte la tentazione di giudicare non equa la ripartizione, soprattutto da parte delle regioni che si trovano nelle « stecche » più deboli del ventaglio. Si tratta anche in questo caso di valutare quale debba essere il ruolo del fondo « comune »; se la funzione del nequilibrio debba essere preminente in esso, o se la funzione del riequilibrio non debba piuttosto essere affidata prevalentemente alle assegnazioni più specificatamente 'finalizzate agli investimenti, come il fondo di sviluppo (se mantenuto in esseie); come le leggi settoriali, •per il Sud e le aree svantaggiate; come soprattutto, i contributi speciali. La /unzione di riequilibrio. Il legislatore nazionale nel definire i criteri di riparto del fondo fra le regioni aveva praticamente diviso il fondo in due tronconi: 7 decimi da ripartire con riferimento a parametri obiettivi non riflettenti' l'obiettivo del nequilibrio (popolazione e territorio); 3 decimi, da ripartire con riferimento a parametri socio-economici, assunti espressamente in funzione di riequilibrio o comunque di sviluppo delle zone svantaggiate sul piano economico-sociale. Se la funzione di riequilibrio deve essere limitata ai 3/10 del fondo
13 occorrerà assumere parametri che, limitatamente ai soli 3/10, diano risultati parziali correlati alla effettiva dimensione dello squilibrio in essere. I parametri che furono adottati in via provvisoria nel 1.972 e •che ancor oggi. sono vigenti, sono invece tali da alterare sensibilmente il risultato finale: in altre parole, il risultato parziale dei riparto dei 3/10 ha •un campo di variazione talmente ampio da, far sì che il risultato finale dei 10/10 del fondo nel quale il primo confluisce, presenti esso stesso campi di variazioni molto ampi (più del doppio fra l'assegnazione pro-capite della Basilicata 79.858 lire - e quella del Lazio - 33.160 lire). Desta quindi forti per.plessità un meccanismo di calcolo, quello attualmente adottato nella fattispecie del fondo comune, che, per la parte vocata alla funzione. di riequilibrio (3/10) fornisce una « risposta finanziaria agli squilibri socio-economici territoriali di ampiezza. maggiore rispetto a quella scatusente dal riferimento ai dato dei redditi regionali pro-capite. Non si vuoi dire con questo che sia più giusto l'uno o l'altro, trattandosi alla fine di un giudizio squisitamente politico; resta tuttavia la circostanza che le differenze fra i « livelli economici » da riequiibrare quali emergono dal meccanismo adottato ora, sono in realtà più profonde di quelle che risultano dagii indici ufficiali sul reddito pro-capite delle singole regioni. Si veda l'esito dei riparto dei 3/10 del fondo nel 1976 - tabella E - .per constatare il notevole squilibrio fra regione e regione: si va da un massimo pro-capite di lire 10.784 per Mouse, Basilicata e Calabria ad un minimo di lire 1.349 per la Toscana, con una media nazionale di lire 4.428. Ponendo la media uguale a cento, il minimo si attesta sul 30,47% ed il massimo suI 243,35%. 11 campo di variazione in percentuale è del 212,88%. La notevole sperequazione nella distribuzio-
ne capitaria delle assegnazioni correnti oggi esistente sembra, dunque, consigliare l'adozione di corretjivi volti a ridurre l'ampiezza del ventaglio. La sostituzione dell'attuale sistema di riparto, prevjsto per gli ultimi 3/10 del fondo (in rapporto agli indici di disoccupazione, emigrazione e reciproco dell'imposta complementare), con un sistema fondato sul rapporto inversamente proporzionale ai più recente dato ISTAT del reddito pro-capite di ogni Regione (dato ottenuto considerando il prodotto 'interno lordo), avrebbe indubbiamente la funzione di attenuare le attuali eccessive sperequazioni; così facendo si ottempererebbe peraltro ad un preciso disposto della legge finanziaria regionale dei 1970 (ultimo comma art. 8). Si veda al riguardo nella allegata tabella « Li » una ipotesi di riparto del fondo comune con il riferimento al reciproco del reddito medio pro-capite 1978, per i 3110: si va da un massimo pro-capite di L. 14.889 per la Calabria, ad un massimo di lire 6.304 per la Lombardia, con una media nazionale di lire 8.826. Ponendo la media eguale a 100, il minimo si attesta sul 71,42% ed il massimo sul 168,69%. Il campo di' variazione in percentuale è del 97,27%. 2.5. La validità ed a//idabilità dei procedimenti di calcolo previsti per il raggiungimento degli obiettivi, dichiarati o presumibili
Fondo Comune. Circa il riparto fra le Regioni del fondo « comune », si deve dire che le ragioni di ordine tecnico che portano a ritenere necessaria l'introduzione di modifiche al criterio di riparto degli ultimi 3/10 del fondo, traggono giustificazione appunto nei « limiti» rivelati dal sistema provvisorio di calcolo esposto nelle tabelle dei coefficienti allegate alla legge 281/1970. a) Il riferimento ai tasso di emigrazione è
14 sempre più apparso « deviante » rispetto alle finalità del fondo «comune ». Nella fattispecie è. stato usato un indice che esprime soio le cancellazioni dai registri anagrafici di residenza, non il saldo itetto fra cancellazioni ed iscrizioni. Da una parte vengono favorite Regioni (come la Lombardia, il Piemonte, la Liguria) in cui l« emigrazione » verso l'estero od altre Regioni è certamente consistente ma nella forma prevalente della « mobilità » (che è caratteristico delle economie più evolute), ben diversa da quella, peraltro in netta riduzione, della vera emigrazione che ha caratterizzato le regioni più povere del Sud. Accade, allora, che in materia di emigrazione le tre Regioni del Triangolo industriale dianzi citate godano dello stesso punteggio « i » assegnato alla Campania. Dall'altra, le stesse regioni ad alta emigrazione (quella di consistente durata) si vedono assegnare quote crescenti, a fronte di un fabbisogno di servizi spesso calante nel tempo, proprio per effetto del depauperamento dell'utenza causato dalla emigrazione. Tale parametro andrebbe in ogni caso « cassato ». Il riferimento al reciproco del reddito da imposta complementare andrebbe comunque cambiato per adeguarlo alla nuova normativa fiscale ed a grandezze .più rappresentative della ricchezza mobiliare locale. Sembra opportuno al riguardo fare riferimento ad una grandezza economica come il Prodotto interno lordo, in funzione di «reddito ». Di tale grandezza si dispongono i dati ISTAT normalmente con due soli anni di ritardo, rispetto all'anno di riferimento. Lo stesso riferimento al tasso di disoccupazione si è prestato per anni a vistosi equivoci. Il tasso infatti dipendeva anche da fatti contingenti e di costume, come la pro. pensione all'iscrizione volontaria alle liste di collocamento, di fronte ai quali il comportamento cambia enormemente da area ad
area. Solo in tal modo, ad esempio, si può giustificare' il fatto che sia stato attribuito lo stesso parametro « i » tanto all'EmiliaRomagna che all'Abruzzo í mentre regioni come il Lazio e le Marche hanno riportato.: addirittura punteggio zero. Anche se le differenze di un tempo si vanno ora colmando, c'è da ritenere che anche questo parametro non sia fra i più sicuri per conseguire corretti obiettivi di riequilibrio. Una osservazione va fatta anche sulle attuali modalità di calcolo. Esse provocano infatti inconvenienti non di 'poco conto, tali da portare a risultati inaccettabili sul piano tecnico: i) la semplificazione dei tassi di emigrazione, disoccupazione e di carico fiscale in punteggio a numeri interi, determina il formarsi di scarti ina.mmissibili fra regioni il cui tasso grezzo è quasi corrispondente. Se si assume che le regioni che 'hanno un dato grezzo inferiorè a 0,999 abbiano un punteggio i e quelle. che hanno un dato grezzo 1,00 abbiano punteggio 2, le seconde, pur essendo praticamente sullo stesso livello, si vedranno assegnare il doppio (limitatamente al riparto di un decimo del fondo). Questa circostanza. 'può verificarsi contemporaneamente, sempre a danno delle stesse regioni, su tutti i riparti ponderati con riferimento ai fattori socio-economici, moltiplicandone in tal modo gli effetti discòrsivi sul risalto finale. Meglio sarebbe, in ogni caso, fare riferimento a numeri relativi e non a punteggi per numeri interi. 2)11 fatto che per due indici (disoccupazione ed emigrazione) il primo punto intero sia lo zero (mentre per il carico fiscale è 1) crea una forte discriminazione nei risultati sia fra le regioni che si vedono collocate nello « zero » (riparto nullo sul declino considerato) rispetto alle altre che hanno punteggi superiori allo zero; sia fra i riparti dei primi due decimi (emigrazione
15 disoccupazione), rispetto al terzo (carico tributario). Per di più in quest'ultimo, il punteggio va a i a 6 con un ventaglio molto maggiore rispetto agli altri (rispettivamente da O a 2 e da O a 3). Questo fa sì che lo scostamento per ogni regione dai valori medi nazionali di ciascun indice giochino molto di più o molto di meno secondo il tipo e l'ampiezza del ventaglio di numeri interi previsti per il •punteggio assunto per ciascùn parametro socio-economico. Questi fattori 'hanno fatto sì che allo scadere del 50 anno di applicazione dei parametri di riparto del fondo « comune » (anno 1976) i risultati fossero giudicati tanto iniqui da richiedere « integrazioni » a « forfait » a favore soprattutto delle regioni più danneggiate nei riparti del 1975 e 1976 (Emilia-Romagna, Toscana, Puglia p. es.) (art. 3 legge 356/1976) ed il « congelamento » del parametro complessivo di riparto concordato per il 1976 fino al 1981, 'in attesa di ridefinire l'insieme dei meccanismi di calcolo.
Fondo ex Art. 9 « Programmi di sviluppo ». Circa il fondo per i programmi regionali 'di sviluppo, il dissidio fra regioni e Stato sul piano dei 'meccanismi di calcolo del fondo,. riguarda in 'particolare la quota variabile ex lett. b), art. 2 legge 356/1976 del fondo stesso, quellà che doveva, nelle intenzioni del legislatore, consentire la conservazione nel tempo del valore reale dell« assegnazione base » del fondo di, sviluppO autorizzata per l'anno 1976. Il ministero del Tesoro (e, con esso, Go verno e Parlamento) è stato sinora fermo, più per problemi di contenimento della spesa che per intima convinzione, nella applicazione del tasso di rivalutazione (componente prezzi nel calcolo del PIL) in termini semplici, attraverso cioè la semplice sommatoria degli incrementi percentuali annui. ppare ovvio che solo un calcolo in ter-
mini composti del montante annuo di tale fondo può consentire un recupero del valore reale della assegnazione originaria. La divaricazjone che in tal modo si è venuta a determinare ammonta per il solo 1981 - ultimo anno del regime transitoriò inaugurato dalla legge 356/1976 - a circa lire 104 miliardi. Il danno subìto dalle regioni nel quadriennio 1978-1981 è misurabile in lire 297 miliardi ('vedi tabella « F »).
FUNZIONI AMMINISTRATIVE GIÀ REGIONALI ATTRIBUITE ALLA COMPETENZA DEGLI ENTI LOCALI COL DPR
616/1977
3.1. Premessa Col DPR 616/1977 una serie di funzioni amministrative, già attribuite alla competenza delle Regioni nel 1972, sono transitate alla competenza degli enti locali. Si tratta soprattutto di funzioni in materia di assistenza e beneficienza, 'per le quali è stato ritenuto •prevalente l'interesse « esclusivamente locale » secondo quanto prevede il 10 comma dell'art. 118 della Costituzione. Gli enti locali da tempo esercitano pressioni, per il tramite delle loro organizzazioni nazionali, affinché le risorse che affluirono a suo tempo nel fondo « comune» in corrispondenza delle funzioni in materia di diritto allo studio, assistenza generica, 'alcune forme di assistenza specifica e trasporti scolastici, siano stralciate dal Fondo comune regionale per essere attribuite direttamente agli enti locali secondo parametri obiettivi di riparto. Le regioni hanno sempre resisiito sia ad una soluzione che portasse alla riduzione del fondo comune, sia ad una soluzione che le vedesse costrette a frazionare il Fondo «comune» in quote a destinazione vincolata, per ragioni facilmente intuibii: riduzione della propria capacità d'indebita-
1.6 mento, nel primo caso; ulteriore irrigidimerito del Bilancio, nel secondo. La disputa non è di poco conto. Si deve innanzitutto superare una pregiudiziale di fondo: atteso che, una serie di funzioni amministrative concernenti le materie per le quali la Costituzione attribuisce alle regio-. ni il potere di legiferare, sono state ritenute di « interesse esclusivamente locale » e, come tali attribuite alla diretta competenza degli enti locali, si tratta di stabilire a chi spetti la determinazione delle risorse e dei criteri che debbono regolare i flussi delle medesime verso gli enti locali. Sembra logico ritenere che, se è la regione deputata a disciplinare con legge l'intervento pubblico in materia di assistenza, beneficienza e diritto allo studio, debba essere la stessa regione a regolare i flussi delle risorse necessarie per lo svolgimento di tali funzioni, secondo i criteri dettati dalla peculiarità delle singole realtà regionali. Riesce obiettivamente difficile scindere il momento della legislazione, cioè del coordinamento e dell'organizzazione, da quello del finanziamento. Il primo senza il secondo corre più di un rischio di rimanere vaniloquio astratto, accademia di bùone intenzioni. Del resto, alcuni progetti di legge « quadro » in materia di assistenza e diritto allo studio, da tempo all'esame presso il Parlamento, prevedono la formazione di un « fondo nazionale per l'assistenza » da ripartire fra le regioni. La soluzione di affidare alcune funzioni in materia di assistenza ad organismi sovracomunali, quali sono le USL, che sembra farsi strada presso molte regioni, rende il ruolo programmatorio e di coordinamento delle regioni ancora più necessario, anche per quanto attiene la ripartizione dei flussi di risorse sul territorio. Una tesi diversa tende a spostare sull'asse Stato-enti locali, tutta la problematica del trasferimento delle risorse correnti necessarie al funzionamento degli enti locali,
comprese, dunque, tutte le funzioni in materia di assistenza e beneficienza. La ragione di ciò starebbe nella conseguente semplificazione dei rapporti £nanziari all'interno del sistema pubblico allargato, nella maggiore omogeneità di trattamento che i comuni riceverebbero a livello nazionale, nella probabile riduzione dei tempi di erogazione dei fondi dai « centri finanziatori » ai « centri erogatori dei servizi ». All'asse « Stato-regioni » sarebbe invece « riservata », di preferenza, la funzione di regolare i flussi destinati agli investimenti ed allo sviluppo nel campo sociale, in relazione al ruolo preminente di governo del territorio che alla regione viene riconosciuto, anche con riferimento 'alla distribuzione territoriale dei « presidi » erogatori di servizi sociali. Ambedue 'le tesi sono suggestive, e possono contare su agguerriti e perspicaci estimatori. Tuttavia, in questa sede, si ritiene utile soltanto richiamare l'attenzione sui problemi che possono originare dall'adozione dell'una o dell'altra soluzione.
