Numero 4, anno 1975, queste istituzioni

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rassegne e documentì

Il potere militare: gli argomenti del dibattito critico sull'assetto delle Forze Armate di Paolo Mieli 1 Premessa: le ragioni di una analisi critica del "potere militare"

4 Forze armate e Costituzione 7 Forze armate e Nato 8 Forze armate e industria 10 Esercito di leva o esercito di mestiere? 13 Il bilancio della difesa 15 La giustizia militare 17 1 servizi di informazione 19 Indice bibliografico

E' solo in questi ultimi tempi che tra gli alti gradi delle forze armate italiane si è cominciato a parlare della necessità di una « ristrutturazione » del complesso militare italiano. Potenziamento della Marina e dell'Aeronautica, riduzione delle strutture e del numero degli uomini nell'Esercito, semplificazione dell'ordinamento delle unità operative, meccanizzazione tattica dell'Esercito, aumento della presenza militare in Friuli e nelle Puglie: queste le prime indicazioni avanzate, volta a volta, dall'ammiraglio Henke nel 1974, dal ministro della Difesa Forlani e dal nuovo Capo di Stato Maggiore Viglione nel gennaio del 1975. Il ruolo attribuito alle forze armate italiane non aveva finora reso necessario alcun intervento che modificasse la loro struttura inefficiente ed elefantiaca: per l'Italia, soprattutto rispetto al suo inquadramento nella NATO, non era questione di « capacità bellica », ma di « garanzia » di un determinato assetto politico istituzionale e, secondariamente, di appoggio logistico alle basi NATO. Oggi la situazione internazionale si va configurando in modo diverso, ed il problema dei paesi produttori di petrolio e del Me-


dioriente costituisce per gli Sta.ti Uniti un nuovo elemento, cui far fronte con una diversa strategia politica e militare. E' per queste regioni che negli ultimi tempi si è avanzata da alcune parti l'ipotesi che l'Italia, come pér altri versi la Germania; debba diventare un paese « disponibile » anche sul piano bellico. Il potenziamento della Marina (sono stati stanziati ultimamente mille miliardi per i prossimi dieci anni), l'adeguamento e l'ammodernamento del sistema di difesa aerea integrato alla NATO annunciato recentemente da Forlani, la stessa riduzione della leva a 12 mesi, e tutta un'altra serie di provvedimenti che ven.gono via via richiesti e realizzati dagli alti gradi delle forze armate italiane, assumerebbero allora il significa.to di una svolte importante, in direzione di una ristrutturazione organica delle forze armate e di un loro nuovo ruolo a livello nazionale e internazionale. D'altronde, quasi a conferma di questa ipotesi, va ricordato che fino ad oggi le accuse di inefficienza sul piano bellico alle forze armate erano state appannaggio quasi esclusivo di alcuni settori militari, di grado intermedio, e spesso legati a ipotesi reazionarie, per i quali un potenziamento e una maggiore efficienza delle stesse forze armate avrebbero significato un aumento del proprio potere all'interno dello stato e del sistema politico italiano (vedi, ad esempio, il Libro bianco sulla Marina, pubblicato dall.a rivista di Eclgardo Sogno «Difesa Nazionale »).

Ma proprio per la novità di questi ultimi avvenimenti, l'ipotesi di cui si è parlato non può formare oggetto di approfondito esame in questa sede; ci si limiterà quindi ad analizzare il dibattito sul tema delle forze armate quale si è svolto dal 1964 fino agli inizi del 1974, tenendo conto del resto, dei proffii più propriamente istituzionali. L'informazione e la discussione sulle forze armate italiane, sulla loro funzione, sulla possibile riorganizzazione dell'Esercito, sono, per altro, scarse e. frammentarie. Riscoperto da pochi anni, dopo che sull'argomento si era taciuto in Italia fin dal primo novecento, il problema del « potere militare » è stato nuovamente affrontato, prima sulla scia degli avvenimenti del giugnoluglio 1964, e poi in conseguenza delle vicende degli ultimi quattro anni. A rappresentare il retroterra di questo rapido estendersi dell'interesse per la tematica delle forze armate in Italia, sono stati da una parte la relazione della commissione d'inchiesta sul Sifar nelle parti relative alle considerazioni e alle proposte in materia di riordinamento dei servizi di informazione e sicurezza delle forze armate e anche in materia di legislazione del segreto militare; e, dall'altra parte, studi stimolanti nel campo giuridico (v. Giovanni Motzo, voce Consiglio Supremo di Difesa in Enciclopedia del Diritto; Bachelet, Teoria giuridica della disciplina militare, 1960 e Disciplina nrilitare e potere giuridico statale, 1962; A. Predieri, La difesa e le forze armate, 1950 e Il Con-

queste istituzioni luglio 1975

Direttore: SERGIO RIsTUccIA - Condirettore responsabile: GIOvANNI BECHELLONL Redazione: Muco CIMINI, ENNIO COLASANTI, MARINA GIGANTE, MARCELLO R0MEI, FRco SIDOTI, VINCENZO SPAZIANTE.

Segreteria organizzativa: RODOLFO DE ANGELIS. GRUPPO DI STUDIO SU SOCIETÀ E ISTITUZIONI - casella postale 6199 - 00100 Roma Prati. Conto corrente postale N. 1/49846 - intestato a: GRUPPO DI STUDIO SU SOCIETÀ E ISTITUZIONI. « Queste Istituzioni» esce semestralmente in quattro fascicoli separati di 16-32 pagine, ognuno dei quali dedicato ad un solo tema. i fascicolo della serie «rassegne e documenti» L. 500. Abbonamento annuale L. 5.000, biennale L. 9.000. Periodico iscritto al registro della stampa del Tribunale di Roma al n. 14.847 (12 dicembre 1972). Spedizione in abbonamento postale - IV gruppo STAMPA:

Stabilimento Litotipografico Arie della Stampa - Roma.


siglio supremo di Difesa e i poteri del Presidente della Repubblica, 1958). Le analisi sul « potere militare» o, per meglio dire, sull'esistenza o meno di questo potere in Italia, utilizzano oggi schemi interpretativi diversi, da quelli prettamente politici, a quelli sociologici, a quelli giuridici. Sul tema complessivo dei rapporti tra le forze armate e il potere politico-istituzionale, due sono le tendenze fondamentali: una legittima l'esistenza delle forze armate quale corpo separato dallo stato, sulla base di una interpretazione della Costituzione che nega qualsiasi rapporto con le istituzioni elettive e afferma l'esistenza di un legame diretto con il Presidente della Repubblica, considerato quale garante di un interesse nazionale diverso da quello espresso dalle varie forze politiche. L'altra tendenza, invece, riconosce la necessaria subordinazione delle forze armate all'indirizzo governativo, ferma restando, però, una larga autonomia decisionale e organizzativa. A queste due tendenze si contrappone la linea seguita dalle forze di sinistra, soprattutto dal partito comunista, che punta in primo luogo al controllo del parlamento sulle forze armate. La sinistra, infatti, che soltanto da qualche anno ha abbandonato un moralistico disinteresse per i problemi militari, preme oggi per una democratizzazione delle forze armate e iper l'istituzione di un controllo da parte del paese sulla loro attività. Esiste poi un vasto arco di posizioni « effioientiste » che propongono l'istituzione dell'esercito di mestiere per creare un organismo più moderno, funzionale e meno costoso (tra questi, liberali come Durand de La Penne, e i settori più attivi delle forze armate). Un'ultima posizione infine - comune alla maggioranza degli appartenenti all'esercito, desiderosi di acquistare maggior potere - propugna l'espansione delle spese della difesa. Per quanto riguarda la sinistra, le critiche all'attuale configurazione delle forze armate non arrivano tutte alle medesime conclusioni. Il dato comune è rappresentato dalla constatazione della inefficienza delle forze armate ad esplicare il loro compito istituzionale di difesa della nazione dai nemici

esterni; si mette in evidenza come l'attività delle FF.AA. si esplichi in settori sottratti alla loro competenza istituzionale; si cri tica il principio del segreto militare, che impedisce un controllo sul loro operato; si denuncia la situazione drammatica della recluta; si propugna la necessità di un libro bianco annuale della difesa. Ma da questi comuni punti di partenza, si arriva a conclusioni ben diverse. La più interessante, forse, è quella cui giunge Giorgio Rochat. A suo parere va rovesciata completamente la prospettiva tradizionale che interpreta la scarsa efficienza delle forze armate in termini di spreco, corruzione e incompetenza fine a se stessi. « E' vero che i reparti moderatamente efficienti sono pochi, ma non per questo la massa di reparti senza valore bellico e di personale disarmato è inutile o dannosa al sistema: semplicemente assolve ad altri compiti che ben poco hanno a che vedere con la preparazione della guerra. Lo sviluppo deila società italiana non ha risparmiato le forzi' armate, ma ne ha mutato organizzazione e ruolo... La classe dirigente italiana perciò non ha più bisogno che le forze armate nazionali siano all'altezza di un conflitto » (IS. Bova, G. Rochat, Le forze armate in Italia, 1974; vedi anche A. De Fondulis, Stato forte e apparato inilitate, 1974). Aldo Gobbio, (L'esercito e i suoi critici, 1972) nega invece la funzionalità dell'inefficienza: a suo parere non ha senso affermare che l'italia da sola non sarebbe in grado di sostenere una guerra, proprio percbe le forze armate nazionali non sono state « pensate » per fare una guerra da sole, ma per svolgere alcuni compiti in un sistema integrato. Gobbio cita un episodio significativo svoltosi al convegno « Forze armate e democrazia » organizzato dal Clu'b Turati nell'aprile 1970. In quell'occasione un esponente del ICI dichiarò « Noi sappiamo benissimo a che cosa servono le forze armate : servono al oontenimento globale del comunismo, all'interno e all'esterno. Quindi, per noi, meno efficienti sono e meglio è ». Ovviamente questa dichiarazione non è ufficiale, e i comunisti si battono invece per una riforma delle forze armate che realizzi non una ristrutturazione efficientistica, ma una democratizzazione delle


