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qUeste istituzioni 1981/1 ° semestre

GOVERNI, NON GOVERNI E SUBGOVERNI DELL'ENERGIA

3/Politica dell'energia, regioni, enti locali di Vincenzo Spaziante 10/Sviluppi istituzionali e legislativi della politica nucleare negli Stati Uniti di James R. Temples

Il problema è stato già affrontato altre volte sulle pagine di questa Rivista e può essere

così formulato: nel definire le linee di fondo di una politica energetica non si può non dare una giusta attenzione anche agli aspetti istituzionali. Non si può non considerare di quale apparato organizzativo ha complessivamente bisogno e di quali procedure, sedi, strumenti e soggetti effettivamente dispone una politica dell'energia per la realizzazione degli obiettivi che si prefigge. Ne' tanto meno si può, quando si accerti che un gap istituzionale esiste, omettere di suggerire soluzioni idonee a ripianarlo immaginando che le volontà politiche, comunque, abbiano sempre modo di sanare ogni eventuale punto di debolezza del progetto. Un piano energetico dopo l'altro, e già siamo al terzo in meno di sette anni, queste elementari regole cautelative vengono puntualmente disattese. Nuovi governi, nuovi ministri dell'industria, nuovi presidenti degli enti pubblici energetici, nuove proiezioni della domanda e dell'offerta d'energia; ma, alle prese con il problema di come debba essere articolata in termini organizzativi e istituzionali una politica dell'energia, le novità, se ci sono, quasi non si avvertono. Neppure gli estensori dell'ultima versione (luglio 1981) dell'ultimo piano energetico na-


2 zionale, presentato recentemente al CIPE e al .Parlamentò dal ministro dell'Industria Marcora, sembrano aver colto appieno l'importanza di offrire un quadro del potenziale impatto istituzionale del piano stesso che dia conto, per un aspetto non secondario,' dèl suo grado di attuabilità. Forse, perché le persone che vi hanno messo mano non sono poi molto diverse, almeno per formazione culturale ed esperienze professionali, da quelle che hanno collaborato alla stesura e alla revisione delle due versioni precedenti (se non anche all'elaborazione dei due piani precedenti). O forse, perché da un piano all'altro è appena diverso il dosaggio nella composizione del gruppo redazionale, che tuttavia rimane rappresentativo delle stesse forze di sempre: qualcuna più ascoltata e influente in un'occasione e qualcun'altra meno. Così, anche il nuovo piano risulta poveror di indicazioni di qualche respiro in ordine a punti essenziali di una politica dell'energia. In modo ancora troppo sfumato, per esempio, è posto il problema del ruolo delle regioni e degli enti locali, problema che pure tanto affatica in questo momento il Parlamento nella ricerca di una non facile intesa su alcune importanti iniziative legislative in materia 'd'energia: al tema .è dedicato l'articolo di apertura di questo fascicolo. Le, stesse prassi attraverso cui si è giunti alla definizione del piano avrebbero meritato maggiore attenzione. Una delicata funzione di governo dell'energia rimane, invece, ancora avvolta nell'ombra: con il rischio di un'evoluzione in senso subgovernativo analoga a quella descritta da James R. Temples, che ci pare' utile riproporre in questo fascicolo - nonostante qualche schematismo poco convincente - per i numerosi spunti di riflessione che offre.

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Politica dell'energia, Regioni, Enti Locali di Vincenzo Spaziante

Oggetto di questo articolo è l'attività legislativa e prelegislativa statale in materia di energia nei primi mesi del 1981 per gli aspetti che si collegano al ruolo delle Regioni in questo settore. Devo subito precisare che non intendo affrontare in modo organico il ruolo attuale o potenziale delle Regioni in materia d'energia. Aggiungo che non mi pro-, pongo né di dare una valutazione complessiva sui risultati di questa attività normativa o sugli effetti che ne potranno derivare, né tanto meno di desumerne una linea di politica legislativa omogenea, ancorché solo tendenziale. Verifiche di questo tipo richiedono infatti, oltre che strutture e forze appropriate, una base di riferimento temporale più significativa dei pochi mesi a cui intendo circoscrivere l'osservazione. La scelta di un arco di tempo così limitato non è peraltro casuale: ritengo infatti che anche nell'esperienza di questi cinque mesi, nelle leggi approvate dal Parlamento e nelle iniziative legislative avviate ormai a una probabile approvazione, si possano trovare molteplici elementi utili per una riflessione di più largo respiro che tocchi i punti centrali - se non tutti, i più significativi - del rapporto tra Stato e Regioni in materia d'energia. A mio avviso, questa riflessione può svilupparsi secondo due distinte prospettive. La prima prospettiva ha riguardo alle competenze delle Regioni in materia d'energia e a ciò che legittima sui piano formale e funzionale tali competenze. Nella seconda prospettiva il ruolo dellè Regioni in materia d'energia e le competenze formali che ne con-

seguono sono invece delineate con riferimento preliminare alle capacità di promozione e organizzazione del consenso sociale attorno a un progetto di politica energetica: il riferimento è qui, dunque; alla legittimazione di natura sostanziale - o se vogliamo, pòlitica - delle Regioni. Ora, a me sembra che le vicende legislative concernenti l'energia - quelle degli ultimissimi mesi così come tutte quelle precedenti - si siano svolte e siano state in genere valutate e discusse con un'attenzione rivolta in misura pressocché esclusiva alla prima prospettiva. E' questa, mi pare, la chiave secondo cui va ricostruita dalle origini fino ai più recenti sviluppi una complessa vicenda, cominciata parecchi anni addietro quando con la legge 18 dicembre 1973, n. 880, le Regioni a statuto ordinario furono investite per la prima volta di precise responsabilità in materia d'energia. La legge n. 880 riguardava in particolare la costruzione di nuovi impianti termoelettrici e l'ampliamento di impianti preesistenti e attribuiva alle Regioni che ne fossero state rkhieste dal Ministro dell'industria il compito di individuare e determinare le aree da destinare agli insediamenti. Nata sotto la spinta di una duplice emergenza, reale ma con effetti convergenti soprattutto se non soltanto sul piano delle psicologie sociali (da un lato, la crisi mediorientale; dall'altro, le impasses nella localizzaziòne di nuove centrali), la legge numero 880 si muoveva nella prospettiva temporalmente e culturalmente corta del prov-


4 vedimento d'urgenza. E' significativo, del resto, che la legge in questione traesse occasione da un decreto legge (22 settembre 1973, n. 568) cui il Parlamento aveva negato la conversione. Come era facile prevedere se solo si fosse valutata la questione delle localizzazioni elettriche in termini meno sbrigativi, la legge del '73 non ha poi dato, all'atto dell'applicazione, risultati di qualche importanza. Considerazioni analoghe valgono anche per la successiva legge 2 agosto' 1975, n. 393, anch'essa concernente la localizzazione degli impianti (termici, nucleari e turbogas) per la produzione di energia elettrica e anch'essa preceduta dall'emanazione di un decreto legge non convertito (17 marzo 1975, n. 50). Con in più, se vogliamo, questo: che la legge n. 393 poteva beneficiare di un clima internazionale complessivamente meno gravido di incognite per ciò che attiene alla sicurezza di continuità degli approvvigionamenti energetici e comunque - ciò che più conta poteva far tesoro di un biennio quasi pieno di inapplicazione della prima. Né l'una né l'altra circostanza, tuttavia, hanno favorito l'approvazione di una legge più meditata. Si è molto discusso sul perché queste due leggi non abbiano conseguito nei fatti il loro scopo principale, che - fuori di ogni ipocrisia - era né più né meno che quello di venire a capo delle resistenze opposte da enti e comunità locali alla costruzione di nuove centrali elettriche, a tal fine facendo delle Regioni il punto di intermediazione del consenso tra potere centrale e poteri locali. Per alcuni, i poteri che in tal modo si attribuivano alle Regioni erano sovradimensionati rispetto alle esigenze che effettivamente si ponevano e, nonché facilitarla, aggiungevano solo un ulteriore elemento di complicazione e di ritardo nella definizione dei siti, nucleari e no.

Ad altri, invece, quegli stessi poteri sono parsi assolutamente modesti - quanto alla ampiezza - e soprattutto dimezzati nella sostanza: valevano in una sola direzione, quella della ricerca di conferme e di adesioni incondizionate a scelte di localizzazione già definite e incontrovertibili (nel se, nel dove e nel come) e non anche nella direzione opposta. A mio avviso, c'è del vero nell'una e nell'altra osservazione. Se è innegabile che i poteri attribuiti alle Regioni in materia di grandi impianti elettrici erano sulla carta limitati e non sempre decisivi, è anche fuor di dubbio che attorno a questa timida apertura le Regioni abbiano poi saputo (e in parte dovuto) costruirsi un ruolo di fatto assai più sostanzioso di quello che lo Stato aveva inteso riconoscere. Un ruolo - vale aggiungere - che in ogni caso pare difficile ricondurre nell'ambito di un'attività di semplice consulenza urbanistica, come talora anche da parte regionale si è detto con enfasi tutte negative e in parte improprie, perché quella attività di « consulenza urbanistica sottintende funzioni politiche di grosso rilievo: per esempio, quelle legate alla valutazione e al controllo degli impatti economici e sociali connessi ai grandi insediamenti elettrici. A lungo andare, comunque, questo ruolo è risultato scomodo e logorante, più che per ogni altro, per le stesse Regioni, le quali sono venute a trovarsi strette nella morsa di tensioni interistituzionali difficilmente controllabili e districabili. Da questa morsa le Regioni - non tutte, per la verità, e non tutte con la stessa sensibiità - hanno cercato di uscire in due modi. In primo luogo hanno tentato di dotarsi di strumenti sia tecnico-scientifici che organizzativi attraverso cui dare maggiore consistenza al ruolo loro attribuito dalle due leggi relative alla localizzazione di centrali elettriche. In secondo luogo, hanno cercato di ampliare gli spazi della propria pre-


'i senza nel settore energetico arricchendola di iniziative e di connotazioni che andavano ben oltre l'orizzonte tematicamente limitato di quelle due leggi. Devo dire che questi tentativi sono stati in genere male interpretati dal governo centrale, che - fin dove ha potuto - li ha puntualmente avversati nell'ottica miope e minuta del contenzioso sempre aperto con le Regioni. Basterebbe ricordare a questo proposito la sorte che è toccata alle diverse leggi regionali dirette a favorire lo sviluppo delle fonti rinnovabii di energia. A questa puntigliosa azione di contenimento delle iniziative regionali si è accompagnato, facendo cerchio, un atteggiamento di netta chiusura sul versante della legislazione statale. Senza sostanziali oscillazioni, questo orientamento di fondo è prevalso per tutti gli anni passati, superando indenne nel 1977 anche lo scoglio del secondo trasferimento di funzioni amministrative alle Regioni, e si è riproposto con assoluta fedeltà al copione originario in occasione delle principali vicende legislative di questo scorcio del 1981, sulle quali vorrei ora fare il punto in relazione al tema specifico di quest'incontro. Scorrendo i testi delle leggi che in quest'ultimo periodo sono state approvate o si sono avvicinate all'approvazione, mi sembra di poter escludere che si siano dischiusi o stiano profilandosi per le Regioni nuovi spazi di intervento significativi. Talora, naturalmente, aperture di questo tipo non si sarebbero potute neppure concepire. Mi riferisco, in particolare, alla disciplina delle scorte petrolifere obbligatorie e strategiche (legge 10 febbraio 1981, n. 82), alla ulteriore proroga del termine di scadenza delle concessioni idroelettriche (decreto legge 31 gennaio 1981, n. 13, convertito con modificazioni nella legge 1° aprile 1981, n. 106), all'assegnazione al CNEN di un contributo statale di 248 miliardi di lire a completamento del finanziamento dell'attività del-