3.2. Mantenimento dei /ondi per l'assistenza ed il diritto allo 'stadio all'interno del jondo « comune » ex art. 8 Questa soluzione ha un senso solo se non si pretenderà, da parte dello Stato e dei comuni, di stabilire con la legge statale l'entità dei fondi che le regioni debbono destinare annualmente all'assistenza, i criteri di riparto e forme di indicizzazione forzata dell'incremento annuale di ogni singolo contributo, ciò che si sta invece verificando ora, con il dispositivo dell'art. 16 del DL 38/1981 in materia di finanza locale. Quest'ultima decisione colpisce 'proprio quelle amministrazioni regionali che si sono già date una normativa specifica in materia di assistenza e diritto allo studio, togliendo loro ogni possibilità di coordinamento e di
17 indirizzo nel settore. Alcune regioni hanno adottato leggi di sviluppo per allargare il ventaglio degli interventi previsti dalla normativa statale verso settori nuovi (anziani, handicappati, coltivatrici dirette in maternità, asili nido, per esempio). L'obbligo di incrementare i fondi già assegnati a ciascun comune nel 1980 per le funzioni già regionali trasferite ai comuni dal DPR 616/1977, in misura almeno eguale alla percentuale di incremento del fondo comune cx art. 8 sottrae alle regioni, assieme all'autonomia decisionale, le risorse •necessarie per la sua funzione di sviluppo e diversificazione degli interventi; e si risolve in pratica in un espediente per aumentare il margine complessivo di manovra degli enti locali sul versante delle spese correnti. Una soluzione che avesse previsto un incremento delle assegnazioni ordinarie 1980 solo in ragione dello stesso incremento riconosciuto dalla legge di finanza locale agli enti locali sulle spese per acquisto di beni e servizi, seppure egualmente lesiva dell'autonomia regionale, sarebbe stata più coerente con la linea seguita dal Governo in materia, ed avrebbe mantenuto alle regioni almeno un piccolo margine per le politiche di diversificazione degli interventi e di nequilibrio territoriale, già previste in alcuni casi dalle proprie leggi. La tesi secondo la quale il provvedimento d'imperio del legislatore statale si è reso necessario in conseguenza del comportamento di alcune régioni che hanno « lesinato » i fondi ai còmuni per queste funzioni, o non si sono dotate di leggi proprie o, peggio ancora, che si sono ostinate nel gestire direttamente parte di tali fondi, seppure confortata in alcuni casi da circostanze acclaranti, non appare accettabile sul piano della correttezza e della linearità dei rapporti istituzionali. Per concludere su questo punto, sembra di dover ritenere corretto ed opportuno il man-
tenimento, nel fondo «comune », dei fondi destinati annualmente dalle regioni all'assistenza ed al diritto allo studio, a condizione che non si instaurino meccanismi legislativi di parcellizzazione del fondo e di indicizzazione della spesa « storica » regionale in quei settori. Se si comincia con l'accettare questo principio, tutto il bilancio regionale corre il rischio di venire indicizzato: tutti i soggetti potenzialmente destinatari della spesa regionale, istruiti da tali esempi, potrebbero far pressioni sul Parlamento per ottenere norme vincolative al riguardo. La tesi del mantenimento di tali risorse nell'ambito del fondo comune ha, al momento attuale, anche l'effetto pratico di scongiurare la riduzione del tetto massimo di indebitamento delle regioni che è rapportato all'ammontare complessivo delle entrate « tributarie » loro spettanti, fondo « comune » compreso. Essa è peraltro in perfetta sintonia con la proposta che le regioni da tempo avanzano, di giungere ad un accorpamento a pieno titolo nell'ambito del fondo «comune » di tutte le leggi speciali » dello Stato che attribuiscono fondi alle regioni per lo svolgimento di attività continuative o ricorrenti. A questi ultimi riguardi, dunque, vanno riconsiderati, con vigile attenzione, alcuni contenuti delle 'proposte di legge « quadro », ora in esame del Parlamento in materia di assistenza. Da un lato, attraverso la costituzione, di un « fondo nazionale per l'assistenza » da ripartire fra le regioni, sembra venga valorizzato il ruolo di queste ultime come « filtro » dei flussi finanziari dal centro alla periferia, in funzione di coordinamento, superando quindi l'attuale posizione degli enti locali che reclama il tutto ricondotto all'interno del rapporto diretto Statocomuni. Dall'altro, si è di fronte al rischio di una ulteriore segmentazione delle risorse correnti regionali e di una ulteriore riduzione del fondo « comune> indiviso, con le
37-0
18 conseguenze che dianzi venivano ricordate. Va anche detto che questa visione di una finanza regionale organizzata su di un rapporto a « striscie orizzontali » fra entrata e pesa sembra trovare troppo spesso bendisposti gli assessorati regionali di spesa, che vi scorgono uno strumento di difesa del loro « pacchetto minimo » di risorse, dalle brame degli assessorati concorrenti. Dovrebbe essere chiaro per tutti che, in fondo al « tunnel » di una siffatta impostazione dei rapporti istituzionali si intravvede chiaramente la trasformazione della regione in mera agenzia di spesa, crocevia obbligato, ma in larga misura ammaestrato, di ingenti flussi finanziari di cui altri in concreto dispongono la destinazione settoriale.
3.3. Sottrazione dal fondo « comune » ex art. 8 dei fondi per l'assistenza ed il diritto allo studio, e trasferimento diretto degli stessi dallo Stato agli enti locali Se la tesi della non competenza regionale a decidere circa i flussi di risorse da destinare alle funzioni di assistenza e diritto allo studio - considerate di interesse esclusivamente locale - dovesse continuare a prevalere, si renderebbe opportuna una soluzione più pratica e meno imbarazzante , per le regioni di quella prevista dall'art. 16 del DL 38/1981 in materia di finanza locale. Sarebbe infatti 'preferibile provvedere alla decurtazione del fondo « comune» delle regioni a statuto ordinario con riferimento alle spese effettuate dalle regioni stesse nelle materie in questione nell'anno 1981. Tali fondi sarebbero fatti affluire dallo Stato (ministero del Tesoro) direttamente agli enti locali sulla base di parametri obiettivi concordati con gli enti stessi, come già oggi avviene per il fondo di cui all'art. 132 del DPR 616/1977. Tale soluzione, apparentemente più pratica ed improntata a maggiore snellezza e chia-
rezza di rapporti, fa sorgere alcuni problemi applicativi: a) determinazione della quota da stralciare dal fondo «comune ». Possono essere adottate diverse soluzioni: - riduzione del fondo comune spettante ad ogni regione di una quota pari alla somma destinata da ciascuna di esse nell'anno di riferimento alle spese in questione, e confluenza di tali quote n un fondo unico nazionale da ripartire fra i Comuni; - sommatoria delle spese che tutte le regioni a statuto ordinario hanno destinato nell'anno di riferimento alle funzioni trasferite, e stralcio del loro totale dal fondo « comune » nazionale prima della effettuazione del riparto di tale fondo fra le regiohi. La prima soluzione sarebbe obiettivamente troppo « punitiva » nei confronti di quelle regioni che hanno dedicato a questo settore maggiore attenzione e risorse più copiose. Il ventaglio della spesa ;pro-capite in questo comparto è molto largo come dimostra la tabella « I» (v. Appendice), concernente l'assetto che fu concordato col Governo nel 1979; come risulta dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in data 14 dicembre 1979 che stabilì le quote minime che le regioni dovevano destinare ai comuni per le funzioni trasferite dal DPR numero 611/1977. Per di più, da allora esso si è ulteriormente allargato in ragione dei diversi tassi di crescita applicati ai trasferimenti in parola dalle singole regioni negli anni 1979 e 1980. Del maggiore, sacrificio di alcune regioni andrebbero 'peraltro a beneficiare' tutti i comuni italiani. La seconda soluzione riparte più equamente il sacrificio fra le regioni anche se essa non riesce ad evitare le conseguenze ovvie del meccanismo redistributivo. Le regioni che avevano destinato nel 1981 più risorse a queste funzioni sopporteranno una riduzio-
IR ne di entrate inferiore alla spesa rinunciata e quindi, disporranno di più risorse da destinare ad altri interventi; i comuni del loro territorio però, riceveranno meno risorse per le funzioni loro trasferite dal DPR 616/1977 di quante ne riceverebbero dalla regione secondo il regime attualmente in atto. Esigenza di trattenere •una quota dell'ammontare complessivo dei trasferimenti ai comuni, a supporto della legislazione regionale di sviluppo nel settore dell'assistenza e del diritto allo studio. Si è già detto in altra parte che diverse regioni effettuano interventi di questo genere, ciò rientrando nel loro pieno diritto, anche dopo il trasferimento delle funzioni amministrative operato dal DPR 616/1977. Sembra dunque opportuno fare in modo che una parte delle risorse complessive, destinate alle funzioni dianzi richiamate, sia trattenuta dalle regioni per le attività di sviluppo, anche nel senso ipÙ generale della diversificazione degli interventi o del riequiibrio territoriale dei servizi. Verifica dell'opportunità di estendere il « nuovo regime » anche a tutta un'altra serie di interventi « correnti » in materia di assistenza, attualmente operati dalla regione sulla base di assegnazioni statali specifiche. Per tali assegnazioni si è già detto della necessità di farle confluire a pieno titolo nel, fondo comune regionale essendo esse finalizzate ad attività e servizi di carattere continuativo. Per alcune di esse, si tratia di un mero concorso nella spesa per funzioni già svolte in precedenza da enti soppressi, funzioni che continuano ora ad essere svolte dai comuni o da loro consorzi od associazioni (Fondi relativi agli ex ONMI, agli enti soppressi con la legge 641/1978). Per altre, invece, si tratta di interventi volti a creare nuovi servizi sul territorio (consultori familiari, attività consultoriale ed as-
sistenziale in materia di tossicodi.pendenze, di interruzione volontaria della maternità; asili nido). Mentre per le prime, al di là delle posizioni di principio riguardanti la chiara competenza legislativa regionale, sembrano non esserci altri ostacoli ad una loro confluenza nel coacervo della finanza locale, stante il fatto che la funzione della regione è stata sinora solo quella di ripartire fondi sempre più scarsi ai comuni od ai consorzi che hanno ereditato i presidi assistenziali ed il personale relativo, con il criterio della spesa « storica »; per le seconde, la funzione della regione è stata ed in larga parte è tutt'ora, quella di promuovere e ripartire sul territorio servizi in via di formazione; funzione quest'ultima che non può essere certo trattenuta dallo Stato. Se, dunque, per le funzioni trasferite ai comuni in materia di assistenza e diritto allo studio sarà adottata la soluzione di stralciare le relative risorse dal fondo «comune » regionale, è da ritenere opportuno che a queste ultime vengano aggiunte anche quelle attualmente assegnate alle regioni ai sensi della legge 698/1975 (scioglimento ONMI) (60 miliardi circa) ed ai sensi della legge 641/1978 (133 miliardi solo per gli exENAOLI-ONPI-ANMIL nel 1979).
