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queste istituzioni 1982/1 ° semestre
LA POLITICA MERIDIONALISTA DEGLI ANNI OTTANTA: IMMOBILITA' O RINNOVAMENTO? Le proposte di legge per l'intervento straordinario di (jo/jredo Zappa
1.1. Il ministro per gli interventi nel Me zogiorno ha annunciato verso la metà dell'aprile 1982 che i cinque partiti della maggioranza di governo hanno concordato un disegno di legge sull'assetto dell'intervento straordinario per i dieci anni a venire 1 La proposta - non ancora resa pubblica - rà discussa in prima istanza dalla Quinta Commissione Permanente (Bilancio e programmazione - Partecipazioni statali) della Camera dei Deputati, presso la quale vengono esaminati contestualmente il disegno di legge formulato dal ministro Capria e presentato nella primavera 1981 dal governo Forlani, la proposta di legge « Di Giesi ed altri » del PSDI e la proposta « Alinovi ed altri » del PCI. Ben difficilmente l'iter parlamentare sarà concluso e la legge approvata entro il 30 giugno c.a., data alla quale il DL 26 novembre 1981, n. 679 - ultimo di tre in ordine di tempo - ha prorogato, in attesa della « entrata in vigore della nuova disciplina organica », la durata della Cassa per il Mezzogiorno. Dunque, se tutto andrà bene, la nuova legge diventerà operativa con un anno e mezzo di ritardo. Data per imminente in più occasioni (dal ministro « pro tempore » Capria nel settembre 1980 alla Fiera del Levante e dal presidente del Consiglio Spadolini a fine giugno '81 nel corso della dichiarazione programmatica, ad es.), la nuova legge dovrebbe derivare da una proposta che già è frutto di discussioni arroventate e di sofferti compromessi. Quando il neoministro Signorile cominciò a rendere noti i suoi propositi in materia2 il responsabile democristiano del settore, on. Manfredi Bosco, non tardò a chiedere con fermezza « che il Governo, per la importanza della materia, prima di presentare gli enunciati emendamenti alla Camera ne compia una complessiva e collegiale valu.
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tazione in sede di Consiglio dei Ministri ». Il vaglio del Consiglio dei ministri non ci fu, ma in compenso, il 21 ottobre, il vertice dei segretari dei partiti della maggioranza dava vita ad un Comitato o gruppo di lavoro per approdare alla nuova legge in «tempi ragionevoli ». Proroghe di normative scadute e ritardi nelle leggi di rinnovo non sono eccezionali nelle vicende dell'intervento straordinario. Le due ultime leggi (la 6 ottobre 1971, n. 853 e la 2 maggio 1976, n. 183) costituiscono un precedente di non poco conto. Ma il lasso di tempo che intercorre tra la scadenza della 1. 183 (il 31 dicembre 1980) e il dibattito parlamentare che s'è cli recente avviato è indicativo di un groviglio di problemi e di un clima di incertezza che non hanno antecedenti dal momento ormai lontano in cui fu istituita la Cassa per il Mezzogiorno. Da un lato, infatti, l'esigenza di innovare in profondità istituzioni e metodi dell'intervento viene proclamata anche dalle parti politiche che nel governo della Cassa ebbero parte preponderante e che di quell'esperienza furono gli irriducibili assertori 4 , sì che attualmente la difesa dello status quo è affidata solo a singole personalità e testate di limitato seguito e minor incidenza 5 Dall'altro, se non mancano •prefigurazioni audaci e perfino azzardate, esse né sembrano nascere sempre da una ponderata riflessione sull'esperienza condotta (e non basta a supplirvi il richiamo a termini suggestivi o il prendere a testo esperienze straniere, magari conosciute attraverso citazioni d'accatto) né risultano calibrate rispetto ai problemi sui tappeto. Inoltre, e una volta ancora, il dibattito che doveva pur esserci finora è mancato o s'è svolto in ambiti ristretti per cui - rispetto anche a proposte maturate più di un anno fa - il vaglio e la sollecitazione critica non hanno svolto il ruolo che si dovrebbe pretendere.. . Non sarà male, comunque, richiamare almeno qualche tratto della. problematica vasta e complessa che condiziona e determina il futuro del Mezzogiorno e con la quale, per un verso o per l'altro, la politica e gli istituti dell'intervento direttamente o indirettamente dovranno confrontarsi. .
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3 1.2. Non c'è dubbio che il primo posto in ordine di importanza è occupato dalle difficoltà che il sistema economico italiano, ormai da tempo, va attraversando. La stasi dell'apparato produttivo nazionale con le sue drammatiche manifestazioni (delle quali va menzionato un tasso di disoccupazione aperta, nelle regioni settentrionali, quale non si conosceva dai primi anni cinquanta) e la lunga e faticosa strettoia tra inflazione e recessione che è necessario percorrere per ottenere, col rientro lento dell'inflazione, saggi non insignificanti di crescita, implicano sul terreno meridionalista almeno due cose. La prima attiene alle prospettive « spontanee »: è impensabile che possano riprodursi, almeno per un primo, non breve periodo e nelle stesse, rilevanti dimensioni, quei processi di innesto dal Nord di robuste unità manifatturiere e di non episodico decentramento produttivo che già hanno interessato positivamente le regioni meridionali. La seconda riguarda i criteri operativi degli istituti dell'intervento: il paese, nel conflitto tra risorse assorbite dalla spesa pubblica e risorse residue, vorrà essere garantito sulla destinazione e sull'efficacia dei fondi assorbiti dall'intervento straordinario. Nessuno più - almeno esplicitamente nega la necessità di incanalare verso il Mezzogiorno le risorse necessarie al suo sviluppo; esplicitamente, invece, occorre dimostrare, costruendo i meccanismi a ciò necessari, che queste risorse contribuiscono alla crescita del Mezzogiorno e del paese, che questi apporti « straordinari » sono indispensabili per estendere in quelle regioni l'apparato produttivo nazionale. Non esistono più le circostanze (che, a dire il vero, da tempo sono finite) per vantare la « capacità di spesa » a prescindere dalla produttività della spesa stessa; solo dopo averne dimostrata la produttività, solo dopo averla sottoposta a un giudizio di convenienza che la confronti con le possibili alternative, è lecito ri-
chiedere l'ulteriore espansione di una spesa. Se i giustizialismi regionalistici e- il lamento sudista hanno avuto la loro stagione (e per meridionali e per meridionalisti fu ben triste stagione), l'epoca climatica sopravvenuta non si presta al suo ripetersi. Nessuno può pretendere di attribuire al mercato virtù e pregi che esso non ha mai e oggi men che mai - posseduto; ma nemmeno si può fingere che oggi l'operatore politico sia, in quanto tale, detentore di una razionalità superiore quando invece storicamente gli vanno imputati modelli «mostruosi ». Mentre è impossibile non puntare nel - tempo ad una ridefinizione globale dei criteri d'azione dell'« operatore Stato », di -fronte all'irriducibilità della spesa del ettore pubblico allargato è già da tempo in atto la manovra del Tesoro per mettere freno al « banchiere occulto » e per spingere gli istituti di credito - anche attraverso una maggior concorrenza tra gli intermediari - a un più elevato livello di efficienza nell'allocazione del risparmio da essi amministrato. La «via finanziaria allo sviluppo » sembra interrotta e -la necessità di limitare il deficit della bilancia dei pagamenti e di utilizzare le risorse assorbite e 'non assorbite dallo Stato spinge (e più dovrebbe spingere) a qualificare la spesa pubblica e a selezionare gli investimenti. L'esigenza di puntare ad una maggiore redditività non può, in linea di principio, coincidere con una politica che porti a trascurare il Mezzogiorno; ma la « linea di principio » vale se non viene cancellata da una « linea strumentale », di norme di legge e di comportamenti istituzionali, che di fatto conduca ad un'accumulazione poco efficiente. Guai se, nei nostri anni, dovessero contrapporsi l'obiettivo di elevare la spesa (quella in conto capitale, in particolare) destinata al Mezzogiorno e quello di irrobustire l'economia nazionale, di salvaguardarne la sopravvivenza e la cre-
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scita. Ma questa contrapposizione potrebbe determinarsi se non si riconoscessero i limiti entro i quali le scelte politiche sono compatibili con le ragioni dell'avanzamento e del progresso, se si ritenesse che, rispetto al rigore che è sempre valore civico e civile e che è oggi imperativo inderogabile per tutto il paese, per l'argomento Mezzogiorno (come per qualsiasi altro argomento) valesse il regime di esenzione, se furoreggiasse ancora la moda populistico-industrialista che chi ha o tiene comunque parte al governo dell'intervento o chi i fondi elargiti dall'erario li investe nel Sud con criteri speculativi e cervellotici acquista per definizione meriti meridionalistici e gode di fronte alla critica di una « zona franca » che va difesa oltranzisticamente. Da quasi un decennio si vanno costruendo le condizioni di una resa dei conti che non è drammatica né dolorosa sol che si sappiano assumere i comportamenti conseguenti, e essa è anzi l'occasione di un disegno politico che privilegi il Mezzogiorno come luogo di lavoro e di creazione di prodotto e non come area di assistenzialismo e di premio all'investimento purchessia. E' la strada, ardua e obbligata, che occorre seguire perché il paese non si avviti in una spirale di decadimento, che sarebbe preclusiva di ogni serio impegno meridionalista, anche se si accompagnasse a una « licenza di assistenza », modesta forse tua ugualmente ritenuta necessaria per gestire il consenso E' palese, d'altra parte, che lasciar campo prevalentemente ai meccanismi di mercato e affidarsi alla logica capitalistica di allocazione equivarrebbe a negare l'esistenza del « problema Mezzogiorno », più in generale a non metter mano ai problemi strutturali dell'economia, e a rinunciare a qualsivoglia politica di sviluppo. Occorre, dunque e ancora una vo]ta, assumere una logica di intervento deciso; ma che sia una logica di
sviluppo, che innervi azioni sulla cui natura non possa pesar dubbio. Se questo è il quadro derivante da una semistagnazione che è ormai di lunga durata e da una presenza dello Stato che non può non essere guardinga e prudente anche nel perseguire obiettivi irrinunciabili, tanti sono i vincoli cui è sottoposta (a cominciare da un livello di inflazione che impedisce qualsiasi politica espansiva di respiro), in esso vanno collocati altri problemi che, pur travalicando i confini del Mezzogiorno, direttamente lo interessano in quanto propri di strumenti tradizionali dell'azione pubblica: il credito agevolato e le imprese a partecipazione statale. L'incertezza che grava sul rinnovamento del primo - sul quale dovremo necessariamente tornare - e lo stato di crisi che attanaglia le seconde già incidono sull'affievolita dinamica produttiva del Sud. Il modo in cui questi nodi verranno sciolti non è di sicuro neutrale per il futuro dell'economia meridionale ed è probabile che, in ogni caso, su di essi non si possa più far conto come s'è fatto (talvolta illusoriamente) in passato.
1.3. Ovviamente, sono i problemi della circoscrizione meridionale quelli che più direttamente valgono a identificare il tipo di politica e le caratteristiche degli istituti necessari. Ma, probabilmente, mai come oggi, fra quanti sostengono la necessità e l'opportunità di un intervento straordinario nel Mezzogiorno, v'è stata tanta discrepanza di opinioni e tanta perplessità nell'individuare i temi cruciali dell'intervento; più in generale, il giudizio su cos'è il Mezzogiorno oggi (che è anche - lo si voglia o no - giudizio, sia pure implicito e sia pure parziale, su trent'anni di intervento) varia talmente da un osservatore all'altro, dall'uno all'altro angolo visuale che pare impossibile addivenire ad un comune denominatore (che pure
5 in precedenza ci fu) che non sia troppo ridotto, e perciò insignificante. Né tale divaricazione è funzione solo della parte politica, dell'atteggiamento sovente aprLoristico nei confronti del passato o della disposizione all'ottimismo di chi giudica - fattori che pure sono presenti e che in taluni casi possono prevalere. Quel che conta sottolineare, piuttosto, è che il sempre più netto differenziarsi delle diverse zone geografiche, l'emergere di comportamenti talora diametralmente opposti all'interno di una stessa categoria di operatori, il manifestarsi, in sincronia o in tempi successivi, di aspetti palesemente contrastanti nel medesimo ordine di fenomeni, frammentano e scompigliano il terreno d'osservazione in modo tale che basta attribuire un peso specifico lievemente mutato a una serie • di fatti in presenza o non condividere appieno le identiche premesse di valore per portare al limite del riconoscibile e del confrontabile i possibili modi di vedere il Sud. « Il Mezzogiorno è mutato» è l'apertura (eventualmente rafforzata da tutti gli avverbi atti a rendere la grandiosità e la profondità delle trasformazioni avvenute) quasi d'obbligo per qualsivoglia enunciazione programmatica e a sostegno delle opinioni e dei propositi più disparati. Il dato più rilevante e il traguardo positivo del mutamento che ha avuto luogo in questi trent'anni è sicuramente il fatto - oggi scontato al punto da essere trascurato che, per la prima volta nella storia unitaria, le regioni meridionali sono ormai irreversibilmente integrate, sotto tutti i punti di vista, al resto d'Italia e che s'è irrimediabilmente interrotto il processo plurisecolare che aveva staccato e distanziato il Mezzogiorno dalle regioni più civili d'Europa; e questi svolgimenti si sono prodotti nel corso di decenni nei quali il vecchio continente non ha conosciuto sosta nella crescita e nelle trasformazioni che al più si sono
attenuate• in alcuni momenti, e nei quali insieme ha sperimentato brusche crisi e impreviste novità sul terreno politico, economico e monetario. Determinante in questa evoluzione è stata l'espansione del prodotto, che per quasi un venticinquennio è stato lievemente superiore al 5% medio annuo e il cui ritmo, più recentemente, si è dimezzato. Questa crescita delle attività produttive come accade in ogni processo di sviluppo che sempre è sinonimo di differenziazione e di incipienti squilibri territoriali - è stata contestuale e contemporanea a una divaricazione nei livelli di reddito (e ancor più di prodotto) e a uno specificarsi di problematiche sociali che hanno infranto del tutto la residua e relativa omogeneità geografica del Mezzogiorno. E' un fenomeno sul quale recentemente hanno insistito in molti 8 e ad essi si rimanda per i necessari approfondimenti. Qui basterà sottolineare che se alcune di queste differenziazioni ricalcano caratterizzazioni tradizionali e contrapposizioni antiche semmai esasperate da scelte politiche inconsapevoli o incapaci di misurarsi con questo tipo di problemi (e sono tali le dicotomie aree interne / aree di sviluppo, zone d'esodo / aree metropolitane, città d'antica industrializzazione / province in stasi, etc.), in altri casi la crescita economica e le dinamiche sociali - come nel caso di alcune province abruzzesi - hanno indotto su sentieri di sviluppo difficilmente prevedibili. Sono questi i casi nei quali son da ravvisare quei processi di sviluppo a caratterizzazione « localistica », « improntati è stato notato - sulle dimensioni minori dell'industria, su di un ruolo positivo di promozione e supporto delle istituzioni locali E ... ], su un'integrazione e sinergismo dei diversi soggetti economici, su una soggettualità imprenditoriale che si avvale di una non indifferente professionalità (in molti casi c'è alle spalle un'origine artigiana o
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di lavoro operaio specializzato), della capacità accumulativa della famiglia, del parentado e degli altri molteplici meccanismi del "banchiere occulto", di una legittimazione sociale che deriva dal convincimento dif fuso del ruolo positivo che tali soggetti giocano nello sviluppo locale ». E' già evidente come la dinamica innestata nelle regioni meridionali e le ripercussioni più o meno accentuate che essa ha provocato - sì che per porzioni non indifferenti della circoscrizione « hanno perso gran parte della loro validità i discorsi fin qui fatti in riferimento a una generica realtà "Mezzogiorno" » '° - comportano un approccio politico adeguatamente diversificato e strumenti d'azione dotati di maggior agilità e capacità di iniziativa rispetto a quelli sperimentati; ma gli elementi fin qui elencati, come anche la reattività con la quale sarebbero stati affrontati i rischi della recessione in corso", non costituiscono che alcuni tratti, distintivi certo ma non sufficienti nonché ad esaurire nemmeno ad improntare una diagnosi della situazione. A voler attenersi ai dati più rilevanti a livello aggregato, l'insufficiente e distorto sviluppo che ha contraddistinto il Sud della penisola emerge dalla considerazione di pochi e significativi elementi quali la limitata creazione di nuovi posti di lavoro concomitante alla distruzione degli antichi, e la conseguente, ulteriore stasi dei tassi di attività, sempre inferiori di sei o sette punti a quelli del Centro Nord' 2 , e l'insoddisfacente lievitazione del prodotto industriale, nonostante venissero a localizzarsi nelle nostre regioni quote cospicue degli investimenti fissi nelle attività manifatturiere' 3 . Valgono questi fatti a dar conto dei confini entro i quali si può parlare di crescita economica del Mezzogiorno e degli innegabili, rilevanti vizi e manchevolezze che hanno contrassegnato le politiche meridionalistiche. Onde sembra cogliere nel segno il giudizio che su tali p0-
litiche è stato portato: « La valutazione complessiva che si può dare delle leggi di intervento nel Mezzogiorno è che esse hanno soprattutto contribuito a colmare i divari di benessere più che colmare quelli di produttività »'; giudizio che ben s'affianca a quello conclusivo dell'apposita indagine del CNEL, per cui i limiti dello sviluppo industriale della circoscrizione meridionale «possono ricondursi ad una insoddisfacente evoluzione dell'occupazione e del valore aggiunto industriale in rapporto al processo di accumulazione realizzato con l'ingente trasferimento di risorse verso quest'area »'. Che il sistema di produzione del Mezzogiorno sia inficiato da una gracilità strutturale e che la sua capacità di creare ricchezza sia assolutamente inferiore alle aspettative connesse all'entità delle risorse in esso convogliate è confermato dal fatto che, a partire dalla crisi dell'autunno del 1973, il tasso d'accumulazione crolla in una misura sconosciuta alle altre regioni, e che solo nel 1980 si hanno sintomi di ripresa' 0 (anche se nòn va sottovalutata la circostanza che una quota molto consistente degli investimenti del periodo 1968-74 sono stati realizzati dalle imprese a partecipazione statale le quali, in un certo senso, hanno « trainato » l'accumulazione industriale nell'area - anche attraverso l'induzione diretta di minori iniziative private; e che il cedimento degli investimenti delle partecipazioni si identifica, in larga misura, con quello dell'intera industria meridionale' 7 ). Ancor più rilevante, per giudicare la robustezza e la vitalità dell'economia meridionale, è il livello delle importazioni nette dell'area. Queste, infatti, e i corrispondenti trasferimenti netti dall'esterno, hanno oscillato per tutti gli anni sessanta tra il 16 e il 18,5% delle risorse totali disponibili' 8 per salire a medie superiori al 20% all'inizio del decennio successivo e discendere infine - a partire ,
7 dal 1974 - a valori aggirantisi intorno al 16-17% (nel 1980, 17,4 per cento). Gli anni del ridimensionamento dei trasferimenti netti (che, se fossero espressi in proporzione al Prodotto Lordo Interno, si collòcherebbero ovviamente a livelli assai più elevati) sono gli stessi della caduta del tasso di accumulazione' 9 e di crescita frenata del reddito. La diminuzione delle importazioni nette dall'esterno dell'area - cioè provoca una flessione negli investimenti; se così non fosse, essa si tradurrebbe nella compressione dei consumi e quindi del livello di vita. Nell'un caso come nell'altro sembra evidente che i trasferimenti netti dall'esterno sono vitali per l'economia meridionale e che il suo sviluppo è tale da non poterne prescindere e da non consentire nemmeno una loro rilevante riduzione, pena il blocco o quasi del processo di crescita. Se quelli qui frettolosamente cennati definiscono in buona parte l'orizzonte, non prossimo a un deciso miglioramento, dell'economia . meridionale, è probabilmente inutile spingersi a un confronto più ravvicinato su particolari - per importanti che siano che in esso si iscrivono. E questo orizzonte non si tinge di rosa (semmai è vero l'opposto) a nominare la « positiva ristrutturazione della distribuzione della popolazione tra le attività economiche »20 - etichetta appiccicata a un drammatico processo che si condensa nella contrazione della popolazione attiva, nel crollo degli addetti all'agricoltura, nel moderato aumento di quelli dell'industria e nell'esplosione degli occupati nei servizi (soprattutto in quelli non destinati alla vendita) a proposito dei quali è stato detto a sufficienza sia come analisi del passato e del presente 2' sia come monito per il futuro22 - o a esaltare acriticamente i livelli elevati di scolarizzazione" - che è stata spesso forzata dalle circostanze (mancanza di occasioni di lavoro), allettata da un
sistema di premi e sanzioni (il presalario a chi va all'università, e vi àttinge status e pretese per il futuro; le ristrettezze e il disprezzo per chi lavora nei campi), intravista illusoriamente come garanzia sociale o, peggio, come franchigia dal destino di fatica dei comuni mortali. Probabilmente, anzi, sono proprio questi fenomeni che, connessi ai precedenti, hanno dato vita talora a una modernizzazione precaria, a una restaurazione aggiornata e riverniciata delle antiche pretese a privilegi precapitalistici, a una socializzazione e statizzazione delle aspettative, e dunque a una deresponsabilizzazione, che non costituiscono l'humus più idoneo ai processi di sviluppo. Certo, non tutta la modernizzazione è precaria, così come parte non minoritaria dei diplomati e laureati rappresenta un autentico passo avanti della società meridionale, e via dicendo. Ma vedere, come ancora si vuole, l'apporto positivo che può venire da trasformazioni sociali quanto meno ambigue, ignorando gli aspetti negativi che pur ci sono e che in molte circostanze potrebbero ingigantire, equivale alla rinuncia a quel minimo di realismo che nessuno può concedersi di abbandonare.