l'Ente per il 1980 e a titolo di anticipazione per ilprimo quadrimestre 1981 (decreto legge 8 gennaio 1981, n. 5, convertito nella legge 12 marzo 1981, n. 59), alla riesumazione di alcune norme del decreto legge n. 68/1980 relative al contenimento dei consumi energetici (decreto legge 31 gennaio 1981, n. 12, convertito nella legge 1° aprile 1981, numero 105). Si tratta, nel complesso, di una legislazione di basso profilo che se non presenta aspetti di immediato interesse regionale si presta tuttavia ad alcune riflessioni su temi generali di politica dell'energia. Per esempio, la legge con cui è stata accordata la proroga di altri dieci mesi ai concessionari delle derivazioni idroelettriche mi sembra sottolinei almeno due fondamentali esigenze di carattere istituzionale. Sul versante parlamentare, l'esigenza è quella di costituire un punto di riferimento stabile per le attività concernenti i problemi dell'energia. Sappiamo che qualcosa del genere è già stato fatto alla Camera dei deputati dove nell'ambito della Commissione industriale è stato di recente costituito un comitato permanente per l'energia. Ma non basta: occorre ora dotare questo comitato, oltre che di strumenti conoscitivi appropriati, di una memoria storica delle proprie attività che eviti, tra le molte altre cose evitabili, al Parlamento di trovarsi troppo a ridosso dei fatti (come è stato in questa occasione) senza il tempo necessario per entrare nel merito dei problemi e risolverli adeguatamente. Una seconda esigenza emersa in questa medesima occasione è quella di risolvere sul versante amministrativo annose contitolarità di competenze; come quella, in particolare, tra Ministero dell'industria (competente in linea generale in materia di produzione di energia elettrica) e Ministero dei lavori pubblici (competente per il solo settore degli impianti idroelettrici) che nel caso dell'ulti-


ri ma proroga delle concessioni può aver concor: so a determinare l'atteggiamento di sostanziale estraneità dimostrato dal Governo, limitatosi a svolgere un ruolo puramente arbitrale tra le parti interessate (ENEL; imprese autoproduttrici, aziende municipalizzate). A riflessioni di tutt'altro ordine induce il decreto legge n. 5 del 1981, con il quale sono state assicurate al CNEN le risorse finanziarie necessarie a coprire la gestione 1980 e a far fronte ai primi impegni di spesa per l'anno in corso. L'assegnazione di questo contributo non mi pare di per sé episodio particolarmente innovativo rispetto alle -più recenti prassi di finanziamento dell'Ente. Due aspetti mi sembra però importante sottolineare a questo proposito. Il primo è che in sede di conversione del decreto legge il Parlamento ha voluto impegnarsi a un finanziamento del CNEN su base quinquennale (come indica l'articolo 1 della legge, secondo cui la recente assegnazione « costituisce una anticipazione sulla somma che verrà stanziata con la legge di finanziamento del CNEN per il quinquennio 1980-84 »). Il secondo aspetto è che la riserva di 23 miliardi destinata al finanziamento delle azioni di ricerca, sviluppo, dimostrazione e promozione del CNEN nel settore delle fonti rinnovabili di energia e del risparmio energetico conferma un orientamento di massima favorevole all'allargamento del campo di attività del CNEN a settori diversi da quello nucleare, così come concordemente indicato nei due progetti di riforma del CNEN tuttora all'esame del Senato. Prima di passare ad altri punti di questa relazione vorrei ancora dire che dietro le vicende legislative appena ricordate si possono cogliere - per suggestioni problematiche più ché per stringenti connessioni logiche - alcune questioni che sono a vario titolo connesse con una presenza delle Re-

gioni nel settore energetico concepita e modellata in funzione di quei compiti di promozione e organizzazione del consenso sociale che maggiormente si adattano alla natura squisitamente politica delle autonomie regionali. In questa prospettiva la vicenda delle proroghe idroelettriche, nella quale hanno avuto parte di rilievo le aziende municipalizzate, offre lo spunto per avviare una discussione sul grosso problema dei rapporti . tra Regioni ed enti locali in materia d'energia. Devo dire in assoluta franchezza che nessuna delle interpretazioni o riformulazioni di questi rapporti mi ha mai pienamente convinto. Un po' per il carattere fortemente allusivo (e talora addirittura elusivo) di molte riflessioni, come quella secondo cui « i rapporti fra le Regioni e gli enti locali, nel rispetto reciproco delle competenze, vanno congegnati in modo prevalentemente convenzionale, soprattutto in funzione di flussi di finanziamento e di regolazione dei finanziamenti in rapporto ai risultati che si raggiungono o si vogliono raggiungere ». Un po', anche, perché - quando non si sono considerate le Regioni e gli enti locali come espressione omogenea di un unico potere o di un'alleanza di poteri contrapposti a quello centrale - si sono ricondotti tutti indistintamente gli enti locali alla specie più nota, quella comunale, senza peraltro neppure accennare alle differenze sostanziali che corrono tra piccoli comuni rurali o montani e grossi centri urbani, tra comuni che si avvalgono di ben collaudate e poderose aziende municipalizzate (mono o pluriservizi) e comuni che dispongono unicamente dei propri stentati uflci tecnici e amministrativi, tra comuni utilizzatori e comuni produttori d'energia. In questa situazione estremamente diversificata, le Regioni si sono trovate a giocare, rispetto agli enti locali, una molteplicità di ruoli. Talora ruoli serventi di trasmissione


7 e amplificazione delle istanze locali, come nel caso della prhna fase del programma di metanizzazione del Mezzogiorno che il CIPE ha approvato il 27 febbraio, di quest'anno tenendo conto delle indicazioni pervenute dalle Regioni meridionali; le quali, a loro volta, non hanno fatto che recepire le richieste di ampliamento del numero dei comuni metanizzabili e di integrazione del disegno delle bretelle di adduzione secondaria del metanodotto formulate dagli enti locali. Talora ruoli solidali, come è avvenuto in genere rispetto ai comuni nei quali avrebbero dovuto essere localizzati grandi impianti di produzione dell'energia elettrica. Talora ruoli velatamente conflittuali, come nei confronti di un certo municipalismo aziendalizzato ed efficiente, che non aveva certo bisogno né di sostegno né di sollecitazioni da parte delle Regioni, potendo contare su anni di esperienza nel campo dell'energia. Altre volte si è trattato di un ruolo propulsivo alimentato soprattutto attraverso una pionieristica attività di diffusione delle informazioni. Aire volte ancora di un ruolo consultivo, nel senso più largo possibile del termine. Questa complessità e dinamicità del ruolo regionale, che sul piano del consenso sociale si è rivelato assai più ricco di contenuti e di prospettive di ogni possibile organigramma di sistema energetico nazionale articolato per aree funzionali di competenza o peggio per settori materiali di intervento, non va assolutamente sacrificata per rispetto a ottuse pretese di istituzionalizzazione forzata: ha semmai bisogno di perdere ogni traccia residua di casualità per divenire, laddove già non è, strumento consapevole e coordinato di programmazione. Restando sulla falsariga delle precedenti osservazioni, un altro aspetto dei recenti interventi legislativi. che rinvia ai problemi. di

definizione di un possibile ruolo, regionale in materia d'energia è connesso alle due proposte di riforma istituzionale del CNEN, d'iniziativa del Governo (AS. n. 1128) e dei senatori socialisti Spano e altri .(A.S. n. 1138). Come è noto, le due proposte - che a quanto mi risulta sono ancora all'esame di una sottocommissione costituita nell'ambito della Commissione industria del Senato con il compito di redigerne un testo unificato - non solo tendono ad allargare il campo di. attività del CNEN a settori diversi da quello nucleare, ma puntano in prospettiva alla creazione di un nuovo ente che dovrebbe rilevare le attività svolte attualmente dalla DISP in materia di sicurezza e protezione sanitaria contro i rischi derivanti dalle utilizzazioni dell'energia nucleare. Che i due testi. differiscano più che nella sostanza nelle modalità procedurali e temporali di questa separazione delle funzioni di controllo da quelle di ricerca e promozione industriale è un fatto di importanza abbastanza secondaria ai fini di ciò. che qui interessa. Come pure secondario è che sullo sfondo di questa riforma sia ancora viva l'eco delle polemiche che hanno avuto per tema dapprima l'incompatibilità delle due funzioni in capo al medesimo ente e in seguito l'esatta individuazione delle competenze spettanti rispettivamente al CNEN e all'Istituto Superiore di Sanità in materia di controlli sanitari. Il punto che vorrei segnalare è invece un altro. Le due proposte di riforma del CNEN non .prevedono, almeno nella formulazione che se ne conosce, un'articolazione su base territoriale delle funzioni di controllo sulla sicurezza nucleare e sulla protezione sanitaria. Imputate a un nuovo ente - sia pure diverso da quello che subentrerà al CNEN nell'esercizio delle attività di promozione e ricerca nucleare ---- tali funzioni, così come sono state delineate, non consenti-


ranno se non occasionalmente che si sviluppino forme concrete e consapevoli cli controllo sociale sull'uso delle tecnologie di esercizio e di sicurezza impiegate nei grandi impianti elettrici, nucleari e convenzionali. Ove quest'orientamento legislativo trovasse conferma definitiva, con ogni probabilità le Regioni verrebbero a perdere uno strumento essenziale alla formazione di una coscienza sociale avveduta, informata e partecipe realmente dei problemi più gravi del nostro tempo. Vorrei ora passare, dandovi tutta l'attenzione che merita, ad un altro provvedimento attualmente all'esame delle Camere che potrebbe assumere un rilievo centrale nella costruzione di un ruolo delle Regioni in materia d'energia. E' il noto disegno di legge governativo sul. contenimento dei consumi energetici e lo sviluppo delle fonti rinnovabili d'energia (A.S. n. 655 bis, ora A.C. n. 2383). Non entro analiticamente nel' merito delle singole disposizioni dell'iniziativa, anche perché il lavoro di perfezionamento che il Parlamento ha avviato sul testo originariamente proposto dal Governo non può dirsi concluso e potrebbe anzi riservare ancora numerose sorprese. A un lavoro di revisione analogo a quello già portato a termine dal Senato si accinge infatti ora la Camera, che potrebbe utilizzare la duplice occasione dell'approvazione della legge finanziaria per l'anno 1981 (che con l'art. 25 ha elevato a 1.610 miliardi di lire per il triennio 1981-83 la portata finanziaria degli interventi in questo settore) nonché del pacchetto di emendamenti presentato recentemente dalle Regioni per dare una diversa caratura al testo licenziato dal Senato. Mi limito invece a considerare le linee fondamentali di questa iniziativa, nella formulazione attuale, in riferimento al ruolo che viene assegnato alle Regioni. Una •prima osservazione è che i molteplici

aggiustamenti operati dalla Commissiòne industria del Senato hanno dato, del testo del Governo, una versione più presentabile, improntata all'idea della necessità di assicurare una più diffusa partecipazione regionale. Aperture in questa direzione non mancavano, per la verità, neppure nel testo governativo; ma erano assai misurate, in ossequio al principio generale, enunciato nella relazione d'accompagnamento, secondo cui poteva essere « decentrata al massimo » solo la gestione di interventi concernenti settori di competenza regionale, mentre doveva essere mantenuta accentrata, per esigenze di controllo e soprattutto di coordinamento, la gestione di tutti gli altri interventi. Nel testo approvato dal Senato questo principio cautelativo non viene accolto. Si riconosce invece l'esigenza di ampliare il campo degli interventi delegati alle Regioni: sia « per rendere più sollecita una gestione decentrata della legge », come è detto nella relazione della Commissione industria, sia per « coinvolgere attivamente gli enti locali tutti nella politica energetica che, pur essendo una materia di alta strategia centralizzata per la tempestività e la congruità diversificata dei riferimenti, ha bisogno di attenta considerazione e di diffusa conoscenza periferica per l'utilizzo di ogni risorsa e l'attuazione di ogni risparmio ». Una seconda osservazione è che, malgrado il riconoscimento delle ragioni in favore del decentramento, alle Regioni viene null'altro che delegata la gestione di interventi che si risolvono nella concessione di contributi. Ampliato il campo delle attività delegate, il Senato non ha infatti ritenuto potersi allontanare dal criterio-guida della delega di funzioni puramente attuative (sia pure contemperato dalla facoltà di subdeleghe dalle Regioni agli enti locali): funzioni che sono poi la negazione più piena di quel ruolo politico della Regione come soggetto di pro-


grammazione che, se non è facile costruire nei fatti (perché richiede grosse sensibilità politiche, professionalità nuove, modeffi organizzativi non tradizionali) è però facilissimo ostacolare impedendo alle Regioni compiti minuti di bassa amministrazione. Terza considerazione. Molto opportunamente le Regioni hanno concordato tra loro un importante emendamento al disegno di legge governativo, con il quale si autorizzerebbe - ai sensi dell'art. 117, ultimo comma, della Costituzione - l'emanazione di norme regionali d'attuazione. Questo emendamen to potrebbe avere l'effetto di riequiibrare un meccanismo che appariva tarato male a tutto svantaggio delle potenzialità di autonoma iniziativa delle Regioni. Potrebbe però anche dare a questo 'meccanismo una taratura approssimativa ancora per eccesso ma nel sen so opposto, e questa volta non ben calibrata alle effettive capacità organizzative e propositive di tutte le Regioni. Se l'emendamento verrà accolto dal Parlamento, credo che il gruppo incaricato del coordinamento energetico interregionale, da poco costituito, si troverà ; a dover affrontare compiti ben più gravosi di quelli fin qui svolti.