3.4. Conclusioni A conclusione di questo capitolo si ritiene opportuno fare presente come il problema dello scorporo dal fondo comune delle risorse destinate alle funzioni di assistenza e diritto allo studio si inquadri, seppure con una sua peculiarità indiscussa, nella più vasta problematica della natura e del ruolo del fondo « comune» regionale, di un fcindo cioè destinato a finanziare la generalità delle funzioni « normali » e di « normale sviluppo » delle regioni. Si è già detto che la tesi che vorrebbe accorpare tutti i flussi finanziari correnti, al-
20 l'interno di un unico fondo indistinto, ad uso discrezionale delle regioni, ha incontrato nel tempo alterne fortune. La tentazione dei livelli centrali del potere, sia esecutivo, sia legislativo, di recuperare potere decisionale su porzioni consistenti delle funzioni e delle risorse trasferite, è sempre stata presente; e spesso 'ha trovato facile terreno per esprimersi nelle difficoltà incontrate dalle regioni nel proporsi autorevolmente come momento di governo e di programmazione, ed apche, nelle difficoltà di coordinamento dei comportamenti regionali nei confronti dello Stato centrale. Così, sin dai primi anni della riforma regionale si sono aperte « brecce » nella linea del fondo unico. Il DPR 616/1977 doveva costituire l'occasione per una ricucitura di tali « falle » ma così non è stato nella sostanza, poiché le tante leggi di settore emanate dallo Stato hanno mantenuto una loro identità specifica anche se formalmente ricondotte all'interno del fondo comune. Nel frattempo, la riforma della sanità, prima, e quella dei trasporti poi, hanno dato vita a due canali di importanza straordinaria di trasferimento « guidato » e settoriale di risorse dallo Stato centrale alle istituzioni periferiche. In tal modo, mentre da un lato si sono appena settorializzati comparti di spesa importanti, dall'altro 'si propongono nuovi accorpamenti nel fondo « comune », ma già si pensa a « scorporare » dal fondo comune altri comparii. Questo modo ondivagante di impostare i rapporti finanziari fra Stato e regioni, deve poter trovare pause di riflessione, almeno di médio .periodo, per consentire alle regioni di darsi un assetto sul piano legislativo ed organizzativo in generale, e per dare alle stesse il tempo necessario per dimostrare nel concreto le proprie capacità di governo.
PROPOSTE OPERATIVE NEL MEDIO-BREVE PERIODO
4.1. Premessa generale' Prima di passare alla formulazione di ipotesi operative di riforma del finanziamento delle due fonti principali e continuative di finanziamento delle regioni a statuto ordinario, è opportuno. chiarire che l'obiettivo del presente lavoro non è quello di delineare una soluzione definitiva e generale della finanza regionale. Quest'ultima richiede, infatti, una verifica della possibilità di attivazione di altre fonti di finanziamento attualmente pressoché inattive, come quella dei tributi propri, ed il coordinamento con la riforma della finanza locale che ancor oggi tarda a venire, e per la quale è comunque ipotizzabile un processo graduale di attuazione. Le proposte qui di seguito illustrate sono riferite ad una soluzione parziale, di medio •periodo, che il legislatore è chiamato a definire prima dell'anno 1982, per poter dare continuità alla normativa finanziaria «provvisoria » del 1976, scaduta appunto nel 1981. I.potizzando il mantenimento in essere di due fondi separati, fondo comune e fondo di sviluppo, si ritengono opportune, alla luce di quanto sin qui osservato, le modifiche dell'attuale normativa di finanza regionale illustrate qui di seguito. 4.2. 'Determinazione del jondo comune nazionale Per il nuovo fondo « comune » destinato al finanziamento delle funzioni « normali » e di quelle di « normale sviluppo» si ritengono opportune le seguenti soluzioni: a) formazione di un unico fondo comune « indistinto » a destinazione non vincolata risultante dalla sommatorià di tutte le componenti « interne » attuali (1981) da assumere come dato « base » di partenza per
21 gli anni successivi. Esso comprenderà tutti gli « spezzoni » che si sono aggiunti dal 1977 in poi per effetto del DPR 616 (scuola popolare, formazione professionale, art. 128, 2° comma, DPR 616/77, nonché anche le assegnazioni speciali, cx art. 130 dello stesso decreto, e le stesse opere universitarie). b) Integrazione del fondo « base » determinato come sub a), con l'ammontare complessivo delle assegnazioni correnti 1981 disposte dallo. Stato con leggi speciali, riferentesi ad interventi od attività di carattere continuativo, già ricondotte, seppure solo formalmente, all'interno del fondo comune in attuazione del DPR 616/1977:
voci che dovranno comporre il fondo «base » 1981 è fornita rappresentazione nella tabella « H ». c) Accorpamento di assegnazioni « anomale» di carattere continuativo. Stante la loro natura di spesa continuativa, si ritiene opportuno trasferire all'interno dei fondo « comune » anche le seguenti assegnazioni speciàli, sinora amministrate in niodo nettamente separato: i: Asili nido. Legge 1044/1971 modificata dalla legge 891/1977. Il fondo si trova ancor oggi collocato nel Bilancio del ministero della Sanità. La ragione di ciò la si è voluta ricercare nella precisa finalizzazione dei fondi, che origina peraltro da una enin miliardi (*)
- -Consultori familiari ed aborto leggi 405/75 e 194/78 - Enti di sviluppo - legge 386/75 - Scioglimento ONMI - legge 698/75 - Stupefacenti - legge 685/75 - Enti soppressi - legge 64 1/78 (ONPI-ENAOLI-ANMIL)
48,282
(60,000)
70,720 60,213 2,984 133,733
(100,000) (70,163) (3,600)
315,932 (') Il dato preso in considerazione riguarda le sole regioni a statuto ordinario. Il dato fra parentesi è quello nazionale. Il dato degli enti soppressi 1981 è « provvisorio ». -
Tali assegnazioni debbono poter essere integrate, eventualmente attraverso un accordo su base « forfettaria » fra regioni e Stato con le seguenti partite: - Altri enti soppressi cx 1. 641/78 (da definire); - Nuovo personale ed uffici trasferiti dallo Stato alle regioni a statuto ordinario a seguito del DPR 616/77 (da definire). E' ovvio che l'intero fondo comune così determinato dovrà essere soggetto ad indicizzazione nei . termini percentuali annuali che saranno definiti per il fondo stesso. Delle
trata speciale dello Stato riveniente dalla apposita addizionale corrisposta dai datori di lavoro sui contributi previdenziali su salari e stipendi. Con la legge 891/1977 - art. 4 - lo Stato è autorizzato a prevedere annualmente in bilancio una somma che viene poi conguagliata (normalmente con due anni di ritardo) sùlla base degli effettivi versamenti effettuati dagli istituti previdenzia'li che fungono da collettori della addizionale dianzi richiamata. Le assegnazioni sono destinate allo sviluppo dell'assistenza ai minori attraverso l'impianto ed il funzionamento degli asili nido. Col tempo, per
22 le regioni che hanno già attuato, totalmente o parzialmente, la « fase di impianto del piano degli asili nido, l'intervento diventa di mero mantenimento dei presìdi istituiti, attraverso la corresponsione di un concorso finanziario nella spesa di gestione. Sarebbe opportuno, stante la natura dell'intervento, poter svincolare il momento dell'assegnazione da quello dell'acquisizione dei relativi mezzi - lo Stato continuerebbe ad incamerare i proventi dell'addizionale pro-asili nido senza che fra l'entrata e la spesa debba esserci un rapporto di causa ed effetto. Se la natura non tributaria del provento (si tratta in realtà di un contributo specifico) può rappresentare un ostacolo a ciò, lo Stato potrebbe disporre l'assorbimento dell'addizionale specifica nell'ambito dei contributi previdenziali riducendo in tal modo l'onere a suo carico per l'integrazione dei bilanci degli istituti previdenziali; in tal modo si renderebbero disponibili risorse per incrementare la base del fondo comune; l'assegnazione pro-asili nido (oggi 'dell'ordine di 80 miliardi annui) entrerebbe così far parte dél fondo comune «base » seguendone le sorti quanto a « trends » di crescita ed a parametri di riparto. 2. Fondo sociale equo canone. Anche questa assegnazione è di carattere continuativo, ma è legata alle sorti della legge statale sull'equo canone. Si tratta di interventi di tipo sociale (integrazioni del canone di locazione ai meno abbienti) che le amministrazioni locali attuano, secondo le proprie esigenze difficilmente programmabii. L'ammontare dell'assegnazione nazionale 1981 è di lire 45 miliardi. (La legge si proietta sino al 1983). Il meccanismo attuale di riparto, assegnazione e svincolo dei fondi è tale da comportare problemi amministrativi sia all'Am ministrazione centrale che alle regioni.
3, Non sembra invece opportuno tenere in considerazione a questi fini assegnazioni, come quella disposta pèr il 1981, sulla, legge 153/1975 Direttive CEE, che non 'hanno chiaramente carattere continuativo; nonché dell'assegnazione concernente gli Istituti zooprofilattici, ' in quanto da far confluire più opportunamente nel fondo sanitario. 4. Nell'ambito del processo di semplificazione dei rapporti finanziari fra Stato e regioni è poi da ritenere opportuna la soppressione di norme come quella del comma 50 dell' art. 117 (Patrimonio degli 'Enti soppressi) del DPR 616/1977, che stabilisce il versamento al fondo comune ex art. 8 dei proventi dei beni da reddito già degli enti soppressi di cui alla tabella « B ». Tale norma pone in essere un ra'pporto finanziario complessivamente inconsistente e di difficile gestione fra regione e Stato. E' da ritenere opportuna l'adozione di una norma che attribuisca definitivamente i beni stessi alle rispettive regioni, senza altra formalità e vincoli. d) Dimensionamento del fondo comune in rapporto al gettito di tributi dello Stato. Problema del rispetto della norma costituzionale. Si è già detto come l'art. 119, comma 2° della Costituzione preveda che le funzioni normali delle regioni a statuto ordinario siano fronteggiate da tributi propri delle regioni stesse o dalla devoluzione di quote di tributi erariali. Poiché è principale fonte di finanziamento delle spese « normali » delle regioni, è altrettanto 'innegabile che per lo stesso fondo debba essere mantenuta in vita una qualche forma di riferimento automatico a cespiti tributari dello Stato centrale. Dopo la riforma del 1976 questo riferimento era stato mantenuto per due vie: - una prima, attraverso la conferma del calcolo del fondo « comune » negli stessi termini previsti dall'art. 8, legge 281/1970,
23 come risultante della sommatoria di quote di diversi tributi erariali di tipo indiretto. Attraverso tale calcolo veniva annualmente determinato un fondo comune « legale »; contemporaneamente, a garanzia delle aspettative di « crescita minima » del fondo tutelati dalla legge 356/1976, veniva determinato un fondo comune « alternativo » ancorato alla dinamica delle entrate tributane nette globali dello Stato. Dal 1976 in poi il fondo « legale » non è mai stato effettivamente applicato a causa della scarsa dinamicità dei tributi scelti a rappresentare le « speranze » finanziarie delle regioni. Poiché la norma dell'art. 8 stabiliva che ogni maggiorazione di aliquota sarebbe stata riservata allo Stato, alle regioni non restava altro che augurarsi che gli italiani consumassero più birra, tabacco e prodotti pettoliferi, ciò che per fortuna non si è avverato se non in piccola misura. Si è trattato, alla luce dei fatti, di una mera finzione giuridica (v. tabella « G » - diversa dinamica dei due fondi). - Una seconda via, attraverso il meccanismo di calcolo di un fondo comune « minimo garantito » in parallelo con quello «legale ». Tale fondo è pensato come « valvola di sicurezza » per mettere al sicuro le regioni da ogni sorpresa. Esso è stato calcolato partendo dalla base 1976 - rideterminata per operare alcuni aggiustamenti a favore delle regioni 'più colpite dal precedente meccanismo di riparto -, facendo riferimento all'andamento del totale delle entrate tributarie nette dello Stato. Quale che sia la soluzione che si vorrà dare al problema della dinamica nel tempo del fondo comune, appare evidente come la prima delle vie dianzi descritte, quella cioè della determinazione del fondo comune con riferimento al gettito di alcuni tributi erariali, appaia irrinunciabile per ritenere adempiuto il disposto costituzionale. 'E' ovvio che, per fare cessare la « finzione giuridica »
cui dianzi è stato fatto cenno, i termini di riferi'mento al gettito dei tributi erariali per la determinazione del fondo comune « base » 1982 debbono essere ampiamente aggiornati, sia per quanto attiene il tipo di tributi, sia per quanto attiene l'entità delle quote da devolvere, attesa la evidente sproporzione fra fondo comune « legale » 1981 (L. 1.416 miliardi) e fondo comune 1981 « minimo garantito » (L. 3.381 'miliardi, comprese le assegnazioni speciali da accorpare). E' da ritenere che l'aggancio del fondo comune ad un cespite erariale che non sia il totale complessivo delle entrate tributarie nette dello Stato, ponga seri problemi alle aspettative regionali circa una sicura tenuta nel tempo in termini reali della loro maggiore fonte di finanziamento. Se, da un lato, l'aggancio alle sole imposte dirette non è accettato dal Governo, a causa della notevole dinamicità di tali entrate in tempi di inflazione; dall'altro, l'aggancio alle imposte di fabbricazione non rassicura affatto le regioni, come l'esperienza sin qui condotta insegna. La tabella « G » mette in evidenza gli scostamenti fra le percentuali di incremento accertate rispetto alla base 1976 sul fondo comune « legale », calcolato con riferimento a quote di alcuni tributi erariali, a norma del 1° comma dello art. 8 1 legge 281/1970, e fondo' , comune « minimo garantito » calcolato con• riferimento al totale netto delle entrate tributane dello Stato. Se non verrà accettato dal Governo e dal Parlamento il riferimento al totale delle entrate tributarie dello Stato, tanto per la formazione del fondo base, che per definirne i « movimenti » annuali, appaiono percorribili, in quanto apparentemente rispettose del dettato costituzionale, le seguenti tre soluzioni: a) rideterminazione del fondo comune 1981, con gli accorpamenti prima richiamati, come risultante della sommatoria di ipo-
