43/ qUIRStO IStItUZIONI 1981/1 ° semestre
CULTURA Dl GOVERNO E CULTURA Dl SINISTRA
3/I1 dibattito sull'« autonomia» del politico fra gli intellettuali del PCI
di Stefano Sepe
La politica dell'< unità nazionale » - inaugurata dopo la notevole avanzata elettorale del PCI, nel biennio 1975-1976, e che è stata scon/essata non tanto con il ritorno all'opposizione quanto con la più recente proposta di una alternativa democratica ai governi diretti o egemonizzati dalla DC - è stata oggetto di valutazioni assai articolate tra gli intellettuali comunisti. Uno degli argomenti più discussi riguarda la politica culturale del partito. E' in questo periodo che il PCI ha tentato (con risultati che oggi possiamo dire non esaltanti) di ridare all'intellettuale il ruolo di « mediatore » tra masse e istituzioni. Ed è stata immaginata a tal fine una sorta di nuova committenza: una committenza legata non tanto (come era tradizione) all'unità del bagaglio ideologico, quanto alle competenze specifiche dei singoli, al sapere specialistico. La « linea dell'Eliseo » (come fu detta allora in riferimento al Convegno tenutosi a Roma al Teatro Eliseo il 14 e 15 gennaio 1977), se non fu prodiga di successi, stimolò però il dibattito tra i diversi gruppi intellettuali interni o vicini al PCI. Mai come da allora il dibattito è apparso vivace e, soprattutto, non più esorcizzabile attraverso scomuniche o richiami alla sacralità dei testi. Non che atteggiamenti di tal genere siano del tutto mancati, ma hanno costituito un aspetto secondario. Nei più sono prevalse altre idee: che sia lo stesso « scontro » politico e sociale a favorire direttamente la capacità del PCI (e della sinistra in genere) di trovare le risposte per il superamento della crisi attuale, o che sia
necessario muoversi verso una più agguerrita e laica « cultura di governo ». In ogni caso, che non basti più la vecchia ortodossia. Così, se la politica delle « grandi alleanze » fu apertamente appoggiata da chi, come Franco Rodano, vedeva in essa l'.t' inveramento » dell'ipotesi del compromesso storico e la possibilità di una comunione dei valori cattolici con quelli di un comunismo inteso soprattutto come rigore morale (ma la venatura moralistica che il PCI, o piuttosto il suo segretario, ha dato in questi anni alle sue proposte politiche, è stata oggetto di accese polemiche interne), da altre, parti, l'esperienza dei governi appoggiati dal PCI ha reso legittima la domanda se questo partito avesse la necessaria « cultura di governo » e come dovesse ac'quisirla. Il problema .è dei più interessanti, perché mette in discussione la capacità del maggiore partito operaio dell'occidente capitalistico di esprimere una serie di proposte non meramente contestative ma costruttive. Mira, cioè, a definire la sua capacità di avere una strategia attendibile. Il dibattito teorico si è sviluppato - particolarmente nella seconda metà degli anni Settanta - intorno ai problemi della crisi e della gestione del ciclo politico. In tale contesto un momento di rilievo è determinato dalla discussione sull'< autonomia del politico » teorizzata da Mario Tronti. A molti tale linea apparirà ben poco aflerente alla ricerca di una « cultura di governo » e molto più legata ad un processo di auto-le gittimazione della corrente di pensiero operaista a trattare e a impadronirsi di una moderna teoria dello Stato. Si tratta in ogni caso di un processo che è andato avanti e che sta dando interessanti contributi culturali (ricordiamo che Tronti è fra i principali promotori della nuova rivista « Laboratorio Politico ». In questo fascicolo si cercherà di ricostruirne le vicende. Torneremo poi successivamente, come già in varie precedenti occasioni, a discutere dei rapporti fra «cultura di governo » e « cultura di sinistra ».
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GRUPPO 1I STUDIO SU SOCIETÀ E ISTITUZIONI
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Il dibattito sull'« autonomia» del politico fra gli intellettuali del PCI di Stefano Sepe
Nella sua introduzione al seminario di studi, svoltosi nel dicembre 1972 presso la Facoltà di Scienze politiche dell'università di Torino, Tronti espone per la prima volta ed in termini decisi e polemici - le sue tesi sulla necessità di indagare la forma specifica del «politico ». Egli afferma che occorre andare una buona volta al di là della concezione secondo la quale il politico è comunque derivato dall'economico, per cercare di coglierne con esattezza i nessi specifici: le sue tecniche, i suoi mezzi, i suòi uomini. Occorre, insomma, restituire al politico uiia autonomia logica, dato che esso - proprio con lo sviluppo del capitalismo - ha una corposa autonomia reale. L'autonomia del politico, dunque, non esprime altro che una logica ed un modo di essere del capitalismo, che vanno affrontati - per così dire - dall'interno, senza illudersi di poterli combattere partendo solo dal terreno economico. La posizione di Tronti era destinata a suscitare clamore (e così fu, infatti). Ma su questo si dirà più avanti.
DALL'AUTONOMIA OPERAIA ALL'AUTONOMIA DEL POLITICO
Molto più interéssante appare notare che la posizione trontiana (che scandalizzò e deluse molti seguaci del teorico di «'Operai e capitale ») esprime una coerenza - non priva di salti - con le posizioni precedenti.
Se si guarda a ciò che egli scriveva nel 1970 su « Contropiano », si può rinvenire una sorta di autocritica dell'operaismo di « Quaderni Rossi »' e « Classe OperaIa ». Trònti, in quella occasione, afferma che occorre, portare avanti « la scoperta, l'impostazione, l'imposizione di nuove dimensioni non dell'economia politica, (perché queste nuove dimensioni dell'economia politica sono appunto i bisogni del capitale), ma di nuove dimensioni della politiéaj perché questo è appunto il bisogno operaio. Noi dob. biamo arrivare a concepire la politica in modo nuovo [ ... ]. Una nuova scoperta dell'orizzonte politico che va fatta proprio dal pinito di vista nperaio. Andrà fatta con tutte le accortezze del caso E ... ; ma che ci sIa la necessità di scoprire nuove dimensioni dell'attività politica, attraverso tutti i momènti di critica dell'ideologia, di conoscenza della scienza borghese, di autocritica del movimento operaio, mi sembra un fatto indubbio » I. Ci sono qui le forme più rilevanti della problematica trontiana degli anni successivi: Tronti avverte lo scarso respiro dell'ipotesi che vedeva' nella lotta operaia e nélla sua generalizzazione la possibilità di mettere in crisi politicamente il capitalismo. Sul piano generale questa necessità di allargamento si esprime nella tematizzazione dell'autonomia politica. Sul piano pratico la ricerca di nuovi terreni introduce la necessità di individuare le dimensioni della struttura sociale del Capitalismo maturo. Deve essere fatta - per
4 Tronti - un'analisi del «capitalismo reale» 2 Naturalmente, non basta la partecipazione al governo degli apparati (l'entrata nella stanza dei bottoni di nenniana memoria): occorre una scienza della politica, che sia strumento di conoscenza adeguato alla complessità della forma-Stato, e sia dotata di una «logica specifica dell'oggetto » da indagare. Il movimento operaio - nel prendere atto di questa complicazione dei piani su cui avviene lo scontro - deve fare « l'autocritica » Qui Tronti propone un reale rovesciamento della sua precedente posizione, che vedeva nella lotta rivendicativa già esplicitati un programma ed una strategia rivoluzionaria. C'è; comunque, un elemento di continuità nell'elaborazione trontiana: la classe operaia è'soggetto del processo capitalistico, ed esprime questa sua qualità di « motore » della societ& attraverso la sua iniziativa. Nell'elaborazione di « Classe Operaia » ma, già prima nei « Quaderni Rossi », erano i comportamenti spontanei (il rifiuto del lavoro) ad esprimere la precedenza storico-teorico-politica dei movimenti della classe rispetto a quelli del capitale. Nella proposta dell'autonomia del politico è la classe che - con la sua iniziativa - deve ricomporre la frattura che il capitalismo maturo istituisce tra economico e politico. Il vecchio discorso sulla classe operaia motore dello sviluppo capitalistico, si sposta oggi sulla capacità operaia di avviare la « riforma capitalistica dello Stato ». La risposta del capitale è, per Tronti, quella di un oggetto, che - in condizioni determinate (la grande crisi) - riesce a porsi come soggetto del processo. Ma la strategia resta (deve restare) nelle mani della classe operaia. Nel rivedere il rapporto Stato/Società, dall'interno del marxismo, Tronti riesce ad aprire nuovi orizzonti di ricerca - in una fase di crisi, rispetto all'analisi dello Stato, dello statuto teorico delle elaborazioni che si ri-
chiamano a Marx - evitando sia una sterile difesa dell'ortodossia, sia un disinvolto cambiamento di campo. Insomma, né Diamat, né nouveaux philosophes.