Quarta ed ultima considerazione. 'Al disegno di legge sullo sviluppo delle fonti rinnovabili 'd'energia è stato aggiùnto al Senato un articolo che ripropone la questiòrie dei contributi ai comuni e alle 'Regioni, « quale concreto apprezzamento - così si esprime la' relazione della Commissione industria - degli oneri e delle incombenze relative alla pro-' duzione di energia elettrica con fonti diverse dagli idrocarburi sui rispettivi terreni ». 'Tale norma potrebbe forse porre ordine in una materia che dal 1973 a oggi è stata regolata più volte con una leggerezza che ha dato luogo ad applicazioni difformi ed estremamente laboriose. Certo è che non basta a considerare esaurito il complesso discorso delle localizzazioni elettriche, specie quelle nucleari, per le quali continuano ad applicarsi le anacronistiche disposizioni del DPR n. 185/1964. che regolano i procedimenti amministrativi per l'approvazione delle ubicazioiii e dei progetti di massima degli impianti, senza tener conto - né del resto potevano - che :di lì a qualche anno la carta costituzionale avrebbe avuto attuazione anche per la parte relativa all'ordinamento regionale.


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Sviluppi istituzionali e legislativi della politica nucleare negli Stati Uniti di James R. Temples

Nel corso degli ultimi anni, e non solo dopo l'incidente di Three Mile Island, l'orientamento dei poteri pubblici in materia di licenze per la costruzione di céntrali nucleari è notevolmente cambiato. L'ipotesi di fondo in quest'articolo è che l'evoluzione del ruolo del governo federale in questo campo sia da collegare al passaggio del subgoverno nucleare dalla fase « distributiva » a .quella « regolatoria Occorre innanzitutto chiarire cosa si intende per subgoverno. Secondo un'interpretazione del sistema politico americano che trova crescenti consensi ', i subgoverni sono alleanze,, relativamente chiuse e sufficientemente autonome, di soggetti sociali e istituzionali che operano in un determinato settore e controllano le decisioni politiche ad esso relative. Sempre secondo quest'interpretazione, gli elementi costitutivi di un subgoverno sòno tre: un'agenzia governativa, i gruppi di interesse, che traggono concreti benefici dall'attività dell'agenzia, le commissioni e i sottocomitati del Congresso che controllano il bilancio e f programmi della agenzia. Per altri autori 2 invece, le relazioni tra i molteplici soggetti e istituzioni che parteci.pano a un processo decisionale dipenderebbero, più che dalle caratteristiche del subgoverno, dalla natura, distributiva o regolatoria, delle politiche sostanziali. Politiche di tipo distributivo, in particolare, sarebbero quelle che riservano concreti benefici (di regola finanziari) a persone o gruppi particolari. Il 'processo decisionale attraverso, cui

si realizzano le politiche di questo tipo sarebbe caratterizzato da una condizione di scarsa .pubblicità e dall'assenza di competizione tra i beneficiari, i quali avvertono come limite principale al soddisfacimento delle proprie richieste più l'effettiva disponibilità di fondi che la concorrenza di altri soggetti. Nelle politiche di natura regolatoria, invece, il governo seleziona gli interessi in gioco operando una scelta - tra chi dovrà essere soddisfatto e chi sacrificato: ciò spinge alla competizione i diversi gruppi di interesse e richiede un certo grado di pubblicità se non altro nei confronti dei gruppi in competizione. Ai due schemi interpretativi che ho ricordato se ne è aggiunto più di recente un terzo che cerca di combinare lo schema del subgoverno con quello della natura delle politiche pubbliche. E' il caso di Ripley e Franklin i quali hanno rilevato che il potere di influenza dei subgoverni non è sempre lo stesso ma varia sensibilmente a seconda del tipo di politica pubblica. Nelle politiche di tipo distributivo, per esempio, il potere d'influenza sarebbe massimo: di norma, le decisioni vengono prese « dietro le quinte », tra membri di una commissione parlamentare e funzionari governativi, sulla base di alleanze, relativamente stabili nel tempo, tra gruppi d'interesse. Nelle politiche di tipo regolatorio, invece, l'influenza del subgoverno è relativamente modesta, i partecipanti sono più numerosi e più facilmente riconoscibili, la competizione è più accesa.


11 Le coalizioni (instabili e mutevoli) tra i gruppi che si contendono le risorse disponibili hanno come interlocutore principale l'assemblea più che le commissioni o i sottocomitati del Congresso. Infine, il potere d'influenza del presidente, per quanto sempre modesto, si avverte più nelle politiche di tipo regolatorio che in quelle distributive. Ripley e Franklin aggiungono un'ulteriore considerazione: i soggetti e la natura del processo decisionale in un dato settore possono mutare col tempo. Un subgoverno può diventare più riconoscibile, può assumere nuove funzioni, può variare il numero e la rappresentatività dei soggetti che ne fanno parte. Per quanto accada molto di rado, un subgoverno può addirittura dissolversi perché violentemente contestato oppure perché incapace ad adeguarsi ad un sostanziale mutamento di situazione.

LA NASCITA DEL SUEGOVERNO NUCLEARE

All'alba dell'era atomica, alla fine della Seconda guerra mondiale, un'industria nucleare come la conosciamo oggi ancora non esisteva. Il rapporto tra governo federale e industria nucleare è strettissimo, fin dall'inizio e fin dall'inizio si discosta dal modulo consueto nel quale un'industria già forte e affermata riesce a piegare l'intervento governativo alle proprie esigenze. Il caso dell'industria nucleare è unico: qui è il governo federale che crea le condizioni perché l'industria possa nascere. Come è stato osservato, «lo sviluppo dell'industria nucleare non è legato alla sua competitività in un mercato aperto.. E' in tutto e per tutto il frutto della volontà, dell'attività promozionale e delle sovvenzioni del governo. Senza quest'attivo sostegno l'industria nucleare non sarebbe mai esistita, né oggi potrebbe sopravvivere » Le basi di quello che sarebbe diventato ben presto un subgoverno chiuso e caratteriz-

zato da un policymaking di tipo distributivo furono gettate, dunque, nel periodo 194.61954. Dopo che l'atomo era stato utilizzato a fiii militari nell'ambito del « progetto Manhattan» durante la Seconda guerra mondiale, il Congresso approvò nel 1946 la legge sull'energia atomica (Atomic Energy Act) con lò scopo di porre la tecnologia nucleare sotto il controllo civile e di incoraggiarne le utilizzazioni pacifiche. A tal fine la legge istituiva la Commissione per l'ener-

gia atomica (Atomic Energy Commission AEC), un'agenzia composta & cinque commissari civili nominati dal presidente e confermati dal Senato per un periodo di cinque anni, e creava una nuova commissione parlamentare, la Commissione bicamerale per l'energia atomica (Joint Committee on Atomic Energy - . JCAE), con compiti . di vigilanza sull'AEC. In un primo momento sia la Commissione bicamerale per l'energia atomica che l'AEC, •mancando di adeguati supporti tecnici, mantennero un atteggiamento prudente e fecero un uso cauto dei propri poteri lasciando che a formulare la politica dell'AEC fossero gli scienziati del Comitato di consulenza generale (Generai Advisory Committee - GAC). Ma già nel 149, quando l'Unione Sovietica fece esplodere (con un anticipo. di tre anni rispetto alle previsioni del GAC) la prima bomba atomica, la fiducia della Commissione bicamerale nei confronti del GAC cominciò a vacillare: di lì in avanti la Commissione bicamerale avrebbe fatto sentire con sempre maggiore autorevolezza tutto il suo peso nelle decisioni in materia d'energia nucleare. Gli effetti di questa svolta non tardarono a farsi sentire e furono in alcuni casi clamorosi. Dopo che un'inchiesta promossa dalla Commissione bicamerale per l'energia atomica accertò errori e leggerezze di vario tipo nell'attività dell'AEC, David Lilienthal, primo presidente dell'AEC e già direttore della Tennessy Valley Au-


12 thority, fu costretto a dimettersi. Il rifiuto di concedere a J. Robert Oppenheimer (che in precedenza aveva diretto il GAC) l'attestato di sicurezza nazionale segnò l'inizio di una lunga storia di repressione del dissenso all'interno dell'AEC che sarebbe andata •ben oltre il periodo del maccartismo. Ma la Commissione bicamerale per l'energia atomica non si limitò a sostenere la necessità di un maggior controllo sull'AEC; enfatizzò anche il carattere distributivo della politica nucleare spingendo l'AEC ad aiuta-. re concretamente l'industria privata per far sì che questa, nel più breve tempo possibile, fosse in grado di . mettere in esercizio reattori nucleari per la produzione di energia elettrica. Le relazioni tra la Commissione bicamerale per l'energia atomica e 1'AEC migliorarono sensibilmente; e non poteva essere altrimenti, essendo ambedue interessate a dare protezione e sostegno all'industria nucleare.

POLITICA DISTRIBUTIVA E INDUSTRIA NUCLEARE DOPO XL

1954

Fu per iniziativa della Commissione bicamerale per l'energia atomica che dopo il 1954 la politica nucleare americana seguì un indirizzo di tipo distributivo. Già nel 1954, le pressioni della Commissione indussero il Congresso a modificare l'Atomic Energy Act. Le modifiche avevano il duplice scopo di spingere I'AEC a decretare la fine del monopolio del governo federale sulla tecnologia nucleare e ad offrire concreto aiuto alle società private che intendesserò costruire e mettere in esercizio centrali nucleari su licenza dell'AEC. Dal 1954 fino ai primi anni Sessanta, il programma dimostrativo dell'AEC sui reattori nucleari previde forme di assistenza tecnica e finanziaria alle imprese ma anche borse di studio •e contratti di ricerca da

utilizzare nei laboratori delle industrie, delle università e del governo. L'AEC finanziò inoltre le ricerche sui sistemi di sicurezza, sul trattamento delle scorie, sui combustibili nucleari.. Secondo stime prudenti del governo, i contributi federali pei lo sviluppo dell'energia nucleare fino al 1977 superarono complessivamente i 9 miliardi di dollari5 In origine all'AEC era stato affidato il duplice compito di promuovere lo sviluppo dell'energia nucleare e di regolarne la sicurezza. Col passare del tempo questi due obiettivi parvero sempre più incompatibili tra loro. Di fatto, i problemi della sicurezza nucleare furono notevolmente trascurati e per tutti gli anni Cinquanta l'AEC se ne occupò in una sola occasione, quando stabilì che gli impianti sperimentali dovessero éssere localizzati lontano da grossi centri abitati. Ma anche quest'indirizzo fu interpretato con molta larghezza. In pratica, avvenne che il fine della promozione, più facile da conseguire e politicamente pagante, fece premio sul fine della regolazione, che poneva problemi assai più complessi e delicati. Nonostante gli aiuti federali, alla metà degli anni Cinquanta l'industria privata esitava ancòra ad investire ingenti capitali nell'energia. nucleare. Uno dei motivi di maggiore resistenza era il timore di dover sostenere per intero il risarcimento dei danni in caso di incidenti. Proprio per superare questo tipo di preoccupazioni, la Commissione bicamerale per l'energia atomica fece approvare nel 1957 dal Congresso il Price-Anderson Aci che limitava la responsabilità per danni delle imprese esercenti reattori nucleari a un importo massimo di 560 milioni di dollari (un limite, questo, che vale ancora oggi nonostante beh tre studi eseguiti su commissione dell'AEC abbiano dimostrato come q.uel tetto, anche senza tener conto dell'inflazione, sia di per sé irra.