1.4. Al centro del dibattito parlamentare sull'intervento straordinario sarà, ancora una volta, la Cassa per il Mezzogiorno. Nella primavera del 1976, le varie forze politiche e sociali salutarono con entusiasmo l'approvazione della legge n. 183 - le une perché vedevano accettata la continuità di un istituto e di un disegno fino allora contrastati, le altre perché la riconoscevano come momento di una svolta importante e pochissimi furono i dubbi espressi e le critiche formulate esplicitamente. Dubbi e critiche, però, iniziarono dopo poco tempo e s'infittirono col passare degli anni e con l'emergere di ritardi, disfunzioni,
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8 inefficienze, talora connessi direttamente alla recente legge 24, talaltra derivanti dalla progrediente sclerosi degli strumenti dell'intervento e della Cassa in particolare 25 . Oggi si può dire che l'atteggiamento ch l'opinione nutre sulla 1. 183 è l'opposto di quello dominante sei anni prima. Il giudizio sulla norma è drastico 26 ; meno drastica è l'autocritica di chi quella norma ha voluto o consentito27 . Nemmeno il clima che circonda la Cassa per il Mezzogiorno è migliorato: e si va da condanne aspre e definitive (« irriformabilità di una struttura che non ha capacità di progettazione », « con il suo sistema operativo non è in grado di progettare e di spendere secondo le esigenze del Mezzogiorno », « ha mantenuto inalterato il suo carattere di apparato burocratico, incapace persino di svolgere al suo interno la massima parte degli studi tecnici necessari all'elaborazione progettuale »28) a critiche più puntuali e tut, t'altro che marginali di chi pure si schiera a difesa del suo operato 29 . Si potrebbe aggiungere che qualche mutamento, favorevole questa volta alla Cassa, c'è stato - e le dichiarazioni dei due ultimi ministri (Capria e Signorile) e del nuovo presidente di certo hanno pesato e pesano. Ma, lasciando i giudizi - che in qualche caso si rovesciano in funzione delle venture e dei carichi ministeriali di chi li formula -, è opportuno cercare traccia di qualche elemento meno soggettivo che possa illuminare, foss'anche debolmente, l'amministrazione dell'intervento speciale. A voler deliberatamente dar credito a testimonianze « di parte », useremo esclusivamente documenti che sono dichiaratamente favorevoli alla Cassa per il Mezzogiorno, anche se non necessariamente al suo assetto attuale. Una Relazione ministeriale - presentata al Parlamento nel luglio 1980 - ci offre non solo alcuni dati (presenti e debitamente ret-
tificati in documenti successivi) ma anche il succo che, dall'alto della sua responsabilità, l'on. Nicola Capria ha tratto dall'esperienza dell'intervento. La 1. 183 aveva previsto due momenti e due livelli - quello pluriennale e quello annuale, di carattere esecutivo - di programmazione. Il ministro riferisce: « Questa articolazione E...i è stata turbata da due circostanze; la prima, che i progetti speciali si sono dovuti attivare attraverso l'avvio immediato di interventi, prima di pervenire ad una elaborazione tecnico-progettuale. La seconda, conseguente alla prima, che le pressioni dovute all'urgenza dei problemi contingenti hanno spinto tutte le istituzioni interessate, compresa la "Cassa" e •le Regioni, a sottovalutare il momento della programmazione pluriennale e delle scelte strategiche [...] ». « Ancor oggi, a distanza di Otto anni da quando furono decisi i primi progetti speciali e di quattro dalla legge n. 183 (che ne prevedeva la revisione) solo quattro progetti speciali sono stati approvati in via definitiva dal CIPE []30 » Una seconda, preziosa informazione fornita da questo documento riguarda la capacità di spesa della Cassa. Risulta che, al 31 maggio 1980 (cioè sette mesi prima della scadenza della legge), la Cassa aveva impegnato 14.218,5 miliardi, pari a circa il 66% della somma disponibile (21.433,3 miliardi). «Confrontando la spesa con gli impegni, risulta che la spesa complessiva, a tutto il 31 maggio 1980, costituisce il 66,1% degli impegni complessivi, assunti a quella data, compresi quelli precedenti l'approvazione della legge n. 183 ». Le cifre non sono confortanti. Esattamente quattro giorni prima, un quotidiano aveva pubblicato un'intervista trion-
falistica: Per il Mezzogiorno si volta pagina. A colloquio con il ministro Nicola Capria. Non era vero che « si volta pagina »,
9 perché la rivoluzione copernicana era giì avvenuta; infatti « è possibile affermare che la capacità di spesa della Cassa è notevolmente aumentata negli ultimi due-tre mesi »32. Ma la Relazione in discorso sbugiarda il suo autore. Infatti la spesa della Cassa, pari a 2.353 miliardi nel 1978 e a 2.344 nel 1979, era scesa a 816 miliardi di lire nei primi 5 mesi del 1980; cioè si era passati, come spesa media mensile, dai 196,1 miliardi del '78 e dai 195,3 del '79, ai 163,2 miliardi del 1980, il che - tenuto conto del tasso d'inflazione aggirantesi intorno al 20% in ragione di anno - equivaleva a un autentico crollo 33 Non soddisfatto di tanta limpidità di confessioni, il ministro Capria si effondeva in giudizi che solo la contestuale esplorazione del disegno di legge che porta la stessa firma può far assaporare secondo merito. « Nel "sistema" dell'intervento straordinario risulta evidente il peso degli Enti collegati e delle Partecipazioni ». Ma « le loro iniziali competenze ed iattività si sono gradualmente modificate nel tempo, in trecciandosi con quelle di organismi centrali e locali istituzionalmente competenti. Così ad esempio, molte Camere di Commercio ed organizzazioni sindacali hanno istituito Uffici di, assistenza e informazione per gli operatori che intendono localizzarsi nel Mezzogiorno (con evidenti duplicazioni nei confronti dello IASM e dei suoi Uffici periferici) mentre analoghe iniziative (regionali, aziendali e interaziendali) in materia di formazione professionale, si sovrappongono - e ,talvolta si contrappongono - con [sic] quelle del Formez ». « Inoltre sia Io IASM che il FORMEZ tendono a stabilire con le Regioni meridionali rapporti non esattamente definiti dal punto di vista funzionale, della loro continuità, dei reciproci e responsabili impegni ». « In sostanza si ha l'impressione che negli ultimi anni, anziché perseguire l'integrazio.
ne e l'unificazione delle forze disponibili per il raggiungimento di obiettivi comuni e unitari, si sia consolidata la tendenza alla moltiplicazione dei centri e delle iniziative, pur singolarmente utili, con evidenti inconvenienti: duplicazione di iniziative e competenze; spreco di risorse e di attività; complicazione dei funzionamenti [sic]; rivendicazione irrazionale di autonomie 'presunte e talvolta inesistenti ». Sono gravi le contestazioni e coraggiose le denunce; coerentemente, il ministro Capria continuò ad approvare programmi e bilanci degli enti collegati. Lo spazio impedisce ulteriori degustazioni tanto generosamente offerte dalla Relazione 35 ma quel che già è emerso consente una prima, non del tutto approssimativa, osservazione del « pianeta intervento ». La Relazione generale sulla situazione economica del paese relativa al 1980 ci offre qualche altra informazione. Nella tabella che espone le Spese per in vestimenti pubblici, alla Cassa sono attribuiti i seguenti valori (tra parentesi la variazione percentuale rispetto all'anno precedente): nel 1978 1.630 miliardi (+ 8,0), nel 1979 1.585 (-2,8), nel 1980 1.860 miliardi di lire (+ 17,4)°; anche qui, in valori costanti la discesa è secca. Commenta la Relazione: « i pagamenti per investimenti diretti della Cassa hanno registrato nella seconda parte dell'anno un recupero E ... ]. Ciò nonostante la Cassa continua a registrare un andamento negativo in termini reali ed a rimanere l'ente del settore pubblico allargato che, nell'ultimo triennio, ha avuto la più forte caduta degli investimenti 'Non è un complimento da poco. Ancora la Relazione, nella tavola che riporta :
l'Analisi, per settori, dei pagamenti per investimenti del bilancio dello Stato, alla voce « Interventi Cassa Mezzogiorno nel settore industriale » registra, per il 1978 285 miliardi di lire, nel '79 192, e 162 miliardi nel
In
1980: nel giro di due anni la diminuzione supera il 43%38 I progetti speciali - come è noto - dovevano costituire, fin dal 1971, la forma caratterizzante l'intervento della Cassa; la scelta fu riaffermata e ribadita con forza nella legge del '76.
Il Programma quinquennale per il Mezzo giorno - approvato dal CIPE il 31 maggio 1977 - avendo costatato che le destinazioni prescritte dalla legge, su 18.080 miliardi di lire del 1976, lasciavano non impegnata, e quindi destinabile a « progetti speciali (3.000), incentivi alle attività industriali (5.980), infrastrutture industriali (700) » la cifra globale di 9.680 miliardi, aveva stabilito che: « viene assunto - come riferimento e vincolo del programma medesimo l'impegno a ricostituire per gli interventi a favore dei progetti speciali, delle incentivazioni e delle infrastrutture industriali, il piafond di 16.000 miliardi stanziato dal legi•slatore ». Ciò •che equivaleva, volendo rispettare le proporzioni ipotizzate, a destinare 4.958,7 miliardi - s'intende, in lire del 1976 - ai progetti speciali. Una Relazione ministeriale, presentata sul flnire del 1981 informa che, al 31 dicembre 1980, le risorse finanziarie disponibili per l'attuazione dei progetti speciali raggiungevano 8.483,8 miliardi di lire, dunque assai meno - in termini reali - di quel che il Programma aveva stabilito, visto che, tra la media del '76 e quella dell'81, i prezzi erano saliti di oltre il 106%; gli « impegni di spesa sui fondi della legge n. 183 e successive integrazioni » risultavano, per i progetti speciali, pari a 7.739,5 mld. 40 . Ma di questi, 654,3 mld. erano impegnati «per maggiori oneri relativi all'attuazione di interventi » approvati in base a leggi precedenti: gli impegni, sulla 1.183 e integrazioni successive, si ridurrebbero così a 7.085,2 mld., cioè all'83,5% della somma disponibile. In altri termini, non si è riusciti ad impegnare nem-
meno una somma sensibilmente inferiore a quella che si pretendeva di avere a disposizione. La spesa erogata per progetti speciali era invece di 1.316,8 mld. 41 pari al 18,6% della somma impegnata e al 15,5% di quella disponibile. La stessa Relazione mostra come, al 30 giugno 1981, la ituazione fosse nettamente migliorata: un contributo FERS di 41,3 miliardi aveva' elevato la somma a disposizione per i progetti speciali (+ 4,9%), mentre erano stati impegnati altri 616 (+ 8,7) e spesi altri 554,2 miliardi di lire (+ 42 , 1%) 42 . Nonostante questo deciso miglioramento, sei mesi dopo l'ipotizzato esaurimento della cifra a disposizione, giudicata insufficiente, non ne era stato impegnato che il 90,396, e la spesa equivaleva al 24,3% della cifra impegnata e non raggiungeva il 22% di quella disponibile.
Infine la Relazione generale sulla situazione economica del paese relativa al 1981 - presentata in questi ultimi giorni - conferma il miglioramento già segnalato della spesa in generale: i pagamenti per investimenti diretti effettuati dalla Cassa nel 1981 hanno superato del 21,7 % (valore vicino a quello del deprezzamento della moneta) quelli del 1980, e la lieve tendenza ai recupero è dovuta alla spesa per progetti speciali (+ 48,8%). La medesima Relazione reca le spese per investimenti pubblici nel periodo 1979-1981. In questo triennio, mentre la spesa di tutta la pubblica amministrazione ha subìto l'aumento, in valori correnti, del 112,5%, quella della Cassa per il Mezzogiorno segnala un aumento del solo 38,9%. Si possono accettare tutte le giustificazioni possibili e immaginabili, ma queste cifre parlano e parlano un linguaggio che può essere ignorato soio da chi ignorare lo vuole. 1.5. Sembrano, dunque, giustificati i motivi di incertezza e di perpiessità che coinvolgono
11 sia il sentiero dello sviluppo meridionale che gli istituti dell'intervento. Proposte sufficientemente precise e convincenti circa la strategia da adottare non sono state formulate: e potrebbe anche non essere un gran male se fosse possibile contare su istituzioni capaci di condurre in porto, con grande abilità e insieme con i necessari crivelli selettivi, uno schema pragmatico e aperto; comunque, se una strategia manca, è meglio prenderne atto piuttosto che fondare filosofie su frasi che si vorrebbero ad effetto 45 Il quadro si complica ulteriormente e il panorama si deteriora se si prendono in consi-
derazione responsabilità e capacità delle Regioni meridionali. Questo, almeno, dovrebbe aver insegnato l'esperienza fin qui maturata: che non basta aver bisogno di istituzioni perché queste funzionino e che i soggetti dello sviluppo non si inventano a tavolino, né acquistano capacità che non hanno solo perché queste capacità sono necessarie. Anche alla luce di questa esperienza si tenterà l'analisi delle proposte di legge presentate finora, mirando soprattutto a tre fasce di temi: l'attività infrastrutturale e intersettoriale, gli incentivi all'industria, il governo e gli istituti dell'intervento.
Cfr., ad es., « La Rej,ubblica », 13 aprile 1982, rubrica «Brevi di economia ». 2 Cfr., ad es., la prima pagina del supplemento economico del «Corriere della Sera «, 24 settembre 1981. MANFIIEDI Bosco, Le Regioni meridionali protagoniste del nuovo intervento straordinario, «La Discussione », 12 ottobre 1981. «La Cassa com'è rispecchia oggettivamente esigenze superate », ha sostenuto M. Bosco nella relazione di base aI convegno DC tenutosi a Fasano il 21-22 settembre 1981, Linee e strumenti di intervento per un nuovo sviluppo del Mezzogiorno negli anni '80, ciclostilato, p. 16. Così, ad es.: « c'è poco da "cambiare" il sistema ma invece da aggiornare i metodi dell'intervento straordinario e correggere le storture determinatesi per via a causa principalmente delle prevaricazioni sindacal-partitiche sul quadro istituzionale della politica meridionalistica e sul suo strumento Cassa ». Di rinvio in rinvio, tra Cassa e Agenzia, corsivo di <'Realtà del Mezzogiorno », settembre 1981, pp. 733-734; « Noi siamo sempre più convinti che le soluzioni andavano (e vanno) ricercate all'interno della struttura già esistente [ ... ]. Tutte le esigenze di innovazione, di adattamento, di flessibilità e di snellimento, non sono inconciliabili con la riconferma della "Cassa", che vanta un invidiabile patrimonio di esperienze, di capacità progettuale e di risorse umane tuttora in grado di corrispondere alle mutate esigenze dell'intervento straordinario », Il Mezzogiorno in laboratorio, editoriale di <'Nuovo Mezzogiorno », ottobre-novembre 1981, p. 3.