4 strutture interne e un controllo sulla loro attività. Essi hanno ormai abbandonato l'antico atteggiamento - derivato dal periodo fascista - di ostilità nei confronti della problematica relativa alle forze armate, ed anzi attaccano le posizioni antimilitariste. Al convegno organizzato, nel febbraio 1974, dal Centro di studi e di miziative per la riforma dello Stato, V. Pecchioli e A .Bo•ldrini (AA.VV. Le istituzioni militari e l'ordinamento costituzionale, 1974), dichiarano: « Che senso hanno le marce antimilitariste, la denigrazione generalizzata, gli appelli roventi ai proletari in 'divisa, le frasi assurde sulla distruzione degli ordinamenti militari, l'identificazione superficiale del servizio -militare con l'oppressione di classe e via dicendo, se non quella di una vera e propria fuga di fronte ai problemi reali, di una sòstanziale sfiducia nella volontà democratica delle masse e nelle possibilità di difendere e far avanzare su tutti i terreni il progresso e la democrazia? ». Di queste posizioni, Giorgio Rochat dà un giudizio fortemente negativo, accusandole di evitare un approfondimento del discorso in merito a una riforma delle forze armate e di chiudersi in una passiva difesa del servizio di leva obbligatorio. Secondo Rochat, tale modo di affrontare il problema porterebbe paradossalmente a considerare l'attuale stato di inefficienza delle forze armate come un ostacolo ad una possibile involuzione reazionaria ('G. Rochat, Il controllo politico delle forze armate, in E. Forcella (a cura di), Il potere militare in Italia, 1971). Anche altri autori concordano nel rilevare che le forze armate costituiscono un organismo inefficiente ed elefantiaco, n.ecessario però e sufficiente a svolgere un compito di mantenimento dell'ordine nel senso della difesa del sistema attuale e di conservazione dei rapporti di classe esistenti (A. D'Orsi, La macchina militare, 1971; M. Bonanni, F. De Benedetti, G. Devoto, Per un dibattito civile sui problemi militari, 1970). • In questa ricerca bibliografica, analizzeremo innanzitutto gli studi che sono stati condotti sulle forze amiate nel loro complesso, in rapporto ai principi del, sistema

costituzionale italiano, allo schieramento internazionale in cui sono inserite, con particolare riguardo alla NATO e all'industria militare (quest'ultimo pun'to sarà esaminato soprattutto al fine di verificare se anche nel • caso dell'Italia sia possi'bile - così come è stato fatto per gli Stati Uniti da 'Ga'l'braith - individuare l'esistenza di un complesso militare-industriale). Successivamente esamineremo il dibattito su alcuni problemi specifici delle forze armate, soffermandoci su quelli che hanno assunto un valore discriminante nelle polemiche fra le forze politiche: il servizio di leva, il bilancio della Difesa, la giustizia militare. All'interno del dibattito sull'esercito di leva, si sono inoltre sommariamente prese in esame alcune posizioni - le più significative - relative alla funzione di repressione intern.a svolta dalle forze armate in appoggio a quelle di polizia. Questo aspetto, seppure marginale rispetto all'insieme delle altre attività, ci è sembrato emblematico del ruolo fondamentale svolto in Italia dalle forze armate: quello diretto a mantenere un determinato assetto politico-istituziona'le, piuttosto che a difendere il paese da.i « nemici esterni ». FORZE ARMATE E COSTITUZIONE.

Le forze armate non 'hanno rilievo costituzionale 'autonomo: infatti la Costituzione prevede soltanto il Consiglio Supremo di Difesa, al quale le forze armate partecipano tramite il 'loro vertice - il Capo di Stato Maggiore della Difesa - e altri esponenti. Il Consiglio Supremo di Difesa - la cui presidenza è attribuita al Presidente della Repubblica (art. 87 Cost.) mentre la vicepresidenza spetta al presidente del Consiglio dei ministri -, pur trovandosi in posizione autonoma rispetto agli altri organi costituzionali, non è del tutto autonomo, essendo vincolato all'osservanza delle direttive del Parlamento. Secondo l'a legge i.stitutiva del Consiglio Supremo di Difesa, datata 28 luglio 1950, esso risulta composto, oltre che dal Presidente e dal vicepresidente, dai imnist-ri degli Esteri, dell'Interno, del Tesoro, della Difesa, dell'Industria e del commercio, e del Capo di Stato maggiore della Difesa. A titolo consultivo è poi prevista la partecipazione, su


invito del presidente, di altri membri del governo, dei capi di stato maggiore delle tre armi, nonché di tutte le persone particolarmente competenti nel campo scientifico, industriale, tecnico, militare, o facenti parte di altri organi consulti'v'i dello stato. 11 Consiglio deve essere riunito almeno due volte lanno, e le sue convocazioni nonché le dliberazioni sono segrete. Esso ha il compito di esaminare i problemi generali politici e tecnici riguardanti la difesa nazionale, e di determinare i criteri direttivi per l'organizzazione e il coordinamento delle attività che comunque la riguardino. L'istituzione del Consiglio era stata prevista dalla Costituzione, ma solo come organo consultivo: la legge istitutiva, invece, si muove nella direzione opposta, e tende a configurarlo piuttosto come un organo con responsabilità politico-militare, tanto che, come giustamente nota M. Bonanni, esso è finito col diventare « ... un gruppo di pressione piuttosto che un organismo costituzionale che abbia a che fare con la direzione delle forze armate » (M. Bonanni, Tecnostruttura militare e controllo politico òggi, in E. Forcella, Il potere militare in Italia, 1971, pag. 75). Gran parte del dibattito sul rapporto tra forze armate e potere politico-istituzionale si è svolto proprio sul tema del Consiglio Supremo di Difesa; quest'organo infatti, per le ragioni di cui si è detto precedentemente, è significativo del ruolo autonomo di corpo separato, che le forze armate hanno assunto in questd secondo dopoguerra. Angelo D'Orsi - nel suo libro La macchina militare, 197.1 - definisce il C.S.D. uno dei cardini portanti di quella tecnostruttura militare di cui fa parte integrante il ministro della Difesa ('1). Bonanni, Devoto e De Benedetti su questo punto aFfermano: « Mentre in teori'a l'ar-

monia delle decisioni di politica militare con 'quelle di politica generale e di politica estera sembra in tal modo garantita (secondo l'art. 87), in pratica quest'organo è stato messo sotto accusa fin dalla sua prima apparizione. Varie teorie lo delineano ora come organo ausiliario del governo (.ma la partecipazione del presidente della Repubb'lica e la duplicazione che presenta rispetto ai componenti del governo rendono impossibile una 'tale interpretazione), ora come organo di indirizzo politico, ora infine come « organo di collaborazione tra gli organi » (governo e presidente della Repubblica). Ma, comunque, è chiaro che si è voluto distinguere questo organo dall'esecutivo e 'sottrarlo al diretto controllo parlamentare, sulla scia di legislazioni precedenti » ('M. Bonanni, F. De Benedetti, G. Devoto, Per un dibattito civile sui problemi militari, 1970). I comunisti, dal canto loro, negli ultimi tempi si sono occupati in varie sedi dei problemi di politica militare, e sono inter venuti anche in merito al tema del Consiglio Supremo di Difesa. Durante il Convegno organizzato a Roma nel febbraio del 1974 dal Centro Studi e Iniziative per la Riforma dello Stato del Partito Comunista, sul tema del Consiglio Supremo di Difesa intervenne tra gli altri Salvatore D'Albergo, ponendo l'accento soprattutto sul ruolo del presidente della Repubblica dentro e fuori il Consiglio Supremo di Difesa. Le conclusioni cui giunge sono che la funzione del Consiglio Supremo di Difesa « ... è quella non già di interferire in alcune delle attribuzioni mediante le quali direttamente (sede politica) e indirettamente (sede amministrativa) 'le forze politiche svolgono il proprio ruolo, bensì que'll.a di coinvolgere in quel permanente

(1) D'Orsi, Bonanni ed altri, pur d'accordo su molti altri problemi, non danno la stessa interpretazione dei rapporti tra ministro della Difesa e tecnostruttura. D'Orsi infatti, mette l'accento sul ratto che dal 1946 ad oggi il ministro della Difesa non si è mai trovato in disaccordo con la tecno> struttura militare; comunque tale eventuale disaccordo non potrebbe concludersi con il prevalere del ministro, bensì con la sua subordinazione. Agostino De Fundulis (Stato forte e apparato militare, 1974) afferma invece che il ministro della Difesa, il cui ruolo è 'sempre stato più quello di portavoce dei militari in seno al governo e alle forze politiche, che quello di un effettivo responsabile del settore, ha visto accentuarsi ulteriormente la propria subalternità rispetto all'apparato. Massimo Bonanni, nel saggio Tecnostruttura e controllo politico oggi cit., d'accordo con Agostino De Fondulis, esaminando il rapporto tra il ministro e la tecnostruttura, nota come l'esperienza italiana sia ricca di esempi di ricezione da parte del ministro dei valori e degli schemi militari.


processo di responsabilizzazione che qualifica come « istituto» il Presidente della Repubblica, ma che già è insito nella natura democratica del sistema, delle forze che ne sono egemoni» (Salvatore D'Albergo, Consiglio Supremo di Difesa e Parlamento, in A.A. VV., Le istituzioni militari e l'ordinamento costituzionale, cit.). Il controllo del Parlamento sulle forze armate è l'obiettivo principale della politica comunista in materia militare: esso dovreibbe essere realizzato attraverso il funzionamento delle commissioni parlamentari, promuovendo una serie di indagini conoscitive e istituendo un « commissariato parlamentare delle forze armate », con poteri di indagine e di controllo. Flavio Colonna, responsabile dell'Ufficio legislativo dei gruppi parlamentari dl POI, in un intervento allo stesso convegno, afferma la necessità di rivedere completamente la natura e i compiti del Consiglio Supremo di Difesa, che « nella sua attuale strutturazione desta fortissimi dubbi di legittimità costituzionale» (Fla'vio Colonnà, La collocazione istituzionale delle forze armate, in AA. VV., Le istituzioni militari e l'ordinamento costituzionale, cit.). Per Colonna questo organismo attualmente avulso dalla vita politica della nazione e composto esclusivamente da tecnici e membri del governo, dovrebbe invece essere espressione di tutte le forze politiche democratiche e delle istituzioni interessate al problema della difesa del paese. E' necessario modificare la legge istitutiva, prevedendo una composizione diversa e maggiormente articolata; una ampia pubblicità ai lavori che permetta di controllare il suo operato e le sue decisioni; delimitando i compiti nel senso di attribuirgli soltanto quelli di « organizzazione e coordinamento tecnico dell'attività e dello sforzo che l'intero paese sarebbe chiamato a sostenere qualora fosse messa in periccio la sua esistenza » (p. 189). Boldrini e Pecchioli, nel loro intervento, propongono di integrare la composizione di questo organo con membri designati dal Parlamento, in modo da restituire a quest'ultimo la sua funzione di controllo, (AA. VV., Le istituzioni militari e l'ordinamento costituzionale, cit.).