13 gionevolmente basso in considerazione delle perdite di vite umane e dei danni alle cose che potrebbero derivare da un grave incidente nucleare) 6 . Il Price-Anderson Act ebbe tuttavia sull'industria nucleare gli effetti che la Commissione bicamerale per l'energia atomica aveva immaginato: a partire 'dal 1957 gli ordinativi per nuove centrali aumentarono costantemente e quello stesso anno entrò in •funzione vicino a Shippingport, in Pennsylvania, il primo reattore commerciale degli Stati Uniti. L'influenza della Commissione bicamerale per l'energia atomica all'interno del subgoverno nucleare derivava da un insieme di elementi. In primo luogo, era l'unica Commissione bicamerale istituita per legge, e l'unica con compiti legislativi. La normale tendenza del Congresso, a far proprie le indicazioni legislative delle commissioni permanenti era rafforzata, in questo caso, dalla segretezza e dalla complessità . tecnica della materia. Inoltre, i membri della Commissione bicamerale per l'energia atomica condividevano, al di là delle distinzioni di partito, un identico senso quasi evangelico della loro missione di promozione nucleare. Infine, in seno alla Commissione per l'energia atomica il Comitato, per le questioni legislative e per la ricerca e sviluppo manteneva un rapporto particolarmente stretto con l'AEC, controllando la fase legislativa del processo decisionale di tipo distributivo (e quindi la concessione di contributi all'industria nucleare). Un ruolo altrettanto importante la Commissione bicamerale per l'energia atomica riuscì a svolgerlo, almeno negli anni Cinquanta e Sessanta, anche' nei confronti delle decisioni del presidente in materia di politica nucleare. Come accade di norma per ogni politica di tipo distributivo, tutti i presidenti (repubblicani e democratici) si rimisero alle decisioni della Commissione bicamerale e dell'AEC. Un episodio mi sembra parti-

colarmente significa,tivo. Quando nel 1962 si rese necessario procedere alla nomina di due nuovi membri dell'AEC, il presidente della Commissione bicarnerale, Holifield, fece pressione su1 presidente Kennedy perché uno dei due posti vacanti fosse assegnato a James T. Ramey, che dirigeva lo staff della Com'missione. Malgrado questa candidatura incontrasse forti resistenze, all'interno dell'amministrazione, Kennedy fu costretto a cedere quando Holifield minacciò, nel caso non fosse stata accolta la sua proposta, di non dare la propria conferma a nessun altro candidato presidenziale 7 Dopo aver dato un'impronta di tipo distributivo alla politica nucleare, il ruolo della Commissione bicamerale nell'ambito del subgoverno nucleare fu poi di mera routine per tutti gli anni Sessanta, anche quando l'industria nucleare divenne un potente gruppo di pressione nei confronti del governo .

federale. L'Atomic Industrial Forum, l'American Nuclear Energy Council, l'American Naclear Society, l'Edison Electric Institute spesero milioni di dollari per la pubblicazIone e diffusione di opuscoli informativi di ispirazione filonucleare destinati alle scuole e ai giornali e per finanziare iniziative analoghe (molte detraibii dal reddito ai fini fiscali) tutte rivolte a enfatizzare i vantaggi dell'energia nucleare. A questi primi gruppi di pressione filonucleare se ne aggiunsero presto altri: scienziati cui l'AEC offriva contratti di ricerca o di consulenza, imprese di costruzione, società minerarie del settore dell'uranio, società d'ingegneria e progettazione (come la Bechtel Corporation) e infine le quattro grosse società (Westinghouse, General Electric, Babcock and Wilcox, Combustion Engineering) già prossime a controllare l'industria nucleare. Anche alcune grosse compagnie petrolifere come la Gulf e la Exxon entrarono nell'affare nucleare con i loro interessi uraniferi e anch'esse, insieme alle società che costruivano


14 o gestivano centrali nucleari, contribuirono con larghezza di mezzi al finanziamento delle 'campagne elettorali dei membri più influenti della Commissione bicamerale per l'energia atomica 8 . Ma anche gli ex parlamentari, come è naturale, furono richiestissimi dalla lobby nucleare e qualcuno di loro fece il gran salto: come Craig Hosmer, un membro della Commissione, che, lasciato il Congresso, divenne direttore dell'Ame-

rican Nuclear Energy Council'°.. Nella lobby nucleare entrarono pure cx commissari ed cx funzionari dell'AEC (molti dei quali, peraltro, avevano precedentemente compiuto in senso inverso lo stesso percorso, quando l'AEC aveva pescato soprattutto nelle industrie gli esperti di cui aveva bisogno)' 1 . L'atteggiamento complessivo di benevolenza nei confronti dell'industria nucleare, insieme alle limitate disponibilità di uomini e di risorse finanziarie da destinare alle attività di ispezione e di ricerca, spinsero I'AEC a far proprie le indicazioni dell'industria sì che quest'ultima finì col darsi da sé gran parte degli indirizzi in materia di disegno dei' reattori e di standards di sicurezza. Per tutti gli anni Cinquanta e Sessanta, dunque, la compiacenza o la disattenzione del Congresso, di molti presidenti, della stampa e del grande pubblico permisero che gli indirizzi politici in materia di autorizzazioni e licenze per la costruzione di centrali nucleari fossero decisi in tutta segretezza da una ristretta cerchia di persone, interessate assai più alla promozione che alla regolazione dell'energia nucleare. In questo clima era naturale che la maggior parte delle bearings condotte dall'AEC all'interno delle procedure di autorizzazione per la costruzione di centrali nucleari filassero via lisce e indisturbate. Solo con gli anni Sessanta le cose sarebbero cambiate.

VERSO UNA POLITICA NUCLEARE DI NATURA REGOLATORIA

La transizione della politica nucleare dalla fase distributiva a quella regolatoria ha seguito un processo graduale che '.non è ancora giunto a conclusione. Molti antinucleari potrebbero osservare - e forse a ragione - che la politica delle licenze nucleari è ancora oggi, di fatto, più distributiva che regolatoria. Ma è certo 'che dopo il 1974 ci sono stati significativi mutamenti. Occorre dire che sulle cause che determinano, in generale, il mutamento di un subgoverno esistono opinioni contrastanti. Per alcuni il mutamento sarebbe causato da un allargamento dell'area conflittuale"; per altri, invece, dall'espansione dell'interesse pubblico in un determinato settore 13 . Altri sostengono che il mutamento di un subgoverno può anche dipendere da una serie di episodi che mettano in luce la negligenza del subgoverno o comunque attivino gli organi (legislativi, esecutivi e giudiziari) che non vi sono rappresentati' 4 . Altri ancora, per esempio Ripley e Franklin, ritengono che «un subgoverno può disgregarsi quando perde parte consistente del proprio potere (a causa di un rimescolamento delle attribuzioni tra Congresso ed esecutivo o per una ridefinizione delle proprie competenze in termini non distributivi) oppure quando ha subìto tante piccole sconfitte o una sola particolarmente clamorosa' 5 . Quando una politica passa dalla fase distributiva alla fase regolatoria dovrebbero emergere, secondo Ripley e Franklin, alcuni elementi nuovi: una maggiore trasparenza del processo decisionale (con conseguente riduzione del potere del subgoverno), un maggior coinvolgimento delle assemblee della Camera e del Senato (e un parallelo declino dell'influenza delle commissioni e dei sottocomitati); un maggior peso, all'interno del subgoverno, della componente .parlamen-


15 tare; infine, una presenza più significativi del presidente' 5 . Quale che sia l'interpretazione più verosimile, un fatto è certo: a partire dal 1974 la politica nucleare è percorsa da tutte queste tendenze. A indebolire la posizione del subgoverno nucleare e a sottolineare l'importanza di una politica nucleare orientata in senso regolatono hanno concorso una serie di cause: l'apertura dei processi decisionali a un maggior numero di soggetti; una più netta evidenza delle negligenze del governo e dell'industria nucleare, che si aggiunge a una maggiore attenzione da parte dell'opinione pubblica per i problemi della sicurezza nucleare e a una perdita più generale di credibilità da parte del governo e delle altre istituzioni politiche; le crescenti difficoltà economiche dell'industria nucleare; la maggiore importanza attribuita alla politica energetica dopo l'embargo petrolifero deciso dall'OPEC nel 1973-74; la riorganizzazione dell'intera struttura di governo dell'energia; infine, il mutamento nell'ordine delle priorità di bilancio per le spese governative riguardanti la ricerca e lo sviluppo nel settore dell'energia. Lo sviluppo dei movimenti ecologici tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Settanta ha rafforzato e rilanciato molti tradizionali gruppi di interesse « conservazionista » e ha portato alla creazione cli nuovi gruppi che richiedevano di poter partecipare alle scelte di politica ambientale, e di politica energetica. Il Congresso ha recepito prontamente la nuova domanda sociale: ha approvato buone leggi (come quella del 1969 sulla politica nazionale dell'ambiente o come altre che miravano a ridurre l'inquinamento dell'aria e dell'acqua) e creato nuove agenzie federali come l'Agenzia per la pro,tezione dell'ambiente (Environmental Protection Agency), e il Consiglio presidenziale per la qualità dell'ambiente (Councii on Environmental Quality)'T. Nel frattempo, eco-

logi, antinucleari e associazioni per la tutela degli interessi collettivi hanno cominciato a ricorrere contro le decisioni dell'AEC davanti ai giudici delle corti federali e a partecipare alle hearings dell'AEC 'relative a licenze nucleari. Pur non riuscendo a impedire la concessione di nuove licenze, queste opposizioni hanno contribuito a rendere più trasparente il processo decisionale in materia di politica nucleare e, a parere di molti di coloro che ne furono protagonisti, sono servite a diffondere una maggiore consapevolezza intorno ai problemi 'della sicurezza nucleare. Nuovi gruppi, come 1'Union of Concerned Scientists, composti in prevalenza da tecnici (alcuni dei quali dimessisi dall'industria nucleare o dall'AEC per contrasti d'opinione in tema di sicurezza nazionale) hanno dato al movimento antinucleare, che inizialmente era stato poco e male organizzato, quella credibilità e quelle competenze tecniche di .cui aveva bisogìio per combattere i filonucleari sul loro stesso terreno. In questa direzione si sono mossi grup-

pi (come il Sierra Club, Friends of the Earth, il Natural Resources De/ense Coancii, lo Scientists' Institute /or Pubiic In/ormation, il Committee br Nuclear Responsibility) e singole persone (come' l'avvocato Ralp'h Nader o come gli scienziati .Barry Commoner, John Goffman, Arthur Tamplin, Harold Vrey, George Wald, Linus Pauling, George Kistiakowsky). Le cause giudiziarie, l'attività di ricerca e il iobbying di questi gruppi e di queste persone hanno contribuito a focalizzare l'attenzione dell'opinione pubblica, dei mezzi di informazione e del Congresso su alcune questioni irrisolte: per esempio, sull'adeguatezza dei sistemi di emergenza per il raffreddamento del nocciolo dei reattori nucleari, oppure sugli effetti che hanno, sulla salute umana i rilasci « normali » di radioattività delle centrali nucleari. Sempre da questi gruppi sono venute dure critiche 'al governo per