° Francesco Forte così commentava il disegno di legge sulla riconversione e ristrutturazione industriale al momento della sua presentazione: « Invece di vedere i problemi in termini di economia di mercato o di economia di intervento razionale, in un regime democratico, esso li vede nell'ottica di un modello neomercantilistico, che stabilisce un primato della politica sull'economia in funzione di interessi economici di imprese private e del capitalismo di stato, secondo un intreccio che fa parte delle strutture tradizionali del potere in Italia. Nella scelta tra difesa del capitalismo, inteso come economia di mercato con la riduzione dei poteri del capitalista, e viceversa, si è optato per la riduzione dei poteri .dell'economia di mercato, e invece la salvaguardia e l'esaltazione delle possibilità del capitalista, di origine privata e parapubblica che sia. E insieme c'è la salvaguardia - peraltro strumentale - dell'assistenzialismo. Spero che la sinistra si renda conto della mostruosità di questo modello », Neomercantilismo e riconversione industriale, « Mondoperaio «, marzo 1977, p. 15. Rientra in quest'ultima prospettiva la proposta formulata da M. Bosco: <Un doveroso corollario del rinnovato impegno per il Mezzogiorno dovrà consistere nella differenziazione dei tagli alla spesa degli enti locali tra Nord e Sud, considerando che ciò che può essere un completamento o un'integrazione nell'area forte cost .ituisce lo spazio di sopravvivenza nell'area debole «. Linee e strumenti..., cit., p. 21. D'altra parte, l'esponente democristiano aveva enunciato poco prima (pp. 13-14): <Fare politica nel Sud significa, per la DC, avere un'attenzione da
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[2 un lato alla realtà politica ed elettorale delle varie aree e dall'altro alla necessità p0litica delle alleanze con i soggetti e i ceti sociali emergenti ». 8 Cfr., tra gli altri, P. DE VITA, Aree emer -
genti nel Mezzogiorno: una verifica quantitativa, « Rassegna Economica », gennaio-febbraio 1981; P. GUGLIELMETTI-R. PADOVANI, I grandi impianti nel Mezzogiorno, nota presentata al Convegno La crisi della grande impresa in Italia: soluzioni nazionali o strategie europee?, Venezia, 21 settembre 1981, dattiloscritto; P. SARACENO, Lo sviluppo dell'economia meridionale all'inizio del nuovo ciclo dell'intervento straordinario, « Infor-
A partire dal 1961, la quota meridionale di investimenti industriali fissi lordi ha superato costantemente il 25%. 14 P. SAVONA, 675 e 183: considerazioni sulla
operatività di due leggi di incentivazione finanziaria, «Note economiche per l'operato-
re », luglio-settembre 1980, p. 19. 15 CoNsIGLIo NAZIONALE dell'EconoMIA e del LAVORO, Rapporto CNEL sul Mezzogiorno, Roma, 1980, vol. 1 0 , p. 375. 18 Si vedano i seguenti andamenti calcolati a prezzi costanti: (numeri indici: 1974=100)
mazioni Svimez », giugno 1981; E. CALAMITA,
Innovazione nella continuità per la politica di sviluppo industriale, Comunicazione al convegno La politica meridionalistica degli anni ottanta, Napoli, 27-28 giugno 1980, in « Realtà del Mezzogiorno », novembre 1980, pp. 127.128. ° G. De RITA, Prevale ancora la concezione centralistica, intervento al dibattito Vi piace questa legge?, « Nuovo Mezzogiorno », luglio-agosto 1981, p. 6. Cfr. anche L. PIERAcCIONI, Cinque province del Sud ai primi po-
sti nella crescita del reddito industriale, « Il sole - 24 ore », 4 agosto 1981. ° P. SARACENO, Lo sviluppo..., cit., p. 290. 11 A proposito degli « aspetti di notevole interesse in termini di andamento globale della nostra società », l'ultimo Rapporto Censis annotava: «Una particolare importanza [ ... ] ha la constatazione della tenuta - superiore alle previsioni, addirittura rispetto alle stesse aree a più antica tradizione industriale - delle zone emergenti del Mezzogiorno, se si deve dar credito ad una serie di indicatori diretti ed indiretti (dall'aumento delle esportazioni all'aumento del consumo di energia) o'. CENSIS, XV rapporto11981 sulla situazione sociale del paese, ed. F. Angeli, Milano 1981, p. 34. 12 Sia secondo la vecchia serie per gli anni fino al 1976 (IsTAT, Annuari di statistiche del lavoro) sia secondo la nuova serie per gli anni successivi (IsTAT, Rilevazione delle for-
ze di lavoro). 13
Negli anni immediatamente precedenti al triennio 1976-78, periodo nel quale gli investimenti scemano fortemente nel Sud mentre continuano a salire nelle altre regioni, il Mezzogiorno partecipa, nel settore Industria, agli investimenti e al valore aggiunto del paese nella seguente misura percentuale (calcolata a prezzi 1970): Investimenti Fissi Lordi 1973 1974 1975
32.4 31.5 31.2
Valore Aggiunto 17,6 17.9 18.6
lo,..tl00tl 294,8 2,602 - 1,0.5,
1975
Mo.o<1o006
97,3 .
!t 8 ._' 6
80.6
87,0
1978
84.1
1971
2980
91,7
100,5
-
L!Lll'9 ,.4s!t,6, 9973
Ctoo 0,84
100.0
197619977
1974
2978
5976
96,9
860.0
77,8
72,3
63,9
51,8
58.4
69.0
93.8
100.8
78.6
78.9
83,6
83,8
91.0
107,6
5977
1970
1979
17 Cfr. A. GRAZIANI, Il Mezzogiorno nell'economia italiana oggi, Relazione al convegno Il Mezzogiorno nell'economia e nella società italiana di oggi, Portici, 28 ottobre 1977,
riprodotta in « Inchiesta », settembre-ottobre 1977, pp. 11-12; A. DEL MoNTE-A. GIANNOLA, Il Mezzogiorno nell'economia italiana, ed. Il Mulino, 1978, pp. 233-234; A. GIANNOLA, In-
dustrializzazione, dualismo e dipendenza economica del Mezzogiorno negli anni '70, «Economia italiana », febbraio 1982, pp. 6770. 18 Cfr. V. CAO-PINNA, Quadro generale degli
aspetti positivi e negativi dello sviluppo economico e sociale delle regioni meridionali, dal 1951 al 1975, in V. CAO-PIMNA (a cura di), Le regioni del Mezzogiorno. Analisi critica dei progressi realizzati dal 1951 al 1975, ed.
Il Mulino, Bologna 1979, p. 53, Tab. Gen/15. Vedi supra, nota 17. 20 M. BosCo, Linee e strumenti..., cit., p. 3. 21 Cfr., tra gli altri, A. DEL MONTE - A. GIANNOLA, Il Mezzogiorno..., cit., pp. 144-145 e 346-373. 22 P. SARACENO, Lo sviluppo..., cit., nota 2, p. 291. 23 Cfr., ad es., M. Bosco, Linee e strumenti..., cit., p. 3 e G. BASADONNA, Critiche e proposte 19
alla vigilia del rinnovo della legge 183 per l'intervento straordinario nel Mezzogiorno, « Rassegna Economica >o, settembre-ottobre 1980, p. 1239. 24 Che la legge dettasse adempimenti ai qua-
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no, riportata in CAMERA DEI DEPUTATI, Elementi di documentazione per l'esame dei progetti di legge sull'intervento nel Mezzogiorno. Gli strumenti nazionali e comunitari per lo sviluppo del Mezzogiorno, n. 105/1, mag-
li era impossibile attenersi era stato regolarmente previsto. Cfr. l'intervento svolto il 2 luglio 1976 da G. Gaiasso al convegno per la presentazione del Rapporto sul Mezzogiorno 1975 della Svimez, ora in G. GALASso, Passato e presente del meridionalismo, ed. Guida, Napoli 1978, voi. 2 0 , pp. 131-132. 25 Si rimanda a G. ZAPPA, Mezzogiorno e
gio 1981, p. 39. Ibidem, p. 41. 32 L'intervista è di Nando Mazzei su Il sole - 24 ore », 4 luglio 1980. 33 Relazione sullo stato di attuazione..., cit., p. 40. l Ibidem, pp. 47-48. 35 Non ci si può ugualmente esimere dal consigliare la lettura almeno del saporoso 31
progetti speciali. Criteri di programmazione e intervento straordinario negli anni 70, ed. Officina, Roma 1980, pp. 199-207. « La legge del 2 maggio 1976, la non mai abbastanza criticata legge...»' (Di rinvio..., cit., p. 731). « Sono note a tutti [ ... ] le condizioni di enorme difficoltà ed a volte di quasi paralisi in cui versa la nuova articolazione istituzionale emersa dalla introduzione delle Regioni ordinarie e della legge 183 ». S. ANDREANI - P. BARCELLONA - G. COTTTJRRI, L'economia siciliana e lo Stato, in CESPE, La Sicilia alla svolta degli anni '80, ed. F. Angeli, Milano 1981, p. 52. 27 « Nel 1976 fu tentata una riforma della Cassa per il Mezzogiorno, fu un tentativo anche generoso, noi ci astenemmo sulla legge di riforma della Cassa [ ... J. Ebbene, il bilancio di questa riforma è fallimentare ». E. MACALUSO, Centrosinistra: balletto sulla spesa pubblica, «L'Astrolabio », 7 giugno 1981, p. 38. « Non vogliamo fare polemiche retrospettive. Diciamo che il tentativo fatto con la legge 183 di dare un disegno programmato alla Cassa è fallito », P. LA TORRE, Su28
paragrafo I punti di crisi e la verifica delle attuazioni, ibidem, pp. 52-53. Vol. 10, tab. 58, p. 97. Ibidem, voi. 10, p. 101. 38 Ibidem, voi. 20 , p. 107. 39 Ufficio del Ministro per gli Interventi Straordinari nel Mezzogiorno, Programma quinquennale per il Mezzogiorno, Bozze per la stampa, p. 94. '° Relazione sullo stato di attuazione delle 38 37
leggi a carattere pluriennale. Cassa per il Mezzogiorno (Relazione del Ministro per gli interventi straordinari nel Mezzogiorno), riportata in Elementi di documentazione per l'esame dei progetti di legge sull'intervento nel Mezzogiorno. Aggiornamento, n. 105 bis,
1981, pp. 95-98. perare la « straordinarietà » degli interventi, ottobre 41 Ibidem, p. 103. nel dibattito Vi piace questa legge?, « Nuo42 Ibidem, pp. 111-114. vo Mezzogiorno », giugno 1981, pp. 11-12. -
28 Le frasi sono tratte dagli scritti di Macaluso, La Torre e Andreani-Barcellona-Cotturri citati nelle due precedenti note. 29 F. COMPAGNA, « Ma cosa si intende per progetti speciali? Purtroppo non è ancora chiaro [ ... ]. A questo proposito la Cassa è venuta meno », Replica a Bologna, « Nord e Sud », luglio-settembre 1981, p. 51.
° Relazione sullo stato di attuazione della 1. n. 18311976 e sull'intervento pubblico nelle regioni meridionali presentata, l'8 luglio 1980, dal Ministro Capria alla Commissione bicamerale per gli interventi nel Mezzogior-
Vol. 1, p. 103. Ibidem, tab. 61, p. 95. 15 « Dice Signorile: "Come ministro intendo legare la mia azione ad un'ipotesi: fare del Mezzogiorno d'Italia un grande laboratorio per lo sviluppo degli anni Ottanta-Novanta, staccato dalle esigenze delle zone storicamente industrializzate del paese, capace di essere un modello per tutta l'area nella quale si trova, che è essenzialmente quella del Mediterraneo" », B. Tucci, Merloni: il Sud si recupera vincendo crisi e inflazione, «Corriere della Sera », 1 febbraio 1982. 43 44
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Contenuti e metodo dell'intervento straordinario
2.1 Se tutte le parti politiche e le forze sociali '(si può dire senza esclusione) ritengono necessario e ancora attuale un intervento aggiuntivo rispetto a quello ordinario delle amministrazioni statali e regionali, le convergenze quanto ai contenuti e al metodo dell'intervento sembrano limitate e le indicazioni tutt'altro che pacifiche. Anche qui, per buoni motivi. Mentre nel passato - quello meno prossimo, soprattutto - nàn era difficile, e comunqùe sembrò facile, indicare le attività economiche e le esigenze civili cui finalizzare l'intervento (altro discorso è se e come questi obiettivi furono perseguiti), la crescita economica, l'aumento del benessere, la dotazione - in taluni casi esùberante - di capitale fisso sociale, le nuove articolazioni delle classi e dei grùppi sociali, rendono oggi assai meno scontata la delineazione degli scopi ai quali mirare. Non che siano venuti meno bisogni civili da soddisfare o legittime richieste da adempiere ché, anzi, ne esistono di ben gravi e anche quelli meno gravi sono oggi, a ragione, giudicati intollerabili. Ma, quando ne esistono, il l6ro accompimento è difficoltoso, per lo più esige azioni complesse (si pensi al risanamento delle grandi aree urbane), appare meno lineare nelle soluzioni e più compromesso nello scontro degli interessi. In altri casi, e sono quelli più frequenti, le carenze individuate (i cahiers de doléance non hanno fatto difetto) e le esigenze percepite non sono sempre collegabili ad azioni ben definite - come tutte quelle che si rifanno all'ambiente e alla cultura non favorevoli al-
lo spirito di impresa e alla ricerca di efficienza; che pongono in questione la concezione del potere; che puntano a un diverso assetto del territorio e, in generale, a più elevati livelli di organizzazione civile, ad es. - o, quando lo sono, rimandano all'attività dell'Amministrazione nel suo complesso e al..funzionamento dei servizi collettivi senza che ne risultino individuati i possibili punti d'attacco, concludendosi pertanto in petizioni di principio. Altre volte ancora si può giungere a individuare, almeno in astratto, gli strumenti necessari, senza per questo fare un passo avanti data l'estrema rigidità dell'offerta di istituzioni. In generale, difficilmente si danno bisogni o si individuano obiettivi cui rispondere come spesso avvenne in passato - con una quantità determinata di risorse finanziarie direzionate da un patrimonio di capacità tecniche ben definite. Sempre più le richieste sono di interventi puntuali, a carattere soft, di apparati duttili e a pronta risposta: è, cioè, richiesta di risorse e di talenti che non abbondano nemmeno nelle regioni più sviluppate del paese. In altri termini, quello di cui - a questo non facile momento della sua crescita - il Mezzogiorno sembra avere bisogno è, da un lato, un salto di efficienza nell'Amministrazione e nei servizi che essa eroga 40 , dall'altro l'immissione in dosi elevate di capacità tecniche, organizzative, progettuali e operative 47 (fattori che, insieme al mutamento di mentalità e di cultura, dovrebbero giungere a per-
15 meare le strutture associative, sindacali, di categoria) 48 Infine - motivo da non sottovalutare nell'incerta prefigurazione e nella diversa interpretazione, dei compiti dell'intervento a venire -, vuoi per non più recentissime innovazioni istituzionali (le Regioni a statuto ordinario) vuoi per la sempre più spinta specializzazione, delicatezza e ofisticazione delle loro funzioni (per buona. parte connesse alla stessa evoluzione economica e sociale), crescono enormemente l'importanza e la centralità delle scelte programmatiche compiute, dei servizi resi e del supporto prestato alle attività .produttive e alla vita civile da parte delle istanze regionali e locali. . Sì che, se per un verso nemmeno la più caparbia volontà centralistica può prescinderne, per un altro esse prefigurano l'agente diffuso necessario all'intervento, l'operatore - dilatato e onnipresente - destinato a pesare sull'esercizio di qualsivoglia iniziativa e sui suo esito. Insomma, se ci sono sufficienti ragioni per non poter continuare senza innovare in radice, e se il cambiamento avrà passaggi obbligati, rimane pur sempre un'ampia gamma di possibilità tra le quali scegliere e delle quali, va studiata l'opportunità.
nel Mezzogiorno », presentato alla presidenza dei Senato il 16 gennaio 1981; il disegno di legge governativo « Interventi straordinari nel Mezzogiorno per il decennio 1982-1991 », presentato alla Camera dai ministri Capria e altri il 23 gennaio 198151 e gli « Emendamenti alla legge sul Mezzogiorno » diffusi nel mese di novembre dal ministro Signorile 52 -, cui bisogna aggiungere gli scritti e le dichiarazioni del responsabile della Democrazia Cristiana per il Mezzogiorno, danno soluzioni differenti a questo problema, anzi lo impostano in modo tutt'aff atto diverso l'una dalle altre. Per i parlamentari comunisti, che rifiutano l'ulteriore separatezza dell'intervento, che ne vogliono « eliminare la «straordinarietà" », «soppressione della Cassa, conferimento al Ministro del bilancio e della programmazione economica dei poteri e delle attribuzioni del Ministro per gli interventi straordinari: questi i punti di partenza del disegno di legge (articoli 1 e 7) » -. per dirla con la loro Relazione. Coerentemente, e per voler riaffermare il metodo della programmazione, - spiega ancora la Relazione sintetizzando un lungo articolo che non interessa qui riprendere nei particolari -, essi propongono che « in at2.2. Un primo problema sui quale sofferma- tuazione di indirizzi e obiettivi programre l'attenzione riguarda la programmazione matici per l'economia nazionale, specificati dell'intervento straordinario, o più esattamen- anche per settori, si coordini in un prote i modi in cui si intendono programmare gramma per il Mezzogiorno le opzioni fonle attività straordinarie e i rapporti che damentali di investimenti, statali e regiointercorrono tra quelli e le attività residue nali, verso l'area meridionale, finalizzandoli al perseguimento di obiettivi volti all'aldello Stato e della Regione. Le quattro proposte finora note - la pro- largamento della base produttiva, all'elevaposta di legge d'iniziativa dei deputati Di mento della produttività del sistema, alla Giesi e altri, « Nuova disciplina dell'inter- estensione dell'occupazione e all'aumento vento straordinario nel Mezzogiorno », pre- del reddito. (articolo 10) ». Vale a dire: sentata alla Camera il 26 agosto 1980; « Non interventi separati, finanziati con fonil disegno di legge d'iniziativa dei senatori di straordinari, perciò, bensì interventi coMacaiuso e altri, « Disposizioni per la pro- ordinati, per renderne massima la efficacia, finanziati con fondi ordinari e aggiuntivi, grammazione dell 'intervento straordinario .