Nino Pasti, generale di squadra aerea, che da tempo interviene in merito alle questioni di politica militare, in una sua comunicazione al medesimo convegno del 1974, propone che il Consiglio Superiore di Difesa si configuri come organo consultivo, dotato di adeguate capacità tecniche militari, alle dirette ed esciusive dipendenze del Parlamento. Esso dovrebbe essere composto, secondo Pasti, da militari in congedo, scelti eventualmente dai partiti in modo da godere della loro fiducia. Requisito indispensabile per i suoi componenti dovrebbe essere quello di avere lasciato i.l servizio attivo; ciò per due ragioni: sia per essere liberi da vincoli gerarchici e disciplinari, sia per essere estranei a preoccupazioni o speranze di carriera o di assegnazioni ad incarichi importanti. (Nino Pasti, in AA. VV., Le istituzioni militari..., cit.). Da parte della sinistra rivoluzionaria sono state ovviamente rivolte pesanti critiche al modo in cui il partito comunista ha affrontato questo prcbiema. « Sul piano tattico questi obiettivi sono scelti con acutezza perché su di essi è possibile realizzare una larga convergenza di consensi democratici. Si badi però che questi obiettivi non sono affatto minimalistici: la loro realizzazione effettiva metterebbe in crisi tutta l'organizzazione delle forze armate. Proprio da ciò nasce il sospetto che l'azione comunista non sia sorretta da un'adeguata analisi della funzione e del passato di classe delle forze armate; da un'analisi del genere risulterebbe infatti, a nostro avviso, che le forze armate non sono riformabili in senso democratico se non nel quadro di una assai più radicale trasformazione della Società e dello Stato italiano. Reclamare un esercizio democratico ha senso sul piano tattico, non su quello strategico, perché l'esercito non può diventare democratico senza una rivoluzione cui il PCI ha rinunciato da tempo. La battaglia per un esercito democratico rischia così di diventare una mistificazione, nella misura in cui i comunisti da una parte propugnano riforme che scardinerebbero tutto il sistema militare e dall'altra rilasciano alle forze armate una patente di democraticità, denunciando le loro degenerazioni e non la loro struttura» (Sergio Bova,


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Giorgio Rochat, Le forze armate in Italia, 1972). Agostino De Fondulis attacca il POI con le stesse motivazioni di Bova e Rochat: « Ma come può Berlinguer parlare di tentativi 'di schierare l'esercito contro le classi lavoratrici?... Non è forse sempre stato l'esercito contro le classi lavoratrici, non è sempre stato uno stumento di repressione? E quando Boldrini e D'Alessio parlano di trasformazione autoritaria e classista, non dimenticano che l'esercito borghese è una struttura orga'n'icamente autoritaria e classista? » ('De Fondulis, Stato forte e apparato militare, 1974, pag. 121). Accanto al Consiglio d'i Difesa esistono altri due organi militari, il Comitato dei capi di stato maggiore (capo di stato maggiore della difesa e capi di stato maggiore dell'esercito, della marina e dell'aeronautica), e il Consiglio Superiore delle Forze Armate. Quest'ultimo, che ha un'origine storica strettamente militare (deriva dal Consiglio superiore della marina), è stato istituito con legge 9 gennaio 1951 e comprende gli alti ufficiali con maggiore anzianità di servizio. Il Comitato dei capi di stato maggiore, istituito con legge 8 marzo 1968 2 è costituito invece dai quattro capi di stato maggiore e dal segretario generale alla difesa. Come evidenziano giustamente M. Bonanni e A. D'Orsi, è evidente che il Comitato dei capi di stato maggiore svolge una funzione di esautoramento dei poteri del Consiglio superiore delle forze armate. « ... Per quanto importanti siano queste vicende per capire la logica monopolistica della tecnostruttura militare esse non vanno però sopravvalutate - aggiunge M. Bonanni -. La separazione delle due funzioni avrebbe certamente permesso una maggiore dialettica interna che avrebbe in qualche caso anche potuto dare al ministro qualche occasione per inserirsi ed aumentare così il suo prestigio. Ma il problema della direzione e del controllo politico non si risolve con una dialettica tra militari anziani e militari a nomina politica, ma con una dialettica tra mondo militare e mondo non militare a tutti i 'livelli di decisione ». (M. Bonanni, Tecnostruttura militare..., op. cit., pp. 98-99).

FORZE ARMATE E

NATO.

Ti '...,,-. ,.n la NATO ha iL [4UILJ U,fl 'IL'alla formato oggetto di accesi dibattiti in momenti diversi della storia di questi ultimi anni. •Per lo meno fino all'ultimo decennio - oggi si assiste probabilmente a una diversa strategia americana riguardo ai paesi arabi e quindi al Mediterraneo e all'Italia stessa - la funzione delle forze armate italiane nel contesto più generale della NATO e della presenza americana in Italia, non è quella di costituire una barriera contro una possibile estensione dell'area socialista: il periodo della guerra fredda è' lontano, la « paura del comunismo » è ormai estranea a qualsiasi discorso sull'alleanza atlantica e la NATO, e gli stessi comunisti italiani non parlano più di «uscire dalla NATO e propongono al massimo qualche piccola variazione all'attuale stato di fatto. La pubblicistica che verrà esaminata tratterà appunto il ruolo che le forze armate italiane hanno assunto in questo ultimo decennio nel contesto della NATO. La pubblicistica democratica o di sinistra concorda per 'lo più con lanalisi di Angelo D'Orsi « ... agli Stati Uniti e alla NATO 'non importa che l'Italia abbia un apparato difensivo efficiente, il quale al limite potrebbe indurre 'le frange più avanzate della borghesia nazionale a premere verso un ricaicamento delle orme della Francia. Agli USA •e alla NATO sta a cuore semplicemente 'mantenere il possesso fisico e il controllo politico della nostra penisola, della quale i comandanti delle truppe' integrate e delle forze americane hanno fatto la loro "portaerei di comando dell'area strategica che gli 'Stati Uniti controllano da Gibilterra fino all'Himalaya". Per cui le funzioni che 'le nostre forze armate ricoprono nel disegno americano-atlantico sono tre: a) 'servono da forza d'appoggio per le inifrastrutture e 'le 'basi; ... b) aiutano sia attraverso gli acquisti di armi che di brevetti e di licenze il welfare americano e contribuiscono ai pingui profit'ti delle aziende belliche e 'loro 'collegate degli USA; c) si concentrano nell'opera fondamentale, di conservazione delle strutture sociopolitiche del paese» ('Angelo D'Orsi, La macchina militare, cit., pp. 28-29).


Uno sforzo di ulteriore approfondimento del problema dei rapporti tra l'Italia e la NATO è stato compiuto da Stefano Silvestri. Stefano Silvestri (La NATO e il controllo politico, in E. Forcella, Il potere militare in Italia, 1971). L'autore esamina la struttura politica dell'alleanza atlantica, l'organizzazione civile, quella militare, i programmi, il controllo finanziario, la consultazione politica; la struttura decisionale, la situazione degli armamenti. «In complesso, da quanto abbiamo man mano esaminato, ci sembra di poter individuare [ ... ] almeno due aspetti negativi della NATO, la cui importanza è tale da poter influire in maniera sensibile sulla posizione di un'opinione pubblica, attenta ai problemi della 'democrazia, nei confronti della Alleanza 'Atlantica. 'Il primo riguarda il controllo sull'organizzazione da 'parte dei paesi membri e il funzionamento della 'NATO. ... Il secondo aspetto negativo riguarda i modi con cui vengono effettuate le scelte e 'prese le decisioni: in altre parole l'a struttura 'decisionale della NATO » (pp. 164-165). A proposito del primo punto, Silvestri richiama l'attenzione sul fatto che l'unica forma d'intervento politico diretto prevista è quella 'dei membri del 'Consiglio in rappresentanza ognuno del proprio paese. Il Consiglio, inoltre, sebbene abbia statutariamente il potere •di governo e di controllo, in realtà 'ha solo la 'possibilità di accettare o respin'gere i programmi di spesa avanzati dagli organi militari. Il parlamento europeo, d'altra parte, non ha la possibilità di esaminare i 'bilanci consuntivi, e resta in questo modo escluso da qualsiasi potere di controllo. Per quanto n'guarda poi il secondo punto, Silvestri ribadisce la estraneità 'del Consiglio alle decisioni reali, dal momento che esso si occupa delle questioni generali, e non affronta i problemi specifici «che sono fonte dei maggiori contrasti. Tale strategia mostra appieno i suoi pericolosi effetti, quando si consideri 'la mancanza di una strategia e di una politica globale della NATO » (p. 165). Nonostante l'esistenza di una serie di organismi tecnici, il potere maggiore resta poi sempre ai comandi supremi regionali, agli organi militari. •La NATO, •in definitiva, secondo Si'lvestri, fa-

vorisce le tendenze all'autonomia tecnicà e burocratica degli organi militari nella loro attività a livello internazionale e indirettamente 'anche a livello nazionale. Le proposte pratiche, invece, in merito a una possibile ristrutturazione del rapporto che lega .l'Ttalia alla NATO, sono molto scarse: forse la più 'significativa, proprio perché viene da parte 'di chi, più 'di chiunque altro dovrebbe assumersi il ruolo di opposizione al nostro inserimento nello schieramento dell'a 'NATO, è quella del partito comunista. Dopo anni di silenzio sul piano 'dell'elaborazione scientifica, e di opposizione senza riserve sul piano poli'tico, le proposte odierne 'dei comunisti italiani possono riassumersi nell'intervento di Tullio Vecchietti al convegno su « Le istituzioni militari e l'ordinamento costituzionale ». Esiste, afferma Vecchietti, una reale crisi 'della funzione 'della iNATO in Europa e in 'Italia, nel senso che l'azione e l'ideologia che animano il campo militare •si allontanano sempre di più dalle 'scelte di politica internazionale e nazionale che vengono attuate dai paesi appartenenti all'alleanza. Non per questo, però, aggiunge Vecchietti, va sottovalutata la presenza della NATO in Italia. L'attuale politica della Alleanza 'Atlantica andrebbe modificata attraverso la revisione di quegli aspetti dell'integrazione militare che 'più contrastano con un'a 'distensione internazionale e con 'la volontà democratica del paese, quali 'le basi 'NATO e il meccanismo di integrazione dei quadri militari. Questo « 'ha una sua autonomia funzionale non solo, 'ma finisce per averne una ad:di rittura politica, perché ... si attua in forme che sottraggono di fatto l'integrazione militare e l'operato dei comandi 'NATO a ogni reale controllo politico» (Tullio Vecchietti, in AA. VV., Le 'istituzioni militari e l'ordinamento costituzionale, 'cit.). FORZE ARMATE E INDUSTRIA