24 tetiche partecipazioni regionali pro-quota al gettito di alcuni tributi erariali. Calcolo del fondo comune a partire dal 1982 con riferimento alla base quantitativa complessiva del 1981 aumentata dell'incremento del PIL o della sola componente prezzi. Rideterminazione del fondo comune col metodo legale » ogni cinque anni, per ridetermi nare la nuova « base » di partenza direttamente in riferimento alle entrate dei cespiti prescelti. Si tratterebbe in buona sostanza di un « aggiustamento » del fondo comune in armonia col dettato costituzionale a scadenze ravvicinate, mentre negli intervalli opererebbero parametri di riferimento aventi una dinamica più regolare nel tempo rispetto al gettito di qualsivoglia imposta. Si tratterebbe in ogni caso di individuare una «combinazione» di imposte statali aventi un gettito crescente nel tempo, ma non eccessivamente variabili, per non porre sia le regioni, che lo Stato, di fronte a sorprese allo scadere del quinquennio di verifica ed aggiornamento. Con tale soluzione il riferimento al gettito dei tributi erariali verrebbe ripreso a scadenze prefissate; non sarebbe dunque continuativo. b) Rideterminazione del fondo comune 1981 come sopra, e ricostruzione dello stesso come sommatoria di partecipazioni regionali a tributi per loro natura poco dinmici, ma di sicura sopravvivenza e continuità nel tempo, e calcolo annuale del fondo comune « legale » negli stessi termini di riferimento. Ancoraggio parallelo della dinamica del fondo comune ad una grandezza economica di certa determinazione (PIL o componente prezzi PIL), da applicare nel caso in cui la risultante complessiva del fondo comune legale » sia inferiore a quella ottenibile con l'applicazione alla base 1981 dell'incremento annuale (in termini composti) della grandezza economica scelta come dato di ri-
ferimento (fondo comune « minimo garantito »). In tal modo il riferimento ai tributi erariali dello Stato sarebbe costante nel tempo, anche se, in ragione del tipo di tributi scelti come riferimento, si tratterebbe con ogni probabilità di una « finzione giuridica » dello stesso genere di quella sperimentata nel periodo 1976-1981. c) Rideterminazione del fondo comune 1981 come sopra, con riferimento a tributi dello Stato caratterizzati da una dinamicità relativamente elevata. Fissazione di una clausola di salvaguardia, questa volta a garanzia dell'equilibrio del bilancio dello Stato, che impedisca comunque al fondo comune di superare il tetto massimo 'di crescita rappresentato dai « movimenti » percentuali annuali della grandezza economica assunta come riferimento. In tal caso il fondo comune « legale » dovrebbe cedere il passo di fronte al fondo comune «massimo garantito » fissato dal Parlamento. Fra le tre soluzioni dianzi richiamate, la seconda sembra essere quella più rispettosa della norma costituzionale. Nella soluzione sub a), infatti, vi sarebbe interruzione nella continuità del rapporto diretto con i tributi erariali; nella soluzione sub c) il rapporto diretto pro-quota con i tributi erariali, privilegiato dalla Costituzione, dovrebbe soccombere dinnanzi ad un « tetto massimo » di crescita stabilito dal legislatore ordinario. Occorre anche tenere presente che l'attuale momento politico sembra preannunciare, riforme di una certa consistenza all'attuale « scacchiere » impositivo. Ciò rende più arduo il riferimento a tributi statali aventi caratteristiche di continuità nel tempo e di regolarità nel gettito e nel « trend » di crescita; nel giro di poco tempo potrebbero modificarsi le aliquote o addirittura cessare di esistere i tributi stessi. In ognuno dei casi osservati, tuttavia, la norma costituzionale risulta comunque non
25 del tutto ottemperata in senso sostanziale, essendo chiara l'intenzione del legislatore costituzionale di attribuire alle regioni pari dignità con lo Stato nel concorrere al prodotto complessivo della funzione impositiva esercitata dallo Stato ordinamento. Questa constatazione porterebbe a soluzioni che mal si concilierebbero con l'attuale realtà economica ed organizzativa dello Stato e delle regioni. Tuttavia l'esigenza di rafforzare nei limiti del possibile la componente autenticamente tributaria delle entrate regionali rende più urgente lo sblocco della quota regionale sull'ILOR ora « congelafa » in entrata sostitutiva, come in altra parte del presente lavoro è stato più ampiamente rilevato.
4. Riferimenti per la « dinamica » del fondo comune nel tempo Per il fondo comune si rende necessaria nell'attuale fase dei rapporti Stato-regioni, l'applicazione di meccanismi il più possibile automatjci di determinazione del fondo stesso. Se la determinazione del fondo annuale fosse lasciata alla libera discrezione del Governo si avrebbero certamente ritardi nella ua definizione a causa della situazione di conflittualità che si instaurerebbe fra Governo (od anche Parlamento) e regioni, e verrebbe meno ogni possibilità di prevedere le entrate nel medio periodo. La natura stessa del fon!o comune, quale canale principale di finanziamento delle funzioni « normali » e di « normale sviluppo » delle regioni, rende necessario il riferimento a grandezze che esprimano con maggiore fedeltà la « dinamica » complessiva del sistema economico nazionale. Tali risultano essere: i) prodotto interno lordo, nel dato previsto dalla relazione previsionale e programmatica che accompagna il bilancio di ogni anno. La previsione dovrà opportunamente riguardare non solo l'anno di compe-
tenza, ma anche gli anni successivi del triennio di riferimento; 2) il totale delle entrate fiscali dello Stato, con le detrazioni/compensazioni attualmente previste dalla legge n. 356/1976. Anche in tal caso la previsione dovrà poter essere estesa ad almeno un triennio.
Validità e limiti del riferimento alle entrate tributarie. E' già stato detto che la natura stessa dell'Ente Regione, come Ente di coordinamento e sviluppo e non come Ente preposto alla diretta gestione di servizi pubblici, richiederebbe un sistema di finanziamento preferibilmente ancorato alla manovra complessiva finanziaria e fiscale della Stato, anche se la fissazione di rapporti percentuali direttamente proporzionali finisce obiettivamente per irrigidire maggiormente il bilancio dello Stato. Il riferimento al PIL. In termini concreti, tuttavia, stante il livello raggiunto col 1981 dalla pressione fiscale in Italia, è da ritenere che per i prossimi anni non siano ipotizzabili, fra tasso di crescita delle entrate tributarie dello Stato e tasso di crescita del PIL, scarti di entità rilevante quali si sono verificati negli ultimi anni. Il previsto recupero ulteriore delle residue fasce di evasione fiscale, infatti, dovrebbe essere temperato dall'allentamento della pressione fiscale sulle fasce medio basse di reddito da lavoro dipendente. In altre parole, il processo di crescita delle due grandezze nei prossimi anni dovrebbe poter avvenire in termini di sostanziale indifferenza. Se la valutazione dianzi avanzata r.isponderà al vero, come •pare sia auspicabile se non si vuole che rna crescita ulteriore della pressione fiscale arrivi a soffocare i residui fattori che alimentano ancora una vitale propensione allo sviluppo, l'adozione dell'uno o dell'altro parametro di riferimento potrebbe avvenire senza eccessive resistenze su « posizioni di principio » dell'una o dell'altra parte in causa.
26 Le opportune contro partite. dell'adozione del rebbe fatalmente per determinare avanzo di riferimento al PIL. Come è stato riferito amministrazione, potrebbe essere previsto un in altra parte, l'adozione del dato del PIL meccanismo in base al quale •l'incremento come parametro di riferimento per l'aggiorpotenziale del Fondo « comune » corrisponnamento annuale del Fondo dovrebbe tro- dente agli incrementi in corso d'anno verifivare una compensazione sui piano dei prin- catisi sulle grandezze economico-finanziarie cipi, prima ancora che sul piano econominazionali di riferimento, venga concretizzato co, nella restituzione della quota regionale con una assegnazione di « sanatoria » da riILOR, possibilmente accompagnata da un portare sul bilancio dell'anno successivo, fiminimo di manovrabilità. Sarebbe questa la nalizzata genericamente a spese una « tanvia per garantire una qualche consistenza tum » o d'investimento in capitale. In ogni ad uno dei principali canali di finanzia- caso il tasso annuale di crescita del PIL o mento, quello dell'imposizione tributaria, delle entrate complessive dello Stato assunto espressamente previsto dalla Costituzione, a riferimento per il calcolo dell'incremento ed oggi quasi totalmente « inaridito ». Per annuale del Fondo comune, deve essere rifequesta via, del resto, si renderebbe possi- rito al dato iniziale dell'anno precedente, bile la sopravvivenza di una forma di ripar- non al dato aggiornato. tizione delle risorse legata al principio dello « sforzo fiscale » delle comunità locali, largamente pr-esente nelle legislazioni fisca- 4.4. Riparto del tondo fra le Regioni. Nuovi criteri di riparto li dell'Occidente, e sempre più assente nel nostro ordinamento. Quanto ai nuovi criteri di ri-parto del fondo La restituzione della quota ILOR già spet- comune fra le regioni, occorre tenere conto tante alle regioni (si tratta del 2% sugli delle seguenti esigenze: imponibili ILOR; ovvero del 13,60% sul mantenimento in essere, per una quota gettito complessivo del tributo), non rapconsistente del fondo (non superiore comunpresenta per la verità una soluzione ottimaque ai 6 decimi già previsti dalla legislale, ma appare obiettivamente l'unica soddizione vigente), del riparto in proporzione sfacibile nel breve periodo, in attesa che diretta della popolazione residente. Questo maturino i tempi per una imposizione locale parametro si rende necessario in- consideradi tipo nuovo sostitutiva della stessa ILOR zione dell'obiettiva prevalenza del fattore poed avente per oggetto i redditi immobiliari, polazione nella formazione del fabbisogno di tale da poter essere più agevolmente goverservizi collettivi ed, in generale, di interventi. nata a livello locale sia per quanto attiene pubblici. alla determinazione degli imponibili che per quanto attiene alla manovra sulle aliquote. Mantenimento in essere del -parametro L'aggiornamento del fondo comune in corso della superficie territoriale, eventualmente d'anno. Un -problema non di poco conto -ponderato . con indici che esprimano l'inciè anche quello dell'aggiornamento, in corso denza di fattori generatori di una maggiore d'anno dei dati previsionali del PIL o delle onerosità nella organizzazione dei servizi sul entrate fiscali complessive assunti a base del territorio, come ad esempio, l'asperità orocalcolo- dell'incremento del fondo «comu- grafica del territorio regionale. Si ritiene tuttavia che la quota da riservare a tale fattore ne ». Poiché l'aggiornamento in corso d'an no del fondo comune della « competenza » di ri-parto non debba essere superiore al sarebbe di scarsa utilità pratica, poiché fini- decimo che gli è riservato dalla attuale nor-
27 mativa, ritenendo che il fattore « ampiezza ed asperità del territorio » incida maggiormente sulle spese di impianto (investimenti) che non sulle spese di mantenimento dei servizi. Ripartizione di una quota di almeno 3 decimi, del fondo «comune » complessivo in termini inversamente proporzionali al reddito medio pro-capite di ogni regione, dato questo da, assumere come maggiormente rappresentativo del livello economico complessivo delle singole realtà locali. Ovviamente il riparto deve tenere opportunamente conto della «dimensione» di ogni ente, attraverso la ponderazione dell'indice espresso in termini relativi, con la popolazione di ogni singola regione. Circa le ragioni che fanno optare per tale tipo di soluzione ho già detto nella prima parte del testo. Il riparto proposto fornisce risultati nettamente meno « sperequati » rispetto a quello attualmente in essere (congelato al 1976). Da un lato, verrebbe in certa misura a ridursi il vantaggio oggi assicurato a diverse regioni, soprattutto appartenenti all'area meridionale, dell'attuale meccanismo fondato sui tassi di emigrazione, disoccupazione e di carico fiscale; dall'altro, sarebbero rimosse sperequazioni inspiegabili sul piano economico e sociale complessivo, fra regioni appartenenti alla stessa area. Se si ritiene opportuno rendere meno « brusco » il cambiamento, si può operare estendendo l'applicazione del parametro « economico » (riferimento in termini inversamente proporzionali al reddito pro-capite) a quote maggiori del fondo, riducendo il numero dei decimi ripartiti sulla base della sola popolazione. Così operando, le regioni del Sud potrebbero conservare in maggior misura i vantaggi loro consentiti dall'attuale sistema di riparto. Valutazione di altre esigenze. Esistono 'tuttavia anche esigenze di altro
ordine che possono essere tenute in onsiderazione in sede di riparto per rispondere meglio alla finalità ultima che un sistema di riparto di questo genere deve poter soddisfare: quello di fornire la migliore risposta ai bisogni di istituto ed a quelli collettivi espressi dalle singole realtà locali. Rispondono a questa ultima preoccupazione le seguenti proposte: - fissazione di una quota del fondo comune complessivo, eventualmente corrispondente all'incidenza media del costo degli organi e degli •uffii a competenza generale, da ripartire fra tutte le regioni a statuto ordinario in proporzione a 'parametri piì rappresentativi dei costi generali di funzionamento. Un parametro potrebbe eventualmente essere quello del numero dei consiglieri regionali, che varia secorfido le dimensioni delle regioni, ma non in termini direttamente proporzionali al variare del numero degli abitanti. Esistono di fatto « soglie minime » di servizi generali obiettivamente non comprimibili e che anche una regione di piccole dimensioni e scarsa popolazione deve poter garantire egualmente. La 4ù7ota da ripartire con questo criterio potrebbe aggirarsi sul 10% circa del totale del fondo nel caso in cui si faccia riferimento al numero massimo di consiglieri consentito dalla legge; ovvero sul 5% se si adotta il criterio di garantire a ciascuna delle quindici regioni a statuto ordinario, un eguale ammontare per gli oneri generali. - Fissazione di una quota, indicativamente intornò al 6%, da ripartire tenendo conto di parametri rappresentativi della distribuzione del carico dei costi dell'assistenza universitaria in rapporto rill.'ubicazione territoriale dei presìdi universitari in attività. La quota proposta tiene conto del peso che tale « voce » ha assunto già col 1981 sul totale del fondo comune regionale (205 miliardi su quasi 3,300). La distinzione nel riparto si rende necessaria
28 in relazione alla circostanza che tale spesa si manifesta solo nelle regioni che ospitano presIdi universitari. L'entità dell'intervento e l'irregolarità della sua distribuzione sul territorio è tale da richiedere l'inserimento di tale parametro « interno ». L'alternativa a tale soluzione è il mantenimento in essere per l'assistenza universitaria di una « contabilità separata » con l'inconveniente, che già oggi si sconta, di una eccessiva rigidità di tale spesa. In altre parole: se l'assegnazione speciale statale per le opere universitarie cresce dei 46%, in virtù del meccanismo automatico di aggancio alle Entrate fiscali dello Stato, le regioni non riusciranno a sottrarsi dal dover destinare alle opere universitarie un incremento del 46%, anche se tale scelta non sarebbe stata fatta in una situazione in cui il fondo comune fosse stato calcolato nella sua globalità, senza appendici settoriali. L'eventuale assorbimento delle sopraindicate quote di riparto all'interno dell'aliquota complessiva con cui ogni regione concorre annualmente alla ripartizione del fondo « comune » unico ottiene il risultato di rimuovere il rigido vincolo di destinazione. L'introduzione di questa ulteriore segmentazione del riparto del fondo comune dovrebbe avvenire a scapito della quota di 6 decimi riservata al parametro della popolazione residente.