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16 nel .quadro di programmi nazionali e regionali ». Si può ben comprendere che il Partito Comunista non voglia la permanenza della Cassa per il Mezzogiorno o di suoi eventuali eredi che, si preconizza, non potrebbero comportarsi secondo modalità e logiche sostanzialmente diverse; si comprende altresì (in parte si condivide) il timore che l'intervento straordinario possa ancora abbassare il tiro per non turbare il sistema di controllo sociale e di mediazione politica costituito e subordinare ancora obiettivi e attività agli interessi di fazioni e di personale partitici che non si sono certo creati benemerenze meridionaliste nella gestione del potere. Ma da questo a credere che niente peggiorerebbe (e dio sa se si possono rischiare peggioramenti) se alla Cassa si surrogassero assessorati. regionali e ministeri romani; a giudicare impossibile una netta caduta degfl attuali e pur mediocri liveffi di progettazione e di esecuzione se si aggiungessero altre responsabilità a quelle così infelicemente sostenute dall'amministrazione ordinaria; a poter pensare che al deludente intervento speciale si possa degnamente e proficuamente sostituire un taumaturgico « coordinamento » unito alle notone virtù dei piani di settore, corre più di qualche passo. Per fondata che possa essere, la critica alla Cassa e agli istituti collegati non è motivo per attribuire doti di efficienza, solerzia e buon costume politico e amministrativo a enti che tutto, ma non questo, possono pretendere; come non è accettabile un non immaginario scadimento dell'azione pubblica nel Mezzogiorno in cambio dell'esercizio di una democratica pedagogia56 per quanto valore - e a ragione si possa confidare a questa. Le altre tre proposte che, in forma diversa, prevedono la prosecuzione dell'attività di appositi istituti dell'intervento, porgono opzioni del tutto differenti. ,
Il ddl Capria e quello Signorile sostengono l'esigenza di appositi programmi per il Mezzogiorno. Il primo parla di un « programma .pluriennale degli interventi nel Mezzogiorno » (art. 1), da aggiornare annualmente (art. 2), che dovrebbe specificare obiettivi e direttive degli interventi ordinari e straordinari e i progetti speciali da attuar&'. Esso, proposto dal ministro responsabile d'intesa col ministro del Bilancio, « sentita la Commissione parlamentare per il Mezzogiorno e tenuto conto delle indicazioni del Comitato dei rappresentanti delle Regioni meridionali », viene deliberato - come gli aggiornamenti annuali - dal CIPE. Questi documenti programmatici - e la precisazione ha sapore di pleonasmo, visto che la legge 468 del 1978 lo impone - sono inoltrati ai ministri dei Bilancio e del Tesoro per la predisposizione dei bilanci annuali e pluriennali dello Stato. Il . d d i Signorile prescrive «un piano novennale che si articola in programmi triennali, i quali prevedono e disciplinano le azioni organiche » (art. 1), che sono proprie dell'intervento straordinario. Lo stesso « Comitato per lo sviluppo del Mezzogiorno », costituito da ministri e dai presidenti delle Regioni meridionali, che approva il piano e i programmi esecutivi annuali salvo verifica del CIPE -, cura anche « il coordinamento con le azioni statali, regionali e locali per il conseguimento degli obiettivi di sviluppo del Mezzogiorno » (art. 2). Se si può tentare un'interpretazione, peraltro azzardata, mentre il d d i Capria aspira confusamente ad un 'programma contenente almeno alcune direttive di fondo che coinvolgano le altre amministrazioni interessate in un modo o nell'altro alle attività straordinarie, il d d i Signorile offre la sensazione di più modeste mete e di più pragmatica impronta. Qui contraddizioni e aporìe si pongono invece a proposito delle politi-
17 che generali e nei rapporti tra direzione politica e responsnbilità amministrativa dell'intervento; nelle une come negli altri una successiva stesura (resa pubblica sul finire dell'inverno '81-82) peggiora ulteriormente le cose58 probabilmente perché già contaminata con la visione dei democristiani che nel Fondo per lo sviluppo del Mezzogiorno identificano - come si vedrà - il vero centro amministrativo e l'autentico erede della Cassa59 La Proposta Di Giesi non parla di programmi se non con riferimento alla Cassa, dovendo invece le attività ordinarie dello Stato e delle Regioni « essere precisate » nell'annuale Relazione Previsionale e Programmatica dei ministri del Bilancio e del Tesoro, nella quale saranno « altresì previste le modalità e i tempi per il coordinamento dell'azione ordinaria con quella straordinaria »: che si tratti di una scappatoia, considerate le dimensioni del problema, pare lampante. Ma quello che è necessario sottolineare di questa proposta, è che mentre presenta inizialmente gli interventi straordinari in funzione e a integrazione dei programmi regionali (art. 1, comma 30), in realtàesprime una visione estremamente centralistica che culmina nella figura del ministro, titolare di un « Ministero per il Mezzogiorno ». Infatti è il ministro che « coordina l'intervento straordinario, esercita i poteri di direttiva e di vigilanza sull'attività della Cassa e delle agenzie da essa controllate» (art. 3), che approva i 'programmi esecutivi triennali della Cassa, che presiede un apposito comitato - dove siedono, coi ministri titolari cli dicasteri con competenze in materia economica, i presidenti delle Regioni - cui spetta curare la coerente attuazione nel Mezzogiorno degli indirizzi economici generali e il coordinamento fra le diverse attività e cui ministeri, aziende autonome e Regioni presentano « con scadenza trimestrale, una apposita relazione contenente lo stato di at,
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tuazione dei programmi di rispettiva competenza » (art. 4). Più che il profilo di 'un ministro, la Proposta Di Giesi delinea i tratti del viceré del Mezzogiorno 00 Se quest'ultimo documento, e proprio per 'le caratteristiche riportate, risulta solo marginalmente interessato al problema della programmazione dell'intera azione pubblica nel Mezzogiorno, il dcli Capria non sembra precostituire un'ipotesi soddisfacente e nemmeno credibile. O forse i suoi estensori ritengono che il. problema •non possa essere affrontato ma, al più, ricordato per dovere, preferendo mirare piuttosto ad organizzare programmaticamente' il solo intervento straordinario. Soluzione non nuova,'che affiorò già nella 183 e celebrò i suoi fasti con Ciriaco De Mita e col suo « programma quinquennale ». .
2.3. Il terzo decennio di vita della Cassa era stato aperto con quella che i forzati della chjosa definirono compatti, a furor di formula, « innovazione fondamentale ». Poiché ben pochi avevano contezza dell'argomento, ne parlarono a lungo: prima per osannarlo, poi per riscattarlo da un'esperienza che si rivelò ben presto rovinosa, infine per rabberciarlo e riverniciarlo - a metà decennio - alla periodica cadenza delle leggi di rinnovo dell'intervento straordinario. Questa occasione, in parte anche per l'allargamento della maggioranza parlamentare, produsse commenti ancor più malinconici e fuori bersaglio: l'ispirazione di schieramento dettò agli uni l'annuncio della « vera svolta », agli altri la conferma della saggezza di cinque anni prima. Chi dagli schieramenti non voleva dipendere ed era dotato di solida prudenza (ma solo di questa), .profferì che dopo così poco tempo non si poteva osare cambiamenti, che l'essere precipitosi provoca danni, che' da quell'istituto si poteva ancora cavar tanto e su di esso giovava ancora
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lavorare a lungo. Che è ragionamento grondante buon senso, tanto da essere ripetuto - riferito ad altri istituti, più degni di consenso dopo questi ultimi sei anni di semimmobilismo e di sostanziale crisi - anche nei nostri giorni; che è soprattutto, ragionamento sottile. e lungimirante, tanto da poter essere imparzialmente applicato alla pietra filosofale, alla Santa Inquisizione e alla « Carta del Lavoro ». Pure, i « progetti speciali» meritavano altro. Apparsi all'orizzonte meridionalista sulla scia del Progetto 80 (1969), maldestramente dilatati e travisati in assoluta e confidente
ignoranza nel Documento Pro grammatico Preliminare del ministero del Bilancio e della Programmazione economica (1971), trovarono traduzione normativa - la peggiore immaginabile, che ne stravolse sostanza e metodo - prima con la 853/'71 e ancora con la 183/'76. Essi, per il legislatore, avrebbero dovuto improntare l'attività della Cassa - o, addirittura, di tutti gli enti dell'intervento - ma in effetti, per tutto il decennio, si ridussero a un'etichetta che, senza giustificazione, veniva e viene usata per denominare (e forse per mimetizzare) le azioni più diverse e i contenuti più disparati. Il tentativo di adottare nell'Amministrazione italiana - a partire da quella straordinaria - un metodo di valutazione razionale degli investimenti non sarebbe do'uto apparire tanto peregrino né avrebbe dovuto sollevare tante difficoltà per essere alfine completamente abbandonato, visto che un tal metodo è da decenni applicato in molti Stati e da tutti gli organismi internazionali (a cominciare dalla Banca Mondiale). In realtà, alla Cassa dopo pochi anni - in cui si tentarono alcune messe a punto di natura tecnica, del tutto avulse dall'effettivo operare dell'istituto - di calcolo e di scelta degli investimenti non si parlò nemmeno più, non solo, ma non si tentò nemmeno la faticosa costruzione degli apparati e la pre-
parazione del personale a ciò necessario, men che mai si colse la necessità di far presente alle istanze politiche quel che l'adozione del metodo progettuale proprio da esse, imprescindibilmente, esigeva 81 . L'unica spiegazione, poco con.fortante, è che per agire né la Cassa per il Mezzogiorno, né gli uomini che politicamente, amministrativamente o intellettualmente condividono responsabilità nell'azione meridionalistica dello Stato, sentono il bisogno di uno strumento di valutazione e di scelta economica. Che, cioè, la logica dell'operare è ben altra e che ad altre preoccupazioni risponde. A maggior ragione la Cassa ha ritenuto che non valesse la pena prepararsi in questo senso all'approssimarsi della nuova legge. E' vero proprio il contrario. Di fronte a un'opinione pubblica disattenta e a una classe dirigente assolutamente sorda rispetto a simili questioni giudicate irrilevanti e a problemi di calcolo e di convenienza economica pubblica giudicati cervellotici e astrusi, la incoercibile sicumera dell'ignoranza e il piccolo cabotaggio degli interessi autorizzano a proseguire lungo la strada intrapresa. AI punto che il burocrate addetto ai lavori può diffondersi sull'argomento senza sfiorare il problema della valutazione della spesa (de minimis...) e sostenere che, ad imitazione delle due leggi del decennio precedente, anche nel d d i Capria « si nota quella mancanza di definizione di « progetto speciale" ». « Ma ciò appare del tutto spiegabile e giustificabile: il disegno di legge può ora rinviare all'esperienza di due quinquenni durante i quali i progetti speciali hanno formato l'ossatura portante dell'intervento straordinario nel Mezzogiorno »62. Non occorre cercare ulteriori documenti né rifarsi a testimonianze autorevoli 83 . Una volta di più, ex ore suo, gli uomini delle istituzioni ci consentono di sapere assai più di quanto indagini pazienti o ardite induzioni
19 ministeriali. Si tratta 'di scelte di cui, la Relazione dimostra, gli estensori della proposta sono ben consapevoli 64 Il d d i Capria parla di «progetti specia2.4. Dopo l'infelice formulazione che ha li interregionali e regionali ». I primi -'-- le contrassegnato le due leggi precedenti e dopo dieci anni di mistificazioni e di stentata ciii realizzazione ed esecuzione pertengono operatività, è degno di attenzione il modo alla Cassa, « salve le diverse determinazioni degli accordi di programma » (art. 5) in cui le quattro proposte in discorso (tre delle quali, va sottolineato, hanno come pri- concernono grandi reti infrastrutturali e di mi firmatari persone che hanno vissuto di- servizi e lo sfruttamento di risorse naturali, rettamente la responsabilità di ministro per con speciale riguardo alla finalizzazione alle l'intervento nel Mezzogiorno) hanno affron- attività produttive - specificazione che 'può tato il nodo della progettazione e del giu- sembrare pleonastica e sciocca, 'e che in efdizio economico nelle scelte progettuali. Non fetti è tale -, riguardino essi una o più regioni: la « interregionalità» viene attrisenza aver prima doverosamente ricordato che il contributo pubblicistico critico o pro- buita secondo criteri assolutamente imperpositivo in materia è stato letteralmente scrutabili65 . I progetti regionali (art. 9) interessano una sola regione, e i loro contenullo; circostanza che, se non basta a giustificare politici e amministratori, li fa almeno nuti sono classificati in ampie categorie, anche se una definizione generale posta all'initrovare in buona e numerosa compagnia. Gli articolati presentati dall'on. Di Giesi e zio fa sì che tale enucleazione di categorie dall'on. Capria sono quelli che più si rifan- non possa essere intesa in maniera esclusino alla legislazione in vigore, riordinata nel va66 Testo Unico approvato con DPR 6 marzo L'iter dei progetti, in entrambi i casi, comprende la predisposizione degli schemi pre1978, n. 218. La Proposta Di Giesi parla di un apposito liminari e di quelli di jattibilità compiuta organismo per i progetti speciali preposto dai rispettivi responsabili politici anche col. ricorso - facoltativo per le Regioni - al« all'elaborazione progettuale e tecnica e all'esecuzione degli interventi di propria com- 1, « attività progettuale e tecnica della Caspetenza che riguardano l'attrezzatura fisica, sa per il Mezzogiorno» e si conclude con l'acsociale e produttiva delle regioni meridiona- cordo di programma .per la realizzazione del •progetto (art. 6, 7, 8 e art. 10). Il progetto li ». « I progetti speciali sono sottoposti alle pre- di fattibilità (art. 7) definisce gli interventi cedure di approvazione e di attuazione pre- e le opere, e « programma le .fasi dell'interviste » dalla 1.183 (art. 6) ma viene abro- vento per stralci temporali e funzionali, evigata - coerentemente con la logica del- denziandone i flussi finanziari e le implical'intera proposta - la norma (1.183, art. 8, zioni occupazionali ed esponendo stime quancomma 30) che abilita sia le Regioni che tificate [l'attributo va apprezzato come inil ministro a « predisporre » i progetti spe- dispensabile e chiarificatore] dei costi e dei ciali. Vale a dire che, essendo gli interventi benefici »67. Con questo alato omaggio a costi e benefici - che è quanto rimane, dopo straordinari « di competenza dello Stato che tredici anni, della mirabolante e ormai dili esercita attraverso la Cassa per il Mezzogiorno e le agenzie » che ne dipendono (art. menticata « programmazione per progetti » i progetti speciali vengono elaborati so- - l'argomento è chiuso; argomento che delo da questi organismi in base alle direttive v'essere stato giudicato poco degno dagli
ci consentirebbero. Ma è ugualmente difficile essergliene grati.
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20 estensori del Disegno, se è vero che nelle ben 29 pagine della Relazione si è trovato appena lo spazio necessario per ripetere le due significative paroline 88 Nemmeno nel d d I Macaluso - che parla di progetti regionali e di aggiornamento degli attuali progetti speciali (art. 10), ma dove fin la definizione richiama la genericità delle leggi degli anni 7069 - v'è un. solo accenno alla metodologia economica degli interventi; pure, a chi contesta gli obiettivi e le azioni strumentali adottati nel corso dell'intervento, dovrebbe interessare l'impegno all'esplicitazione dei criteri e delle motivazioni economiche che sottostanno alle scelte. Il d d i Signorile - che nella prima parte usa una sola volta la parola progetti'°, esprimendosi invece costantemente in termini di « azioni organiche di sviluppo » (agli articoli 1, 5, 6, 8) - introduce i progetti, all'art. 13, comma 1°, enunciando: « Le azioni per il riequilibrio territoriale si articolano in progetti interregionali, in progetti regionali ed in progetti locali ». Ma, anche qui, di criteri di convenienza e di calcolo progettuale non si parla minimamente. Può peraltro apparire curioso - o essere considerato contraddittorio a tali ostentati rifiuto e ignoranza - che, quando veniva presentata la prima volta e fatta circolare entro un pubblico ristretto l'iniziale bozza del ddl Signorile, proprio in quell'occási il prof. Saba, capo della segreteria tecnica, in una relazione dedicata agli incentivi industriali sostenesse la necessità di creare un nucleo di valutazione, e la sostenesse con argomenti che, com'è ovvio, travalicano l'erogazione degli incentivi e valgono per la determinazione dei criteri dell'intera spesa pubblica71 . L'ignoranza, è evidente, non riguarda tout court la metodologia dell'intervento. Varrebbe la pena chiedersi per quale altro motivo sia allora presente, smaccata e dominante questa parte del Disegno. .