Esiste in Italia con complesso militare-industriale? A questa domanda si è risposto, nella recente pubblicistica sull'argomento, in modi 'diversi. Massimo Bonanni non condivide l'analisi di


coloro che negano l'esistenza di un complesso militare-industriale in Italia prendendo come punto di riferimenti la situazione americana, dove il fenomeno è manifesto ed è stato analizzato da molti esperti di problemi militari e da sociologi come Wright Mills, Janowitz, Galbraith. Bonanni esamina in primo luogo il termine «complesso scientifico militare-industriale » dal punto di vista 'logico. Infatti questo termine indica un fenomeno che entra in contraddizione con alcune figure elementari della teoria giuridica ed economica: la figura contrattuale della compravendita che prevede due soggetti portatori di interessi contrapposti; la teoria del valore secondo cui sarebbe proprio l'incontro tra due sogg etti contrapposti a determinare, attraverso la legge délla domanda e dell'offerta, il prezzo della merce. I contratti, quindi, stipulati dall'amministrazione militare escono dalle categorie economiche fondamentali. Nel momento in cui si dichiara interessato al potenziale industriale del paese, infatti, lapparato militare 'si accolla interessi che sarebbero di competenza del suo contraente, provocando, in questo modo, la caduta della contrapposizione dia'lettica fra i due soggetti. Accade così, che le forze armate acquistino materiale nazionale al posto di quello estero, anche se il primo risulta meno efficiente, o più costoso del secondo; oppure che l'amministrazione militare acquisti dall'industria nazionale per evitare un restringimento della domanda, o per 'finanziare la formazione di settori industriali nuovi per i quali manca altra domanda pubblica o priva'ta. 'Può anche verificarsi che 'la diplom'azia militare promuova accordi di cooperazione a livello internazionale - ad esempio con paesi del terzo mondo - in modo da creare mercati di sbocco per 'l'industria italiana. Questi esempi, e altri ancora, inducono Bonanni ad asserire che anche in Italia esiste, sebbene in proporzioni minori e in modo meno palese che negli Stati Uniti, un complesso militare-industriale ('M. Bonanni, Scienza, industria e organizzazione militare in Italia, 1971). Per Bova e 'Rochat il problema n'on è solo quello di ammettere l'esistenza di un complesso militare-industriale in Italia, ma di vedere anche se l'arretratezza tecnologica

dell'industria bellica italiana e 'la sua dipendenza dagli Stati Uniti per quei che riguarda la ricerca, siano o meno funzionali al sistema politico italiano. La situazione è pressappoco questa: l'industria bellica italiana presenta caratteristiche di singolare modernità politica e organizzativa nel suo rapporto con le forze armate, e pur di'pendendo dalle loro commesse, riesce a condizionarle. Al proprio interno questa industria ha superato 'problemi di libera concorrenza, raggiungendo una razionalizzazione organizzativa della produzione, di cui la Fiat 'ha il quasi totale monopolio. Inoltre, per l'industria belli ca esistono larghi margini di profitto, dai momento che lo Stato si comporta come un ottimo acquirente (poco controllo su'l'le forniture, possibilità di pressione da parte degli industriali sulla burocrazia competente, ecc.). A questo punto, il fatto che i suoi prodotti 'siano tecnologicamente arretrati, e non val'gano a garantire la difesa del paese è un fatto 'del tutto secondario. L'industria bellica italiana ha dunque un'a sua funzionalità (S. Bova, G. Rochat, Le forze armate in Italia, 1973). L'organismo che attualmente rappresenta l'anello più importante della convergenza degli interessi militari con quelli industriali è il OAME'N ('Centro applicazioni militari dell'energia nucleare). Carlo 'Federici si occupa di questo organo in un saggio pubblicato nel volume a cura di Enzo Forcella (C. Federici, Verso un complesso militare industriale?, in E. Forcella, Il potere militare in Italia, cit.). Federici appoggia la tesi, sostenuta già in altra sede, dell'esistenza di un complesso miiltare industriale in Italia, e analizza il ruolo che il CAMEIN s'volge nei rapporti tra forze armate e industria. Il CAMEN è una organizzazione del ministero della Difesa, che da circa dieci anni opera nell'ambito della ricerca di nuove applicazioni dell'energia nucleare in campo militare. E' presieduto da un maggior generale delle armi navali e gli ufficiali di marina sono in forte prevalenza numerica e qualitativa. La storia di questi dieci anni di attività 'dell'organismo ci è raccontata da Federici in modo da mettere in evidenza i rapporti che questo 'ha intessuto con l'industria .pibbli'ca e privata italiana, dai rapporti col CNiEN, a quelli con lENI fino a


10 quelli attuali con 'la Fiat che hanno fruttato all'azienda torinese nel 1970 importanti commesse a livello internazionale. ESERCITO DI LEVA O ESERCITO DI MESTIERE?

L'alternativa tra esercito di 'leva ed esercito volontario, che è in genere tassunta come alternativa tra esercito di leva-esercito di mestiere, rappresenta uno dei punti nodali del dibattito su una riforma delle forze armate italiane. Prima di analizzare le posizioni che normalmente si scontrano su questo tema, andrebbe considerata la posizione di alcuni studiosi di problemi militari. Bova, Rochat, De Fondulis, e altri, partono infatti da un diverso punto di vista. L'alternativa tra esercito di leva - quale oggi esiste in Italia - e esercito di mestiere sarebbe inesistente, e un'analisi attenta dellattuale situazione delle forze armate io confermerebbe. Nel secondo dopoguerra, infatti, come documenta De Fondulis (Stato forte e apparato militare, 1974), accanto alle forze armate di leva e in modo complementare ad esse, si è andato formando un vero e proprio esercito di mestiere, costituito principalmente dall'arma dei carabinieri, dal Corpo della Pubblica Sicurezza e dal Corpo della Guardia di Finanza. Parallelamente nell'ambito delle forze armate a reclutamento obbligatorio si è andata sempre più accentuando la distinzione tra un settore - quantitativamente preponderante - formato da reparti inefficienti e usati con funzioni di retrovia e di base d'appoggio per carabinieri e polizia, e un secondo settore, formato da reparti efficienti (ad esempio i corpi speciali dell'esercito e della marina), che tendono ad assumere caratteristiche semiprofessionali sia per il tipo e l'intensità dell'addestramento, sia per il miglior trattamento riservato ai propri appartenenti, sia per la rigida selezione preventiva dei membri. Ultima considerazione, ma non meno importante, è che all'interno delle forze ar mate i.l numero dei dipendenti pagati - i militari di carriera - e del personale ci•vile è andato aumentando negli ukimi tempi, in modo da rendere sempre più margi.nale l'esercito di leva.

In questo senso, q.uindi, per De Fondulis l'alternativa esercito di leva-esercito di mestiere è ormai fittizia. E Sergio Bova e Giorgio .Rochat (Le forze armate in Italia, -971, p. 21), concordano con l'ipotesi di De Fondulis: «l'attuale struttura, sebbene formalmente di leva, rappresenta già una compensazione dei due sistemi: i carabinieri presentano quasi soltanto professionisti, nella marina il rapporto tra professionisti e militari di leva è 2 a 1, nella aereonautica è di 1,7 a 1 e soltanto nell'esercito è di 0.4 a 1. Come si vede da queste. sommarie cifre, le forze armate presentano già notevoli caratteristiche proprie degli eserciti di mestiere e, in futuro, è prevedibile che le accentuino ». Al di là di iqueste osservazioni, però, anche per io stesso Giorgio Rochat (G. Rochat, in AA. VV., Le istituzioni militari e l'ordinamento costituzionale, op. cit.) non bisogna tralasciare di condurre una battaglia per una reale democratizzazione delle strutture militari. La riduzione della ferma di leva da 15 a 12 mesi va perciò considerata in tutte le sue implicazioni. Essa rappresenta certamente un fatto positivo, ma può assumere un significato antidemocratico qualora venga inserita in una politica di rafforzamento delle strutture autoritarie. «Di qui la necessità di un'.attenta analisi della situazione attuale e soprattutto un impegno vigile di tutte le forze 'interessate all'ampliamento degli spazi democratici nelle forze armate e nel paese » (p. 336). Quanto agli obiettivi che la sinistra deve perseguire, Rochat propone il reclutamento regionale. Conscio che nella situazione attuale questo obiettivo non ha più un carattere eversivo e provocatorio, e non mette in discussione i rapporti di forza tra le classi, Rochat afferma però che esso « conserva ugualmente un valore democratico chiaro »: il soldato che presta servizio nella sua regione può mantenere i rapporti col suo ambiente, con 'le strutture in cui è inserito precedentemente. Sul tema dall'esercito di leva, i comunisti da sempre si oppongono a una sua eliminazione, preoccupati dalle tentazioni goipiste 'e autoritarie che un esercito di mestiere comporterebbe. Flavio Colonna, re-


11 ponsabi1e dell'ufficio legislativo dei gruppi parlamentari del POI, si richiama al dettato costituzionale. « Le FF.AA. debbono essere fin.alizzate solo al principio della difesa e debbono essere lo strumento attraverso il quale tutti i cittadini devono poter essere messi in condizione di adempiere al loro "sacro dovere". Ed è proprio questo concetto di difesa della patria, quale compito cui tutti i cittadini sono tenuti perché principali interessati alla propria identità nazionale, alle proprie istituzioni democratiche e quali soggetti partecipanti alla vita politica della nazione, che sostanzia le ulteriori prescrizioni costituzionali che vogliono che "l'ordinamento delle forze armate si informi allo spirito democratico della Repubblica" e che l'adempimento del servizio militare non pregiudichi "la posizione di lavoro del cittadino, né l'esercizio dei diritti politici". 'Di conseguenza ogni tesi che tenda a riservare ad un esercito di mestiere, specializzato, la difesa della Repubblica è contraria alla visione costituzionale » (Flavio Colonna, in AA. VV., Le istituzioni militari, op. cit., p. 186). Ugo Pecchioli e Arrigo Boldrini sostengono in un loro comune intervento ('AA. VV., Le istituzioni militari e l'ordinamento costituzionale, op. cit.) la stessa tesi, come portavoci della posizione comunista. In sintesi, i due autori affermano che è diritto e dovere di ogni cittadino italiano partecipare all'organizzazione difensiva della nazione: solo un esercito di leva può consentire quel rapporto vivo delle forze armate con il popolo che è garanzia essenziale del regime costituzionale (v. anche l'intervento di Aldo D'Alessio, Il servizio di leva e la riduzione della ferma, in AIA. VV., Le istituzioni militari e l'ordinamento costituzionale, op. ci't.). Pietro Ai-mani prende spunto da un libro di Robi Ronza (il Pierino va soldato Esperienze e proposte sul servizio militare in Italia, 1968) per affrontare il tema della riforma del servizio di leva. Armani e Robi Ronza concordano su un punto: in Italia i 260.000 giovani di leva non sono più utili 'alla difesa della patria, ma il complesso delle forze armate è necessario oggi come elemento della balance of power, fino a che non verrà raggiunto, a livello inter-