IL GRUPPO OPERAISTA: LA ROTTURA CON LA TRADIZIONE
Tronti non è, comunque, il solo a sviluppare nel PCI un simile ventaglio di problemi. Parallelamente si articola il discorso di altri intellettuali che, come lui, erano negli anni Sessanta fortemente critici verso il PCI e che combatterono, dalle colonne di alcune riviste, una dura battaglia contro la linea politica della sinistra storica. In seguito, come si sa, alcuni degli intellettuali « operaisti» confluirono nel PCI. Non è qui il luogo per valutare tale scelta. Più opportuno è rilevare che il gruppo operaista ha mantenuto una sua relativa compattezza e, soprattutto, non è stato assorbito nell'ambito della «tradizione » culturale del partito. Asor Rosa, ad esempio, ha sviluppato, in maniera originale, la sua riflessione sulla divaricazione tra società garantita (tutti quelli che oltre alla stabilità del lavoro possono contare sulla difesa materiale del salario e sulla difesa politica della loro posizione attraverso le organizzazioni sindacali e i partiti) e non garantita (tutti quelli che sono «fuori» da questo quadro di garanzie materiali/ normative)., nel tentativo di dar conto dei meccanismi di scomposizione sociale, messi in atto dalla crisi 3 La nozione di crisi è al centro anche della elaborazione operata da Cacciari, il quale, nel criticare la lettura della crisi come « negativo » (lettura che è operata proprio dalla tradizione comunista) e la sua risoluzione come ripristino della razionalità, mette in luce come, oggi, la crisi capitalistica non .possa essere assunta come momento previsionale di crollo, come elemento di « .patolo.
5 gia » del sistema, ma vada - al contrario analizzata come « fattore » dell'assetto capitalistico . La nuova dimensione del politico esclude la funzionalità sia della versione « rivoluzionaria » (che determina la rottura dell'equilibrio economico, per instaurare il « vero » equilibrio del socialismo), sia di quella « socialdemocratica » (superare la crisi per sviluppare le forze 'produtiive che evolveranno « naturalmente » verso il superamento del capitalismo). Corollario della crisi come «disfunzione » è - per Cacciari - la teoria della funzione « neutralizzante » dello Stato: esso deve mettere in opera dei « compromessi neutralizzanti » per controllare le istanze negative, che incrinano la ratio del sistema economico e politico. In questa ottica di neutralizzazione, lo stesso processo di democratizzazione appare « strumentale » e, comunque, attraversato dalla contraddizione tra carattere « non-neutrale » della decisiòne (carattere ideologico, potremmo dire, del comando) e preteso carattere « naturale » dell'assetto economico. Né è produttiva la teoria del « decisionismo assoluto » (come quello di Karl Schmitt), poiché « il problema della decisione "autonoma», non appare risolvibile nell'ambito di questa stessa "autonomia" ». La crisi attuale è crisi della neutralizzazione: quindi, « soltanto allorché sarà possibile criticare la forma "classica" della ratio economico-produttiva, si potrà riformulare il problema della decisione autonoma, superandone la dimensione "assoluta" » La teoria della decisione assoluta e quella della democratizzazione (cioè, quella della tradizione marxista) hanno in comune il difetto di essere delle teorie « sintetiche » dello Stato: oggi, esse non sono più in grado di dare risposte alla crisi, per la morfologia complessa che questa presenta (la crisi è, infatti un fattore interno allo sviluppo capitalistico). Ai vecchi paradigmi teorici dovrebbe sostituirsi « una analisi differenziale
sulla concreta disposizione dei soggetti che costituiscono la "permanente rivoluzione" della società contemporanea La necessità di nuove forme teoriche, all'altezza della complessità della crisi, viene ribadita da Cacciari, in un articolo su « Rinascita », dove egli pone il problema della « forma » non totalizzante che deve assumere oggi la politica del partito: « Ma la politica che con maggiore forza - con maggiore chiarezza in questa prospettiva generale - riuscisse a penetrare la complessità, la reale molteplicità dello spazio dove viviamo; a impararne i linguaggi tanto da poterli effettualmente trasformare, da poterli governare trasformandoli, da impedirne ogni consistere corporativo - la politica che riuscisse ad assumere con maggior rigore, le intenzioni rivoluzionarie che il campo di forze delle forme speciali costantemente producono, e a decidere sulla base di queste intenzioni, senza nessuna presunzione organicistica rispetto a tali forme, e senza nessuna presunzione totalizzante riguardo a se stessa, ebbene tale politica potrebbe forse esprimere oggi una egemonia nuova » La conclusione di Cacciari esprime con nettezza (nonostante le forme espressive « esoteriche ») la prospettiva di superamento sia delle politiche organicistiche (care allo storicismo marxista) sia delle prospettive « onnirappresentative » di stampo ingraiano. » 8•
OPERAISMO E «TERZA VIA »
L'laborazione deÌ gruppo operaista - sebbene variamente articolata e non priva di sensibili differenziazioni - appare la proposta più aperta e anche più aggressiva che viene fatta oggi, nel PCI, nell'analisi della crisi. Gli intenti non sono soltanto quelli della chiarificazione teorica: di grande importanza a.ppaiono gli esiti politici che questo dibattito potrà esprimere, le idee-forza
che si affermeranno nel partito e che potranno. influenzarne le scelte a medio o lungo termine. Di certo il dibattito cela obiettivi più ampi della disputa tra specialisti. Guardando alle elaborazioni del gru.ppo operaista, si ha l'impressione (ma è solo una ipotesi che attende. verifiche) che esse abbiano come controparte - oltre il vecchio strurnentario. storicista - le proposte dell'ala ingraiana sullo sviluppo e allargamento della democrazia. Questo. fatto trova una indiretta conferma nel « tatto » con il quale viene considerata la tematica di Ingrao sulla « terza via » 8 ipotesi con la quale il gruppo operaista non si misura in maniera diretta ed esplicita, ma soltanto in via mediata e tale, comunque, da. rendere difficile la . individuazione delle posizioni. reciproche. Dietro le quinte del dibattito, comunque, si rinnovano ipotesi di .potere anche profondamente diverse: mentre i sostenitori della « tradizione comunista » hanno come riferimento strategico una sorta di « Stato operaio » (una prospettiva, dunque, ancora del tutto interna ai modelli terzinternazionalistici), i . teorici dell'autonomia del politico tentano di uscire da questi pa.. radigmi, proponendo una specie di New Deal operaio °. « L'arcano » dell'attuale dibattito che su questi temi si svolge nel PCI, sta anche in ciò: le due linee « emergenti » dalla crisi del filone storicista - quella ingraiano-gramsciana della egemonia nel sociale è quella di derivazione operaista della priorità del comando - non si scontrano apertamente in modo complessivo. Soltanto Cacciari sembra criticare tra le righe il progetto ingraiano, come si .può riscontrare in due passaggi del saggio (sopra citato) su « Critica marxista ». Una prima volta, Cacciari afferma che « in una fase storica in cui sviluppo capitalistico ; movimento operaio, trasfòrmazioni dello Stato hanno posto in crisi non soltanto i vecchi equilibri
politico-economici, ma il blocco storico egemone che quell'equilibrio fondava e riproduceva [...] "alla crisi non si risponde" ribadendo semplicemente la "molteplicità", poiché questo si ridurrebbe a sua volta a un garantismo neutralizzante - e questo stesso garantismo è, intrinsecamene, tutt'altro che " neutrale '? nei confronti di possibili pratiche autoritarie » . E, più avanti, a proposito della transizione: « la classe operaia può essere vista oggi come protagonista di una "transizione" non verso nuove sintesi, ma verso l'autentico compimento della ratio politica fondata su un soggetto egemone verso una forma-Stato che dei diversi soggetti, comportamenti, .saperi, non solo garantisca, ma decida spazi di movimento e trasformazione. Verso una decisione politica il cui contenuto consista appunto nell'impedire autoconsistenze burocratiche, democratizzazione ridotta a mera socializzazione o a partecipa. zione a decisioni assunte da soggetti preCostituiti » 11. E' evidente che alla base di questa « difficoltà » a parlar chiaro vi sono cautele tattiche che inducono alla copertura dei contrasti, o, addirittura, alla autocensura. Significativo, ad esempio, è il fatto che la trascrizione (apparsa su « Rinascita ») della relazione di Tronti al convegno su « Stato e trasformazioni capitalistiche negli anni Trenta » (svoltosi a Frattocchie nel novembre 1978) risulti « pu-rgato » di una sua affermazione secondo la quale sarebbe forse il caso di parlare della possibilità « non di una democrazia diretta, ma di una democrazia
che dirige ».