Nemmeno per i democristiani (e chi è convinto che sia unicamente la logica del pote. re a dominare il loro comportamento aggiungerebbe poar cause) esiste il problema della valutazione della spesa e della composizione degli investimenti 72 . Non esiste al punto che un loro rappresentante, non sappiamo quanto autorevole, ma senz'altro privo di cognizione del senso delle parole che usa, può sostenere « il passaggio dalla filosofia dei progetti speciali ad una filosofia di sviluppo delle macrostrutture necessarie allo sviluppo del Mezzogiorno attraverso lo strumento del contratto di programma ». Che è anche segnale di come si colga l'importanza dell'intervento speciale e del metodo atto a qualificarlo. Sembra, dunque, che i molti anni intercorsi da quando l'esigenza del calcolo economico nella spesa pubblica fu presentata con forza e urgenza alla cultura politica italiana, i tentativi deboli e controvoglia condotti per introdurlo nella prassi dell'azione meridionalista, l'irrobustirsi della logica degli interessi di contro al pigro affacciarsi di istanze di chiarezza e trasparenza, abbiano condotto all'esito di un sovrano disprezzo e di una totale apatia verso il problema, espunto radicalmente dal dibattito su quell'intervento straordinario che, per più motivi e anche per i precedenti richiamati, sembrava costituire il terreno eletto per l'applicazione della metodologia progettuale. La constatazione - triste fin che si vuole e in palmare confrasto con l'estendersi e il raffinarsi continui che quei metodi conoscano al di fuori del nostro paese - diviene meno, pacifica e solleva ulteriori dubbi in quanto le proposte, di cui qui si discute, sono state fatte nel medesimo torno di tempo in cui, non senza una diffusa sensibilizzazione dell'opinione pubblica e una campagna di stampa di notevole risonanza, negli ambienti di governo veniva •portata avanti
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21 un'altra proposta, della quale sarà opportuno richiamare gli estremi. Nell'aprile 1981 i ministri del Bilancio e Programmazione e del Tesoro presentavano un Disegno di Legge 74 di grande interesse da molti punti di vista, e qui rilevante perché statuiva la creazione di un nucleo di valutazione che, alle dirette dipendenze del segretario generale del ministero del Bilancio e della Programmazione economica, « avrà il compito dell'istruttoria tecnica dei piani di investimento pubblici ai fini del loro esame da parte del Comitato interministeriale per la programmazione economica e del Consiglio dei ministri » (art. 7). La Relazione al d d 1 ricordava come la Commissione incaricata di formulare proposte di riordinamento dell'amministrazione centrale dello Stato, avesse espresso il voto di attribuire al ministero del Bilancio « una funzione che attualmente è in pratica vacante e di cui generalmente si sostiene tuttavia la necessità: quella del controllo di gestione della pubblica amministrazione, cioè della verifica di efficienza ed economicità dell'amministrazione ». La stessa Relazione, subito dopo, sosteneva che l'esigenza generale di distinguere tra la programmazione e la gestione concreta degli interventi - cioè il riconoscimento di ambiti propri alla programmazione generale distinti dalla responsabilità politica e amministrativa della gestione secondo competenza di materie e di settore - comportava un'innovazione peraltro implicita, e nondimeno disattesa, in mutamenti istituzionali vecchi di più di un quindicennio. Essa, cioè, richiedeva « che gli atti di programmazione siano definiti con rigore, evitando formulazioni generiche ed indeterminate, che sono tali sia per mancanza di informazione e valutazione sia per la tentazione di operare, nella successiva fase dei singoli casi, con una discrezionalità eccessiva e resa tuttavia possibile dalla viziata formulazione di un programma, che, in real-
tà, è una sintesi verbale di disparate opirjioni ». Che, oltre ad essere spiegazione della necessità del nucleo di valutazione, suonava anche critica radicale ai « sacri testi » programmatori e ai dilettanteschi conati del ventennio precedente, nel quale la mancanza di un pro prium del ministero del Bilancio e Programmazione aveva consentito l'inutile rincorsa tra disegni tanto globali quanto poveri e l'estemporanea richiesta di un potere specifico in qualche settore nodale - e politicamente pagante - della politica economica. La proposta La Malfa-Andreatta - ribadita
nella Relazione Previsionale e Pro grammatica per l'anno 198278, inserita in un articolo aggiuntivo della Legge finanziaria per lo stesso anno, già approvato dal Senato, .e infine bocciata dal CIPE nella riunione del 23 dicembre 1981 - aveva sollevato ampia discussione presso i diversi ministeri (che vedevano minacciate le loro prerogative di indiscussi « apparati di settore ») e interessato per una lunga stagione la stampa anche non specializzata, che vi aveva dedicato intelligenti commenti e un impegno divulgativo normalmente sconosciuti in argomenti del genere 77 . La proposta fa riflettere anzitutto perché, rilevante com'era per un'amministrazione che si diceva coinvolta da un decennio nello sforzo di operare « per progetti », fu completamente ignorata dai due disegni di legge che i ministri responsabili dell'intervento nel Mezzogiorno misero a punto giusto tra i primi giorni dell'anno e il novembre 1981, e non lasciò segni visibili nell'attività interna della Cassa; ma anche perché il ministero del Bilancio costituì nel giro di pochi mesi quel nucleo di valutazione che l'imponente spesa e il faraonico complesso di burocrati e di esperti degli enti dell'intervento non riuscirono a organizzare in un lasso di tempo incomparabilmente più lungo. L'importante tentativo di riforma e di mo-
22 dernizzazione amministrativa è fallito per motivi che non è difficile immaginare 78 ; forse è ancora più amaro il fatto che - nei partiti, nelle forze sociali, tra i meridionalisti di professione - nessuno sia sorto a indicare con decisione quel che l'occasione significava per l'azione pubblica nel Sud; né, visto che tra i criteri proposti da La Malfa e Andreatta per attribuire priorità nel giudicare tutti gli investimenti, un peso pari al era concesso con riferimento alla rilevanza per le regioni meridionali, può sfuggire l'assoluto disinteresse che vi portarono non pochi che, soliti ad elevare peana alla Cassa per il Mezzogiorno, indirizzano ricorrenti lamenti alle « politiche generali » del paese, responsabili dell'insufficiente crescita del Mezzogiorno. Elementi tutti che dovrebbero far riflettere e che, fuor di ogni dubbio, contribuiscono alla formazione di un giudizio che - su istituzioni e su uomini - è ormai giudizio storico. L'impressione che da tutto, questo deriva è che le forze politiche decisive intendano ancora una volta ipotecare a interessi di parte lo sviluppo del Mezzogiorno e che le conclamate vocazioni meridionaliste siano fondamento e alibi per opzioni che non sopportano l'immissione di criteri in qualche modo yerificabili. Può far sorridere, e dovrebbe scandalizzare, l'immancabile omaggio e il morlotonamente. ripetuto appello alle produzioni «ad elevato contenuto tecnologico » da parte di una cultura politica che si ravvolta in uno stadio a dir poco trogloditico; e non se ne vergogna.
2.5. Detto quanto basta sul futuro che le diverse forze politiche decretano per l'operare degli enti dell'intervento e per i criteri che dovrebbero garantirne correttezza ed efficacia, e volendo ignorare quei pur rilevanti disposti legislativi i quali, date le premesse che li condizionano, non meritano
commento (ad. es., il disinvolto iter progettuale proposto dal d d i Capria potrebbe essere oggetto di una lunga quanto sprecata critica), rimane l'obbligo di dedicare un codidilo a quel progetto speciale, •foriero di nuovi tempi, che è stato annunciato a estate avanzata, che rimane al centro dell'attenzione in questa primavera 1982, e che rischia di essere il prototipo di ulteriori avventure progettuali ». A fine luglio la stampa ha dato notizia che il ministro Signorile 'unitamente al ministro per i Beni culturali, on. Scotti, aveva dato inizio ai lavori per definire « un nuovo progetto speciale per la valorizzazione del patrimonio artistico del Mezzogiorno », al quale la Cassa per il Mezzogiorno assicurava un finanziamento di 300 milioni79 . Il « Progetto speciale per il recupero e la valorizzazione del patrimonio storico, artistico ed archeologico del Mezzogiorno » veniva presentato a Bari in occasione della Fiera del Levante. Il suo obiettivo, secondo Signorile, è « la creazione di un vero e proprio sistema microeconomico che, attraverso una saldatura dei poteri istituzionali che veda marciare insieme Stato, Regioni e comunità locali, valorizzi la cultura delle singole zone in tutte le sue espressioni, inserendole più direttamente nel circuito produttivo del paese »80; per Scotti esso, in un Mezzogiorno complesso e disarticolato, rappresenta uno dei « momenti aggreganti E ... ] che stimolano la "sintesi hegeliana" »81. A gennaio i due ministri illustrano il progetto alla Commissione parlamentare per il Mezzogiorno. Il progetto sembra avere le carte in regola (la documentazione sui nove itinerari è stata elaborata da una commissione interministeriale composta da rappresentanti dell'Accademia dei Lincei, del CNR, dell'Istituto Nazionale di Urbanistica). Il fabbisogno finanziario - stando a quel che ne dice la stampa 92 in diverse occasioni come il numero degli itinerari variano: que-
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23 sti da sette a nove, quello da 1.000 a 3.000 miliardi83 per il triennio 1982-84. Quello che più interessa è il tipo di operazione che quel progetto, per quel che è dato saperne, configura. Viene tracciato un certo numero di « itinerari » che, ovviamente, comportano un margine di discrezionalità uomini di scienza o d'altra vocazione collaborando - non esiguo; gli itinerari vengono definiti iì cogestione da due ministri, con l'accordo (almeno sulle grandi linee) dei governi regionali.. La materia, il turismo, è di competenza regionale; le .opere e le iniziative della Cassa - viabilità, «sviluppo dell'ospitalità » (come è stato detto con pudore davvero singolare per l'epoca), potenziamento di musei, impianti, servizi, forse « scuole per. operatori », attività di sensibilizzazione e altro ancora (è difficile prevedere quei che tanto fervide menti riusciranno à escogitare) - sono di quelle possibili solo sotto l'iisbergo del « progetto speciale »; ma le Regioni non potranno che vedere con favore questa pioggia di finanziamenti, di incentivi, di sovvenzioni: anzi, protesteranse tràscurate 84 . D'altra parte alle Regioni resterà spazio abbondante: la gestione delle iniziative turistiche, « l'adeguamentò delle situazioni relative agli abitati dei singoli centri », ecc. Bisogna riconoscere che la cosa non è stata pensata male: il patrimonio artistico e ambientale è tema . che giustamente commuove l'opinione pubblica e la disoccupazione intellettuale è, nel Mezzogiorno, 'un'autentica piaga. Così 'buona parte dell'opinione stessa si è trovata pregiudizialmente schierata in suo favore - ben pochi con il lume critico indispensabile -, in compagnia di chi ritiene che . le « cattedrali nel deserto » esauriscano il processo d'industrializzazione meridionale e, nemmeno sotto sotto (« il Meridione sta scoprendo che i beni culturali sono il suo petrolio »), che per il Mezzo-
giorno agricoltura e turismo rappresentino la strada giusta85 Così un'operazione di qualche migliaio di miliardi, con. la benedizione di por.taborse e di Lincei, è affidata agli interessi dientelari di alcuni politici spregiudicati, che faranno arbitrariamente delle scelte - altre consentendone a livello regionale - di cui non dovranno e non potranno rispondere a nessuno. Come nessuno si è chiesto né si. chiederà se era produttivo e conveniente investire in quello più che in altri settori o se, nel medesimo settore, potevano esservi iniziative concorrenziali e vincenti. Al Comitato delle Regioni meridionali, «nella relazione di Cascino - e nell'introduzione di Signorile - è stata anche sottolineata l'importanza di questa proposta per il coordinamento funzionale tra Stato e Regioni; un'anticipazione in fondo - ha commentato il ministro - di quanto il progetto per la riforma dell'intervento straordinario nel Mezzogiorno vuole realizzare »88. Questa volta, temiamo, c'è da credergli. .
2.6. Se questo è quanto la prassi del governo dell'intervento « anticipa » circa il « metodo progettuale » bellamente calpestato o ignorato nelle diverse proposte, rimane da vedere come nelle medesime vengono affrontati gli altri temi che definiscono modalitá e procedure dell'azione straordinaria. Gran parte di questi temi confluiscono in quel groviglio che, partendo dalla distinzione delle sfere di competenza e dal coordinamento dei poteri nel momento programmatico e in quello attuativo, ingloba il pro blema dei tempi tecnici, delle responsabilità nella realizzazione delle opere, e anche degli interessi politici relativi alle facoltà decisionali e di quelli economici . dei privati chiamati a concorrere alle attività esecutive: groviglio che, da sempre presente nella vita della Cassa per il Mezzogiorno 87 , si è
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via via ingrossato e •fatto drammatico sotto il duplice segno del discrimine tra centralismo e decentramento e del rischio della paraljsi nell'operare della mano pubblica. Coerente, ancora una volta, alle premesse, la Proposta Di Giesi ribadisce l'impostazione rigorosamente centralistica che pone in « non cale » l'intera problematica; anzi, la Relazione spiega a più riprese i motivi di quella opzione e illumina la volontà di massimizzare l'efficienza della Cassa, risolutore ed esaustivo strumento dell' intervento straordinario 38 . Sull'opposto versante, la proposta comunista propugna il massimo decentramento: nei programmi statali, per delega alle Regioni, e nei progetti regionali agli enti locali e a loro consorzi 89 . Non potendo - peraltro - ignorare i temi relativi alla capacità di spendere e di realizzare di ministeri e Regioni, il ddl Macaluso rimanda a ulteriori interventi legislativi, cui affida improbabili miracoli 90• Delle capacità degli enti locali non parla, non si sa se perché ne è soddisfatto o perché ritiene che su tale realtà nemmeno i miracoli possano produrre effetti. Se le idee-guida espresse dai democristiani e attestate sul «protagonismo meridionale » non consentono - oltre la ritornante istanza autonomistica 91 - di conoscere l'impostazione del partito di maggioranza relativa, gli altri disegni di legge tentano di dipanare il groviglio in modi che vanno seguiti con un pò di attenzione. Va preliminarmente ricordato che, nel caso dell'intervento straordinario e in particolare al momento di legiferare sui modi della sua prosecuzione, almeno a partire dal 1970, il riconoscimento delle competenze regionali si è sempre scontrato con il giudizio portato sulle capacità programmatorie e operative delle istituzioni regionali e subregionali; stando alla ricostruzione - largamente suffragata dai fatti - di chi fu protagonista delle vicende di quegli anni, lo stesso inserimento
dei progetti speciali nell'attività della Cassa non fu, per il partito dominante, che la scappatoia adottata per consentire all'intervento straordinario di operare in materie di competenza regionale, soddisfacendo insieme, ma solo sulla carta, la controparte politica che pretendeva individuare nella Cassa del futuro l'amministrazione pilota della « programmazione per progetti » Anche molto dopo la legge del 1971, le perplessità relative alle capacità delle Regioni e degli Enti locali meridionali sono spesso prevalse, e non senza fondamento, sia nel frenare il pieno riconoscimento della fisionomia di « Stato delle autonomie » disegnato dalla Costituzione repubblicana e consacrato dall'istituzione delle Regioni a statuto ordinario, sia nel giustificare lentezze e aporìe nell'attività della Cassa, costretta a rispettare i vincoli inderogabili dello spazio istituzionale di altri soggetti pubblici. Si ricorderà che ancor oggi, nella Relazione alla Proposta Di Giesi, viene avanzato questo tipo di argomentazione. Nei disegni di legge presentati dai due mini-. stri socialisti viene invece offerta una soluzione che, per la prima volta, tenta di combinare i doveroso rispetto delle competenze delle Regioni e degli enti locali con la salvaguardia di quella necessità di conseguire efficientemente gli obiettivi che è banco di prova di ogni sistema politico ed è indispensabile anche e soprattutto nelle democrazie, ove non si dia la concezione aberrante di una libertà di decidere scissa dalla possibilità di realizzare la scelta. Pur se, come si vedrà, la coerenza della soluzione lascia a desiderare, rimane della massima importanza questo tentativo di superare alcune delle maggiori difficoltà dell'intervento speciale. Seguiremo questo tipo di proposta, che si richiama a forme di controllo puntuale dell'efficienza, nel ddl Capria che - ci sembra - ne rappresenta la forma più compiuta e meglio definita.