nazionale, il disarmo. Ma a questo punto le due posizioni divergono. Robi Ronza chiede una riforma delle forze armate che in realtà le renda maggiormente efficienti e moderne, anche in vista della loro progressiva trasformazione in «servizio civi'le » a disposizione del paese. Pietro Armani invece, è favorevole all'abolizione del servizio di leva indiscrimin'ato: esso dovrebbe essere sostituito con un volontariato per il servizio civile e con un volontariato a lunga ferma per le forze armate nel quadro di una loro riorganizzazione fondata sul ridimensionamento quantitativo degli addetti, e sul potenziamento qualitativo degli armamenti. D'altronde Armani aggiunge che il senso di questa proposta emerge da un elemento di fondamentale importanza: il' fatto che fino ad oggi nelle 'forze armate le spese per il personale superano quelle destinate agli armamenti. Alle paure di chi ritiene che la formazione di un esercito professionale favori'sca tentazioni autoritarie Armani oppone un discorso diverso: il fatto che l'esercito professionale diventi un eventuale strumento di controrivoluzione dipende dalla scarsa forza e d'alla scarsa efficacia delle istituzioni politiche di un paese democratico. Secondo l'autore, bisognerebbe poi educare gli ufficiali .a 'considerare la propria funzione come strettamente tecnica, e non politica. Pietro Armani, Il Pierino va soldato, ovvero la riforma delle FF.AA. non può più aspettare, 1969). l'i generale Nino Pasti, sempre in merito al servizio di 'leva, esamina la proposta che fu fa'tta dall'ammiraglio Henke, di ridurre la ferma obbligatoria a 12 mesi e di integrare questo provvedimento con un aumento del personale volontario. A prima vista, aggiunge Pasti, il ragionamento sembrerebbe 'convincente (se infatti occorrono sei mesi di istruzione alla recluta prima che possa venire inviata al reparto, con la ferma di 15 'mesi, la 'recluta resterebbe al reparto 9 mesi; 'con la ferma di 12 mesi, la permanenza ai reparto verrebbe ridotta a 6 mesi e il vuoto andrebbe riempito con personale volontario). Ma basterebbe ridurre i sei mesi di istruzione con una maggiore utilizzazione del tempo per ovviare a questo problema. Oppure, dopo un primo periodo breve di istruzione, 'la


12 recluta potrebbe essere inviata al reparto di impiego e continuare in quella sede il proprio addestramento. In definitiva, Pasti nega la validità della proposta di Henke di aumentare il personale volontario di lunga ferma. (Nino Pasti, in AiA. VV., Le istituzioni militari e l'ordinamento costituzionale, cit.). Sui problema del servizio di leva interviene Aldo Gobbio (L'esercito e i suoi critici, 1972). Ti suo è forse l'intervento più favorevole all'introduzione in Italia dell'esercito di mestiere. L'autore propone un esercito in cui solo i gradi superiori e certe funzioni suscettibili di continuità siano coperti da professionisti, mentre i militari di truppa e i gradi inferiori dell'uFficialità e della sottoufficialità dovrebbero essere costituiti da volontari a ferma relativamente breve. La proposta di Gobbio parte da un'ipotesi di efficienza, e nega la incostituzionalità dell'esercito volontario, richiamandosi all'articolo 52 della Costituzione che afferma obbligatorio il servizio di leva, ma solo « nei limiti e modi stabiliti dalla legge », legge che in questo caso prescriverebbe il servizio di leva volontario. Fabrizio De Benedetti insiste sulla i'rrevocabi:lità storica dell'esercito professionale. Introdotto già in qualche paese, l'esercito di mestiere sarebbe anche giustificato dall'introduzione, di tecniche moderne che necessitano di personale specializzato. La proposta alternativa di De Benedetti è di istituire dei coxpi di pace da destinare ad attività interne o ai paesi sottosviluppati. (Fabrizio De Benedetti, Militari e società, teorie e analisi, in Enzo Forcella (a cura di), Il potere militare in Italia, 1971). Rodolfo Guiscardo (Forze armate e democrazia, 1974) parte dalla considerazione che oggi, in tutti i paesi, i conflitti assumono la forma della guerriglia. Per questo, contrariamente a ciò che può sembrare, sono proprio i governi che basano la loro legittimità su una vasta adesione delle masse popolari, a possedere la forza politica necessaria a creare quelle premesse socio-economiche atte ad imprimere al paese un ritmo di sviluppo che, sanando le contraddizioni più stridenti, annulli; con una attenta politica riformatrice, le cause

di rottura fra la base e il vertice. Perseguendo una sempre maggiore giustizia sociale, si impedisce l'aggregazione di nuclei di opposizione violenta e, attraverso le forme della democrazia, si recepiscono invece le 'istanze più autentiche della base. Le forze armate debbono essere formate da militari coscienti, « da 'persone che siano ideologicamente i rappresentanti della società tutta, mentre la gran massa dei cittadini deve divenire, deve tendere ad essere sempre 'più partecipe dell'addestramento militare. Tale addestramento deve costituire la parte integrante del bagaglio di esperienze di ogni singolo componente della collettività statale: deve essere, allo stesso tempo, come diceva Machiavelli, obbligatorio e volontario. ... Non più esercito di leva di tipo tradizionale, né tanto menò esercito di mestiere o volontario: ma esercito di popolo, organizzato pacificamente, ... esercito democratico, quin'di, ed esercito di tipo nuovo» (p. 10 ss.). Perché questo nuovo tipo di es'ercito si possa realizzare in Italia, occorre secondo •Guiscardo soprattutto una piena applicazione dei principi costituzionali, all'interno di una strategia più generale di riforme (casa, trasporti, sanità, ecc), che permettano un atteggiamento nuovo delle stesse strutture militari. A conferma di questa sua ipotesi, Gui'scardo descrive i risultati positi'vi di un esperimento compiuto su un gruppo campione d'i cento militari di leva: in quell'esperimento sarebbe stato dimostrato come fosse sufficiente l'applicazione concreta e precisa del dettato costituzionale, perché fossero eliminati i più gravi ostacoli a un « sano, democratico ed efficace » funzionamento dell'esercito. Un discorso a parte merita l'obiezione di coscienza. Negli ultimi tempi una vastissima puibblicistica ha esaminato in tutti i suoi aspetti la vita della recluta. La "naja" è stata vista nella sua funzione di spoliticizzazione, di repressione, di controllo, di spersonalizzazione, di antagonismo, di divisione. L'obiezione di coscienza in Italia ha due matrici fondamentali: una religiosa, l'altra laico-pacifista. Gli appartenenti alla seconda 'corrente si dividono in due diverse categorie: una pacifista, che rifiuta la vio-


13 lenza, e una seconda che approfondisce maggiormente Tanalisi della funzione di classe dell'esercito, ma che, insieme alla prima, propone come alternativa, senza ulteriori approfondimenti, il servizio civile. Vorremmo infine fare una rapida rassegna su un altro aspetto dei compiti istituzionali delle forze armate: la funzione di repressione interna a fianco della polizia. L'intervento dell'esercito nella vita politica e sindacale italiana ha infatti carattere repressivo, anche se in posizione ausiliaria rispetto a quello della polizia. Esso si esplica attraverso un'azione di crumiraggio (i soldati vengono inviati a prendere il posto degli scioperanti durante gli scioperi dei trasporti urbani, dei treni, dei servizi telefonici): attraverso azioni di presidio (durante le manifestazioni di maggiore entità le forze di polizia addette al presidio di ambasciate, ban'che, ecc., possono essere sostituite da reparti dell'esercito); come supporto tattico alle forze operanti per l'ordine pubblico (v. il caso di Reggio Calabria dove i soldati non solo presidiavano ferrovie, ecc., ma riforni'vano trasporti, viveri e comunicazioni alle forze di polizia impegnate nelle piazze); attraverso l'uso diretto della repressione (i soldati possono andare contro il popolo in rivolta, anche se episodi del genere non si sono mai verificati in questo secondo dopoguerra; tuttavia si ricordi che nel 1950 il ministro della Difesa Pacciardi affidava alle forze armate la responsabilità della tutela dell'ordine pubblico in casi di eccezionale gravità) (cfr. S. Bova, G. Rochat, Le forze armate in Italia, 1973). Anche M. Bonanni, F. Benedetti e G. Devoto intervengono sull'argomento, e mettono in luce l'incompatibilità di una nuova politica di difesa con il fatto che alle forze armate vengano demandati compiti di ordine pubblico, o che funzioni di polizia vengano svolte da un corpo, l'arma dei carabinieri, •che allo stesso tempo è considerata ufficialmente la prima arma dell'esercito. (IM. Bonanni, F. De Benedetti, G. Devoto, Per un dibattito civile sui problemi militari, 1970). E Angelo D'Orsi riassume con queste parole la funzione delle forze armate rispetto

alle forze di polizia: « Da tutto ciò consegue che il rublo unico, comprensivo di tutte le funzioni enunciate delle forze armate italiane sia d'essere la forza di riserva della repressione, essendo la polizia la forza d'urto: il posto occupato dall'ai-ma dei carabinieri si rivela in tal senso decisivo, in quanto essa ricopre appunto lo spazio intermedio tra la forza armata vera e propria e la forza di polizia istituzionale; f ungendo da strumento e da mezzo di collegamento tra l'una e l'altra » (A. D'Orsi, La macchina militare, cit.) Sulle stesse posizioni si schiera anche Fabrizio De Benedetti nel saggio Annotazioni per uno studio critico sulle forze armate italiane (in E. Forcella, Il potere militare in italia, 1971). IL BILANCIO DELLA DIFESA.