16 non aver mai formulato un piano per il deposito e l'immagazzinamento definitivo dei rifiuti radioattivi e per lo smantellamento, a fine esercizio, delle centrali nucleari. Il governo e l'industria nucleare sono stati inoltre criticati per aver nascosto all'opinione pubblica la reale entità di alcuni incidenti nucleari: quello di Idaho FalIs (1961), quello al reattore Fermi vicino a Detroit (1966), quello di Browns Ferry (1975) e altri ancora 18 . Infine, hanno osservato gli antinucleari, il semplice fare affidamento sulle limitazioni di responsabilità previste dal Price-Anderson Act dimostra che è la stessa industria nucleare, per prima, a non credere a quello che dice quando sostiene che le probabilità di un incidente nucleare grave sono assolutamente trascurabili. Nel frattempo, le difficoltà economiche incontrate attorno alla metà degli anni Settanta hanno indebolito e reso più vulnerabile l'industria nucleare. Le imprese hanno dovuto spendere fior di quattrini per adeguarsi alle nuove norme in materia d'ambiente e questo proprio mentre i prèzzi del combustibile nucleare salivano alle stelle: tra il 1973 e il 1977 il prezzo dell'uranio è quadruplicato, come conseguenza di una riduzione dell'offerta e delle manovre di un cartello internazionale dell'uranio (nel quale la Gulf Oil, ultima arrivata, aveva già assunto una posizione di preminenza) 19 . Le centrali nucleari già in esercizio hanno avuto rendimenti medi inferiori al 65% della loro potenza a causa di guasti, molto spesso imputabili a errori di, costruzione, che richiedevano frequenti interruzioni per consentire le riparazioni 20 . Gregory Daneke è giunto alla conclusione che « una semplice verifica dei rendimenti indicherebbe che l'industria nucleare ha avuto costi doppi rispetto a quelli che aveva preventivato e ha dato la metà di quello che aveva promesso »21. Il tasso di crescita della domanda d'elettricità negli Stati Uniti è diminuito

dall'8% annuo di prima del 1973 al 3% del 1978. Gli ordinativi per nuove centrali nucleari hanno conosciuto una caduta quasi verticale, passando dai 41 del 1973 ai 5 del 1975, ai 3 del 1976, ai 4 del 1977 e ai 2 del 1978. Tra il 1974 e il 1976 le società americane hanno cancellato ordinativi per 23 nuove centrali e rinviato i piani per altre 143. Questi dati sembrerebbero convalidare l'opinione di chi ritiene che l'energia nucleare sia non solo insicura ma anche non economica e non necessaria e che quest'industria non sopravviverebbé se si interrompesse il flusso dei contributi governativi23 . Nel 1977, mentre l'energia nucleare stava perdendo ogni residuo margine di competitività con le altre fonti energetiche, si è parlato di « recessione nucleare ». Un anno dopo la rivista « Business Week », considerando che i tempi medi di costruzione di una centrale nucleare arrivano ormai a dodici anni, prevedeva che «entro 10 anni l'industria nucleare americana arriverà a una crisi drammatica, e forse al tracollo definitivo »24

IL DECLINO DELLA COMMISSIONE BICAMERALE PER L'ENERGIA ATOMICA:

1947-1977 Nel 1974 sia l'amministrazione Nixon sia il Congresso si reserò finalmente conto che la stessa agenzia non poteva avere insieme funzioni di promozione e funzioni di regolazione dell'energia nucleare. Si chiesero anche se fosse ragionevole continuare a destinare all'opzione nucleare l'86% dei fondi governativi per la ricerca e lo sviluppo nel campo dell'energia ed escludere altre possibili destinazioni. Il Congresso, in particolare, aveva ora la possibilità e la ferma intenzione di far valere il proprio ruolo nei confronti del subgoverno nucleare •e dello stesso presidente per ciò che riguardava la


17 definizione degli indirizzi e delle priorità stabilite dal governo federale in materia d'energia. Indubbiamente, il fatto che il presidente fosse repubblicano e la maggioran. za del Congresso democratica ebbe un certo peso negli sviluppi di questa vicenda; ma un peso non inferiore ebbe l'accresciuta consapevolezza da parte dei parlamentari di entrambi i partiti che il Congresso aveva ceduto all'esecutivo un enorme potere. Già con la legislazione energetica varata all'indomani dell'embargo petrolifero del 197374 il Congresso aveva dato prova di questa nuova consapevolezza, approvando con modifiche sostanziali (concernenti soprattutto i risparmi d'energia e lo sviluppo delle fonti alternative) una proposta di legge fatta da Nixon nel 1973. L'anno successivo il Congresso approvò, nel mese di ottobre, l'Energy Reorganization Act che decretava la fine dell'AEC e ne ripartiva le funzioni tra due nuove agenzie: la regolazione fu attribuita alla Commissione per i regola-

menti nucleari (Nuclear Regulatory Commission - NRC), composta, come l'AEC, di cinque membri nominati dal presidente e confermati dal Senato; la ricerca e lo sviluppo furono trasferite all'Amministrazione per la ricerca e lo sviluppo dell'energia (Energy Research and Deveiopment Administration - ERDA) 25 A giudizio di alcuni osservatori, si trattava di una sfida aperta al subgoverno: di lì in avanti « l'opzione nucleare sarebbe stata sottàposta a valutazioni sempre più attente. Il monolitico subgoverno nucleare lasciava il posto a una struttura bicefala, assai meno impenetrabile, che si sarebbe occupata di molte alternative energetiche. Il nucleare faceva ancora la parte del leone nella ripartizione delle risorse, ma dal punto di vista della politica energetica quest'allargamento di prospettive rappresentava un importante mutamento »26 Un nuovo duro colpo alla struttura istitu.

zionale del subgoverno nucleare fu l'abolizione, nel 1977, della Commissione bicamerale per l'energia atomica. Fu questa l'ultima e decisiva sconfitta subìta dalla Commissione bicamerale dopo una serie di scacchi abbastanza gravi: dalla legislazione sull'arricchimento dell'uranio, alla proliferazione degli armamenti nucleari, alla nomina di un commissiario dell'NRC27 . Quando risultò chiaro che la Commissione bicamerale per l'energia atomica non era più l'invincibile istituzione di un tempo, altre commissioni cominciarono a insidiarne le competenze. A giudizio di molti parlamentari, i conferimenti di fondi sempre più consistenti a favore di numerose altre opzioni energetiche approvati dal Congresso rendevano del tutto anacronistica la presenza di una commissione con compiti limitati al solo settore nucleare. Il rafforzamento delle proprie strutture tecniche e la creazione di nuovi uffici quali il Generai Accoanting Office (GAO) e l'Office o! Technoiogy Assessment (OTA) metteva ora il Congresso in condizione di acquisire direttamente le informazioni necessarie senza dipendere per questo dalla Commissione bicamerale. Il ritiro o la sconfitta alle elezioni del 1976 di molti vecchi membri della Commissione bicamerale per l'energia atomica facilitarono, infine, la sua abolizione e la ripartizione delle sue competenze tra altre commissioni: cinque della Camera (Affari interni, Forze armate, Commercio, Affari esterni, Scienza e tecnologia) e tre del Senato (Energia e risorse naturali, Forze armate, Ambiente e lavori pubblici).

MUTA DAVVERO LA SCALA DELLE PRIORITÀ ENERGETICHE?

Nei primissimi anni di vita dell'ERDA, la prospettiva di un significativo mutamento nella politica federale per la ricerca e lo sviluppo nel campo dell'energia parve a molti un'ipotesi irrealistica. In effetti la consta-


18 tazione che il bilancio e il personale delI'ERDA erano pressocché queffi dell'AEC non lasciaya molto spazio all'ottimismo. Ancora meno ne lasciava il fatto che nél 1976 (il primo anno di funzionamento a regime) I'ERDA avesse destinato alla sola energia nucleare il 75% del proprio bilancio per 'la ricerca e lo sviluppo nel settore delle applicazioni pacifiche e che in questo bilancio le spese per i reattori sperimentali autofertilizzanti toccassero, da sole, i 304 milioni di dollari: poco mèno di quanto era stato speso complessivamente (373 milioni di dollan) per tutte le tecnologie non nucleari 28 Il Congresso, tuttavia, anche per l'effetto del «lobbying solare» e di un rapporto dell'OTA che criticava la parzialità dei programmi dell'ERDA, cominciò ad aumentare i contributi all'ERDA per la ricerca e lo sviluppo delle fonti non nucleari. Nell'esercizio 1977, la quota non nucleare del bilancio dell'ERDA salì al 32%. L'anno seguen-, te, dopo l'assorbimento nel ministero dell'Energia, che era stato istituito dal Congresso nel 1977 per iniziativa del presidente Carter29 , 1'ERDA destinò quasi la metà del suo bilancio (per la precisione, il 45%) ai programmi non nucleari: rispetto al 1976 l'aumento era del 220% (aiicora poco, per molti antinucleari); nello stesso periodo le spese nucleari erano aumentate del 68%. Questa inversione di tendenza non significava tuttavia che nel Congresso fosse infine prevalso un orientamento antinucleare. E infatti il Congresso non solo prorogò nel 1975 per un altro decennio la validità del PriceAnderson Act, ma approvò anche lo stanziamento di fondi per il reattore sperimentale autofertilizzante di Clinch River: segno, oltretutto, che alcuni elementi della politica distributiva ancora sopravvivevano. Sotto un altro profilo, vale ricordare che contro quello stesso reattore di Clinch River si schierò subito il presidente Carter, il quale entrò così nel vivo della politica nuclea.

re in modo assai più deciso di ogni altro suo predecessore. Nella campagna elettorale per le presidenziali del 1976 Carter si era assicurato i voti di molti ecologi e di non pochi antinucleari, impegnandosi a sostenere l'energia nucleare solo come ultima risorsa e a dare maggior rilievo al risparmio d'energia e alla promozione dell'energia solare. Una volta eletto, il suo atteggiamento nei confronti dell'energia nucleare fu tuttavia molto ambiguo. Da un lato, infatti, alcuni commissari dell'NRC nominati da Carter furono ampiamente elogiati dagli ecologi per aver imposto una regolazione più severa e controlli più rigorosi in materia nucleare 30 . In modo altrettanto favorevole fu accolta nel 1977 la decisione di Carter di tagliare i fondi fedesali per il reattore autofertilizzante di Clinch River. Questa decisione, che costituiva una netta inversione rispetto agli orientamenti delle precedenti amministrazioni Nixon e Ford, indispettì i dirigenti dell'industria nucleare e i parlamentari filonucleani e aprì tra presidente e Congresso un conflitto che non si sarebbe mai più ricomposto 31 Dall'altro lato, Carter deluse più volte le aspettative degli ecologi che lo avevano votato. Molti di questi, rinfacciarono più tardi a Carter di aver messo a capo del nuovo ministero dell'Energia James Schlesinger (già presidente dell'AEC), il cui orientamento filonucleare non solo era noto a tutti ma aveva avuto modo di manifestarsi concretamente: con nomine, proinozioni e varie altre decisioni di natura organizzativa, ma anche, dopo il 1978, .con una serie di tagli alle spese per l'energia solare e le altre fonti alternative 32 . Non meno grossa fu la delusione degli ecologi quando Carter presentò una proposta di legge che riduceva i tempi di rilascio delle licenze nucleari aggirando alcune garanzie procedurali previste nei procedimenti autonizzativi dell'NRC. In particolare, la proposta di legge consentiva la .