IL PUNTO DI PARTENZA
Prima del XIV Congresso del PCI, Tronti aveva iniziato ad articolare la sua proposta, esaminando le caratteristiche specifiche della situazione italiana e i modi con cui la DC era riuscita ad identificarsi (in pratica, pri-
7 ma ancora che teoricamente) con lo Stato 12 Era il primo tentativo di uscire allo scoperto (non casualmente esso veniva fatto nel pieno del dibattito precongressuale), ma non aveva avuto un'eco significativa. La pubblicazione, in tempi relativamente brevi, del saggio su, Hobbes e C,'omwell e del testo sull'autonomia. del politico, ha fatto prendere corpo al dibattito. « Il punto di partenza è politico-pratico. Ricordarlo non è inutile. Politicopratica è la scelta del tema. Il problema, anche quando è storico e teorico - le origini dello Stato borghese moderno - risulta così pieno di politica, che farne un cam.po neutro di ricerca non si potrebbe neppure volendo » E, in effetti, il campo e i problemi non sono neutri. Quali i problemi? 'Gli elementi su cui è ruotato, in questi anni, il discorso di Tronti sull'autonomia del politico (insufficienza della critica dell'economia 'politica; il nuovo ruolo dello Stato a partire dalla crisi del '29; necessità di riprendere 'il pensiero politico classico) sono tutti funzionali alla sottolineatura dell'elemento di fondo che muove l'analisi: la crisi. E il modo di uscirne. Questo è il denominatore comune da cercare (non per amore di sistema) nell'intricato sovrapporsi dei piani, delineati da Tronti. Il problema, al di là di alcune risposte discutibili, è posto con molta chiarezza e con l'attenzione tutta rivolta ai 'processi politici in atto: non si tratta di dar risposta ad una astratta domanda teorica ma di cercare di scioglierè nel '(e per il) ' presente i nodi del rapporto economico/politico, classe/partito, società/Stato. Il capitalismo ha una continuità logica, espres. sa dal terreno economico, ed una discontinuità pratica, espressa dal terreno politico. La storia del capitale è storia di sviluppo (continuo, anche se punteggiato da crisi) dell'economia e, quindi, delle forze produttive,
e di momenti di rottura, 'che sono essenzialmente politici Già da questo passaggio si osserva che l'impianto inter.pretativo di Tronti tende a mettere da parte una delle più radicate letture dell'opera di Marx e della sua « critica del l'economia politica », 'lettura secondo la quale la crisi, (il salto) è sempre determinata da fattori' economici (la « base materiale »), sui quali si innestano rivolgimenti a livello politico. Tronti capovolge quest'ottica, affermando che la transizione al capitalismo si determina non in presenza di una trasfor mazione a livello della produzione, ma - al contrario - proprio quando si' afferma. la supremazia, sia teorica che pratica,' del politico. « Direi che senz'altro, nélla transizione al capitalismo, la nuova economia ha bisogno in via preliminare di una nuova pratica, di una nuova forma e di una nuova scienza della politica » C'è, invece, autonomia del politico. Una categoria nuova, il politico, nella tradizione marxista '. Il politico ritarda: questa contraddizione (che non è solo un 'mancato adeguamento allo sviluppo economico, ma è in sé) deriva dall'« insufficienza di capitalismo » nello Stato moderno 17 In sostanza il discorso trontiano tende a riconoscere al « ciclo politico » del capitale' 8 una specificità che rende necessaria - a livello teorico una ricostruzione non fondata sulla subordinazione del politico all'economico. In questo ambito, occorre prendere atto che Marx non offre una ricostruzione adatta a comprendere il ruolo dello Stato nel capitalismo avanzato 19 In Marx manca un'analisi delle forme politiche: attraverso la critica della politica occorre scoprire le leggi di movimento dello Stato moderno, così come, attraverso la critica dell'economia politica, Marx ha scoperto le leggi di movimento del capitale; ' '
2. LA CRISI
Il politico (e la sua relativa autonomia) è da leggere all'interno della crisi, che sempre, nei periodi di transizione, è crisi politica, mancanza di stabilità, incapacità di governare lo « sviluppo » con gli strumenti autoregolatori del sistema economico. Il momento politico, la funzione attiva del potere, lo Stato come soggetto, bisogna cercarli nei momenti della frattura, della crisi, mentre il primato dell'economia viene determinato e garantito dalla stabilizzazione politica 2o• Bisogna capire - osserva Tronti - che « c'è una tendenza oggettiva nella crisi capitalistica a vedere un rovesciamento del rapporto dominio-subordinazione tra il politico e l'economico; anche nella crisi capitalistica il politico tende a diventare momento di dominio » 21 L'epoca attuale, segnata dalle trasformazioni successive alla crisi del '29, si connota come una fase neoclassica della politica, in cui ritorna in primo piano il ruolo dello Stato. Nell'analisi trontiana, questo « venire avanti » dello Stato è la caratteristica nuova, che determina i compiti attuali della teoria. Non si può continuare a pensare il capitalismo in termini di un modello di concorrenza che ha in sé gli strumenti della sua regolazione. Questo modello, mai realmente esistito, - osserva Tronti - va comunque in crisi negli anni Trenta: « L'ipotesi è che proprio con gli anni trenta il ritornb del politico, chiamiamolo come vogliamo, dell'autonomia, del primato, dell'anticipazione del politico, l'apertura cioè di una fase di nuovo classica della politica, si accompagna a un ritorno in grande di storia dello Stato, dove i segni delle origini del potere borghese moderno - unità e concentrazione, sovranità e violenza, macchina e principe si impongono di nuovo come decisivi » A questo punto dell'analisi, Tronti ipotizza la separatezza tra politico ed economico 23,
determinata dalla necessità propria del capitalismo di far funzionare in maniera autonoma le due sfere. Per lui questa autonomia (o, come dice, « questa differenza specifica fra i due terreni, questa divaricazione, questa separazione ») esiste sempre, è una condizione permanente della società capitalistica 24
AUTONOMIA DEL POLITICO E CLASSE OPERAIA
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NEW DEAL » OPERAIO)
La possibilità di spezzare il dominio capitalistico deve essere cercata o dentro il rapporto di produzione, o fuori di esso, a livello del politico. Rispetto alla prima ipotesi, Tronti afferma che « la classe operaia, sulla base della lotta dentro il rapporto di produzione, può vincere solo occasionalmente; strategicamente non vince, strategicamente è classe, in ogni caso, dominata » 25 Non è dunque nel rapporto di produzione che può vincere il punto di vista operaio. Il processo deve partire dall'esterno. La sola prospettiva strategica vincente, per la classe operaia, è quella di uscire dalla fabbrica e « riprendersi » il terreno politico. Tronti sostiene che, negli anni Sessanta la classe operaia ha tentato di tenere uniti in fabbrica - momento economico e momento politico, produzione e distribuzione e questo « ha però spezzato anche le prospettive in positivo della lotta operaia, ha sbarrato lo sbocco politico, sia pure tradizionale, delle lotte e ha chiuso gli operai in fabbrica » 2O Occorre ribaltare questa ottica (che egli definisce lo « schema keynesiano della lotta di classe ») e arrivare al livello del politico: la classe operaia deve « arrivare a guidare il processo di adeguamento della macchina statale alla macchina produttiva del capitale » 27 deve - anche assecondando un processo proprio del capitale - procedere alla « riforma capitalistica del-
wj
lo stato », poiché, se non si appropria del terreno politico (che non è solo « orizzonte » teorico, ma anche conoscenza delle tecniche specifiche, degli strumenti adeguati) essa non riuscirà a mettere in crisi il meccanismo generale della società capitalistica. Il punto di approdo dell'elaborazione trontiana dà il senso del ribaltamento tra' economico e politico: c'è la crisi e c'è, di conseguenza, il 'dominio del politico; se si lascia al capitalismo la possibilità di risolvere « li. beramente » la crisi, si avrà una nuova stabilizzazione; che perpetuerà il comando capitalistico. Per contrastare tale soluzione che salva'il capitale (come è già avvenuto con il New Deal) - è necessaria la' gestione operaia di questa tendenza capitalistica. Di più: « Si tratta addirittura di anticiparè la stessa mossa capitalistica su questo terreno [...]. Il processo, io non direi di riforma, ma di rivoluzione politica dello stato' capitalistico così com'è, è un progetto ché la classe operaia deve anticipare, oggi, rispetto alla stessa esigenza capitalistica » 28 ,