4.5. Modi/iche minime indispensabili per motivi di equità In ogni caso, qualora si reputasse, •per il momento, non •.proponibile il superamento di tutti o di parte degli attuali indici socioeconomici di riferimento, si giudica indispensabile,per le ragioni già ampiamente esposte in altra parte della nota, l'introduzione delle seguenti modifiche: - eliminazione del parametro che fa riferimento al tasso di emigrazione, perché non
sempre è correttamente rappresentativo di situazioni socio-economiche sanabili con maggiori flussi di risorse correnti; - sostituzione del parametro che fa riferimento al carico fiscale di imposta complementare con quello del reddito pro-capite, più di recente accertato dall'ISTAT, per ogni regione (facendo riferimento al prodotto interno lordo di ogni regione); - eliminazione del meccanismo di conversione degli indici socio-economici « grezzi » in punteggi per numeri « interi ». Adozione, al contrario, di indici relativi omogenei, ovviamente ponderati con la popolazione di ogni singola regione.
4.6. Esigenza di graduare nel tempo le conseguenze dell'applicazione dei nuovi parametri E' da ritenere indispensabile l'introduzione di meccanismi che garantiscano un passaggio, graduale nel tempo, dalle attuali quote di riparto a quelle risultanti dall'applicazione dei nuovi criteri di riparto. Questa esigenza è anche da mettere in relazione al fatto che, con la programmazione finanziaria di medio periodo espressamente richiesta dalla nuova normativa di contabilità (bilancio pluriennale), le regioni finiscono col dare una destinazione, spesso non solo programmatica, a tutte le risorse preventivate per l'intiero triennio. Se la previsione di Entrata del Fondo comune per i prossimi tre anni è stata fatta, come appare ovvio, sulla base degli attuali criteri di riparto, e se con i nuovi criteri proposti il risultato complessivo sarà sensibilmente diverso da quello già previsto, c'è da ritenere che, per le regioni più danneggiate, la manovra di rientro nel proprio « guscio finanziario » si presenti alquanto difficile, anche in presenza di un fondo « comune » complessivo che presenti « trends » di crescita sostenuti. Per rendere meno ardua l'operazione di a-
29 dattamento ai nuovi parametri può essere stabilito che nei primi tre anni quote decrescenti del fondo « comune» base del 1981 continuino ad essere ripartite tenendo conto delle percentuali di riparto « congelate » dalla legge 356/1976: ad esempio 3/4 nel 1982; 1/2 nel 1983; 1/4 nel 1984. Secondo questa ipotesi, i nuovi criteri di riparto sarebbero dunque applicati a quote crescenti del fondo comune «base » del 1981 (1/4 nel 1982; 1/2 nel 1983, 3/4 nel 1984, 4/4 nel 1985), oltre che all'intero incremento annuo del fondo stesso riSpetto alla base 1981. Il nuovo sistema di riparto sarebbe pienamente a regime solo
col 1985! La formula qui proposta di « temperamento » degli effetti del passaggio dall'attuale regime di riparto al nuovo, può opportunamente combinarsi con l'altro meccanismo di « temperamento » già richiamato precedentemente e consistente nella estensione dell'applicazione dell'indice economico (reciproco del reddito pro-capite regionale) ad un maggior numero di decimi del fondo. 4.7. Il /ondo di sviluppo. Premessa generale Prima di proporre dei criteri per la forma.ione del fondo nazionale per il finanziamento dei programmi regionali di sviluppo, si ritiene opportuno sgombrare il campo da alcune pregiudiziali di fondo che ne hanno sinora reso difficile e contraddittoria la gestione: - il fondo per il finanziamento dei programmi regionali di sviluppo ha una ragione di esistere solo se la sua utilizzazione avrà come unico riferimento il Piano regionale di sviluppo. Ciò comporta che si deve trattare di un fondo indistinto, che concorre a finanziare, insieme ad altri eventuali cespiti straordinari ed ai mutui, l'intiero piano regionale, non specifici interventi.
- Il fondo díverrà supporto finanziario realmente funzionale all'attività di programmazione e di spesa delle regioni, •solo se sarà definita ed annualmente aggiornata la sua consistenza con riferimento ad un arco di medio periodo. Ciò darà modo alle regioni di adottare strategie operative di spesa di medio periodo, le sole che consentano snellezza e certezza di attuazione dei programmi. Da tali .pregiudiziali il campo è ancor oggi obiettivamente ingombro, sia per responsabilità delle regioni, alcune delle quali non si sono dotate di piani di sviluppo, od almeno di documenti chiari ed impegnativi che possano assolvere alla funzione del piano; sia per responsabilità del governo centrale, che, da una parte, non si è dotato sinora di un proprio piano generale di sviiu•ppo cui i piani regionali possano fare sicuro riferimento, e, dall'altra, ha « congelato » il fondo di sviluppo - a destinazione non vincolata - sui livelli del 1976, preferendo operare con le leggi speciali di settore. Al momento attuale, considerata anche l'entità relativamente modesta del fondo di sviluppo a destinazione non vincolata (650 miliardi nel 1981), sembra opportuno scegliere fra due alternative: - l'accorpamento del fondo di sviluppo, base 1981, neI fondo comune ex art. 8 per le ragioni già illustrate in altra parte della presente nota; - l'accorpamento nel fondo di sviluppo « base » di altre assegnazioni settoriali disposte sin qui sulle leggi speciali, qualora esse presentino le caratteristiche di assegnazioni ricorrenti, destinate cioè a finanziare una attività di sviluppo che è necessario mantenere in essere nel tempo con una relativa regolarità. Della prima ipotesi è già stato detto; la seconda formerà oggetto di trattazione nelle pagine che seguono.
4.8. Determinazione del fondo di sviluppo a livello nazionale
Sarebbero tali, ma risultano privi di finanziamento nel 1981:
Per la formazione del fondo di sviluppo ex art. 9 si ritiene che debbano essere tenute in considerazione 'le seguenti esigenze:
- i fondi per la difesa dei boschi dagli incendi (legge 47/1975);
a) rideterminazione del fondo di sviluppo 1981 a destinazione non vincolata, mediante calcolo in termini composti della quota variabile di cui alla lettera b) della legge 356/1976. Si tratta di portare il fondo 1981 dagli attuali 650 miliardi a circa 755 miliardi. La rivalutazione in termini composti ubbidisce ad una richiesta più che legittima delle regioni, volta a mantenere intatto almeno il valore reale dell'assegnazione base 1976. h) Accorpamento nel nuovo fondo comune base del 1981 a destinazione non vincolata di alcune assegnazioni statali di settore, aventi un carattere di relativa continuità nel tempo. Sembrano tali al momento attuale - i fondi per lo sviluppo della montagna, (legge 43/1979 - lire 120 miliardi nel 1981) destinati a finanziare i - .piani generali di sviluppo delle Comunità montane (legge 1102/1971). Diversamente dalla soluzione qui proposta ha operato il legislatore nazionale che con la recente legge 93/ 1981 ha ribadito il regime separato dei finanziamenti della montagna, fissando anche in una tabella allegata i parametri fissi di riparto. - I fondi destinati al, sostegno e consolidamento dell'agricoltura (credito di conduzione, meccanizzazione agricola, selezione del bestiame, assistenza tecnica, servizi per l'agricoltura, ecc ... ) finanziati dalla legge 403/1977 in scadenza 'nel 1981 e rinanziati in modo consistente con la legge « finanziaria » del 1981, (lire 500 miliardi nel 1981; 1.500 miliardi nel biennio 19821983).
- i fondi per la difesa del suolo (la legge è ancora in fieri). L'inserimento di tali assegnazioni nel fondo di sviluppo ex art. 9 a destinazione non vincolata comporta il vantaggio di garantire a questi settori una continuità di finanziamento nel tempo ed un meccanismo di rivalutazione che ne difenda il valore reale dagli attacchi dell'inflazione. c) Riserva del fondo di sviluppo alle sole regioni a statuto ordinario, per le ragioni esposte in altra parte del testo. La legge 281/1970 il cui art. 9 prevede l'istituzione del Fondo per i 'programmi regionali di sviluppo riguarda espressamente le sole regioni a statuto ordinario! La parlecipazÉone delle regioni a statuto speciale al fondo ex art. 9 è da ritenere una « forzatura » interpretativa del Governo, cuf le regioni a statuto ordinario non 'hanno voluto opporre rilievi ritenendo rafforzata, con la presenza delle regioni a statuto speciale in Commissione Interregionale - anche per discutere del Fondo di sviluppo -, la posizione contrattuale dell'insieme delle regioni nei confronti del Governo e del Parlamento. Le quote già riservate nel 1981 alle regioni a statuto speciale ed alle provincie autonome, sia sul fondo a destinazione discrezionale, che sui fondi assegnati a norma. delle leggi speciali accorpate nel fondo stesso, verrebbero stralciate dal nuovo Fondo per i programmi regionali di sviluppo per essere assegnate separatamente alle Regioni speciali secondo i canali di finanziamento di cui le stesse beneficiano a norma delle loro leggi istitutive.
31 4.9. Le assegnazioni settoriali Accanto al fondo di sviluppo a destinazione non vincolata, destinato cioè indistintamente a finanziare il complesso delle scelte di sviluppo contenute nel Programma regionale che non siano finanziate da mezzi speciali o dal ricorso al credito, potranno coesistere assegnazioni di settore, limitatamente agli interventi legati al raggiungimento di obiet tivi specifici (per i quali si ritenga da parte del progranmiatore centrale inevitabile la ripartizione per territorio). E' noto come la tesi della settorializzazione delle assegriazioni goda di consistenti simpatie non solo a livello dell'Esecutivo nazionale. La linea della settorializzazione netta dei flussi di spesa è già peraltro passata per du compatti importantissimi di spesa: quello sanitario e quello dei trasporti. In altri comparti la legislazione settoriale è nettamente predominante '(agricoltura, edilizia scolastica p. es.) consentendo per questa via il mantenimento in vita di strutture centrali che avrebbero dovuto essere smantellate in larghissima misura a seguito della Riforma regionale. Questo modo di procedere non è conforme allo spirito ed alla lettera della Costituzione. Tuttavia, per il raggiungimento di determinati obiettivi nazionali in materie di competenza delle regioni, in settori richiedenti politiche di intervento congiunturali e strutturali non continuative nel tempo e diversamente distribuibili sul territorio, la prassi della legislazione settoriale può trovare più di una giustificazione a condizione che: - la legge nazionale si limiti a stabilire gli obiettivi nazionali ed i criteri generali per la loro « ventilazione » sul territorio; - l'esecutivo o gli organi di programmazione si limitino a determinare le quote assegnate alle singole regioni, lasciando alle stesse la più ampia autonomia nella scelta
delle procedure e della strumentazione legislativa di attuazione più opportune per il raggiungimento degli obiettivi loro affidati; - la ripartizione delle risorse possa essere effettuata a valere sul medio :periodo dando così il tempo necessario alle regioni per attrezzarsi adeguatamente; - la pianificazione dei flussi di cassa possa essere concordata con le regioni, nel rispetto dei tempi tecnici amministrativi che le stesse valuteranno necessari per l'attuazione degli interventi; - la verifica del grado di attuazione del programma, ai fini dello svincolo dei fondi, non sia di tipo buròcratico, ma si basi su di un sistema di comunicazione essenziale e snello. Da questa impostazione consegue che il rapporto fra Stato e regioni, per l'attuazione delle leggi di settore, debba essere fondato sulla interazione delle rispettive programmazioni di spesa. Le assegnazioni speciali andranno a finanziare comparti più o meno significativi del programma regionale di sviluppo, per il conseguimento di obiettivi concordati attraverso il confronto fra i due livelli di programmazione. Pertanto, sia l'assegnazione dei fondi, sia la verifica su] grado di attuazione dei risultati, non dovranno essere gestiti, nella normalità dei casi dai singoli ministeri di spesa, bensì da un ministero « centrale » quello del Bilancio e della programmazione economica. Solo in tal modo si riu scirà a superare il rischio di una eccessiva verticalizzazione e polverizzazione dei rapporti fra Assessorato e singoli ministeri di spesa, ciò ché ha impedito od almeno ritardato, sino ad oggi il processo di affermazione di una sostanziale politica di programmazione sia a livello centrale che a livello regionale.