25 La Relazione Capria, che iscrive tra le « scelte istituzionali poste a base del disegno di legge .[ .. .1 la individuazione di forme di collaborazione fra strumenti cerftrali dell'intervento con il sistema delle autonomie locali, con il correlato ampliamento delle responsabilità delle regioni e degli enti locali » , così svolge il significato della proposta: « La attuazione dell'intervento straordinario, come accade per le "politiche regionali» che hanno ad oggetto grandi aree di sottosviluppo nei principali paesi industriali, esige E ... •forme di collaborazione istituzionale fra apparati di intervento di pertinenza dello Stato centrale e sistema delle autonomie. Non è concepibile una politica di riequilibrio per un'area arretrata delle dimensioni del nostro Mezzogiorno che affidi l'intervento pubblico in modo esclusivo a strumenti centrali; ma neppure è immaginabile un totale affidamento di interventi cli riequilibrio così rilevanti alla sola rete degli enti di autonomia locale. E...]. L'area delle responsabilità delle regioni meridionali viene di molto estesa rispetto alla legislazione precedente. E ... ]. La disciplina dei contenuti e dei procedimenti degli "accordi di programma" assicura la concertazione, la codecisione e il coordinamento operativo fra apparati dello Stato centrale (pubbliche amministrazioni ed enti pubblici) e regioni ed enti locali. Si tratta di un passo innanzi nella concezione già delineata dal decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616 con la disciplina degli accordi interregionali. Lo schema si estende, qui, ai rapporti più complessi fra poteri centrali ed autonomie locali. Si tratta di un tema istituzionale decisivo per le sorti della costruzione autonomistica. E ... ]. Il permanere, quindi, nel Mezzogiorno di un intervento straordinario di competenza centrale non contrasta con la costruzione dello Stato regionale. Il disegno di leae tende, al contrario, a definire nuovi modèlli di collabòrazione •fra momenti dell'azione pubblica ]
(centrale e locale) rispettoso delle autonomie costituzionalmente garantite ed adeguato alla gravità dei problemi sostanziali oggetto dell'intervento. Alcuni modelli (accordi di programma, consorzi degli enti locali nelle aree metropoli--me) anticipano temi già oggetto di esame parlamentare in sede di riforma delle autonomie »". Il brano della Relazione è assolutamente chiaro: non resta che vedere la formulazione legislativa della proposta. All'art. 7: « Il Ministro per gli interventi straordinari nel Mezzogiorno in relazione alle risultanze del progetto di fattibilità, individua le Regioni, gli enti locali e gli altri soggetti pubblici che, per competenza istituzionale o in funzione della esecuzione e gestione degli interventi, sono interessati alla attuazione del progetto e promuove la conclusione tra i soggetti stessi dell'accordo di programma E...]. L'accordo di programma ha per oggetto l'attuazione del progetto di fattibilità e ne integra i contenuti ». All'ari'. 8: «Salve le diverse determinazioni degli accordi di programma, la Cassa per il Mezzogiorno provvede alla realizzazione dei progetti speciali interregionali ed esegue a suo totale carico gli interventi previsti nei progetti stessi ». La Cassa e gli altri eventuali soggetti dell'accordo di programma riferiscono al ministro sullo stato di attuazione dei progetti e « segnalano immediatamente le eventuali inadempienze delle parti dell'accordo, ai fini anche dell'esercizio dei -poteri sostitutivi di cui all'articolo 15 della presente legge» (comma 2°). Quanto ai progetti speciali regionali, l'art. 10 recita: « Sulla base dello schema preliminare approvato, le Regioni provvedono alla elaborazione del progetto di fattibilità, con l'eventuale assistenza tecnica della Cassa per il Mezzogiorno e nromuovono, d'intesa con il Ministro per gli interventi straordinari nel Mezzogiorno, la conclusione dell'accordo di pro-
26 gramma tra i soggetti interessati all'attuazione del progetto ». Contest-ualmente vengono determinate le modalità di finanziamento dei soggetti stessi da parte della Regione. All'art. 11: i- soggetti specificati nell'accordo sono incaricati dell'attuazione dei progetti regionali. Ad essi « si applicano le disposizioni 'di cui al secondo -comma dell'articolo 8 ». Art. 14: « L'accordo di programma { ... ] realizza, anche attraverso la delega di funzioni amministrative, il coordinamento tra le attività dei soggetti pubblici interessati all'attuazione dei progetti speciali; individua i soggetti responsabili della realizzazione degli interventi; ne determina le modalità di successiva gestione delle opere che potrà essere affidata a consorzi a tal fine costituiti ». L'accordo - col quale i soggetti si impegnano a svolgere le attività di propria competenza necessarie al progetto - « prevede altresì procedimenti di arbitraggio ed ipotesi di interventi sostitutivi nei confronti di eventuali inadempienze dei soggetti partecipanti, salvo il parere obbligatorio del Comitato dei rappresentanti delle Regioni meridionali relativamente ad interventi sostitutivi nei confronti di Regioni ». Nell'art. 15 'si dispone che sia la Regione a sostituire l'ente locale inadempiente, che siano gli altri partecipanti a denunciare madempienze di soggetti di tipo diverso, che il ministro - accertata l'inadempienza o la difforrnità nel comportamento - sospenda l'esecuzione o il finanziamento del progetto. Il ddl Signorile - che, come s'è detto, parla di progetti interregionali, regionali e locali differisce da quello di Capria in quanto: fa sottoscrivere dal ministro l'accordo e dichiara il Commissario di Governo presso la Regione « organo incaricato degli interventi sostitutivi » nel caso di progetti interregionali (art. 14); non parla esplicitamente di poteri sostitutivi negli altri casi. Tanto l'uno che l'altro disegno di legge pre/ vedonò altri strumenti per decurtare i tempi
necessari alla realizzazione delle opere (dichiarazioni di pubblica utilità, etc.). Quel che qui riveste maggior importanza, è che il ddl Capria si preoccupa a più riprese di far spazio agli interessi locali, probabilmente per superare' una fonte di potenziale opposizione. Così, nel caso di progetti speciali per le aree metropolitane, prevede -consorzi obbligatori tra i comuni e le province, i quali « provvedono alla realizzazione delle opere previste nel progetto regionale ed alla gestione delle medesime », così come- prevede analoghi consorzi volontari 'per i progetti regionali « relativi a complessi organici di interventi in sistemi irbani meridionali » - -(art. 12); affida i progetti di attrezzatura di aree destinate alle industrie ai consorzi per le aree e i nuclei di sviluppo industriale - (art. 13), conferisce titoli preferenziali nella scelta degli appaltatori alla « presenza nei consorzi e nelle associazioni temporanee, per una quota non inferiore al 40 per cento, di imprese ubicate nei territori meridionali » (art. 19). Se questo serve a dar l'idea di come, nell'articolazione dei progetti e nel varo degli accordi di programma, ci si è sforzati - contestualmente al proposito di superare le secche di un dibattito senza via di uscita attraverso questa sorta di controllo a scadenza dell'efficienza in attività condizionanti la realizzazione del progetto °' - di tener presenti gli interessi economici e i poteri locali, dobbiamo tornare un attimo sul tema di -fondo per meglio analizzare il senso delle proposte. S'è visto come, con la distinzione tra progeti. interregionali e progetti regionali, e ancor più con l'attribuzione di poteri sostitutivi, le due proposte stabiliscano sfere d'influenza sufficientemente differenziate per l'intervento centrale e per quello regionale; ma tale -differenziazione è, appunto, funzione della interregionalità del progetto. E' allora di grande rilievo il fatto che - oltre e al di là della approssiniativa elencazione delle materie og-
27 getto dei due tipi di intervento - le due proposte, esprimendosi in modo non molto dissimile, non facciano corrispondere la « interregionalità » del progetto alla « interregionalità » dell'attività che ne costituisce il contenuto ma la connettano a caratteristiche di sicura indefinibilità°°, per cui, in ultima istanza, è il •potere centrale a scegliere le azioni da svolgere applicandovi l'etichetta di « progetto interregionale ». Che l'interpretazione non sia forzata né maligna ci sembra dimostrato dal fatto che il ddl Capria dedica un lungo articolo, il 32, ai Provvedimenti per l'agricoltura, interamente ripreso nella seconda e « aggiornata » versione del ddl Signorile all'art. 28. Le azioni previste non fanno parte di progetti interregionali, ma entrano pesantemente nelle compete1ze regionali machiavellicamente truccate da « programmi speciali di intervento in agricoltura ». Essi - « finalizzati a determinati comparti produttivi, alla commercializzazione, alla valorizzazione dei territori irrigui e di zone interne » - possono darsi qualsivoglia contenuto; ed è significativo che « terranno conto degli interventi realizzati o in fase di realizzazione dei progetti speciali » agricoli, cioè ne potranno costituire, sotto altro nome, il proseguimento. La Cassa, inoltre, potrà costituire fondi di rotazione per mutui di miglioramento fondiario e per prestiti di esercizio a tasso agevolato . E' opportuno, a questo punto, ricordare come col progetto degli itinerari turistico-archeologici la Cassa è tornata trionfalmente ad operare in un altro settore di competenza regionale. Dunque, mentre i contratti di programma costituiscono un tentativo di notevole interesse per risolvere alcuni, e fra i più pesanti, problemi classici dell'intervento, il contesto nel quale si iscrivono ripresenta un connotato comune alle due leggi precedenti: quello centralistico, che si riafferma inequivocaniente per la « polpa » dell'intervento, di contro al decentramento ormai improcrasti-
nabile del resto. L'esperienza dirà quel che può valere un istituto giuridico a innestare negli organismi locali un'efficienza alla quale corrisponderà l'esercizio di poteri reali, e che, c'è da sperare, proprio per questo sarà ricercata e acquisita ad ogni costo; basta invece una prima analisi a dire come progetti, contratti di programma e poteri sostitutivi siano tutti sotto il segno sovrano di un grande arbitrio. Con in più il dubbio che all'accentramento arbitrario delle azioni di sostanza corrisponda l'ambigua spartizione, questa sì « decentrata », della torta clientelare; e sarebbe uno scambio deteriore e deteriorante per i poteri che l'hanno promosso come per quelli che ne divenissero partecipi.
2.7. Le azioni che le diverse proposte pongono a contenuto dell'intervento, e dei progetti in particolare, sono varie e spaziano entro una gamma piuttosto estesa. A parte il problema delle grandi aree urbane, del loro risanamento e dell'attrezzatura del territorio, presente al dibattito e ai disegni di legge da oltre un decennio e ora da tutti richiamato, al «che fare » nel Mezzogiorno di oggi si risponde ponendo l'accento sulla necessità di « una adeguata rete di servizi (dalla ricerca al trasferimento delle tecnologie, alle infrastrutture di telecomunicazione) tipica di un sistema terziario avanzato », di « nuovi indirizzi della politica del credito », di « pronta soluzione al grave problema della scarsità energetica » (Di Giesi) 98, di « sistemi complessi di interventi «a rete" [...] in materia di infrastrutture, trasporto di energia, telecomunicazioni, utilizzazione e salvaguardia delle risorse naturali, strutture e servizi tecnico-scientifici per la promozione di attività produttive » (Capria) , di « infrastrutture con particolare riguardo alle telecomunicazioni, all'energia, alla viabilità, ai trasporti », di «difesa del suolo, tutela e valorizzazione delle risorse idriche, salvaguardia di be-
28 ni culturali ed ambientali », di « strutture e attrezzature per la promozione delle innovazioni tecnologiche ed organizzative delle imprese produttive e delle amministrazioni regionali e locali » (Signorile) 1oO Ma l'autentico new look apparso nel primo scorcio del decennio ottanta è tutto incentrato sugli ormai furoreggianti « servizi reali » o « incentivi reali ». La nascita dell'espressione, destinata a tanta fortuna, avviene all'interno del dibattito sui criteri e le misure di incentivazione alle imprese industriali, e con l'ennesima ripetizione dell'ovvietà che gli incentivi finanziari non possono supplire alle deficienze ambientali. Mentre non manca chi s'attarda a ripetere che le agevolazioni non bastano perché niente può sostituirsi a un capitalismo forte e in espansione (poco conta che nessuno abbia mai sostenuto il contrario), altri cominciano ad analizzare quali sono i « servizi reali » che possono essere messi a disposizione delle imprese. Quando l'espressione prende piede e viene consacrata nei discorsi ufficiali, i rappresentanti dell'industria meridionale più direttamente interessati - sentono il bisogno di sottrarla all'equivoco. Per il presidente del Comitato nazionale per il Mezzogiorno della Confindustria, occorre insistere sui servizi reali ma « bisogna evitare che essi diventino una nuova parola magica da consumare, come tante altre, nella pubblicistica e nel dibattito meridionalisti, in una o due stagioni. Servizi reali per noi significa anzitutto un territorio attrezzato con infrastrutture primarie e secondarie E ... ]. Intendiamo poi, per servizi reali, un decente funzionamento dell'ordinario (energia elettrica, comunicazioni, formazione professionale, ecc.) E...]. Intendiamo infine un buon e soprattutto coordinato funzionamento dei cosiddetti enti collegati alla Cassa, sia quelli finanziari che lo Iasm e il Formez » Lo stesso Ernesto Marano, in un intervento successivo, specifica polemicamente: « L'im-
pianto concettuale dell'intera legislazione per il Mezzogiorno ancora oggi si fonda sul presupposto che la crescita dell'apparato produttivo meridionale debba essere agevolata attraverso strutture pubbliche istituite per prestare servizi reali. La realtà ha clamorosamente smentito questa impostazione ». Dato l'infelice esito delle costose e inefficienti soluzioni burocratiche, è bene favorire chi offre quei servizi, conseguendo in tal modo più obiettivi: « si privilegia immediatamente il fabbisogno; si favorisce il colloquio tra utente e fornitore del servizio reale; si incentiva la formazione dell'offerta, attraverso la creazione del relativo mercato; si controlla il flusso dei servizi richiesti ed offerti. [ ... ] Se con lo slogan dei servizi reali si intendesse continuare a destinare risorse ad indifferenziate strutture pubbliche deputate a monopolizzare l'offerta, i risultati non potrebbero che essere deludenti. Con l'aggravante di un ulteriore spreco di risorse finanziarie [ ... ]'. E' dal mercato che deve nascere la domanda; è sul mercato che deve confrontarsi l'offerta sia essa pubblica sia essa privata. Solo così si può raggiungere l'efficienza di un sistema come quello industriale del Mezzogiorno, i cui risultati, non sempre brillanti, sono stati frutto non tanto dell'efficienza interna del sistema quanto di scelte economiche spesso errate »b02. La visione dell'imprenditoria meridionale è irrealisticamente rosea, ma non si può sostenere che la percezione dell'intervento pubblico sia non veritiera e poco chiare le richieste enunciate. Che queste richieste siano appoggiate anche da uomini non sospetti di indulgenza verso gli industriali, acquista un valore di conferma che non si può ignorare 103• Quando poi, all'inizio dell'estate 1981, appaiono le tesi confindustriali in preparazione al convegno genovese di settembre, nel capitolo Localizzazione industriale e Mezzogiorno viene ripresa la richiesta fino allora elaborata sugli « incentivi reali » 104; ad essa le
29 più recenti proposte legislative non sono state sorde. Se la più antica Relazione Di Giesi nomina gli « incentivi reali » unicamente con riferimento all'attività degli istituti controllati e indirizzati dal ministro per gli interventi nel Mezzogiorno 105, già il ddl Capria - la cui Relazione dedica un breve omaggio agli istituti stessi '°° - introduce incentivi fiscali e all'occupazione (oltre a quello in conto canoni per le società di locazione finanziaria) per chi fornisce « servizi destinati all'attività produttiva »: informazione, formazione, marketing, trasferimento di tecnologie, ricerca applicata, commercializzazione, etc. Mentre il ddl Signorile - che, come gli altri, prevede incentivi per gli investimenti nelle attività commerciali - nomina i « servizi reali » in rapporto all'intervento degli « enti collegati » '°, la posizione democristiana, espressa nella già citata relazione Bosco pone fra «le grandi opzioni innovative in termini di contenuto della politica meridionalistica "l'intervento" sui servizi reali (dai terreni attrezzati e rustici industriali, alla commercializzazione, all'attività di ricerca e di innovazione tecnologica, alla formazione dei quadri, ecc.) ». La proposta della DC investe e fa proprie le due interpretazioni che abbiamo visto caratterizzare i diversi disegni di legge e ad entrambe conferisce il massimo di latitudine con enfasi che, almeno per taluni, rilevanti aspetti, si presenta come assolutamente nuova. Leggiamo, infatti, a delucidazione dell'oggetto della « grande opzione »: « in primo luogo occorre creare dei meccanismi di incentivazione per l'imprenditorialità di servizio alle imprese, con speciali rinforzi per i servizi più qualitativamente avanzati; in secondo luogo occorre garantire incentivi e finanziamenti all'azione dei soggetti collettivi locali che forniscono vecchi e nuovi servizi alle imprese (associazioni industriali, camere di commercio, banche locali, eccetera) ed
inne occorre garantire incentivi e finanziamenti agli enti locali coinvolti nella vitalità crescente delle loro zone, magari spingendoli a consorziarsi perché possano corrispondere alle esigenze economiche cd organizzative emergenti a scala locale » - concezione che, evidentemente, va ben più in là delle stesse posizioni confindustriali e che non si sa dove possa giungere. D'altra parte, laddove annuncia «l'impegno a favorire l'intrapresa », la relazione, con inconsueto calore, elenca le azioni necessarie e le dà in carico agli enti collegati auspicando uno slancio e una capacità delle attività straordinarie che riconosce finora manchevoli '° In genere, oltre a quanto già segnalato, le diverse proposte per il decennio ottanta non introducono novità cli rilievo per quel che attiene agli enti collegati, a parte la liberalizzazione del mercato mer idioi:iale e la sua apertura a nuove società di leasing ". E' ben vero che tanto le finanziarie (FINAM, FIME e INSUD) quanto gli istituti deputati alla formazione dei quadri e alla promozione e assistenza delle attività private e delle amministrazioni pubbliche meridionali (FORMEZ e IASM) non hanno attratto a tutt'oggi l'attenzione che meritano; se si esclude un saggio documentato e critico" 2 in materia non sono noti che sporadici strali e occasionali omaggi, e gli stessi, limitati iiterventi dell'autorità politica sono dettati prevalentemente dall'appartenenza partitica, dagli interessi e dagli umori del ministro in carica: nemmeno nell'unico caso in cui, in sede autorevole, un organo dello Stato espresse giudizi non privi di durezza su uno di questi enti 113, si ebbero conseguenze di sorta. Proprio per questo, la nuova legge poteva costituire l'occasione per tracciare un bilancio e per dar mano a quella revisione di compiti e di strutture che fosse eventualmente risultata necessaria e opportuna. Se è questo il panorama, il ddl Signorile se ne distacca decisamente e presenta qualche ,
30 novità. Esso, infatti, dedica due articoli agli enti collegati, il primo dei quali (art. 8, Sog-
getti per l'attuazione delle azioni organiche di promozione e di sostegno allo sviluppo) ne ridefinisce i compiti. Tralasciando gli «enti di assistenza tecnica e di formazione », rispetto ai quali le innovazioni appaiono trascurabili, merita riferire in dettaglio di questi mutati compiti. La Società Finanziaria Agricola Meridionale (FINAM) «provvede alla realizzazione e gestione delle azioni organiche d'intervento inerenti l'agrumicoltura, la zootecnia e la forestazione », cioè - se non andiamo errati assume un grande rilievo in quei progetti speciali della Cassa nei quali prima poteva 'al più aver parte dando ad essi priorità rispetto agli altri suoi interventi 114• La FIME viene demandata a curare « la realizzazione e gestione organiche d'intervento inerenti la attrezzatura di aree industriali integrate », settore nel quale l'attività prima della Cassa, poi delle Regioni, sempre dei Consorzi delle Aree e dei Nuclei, s'era mostrata particolarmente limitata 115• La Società Nuove Iniziative per il Mezzogiorno (INSUD), finora gravata di ben diversi doveri 116 « cura la promozione di imprese turistiche e lo sviluppo, ristrutturazione e riconversione delle stesse », partecipa a società « di gestione di strutture turistiche, comprese quelle alberghiere, termali e di servizio turistico E ... ], nonché cura la realizzazione e gestione delle azioni organiche d'intervento inerenti i progetti turistico-culturali nel Mezzogiorno »; che ci sia nell'aria qualcosa di grosso - e di ben più grosso dei noti itinerari evocati nelle ultime parole - pare ovvio, se si predispone una modifica tanto drastica. La FIME Leasing si vede aprire nuovi orizzonti con la « locazione finanziaria sia di impianti, strutture commerciali e macchinari all'estero necessari allo "toccaggio di prodotti agricoli ed industriali, sia di impianti e macchinari da esportare all'estero »; la FIME Trading, poi, « cura l'as-
sistenza della produzione meridionale a favore delle piccole e medie aziende industriali, anche acquistando tecnologie e sistemi di lavorazione, diffondendo ricerca applicata ed elaborando nuove produzioni, organizzando programmi di riconversione produttiva; attiva centrali di acquisto per le aziende meridionali, lancia, valorizza e commercializza prodotti meridionali e rappresenta imprese meridionali all'estero, nonché cura la realizzazione dei progetti di commercializzazione di prodotti meridionali e gestisce le infrastrutture commerciali ». Anche in questi due casi, dunque, parecchie novità e una forte espansione delle prospettive, da cui a qualcuno verrà forse un briciolo di inquieta curiosità. Il ministro Signorile puntualizza taluni particolari della sua proposta nell'art. 27, Auto-
rizzazione per una più efficace realizzazione delle azioni di promozione e di sostegno dello sviluppo (titolazione curiosa, foss'anche solo per una prima, provvisoria stesura). Di particolare interesse: « l'INSUD è autorizzato a partecipare a società estere per il convogliamento e l'organizzazione di flussi turistici nel Mezzogiorno »; il FORIvIEZ - che certamente non ha avuto la formazione professionale (termine, peraltro, di incerta definizione) al centro dei suoi programmi - è autorizzato a «organizzare la formazione professionale all'estero, sia per le comunità italiane sia in funzione di esportazione di impianti di produzione italiana »; « la FIME Trading è autorizzata a curare strutture stabili all'estero per la penetrazione sui mercati di sbocco » - e gli attoniti lettori sono autorizzati ad agitarsi nel rovello di curiosità destinate, almeno per il momento, a rimanere inappagate. Tra l'autunno inoltrato e l'inverno avanzato non risulta che realtà e riflessione abbiano compiuto rilevanti passi. Ne compie, invece, il ministro per gli interventi straordinari. Infatti, la aggiornata versione del ddl Signorile - ma chissà quante ne saranno state re-
31 datte tra quella e questa, quante saranno succedute all'ultima a noi nota, quanti i dubbi, i patteggiamenti, i calcoli astuti al millesimo del « particulare » e quante le dabbenaggini sciabolate sulla schiena dell'intero Mezzogiorno - si ostina a innovare. All'art. 8: la IIME trova nuovi spazi nella « forestazione industriale » 117; all'INSUD si destinano i pascoli della « realizzazione di infràstrutture di servizio in settori attinenti, • comunque collegati alle attività turistiche • alberghiere »; lo IASM « svolge attività di promozione generale e specifica per gli interventi nel Mezzogiorno»; il FORMEZ può aspirare a preparare i quadri « delle organizzazioni ed istituzioni speciali E?], scientifiche e culturali ». Fin qui la spiegazione, certo non lineare, delle intrusioni può essere quella canonica: occasioni estemporanee che si vogliono ufficializzate, lamentele di presidenti lagnosi, ripicche e proteste di una nouvelle vague di politici affamati e di amministratori pretenziosi. La solita (non per questo meno inaccettabile) bassa cucina romana, si dirà; almeno a fronte di quel che viene introdotto, con la modestia tipica di questo genere di operazioni, al penultimo comma: « Le azioni della società di gestione e partecipazione industriale - GEPI - già sottoscritte e liberate dall'IMI, per una quòta pari al 50% deI capitale sociale, sono trasferite agli istituti speciali di credito a medio termine » meridio-
nali . La GEPI - col suo ingombrante bagaglio - entra così a pieno titolo nella sfera dell'intervento straordinario nel Mezzogiorno; ciò che potrebbe (in un itinerario in parte simile a quello percorso in anni non lontani dalla INSUD) preludere al suo distacco dall'orbita delle partecipazioni statali. La stessa GEPI - art. 27, ultimo comma e è autorizzata, a richiesta delle Regioni meridionali, a riconvertire la mano d'opera di aziende in crisi da riutilizzare nell'ambito provinciale da altre aziende a capitale pubblico, avvalendosi dell'assistenza tecnica del FORMEZ, oltreché dell'ISFOL ». Non pare che le due prescrizioni delineino congiuntamente un ruolo in qualche modo definito. Sembra, anche qui, che qualche disegno ci debba ben essere - un disegno che si riflette a tratti sull'articolato firmato da Signorile, ma che da esso non traspare nemmeno approssimativamente. Non si può dire che nelle proposte prese in considerazione emerga, per quel che riguarda in generale le azioni da intraprendere nel prossimo futuro e le funzioni attribuite agli enti collegati, qualcosa più di singoli spunti (quale di rilevante, quale di discutibile valore). Il rischio che, lungi dal comporre una trama dotata di coerenza e con forte potenziale propulsivo, ne risulti un coacervo di iniziative e di rettifiche a elevata problematicità politica, istituzionale ed economica, non è piccolo.