CAPITALÉ, STATO, PARTITO
La riforma dello Stato non si fa solo con i programmi, ma con uno strumento adeguato: il partito. Il problema del partito è, come si sa, una costante dell'elaborazione di Tronti. Alla fine degli anni Sessanta egli aveva parlatò del partito come « armamento leggero della classe' » 29 e aveva insistito sulla necessità 'che esso rispondesse ai « requisiti della 'produttività politica e dell'efficienza pratica ». Vi è una continuità precisa tra le posizioni espresse su « Contropiano» e quelle del '72: il partito deve avere caratteri di « efficienza, produttività, imprenditorialità» 30 . In, più il partito, per liberarsi dei residui mitico-ideologici, deve avere la ca'pacità di emanciparsi dalla classe, operaia. L'affermàzione — una di quelle su cui mag-
giormente si sono appuntate le critiche di chi sostiene che Tronti, in fondo, non fa altro che costruire una teoria per giustificare le manovre degli apparati - è, ancora una volta, funzionale al tentativo di sollevare un problema « scottante ». Si tratta di liberare il partito da eccessive ideologizzazioni che gli impediscono di •manovrare con l'agilità sufficiente a far avanzare la svolta nella gestione della 'crisi. A questo livello del discorso - crisi, gestione operaia della riforma capitalistica dello Stato, partito come strumento della trasformazione - il cerchio si stringe: il « politico » diventa il luogo specifico dello scontro. Il sistema politico è proprio « lo stato più il partito », il « tertiam datur », tra le due grandi classi . L'intreccio politico/Stato, attraverso il partito, è l'elemento determinante per la trasformazione sociale. Tronti ragiona così: la classe' operaia 'deve impadro-. nirsi del terreno politico per vincere, strategicamente, lo scontro con il capitale; il suo strumento è il partito, che permette la mediazione a livello generale. E' comunque sui terreno politico che si gioca, oggi, la partita. Già, una volta lo Stato ha salvato il capitalismo 32 . Occorre fare in modo che la necessità della riforma dello Stato non si trasformi in una capacità di stabilizzazione del capitale. L'intento di Tronti è'tutto politico: la pratica di massa della politica, il suo recupero di classe, l'appropriazione diretta delle funzioni della politica da parte operaia, sono una conquista che deve essere strappata a questa società e alla sua crisi. Il terreno dello scontro si allarga: il politico (a differenza della politica) ammette altri . soggetti oltre lo Stato. Il loro emergere determina una complicazione di piani che rende necessaria un'analisi più articolata del rapporto tra la .politicizzazione crescente di ogni momento del vivere civile e la estraneazione crescente della politica, in quanto generalità e totalità.
lo Per Tronti questo intreccio non restringe il campo del politico (riduzione a pure gestione e separazione dalla società) ma, al contrario, lo allarga, rendendolo più articolato. Il problema è proprio in ciò: dome sia possibile portare ad un livello politico « esplici to », cosciente (si potrebbe dire « strategico »), l'insieme delle espressioni sociali, senza che queste perdano la ricchezza e la diversità di esigenze che le. determinavano. Un livello politico articolato e non totalizzante: questo. l'obiettivo da perseguire.
SOCIETÀ CIVILE E SFERA POLITICA
« Politica non . è solo lo Stato ma il partito, e non solo il partito, ma il movimento, e non solo il movimento ma tutto quanto vive senza organizzazione nelle .pieghe della società, come non accettazione del presente, malessere diffuso, antagonismo oggettivo, volontà, sentita e non ancora pensata, di cambiare. Occorre raccogliere questa necessità della politica che sale dal sociale » 33 . Tronti ricompone i termini della contrapposizione tra « politico » e « sociale », dilatando il concetto. di sfera politica. L'intento è quello di mettere in. rilievo, che dalla società - nelle sue molteplici pieghe - sale una grossa « domanda » di politica. Spesso si esprime nel suo contrario (come rifiuto, disgregazione), ma c'è. La politica - nota Tronti - decide ancora in alto, « in grande », ma si è spezzato il filo tra politico e sociale. Il risvolto della autonomia del politico è l'autonomizzazione del sociale. La mancanza di unità è segno della crisi del capitalismo, la cui logica che si esprime, appunto, nella separazione delle varie sfere - va spezzata 31 . Del moltiplicarsi e diversificarsi delle istanze che emergono dalla stratificazione sociale deve essere compreso il carattere di richiesta di politica, anzi di « politica nuova » . La
carica di contraddizione, espressa da tali spinte, si deve « elevare » a livello politico, a livello delle istituzioni, per modificarne l'assetto e far entrare in esse le spinte che esprimono richieste di cambiamento. Scrive Tronti: « il terreno politico non è 'più solo gioco di potere, tecnica di governo, lotta di corrente, organizzazione di partito, è potenza economica, è crisi fiscale, è tentativo di direzione del ciclo, ma è anche campo di in-.. tervento di forze non istituzionalizzate, ri-. chiesta di, una diversa gestione della cosa pubblica, volontà .da •parte di tutti di raggiungere il livello della decisione » L'analisi dei movimenti spontanei individua in essi - nonostante la loro posizione polemica contro la « politica », i. partiti, .le isti-. tuzioni - una richiesta di partecipazione alle decisioni, che passano sopra la testa dei soggetti sociali. C'è stata una frattura: tutta derivata dall'incapacità dei partiti, del Parlamento, di cogliere, esprimere, organizzare « il salto di maturità che confusamente avveniva sul terreno sociale » Si fa presto - osserva Tronti - a parlar di rifiuto della politica 38 : la vera contraddizione è quella tra « spontanea e volontarjstica dinamica politica delle forze sociali e opacità gelatinosa delle istituzioni Una politica nuova è quella che permette una reale •parteci.pazione dei soggetti sociali all'elaborazione delle decisioni e al governo degli apparati. Per far ciò non bastano richieste confuse e una generica volontà di cambiamento. Ci si deve attrezzare per trovare le risposte adatte alla necessità della trasformazione. La critica trontiana alla crescente separatezza del terreno politico viene ripresa da Asor Rosa, il 'quale pone l'accento sulla gravità della « crisi istituzionale » che si è trasfor-
mata in « crisi del sistema politico o della politica tout court ». L'aspetto più appariscente di questa crisi è dato « dalla prevalenza sempre più intol-
il' lerabile delle aichimie parlamentari e partitiche sulla politica », che •hanno portato al « distacco tra masse e istituzioni ». Da queste notazioni Asor Rosa prende lo spunto per lanciare la proposta di un radicale rinnovamento culturale, che consenta. da un lato - al partito di riconoscere la realtà in trasformazione e che permetta - dall'altro - una più diretta « funzionalità » politica degli intellettuali: « la richiesta di. una modificazione della cultura del partito. è perciò tutt'altro che una richiesta culturale: è una richiesta di, ragionare, di cono scere e di comunicare, oltre che di gestire l'organizzazione del gruppo dirigente del partito » . Già qualche settimana prima Asor Rosa - scrivendo a 'proposito delle. conclusioni del Comitato centrale comunista. si era chiesto come fosse possibile « attrezzare il partito a superare i suoi ritardi culturali e' di organizzazione ». Sul problema della cultura del partito (e della sua pratica politica), egli affermava che « non è più possibile E ... ] soffermarsi in questo limbo intermedio tra le vecchie qualificazioni ideologiche terzinternazionalisti [... e le] nuove ed abbastanza inconsuete enunciazioni di politica economica fondate sul moralismo e la spicciola quotidiana amministrazione dei rapporti con le altre forze politiche »'. Nel discorso di Asor Rosa sono comprese, in un'unica 'visuale, la cultura del partito, la' sua strategia' e la sua forma' organizzativa. Asor Rosa, appare, nel gruppo "operaista, quello che più riesce a mettere insieme il problema del superamento di vecchie concezioni teoriche (lo storicismo) con quello della dimensione nuova che - nell'analisi dell'articolazione sociale prodo'tta dalla crisi - deve assumere la politica del partito. Sia in lui che in Tronti, comunque, c'è uno stretto legame tra rinnovamento teorico del partito e modificazione, della sua politica.. ---.