19 preselezione e l'approvazione di possibili siti nucleari, incoraggiava una progettazione standardizzata delle centrali, autorizzava l'NRC a rilasciare insieme permessi di costruzione e licenze d'esercizio, concedeva agli Stati fondi federali e assistenza tecnica per la valutazione del bisogno di energia nucleare, autorizzava l'NRC a sostenere le spese legali di quanti volessero fare opposizione alla costruzione di centrali nucleari per motivi di ordine ecologico o per ragioni comunque attinenti alla sicurezza, e infine limitava la possibilità di fare opposizione legale alle licenze nucleari escludendo la proponibilità delle medesime obiezioni davanti a organismi diversi 33 . Sia la Camera che il Senato dedicarono a questa proposta di legge numerose hearings, ma non l'approvarono mai. Combattuta dagli antinucleari, la proposta non trovò infatti un'accoglienza molto più calorosa da parte dell'industria nucleare che la giudicò per alcuni versi troppo liberale (nei confronti degli antinucleari) e per altri versi insufficiente a rimuovere gli ostacoli di ordine amministrativo che allungavano notevolmente i tempi di costruzione delle centrali. Se furono in molti a sperare che l'NRC potesse seguire una politica di promozione nucleare meno rozza e scoperta, occorre dire che quelle speranze sono andate in gran parte deluse. In un primo tempo, infatti, un certo ottimismo parve più che giustificato. Nel 1976 uno studio realizzato dal Common Cause rivelò che il 65% del personale dell'NRC era stato reclutato da imprese che utilizzavano licenze, permessi o contratti di ricerca dell'NRC: da questa situazione potevano nascere se non altro dei cònflitti di interesse nelle decisioni dell'NRC 34 . Robert Pollard, un tecnico dell'NRC, si dimise dal suo incarico nel 1976 e andò a lavorare per l'Union of Concerned Scientists perché era giunto alla conclusione che l'NRC tenesse l'opinione pubblica all'oscuro di alcune ir-

risolte questioni di sicurezza 3 . Raiph Nader, in una testimonianza resa davanti al Congresso, sostenne che l'NRC aveva adottato solo « la retorica della riforma, continuando a tacere al Congresso e al popolo americano i rischi connessi all'energia nucleare »°. Nel 1977 e nel 1978 la quota del bilancio dell'NRC destinata alla regolazione e alle ispezioni dei reattori nucleari fu in media appena il 26,3 %37 Nel 1979 solo 26 delle 72 centrali nucleari in esercizio negli Stati Uniti erano controllate da ispettori federali residenti 38 . La Commissione affari interni della Camera espresse il proprio disappunto per la scarsa franchezza dimostrata dall'NRC nei confronti del Congresso e accusò alcuni commissari e alti funzionari dell'NRC di difendere il principio, che era già stato dell'AEC, per cui « il dovere di difendere l'energia nucleare dalle critiche viene prima del dovere di rendere pubblici tutti i fatti, per quanto spiacevoli possano essere Il 1979 può essere considerato un anno di svolta per la politica nucleare negli Stati Uniti. In quell'anno, le rivelazioni sulle negligenze del governo e dell'industria ebbero importanti conseguenze: l'NRC cominciò a riconoscere con molto candore i propri errori, l'opinione pubblica prestò maggior attenzione ai rischi dell'energia nucleare, il Congresso e il presidente 'mostrarono di volere fermamente un controllo più stretto e una regolazione più severa dell'energia nucleare.

DOPO HARRISBURG

Sulle cause dell'incidente verificatosi il 28 marzo 1979 all'interno della centrale nucleare di Three Mile Island vicino ad Harrisburg hanno indagato numerose commissioni d'inchiesta. I risultati sono stati diversi, ma un punto sottolineato in tutte le inchieste è quello delle molteplici leggerez-


20 ze e negligenze di cui si sono rese responsabili, prima e durante l'incidente, sia l'NRC sia la Metropolitan Edison, la società che aveva in esercizio la centrale. Dagli archivi dell'NRC, opportunamente scandagliati, è emerso un lungo elenco di episodi quanto meno inquietanti: ne cito qui i principali. Per la centrale di Three Mile Island erano già state segnalate parecchie violazioni delle norme di sicurezza e alcuni difetti di funzionamento, ma questi segnali d'allarme erano stati ignorati. L'NRC aveva « esentato l'impianto dall'osservanza dei nuovi regolamenti di sicurezza, più severi dei precedenti, perché l'impianto era già in costruziòne e una applicazione retroattiva delle nuove norme fu giudicata « difficile » e « particolarmente gravosa dal punto di vista economico »: una decisione, questa, che John Kemeny, presidente della Commisione presidenziale sull'incidente di Three Mile Island, ha definito « scandalosa »°. Nel corso delle hearings che si erano svolte nel 1977, la società esercente e l'NRC avevano portato a sostegno delle richieste d'autorizzazione le testimonianze di oltre cinquanta esperti, mentre una coalizione di gruppi ecologici che si opponevano alla concessione della licenza era stata costretta dalla mancanza cli mezzi finanziari ad affidare le proprie ragioni alla testimonianza di un solo esperto, un chimico, che aveva illustrato gli effetti della radioattività sull'uranio 41 . La centrale di Three Mile Island era stata fatta entrare in funzione il 30 dicembre 1978 solo per consentire alla Metropolitan Edison di godere dei benefici di carattere economico e 'fiscale previsti per quell'anno 42 Voglio ricordare altri due problemi messi in 'luce, dalle varie commissioni d'inchiesta. Il primo riguarda l'insufficiente preparazione dei tecnici addetti all'esercizio delle centrali nucleari43 la stessa NRC ha' riconosciuto che gli operatori non erano stati in grado di fronteggiare adeguatamente l'mci.

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dente di Three Mile Island, in quanto un'ipotesi di quel genere non era stata considerata nei programmi di qualificazione del personale. Il secondo problema riguarda i piani d'emergenza. A questo proposito, ha detto molto bene 'il senatore Gary Hart, presidente del Sottocomitato per la regolazione nucleare che opera all'interno della Commissione ambiente e lavori pubblici del Senato: « abbiamo un'industria del XIX secolo che utilizza una tecnologia del XXI secolo »". Malgrado l'NRC sia tenuta a prestare la propria assistenza alle società elettriche e ai governi statali e locali per l'elaborazione dei piani di emergenza nucleare, tuttavia l'approvazione di questi piani da parte dell'NRC non è formalmente richiesta da una norma cli legge. Al momento dell'incidente di Three Mile Islandsolo dodici Stati avevano chiesto e ottenuto dal1'NRC l'approvazione dei piani di ,emergenza nucleare; quello della Pennsylvania non era stato ancora approvato 45 . Approvato o no, 'hanno aggiunto gli antinucleari, resta il fatto che molti di questi piani che. prevedono la rapida evacuazione di grossi centri urbani sono assolutamente inapplicabili. Un altro punto che ha sollevato molte critiche riguarda la gestione dell'emergenza da. parte dell'NRC. Harold Denton, un funzionario dell'NRC che dirigeva la normativa sui reattori nucleari, giunse a Three Mile Island solo due giorni dopo le prime sequenze dell'incidente. Dalla trascrizione della registrazione di alcune riunioni tenutesi presso l'NRC nei giorni dell'incidente sono emerse un'incredibile confusione di idee e una assoluta mancanza di coordinamento tra funzionari dell'NRC e funzionari statali. C'è, nei nastri, un passaggio che dà la misura esatta di questa situazione. E' quando Joseph Hendrie, presidente dell'NRC, si rivolge al governatore della Pennsylvania con queste parole: « Se, come voi dite, le vo-' stre informazioni sono scarse e poco preci-


21 se, sappiate che io non ne ho nessuna: siamo - mi sembra - come due ciechi che brancolano nel buio più fitto »°. Lo stesso Hendrie, infastidito dal clamore che era stato dato all'incidente dai giornali, ebbe in seguito a dire: « Non ricordo quale sia l'emendamento che garantisce la libertà della stampa, ma io sono per la sua abolizione Il 30 ottobre 1979 la Commissione d'indagine sull'incidente di Three Mile Island nominata dal presidente Carter e presieduta da John Kemeny presentò il rapporto finale48 , che giungeva, tra molte altre, anche alle seguenti conclusioni: 1) la Metropolitan Edison non era in grado di garantire un esercizio sicuro della centrale; 2) i funzionari federali e statali non erano adeguaiamente preparati ad affrontare un incidente di quella gravità; 3) se un errore dell'operatore aveva contribuito in modo significativo a provocare l'incidente, cause altrettanto determinanti erano state il disegno troppo elementare della strumentazione e soprattutto il fatto che né l'industria né 1'NRC avevano dato il giusto peso a un insieme di elementi che, se fossero stati tenuti nel debito conto, avrebbero potuto evitare l'incidente o quanto meno contenerne gli effetti. Al presidente la commissione rivolgeva infine alcune puntuali raccomandazioni: 1) la formazione dei tecnici addetti all'esercizio delle centrali nucleari avrebbe dovuto prevedere anche corsi ed esami presso centri di istruzione autorizzati dal Governo; 2) i] Congresso avrebbe dovuto sciogliere 1'AEC e creare una nuova agenzia con un amministratore unico nominato dal Presidente e confermato dal Senato; 3) le nuove centrali nucleari avrebbero dovuto essere localizzate in zone lontane da grossi centri abi±ati; quelle già costruite avrebbero dovuto rispettare norme di sicurezza più severe; 4) le centrali avrebbero dovuto ottenere pe-

riodicamente nuove licenze e queste avrebbero potuto essere concesse solo in seguito a pubbliche hearings, in base ai risultati delle ispezioni compiute e alla valutazione complessiva dello stato di servizio; 5) l'NRC non avrebbe dovuto rilasciare permessi di costruzione o licenze d'esercizio [n quegli Stati che non richiedessero per i piani di emergenza nucleare l'approvazione dell'NRC. Molte di queste raccomandazioni furono riproposte nel gennaio 1980 dalla Commissione d'inchiesta promossa dall'NRC e presieduta da Mitchell Rogovin49 L'invito formulato dalle Commissioni Kemeny e Ragovin perché a capo dell'agenzia di regolazione nucleare fosse messo un amministratore unico fu accolto molto tiepidamente dal presidente Carer, dalla maggioranza dei membri del Congresso e da quattro dei cinque commissari dell'NRC 50 L'NRC, tuttavia, avviò per proprio conto altre ini2iative che in qualche modo anticipavano le proposte di riforma che erano state suggerite. Per esempio, decise di sospendere la concessione di nuove licenze nucleari (una moratoria di fatto che è durata fino al marzo 1980); cercò di migliorare gli standards di sicurezza e le comunicazioni con i governi statali e locali e con gli operatori delle centrali; stabilì multe più elevate per le violazioni alle norme di sicurezza (e chiese al Congresso di elevare i massimi delle multe che l'NRC poteva ap. plicare agli operatori delle centrali nucleari); richiese infine al Congresso maggiori fondi non solo per aumentare l'organico dei propri ispettori (in modo che ce ne fosse, a tempo pieno, uno per ciascuna centrale), ma anche per avviare un programma sperimentale che prevedeva il pagamento delle spese di assistenza legale ai gruppi che presentassero opposizione contro le licenze rilasciate dall'NRC. Il Presidente Carter dichiarò di condividere in pieno « lo spirito e il fine » delle rac.