32 4.10. La dinamica del fondo nel tempo Alla quota del fondo di sviluppo avente destinazione non vincolata - proprio perché destinata a garantire continuità e consistenza all'attività generale di investimento nelle materie di competenza regionale (supporto finanziario indiviso del piano regionale di sviluppo) -, deve poter essere garantita una « dinamica » nel tempo, tale da consentire quanto meno il recupero della perdita di valore della moneta. Tuttavia, coerentemente con quanto da molte parti si va proponendo per il fondo « comune », appare essere ancor più giustificata per il fondo di sviluppo, l'applicazione di un saggio annuo di rivalutazione pari al saggio di incremento annuo del PIL. Tale soluzione consente anche alle regioni di beneficiare, attraverso una dilatazione della propria capacità di spesa per investimenti più accentuata rispetto al tasso di inflazione, di una quota proporzionale della crescita annua in termini reali della nostra economia. Il riferimento alla sola componente prezzi nel calcolo del P1L, rappresenterebbe in effetti di nuovo « congelamento» del fondo di sviluppo sulla base storica di partenza 1981.
4.11. 11 riparto del fondo Ira le regioni Una prima considerazione che è neessario fare riguarda l'opportunità o meno di introdurre nel riparto del fondo di sviluppo, «riserve » predeterminate a favore di soggetti determinati o determinabili o di aree territoriali. A questo riguardo è da ritenere esigenza inderogabile, alla luce delle esperienze sin qui condotte nella gestione del fondo di sviluppo, l'adozione delle seguenti misure: a) esclusione di ogni possibilità di disporre di « quote di riserva » del fondo di sviluppo da destinare ad interventi straordinari o congiunturali. Per questi ultimi debbo.
no essere attivati e resi snelli ed efficienti gli strumenti legislativi esistenti (fondo per le calamità naturali, ecc...). L'esperienza insegna che 1a pratica della « riserva » per i casi «eccezionali » crea imbarazzo fra le regioni, eccessiva discrezionalità per l'Esecutivo nella scelta dei candidati e nella quantificazione dei soccorsi finanziari, e penose liste d'attesa delle regioni temporaneamente escluse, ciascuna col fardello delle proprie calamità vere o presunte che siano, da fare valere. In un recente passato si arrivò persino a finanziare i danni « temuti » dai coltivatori per una centrale nucleare mai costruita (Montalto di Castro)!
b) Esclusione del fondo ex art. 9 dalla regola della riserva obbligatoria di una quota pari al 60% dei fondi complessivi, a favore delle regioni del Sud. La ragione di questa proposta è soprattutto da ricercare nel fatto che con la soluzione sub c) del precedente paragrafo 4.8 le regioni insulari, in quanto regioni a statuto speciale, potranno essere regolate a parte e nel fatto che una proposta di legge, ora in corso di approvazione, porterà probabilmente presto alla esclusione dai benefici alcune aree sinora considerate meridionali ai fini della legislazione di sviluppo (Lazio meridionale, Marche meridionali, Isola d'Elba). Essa nasce anche dal diffuso convincimento che il ricorso generalizzato alla fissazione di « riserve » rigide a favore di categorie di soggetti o di aree territoriali f inisce col provocare ritardi .e sprechi nell'uso delle risorse pubbliche. Tuttavia, per un fondo come quello cx art. 9, destinato a finanziare indistintamente i programmi regionali di sviluppo, non può essere evitata una ripartizione per parametri obiettivi prestabiliti. E' preferibile in ogni caso evitare il sistema della fissazione di « riserve dogmatiche » del tipo richiamato. A risultati analoghi si può pervenire ad esempio, adottando un parametro di riparto del fondo che tenga conto delle esigenze di riequilibrio
33 socio-economico territoriale in misura maggiore rispetto a quanto già avviene, ad esempio, per il riparto del fondo comune, col vantaggio di una maggiore sensibilità e coerenza rispetto alla dinamica di alcune variabili significative (popolazione, reddito p. es.) che col riparto « 60 contro 40 » dianzi richiamato andavano perdute. Nella fissazione dei parametri di riparto fra le regioni il legislatore dovrà farsi carico della individuazione, in via di larga massima, di quelle che sono le destinazioni settoriali •potenzialmente prioritarie del fondo di sviluppo regionale, tenuto conto dello stralcio radicale già disposto dalle leggi dello Stato per i settori sanitario e dei trasporti. I settori residui sono: l'Assetto del territòrio, e, dunque, opere pubbliche relative - acquedotti, fognature, strade, difesa del suolo -; Attività produttive, principalmente, agricoltura, e poi, artigianato, turismo e commercio. Mentre sul primo comparto possono avere incidenza elementi obiettivi come la popolazione, la superficie e le sue caratteristiche orografiche, sui secondi debbono avere rilevanza parametri che esprimano l'attitudine del territorio all'esercizio della agricoltura, il dato del reddito pro-capite, ed altri indici socio-economici significativi. Si possono avanzare due ipotesi: a) ipotesi in cui il fondo di sviluppo a destinazione non vincolata sia formato dalla sola base 1981, quota fissa + quota variabile ex lett. b) della legge 356/1977 escluso cioè l'accorpàmento della legge 11021 1971. « Sviluppo della montagna » e della legge 403/1977 «Marcora » - Provvedimenti per lo sviluppo dell'attività agricola). In tal caso, rimanendo escluse le leggi set-
toriali in favore della montagna e per il sostegno dell'agricoltura, si reputa giusto un riparto che, rispetto a quello « normale » del fondo comune accentui il peso del parametro della superficie e di quello socio-economico: una ipotesi di riparto su questa linea può essere la seguente: 3110 popolazione 2110 superficie 5/10 reciproco del reddito pro-capite di ogni regione ponderato con la popolazione. b) Ipotesi in cui siano accorpate, al fondo di sviluppo a destinazione non vincolata, le assegnazioni settoriali indicate sub, a) ed altre eventuali nel settore - della difesa dei boschi, della forestazione e della difesa del suolo. In tal caso saranno introdotti parametri rappresentativi delle esigenze di sviluppo e nequilibrio dei settori presi in considerazione: 4/10 in base ai parametri già adottati per. il riparto dei fondi della legge « Marcorà» per il triennio 1979-1981, eventualmente aggiornati, senza la barriera del 60% Sud e 40% Nord; 2110 in base alla superficie territoriale, incrementando del 50% il peso della superficie « montana » di ciascuna regione; 2110 in base al parametro della popolazione residente; 3/10 in base al reciproco del reddito procapite regionale ponderato con la popolazione. La legge nazionale potrà eventualmente fissare scadenze, più o meno ravvicinate (almeno un triennio), per la revisione dei parametri di riparto alla luce delle situazioni di fatto che si sono venute a manifestare nel frattempo. .
35
APPENDICE
TABELLA 'A' - GRADO DI COPERTURA DELLE SPESE CORRENTI DELLEIIEGIONI A STATUTO ORDINARIO CON ASSEGNAZIONI STATALI ED ENTRATE PROPRIE DI NATURA CORRENTE. ANNO 1978. DATI RILEVATI DAI RENDICONTI CONSUNTIV1
REGIONI
segnazioni 2) Altreas-] Correnti alle 8 parte •a de_raegnazioni a regioni a sta stinazione lj destinazione tuto ordinabera vincolata rio
la spesa cor: rente + ote Capitale di ammcrtam. del le regioni a stat. ord.
EMILIA-ROMAGNA
110.530
594.768
705.298
717.951
PIEMONTE
125.112
489.980
615.092
628.409
LIGURIA
47.175
241.405
288.580
318.139
LOMBARDIA
212.931
1.002.703
1.215.634
1.243.807
l
D) Differenza fra totale as segnazioni correnti e spese correnti (B-C)
-
Et te tributarie e patrimoniali
[Quotagn traté ordinane destinate agli investim. (differ. fra D ed E)
12.653
38.361
+
25.708
13.317
44.543
+
31.226
29.559
25.850
-
3.709
28.173
80.159 *
+
51.986
G)AvanzOI Amministrazione
42.627
*
72.705
*
81.095
16.294
VENETO
109.769
590.656
700.425
686.409
+
14.016
37.532
+
51.548
MARCHE
47.181
181.327
228.508
247.626
19.118
12.758
-
6.360
19.519
TOSCANA
97.328
533.010
630.338
648.389
18.051
-25.666
+
7.615
68.403
LAZIO
117.000
768:698
885.698
979.979
-
94.281
60.902
-
33.379
220.453
UMBRIA
30.489
105.653
136.142
134.789
1.353
6.283
+
7.636
BASILICATA
34.463
83.184
117.647
144.924
-
27.277
7.194
-
20.083
CALABRIA
97.124
222.769
319.893
315.360
+
4.533
11.170
+
15.703
CAMPANIA
204.756
567.087
771.843
836.968
65.125
26.877
-
38.248
PUGLIA
143.164
518.466
661.630
684.377
-
22.747
38.914
+
16.167
ABRUZZO
48.878
158.429
207.307
197.190
+
10.117
11.240
+
21.357
MOUSE
17.508
35.887
53.395
63.481
-
10.086
3.667
-
6.419
75.102
14.501
*
20.031 25.586
-
6.925 24.426
O = RIsulta da tale colonna come alcune regioni (Veneto, Umbria, Calabria, Abruzzo) siano State in grado nel corso del 1978 di destinare una seppur mc.desta (ruota del fondo comune a spese d'investimento. F = Tenendo conto di tutte le entrate ordinarie, sono diverse le regioni che realizzano nel 1978 una sorta di "risparmio pubblico" (Emi ha-Romagna, Piemonte, Lombardia, Venetd, Toscana, Umbria, Calabria, Puglia e Abruzzo). Restano escluse nomalmcnte le Regioni di piccola dimensione (Liguria, Molise, Basilicata, Marche), il Lazio e la Campania. Per queste ultime regioni si è verificato in diversa misura il ricorso all'impiego del Fondo di sviluppo per far fronte a spese correnti. G = La mancata indicazione specifica della destinazione dell'Avanzo di Amministrazione iripedisce di fatto di verificare per quanta e quale parte sia intervenuto travaso di fondi di sviluppo a favore di spese di mantenimento e funzionamento. -4
TABELLA "B1 "
00
QUADRO DIMOSTRATIVO DELLA EVOLUZIONE DEL FONDO COMUNE EX ART. 8 BASE 1972 IN TERMINI ASSOLUTI. ED IN TERMINI DI VALORE REALE
Fondo co.uns "puro" in tir-
*151.
•ini correnti
Indice di
-.
Incremento
incremento
sull'inno
Deflittor. epplicato
precedente (a)
(b)
1972
487.250
100,00
1973
564.646
115,9
1974
585.352
1975 1976 1977
(e)
Fondo comune
(3) (d)
"puro" deflazio-
Pifferenze riopet-
Fondo comune
.o ella bss. 1972
"puro" 1972rsvalutato in ba-
nato (e)
cifre in milioni di lire Differenza fra Fondo comune ero qatoe fondo co •uoe rivalutato in base all'infinzione W(h)
se indice gen prezzi consu.L
(f)
('.g)
100,00
487.250
-
487.250
15,9
110,82
509.516
+77.356
539.970
+24.676
120,1
3,7
132,02
443.381
-43.869
643.267
-57.915
667.303 (1)
136,9
14,0
154,42
432.135
+55.115
752.411
-85.108
757.5 (1)
157,5
15,0
180,31
425.653
-61.597
878.560
-111.065
-
-
11..696
219,5
39,4
210,96
507.061
+19.811
1.027.902
+41.794
1413.064
290,0
32,1
236,56
597.338
+110.088
1.152.638
+260.426
1979
1.509.663
309,8
6,8
271,54
555.963
+68.713
1.323.078
+186.585
1980
2.025.765
415,8
34,2
329,37
615.042.