LA TEORIA POLITICA CLASSICA (PER UNA. LETTURA MARXISTA)
Nella rivoluzione inglese Tronti 'ritrova i nodi' del problema attuale 'dello Stato e della transizione. Occorre rileggere i teorici della rivoluzione .inglese (Hobbes e Cromwell) per le necessità dell'oggi: « un punto di storia, letto con la teoria, per un bisogno della. politica: ecco, in sintesi,, il trac-. ciato di questo discorso e il significato di questo argomento »42. Tutto questo per l'oggi. Si tratta di appro.priarsi - .per le necessità politiche attuali, per 'far fronte a questo scontro, per uscire, in modo determinato da questa crisi - di alcuni momenti della storia dl potere (come storia del capitale) e della storia del ca. pitalismo (coiBe storia del suo potere'). Nell'analizzare i problemi della « prima rivoluzione inglese », Tronti afferma che è lo Stato il motore indispensabile per la transizione al capitalismo 43 : l'origine di quello .precede il processo di passaggio a questa forma di produzione". Nella crisi «l'elemento moderno era lo Stato »: chi individua questo fatto è pensatore rivoluzionario. Questo pensatore è stato Hobbes. Egli, piegando il giusnaturalismo ad una teoria dei poteri sovrani dello Stato, ha anticipato un grande processo storic0 46 ,. Il Leviatano si propone come il vero esemplare di Stato moderno: i suoi segni distintivi so'no l'autonomia e la sovranità, che si esprime nella separatezza dello Stato rispetto alla stessa politica come mediazione: « Lo Stato ha sconfitto il Principe ». I caratteri « originari » dello Stato si profilano di nuovo oggi, secondo Tronti, come elementi centrali dell'attuale dominio capitalistico. 'Anche negli anni dopo la grande crisi lo Stato capitalistico è riuscito ad imporre un meccanismo di riproduzione dei rapporti sociali (e di governo dell'economia) che non ha intaccato iL suo dominio gene-
12 rale sulla società. Al contrario, si assiste oggi, afferma Tronti, ad un ritorno dello Stato / grande-macchina che si impone sulla politica come mediazione. Le forme dell'odierno dominio capitalistico accentuano il loro carattere pratico: c'è un ritorno di forza dello Stato. La pratica del potere sopravanza la teoria. Tenendo presente questa situazione e analizzandola per rovesciarne gli esiti, occorre studiare lo statualismo hobbesiano. Hobbes - la cui elaborazione nasce all'interno di una « forma alta di esperienza politica » - fornisce la teoria moderna di una moderna pratica del potere. I problemi imposti dallo scontro e dalla crisi attuali sono gli stessi indagati da Hobbes; solo, in uscita dal capitalismo 49 Con Hobbes nasce il moderno concetto di potere, ma la sua posizione pratica viene respinta, perché egli « manca l'incontro con Cromwell »°. Per Tronti questo è un èlemento centrale (non casualmente di qui viene il titolo del saggio): Cromwell è colui che porta a compimento il disegno teorico hobbesiano della gestione politica della macchina statale. Con lui una teoria del potere diventa la pratica del potere. Cromwell riesce ad anteporre lo strumento (che per lui era il New Model Army e oggi è il partito) al disegno di trasformazione: « il mezzo giustifica i fini »' la sua modernità sta nell'aver messo insieme teoria e pratica del potere. .
MARX TRA I «CLASSICI »
Qual'è, per Tronti, la ragione della necessità di riappropriarsi del pensiero politico classico? Il punto è nell'analogia tra la crisi in entrata e quella in uscita dal capitalismo: di qui la « necessità di andare a vedere i punti, i nodi, i salti del lungo processo di accumulazione del politico borghe-
se »52, per cogliere i punti di modernità di queste teorie. Conoscere la teoria classica per trasformare oggi: ma naturalmente il punto centrale è la capacità di capire in proprio la crisi, per poter intervenire nello scontro in atto. Occorre, per Tronti, costruire un orizzonte teorico nuovo, per i nuovi bisogni della politica. Per far ciò è necessario liberarsi di una immagine « mitica » del 'marxismo e assumerè verso Marx un atteggiamento critico, che consenta una più valida (e non sclerotizzata) lettura della sua analisi del capitalismo. Le nuove forme che la crisi assume e le caratteristiche che hanno, al suo interno, le forme del politico, della legittimazione, del rapporto Stato-società rendono necessaria una strumentazione analitica che - pur conservando i fondamenti logico-metodologici del marxismo - si arricchisca di nuovi approcci teorici. Le necessità attuali impongono una grossa capacità di fare teoria: perciò occorre avere, in questo campo, il coraggio di non lasciarsi• bloccare da uno schema troppo rigido. In proposito Tronti si esprime con la consueta spregiudicatezza: la proposta (del '72) è quella di « prendere Marx e di metterlo nel pacco dei classici con la conseguenza di disporci nei suoi confronti in termini di una rivoluzione nel modo di pensare Considerata nell'insieme del discorso trontiano, questa proposta sembra avere come obiettivo polemico il « marxismo » (specie lo storicismo marxista) e non l'opera di Marx. Infatti il discorso sull'autonomia del politico presenta, complessivamente, due punti di rottura con la « tradizione » marxista: il ruolo del partito e il rapporto struttura/sovrastruttura. In entrambi i casi la « novità » dell'analisi di Tronti si misura non verso Marx ma verso il Diamat terzinternazionalista e verso la tradizione gra'msciano-togliattiana. Nei confronti del « materialismo dia-
13 lettico », la lettura trontiana càpovolge il rigido meccanicismo del rapporto tra « ba : se materiale » e « sovrastrutture ideologiche ». Dall'altra parte, la concezione tattica (Si potrebbe dire strumentale) del partito è, in buona misura, distante dal «moderno Principe » gramsciano. e dalla elaborazione togliattiana sul partito. Nei confronti dell'opera marxiana l'atteggiamento di Tronti può essere definito antiideologico, nel senso che è teso a conservarne lo statuto epistemologico senza sacralizzarlo. Dover pensare la crisi, senza l'ausilio di una teoria « alta »: questo è il problema. Quando afferma che mettere Marx tra' i classici significa disporsi ad una rivoluzione nella maniera di pensare, 'Tronti allude po1emica n'ente allo stallo e alla incapacità di rinnovamento di buona parte del marxismo italiano. Il punto di fronte al quale il marxismo segna il passo è la crisi 4 . L'analisi di questa 'risi deve essere fatta servendosi di strumenti anche lontani dall'< ortodossia ». Una cosa è certa: le risposte non possono troiarsi tutte in Marx. E' evidente che, sia la giovanile Critica del-
la /iloso/ia hegeliana del diritto pubblico, sia alcune opere « storiche » successive (ma nche molte delle questioni metodologiche contenute nelle opere di critica dell'economia politica) offrono ancora riferimenti significativi, senza i quali la lettura dei processi attuali è quasi impossibile: nella Kritik del '43, l'individuazione della separazione dello Stato dai singoli soggetti, il suo rovesciamento, il suo essere « astratto »; nelle opere storiche (soprattutto gli scritti raccolti in Le lotte di classe in Francia) l'anausi della dinamica dei rapporti di classe, i rapidi mutamenti di schieramento tra le stesse classi. Importante è il modo in cui si utilizza questo strumento, teorico, che continua ad essere una lente (ma non la sola) attraverso
la quale si può osservare la realtà. Tronti sembra proporre proprio un uso pragmati-' co, quando afferma (a proposito della transizione e della prima rivoluzione inglese) che sia l'approccio di Marx che quello di Weber sono « due termini obbligati di riferimento, e al tempo stesso due ostacoli a cui va applicata la categoria del superamento »'.