Nel luglio dei 1969 il presidente della commissione bilancio e programmazione della Camera informava i deputati che presso il ministero della Difesa erano in corso degli studi per una nuova metodologia di programmazione da applicarsi all'amministrazione della difesa e ad altre amministrazioni dello Stato. Questo progetto, pur non essendo mai stato abbandonato, non è però neanche stato attuato. Il PPBS cioè « Planning P.rogrammin:g Budgeting Sy stem» è una tecnica di programmazione amministrativa già applicata al Pentagono e trasferita anche ad altri settori amministrativi civili: esso è diretto a delineare i compiti, la configurazione e gli obiettivi dello strumento militare, tenendo conto delle risorse finanziarie prevedibili, da raf£ron.tare con le possibili soluzioni alternative. Lungo l'arco dei futuri dieci anni, si prevede un aggiornamento annuo della situazione; l'entità della spesa dovrebbe essere dedinita secondo i principi della programmazione della difesa, da coordinare con la programmazione econouiica generale del paese. La programmazione abbraccia, per un arco di 5 anni, tutte le attività necessarie per un'esatta previsione delle risorse (uomini, armi, apparecchiature, ecc.): anche per la programmazione, quindi, è necessaria un'accurata informazione sull'intera organizzazione della dife-


14 sa. Le responsabilità di scelta e di decisione spetterebbero al Comitato dei capi di Stato maggiore. Questo episodio testimonia una certa volontà di razionalizzazione all'interno delle forze armate. Al riguardo il partito comunista, pur senza entusiasmo, si dichiara disponibile •a discutere la proposta dei PPBS. Al Convegno organizzato dal Centro studi comunista per la riforma dello Stato, una comunicazione alla presidenza, infatti, accetta il sistema PPBS come il peggiore dei mali. «In ultima analisi, ci si yede costretti a preferire una organizzazione che certamente verrà sfruttata dalla NATO e dagli USA, piuttosto che avere la certezza che nessuno, neppure i responsabili al più alto livello delle gera'rchie, dispone degli strumenti adatti per dirigere e guidare l'evoluzione delle FF.AA. italiane nel tempo. E' un prezzo da pagare anche perché vi è la speranza che l'amministrazione della difesa, che è così prodiga di informazioni agli alleati... possa fornire col PPBS dei dati attendi'bili al parlamento, evento non sempre verificatosi nel passato» (Sul sistema "Pianificazione, programmazione del bilancio della difesa" (PPBS), in AA. VV., Le istituzioni militari e l'ordinamento costituzionale, op. cit.). Il punto su cui, a livello ufficiale, il partito comunista insiste maggiormente è proprio quello del controllo da parte del parlamento sul bilancio della difesa, bilancio considerato eccessivo, dal momento che risulta di poco inferiore rispetto a quello destinato all'istruzione (AA. VV., Le istituzioni militari e l'ordinamento costituzionale, cit.). I comunisti rilevano come la discussione sul bilancio costituisca in realtà l'unico momento in cui il parlamento discute i problemi militari, anche se è escluso da qualunque decisione operativa in merito. L'impegno di questo partito e di tutte le forze democratiche dovrebbe consistere, quindi, nel restituire al parlamento il pieno controllo sulle attività del ministero della difesa; nel divulgare pubblicamente ogni anno un libro bianco eliminando il «segreto militare »; nel delegare agli organi militari il compito di richiedere una data spesa; nell'affidare agli organi politici il compito di valutare la rispondenza delle

richieste all'interesse generale del paese; nel correlare la programmazione militare con iquella nazionale, e nel rimuovere il carattere di rigidità che la spesa militare ha presentato finora. (Giuseppe Fasoli, Le caratteristiche del bilancio della difesa dal 1949 ad oggi, in AA. VV., Le istituzioni militari e l'ordinamento costituzionrsle, cit.) Sergio Bova e Giorgio Rochat (Le forze armate in Italia, 1973) impostano il problema del bilancio della difesa in termini diversi da quelli propri dellanalisi del partito comunista. Il bilancio della difesa, infatti, secondo gli autori, •ha subìto un lento ridimensionamento (in termini percentuali rispetto all'intero 'bilancio dello Stato), ridimensionamento che si spiega con la crescente coscienza della diminuzione dell'importanza relatirva nella società italiana dell'apparato militare. Ma il problema non sta, per Massimo Bonanni, nell'aumento o meno delle spese militari, quanto nella sua ripartizione interna, sulla quale, afferma il generale Pasti, non vi è « nessuna revisione e controllo di merito ...; revisioni e controllo che sono specificamente richiesti •per legge » (tN. Pasti, Alcune considerazioni sul Consiglio superiore delle forze armate, ciciostilato). La ripartizione interna, infatti, è compito dello stato maggiore, poiché figura come competenza tecnica. E' qui, secondo Bonanni, che ancora una volta si manifesta l'autonomia della tecnostruttura militare. (Massimo Bonanni, Tecnostruttura militare e controllo politico oggi, in E. Forcella, Il potere militare in Italia, cit.). Anche Antonio Pedone evidenzia questo elemento del bilancio della difesa: «l'attuale formulazione del bilancio della Difesa non fornisce la ripartizione 'delle singole voci di spesa per funzioni; ciò toglie ad esso ogni ivalore come strumento per compiere un'analisi di efficienza delle risorse impiegate. Né in base all'attuale bilancio è possibile conoscere ed apprezzare soluzioni alternative, relative sia al livello di spesa per la difesa, sia alla loro composizione» (iA. 'Pedone, L'analisi costi-benefici nel settore della Difesa, 1969). 'Fabrizio De Benedetti sintetizza in modo analogo la situazione attuale delle spese militari: « Il


15 bilancio della Difesa che si forma già con caratteristiche speciali rispetto a quello degli altri ministeri in base a considerazioni formali di separazione tra settore amminis'trati'vo e settore operativo, ma che in pratica confermano la tradizionale autonomia dei militari nella ripartizione dei fondi, si presenta in effetti come un misterioso agglomerato di cifre difficilmente comprensibili, e sulle quali c'è da 'fare un limitato affidamento » (F. De Benedetti, Annotazioni per uno studio critico sulle forze armate italiane, in E. Forcella, Il poterè militare in Italia, cit.). Un altro elemento messo in luce da nuovi studi sull'argomento è l'assoluta sproporzione tra la 'quota destinata al mantenimento del personale (circa il 65%) e quella per 'l'effettivo funzionamento della difesa nazionale '(circa il 25%, di cui il 15% alla sola arma dei carabinieri). (A. 'D'Orsi, La macchina militare, cit.). Prendendo spunto proprio da questo elemento, Aldo Gobbio concorda fondamen'talmente con Pietro Armani nel ritenere che l'assunzione della spesa attuale come dato 'invalicabi'le costituisca la necessaria premessa per una ricerca di efficienza in termini di produttivi'tà. Un modello di questo tipo tiene conto anche degli incrementi di reddito che derivere'bbero dallo svincolamento, e dalla conseguente restituzione ad attività direttamente produttive, di quel surplus di forze di lavoro che la struttura attuale mantiene (A. Giobbo, L'esercito e i suoi critici, 1972; P. Armani, Italia: spese militari. Un bilancio quasi assistenziale, 1970). LA GIUSTIZIA MILITARE.

« L'obiezione 'più forte contro il diritto penale militare 'vigente può provenire dal fatto che esso è forse il ramo dell'ordinamento che reca con 'maggiore evidenza i segni del regime fascista. I due codici vennero, a suo tempo, esaltati come l'espressione più piena e più coerente del 'regime fascista ... E tale opera è rimasta pressoché intatta da tre decenni, nonostante l'entrata in vigore della Costituzione, non soltanto perché il 'legislatore italiano, notoriamente lento e neghittoso nell'attuare la 'Costituzione, non 'ha

prestato alcuna •attenzione all'a legislazione militare '(e quando l'ha prestata, come nella legge 9 marzo 1956, n. 167, ha seguito un orientamento non fedele alla volontà della Costituzione), ma anche perché i tribunali militari hanno ri'vla•to, assai più dei giudici ordinari, una certa resistenza a sollevare questioni di legittimità costituzionale » (Rodolfo Venditti, Il diritto penale militare nel sistema penale italiano, 1971, p. 11). Questo, in sintesi, è il punto di partenza comune alle varie analisi sul 'tema dell'a giustizia militare. Durante i lavori preparatori della Costituente, da più parti fu chiesta la soppressione dei tribunali militari, per lo meno in tempo di pace, ma alla fine prevalse l'opinione di lasciarli in funzione, purché la loro competenza 'fosse delimitata ai reati esclusivamente militari e commessi da militari in servizio. Nella Costituzione, però, non fu inseri'to neanche questo principio. Al comma 30, infatti, dell'articolo 103, si dice « I tribunali militari in tempo di guerra hanno la giurisdizione stabilita dalla legge. In tempo di pace hanno giurisdizione soltanto per i reati militari commessi da appartenenti alle forze armate ». Questo significa che, dal momento che il concetto di « appartenenza alle 'forze armate » è esteso a quasi tutti i cittadini adulti di sesso maschile purché abbiano assolto i propri obblighi militari, i tribunali militari possono in realtà intervenire ben oltre i limiti indicati durante i lavori della Costituente. Altro episodio signi'ficativo della redazione della Costituzione è raccontato dal 'generale e giurista Piero Stellacci: «venne abbandonata la disposizione 'già inserita nel progetto di Costituzione elaborato dalla commissione per la 'Costituzione o dei 75 (VII transitoria) con cui si stabiliva: « Entro sei mesi dall'entrata in vigore della presente Costituzione si provvede con legge alla soppressione del Tribunale Supremo militare, e alla devoluzione della sua competenza alla 'Cassazione ». Se è vero - aggiunge Stellacci - che lo stesso progetto prevedeva allora l'istituzione dei tribunali militari solo in tempo di guerra (art. 95), non è men vero che la soppressione del Tribunale Supremo sarebbe stata sostenibi'le anche dopo la deliberazione di mantenere