+127.782
1.604.855
+420.910
566,8 (608,8)
36,3 (46,4)
395,25
698.670 (750.483)
+211.420 (+263.233)
1.925.855
1978
1981
.
2.761.497 (2.966.285) (2)
.
-
-
+835.642
I ]040 I
. 430)
Dati del fmdo. comune 1975-1976 rideterminati dall'art. 3 della Legge 356/1976 Il dato definitivo corrisponde all'incremento del fondo comune ex art. 8 previsto dal Bilancio 1981 dello Stato presentato daL Gowerno ( + 36,38% sul 1980). Il dato fra parc.itesi è previsto da una nota di variazione (+46,427% sul 1980). Il coefficitedt deflazione è ricavato dall'indice generale dei prezzi al consumo (ISTAT) (dati 1980-1981 stimati). La differenza fr f~ coos effettivamente erogato e fondo comune "rivalutato" in base al solo tasso di inflazione è maggiore se riferitael fcmdo lpw~ (Lire 835.642 milioni nel 1981) rispetto al fondo comune totale comprendente delle Leggi speciali (Lire 754.111 automi nel 1981). Ciò è dovuto al fatto che in quest'ultimo sono comprese asaegnazioni (cx ONMI, Consultori, Aborto, ecc.) il cui stanziamento è rimasto inalterato negli anni, perdendo gran parte del valore reale (-Lire 81.531 milioni in 5 anni) I dati della colonna (f) mettono in risalto la perdita di valore reale subita dal Fondo comune negli anni 1974-176, e la netta ripresa riscontrata dallo stesso valore reale dopo la riforma del: 1976. In lire/1972 il fondo comune "puro" del 1981 ammonta a Lire 698.670 contro una base 1972 di Lire 487.250. In 9 anni l'incremento è stato complessivamente del 43,39%.
TABELLA "B 2 " - FONDO TOTALE ART. 8 SCOMPOSTO FRA FONDO ART. 8 "PURO", LEGGI CONFLUITE E RELATIVI INCREMENTI, CONFRONTATO CON L'iWDAMENTO DEL FONDO TOTALE ART. 8 RIVALUTATO IN BASE AGLI INCREMENTI DELL'INDICE GENERALE DEI PREZZI AL CONSUMO.
I Z z
Fondo base art. 8 "puro)
(a)
Fondo base leggi confluite ari. 8 '
(b)
Fondo base complessivo art. 8 '
.
Incrementi subiti dal fondo art. 8 "puro" )d)
(e)
Inc re menti subiti dalle leggi confluite nel fondo art. 8 ' (e)
Totale degli incrementi subìti dal . fondo
(f)
Totale fondo ex art. 8 Fondo complessivamen te erogato (g)
-
-
487.250
77.396
-
77.396...
564.646
487.250
98.102
-
98.102
180.053
-
180.053
280.245
-
1972
365.438
365.438
1973
487.250
1974
487.250
1975
487.250
3.968
491.218
1976
487.250
7.937
'495.187
' .
-
Valore del fondo nell'i potesi di ere scita pari al l'aento del l'indice dei prezzi al con suino )hT
365.438
365.438 .
g - h
(i) -
539.970
+24.676
585.352
643.267
-57.915
671.271
756.379
-85. 108
280.245
775.432
887.828
-112.396
1977
487.250
139.230
626.480 .
582.446
-
582.446
1.208.926
1.170.038
+10.389
1978
487.250
237.974
725.224
925.814
-
925.814
1.651.038
1.408.616
+242.422
1979
487.250
336.321
823.571
1.022.413
3.253
1.025.666 '
1.849.237
1.713.464
+135.773
1980
487.250
420.810
908.060
1.538.515
85.159
1.623.674
2.531.735
2.184.149
+347.586
1981
487.250
420.810
908.060
2.274.240
202.813
2.477.059
3.385.119
2.631.008
+754.111
(235.476)
(2.714.511)
(3.622.572)
.
(2.479.035)
(+991.564)
Dal confronto fra fondo comune totale effettivamente erogato e fondo comune rivalutato sulla base del tasso di inflazione, risulta chiaro come il fondo 'totale" erogato si sia mantenuto al di sotto del tasso di inflazione negli anni 1974-1976, recuperando larga mente sul tasso di inflazione a partire dal 1977, e raggiungendo nel 1981 un margine lordo sul dato del fondo totale rivalutato in base al tasso di inflazione, di complessive lire 754.111 milioni. Tale vantaggio è inferiore a quello di lire 835.642 realizzato sul fondo puro, poiché nel fondo comune totale sono confluite alcune leggi a stanziamento fisso (ex ONMI, aborto, consultori, ecc.).
40
GRAFICO ALLEGATO ALLA TABELLA Fondo base complessivo ex art.8 Totale fondo ex art. 8 - - - Totale fondo ex art. 8 deflazionato Pndamento del fondo ex art. 8 rical
TABELLA 8
2a Fテ誰DO ARTICOLO 8 E LEGGI CONFLUITE CON BASE INIZIALE RIVALUTATA PROPORZIONALMENTE ALL'ANDAMENTO DELL'INDICE GENERALE DEI PREZZI AL CONSUMO cifre in milioni di lire
Rivalutaz. Fondo art. 8 "puro" (a) 1972
(2) 365438
1973
539.970
Rivalutazione Leggi speciali confluite sul fondo comune ex art. 8 Scuola po L. 698/75 L. D pJ 窶「 685/75 L. 405/75 L. 194/18 L. 386/76 olare + 66/77 APL + 00. O.M.N.I. tossicodi consultori Interruzic E.R.S.A. Artt.128 tJTJ. (Opere pendenti familiari ne gravid. e 130 Universit)
Rivalutazione del fondo articolo 8 Totale
Totale Leggi, con fluite
.
1974
.
71
1976
578.560
1977
1.027.902
1978
1152..638
1979
1...078
(4)
.411
3.968 9.268
60.157 (1)
53.608 61.731
(3).
539.97 643.26
.
1975
365.431
.
.
96.375
1980
74.879j
222.658
1981
89.855.
267.189
.
.
.
10.843
67.454
2.995
12.159
77.423
3.437
13.956
93.915
4.170
16.928
112.698
5.004
20.314
3.968
756.37
9.268
887.828
71.136
142.136
1.170.031
39.998
79.764
255.978
1.408.616
45.910
91.554
390.386
1.713.46
55.689
111.055
579.294
2.184.14,
66.827
133.266
705.153
2.631.008
In corrispondente al comportamento dello Stato il calcolo degli incrementi ティ stato eseguito su di una base 1978 di 45.212 milioni invece che di 53.608 milioni La cifra ティ relativa al periodo Aprile-Dicembre 1972, la base annua corrisponde a 487.250 ailioni L'importo delle 0O.UU. pari a 17.437 corrisponde al bimestre novembre-dicembre; la base annua ammonta a 104.621 milioni L'importo corrisponde al 20 semestre 1975; la base annua 1975 ammonta a 7.937 milioni.
451
TABELLA "C" ANDAMENTO DEL FONDO EX ART. 8 'PURO' E DEL FONDO EX ART.8 CON INCREMENTI PARI A QUELLI DEL P.I.L. cifre in milioni di lire
.2
,1
fondo ex art. 8 "puro"
anni
4 f ondo ex art fondo ar 8 con incre ticolo 71 menti pari a cuelli del P.l.L.
5
.3
487.250
c1 P.I.L.
La percentuale media di incremento del fondo art. 8 (colonna. 2) su base annua è del 21,25%
1972
487.250
1973
564.646
.15,88
582.263
19,5
1974
585.352
3,67
718.513
23,4
1975
667.303
14,00
813.357
13,
Per i). dato (fra parentesi, la percentuale media di iricremer,to del .fondo art. 8 (colonna 2) su base annua è del
1976 -
767.495
15,01
1.015.883
24,9
22,25%.
1.069.696
39,37
1.232.266
1,3
1.413.063
32,10.
1 .41.751
17,0
1,509.663
6,84
1.743.077
20,9
1980
2.025.765
34,19
.2.143.984
21,3
1981
2.761.497
36,33
2.682.124
25,1
(2.966.286)
(46,44)
1977 1978 1979
. .
-
-
(1) il dato derìnitivoc.orrisponde all'incremento del fondo comune 36,38% nel art. 8 previsto dal Bilancio dello Stato 1251 1980) Il dato fra parentesi è previsto da una nota di variazione ir. corso di approvazione.
La percentuale media di incremento del fondo art. 8 (co-. lonna a) con incrementi pai. a quelli deiF'.I.L. su base annua è del 20,86%.
Dall'esame. della presente tavola e dell'allegato diagramma si può constatare come, seppure con leggeri scostamenti intermedi il fondo comune abbia ricevuto nel complesso al termine del periodo 1972-1981 una rivalutazione pressochè corrispondente alle variazioni del P.I.L.
GRIFICO ALLEGATO ALLA TABELLA 째C"
72
73
74
75
76
77
79
79
80
FONDO COMUNE ART. 8-ANNO 1980 (Fondo "puro"
TABELLA D
dati
di
Quota assegnata
Rilevazioni statistiche
riferimento Popolazione al gennaio 1980
-
Superficie in ha
Quota% del fondo
Quota capi- Quota capitana per tana per abitante ha
PIEMONTE
175.101.082.220
4.528.882
2.539.925
8,64
38.663
68.939
LOMBARDIA
297.767.328.105
6.941.324
2.385.052
14,70
33.302
124.847
V'EMETO
157.364.478.200
4.350.900
1.836.363
7,77
36.168
85.694
65.971.898.585
1.843.606
541.642
3,26
3€.784
121.800
EMILIA-R.
154.854.341.155
3.964.018
2.212.279
7,64
39.065
69.993
TOSCANA
134.070.568.255
3.599.275
2.299.218
6,62
37.249
55.311
UMBRIA
43.709.404.385
8 08.243
84.604
2,1.6
54.080
51.690
MARCHE
66.113.621.600
1.415.541
969.349
3,26
46.705
68.204
167.746.872.165.
5.058.709
1.720.267
8,28
33.160
97.512
67.978.715.530
1.239.997
1.079.409
3,35
54.22
62.978
LIGURIA
LAZIO ASRUZZO MGLISE
25.100.687.790
334.156
443.764
1,24
75.117
56.563
CAMPANIA
284.958.761.155
5.459.768
1.359.533
14,07
52.192
209.600
PUGLIA
199.548.399.160
3.918.030
1.934.763
9,85
50.931
103.135
49.406.752.680
618.679
999.227
2,44
79.858
49.445
136.072.095.005
2.078.520
1.508.027
6,72
6E.466
90.232
2.025.765.206.000
48.159.648
22.674.422
100,OC
-
-
42.064
89.341
BASILICAri LBRtA• TOTALI
MEDIA NAZIONALE
1 - La Tabella mette in evidenza le divaricazioni in termini di assegnazione pro-capite che si sono prodotte fra Regione e Regione per effetto dei meccanismi di riparto del fondo comune di cui alZa Legge 281/1970.'
Tabella 'D
FONDO COMUNE ART. 8 ANNO 1980
Fondo comune comprensivo di tutte le assegnazioni speciali
DATI DI RIFERINTO REGIOI'I
Quota aseeata
Popolazione al 8epnaio
RILEVAZIONI STATISTIC} Superficie in ha
Quota del Fondo %
Quota capi Quota capitarla per tana per ha abitante
PIEMONTE
219.874.695.424
4.528.882
2.539.925
8,24
48.549
86.567
LOMBARDIA
385.231.738.635
8.941.324
2.385.052
14,43
43.084
161.519
VENETO
210.171.051.000
4.350.900
1.836.363
7,87
46.305
114.450
85.494.632.277
1.843.606
541.642
3,20
46.374
157.843
210.615.900.829
3.964.018
2.212.279
7,89
53.132
95.203
188.868.199.169
3.599.275
2.299.218
7,08
52.474
82.145
UMBRIA
61.946.132.369
808.243
845.604
2,32
76.643
73.25.7
MARCHE
93.783.151.227
1.415.541
969.349
3,51
6..253
98.749
LAZIO
231.612.520.703
5.058.709
1.720.267
8,68
45.785
134.638
ABRUZZO
91.696.429.633
1.239.997
1.079.409
3,44
73.949
84.51
MOLISE
32.837.984.344
334.156
443.764
1,23
98.271
73.999
CAMPANIA
360.168.530.706
5.459.768
1.359.533
13,49
65.968
264.921
PUGLIA
258.823.330.304
3.918.030
1.934.763
9,70
66.060•
133.775
64.338.659.570
618.679
999.227
2,41
103.994
64.388
173.653.205.479
2.078.520
1.508.027
6,51
83.547
115.153
2.669.116.161.669
48.159.648
22.674.422
'100,06
55.422
117.715
LIGURIA
BASILICATA CALABRIA
MEDIA NAZIONALE
0,1
TABELLA 'E"
RIPARTIZIONE FRA LE REGIONI A STATUTO ORDINARIO PER L'ANNO 1976 DEI 3/10 DEL FONDO COMUNE IN RAGIONE DIRETTA DELLA POPOLAZIONE RESIDENTE AL 31.12.1974 E IN BASE ALLA SOMMA DEI PUNTEGGI ASSEGNATI A CIASCUNA REGIONE COME DAI PROSPETTI "A", "B" e "CI.