OPERAISMO E STORICISMO
Il momento in cui la tematica trontiana dell'autonomia del politico si è espressa con màggiore articolazione, all'interno del partito comunista, è stato il convegno su « operaismo e centralità operaia », svoltosi a Padova alla fine del 1977, neI quale la parte del filone operaista confluita nel PCI ha tentato di-fare i conti con la propria storia. Il dibattito ha evidenziato - nonostante prudenziali accenti diplomatici - la distanza esistente, tra il gruppo operaista e la linea storicista, espressa nell'intervento di Tortorella e nelle conclusioni di Napolitano. Pur nelle differenti angolature, il discorso di Tronti, Asor Rosa e Cacciari si è articolato intorno alla riaffermazione che la classe operaia è « condizione » del capitalismo come forma di dominio. Per Tronti la difficoltà del controllo della produzione materiale e della produttività dello Stato, sta nella divaricazione tra la storia del capitale e quella della classe operaia. Tale divaricazione - in cui si esprime l'autonomia del 'politico - rende necessaria« un'analisi specifica dell'oggetto specifico, in questo caso, la politica, il suo terreno, i suoi liveffi di organizzazione nelle istituzioni, i suoi livelli di pensiero nella storia delle teorie, le sue tecniche, i suoi uomini »'°. Il discorso di Tronti tende a mettere in rilievo come l'autonomia del momento della decisione sia un elemento determinato dalla necessità, per il capitalismo, di gestire,
14 con lo strumento statale, la crisi economica. A partire dagli anni Trenta lo Stato assume la direzione del ciclo economico, per tentare di superare le contraddizioni, derivanti dall'« anarchia » produttiva. In questo senso, l'autonomia del politico è il tentativo capitalistico di volgere in proprio favore la crisi. Per contrastare tale manovra occorre una nuova strumentazione, in grado di cogliere i problemi . determinati dalla crisi. « Mentre gli altri parlano di crisi del marxismo, si tratta di lavorare per rilanciare dal ceppo della cultura marxista una nuova analisi del capitalismo contemporaneo »". La critica della sociologia è lo strumento di indagine che Tronti propone per ridefinire il concetto di centralità operaia e per mettere in moto una scienza sociale « politicamente funzionale ». La preoccupazione costante del discorso trontiano è quella della funzionalità delle proposte e dei progetti: dopo aver, avvertito del pericolo, che si corre tentando di porre « fuori della fabbrica » la centralità operaia, egli propone una particolare versione di tale centralità, ancorandola al politico. In sintesi, contrastare il progetto capitalistico è .possibile attraverso l'assunzione da parte operaia dell'intervento diretto, come classe, nella gestione della macchina statale. Di fronte alla crisi, la centralità operaia è verificabile non in una « ontologica» e dogmatica essenza rivoluzionaria, ma nella capacità di unificare gli strati sociali subalterni, evitando - nel contempo - sia di isolarsi che di 'emarginare i gruppi sociali più deboli e disgregati. Cacciari, a sua volta, si pone il problema di stabilire se «la dimensione del "politico" è deducibile dal rapporto capitale-lavoro » e risponde che il nesso forza-lavoro/composizione di classe/autonomia politica della classe è estremamente problematico e non può, comunque, essere assunto nel paradigma (proprio della tradizione marxista)
del superamento dell'una forma nell'altra. Per Cacciari occorre,' invece, riconoscere 'la differenza specifica dei vari elementi e « ri.pensare le forme storiche dell'organizzazione operaia nella . loro specifica-relativa « autonomia », ripensare la « mediazione » che esse operano come categoria centrale della iniziativa politica », senza appiattire - come faceva l'operaismo « classico » - le for-' me del comando alle forme dell'organizzal. zione della produzione. Il discorso di Cac-' ciari - che, nell'analisi critica dell'esperienza di « Quaderni rossi » e di « Classe operaia », si presenta come un tentativo di revisione teorico-politica complessiva - è teso a collegare la categoria di centralità operaia a quella di ege'monia. La relativa autonomia della classe si trasforma (nel momento della mediazione politica), nella capacità di esercitare una funzione egemone sulle « altre » autonomie: « Bisogna ripensare all" autonomia" (lungi dal - negarla) alla luce dei termini di "centralità." operaia e cli "egemonia» »58. Dal canto suo, Asor .Rosa, affermando che è opportuno «por fine alla polemica un .po' sterile contro la categoria dell" autònomia del politico" », ribadisce che « nessuno si .propone di sopprimere la fabbrica e la società a favore dello Stato, ma che piuttosto con quella formula si propone di sottolineare e meglio definire l'enorme spazio di direzione e d'iniziativa che deve attribuirsi un partito intenzionato a portare nello Stato la dinamica degli interessi operai ». E' la crisi capitalistica a fare « della società e dello Stato il terreno privilegiato del conflitto, il terreno dello scontro politico ». La risposta operaia alla crisi deve « disegnare » una strategia: è la capacità di egemonia a decidere della centralità nello scontro sociale. Tale centralità assume un aspetto « contrattualistico »: Asor Rosa si chiede « cosa offre la classe operaia » e afferma che essa deve garantire, in primo luogo, il « passag-
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gio dal consumismo al benessere generalizzato senza passare per il pauperismo » e, in secondo luogo, un riconoscimento di validità politica anche a tutto ciò che non è istituzionalizzato 59 . Come si vede, l'interesse cli Asor Rosa è focalizzato sulla capacità del partito di dare espressione anche alle fasce disgregate dei « non-garantiti » che, spesso, la politica del PCI ha teso ad emarginare e lasciar fuori dal suo orizzonte strategico. Le i.potesi di ricerca di Asor Rosa, Cacciari e Tronti sono collegate dalla comune sottolineatura della necessità di approntare nuovi strumenti analitici, e dal comune rifiuto della, tradizionale visione del partito come portatore della « dialettica generale » e come unico « motore » della trasformazione sociale. 'Proprio a questa visione fa sostanzialmente, riferimento l'intervento di Napolitano. Egli, nelle conclusioni al dibattito, tenta di ricondurre la categoria di centralità operaia all'interno della gramsciana categoria' della « lotta 'per l'egemonia », ma, soprattutto, piega il senso del discorso sulla necessità di guardare con attenzione al terreno politico, istituendo un discutibile parallelismo tra l'autonomia del politico e la togliattiana categoria dell'iniziativa politica. Dopo aver espresso « consenso » per il nucleo centrale dell'analisi di' Tronti e del convegno, che « sta nell'affermazione del carattere eminentemente politico della centralità operaia e dèlla lotta per l'egemonia »,' Napolitano afferma: .« interpreto questa sottolineatura del momento politico, del carattere politico della centralità operaia e della lotta per l'egemonia, come un recupero di quella categoria dell"iniziativa politica" che ha rappresentato uno dei maggiori apporti teoricopratici di Togliatti »80• L'intervento di Napolitano è il tentativo di utilizzare la sottolineatura del momento politico per stravolgere il senso del discorso degli « operaisti »
(che è teso a rintracciare nelle nuove forme della composizione di classe la matrice di un possibile intervento a livellò dello Stato) e riportarlo nel filone della tradizione storicista, che trova la sua sistematizzazione nella lettura togliattiana di Gramsci.