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22 comandazioni fatte dalla Commissione Kemeny e di considerare la sicurezza nucleare come il primo problema da risolvere. Interpretate correttamente, queste affermazioni non erano tuttavia una condanna dell'energia nucleare; e infatti Carter aggiunse che « non possiamo concederci il lusso di rinunciare all'energia nucleare o di imporre una lunga moratoria »'. Il presidente si limitò a rimuovere dall'incarico il presidente dell'NRC John Hendrie (che peraltro mantenne il suo posto di commissario) e, dopo aver affermato che, l'NRC aveva bisogno di una « nuova leadership », nominò al suo posto un altro commissario dell'NRC, John Ahearne, con un incarico a tempo, prima. di scegliere un presidente al di fuori della Commissione. Carter annunciò pure che era sua intenzione chiedere al Congresso un rafforzamento dei poteri amministrativi del presidente; propose la costituzione di un comitato 'di esperti con il compito di vigilare sulla realizzazione delle proposte formulate dalla Commissione Kemeny; ordinò all'agenzia federale per la gestione delle emergenze di rivedere i piani di emergenza statali per gli incidenti nucleari; richiese che fossero modernizzate e standardizzate le apparecchiature delle centrali e che fosse migliorata la formazione'degli operatori nucleari; accolse la raccomandazione fatta dalla commissione Kemeny dL localizzare le nuove centrali in zone scarsamente popolate; infine, ratificò, non senza qualche esitazione, la moratoria nucleare di fatto decisa dall'NRC, alla quale rivolse l'invito a dar corso alle riforme che' la riguardavano nel più breve tempo possibile e comunque non oltre il mese di maggio 1980. Da parte' sua il Congresso utilizzò le leggi di autorizzazione e di finanziamento per l'esercizio 1980 per limitare la discrezionalità amministrativa dell'NRC in alcune materie e per espanderne contemporaneamente i poteri di regolazione in altre.

La Camera respinse un emendamento presentato dal democratico Edward Markey con il quale si intendeva imporre una moratoria nucleare in quegli Stati che non avessero piani di emergenza nucleare approvati dall'NRC; accolse invece una proposta più bianda che faceva obbligo all'NRC di rivedere i piani di emergenza statali. Altri emendamenti furono introdotti al Senato. Con questi nuovi emendamenti si chiedeva la chiusura delle centrali nucleari localizzate negli Stati che non avessero piani di emergenza approvati dall'NRC; si dava facoltà all'NRC di comminare sanzioni anche penali agli operatori nucleari che avessero violato le norme federali di sicurezza; si vietava il deposito di rifiuti radio. attivi nelle acque degli oceani; si richiedeva infine all'NRC di comunicare alle autorità statali il passaggio di trasporti interstatali di rifiuti radiottivi. Furono invece respinti un emendamento dei senatori democratici Hart e Kennedy, che proponevano una moratoria nucleare di sei mesi, e un emendamento del senatore democratico McGovern, che suggeriva di attribuire a ogni singolo Stato il potere di vietare il deposito dei rifiuti radioattivi entro i 'propri confini. Camera e Senato furono infine d'accordo nel concedere fondi aggiuntivi all'Ufficio ispezioni deIl'NRC e nel rafforzare il potere dell'NRC di comminare sanzioni civili agli operatori nucleari responsabili di violazioni delle norme di sicurezza dell'NRC 52

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CONCLUSIONI

Le vicende che ho fin qui ricordato hanno dato un notevole contributo all'evoluzione della politica nucleare americana e questa appare oggi orientata alsai più in senso regolatorio che in senso distributivo. Restano tuttavia per il momento ancora senza rispo-


23 sta non pochi interrogativi sugli ulteriori sviluppi di questa evoluzione né è possibile fare previsioni attendibili sugli esiti finali del processo di riforma che è stato avviato. Non è chiaro, per esempio, in quale direzione (e con quali risultati) il Congresso vorrà o potrà utilizzare i suoi nuovi poteri. Certo, il controllo del Congresso sull'NRC è aumentato, ma ancor oggi incontra non pochi ostacoli. La carenza, innanzitutto, cli competenze tecniche adeguate a supporto della propria azione; ma anche l'indebolimento istituzionale che è risultato dalla frammentazione delle competenze nucleari tra le molte commissioni che si sono spartite le attribuzioni della disciolta Commissione bicamerale per l'energia atomica. Così, paradossalmente, la vittoria riportata dal Congresso sul subgoverno nucleare con lo scioglimento di quest'organo potrà risultare nel lungo periodo più d'ostacolo che d'aiuto al coordinamento, alla direzione e al controllo della politica nucleare. La gara che si è scatenata tra le commissioni impegnate a fare indagini su Three Mile Island e a raccomandare nuove norme ha indubbiamente arricchito l'informazione e irrobustito la spinta riformatrice, ma gli effetti a lungo termine di questa reazione del Congresso sono ancora tutti da scoprire. Per quanto criticabile, la Commissione bicarnerale per l'energia atomica era stata pur sempre un modo di accentrare il controllo sull'NRC in un'unica istanza. Sul versante del governo, l'NRC non è più, come era stata l'AEC, il tramite principale dei finanziamenti all'industria nucleare (un ruolo, questo, nel quale è subentrato il Ministero per l'energia), ma mostra maggiore attenzione alle questioni connesse con la regolazione della sicurezza nucleare. Il maggior coinvolgimento del presidente nella formulazione della politica nucleare, per quanto non si sia tradotto in innovazioni

radicali, è in linea con una politica di tipo regolatorio più che distributivo. Nell'insieme, le relazioni tra i principali soggetti e istituzioni che •partecipano alla formulazione e alla realizzazione della politica nucleare (ma lo stesso discorso vale per la politica dell'energia in generale) non hanno ancora trovato un nuovo punto d'equilibrio e rimangono tuttora fluide e instabili.

Si vedano, per esempio, i lavori di J. LEIPER FREMAN, The Political Process: Executive BureauLegislative Committee Relations, Random House, New York 1965 e di DOUGLAS CATER, Power in Washington, Random House New York 1964. 2 Tra i primi v. THE000RE J. Lowy, American Bu-

siness, Puhlic Policy, Case Studies, and Political Theory, in «World Politics », n. 16, luglio 1964, pp. 677-715. RANDALL B. RIPLEY e GRACE A. FRANKLIN, Congress, the Bureaucracy, and Public Policy, Dbrsey Press, Homewood (Illinois) 1979. ' BRUCE L. WELCK, Nuclear Energy on the Dole, in «The Nation », 26 febbraio 1977, .p. 231. V. anche GREGORY A. DANEKE, The Political Economy of Nuclear Development, in «Policy Studies Journal », n. 7. autunno 1978, pp. 84-90; HAROLD P. GREEN e ALAN ROSENTHAI., Government o! the Atom: The Integration o! Powers, Atherton Press, New York 1963; DAVID 1-IOWARD DAVIS, Energy Politics, St. Martin's Press, New York 1978; ELIZABETH S. ROLPH, Nuclear Power and the Public Sa! ety: A Study in Regulation, Lexington Books, Lexington (Massachusetts) 1979. RICHARO

MORGAN,

Nuclear Power: The Bargain

We Can't Afford,

Environmental Action Foundation, Washington (DC.) 1977, p. 36. La cifra indicata non comprende, peraltro, tutte le forme di contributo federale. Nel 1957 il Brookhaven Report commissionato dall'AEC (v. U.S. ATOMIc ENERGY CoMMIssIoN,

Theoretical Possibilities and Consequences o! Major Accidents in Large Nuclear Power Plants, WASH740, Washington 1957), stimava che un incidente nucleare gravissimo potesse causare 3.400 vittime e danni per 7 miliardi di dollari. Nel 1965 l'AEC ha corretto questa stima calcolando 45.000 vittime e danni per 17 miliardi di dollari, oltre alla possibile contaminazione radioattiva di un'area di dimensioni pari a quelle della Pennsylvania. La nuova stima è stata tenuta di proposito nascosta all'opinione pubblica per Otto anni perché, come spiegò in seguito Seaborg, presidente dell'A.E.C., «si temeva di confondere l'opinione pubblica» (ROLPI-I, Nuclear Power..., cit., p. 49). Nel 1974 il Rasmussen Report, sconfessato dall'NRC cinque anni do-


24 po, ha stimato che un grave incidente nucleare può causare 3.300 vittime immediate, 45.000 casi di cancro, 5.100 casi di alterazioni genetiche e danni per 14 miliardi di dollari (v. NORMAN RASMUSSEN e altri, Reactor Sa/ety Study, WASH-1400, U. S. Nuclear Regulatory Cornmission, Washington (D. C.) 1975. T GREEN e ROSENTHAL, Governnent of the Atom..., cit., p. 107. V. anche RALPH NADER e JOHN ABBOTTS, The Menace of Atomic Energy, W.W. Norton and Co., New York 1977, pp. 272-73. 8 JOHN BERGER, Nuclear Power: The Tlnviabie Option, Dell, New York 1976, pp. 159-85; TOM STEVENSON, Gloom on the Monongaheia, in «Saturday Review », 22 gennaio 1977, pp. 6-12, 55; SFJEILA HARTY, The Fortune 500 Goes to School, in «Environmental Action », 20 maggio 1978, .pp. 3-7; DON B. CULLIMORE, Debunking Madison Ave. nue, in « Environinental Action », 24 settembre 1977, pp. 8-10; ANNA GYORGY e altri, No Nukes: Everyone's Guide to Nuclear Power, South End Press, Boston (Massachusetts) 1979, pp. 67-69. Nel 1977 la Commissione Energia e risorse naturali del Senato ha accertato che delle prime venti società nazionali in possesso di uranio ben tredici operavano nel settore del petrolio e del gas e che dodici di queste ultime controllavano da sole il 50 per cento del mercato. V. U.S., Congress, Senate, COMMITTEE ON ENERGY AND NATURAL RESOURCES,

Petroleum Industry Involvement in Alternative Sources o! Energy, 95th Cong., lst sess., 1977, p. 326. 10 NADER e ABBOTTS, The Menace of..., cit., p. 273. " Tali sviluppi sono un esempio delle relazioni « a .porta girevole » che hanno caratterizzato l'attività di molte commissioni di regolazione federale «indipendenti », che sono state « catturate» dai gruppi di interesse oggetto di regolazione. V. MARVER H. BERNSTEIN, Regulation Business by Independent Commission, Princeton University Press, Princeton (New Jersey) 1955; Lours M. K0HLMEIER, The Regulators: Watchdog Agencies and the Public Interest, Harper & Row, New York 1969; DAVID M. WELBORD, Governance o/ Federal Regulatory Agencies, University of Tennessee Press, Knoxville (Tennessee) 1977; KENNETH J. MEIER e JOHN P. PLUMLEE, Regulatory Administration and Organizationai Rigidity, in « Western Political Quarterly », n. 31, marzo 1978, pp. 80-95. 12 E.E. SCHATTSCHNEIDER, The Semisovereign Peopie, Dryden Press, Hinsdale (Iffinois) 1960, pp. 16-19. 13 CHARLES O. JONES, Speculative Auginentation in Federai Air Pollution Policy-Making, in « Journal of Politics », n. 36, maggio 1974, pp. 438-64. 14 DON F. HADWIGER, Agriculture Policy, in Na-

tionalizing Government: Pubiic Poiicies in America, a cura di THE0D0RE J. Lows e ALAN STONE, Sage Publications, Beverly Hilis (California) 1978, pagine 85-100. 15 RIPLEY e FRANKLIN, Con gress, the Bureaucracy..., cit., p. 94. 18 Ibidem, pp. 123-24. ' V. WALTER A. ROSENBAUM, The Poiitics of En-

vironmental Concern, Praeger, New York 1977; J. CLARENCE DAVIES III e BARBARA S. DAVIES, The Politics o/ Poilution, Pegasus Books, Indianapolis (Indiana) 1975. I bilanci d'impatto ambientale previsti dalla legge sulla politica nazionale dell'ambiente hanno fornito agli ecologi un utile strumento per accedere ai tribunali federali. V. RICHARD A. LIR0FF, A Nationai Policy br the Environment: NEPA and Its A/ter-math, Indiana University Press, Bloomington (Indiana) 1976; FREDERICK R. ANDERSON, NEPA in the Courts: A Legai Analysis o! the Nationai Environmentai Policy, Resources for the Future, Washington (DC.) 1973; STEVEN EBBIN e RAPHAEL KASPER, Citizen Groups and the Nuclear Power Controversy: TJses of Scienti/ic and Technologicai In/ormation, MIT Press, Cambridge (Massachusetts) 1974; LYNT0N K. CALDWELL, LYNTON R. HAYES e ISABEL MACWHIRTER, Citizens

and the Environment: Case Studies in Popular Action, Indiana University Press, Bloomington 1976. Gli archivi dell'NRC testimoniano che nelle centrali nucleari americane si registrano normalmente ogni anno circa 3.000 tra incidenti, eventi anomali e violazioni dei regolamenti di sicurezza dell'NRC. BERGER, Nuclear Power..., cit., pp. 54-90: McKINLEY, C. OLSON, TJnacceptabie Risk: The Naclear Power Controversy, Bantam Books, New York 1976, •pp. 32-36, 58-64; CHRISTOPH HOHENEMSER, ROGER KASPERSON e ROBERT KATES, The Distrust of Nuclear Power, in « Science », i aprile 1977, pp. 25-34; JOHN G. FULLER, \Ve Almost Lost Detroit, Ballantine Books, New York 1975; DAvID COMEY, The Incident at Browns Ferry, in The 18