Popolazione re- Somme sidente al 31 dicembre 1974 REGIONI
Prodotto della
dei pun Popolazione teggi per la somma dei punteggi (Ci) Pi x
f (Ci)
Somma spettante a Ine dei 3110 del fondo comune
ciaecuna Regione sui 3/10 del fondo comune
Pro-capite per Regione
Ptx f(Ct (Pif(Ci)
4.536.474
2
9.072.948
0,05868
12.231.878.861
2.697
Lombardia
8.786.883
2
17.573.766
0,11367
23.694.575.155
2.697
Veneto
4.249.161
2
8.498.322
0,05497
11.458.527.283
2.697
Liguria
1.867.641
2
3.735.282
0,02416
5.036.165.530
2.697
0,05071
10.570.52.898
2.697 1.349
Piemorte
Emilia-Romagna
3.920.464
2
7.840.928
Toscana
3.552.331
1
3.552.331
0,02298
4.790.193.869
790.861
4
3.163.444
0,02046
4.264.898.458
5.392
Marche
1.383.162
2
2.766.324
0,01789
3.729.180.518
2.697
Lazio
4.871.709
2
9.743.418
0,06303
13.138.638.797
Abruzzo
1.201.972
5
6.009.860
8.102.473.267
6.741
328.402
8
2.627.216
0,01699
3.541.575.014
10.784
Campania
5.231.066
7
36.617.462
0,23684
49.369.430.630
9.438
Puglia
3.722.101
6
22.332.606
0,14445
30.110.683.392
8.090
611.248
8
4.889.984
0,03163
6.593.291.213
10.784
2.022.757
8
16.182.056
0,10467
21.818.520.115
10.784
'47.076.232
61
154.605.947
1,00000
208.450.560.000
4.428
Umbria
ImTLise
Basilicata Calabria Totale
0,03887
2.697
TABELLA "F - QUADRO DIMOSTRATIVO DELLA DINAMICA DEL FONDO ART. 9 DI SVILUPPO NEL PERIODO 1972-1981. CONFRONTO CON IL DATO DEL FONDO DI SVILUPPO RIDETERMINATO CON LA VARIAZIONE fl' TERMINI COMPOSTI DELLA BASE 1976. 1) AMNI
2). FONDO BASE IN MILIONI
1972
20.000
3) QUOTA INTEGRATIVA o ex. art. 129 DPR 616
-
4) QUOTA VARIAI .5) TOTALE AS- •6) QUOTA VARIA BILE SEGNAZIONE BILE lett.bT Art. 2 lett. FONDO ex art. 2 legge art. 9 b) legge 356/76-Calco 356/76 lo composto 20.000
-
7) COMPONENTE PREZZI NEL CALCOLO DEL PIL
8.) DIFFERENZA 6 - 4
-
-
-
-.
-
1973
140.000
94.135
-
234.135
1974
232.100
240.000
-
472.100
-
1975
232.100
185.290
.-
417.390
-
1976
232.100
82.900
-
315.000
-
1977 1978
.300.000
.
-
56.070
315.000
46.554
42.645
315.000
46.554
161.801
1980
315.000
1981
315.000
46:554 46.554
186.396 (181.476)*
TOTALE
2.416.300
788.541
1979
(stima.)*
.
.
728.388
356.070
.-
-
56.070
17.8
123.976
18.3
-
523.355
188.551
13.3
-
547.950
271.617
643.030
385.588
15.1 (18.0)*
3.933.229
1.025.802
.
404.199
.
-
-
81.331 26.750
-
85.221 104.112
-
297.414
-
00
Z3DM TABELLA "G" DIMOSTRAZIONE INCREMENTI IN TERMINI PERCENTUALI ED ASSOLUTI RISPETTO ALLA BASE 1976 DEL FONDO COMUNE "LEGALE" EX LEGGE 281/1970 E DEL FONDO COMUNE "MINIMO GARANTITO" EX LEGGE 356/1976
ANNI
Fondo comune pu ro calcolato a norma 1 comma Art.8 legge 281 1970
Indice di incremento I ispetto all' IRispetto al nno preceden e
la base 11976
Fondo legale
Fondo comune Cpuro" calcolato a norma dell'art.l 1.356/1976 Fondo ini.o garantito
Indice di
incremento
ispetto all'
Differenze fra i due fondi increm.
Rispetto
inno preceden
alla base
e
1976
alori assoluti
I
incremento
rispetto I rispetto all'anno
alla base
precedent4 1976
100,000
767.495
16,994
116,994
1.069.696
39,375
139,375
256.784
22,381
22,381
977.375
20.231
140,563
1.413.063
32,099
184,1136
435.688
11,868
43,450
11979
1.273.252
30,273
183,245
1.509.663
6,836
196,700
236.411
-23,437
13,455
980
1.180.524
169,943
2.025.765
34,187
263,945
844.941
41,447
94,002
36,3386 359,859
1.345.795
16,385
156,055
(26,474)
(182,685)
1976
694.835
1977
812.912
1978
-
-
-
100,000
72.660 (1)
-
-
(-7,260) 1981 1981 (2)1
1.416.105
19,953
203,804
2.761.900
1.416.105
19,953
203,804
(2.966.285)
(46,4278 (386,489 (1.550,180)
-
La differenza fra la base 1976 d1 fondo comune "legale" cx legge 281/1970 e del fondo comune "minimo garantito" ex legge 356/ 1976 è dovuto al fatto che nel ridefinire il nuovo punto di partenza il legis1atoe della Legge 356/1976 ha apportato una correzione al fondo comune 1976 sia per elevare nel Complesso là base di calcolo,
sia per riequilibrare le quote di alcuneRegio.-
ni particolarmente danneggiate dal meccanismo di riparto previsto dalla legge 281/1970 (Emilia-R. - Toscana - Marche - Puglia e Piemonte). t d.mti compresi fra parentesi si riferiscono all'aggiornamento previsto da nota di variazione al Bilancio 1981, non ancora appvea.
TABELLA "H" FONDI.ASSEGNATI DALLO STATO ALLE REGIONI A STATUTO ORDINARIO SUL FONDO EX ART. 8 cifre in milioni di lire
Fondo ex àrt.8 "puro" 1972
DPR 616/77 FAPL + scuo ARTT. 128 e POPOLARE + 130 oo.uu.
Legge 685/75 TOSSICODIPEN sultori faDENTI miliari. In terruz.grav
L. 698/1975 0.N.?i.I.
L. 386/76 Totale E.R.S.A. _____________ __________
365438(1)
365.438
1973
564.646
564.646
19'74
585.352
585.352
175
667.303
3.968
1976
767.495
7.937
1977
1.069.696
7.937
60.157
71.136
1978
1.413.064
53.608
2.995
47.998
60.327
73.046
1.651.038
1979
1.509.663
57.691
96.375
2.995
48.982
60.213
73.318
1.849.237
1980
2.025.765
77.456
60.214
70.720
2.531.735
1981
2.761.497 (2)
60.214
70.720
3.385.119
(2.966.285)
246.313
2.985
48.282
105.603
335.818
2.985
48.282
(113.417)
(360.669)
671.27 -
,
775.432 1.208.926
(3.622.572)
((i) La cifra è relativa al periodo Aprile-Dicembre 1972, la base annua Corriaponde a 487.250.000 (2) EI 4ata definitiva corrisponde all'incremento del Fondo comune art. 8 previsto dal Bilancio dello Stato 1981 (+36,38% nel 1980). li dato fra parentesi è previsto da wa nota di variazione in corso di approvazione.
'o
TABELLA I Ricoinione delle spese da destinare alle funzioni trasferite 3alle Regioni ai Comuni a norma dei 3.?.R. 616/1977 da parte di ciascuna Regione a statuto ordinario nel 1979 (0 P C M 14/12/197 9 )
R E O I O I
somma da destina re alle funzioni trasferite
I
Popolazlone
-
Quota pro-capite
4.538.020
4.679
30.026.796.163
8.929.703
3.363
VE!tETO
11.064.497.851
4.338.292
2.550
LLG(RLA
10.377.776.038
1.852.903
5.601
14.219.008.769
3.963.151
3.588
TOSCANA
10.992.556.034
3.594.607
3.058
UMBRIA
2.043.269.811
805.329
2.537
MARCHE
11.802.542.197
1.409.345
8.372
LAZIO
35.415.626.073
5.037.255
PIEMONTE
21.232.827.827
LOMBAROLA
.
EMILIA-ROMAGNA
ABRUZZO. MOLISE CAMPANIA
.
-
13.501.792.211
1.233.397
4.247.976.853
332.914
42.938.789.954
.
7.031
Âť
10.947 .
12.760
5.420.390
7.922
PUGLIA
32.413.051.293
3.889.422
8.334
BASILICATA
10.613.591.338
618.312
17.165
14.536.266.309
2.057.269
7.032
255.426.368.721
48.030.609
5.526
TOTALE
O
O
o
O
a
o 0 .0
0 o
a o
o
a
e
o
a
n
(o
0
L
-
O
a
-.
-
•-.
-i
O
-
O
Ci
t,
o a
(0
0cnc.aeiiti.0
(ti
ti
o
O
in
ti
0 O
o
Ci
ti
o
0
ti
-t
a
0 O
.on a
a ti
i-
-t
a
o
a
in
ti
coticnotieua
0000
o
_
a
0 O
O
ti
a
ti
.0 o
ci,
-
i- ,
•.t
io
io a in 0ti(n
in
a
00
I
O
s
ca
a
acqtitiati
ti
a
a
OtiatiatiO.,r-. in-.tti.stiinain.-.
-
a
o
O a
io
.0 O
ti
a a.
ci
a
o
io a
Ci
a in
in
in O
a
a
ai
ti
ti
ti
ti
in
a
0.0 O O
in
Otitiatiintiati...
-ci
aa.0ins
QO
a
O
o
O
.0
O
a
atiti
-
Ci
-o
aa
0;
a
ti
ti
ae-
Ci
-
in
ti
ti
cia
Ci O
ti
-5
in
i
cii
ti
cia
ti
-5
a i-
a
fl( O.
-
c-atia-.tititi
O
O
-S
OQ00
in
00.0
in
-
a
in
-t
a a ci,
in a a at.
in
.-
a
tiatitiatiti.0tiinti ti ai a in a o ti ci .0 -0-at atiti -ci in ti
O
a
in O
in a
ti
ti
Ci
ti Ci in
O ti
'ia
0
41
ai ti inQ
..,
titici._.iiotiatitiati
Ci
o
i-,
00;
ti
e
o,
=4
Ci
in
a
O
00
•0
51
TABELLA "L 2
DETERMINAZIONE DEL RIPARTO DEL FCNOO ART. 8 (Dato puro 1978) TENENDO COtTO PER GLI ULTIMI 3/10 DEL RECIPROCO DEL REDDITO PRO-CAPITE REGIONALE SCOSTAMENTI DAL RIPARTO UFFICIALE 1978 SLLA BASE LEGGE 356/1976
Regioni a statuto ordinario
Popolazione
Superficie
Reciproco
6110
1/10
del reddito
Riparto ufficiale
Totale riparto
Differenze Assoluti
1978
assoluti
t
Assoluti
3/I0
,3.565.142 •
.0,25
80.120.700
15.825.305
29.759.117
125.706.122
8,89
122.160.980
8,64
157.613.103
14.865.422
56.296.450
228.774.975
16,19
207.706.274
14,70
.2.068.701
+1,49
75.559.780
C1.445.810
35.058.106
123.063.696
8,71
109.758.891
7,77
.13.294.805
+0,94
32.726.551
3.348.959
11.869.734
44.945.244
3,18
46.018.404
3,26
-1.073.160
-0,08
.EM1L1A-ROANA
69.946.643
13.791.504
26.664.508
110.402.655
7,81
108.017.956
7,64
.2.384.699
.0,17
TOSCANA
63.418.290
14.328.467
27.809.090
105.555.847
7,47
93.520.328
5,62
+12.035.519
0,85
UMBRIA
14.328.464
5.270.736
7.503.367
27.102.565
30.489.300
2,16
-3.386.735
-0,24 -0,19
PIEMONTE LOMBARDIA VENETO
1,92
MARCHE
24.926.440
6.047.909
12.420.828
43.395.177
3,07
46.117.402
3,26
-2.722.225
LAZIO
88.938.217
10.725.148
43.282.135
142.945.600
10,11
117.011.084
8,28
+25.934.416
+1.83
ABRUZZI
21.789.439
6.726.179
13.438.234
41.953.852
2,97
47.418.250
3,35
-5.464.398
-0,38
MOLISE
5.850.083
2.769.603
4.366.365
12.986.052
0,92
17.508.873
1,24
-4.522.821
-0,32
CAMPANIA
95.720.922
8.478.378
69.522.724
173.722.025
12,30
198.771. 715
14,07
-25.049.690
7 1,77
PUGLIA
68.674.886
12.053.427
47.506.109
128.334.422
9,08
130.194.097
9,85
-10.859.575
-0,77
BASILICATA
10.767.544
6.231.617
7.545.759
24.544.920
1,74
34.463.460
2;44
-9.918.536
-0,70
-18.286.045
-1,30
ALABRIÀ
36.457.038
9.396370
30.776.523
76.630.439
5,42
94.916.484
6,72
847.838.100
141.305.350
423.919.050
1.413.063.500
100,00
1.413.063.500
100,00
-
-