IL DIBATTITO NEL PCI: STORICISMO E ORGANICISMO
Il progetto trontiano e le sue proposte hanno trovato risposte immediate da parte degli altri gruppi intellettuali del partito. Il dibattito sull'autonomia del politico è stàto ripreso '(anche se solo parzialmente) da De Giovanni, nel marzo '78 su « Rinascita ». Egli, intervenendo a proposito di un'a discussione tra Ingrao e Amato°', osserva che « la diffusione molecolare della politica coincide (deve coincidere) con la diffusione dello Stato », dato che la lotta di classe '« o pone il problema 'dello Stato o rimane al di là di un progetto di trasformazione »82• L'equazione tra politica e Stato porta De Giovanni a ritenere che la « politicizzazione dei soggetti sociali determini 'la "statalizzazione" di ogni forma dell 'agire sociale ». In questa ottica la politica e lo Stato - lungi dal determinarsi come sfere autonome dal sociale - permeano di sé ogni elemento delle società. La contraddizione, in cui si esprime la crisi è - secondo De Giovanni - quella tra «diffusione della politica e corporativizzazione della società ». Per evitare i rischi di questa non-immediata relazione tra diffusione della politica e trasformazione dello Stato, si ha « più che mai bisogno del momento 'generale, che è quello dell'egemonia politica », in grado di ricòmporre i « settori emergenti attraverso la forza aggregante di un amplissimo disegno statale ». « Il 'momento "generale" -- scrive De Giovanni, in aperta polemica con Tronti - non può agire più nella sua autonomia,
16 perché la crisi moderna coincide largamen- tiano sarebbe una rozza riduzione della po'te con la crisi dell'autonomia della politica litica a mera gestione strumentale. Così, ad che è la forma teorica e pratica del vecchio esempio si esprime Angelo Bolaffi, il quale afferma che, negli interventi di Tronti e Stato »83 •La posizione di De Giovanni esprime una Asor Rosa (ad un convegno organizzato concezione tendente a riproporre la catego- dall'Istituto Gramsci e dalla Fondazione Felria dell'egemonia come cardine dell'assun- trinelli) sono «riapparse le ombre di uno zione, da parte operaia, della gestione dello Stato puro strumento tecnico, fungibile UI Stato. L'idea è che l'allargamento della base sic da parte del movimento operaio ». In di massa dello Stato rende necessario un 'questa secca semplificazione del complesso rapporto « organico » tra masse, partito e rapporto capitale/Stato/società, si scorgono Stato. « La risposta democratica all'epoca - - continua Bolaffi - «antiche reminiscennella, quale si trasforma il nesso masse-Stato ze terzinternazionalistiche, segnate da iperponon può essere che una: far entrare inte- liticismo », le quali possono portare a « traramente le masse nello Stato. Da qui il ruo- sformare la realtà dell'autonomia del politico lo del partito come "mediatore" istituzio- in "valore" o comunque [... a] ipostatizzarnale di questo rapporto ». E ancora più chia- la come forma eterna del rapporto tra goramente, sul ruolo del partito: « Il moder- vernati e governanti ». no Principe, cioè, organizza e dirige il rapAnaloghi a qùelli di Bolaffi sono i rilievi porto tra classe operaia e democrazia, a par- che - nel contesto di un discorso sugli tire dall'idea che il passaggio dallo Stato aspetti giuridici del garantismo - vengono come apparato di coercizione allo Stato de- mossi da Pietro Barcellona, il quale affermocratico non è realistico se non ricompo- ma che le tesi che « accentuano l'autono-nendo il nesso tra vita economico-produtti- mia della politica (o del politico) finiscono va e vita politica. Anche il nesso partito-clas- per altro verso con il portare acqua al muse si fa dinamico, gli elementi di "univer- lino della concezione del diritto come pura salizzazione" che il Partito introduce nella tecnica - e cioè alle concezioni di un'alclasse sono già elementi "statali" che ne de- trettanto astratta autonomia del giuridico ». terminano la fisionomia »64. Di uguale segno le osservazioni di Claudia Il carattere « organicistico » del rapporto Mancini su « Critica marxista »: la formula società/Stato viene fuori con chiarezza an- dell'autonomia del politico - sostiene cora maggiore in alcune affermazioni di Giu- « appare un esito imprevisto ma non certo seppe Vacca. Egli, in un articolo intitolato' inspiegabile dell'operaismo degli anni sessignificativamente Primato, non autonomia, santa, di cui perfeziona l'originario econo-, afferma che è necessario giungere ad « una micismò »68. Dell'impostazione operaista, la ricomposizione del "cittadino" e del "pro- tesi dell'autonomia del politico conserva la duttore", trasformare il ceto politico in una «separazione di economia e politica, di sotrama di funzioni consapevolmente elabora- ,cietà civile e Stato per incapacità di vederta e controllata da parte dei governati, ren- ne un'articolazione non' meccanica o conserdere così organico e non contraddittorio il vativa ». rapporto fra società civile e società politica, Conseguenza di tutto ciò è la riduzione delpur nella loro indispensabile dialettica ». la lotta operaia sul terreno politico a una Un punto su cui ritornanò molte delle vo- pura « mediazione tecnicistica ». ci critiche all'ipotesi dell'autonomia del po- Considerazioni di segno del tutto diverso litico è quello secondo cui il discorso tron- sono fatte, 'sempre su « Critica marxista »
17 (e ciò è ulteriore indice della articolazione del dibattito), da Riccardo Tosi. «Il còmpito vero è quindi per noi quello di dare un contenuto, all'altezza della crisi che viviamo, alla semplice opposizione fra Stato e società civile, accorgendosi che l'ammissione di una "relativa autonomia" dello Stato e della politica, non solo è il contrario di una sua autoritaria autonomizzazione, ma è anzi una condizione indispensabile per rendere più visibili le trasformazioni fattuali e sistematiche della società civile »69. Il dibattito interno al PCI, spesso lascia apparire solo parte delle reali divergenzé. L'intervento di Claudia Mancina, ad esempio, è interessante poiché rivela la tendenza (esistente nel partito) a criticare le posizioni di Tronti (e degli altri intellettuali a lui vicini), facendo risalire linearmente le elaborazioni odierne alla « eresia » operaista degli anni sessanta. Ancora una volta lo spostamento dell'analisi, dai concreti contenuti delle varie posizioni alla loro collocazione ideologica, rivela una tendenza alla « demonizzazione », che è sintomo di preoccupazioni politiche che restano sullo sfondo.
QUALCHE NOTA A CONCLUSIONE
Le obiezioni all'autonomia del politico, pur originandosi come difesa della tradizione culturale del partito, tendono in concreto ad isolare sul piano politico il gruppo operaista. E questa operazione è svolta non senza successi. Vi sono alcuni fatti (non eclatanti, ma tutti, a ben vedere, significativi) che segnalano questa situazione. Gli interventi (precedenti le elezioni del 1979) di Tronti non sono stati ospitati dal quotidiano del partito, ma da un giornale formalmente indipendente; nella polemica post-elettorale, Asor Rosa ha dovuto intervenire su « la Repubblica », per esprimere il suo dissenso verso
le scelte politiche del partito e verso la riproposizione del centralismo democratico 70 . La severa critica espressa nei confronti delle posizioni ufficiali del partito dimostra l'esistenza di uno scontro politico, di cui il dibattito teorico esprime solo una parte. Le posizioni del gruppo operaista non sembrano trovare nell'immediato una eco significativa nel partito e non sembrano in grado di spostarne i rapporti di forza interni. Al contrario, la necessità da parte di questi intellettuali di doversi esprimere in « luoghi » non ufficiali è il sintomo che le loro posizioni hanno difficoltà a passare nel partito. Tale difficoltà si riflette significativamente nella composizione degli organi dirigenti: nel nuovo Comitato centrale del PCI non vi è - nonostante la presenza di molti intellettuali7' - nessun esponente del gruppo operaista. Di recente, il gruppo «operaista » ha dato vita ad una rivista (< Laboratorio Politico ») che 'ha fatto discutere già prima della sua uscita. Se ne è voluto sottolineare il carattere « eretico » nei confronti della linea ufficiale del PCI e si sono aperte scommesse sulla possibilità di una riedizione della vicenda « Manifesto ». Mettendo da parte le chiacchiere da rotocalco, va osservato soltanto che « Laboratorio Politico » nasce dalla necessità di una ridefinizione del bagaglio teorico dellà sinistra, specie sui problemi dello Stato. Tronti - che della rivista è il coordinatore - afferma che va analizzato il modo in cui viene gestito il potere, poiché « questo punto funziona oggi come moltiplicatore di contraddizioni in altri luoghi, nel sociale, nel privato, nell'ordine o disordine economico, nell 'organizzazione o nell 'anarchia dei saperi »72. Le forme in cui si organizzano i governi sfuggono a schematizzazioni ideologiche, perché sono fondate essenzialmente su pratiche empiriche. Solo l'analisi omarata - sul piano internazionale - di tali « pra-
18 tiche », unita ad una riflessione teorica e di ricostruzione storica delle vicende del capitalismo, può dare conoscenza. Un progetto simile e il «tentativo di costruire un livello minimo dove la ricerca possa organizzarsi » sono alla base anche dell'uscita de « il Centauro », diretta da De Giovanni.
E' significativo notare (per cercare di capire gli attuali sviluppi del dibattito e della ricerca nel PCI) che le due riviste siano nate con l'intento comune di superare la pratica delle « scuole »Th, per imboccare la strada di un dibattito che sarà tanto più proficuo, quanto sarà privo di Sottintesi e di furberie tattiche. .