16 in 'vita i tribunali militari tanto in tempo di guerra che di pace. Si è invece non solo rinunciato a pretenderne la soppressione, ma (con la VI disposizione transitoria della Costituzione) s'è anche differenziato il trattamento del Tribunale Supremo da quello degli altri organi di giurisdizione speciale esistenti, stabilendosi per questi, al 1° comma, che si dovesse procedere ad una certamente più radicale •revisione e per quello, al 2° comma, che si dovesse procedere al mero riordinamento». (Piero Stell.acci, Relazione al Congresso nazionale di diritto penale militare, Palermo, ottobre 1969). Sandro Canestrini e Aldo Paladini, (L'ingiustizia militare, 1973) entrano nel merito delle disposizioni costituzionali sui tribunali militari e sul Tribunale Supremo. I due autori ricordano che la VIII disposizione transitoria stabiliva che era necessaria una legge riformatrice dell'ordinamento giudiziario per renderlo conforme alla Costituzione, in tal modo disconoscendo implicitamente la costituzionalità del vecchio ordinamento, di cui veniva tollerata l'osservanza solo per l'eccezionale periodo di transizione. I due autori imputano la « scandalosa circostanza per cui a distanza di venticinque anni dalla nascita della Carta Costituzionale della Repubblica non si è ancora provveduto a un nuovo ordinamento giudiziario », non a lassismo o inerzia ma a una scelta precisa del potere politico, scelta alla quale 'ha contribuito come fattore determinante la possibilità di utilizzare in senso repressivo una magistratura ordinaria e militare organizzata ancora secondo i vecchi schemi. i.,a soluzione, secondo Canetrini e Paladini, va ricercata in direzione dell'abolizione di tutta la legislazione militare, e nella soppressione di tutti gli organi di giustizia militare, la cui esistenza contrasta con i principi fondamentali della Costituzione. Per quanto riguarda il codice penale militare, molte delle sue norme sono già comprese nel codice penale ordinario, e per i reati esclusivamente militari basterebbe introdurre nel codice ordinario le relative ipotesi. Un altro autore che interviene in merito al problema della giustizia militare è Rodolfo Giuscardo (Forze armate e democrazia, 1974). La giustizia militare, secondo Giu-

scardo, dovrebbe essere amministrata dalla stessa magistratura ordinaria in sezioni riservate presso le corti di assise dei tribunali più importanti; i giurati dovrebbero essere scelti fra appartenenti alle forze armate e i magistrati militari immessi nei ruoli della magistratura ordinaria. In definitiva, bisognerebbe conglobare il Tribunale Supremo militare nella suprema Corte di Cassazione, in modo da assorbire gradualmente tutta la magistratura militare in quella ordinaria. Il partito comunista, negli ultimi tempi si è occupato della giustizia militare, avanzando anche delle proposte di riforma che tengono conto della necessità di riordinare sia le forze armate che la giustizia ordinaria. Luciano Violante affronta il problema dalle sue radici, dalla concezione, cioè, abituale della giustizia militare. Questa, infatti, per l'autore, è considerata tradizionalmente come una branca della burocrazia statale, legata al suo referente — i corpi militari più che alla sua funzione specifica - l'amministrazione della giustizia —; sostanzialmente priva di 'diretta incidenza nella vita del paese in quanto destinata ad operare solo dentro le strutture militari. Per cui l'esistenza di procedure e di organi giudiziari speciali per i militari si giustifica per la « specificità » dei destinatari. Le loro particolari funzioni, infatti, esigerebbero nel caso di commissione di reato interventi immediati e compenetrati nelle esigenze funzionali e organizzative delle forze armate. La costituzione repubblicana, fa notare Violante, ha profondamente rinnovato le strut•ture, le competenze, e i rapporti della magistratura militare con la società civile, definendo un modello di giustizia militare estremamente vicino a quello della giustizia ordinaria, non .più separato e contrapposto a questa. iPer l'autore i principi fondamentali per la realizzazione di questo nuovo modello di magistratura militare, sono già impliciti nella costituzione. La garanzia di indipendenza per i giudici speciali, le limitazioni alle competenze dei tribunali miiitari in tempo di pace, l'indicazione di tendenza in ordine ai rapporti tra l'ordinamento delle forze armate e lo spirito demo-


17 cratico della repubblica, esprimono, a parere dell'autore, il rifiuto di tutta l'esperienza del 'periodo liberale e fascista, caratterizzata dalla strumentalizzazione della giustizia militare per scopi di repressione del dissenso politico. T'i punto, su cui 'Luciano Vio'lante insiste particolarmente, è la posizione del soldato. «Si avrà occasione di aprire [in Parlamento] un ampio dibattito sui diritti del soldato, che coinvolga tutte le forze democratiche, politiche, culturali; è un problema infatti che investe la stessa struttura delle forze armate, l'ideologia e i valori che esse esprimono, i rapporti con la società civile e con le conquiste del movimento democratico» (Luciano Violante, La giustizia militare, in A'A. VV., Le istituziolii militari e l'ordinamento costituzionale, cit., p. 149). La posizione del soldato e la definizione dei suoi diritti è fondamentale, per comprendere la configurazione che la Costituzione ha dato della giustizia militare: l'ordinamento militare ha, e in quale misura, la capacità di derogare all'ordinamento dello Stato? di conseguenza, le persone ad esso soggette possono godere di tutti i diritti riconosciuti dalla Costituzione o solo di quelli che sono riprodotti all'interno dell'ordinamento stesso? Secondo Violante, la Costituzione non ha accolto la tesi dell'ordinamento militare come ordinamento separato: essa ha invece rilasciato ai legislatore una delega vincolata, affermando che l'intera materia deve essere disciplinata nel rispetto dello spirito democratico della Repubblica. Al convegno organizzato dal Centro di studi e iniziative per la riforma dello stato dal PCI; interviene sul tema della giustizia militare anche un magistrato della corte dei conti, Tommaso De Pascalis. Egli propone una riforma della magistratura militare, articolata sui seguenti punti nodali: 1) esclusione degli ufficiali quali giudici militari (in quanto la loro posizione geiarchica ostacola una indipendenza reale di giudizio); 2) delimitazione dei magistrati militari, e loro trasferimento alle dipendenze del ministero di grazia e giustizia; 3) realizzazione di una forma di governo democratico della magistratura militare del 'tipo del Consiglio superiore della Magistratura; 4) isti-

tuzione di tribunali militari d'appello, al fine' di assicurare anche ai militari la garanzia di un riesame del merito; 5) revisione delle pene previste dal codice penale militare (Tommaso De Pascalis, in AA. VV., Le istituzioni militari e l'ordinamento costituzionale, 1974). I

SERVIZI DI INFORMAZIONE.

'I servizi di informazione, alla luce degli avvenimenti di questi ultimi tempi, rappresentano forse l'esempio più significativo e più attuale della istituzionalizzazione di «corpi separati » che agiscono al di fuòri di ogni controllo politico generale e che esercitano attività esorbitanti dai compiti loro attribuiti. La pubblicistica più 'interessante sui servizi d'informazione è fornita d'ai quotidiani e dai settimanali, nel senso che attraverso questa stampa l'opinione pubblica è giunta a conoscenza delle loro attività. Ma proprio perché così legata ai fatti contingenti, essa non ha potuto affrontare 'globalmente il prdblema del ruolo che tali organi hanno svolto e continuano a s'volgere nel complesso della società italiana. 'D'altra parte, almeno fino ad oggi, anche gli studi più approfonditi sulla materia non ha'nno fatto molti passi avanti. L'analisi sui servizi di" informazione si limita a constatare o la loro funzione di con trollo e di rica'tto delle forze rivoluzionarie, e più in generale di sinistra (v. A. D'Orsi, La macchina militare, 1971), o la confusione legislativa sui limiti delle loro competenze. il tema dei servizi di sicurezza è stato più recentemente approfondito in un saggio a cura della 'Commissione 'PID (Proletari in divisa) di Lotta continua, introduttivo a una ristampa del libro di R'auti e Giannettini (Le mani rosse sulle forze armate, 1975). Le trame del controspionaggio italiano, la contrapposizione fra De 'Lorenzo e'Ailoja, la funzione di Henke, appaiono dalla 'lettura di questo saggio quali momenti non solo di un gioco di potere, ma anche di ipotesi contrapposte sulla ristrutturazione delle forze armate. I Corsi di Ardimento voluti dal generale 'Aloja, da una parte (e osteggiati dalle sinistre), il potenziamento 'dell'apparato di


18 spionaggio operato da De Lorenzo, dall'altra (e trascurato nelle sue implicazioni reazionane dalla sinistra per l'alone democratico di cui era circondata la figura di De Lorenzò), rappresentano due vie per rendere il com.plesso delle forze armate italiane un efficiente strumento d'i «guerra al comunismo ». Ma dòpo i rispettivi « colpi bassi » fra Aloja e De Lorenzo, « ... l'apertura dello scandalo SIFA'R - pur con gli allissimi prezzi pagati all'opinione pubblica ottenne un duplice bietticvo: eliminare entrambi i contendenti al vertice delle FF. AIA. e con loro le due posizioni entrambe inaccettabili di ristrutturazione, e soprattutto mettere completamente in secondo pi.ano il dibattito sulla trasformazione attuale delle forze armate a favore della discussione sul tentato colpo di stata. In tale modo i nuovi vertici saranno liberi di continuare la ristrutturazione al riparo da ogni critica e potranno mettere a punto quella che negli anni successivi si paleserà come la strategia della strage » (p. 17). Il rimprovero che gli autori di questo saggio muovono alla sinistra, per quello che ha fatto allora e per quello che fa oggi, si basano su un presupposto fondamentale: l'aspetto centrale del problema non era, così come non è neppure oggi, quello della deviazione fascista di alcuni ufficiali, ma « la preparazione a una vera e propria guerra contro 'le masse proletarie ». L'ammiraglio Henke, notano giustamente gli autori, farà tesoro dell'insegnamento dell'esperienza del 1964: presentato da certa stampa come l'uomo del « compromesso storico con le stellette », in realtà l'ex Capo di Stato Maggiore della Difesa ha abbandonato i toni biecamente reazionari tanto adoperati precedentemente - lo stesso libro di Rauti e Giannettini ne è un esempio significativo -' e « ... si è impadronito improvvisamente di tutti i temi politici e di agitazione ohe per anni sono stati la prerogativa del "nemico": efficienza, difesa nazionale, riduzione della leva, benessere dei militari, neutralità delle forze armate (opposti estremismi). Negli anni seguenti pertanto assist'iamo ad un aggiustamento delle teorie militari ufficiali, mentre le valutazioni filofasciste che prima venivano diffuse in una massa rela-

tivamente grande di ufficiali, diventano "valutazioni segretissime" che nei centri studi delle forze armate e degli uffici psicolog.ici della NATO si propinano solo agli alti ufficiali che costituiranno i futuri quadri della ristrutturazione » (introduzione della commissione PhD a Guido Giannettini - Pino Rauti, Le mani rosse suWe forze armate, 1975, p. 18). L'unica disposizione legislativa esistente •in merito ai servizi d'i informazione stabilisce che il capo di Stato Maggiore della Difesa « sopraintende al servizio unificato di informazioni delle forze armate il quale provvede, a mezzo dei propri reparti, uffici e unità, ai compiti di tutela del segreto militare e di ogni altra attività di interesse nazionale per la sicurezza e la difesa del paese attuando anche l'opera intesa a prevenire azione dannosa al potenziale difensivo del paese ». Le proposte di modifica della legislazione sui servizi di sicurezza, in modo da definire i compiti istituzionali in modo più chiaro di quanto accada ora, sono venute soprattutto dal partito comunista. Il POI chiede, infatti, che il Sh'D assolva al suo compito .precipuo (la difesa e la sicurezza esterna del paese, l'a tutela dello Stato dalle minacce esterne che provengano da gruppi stranieri, da spie o agenti legati a servizi segreti stranieri), segnalando e trasmettendo i dati agli organi che per compito istituzionale debbono tutelare 'la sicurezza interna; esso dovrebbe inoltre essere unificato ai ShOS (Servizio informazioni operativo situazione) delle tre armi; essere diretto dal capo di stato maggiore della difesa, e avere come riferimento i.l ministro della Difesa. Per quanto riguarda invece la sicurezza interna e la controinformazione, il PCI propone una riorganizzazione degli attuali organi informativi della polizia di sicurezza e delle sezioni del SID attualmente adibite alla controinformazione, in modo da costituire una branca autonoma del servizio informazioni avente come riferimento il ministero delPInterno. Entrambi i rami, poi, dovrebbero dipendere dalla presidenza del Consiglio dei ministri ed essere coordinati da un comitato interministeriale presieduto dal preidente del consiglio, e


19 costituito dai ministri degli Interni, degli Esteri, della Difesa, della Giustizia, dai capi dei servizi segreti e dal capo di stato maggiore della Difesa. ('Ugo Spagnoli, I problemi di ,iif orma dei servizi informazione della difesa dopo le risultanze della commissione di inchiesta, in AA. VV., Le istituzioni militari e l'ordinamento costituzionale, cit.). Accanto a questa proposta organica del POI, ne sono state avanzate altre: tra queste quella accennata da Andreotti all'« Espresso» (25 febbraio 1973), in cui si affermava che la legge per la ristrutturazione dei servizi d'informazione, ormai quasi pronta, prevedeva il loro decentramento presso vari ministeri.