Tutte le indagini condotte presso operatori stranieri o di altre regioni italiane che hanno investito nel Mezzogiorno, riportano forti lamentele per il funzionamento della P.A.. L. ASTA, intrattenendosi sul rapporto degli industriali emiliani L'industria della Emi-
ce ad accentuarle con proprie insufficienze » (p. 41). Poco oltre riporta l'esperienza relativa ai « condizionamenti locali negativi. Condizionamenti così definibili possono essere identificati con comportamenti anomali del sindacato (28,5%), con interferenze di organizzazioni illegali e con comportamenti inadeguati o scorretti da parte della pubblica amministrazione (i due «condizionamenti" danno il 20% di risposte per ciascuno), e con pressioni di partiti politici (17,2%). Questi condizionamenti si sono specificamente
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lia-Romagna ed il Mezzogiorno (La politica meridionalista delle «aree attrezzate», «Nord e Sud», aprile-giugno 1980), riferisce il giudi-
zio secondo il quale «i servizi pubblici che dovrebbero sopperire ad alcune lacune dell'ambiente meridionale, contribuiscono inve-
esercitati in relazione all'assunzione di manodopera (per il 32,4%), ad offerte di collaborazione (per il 24,3%), ad offerte di protezioni (per il 13,5%), a scelte di imprese esterne (ancora per il 13,5%), a scelte dell'area di insediamento (per l'8,2%); ed hanno determinato soprattutto una perdita di autonomia decisionale o esborsi finanziari (rispettivamente nel 50% e nel 37% delle esperienze) '>, p. 45. <'Solo il 35,3% delle aziende si dichiara soddisfatto del livello dei servizi pubblici meridionali, mentre il grosso segnala la presenza di insufficienze un po' in tutti i settori. In ordine di importanza: l'energia elettrica, l'acqua potabile, lo scarico di acque industriali; e, inoltre, la disponibilità di telex, di collegamenti ferroviari, del telefono, dei collegamenti stradali, dei servizi postali », p. 46. Non dissimili giudizi emergono in F. NARcI-
zionale degli imprenditori è, tra l'altro, diffusa convinzione anche degli imprenditori che hanno già effettuato investimenti nel Mezzogiorno ». ° In «Atti parlamentari - Camera dei Deputati - VIII legislatura - Disegni di Legge e Relazioni », n. 1973; d'ora in poi Pro-
posta Di Giesi.
'° In «Atti parlamentari - Senato della Repubblica - VIII legislatura - Disegni di Legge e Relazioni », n. 1270; da adesso d d i
Macal uso.
In <'Atti parlamentari - Camera dei Deputati - VIII legislatura - Disegni di Legge e Relazioni », n. 2276; da adesso d d i Ca51
pria.
Ciclostilato; di seguito d d i Signorile. D d i Macaluso. Relazione, p. 9. 54 Ibidem, p. 8. 5 -5 Ibidem, p. 9. 52
si, Cli investimenti esteri nelle regioni del Sud, «Città e campagna », ottobre-novembre 1981. Nominato presidente del Comitato per il Mezzogiorno della Confindustria, Ernesto Marano dichiara che per il Sud sono <'indispensabili quei servizi reali che rendono un ambiente suscettibile allo sviluppo. Questi riguardano il più delle volte l'ordinario: comunicazioni, formazione, credito, energia sono al primo posto. Ciò induce qualcuno a dire che l'azione meridionalistica deve essere ricondotta tutta all'ordinario, ma io credo che ciò non sarebbe sufficiente. Occorre ancora un flusso straordinario di spesa finalizzato, ma occorre soprattutto che questa sia gestita con efficienza. Direi con straordinaria efficienza, considerati gli standards della Pubblica Amministrazione ». Soprattut-
Il primo firmatario del d dl comunista in altra occasione ha sostenuto - con scarso conforto di fatti - che il comportamento delle Regioni meridionali nella spesa pubblica non avrebbe niente da invidiare alla Cassa per il Mezzogiorno. «E con l'aggravante che mentre è possibile, con tutti i limiti, di condurre nei consigli regionali e nelle assemblee regionali una battaglia democratica su questo tema centrale che è apnunto la programmazione e la pianificazione territoriale, il tipo di spesa pubblica, le strutture, l'intervento della Cassa per il Mezzogiorno, dei consorzi di bonifica, e dei consorzi industriali sono completamente tagliati fuori da ogni possibile censura democrato l'efficienza dei servizi favorirà lo sviluppo tica perché sono corpi separati, nella costrudel Mezzogiorno, «Corriere della Sera », 7 zione costituzionale e istituzionale dello Staagosto 1980. to italiano. Questa è una battaglia democratica volta a bonificare le regioni, per dare Cfr. anche gli interventi dell'on. Catalano alla seduta del 2 dicembre 1981, alla Va Com- alle regioni una direzione diversa e una capacità di intervento diverso. Noi non nemissione Permanente della Camera dei Deputati, «527. Bollettino delle Commissioni », ghiamo che sia una battaglia difficile, ma è p. 26, e di G. LIZZERI, al convegno Unioncal'unica possibile ». E. MACALUSO, Centrosinimere, Roma, 2 aprile 1981, Società meridio- stra..., cit., p. 38. In attesa dell'improbabile nale e imprenditori locali, <'Mondo Econo- vittoria, il progresso del Mezzogiorno domico '>, 6 maggio 1981, p. 46. vrebbe contare sui ministeri, sugli assesso47 rati regionali e sul loro «coordinamento ». Cfr., tra gli altri, l'intervista a M. D'ANTONIO di R. CHIABERGE, Pro gettiamo un nuovo 51 La formulazione - compresa nell'art. I Sud, « Il sole - 24 ore », 8 ottobre 1981 e - è ambigua e incoerente. « I contenuti essenziali del programma sono G. RUFFOLO, Una nuova alleanza per il Mezzoi seguenti: giorno, «Mondoperaio », giugno 1980. 48 gli obiettivi dell'intervento straordinaE' significativa l'opinione di 168 aziende emiliane che vogliono investire nel Mezzo- rio, specificamente riferiti all'occupazione, giorno (L. ASTA, La politica..., cit., p. 47). agli investimenti ed al reddito; le direttive generali per il coordinamenQueste «riscontrano carenze nella organizzato degli interventi ordinari e straordinari zione confindustriale, in rapporto alla posnel Mezzogiorno, ivi compresi quelli di comsibilità di incrementare lo scambio di espepetenza regionale; rienza tra imprenditori del Nord e del Sud le direttive specifiche per l'attuazione dee rispetto alla possibilità che la Confindugli interventi programmati; stria crei organismi ad hoc. Tale necessità di maggior dinamismo dell'associazione nal'individuazione degli obiettivi dei pro58
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33 getti speciali interregionali e regionali da realizzare in attuazione del programma ». Dove: le grandezze « macro» sono identificate come obiettivi del solo intervento straordinario, che - tra l'altro - non può che comprendere una parte limitata delle risorse disponibili per Io sviluppo delle regioni meridionali; le direttive generali, che dovrebbero essere strumento agli obiettivi indicati, valgono invece per il coordinamento tra i diversi interventi; le direttive specifiche « per l'attuazione degli interventi programmati » non possono - è da ritenere riguardare l'amministrazione ordinaria dello Stato e delle Regioni, cioè non possono che riferirsi all'intervento straordinario; in compenso, i progetti speciali regionali (i cui schemi preliminari e progetti di fattibilità sono elaborati, come è ovvio, dalle singole Regioni - art. 11) ricevono i loro obiettivi dal programma in discorso. E' da pensare che nemmeno la Relazione al d d 1 pretenda far chiarezza quando enuncia: « Il programma per il Mezzogiorno è concepito come sistema di decisioni, inserito all'interno del procedimento e degli istituti della programmazione di bilancio disciplinati dalla legge 5 agosto 1978, n. 468: bilancio programmatico pluriennale, legge finanziaria, bilanci• annuali di competenza e di cassa. Si dà, così, risposta positiva ad una esigenza di coordinamento operativo fra intervento ordinario dello Stato e intervento straordinario e si garantisce, con il più diretto collegamento istituzionale, la valutazione della priorità meridionalistica nell'ambito degli strumenti di programmazione del settore pubblico » (p. 5). 58 Mentre nella prima stesura il d d 1 Signorile attribuiva grandi poteri e responsabilità al ministro per gli interventi straordinari (art. 3), nella successiva stesura si ha un deciso ridimensionamento della figura del responsabile politico; ma tale ridimensionamento non è sufficientemente meditato, e in molti casi si ha il meccanico passaggio di poteri dal ministro ai responsabili amministrativi, con risultati talora grotteschi. Così, mentre nella prima bozza (art. 3) il ministro « elabora gli schemi del piano novennale, dei programmi triennali e dei programmi esecutivi annuali », nella seconda bozza (sempre all'art. 3) il ministro « a) predispone lo schema del programma novennale; [ ... ] h) indirizza e coordina l'attuazione del piano novennale e la realizzazione dei programmi triennali, attraverso direttive ai soggetti ». Come sia compatibile questo dettato con quello del punto b) (il ministro « esamina le proposte di azioni organiche di intervento avanzate dai soggetti abilitati [ ... ] e le sottopone al Fondo per lo sviluppo del Mezzogiorno [ ... ] per la valutazione della complessiva validità economica e finanziaria »), posto che non si possano dare né
schema né indirizzi di piano che non facciano riferimento ai rispettivi contenuti economici, non si riesce a capire. Ancora, è quanto meno strano che la verifica da parte del CIPE della coerenza degli indirizzi generali nazionali con gli obiettivi di sviluppo del Mezzogiorno avvenga solo in occasione del piano novennale (art. 2, comma 30); che il Comitato per lo sviluppo del Mezzogiorno verifichi « la compatibilità delle politiche economiche nazionali e dei relativi programmi con gli obiettivi di sviluppo » (art. 2, comma 40) etc. ° Cfr., di M. Bosco, Linee e strumenti..., cit., e Le Regioni meridionali..., cit. Basterà vedere come in quest'ultimo, che ignorava bellamente la figura del ministro per gli interventi straordinari, si proponesse il Fondo come « dotato di autonoma personalità giuridica, per gestire le risorse destinate all'intervento straordinario [ ... ] ammettendo al finanziamento gli interventi, corrispondenti alle deliberazioni programmatiche del CIPE, predisposti a cura dei soggetti competenti a realizzarli. Uno strumento che potrebbe svolgere, per le soggettività meno forti dell'area, anche una funzione di supporto e, per tutto il Mezzogiorno, la funzione di "sportello" di norme, procedure e mezzi finanziari rivenienti dai Fondi comunitari ». 80 La Relazione illustrativa indica i motivi che giustificherebbero l'indirizzo in materia
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della Proposta:
« [ ... ] l'intervento straordinario non è che una componente dello Stato nel Mezzogiorno, che deve essere considerata insieme all'intervento ordinario e alle politiche gènerali. L'efficacia della complessiva azioné meridionalistica dipende dal grado di coerenza e coordinamento che si riesce a raggiungere tra queste tre componenti. Nel passato si è riscontrata la tendenza ad attribuire all'intervento straordinario compiti che sarebbero stati propri dell'intervento ordinario e delle politiche generali. Ne sono conseguiti il 'declino della rilevanza strategica dell'intervento ordinario e la insufficiente considerazione degli interventi straordinari nel Mezzogiorno, nella determinazione delle politiche generali. E' avvenuto che sono stati caricati sui progetti speciali interventi di rilevanza ordinaria, mentre la politica di promozione industriale nel Mezzogiorno non è stata ricondotta nel quadro normativo ed istituzionale del paese [ ... ] >' (p. 5). <EGli strumenti ordinari debbono realizzare gli interventi diretti a soddisfare il fabbisogno di opere e di servizi che di norma emerge dalla situazione dei processi in atto nella economia e nella società meridionale. Lo strumento straordinario, invece, deve realizzare gli interventi diretti non ad accompa-
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gnare o sostenere lo sviluppo ma a determinarlo, modificando le condizioni ambientali in misura tale da renderle idonee ad accogliere processi di crescita che altrimenti non sarebbero possibili. Questi interventi sono propri dell'area da sviluppare e soltanto di questa: essi non sono soltanto addizionali ma anche di natura profondamente diversa da quelli richiesti dall'area sviluppata.