M. TRONTI, Classe operaia e sviluppo, in «Contropiano»,1970, n 3, p. 476. 2 Cfr. M. TRONTX, La faccia. nascosta del pianeta America, in « Rinascita », 1978, n. 7, p. 22. Cfr. A. ASOR ROSA, Le due società, Einaudi,Totino 1977. Cfr. M. CACCIARI, Trasformazione dello Stato e progetto politico, in e Critica marxista », 1978, •n. 5, •pp. 27-61. lvi, pp. 32-33. 8 lvi, p. 40. M. CACCIARI, Di questa crisi si tratta, non di un'altra, in e Rinascita », 1978, n. 23, pp. 28-29. 8 Sulla elaborazione di Ingrao cfr. Masse e potere, Editori Riuniti, Roma 1977. L'ipotesi è di M.G. MERIGGI, Classe operaia e so-
ghilterra, Il Saggiatore, Milano 1977, pp. 183-317
cietà : come si detérmina un soggetto politico?, «Aut-aut », n. 164, marzo-aprile 1978, pp. 49-60. 10 M. CAccIARI, Trasformazione dello Stato e progetto politico, cit., p. 50. " Ivi, .p. 53. 12 Si tratta di due articoli apparsi su «Rinascita »:
il primo (La DC: il partito della mediazione pura) nel o. 49 del 1974 e il secondo (Lo Stato e il partito di massa) nel . 7 del 1975. 13 M. TRONTI, Politica e potere, in « Critica marxista », 1978, n. 3, pp. 19-35. 14 M. TRONTI, L'autonomia del politico: relazione, in Tronti, Sull'autonomia del politico, Feltrinelli, Milano 1977, p. 11. La relazione predetta risale al '72. Nella seconda parte del volume è contenuta un'altra relazione, intitolata Le due transizioni. Per ragioni legate all'individuazione, anche cronologica, delle posizioni di Tronti si indicherà con. L'autonomia del politico il testo del '72 e con Le due transizioni quello del '76. 15 M. TR0NTI, Le due transizioni, cit., p. 70. Altrove Tronti afferma con chiarezza il carattere non ortodosso del suo approccio: « L'ipotesi che qui si fa, sceglie essa stessa di essere irregolare, frutto di relazioni extra-marxiste, con correnti della storiografia non materialistico-storica: l'origine dello Sta-
to borghese moderno anticipa il processo della transizione al capitalismo »: M. TRONTI, Hobbes e Cromwell, in AA. VV. Stato e rivoluzione in In-
(il luogo citato è a p. 220). 16 Cfr. M. TRONTI, L'autonomia del politico, cit., p. 10. 17 lvi, p. 11. 18 Cfr. ivi, p. 12.. 19 M. TR0NTI, ivi, pp. 14-15, scrive: « nella critica della politica Marx non va, non riesce ad andare al di là, diciamo, di quest'epoca, che risulta quella delle origini del capitalismo ». 20 Cfr. M. TRONTI, Le due transizioni, cit., .p. 74. 21 Ivi, p. 80. 22 M. TRONTI, Politica e potere, cit., pp. 22-23. 23 Cfr. M. TRONTI, Le due transizioni, cit., p. 75. 24 Cfr. M. TRONTI, L'autonomia del politico, cit., p. 52. 25 Ivi, pp. 52-53. 26 M. TR0NrI, Le due transizioni, cit., •p. 75. 27 M. TRONTI, L'autonomia del politico, cit., p. 19. 28 lvi, p. 57. 29 M. TRONTI, Il partito come problema, in « Contropiano », 1968, n. 2, pp. 297-317, (p. 300). 30 Cfr. M. TRONTI, L'autonomia del politico, cit., p. 28. 31 Cfr. M. TRONTI, Sindacato, partiti e sistema politico, in «Annali Feltrinelli 1974/1975 », ripubblicato in A. ACCORNERO - A. PizzoRNo - B. TREN TIN - M. TRONTI, Movimento sindacale e società italiana, Feltrinelli, Milano, 1977. Il saggio di Tronti è alle .pp. 237-277; i luoghi citati a p. 259 e a p. 263. 32 Cfr. M. TRONTI, Politica e potere, cit., p. .33. 33 lvi, p. 32. -34 Cfr. M. TRONTI, Lo Stato e il partito di massa, cit. Cfr. M. TRONTI, Clima elettorale, lo sbadiglio al potere, in « Paese Sera », 25 maggio 1979. 36 M. TRONTI, Sono cambiati i luoghi della crisi, in « Rinascita », 1978, n. 44, pp. 23-24. 37 M. TRONTI, 11 9 maggio fu una svolta: come rispondere, in « Paese Sera », 9 maggio 1979. 33 M. TRONTI, Clima elettorale..., cit.
19 M. TRONTI, 11 9 maggio fu una svolta..., cit. A. AsoR ROSA, Ragionando su questi tre anni, in « l'Unità », 21 agosto 1979.. 41 A. ASOR ROSA, Compagno Berlin guer, siamo davvero sulla strada giusta?, in « la Repubblica », 22 luglio 1979. 42 M. TRONTI, Hobbes e Cromwell, cit., p. 316. 43 Cfr. ivi, •p. 186: 44 Cfr., ivi, p. 220. 15 lvi, p. 260. 40 Cfr. ivi, p. 267. 41 Ivi, .p. 272. -18 Ivi, •p. 252. ' Cfr.. ivi, p. 277. ° Cfr. ivi, p. 284. 51 Ivi, .p. 298. 52 M. TRONTI, Politica e potere, cit., p. 30. -53 M. TRONTI, Le due transizioni, cit., p. 65. -54 Scrive Tronti (Politicà e potere, cit. p. 22): « Quanto più la politica, il terreno politico, anticipa grandi processi sociali di crisi o di sviluppo, di dissoluzione o di ricomposizione, tanto più il marxismo della nostra epoca marca un ritardo e segna un arresto ». 51 M. TRONTI, Hobbes e Cromwell, cit., p. 243. 30 M. TRONrI, La classe e la politica, in « Rinascita», 1978, n. 1, p. 16. Ibidem. M CACCIARI, Dal « puzno del capitale » alla filosofia delle corporazioni, in « Rinascita», cit., pp. 32-34. ° A. ASOR ROSA, Anche per il partito una fase di transizione, in « Rinascita», cit., p. 17. 60 G. NAPOLITANO, conclusioni al dibattito del convegno su . « Operaismo e centralità operaia » in « Rinascita », cit., pp. 15-16. ' Cfr. Parlamento, partiti e società civile, intervista di Giuliano Amato a Pietro Ingrao, in « Mondoperaio », 1976, n. 1, pp. 59-66. 02 B. Dx GIOVANNI, Di/fusione della politica e crisi dello Stato, in « Rinascita », 1978, n. 9, pp. 7-8. « Ibidem. 114 B. DE GIOVANNI, La novità del rapporto tra lo Stato e le masse, in « l'Unità », 29 gennaio 1977. 83 G. VACCA, Primato, non autonomia, in « 'La città futura », 1978, n. 6. 60 A. BOLAFFI, Crisi, potere, politica, in «Rinascita », 1979, n. 7, pp. 41-42. 67 P. BARCELLONA, Quale garantismo e quale democrazia, in « Rinascita», 1978, •n. 31, pp. 10-11. 68 C. MANCINA, Il dibattito sullo Stato. Marxismi a con/ronto, in « Critica marxista », 1978, n. 5, •pp. 63-77 (.p. 76). 119 R. Tosi, Politica e società civile nel dibattito sullo Stato contemporaneo, in « Critica marxista », 1978, n. 1, .pp. 147-157, (p. 157). ° Cfr. A. ASOR ROSA, Compagno Berlinguer..., cit. 71 Nel Comitato centrale comunista vi sono — tra gli altri — Badaloni, Cerroni, De Giovanni, Grup 39
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pi, Lombardo Radice, Lu,porini, Vacca. Come si vede sono sostanzialmente rappresentati tutti i gruppi intellettuali meno quello operaista. 72 M. TRONTI, Cercare, pensare, lavorare sul politico, in « Laboratorio Politico», n. 1, gennaio-febbraio 1981. 13 B. Dz GIOVANNI, Editoriale, in « il Centauro», n. 1, gennaio-aprile 1981. 74 Va rilevato, ad esempio, che nei comitati direttivi di entrambe le riviste, vi sono Remo Bodei, Massimo Cacciari e Giacomo Marramao.
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