Silent Bomb: A Guide to the Nuclear Energy Controversy, a cura di PETER FAULKNER, Vintage Books, New York 1977, pp. 3-22; DANIEL F. FORD, HENRY KENDALL e LAWRENCE S. TYE, Broujns Ferry: The Reguiatory Faiiure, Union of Concerned Scientists, Cambridge (Massachusetts) 1976; LAWRENCE S. TYE, Looking But Not Seeing: The Federal Nuclear Power Piani' Inspection Pro gram, Union of Concerned Scientists, Cambridge 1978; ENVIRONMENTAL ACTION FOUNDATION (a cura di), Accidents Wiii

Happen: The Case Against Nuciear Power,

Washington 1979. 19 DAVID BURNHAM, Gui! Aides Admit Cartei Increased Price of Uranium, « New York Times », 17 giugno 1977, p. A-i; TIM METZ e BYRON E. CALAME, Gui! Oii Now Faces New Heat over Role in Uranium Scheme, « Wall Street Journal », 25 aprile 1977.

Nuclear Dilemma: The Atom's Fizzie in an Energy-Short World, in « Business Week », 25 di-

20

cembre 1978, p. 58. 21 DANEKE, The Political Economy..., cit., p. 86. 22 Nuciear Industry Pushes Licensing Reform, in Energy Policy, a cura del Congressional Quarterly,

Inc., Washington 1979, pp. 105-114. 23 V. JULTAN MCCAULL, The Cost o! Nuclear Power, in « Environrnent », n. 18, dicembre 1976, •pp. 11-16; STEVEN HARWOOD e altri, The Cost o! Turning it 011, in ibidem, pp. 17-20; WILLIAM METZ, Nuclear Goes Broke, in « The New Republic », 25 febbraio 1978, pp. 23-25; Gus SPETH, The Nuclear Recession, in « Bulletin of the Atomic


2 Scientists », n. 34, aprile 1978, pp. 24-27; RICHARD MUNSON,

Nuclear Power: The Price is Too High,

in « The Nation », 12 maggio 1979, pp. 535-39. 24 Nuclear Dilemma, in « Business Week », 25 dicembre 1978, p. 54. 25 President Signs Energy Reorganization Bili, in «Congressional Quarterly Weekly Report », 19 ottobre 1974, pp. 2925-26. 26 LAMBRIGHT e TEICH, Policy Innovation..., cit., p. 144. 37 NAOER e ABBOTTS, The Menace..., cit., pp. 28792. 28 U.S. OFFICE OF MANAGEMENT AND BUDGET, The

Budget o! the United States Government, Fiscal Year 1978 - Appendix, Government Printing Office, Washington (Dc.) 1977, p. 617. DAVIS, Energy Poiitics..., cit., pp. 244-47; BOB R.ANKIN, New Departrnent Given Wide Energy Powers, in «Congressional Quarterly Weekly Report », 30 luglio 1977, •pp. 1581-84. 30 V. DANIEL F. FORO, There May Be Some Hope, in « Nucleus », n. 1, novembre 1978, •p. 2; DIcK KIRSCHTEN, The Curious Goings-on at the Nuciear Reguiatory Commission, in « National Journal », 27 maggio 1978, pp. 839-43. Quando il Congresso approvò un'autorizzazione di spesa di 80 milioni di dollari per consentire la prosecuzione del progetto di Clinch River nel 1977, il presidente Carter pose il veto all'iniziativa. Da allora, il Congresso ha continuato a stanziare qualcosa come 15 milioni di dollari al mese per tenere in vita il reattore. A tutt'oggi il progetto è costato 2,6 miliardi di dollari. Per il 1980 il Congresso ha stanziato altri 762 milioni di dollari; per il bilancio 1981 il presidente ha comunque ridotto della metà quell'importo. V. House Insists Work Continue on Clinch River Reactor, in «Congressional Quarterly Weekly Report », 28 luglio 1979, p. 1501; Coal, Noi Nuclear Power, Gets Top Energy Billing, in ibid, 2 febbraio 1980, pp. 316-18; The Fiscal 1981 Energy Budget, in «Nuclear News», n. 23, marzo 1980, pp. 34-40. 32 STEvEN E. FERREY, The Nuclear Plough Horses: Carter's Unstated Energy Pian, in « The Nation », 18 marzo 1978, pp. 294-97. 33 V. Nuclear Industry Pushes Licensing Re/orm, in Energy Policy, Congressional Quarterly, pp. 105, 111-12; W1LLIAM D. METZ, Nuclear Licensing: 29

Pro posed Re/orm Mi/Is All Sides of Nuclear Debate, in «Science », 11 novembre 1977, pp. 590-93; U.S., Congress, House, COMMITTEE ON INTERI0R ANO INSULAR AFFAIRS, Nuclear Siting and Licensing Act of 1978, Parts 11-111, 95th Cong., 2d sess., 1978; U.S., Congress, Senate, COMMITTEE ON ENVIRONMENT ANO PtJBLIC WORKS, Nuclear Siting and Licensing Act o/ 1978, 95th Congr., 2d sess., 1978; Re/orm Bili Drifts, in « Nuclear News », n. 21, luglio 1978, pp. 49-51; Re/ortn Bili Founders, in ibid., settembre 1978, pp. 112-14; ANN PELHAM,

Con gress to Take a New, Hard Look at Nuciear Power, in «Congressional Quarterly Weekly Report », n. 7, aprile 1979, pp. 621-24. 34 COMMON CAUSE, Serving Two Masters, Common Cause, Washington (DC.), 1976.

NADER e ABBOTTS,. The Menace..., cit., p. 55. U.S., Congress, House, COMMITTEE ON INTERIOR ANO INSuLAIt AFFAIRS, States' Rights, Moratoria, and NRC Licensing Re/orm, Part I, 95th Cong., lst sess., 1977, p. 326. 31 U.S. OFFICE OF MANAGEMENT ANO BUDGET, The 3 -1

38

Budget o! the United States Government, Fiscai Year 1978..., cit., p. 759. 38 DAVID BURNHAM, Nuclear 0ff iciais Believe Accident Wiil Bring Many New Regulations, « New York Times », 13 aprile 1979, p. A-i. 31 KIRSCHTEN, The Curious Goings-on..., cit, 'p. 839. 40 WARO SINCLAIR, NRC Pictured as Mired in Minutiae, at Expense o! Sa/ety, « Washington Post », 2 giugno 1979; DRUMMONO AYRES Jr., Atom Plant Was Exempt from Curb on Radiation, « New York Times », 2 giugno 1979, p. A-18. > HOUSE COMMITTEE ON INTERIOR ANO INSULAR AFFAIRS, Nuclear Siting and Licensing Act o/ 1978, Part TI, p. 924. 42 LISA MYERS, Charge A-Piant Rush io Save Tax, « Chicago Sun-Times », 6 aprile 1979. 43 L'inchiesta dell'NRC su Three Mile Island attribuì le maggiori responsabilità dell'incidente a un errore degli operatori della centrale. V. B. DRUMMOND AYRES, Jr., Panei Biames Human Error for Nuclear Reactor Mishap, « New York Times », 3 agosto 1979, p. A-8. ' THOMAS O'TooLE e JOANNE OMANG, Nuclear Inquiry Cztes Absence 0/ Cooiing Water, « Washington Post », 1 maggio 1979. Meno di due mesi dopo l'incidente di Three Mile Island, l'industria nucleare subì un altro duro colpo quando un tribunale dell'Oklahoma dichiarò la responsabilità della Kerr-McGee per la contaminazione da plutonio della sua cx impiegata Karen Silkwood, obbligando la società a pagare un indennizzo di 10 milioni e mezzo di dollari. V. WILLIAM STEVENS, Silkwood

Heirs Win $ 10.5 Million in Setback to the Nuclear Industry, « New York Times », 19 maggio 1979, p. A-i. 45 ELAINE S. KNAPP, Failout Begins from Atomic Accident, in « State Government News », n. 22, maggio 1979, p. 5. 46 Second Guessing... in the Biind, « Washington Post », 14 aprile 1979. 41 TR. REID e WARD SINCLAIR, Nuciear Plant Mishap Initially Con fused NRC, « Washington Post », 13 aprile 1979. 48 Per una panoramica sulle conclusioni della Commissione v. THE PRESIDENT'S COMMISSION ON THE ACCIDENT AT THREE MILE ISLAND, Report, pp. 725; ELI0T MARSHALL, Kemeny Report: Abolish the NRC, in « Science », 16 novembre 1979, pp. 796-98; DAVID BIJRNHAM, Three Miie Island Panel Criticai of Utiiity and U.S. Regulators, « New York Times », 23 ottobre 1979, p. A-i; WILLIAM J. LANOUETTE, The Kemeny Commission Report, in « Bulletin of the Atomic Scientists », n. 36, gennaio 1980, pp. 20-24; HAROLD P. GREEN, On the Kemeny Commission, Ibid., marzo 1980, pp. 4648. 49 V. DAVID BURNHAM, Report on Nuciear Accident


26 Holds Agency Is Unable to Insure Sai ety, « New York Tinses », 25 gennaio 1980, p. A-13; LUTHER J. CARTER, A New Cali br Abolishing the NRC, in «Science », 8 febbraio 1980, pp. 624-26. 50 V. ANN PELHAM, Con gress More Skeptical of Nuclear Power's Future, in « Congressional Quarterly Weekly Report », 24 novembre 1979, pp. 2663-68; JOANNE OMANG, Amid Criticism, NRC 0ff iciai Gossick Quits, «Washington Post », 6 novembre 1979. 51 ELIOT MARSFIALL, Carter Backs « Spirit », of Kemeny Report, in « Science », 21 dicembre 1979, •p. 1380. V. anche ANN PELHAM, Carter Urges New Nuclear Plant Licensing, in « Congressional Quarterly Weekly Report », 15 dicembre 1979, pp. 284546. 52 V. ANN PELHAM, Senate Bili Would Close Nuclear Plants in States Without Emergency Plans, in « Congressional Quarterly Weekly Report », 21 luglio 1979, pp. 1441-42; idem, Nuclear' Moratoriun Re)ected, ibidem, i dicembre 1979, .p. 2707; idem, Key Con gressmen Seeking Coni erence Action This Year on Nuclear Conrmission Biliy, ibidem, 8 dicembre 1979, .p. 2780.


paper backs/ officina

in collaborazione con il Centro Studi della Fondazione Adriano Olivetti

VINCENZO SPAZIANTE

Questione e politica legislativa Primo rapporto del Centro Studi della Fondazione Adriano Olivetti sui problemi della politica energetica

Officina Edizioni Roma, 1980

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/

Sergio Ristuccia

Amministrare e governare Governo, Parlamento, Amministrazione nella crisi del sistema politico

Officina Edizioni Roma, 1980


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