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Notizie sul « programma regioni» della Fondazione Adriano Olivetti

L'iniziativa promossa dalla Fondazione Adriano Olivetti si propone di seguire da vicino l'istituzione regione nel suo concreto divenire storico, individuando, misurando e analizzando criticamente, di essa, l'impatto sia con il complesso delle altre istituzioni dell'ordinamento sia con la società civile e le sue articolazioni, per cogli.erne e 'vahitarne le innovazioni prodotte. La nascita delle regioni infatti è stata l'occasione non solo, e non tanto, di un rinverdimento di antiche - e forse generiche aspirazioni di pluralismo, d.i maggiore compenetrazione della so.cietà civile nelle strutture statuali, ma ha costituito anche, e so: prattutto, un punto di coagulo di temi e problemi del tutto peculiari al clima culturale politico ed istituzionale di questi anni. Così, la regione ha funzionato da catalizzatore di temicomequello della riforma dello stato, della rifondazione dei partiti come strutture di partecipazione e di aggregazione delle domande che germinano nella società civile, del riassetto delle autonomie locali e più •in generale di tutta la rete dei poteri locali, venendosi il nuovo istituto a caricare di significazioni e implicazioni che, probabilmente, l'operazione - forse nulla più che moderata - che aveva portato, dopo venti anni di elusione, all'attuazione della Costituzione, non aveva preventivamente scontato. In questo quadro, si è dato vita nel 1972 ad una collana di pubblicazioni, i Quaderni di studi regionali. Ai 'quattro volumi apparsi negli anni scorsi: La via italiana alle Regioni; Politica culturale e Regioni; Le regioni: politica o amministrazione; Il controllo della regione sugli enti locali, 'se ne sono aggiunti nel corso del

1974, altre tre, a completamento delle ricerche iniziate per analizzare e rimeditare criticamente l'esperienza regionale n'ei suo complesso fin dalla prima legislatura. Essi sono: Regioni e servizi sociali, a cura di Angela Zucconi, che raccoglie, ampiamente rielaborato, il materiale di un convegno svoltosi a Torino nel 1973; Gli enti locali nella prospettiva regionale, a cura di Serenella 'Romeo, con i materiali, anch'essi rielaborati, dell'incontro svoltosi a Numana, nell'estate 1973, in collaborazione con l'istituto di studi giuridici della Facoltà di Economia e Commercio dell'Università di Urbino; e Dalla parte delle Regioni - Bilancio di una legislatura, che nasce da un seminario tenuto a Roma nel dicembre 1973 e prosegue il discorso iniziato col primo quaderno della collana 'di studi regionali, « La via italiana alle regioni ». Nel 1975 verranno a conclusione altre due ricerche: la prima, che ha per oggetto la legislazione regionale, è un tentativo di anausi, condotto su un campione 'di regioni (Emilia-Romagna, Lombardia, Marche, Piemonte, Puglia, Toscana), del modo in cui si è sviluppata la iegislaione regionale in questa prima legislatura. Ad essa s,i accompagnerà un esame della esperienza del controllo governativo sulle leggi regionali. Il terna è di grande importanza: infatti l'idea regionalistica ha sempre individuato nella potestà legislativa regionale la « sede » dell'autonomia politica dei nuovi enti e, dunque, lo strumento per mezzo dei quale essi avrebbero potuto prendere parte, come soggetti autonomi, alla predisposizione degli indirizzi politici nazionali. Il tema, al momento dell'attuazione regionale fu visto, così, in chiave di « riforma dello Stato », di


23 « pluralizzazione » degli indirizzi politici e così via. In che misura la effettiva legislazione regionale, quella concretamente posta in essere in questo primo quinquennio, risponde a tali aspettative? O quanto, piuttosto, il tipo di legislazione regionale che si è affermato evidenzia, da un diverso punto di vista, la tendenza da più osservatori rilevata verso •una .« amministrativizzazione » delle regioni? L'essere cioè queste, più che soggetti di autonoma individuazione di indirizzi politici, soggetti di « democratizzazione» della amministrazione pubblica. Alcuni dati sembrano sorreggere questa ultima tesi, piuttosto che la prima: la « fuga» delle region.i dalla attività legislativa e il privilegiamento della « via amministrativa »; la prevalenza di leggi di spesa, piuttosto che dileggi di riassetto e riforma degli indirizzi e delle modalità dell'azione pubblica nei vari settori regionali, e così via. Con la seconda ricerca, che conclude nel 1975 una sua prima fase, viene compiuto l'esame dei problemi del governo locale in Europa. Oggetto della ricerca è il tema complessivo del « governo locale» e cioè, da una parte la spinta regionalistica alla quale si assiste in Europa e, dall'altra, il profondo rimescolamento dei tradizionale assetto dei minori poteri locali. L'obiettivo della ricerca è duplice. Si tratta di porre in primo piano e di far prendere coscienza agli operatori politici e culturali

italiani della non isola'bilità del problema regionale da quello (o da quelli) deI riordino dei poteri locali minori, 'tanto più in un momento, come l'attuale, in cui la prevalente proiezione delle regioni italiane verso il « centro » cioè il suo privilegiare il rapporto con lo Stato, sem.bra in fase di riflusso anche per le note vicende del la situazione economica che vengono per lo più interpretate nel senso di imporre una fase di « riaccentramento ». Sorge, allora, la necessità per le regioni di trovare e far maturare una più vasta legittimazione alla propria esistenza attraverso un raccordo Più intenso e meno episodico con i poteri locali minori. Ma questo esige che la regione si dia carico anche dei processi di profonda modificazione in atto a livello subregionale, in modo •da inserirsi in essi come componente essenziale di tutto il tessuto dei complessivi poteri locali. Questo approccio poteva essere tentato anche con riferim'ento alla sola situazione italiana. Ma non vi è dubbio che, in questo caso, avrebbe pesato sulla ricerca un certo « provincialismo » del dibattito italiano che per lo più non riesce a cogliere il problema oltre una ristretta Ottica di « riforma della legge comunale e provinciale ». Mentre le esperienze straniere mostrano un ben diverso spessore problematico e di soluzioni. Il confronto sarà fatto fra le esperienze di tre paesi che, per sistema politico ed istituzionale, sono raffrontabili all I.talia: Francia, Inghilterra, Germania.

(a cura del Centro Studi della Fondazione A. Olivetti)


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Un servizio di documentazione critica: la nuova serie di «Queste Istituzioni»

Nell'ambito del programma di ricerca sulle culture e sulle istituzioni politiche promosso dal Centro Studi della Fondazione Olivetti, è nata l'idea di un servizio di documentazione sulle condizioni e sui problemi dei poteri e delle istituzioni in Italia. E' parso utile cominciare con alcune rassegne bibliografiche ragionate: quali interpretazioni danno gli studiosi sulla situazione di singoli settori o soggetti istituzionali? L'iniziativa può realizzare una prima ricognizione utile per ulteriori programmi di ricerca sui problemi dell'ordinamento democratico in Italia. In prospettiva, l'idea è di costituire un « osservatorio » critico e sistematico della vita istituzionale in ràpporto alle principali trasformazioni della società. La stesura delle rassegne bibliografiche è stata curata dal « Gruppo di studio su società e istituzioni » con lintento di fare una panoramica generale della problematica relativa ad alcune 'istituzioni (il sistema politico italiano; il Parlamento; il potere militare; il dibattito sull'istituzione scolastica). Alle prime bibliografie pubblicate in fascicoli brevi di facile uso ne seguiranno altre dello stesso tipo. In una seconda fase l'orientamento di lavoro si specificherà per problemi e si allargherà ai contributi della letteratura di altri paesi. Alle rassegne bibliografiche del programma promosso dal Centro Studi della Fondazione Adriano Olivetti sono dedicati i primi 4 fascicoli della nuova serie di « Queste Istituzioni ». Alcuni successivi fascicoli conterranno i contributi autonomamente elaborati dal « Gruppo di Studio » sulla linea indicata nei numeri usciti nel 1973 e 1974. Come scelta di metodo ci interessa soprattutto la possibilità di intervenire su fatti e problemi in modo rapido e possibilmente sintetico ma con intenti di informazione critica. Siamo convinti che non sempre è necessario avere dati e documenti originali o « riservati », molto più conta in taluni casi analizzare, elaborare, controllare i dati disponibili. Molto spesso i centri di potere fanno conto sulla superficialità dei loro critici. I temi che saranno oggetto di intervento verranno scelti secondo criteri di attualità. Anche qui è bene precisare: non l'attualità dei con formismi pubblicistici ma quella verificata da una valutazione politica d'insieme. Nel complesso i singoli interventi verranno a costituire i filoni di interesse che caratterizzeranno la nostra presenza culturale. Lo strumento del fascicolo di 1-2 sedicesimi dedicato ad un solo tema ci sembra congeniiale ai nostri propositi. Ci sembra infatti necessario prendere atto che la rivista specializzata, di struttura sia antologica sia monografica continua a rimanere chiusa nel ben delimitato circuito culturale degli addetti ai lavori ed in questo senso non riesce ad essere portatrice di discorsi politici più ampi.

MI


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