Cassa per il Mezzogiorno » dedicati a progetti in corso d'attuazione, non si trova traccia di criteri o problemi di valutazione. Cfr.: Area metropolitana di Palermo. Presupposti per l'elaborazione progettuale e tecnica del progetto speciale, n. 1, Roma, 1980; Area metropolitana di Napoli, n. 2, Roma, 1980; Progetto speciale per il Mezzogiorno interno, n. 3, Roma, 1981. 64 Non è privo di rilievo il fatto che questa consapevolezza si intreccia con la visione critica del presente, che è giudizio sulla fase attuativa della norma. « La nozione di progetto speciale è già stata definita dalla legge 183: ad essa non vanno apportati sostanziali correttivi. Bisogna invece operare una profonda revisione dell'attività in essere che spesso, sotto l'etichetta del "progetto speciale", nasconde azioni proprie dell'intervento ordinario, oppure interventi di varia natura scarsamente inquadrabili in un disegno progettuale ed economico unitario. Sarebbe un grave errore persistere nella tendenza, che di fatto è stata sostenuta da tutte le forze politiche, a caricare sulla "Cassa» compiti che non Je sono propri e per i quali essa non ha alcuna specifica competenza. Il relativo insuccesso del decollo operativo dei progetti speciali è dovuto alla sostanziale inosservanza in sede attuativa dei requisiti previsti dalla legge. Si è proceduto, in altri termini, con interventi a stralcio autorizzati dall'autcrità di Governo che in molti casi non ha approvato il disegno progettuale complessivo degli interventi. Ciò ha impedito che trovasse compiuta realizzazione la strumentazione specifica, straordinaria e derogatoria, propria dell'esecuzione dei progetti speciali. E' quindi in parte fallito il tentativo di recuperare, nel quadro istituzionale caratterizzato dalla presenza delle regioni, ad una logica unitaria gli interventi con più spiccate caratteristiche di intersettorialità e con più complessi problemi di programmazione rispetto agli interventi ordinari' (Relazione, cit., p. 1). 65 Recita, infatti, l'articolo 5: « I progetti speciali interregionali assumono le decisioni tecnico-economiche unitariamente finalizzate al conseguimento di obiettivi di sviluppo del Mezzogiorno mediante la realizzazione di sistemi complessi di interventi che hanno per oggetto: reti di infrastrutture, di trasporto di energia, di telecomunicazioni, volte a facilitare lo sviluppo di attività produttive, ed in particolare la localizzazione industriale; utilizzazione, valorizzazione economica e salvaguardia delle risorse idriche, naturali ed ambientali; reti di strutture e servizi tecnico-scientifici per la promozione di innovazioni tecnologiche ed organizzative nelle attività produttive. I progetti concernono di norma il territono
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L'azione della "Cassa" ha cominciato a diventare meno incisiva proprio quando la legge _183, in nome della globalità della programmazione e del raccordo tra i poteri di indirizzo e di controllo, ne ha sottoposto l'attività, sia in fase di programmazione che di esecuzione delle opere, a procedimenti non conformi alla sua natura di organismo straordinario » (pp. 7-8). 61 Si deve ancora rimandare a G. ZAPPA, Mezzogiorno e yrogetti speciali..., cit. Elementi utili e interessanti sono apportati da N. CUFFARO, La programmazione agricola in IREs CGIL, La programmazione mancata: il caso Gioia Tauro, Editrice Sindacale Italiana, Roma 1980. 62 G. CONsIGLIo, I «progetti speciali » dieci anni dopo, ((Nuovo Mezzogiorno », luglioagosto 1981, p. 18. La breve introduzione redazionale finisce: « Siamo [ ... ] particolarmente grati all'Ing. Consiglio, che dirige alla "Cassa" il Dipartimento dei "Progetti speciali", degli illuminanti chiarimenti e ragguagli sull'"oggetto misterioso" e sullo stato di attuazione dei progetti stessi ». Dalla tabella annessa al prezioso contributo (Progetti formulati dal CIPE dal 1972 ad oggi, p. 20), si evince che, dei 28 progetti formulati dal CIPE, 10 erano stati soppressi (2 perché assorbiti in altri progetti) e 13 mancavano ancora della delibera definitiva (di essi 3 erano stati formulati nel 1972, 5 nel 1974 e i rimanenti tra il '77 e il '78). I cinque progetti approvati definitivamente (fra il luglio 1979 e il maggio 1980) erano stati formulati: 3 nell'agosto 1972, 1 nel novembre 1974, 1 nel maggio 1977. Sinteticamente: di tutti i progetti formulati nel giro di nove anni, il 35,7% era stato soppresso, il 46,4 mancava della delibera definitiva mentre per il residuo 17,9% il tempo mediamente inter corso tra formulazione e delibera si aggira intorno ai sei anni. 63 Ad es., M. D'Antonio, che « per alcuni mesi, quest'estate, ha fatto parte di una commissione con.ultiva della Cassa per il Mezzogiorno, incaricata di aggiornare i cosiddetti progetti speciali », sostiene con l'intervistatore (R. CHIABERGE, cit.) la validità dei progetti speciali. <'Ma intesi in una logica nuova, non di pura intermediazione finanziaria tra enti locali e imprese, come ha sempre fatto la Cassa ». D'altro canto, nei recenti «Qùaderni della -
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35 di più regioni; possono anche riguardare iniziative intese allo sviluppo di attività economiche in specifici territori allorché risulti preminente, ai fini dello sviluppo complessivo del Mezzogiorno, l'interesse ad una coor dinata attuazione delle iniziative stesse ». 68 « I progetti speciali regionali hanno per oggetto sistemi di opere e di interventi che interessano l'assetto territoriale e lo sviluppo economico di una Regione meridionale, con particolare riferimento all'attrezzatura delle aree urbane, delle aree metropolitane e delle aree destinate ad insediamenti industriali, agricoli, turistici e commerciali; al potenziamento e realizzazione di strutture commerciali per la valorizzazione delle produzioni meridionali; al recupero economico delle zone interne E ... ] ». 87 Non si riesce a comprender, su tale base, di che consistesse l'importante lavoro condotto da un'apposita Commissione della Cassa. Dalle parole del consigliere di amministrazione della Cassa per il Mezzogiorno si ricava solo una conferma circa la validità degli attuali progetti speciali e la solidità delle nozioni di chi vorrebbe - una volta di più - vagliare criticamente i progetti in essere: « [ ... ] ho attivato una Commissione per la revisione dei progetti speciali, simulando l'applicazione del disegno di legge di Capria allo scopo di verificare quali progetti speciali siano davvero tali e quali invece solo dei contenitori di opere diverse, spesso scollegate tra loro ». N. MAzzEI, Lui-
nare, progetto di fattibilità, accordo di programma) ma non muta la qualità del "progetto" nel senso dianzi indicato, esclude le Regioni meridionali dal potere di iniziativa rispetto ai Progetti inter-regionali di pertinenza statale e subordina i Progetti regionali all'approvazione del Ministero e del CIPE, facendo riemergere così un'impostazione centralistica>' (p. 3). (CONFEDERAZIONE GeNERALE ITALIANA del LAvoRo, Circolare n. 3550, Dipartimento territorio e servizi, Roma, 21 maggio 1981, Allegato 1, Documento CGIL
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sul ddl sull'Intervento aggiuntivo per il Mezzogiorno) -
«J progetti regionali di sviluppo, nel quadro dei programmi regionali, consentono la realizzazione di interventi organici a carattere intersettoriale per lo sviluppo di attività economiche e sociali, anche in specifici territori ». Essi recano «la descrizione degli interventi previsti e delle dimensioni temporali, territoriali e finanziarie» (art. 12). 70 «Il Fondo provvede: <a. a finanziare i progetti di intervento territoriale [...] » ( art. 5, comma 60). 71 «[•] vogliamo in qualche modo garantirci che questo contributo [a fondo perduto, erogato dalla Cassa] sia speso in maniera tale da far decollare l'impresa. Allora l'unica cosa è avere un nostro nucleo di valutazione [ ... ]. Naturalmente c'è un problema di transizione, il problema di trasformare le strutture della Cassa in un nucleo di valutazione efgi Di Majo assicura che la Cassa farà subito fettivo; è un reale problema, è un problegrossi investimenti. Casmez: «Entro un an- ma di governabilità. Però noi diciamo che no risolveremo molti problemi », « Il sole - esiste una semplice verità: che non è pos24 ore », 6 novembre 1981. sibile fare una politica economica se non 68 Assolutamente « fuori tema» (e con no- esiste una pubblica amministrazione che funzioni, e siccome non crediamo (mi spiatevoli errori di fatto, ad es., a proposito dei ce per Massimo Severo Giannini) alla riforcontenuti del <programma» previsto dalla ma globale della P.A. ma crediamo che ogni norma del 1976) è la critica avanzata in un ministro il quale agisce in un suo settore documento della CGIL. debba affrontare con coraggio il problema «Resta [ ... ] solo metodologica la proposta di dotare lo Stato di strutture efficienti, noi di un "programma unificante dell'intervennon possiamo fin dal primo momento arrento aggiuntivo e ordinario del Mezzogiorno", derci e rinunciare alla creazione o al tentacon veriflca annuale, che il disegno di legge tivo di creare delle strutture pubbliche ef del Governo [i.e. ddl Capria] avanza e che ficienti, le quali sovraintendano l'erogazione potrebbe costituire una notevole innovaziodel pubblico denaro ». ne rispetto alla legge 183 il cui programma Per gli incentivi agli investimenti industriariguardava solo l'intervento straordinario e li compresi tra i 500 milioni e i 40 miliarsenza verifica. In realtà, il "programma unidi, che non superano un migliaio di casi l'anficante" non trova riferimenti concreti>' no, <'è perfettamente possibile dotarsi di un (p. 2). nucleo di valutazione: non c'è più bisogno «La programmazione per "progetti" è stadi passare attraverso l'istruttoria della banta da anni adottata dall'intervento aggiunca, non c'è più bisogno di passare attravertivo ma, come è noto, è fallita in quanto so il parere di conformità. C'è un unico pasi è trattato di "progetti di indirizzo" e non rere che è quello dato dall'Azienda la quadi "progetti di iniziativa" che fossero orgale spendendo pubblico quattrino si impenicamente collegati con gli interventi ordigna ad assumersi il rischio di questa operanari e regionali, rivolti a interconnessioni zione. produttive e territoriali e basati su definite Naturalmente Questo implica modificazione strutture economiche e istituzionali. degli uffici strutture diverse, analisi diverIl d.d.l. governativo introduce innovazioni di se. Ma è un momento di giudizio, politico, rilievo nella metodologia (schema prelimi69
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36 diverso dal giudizio che dà una banca [ ... ] ». A. SABA, Nuovi elementi per l'incentivazione
tecniche, una cosa è rifiutarsi di far chiarezza, spegnere la luce e mettersi a fare a pugni per vedere chi vince" ». A. CARINI,
allo sviluppo industriale del Mezzogiorno, ciclostilato, novembre 1981, pp. 41-43. 72 Oltre a quelli già citati si veda Perché
Bocciato dai ministri il piano La Malfa per gli investimenti, «La Repubblica », 24 di-
la D.C. propone l'istituzione di un « Fondo », di M. Bosco, « Nuovo Mezzogiorno », ottobre-novembre 1981. 73 On. PIETRO RENDE, «Responsabile Meridionale D.C. », Intervento al dibattito alla Giornata del Mezzogiorno, Fiera del Levante, Bari, 20 settembre 1980, «Sviluppo », lugliosettembre 1980, p. 88. 74 « Senato della Repubblica - VIII Legislatura - Disegno di Legge presentato dal Ministro del Bilancio e della Programmazione Economica (La Malfa) di concerto col Ministro del Tesoro (Andreatta), comunicato alla Presidenza il 13 aprile 1981, Dele-
ga al Governo della Repubblica per il riordinamento del Ministero del bilancio e della programmazione economica ». P. 3. Cit., pp. 46-47. 71 Il dibattito, iniziato sulla stampa nel marzo 1981, si concluse solo nel dicembre. Tra gli articoli più significativi: M. BELLACcI, Dal 75
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libro dei sogni al libro dell'insonnia, « Successo », marzo 1981; Fra un mese partirà la riforma della programmazione, «Il sole 24 ore », 22 aprile; Come funzioneranno i supercontrollori degli investimenti pubblici, « Il Corriere della Sera », 21 luglio; A. CA-
RINI, La spesa pubblica sotto il tiro dei super-is pettori di La Malfa, «La Repubblica », 21 luglio; S.G., San Giorgio e la spesa pubblica, « L'Espresso », 23 agosto; N. FoRTIO. REEDY, La Malfa ridotto al nucleo, «Il Mondo », 30 ottobre; Si stanno mettendo a punto le tecniche per la valutazione degli investimenti, «Il sole-24 ore >', 15 dicembre. 78 «A fare muro contro le proposte del ministero del Bilancio sono stati, con diverse motivazioni, gli altri rappresentanti dei dicasteri (presenti in forze, dato che alla riunione c'erano proprio tutti da Formica a Balzamo da Simorile a Marcora a De Michelis). [ ... ] La bocciatura ha travolto i parametri in base ai quali dovevano essere valutati i singoli piani. Ogni progetto, infatti, avrebbe dovuto essere "pesato" secondo alcuni criteri (contributo allo sviluppo dell'occupazione e del Mezzogiorno, alla riduzione del disavanzo della bilancia dei pagamenti e così via). Ma questi "pesi» sono scomparsi dalla delibera di ieri. "La verità - dice ancora La Malfa - è che si rischia di finire per decidere le spese a pie' di lista, piegando di volta in volta i criteri a seconda delle scelte che si vogliono fare. Nessuno dice che la programmazione debba sostituirsi alle scelte politiche. Ma una cosa è fare queste scelte sulla base di decisioni
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cembre 1981. 19 «Il Tempo» e «La Gazzetta del Mezzogiorno », 25 luglio e « Il Messaggero », 26 luglio. 80 C. SIGNORILE, Stato, Regioni ed Enti locali insieme per lo sviluppo del Sud, « Le autonomie », settembre-ottobre 1981, p. 16. 81 V. SCOTTI, Un progetto speciale per il Mez-
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zogiorno: gli « Itinerari turistici, storici e culturali », ibidem, p. 14. 82
Chi scrive non è riuscito a leggere nessun documento ufficiale in materia. 83 Per la presentazione del progetto al Comitato delle Regioni meridionali cfr. «Città e campagna », ottobre-novembre 1981, p. 23; per l'incontro di Signorile con i giornalisti della stampa turistica cfr. « Il Mattino », «La Gazzetta del Mezzogiorno », «Il Tempo» del 18 e 19 dicembre. 84 <'L'unione sarda» del 26 gennaio 1982 racconta, in Un itinerario nuragico, come la prima bozza del progetto avesse « privilegiato gli itinerari del periodo normanno e quello punico-fenicio. L'ingiustizia era palese ». Ed è stata, ovviamente, sanata senza nemmeno scomodare il CNR e i Lincei. 85 Cfr. S. MECCOLI, Magna Grecia, ville ro-
mane, capitali del Barocco per riscoprire i' Europa al Sud, «Corriere della Sera », 5 gennaio 1982. Ben altra consapevolezza culturale e ben diverso spirito critico hanno fortunatamente manifestato, sempre sul «Corriere della Sera », A. CEDERNA, Beni cul-
turali: si valorizza il Sud e si preparano agevolazioni fiscali, 2 marzo, e C. DE SETA, C'è un altro Meridione da salvare, 8 maggio
1982. «La Gazzetta del Mezzogiorno », 5 novembre; identiche parole in Sette itinerari, « Città e campagna », ottobre-novembre 1981, p. 29. 87 Cfr. G. PESCATORE, L'intervento straordinario nel Mezzogiorno d'Italia, ed. Giuffré, Milano 1962. 88 Ad es.: «La proposta di affidare alle regioni il compito di appaltare le opere, e comunque di manovrare la spesa, risponde ad una logica antiregionalistica: non tenendo conto del fatto che le regioni non sono ancora in grado di esercitare pienamente le loro funzioni ordinarie, l'assegnazione dei fondi aggiuntivi e di comniti straordinari rischierebbe di accentuare in misura grave l'incapacità di spesa delle regioni. In sostanza potrebbe entrare in crisi tutta l'azione di intervento attribuita alla competenza regionale» (p. 7). 86
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37 « Il fallimento dei tentativi di programmazione e di acceleramento delle procedure per l'azione ordinaria dello Stato confermano più che mai l'ipotesi e gli obiettivi che ispirarono l'istituzione della «Cassa".
re queste scelte e di ammettere al finanziamento solo le azioni regionali ad esse conformi non comporta anche quello di sostituirsi in tutto o in parte alle Regioni nelle attività di attuazione di loro competenza. Tutt'al più ciò è ammissibile solo di fronte alla inadempienza delle Regioni, per 1' interesse nazionale sotteso all'intervento straordinario. Il discorso torna a proposito non solo per le Regioni, ma anche per altri soggetti pubblici, quando gli interventi investano direttamente la loro competenza al punto di rendere inadeguato o improprio il ricorso alla concessione» (pp. 16-17). « Il senso complessivo della linea esposta è di evitare che ritorni un nuovo centralismo e che si faccia un passo indietro rispetto alla linea autonomistica sulla quale si muove la legge per il terremoto>' (pp. 20-21). 92 Cfr. G. PESCATORE in AA.VV., Riflessioni su
[ ... ]
La nuova legge dovrà farsi carico di restituire alla "Cassa", attraverso un profondo snellimento delle procedure operative, la speditezza nell'azione che fu propria dei primi anni di attività'> (p. 8). 119 « All'attuazione [dei programmi nelle materie di competenza statale] provvedono, mediante programmi esecutivi annuali, le amministrazioni interessate, ciascuna per la propria parte, e, per delega, le Regioni. La delega alle Regioni è adottata di regola quando si tratti di progetti strettamente connessi con interventi di competenza regionale o che interessino territori di Regioni limitrofe. In quest'ultimo caso le Regioni provvederanno mediante appositi consorzi [...]» (art. 11). All'attuazione dei progetti regionali — che il CIPE può rinviare alla Regione « se ritenuti non conformi alle indicazioni del programma » triennale di interventi nel Mezzogiorno - « provvedono le Regioni interessate mediante programmi esecutivi annuali, delegando, di norma, i comuni, consorzi di essi, comunità montane e province » (art. 12). 90 « Per lo snellimento e l'unificazione delle procedure tecniche, amministrative e di spesa inerenti al finanziamento, all'approvazione e alla realizzazione di opere pubbliche da parte delle Regioni a statuto ordinario e delle amministrazioni centrali dello Stato, secondo le rispettive competenze, il Gover no della Repubblica, entro un anno dall'entrata in vigore della presente legge, su proposta del Ministro per la funzione pubblica d'intesa col Ministro dei lavori pubblici, sentita la Commissione parlamentare per il Mezzogiorno, è delegato ad emanare norme aventi valore di legge» (art. 13). E' anche criticabile che un problema ditali proporzioni e che coinvolge ben altro che l'intervento nelle regioni meridionali, sia affrontato in questi termini e in questa sede. ' Si rimanda alla relazione di M. Bosco, Linee e strunienti..., cit. L'impostazione politica del problema è rimarcata nell'asserzione trascritta: « E' bene affermare con chiarezza che qualunque costruzione volta oggettivamente a sottrarre alle Regioni funzioni ad esse attribuite dalla Costituzione, oltre ad essere illegittima, risulterebbe politicamente inopportuna se il fine ultimo dell'intervento è la crescita del Mezzogiorno. Ciò non significa che allo Stato sia preclusa la scelta degli obiettivi cui debbano essere destinate le risorse aggiuntive per il Mezzogiorno [ ... ]. Ma il potere di compie-
politica di sviluppo e ordinamento dualistiCO, ed. Svimez, Roma 1973 e M. ANNESI, Complessi organici di opere, progetti speciali, progetti integrati e nuovi progetti speciali, « Le Regioni », 1974, n. 3. 93 94
P. 5.
Ibidem, pp. 5-6.
Seppur velatamente, i responsabili democristiani sembrano aver acceduto all'idea dei contratti di programma e dei poteri sostitutivi. In tale direzione potrebbe essere indicativo il periodo - citato poco sopra - dove l'on. Bosco, dopo aver negato all'intervento centrale il diritto « di sostituirsi in tutto o in parte alle Regioni nelle attività di attuazione di loro competenza », aggiunge che esso potrebbe però essere ammesso nel caso di inadempienza da parte delle Regioni. 98 D d 1 Capria: « I progetti [interregionali] concernono di norma il territorio di più regioni; possono anche riguardare iniziative intese allo sviluppo di attività economiche in specifici territori allorché risulti preminente, ai fini dello sviluppo complessivo deJ Mezzogiorno, l'interesse ad una coordinata attuazione delle iniziative stesse'> (art. 5). D d i Signorile: «Gli interventi compresi nei progetti interregionali riguardano di norma un ambito interregionale o sistemi urbani aventi caratteristiche metropolitane; possono inoltre avere ad oggetto iniziative concernenti lo sviluppo di specifiche attività o particolari aree relative al territorio di una sola Regione che risultino preminenti ai fini di interesse nazionale o del complessivo sviluppo del Mezzogiorno », (art. 13). ' Agli articoli del d d i relativi all'agricoltura un documento di parte sindacale dedica il seguente commento: «Si colpisce così la programmazione complessiva regionale e si lede la competenza primaria delle Regioni ribadita dal DPR 616, che è successivo alla 05
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38 legge 183, e ciò determina un dualismo istituzionale tra le Regioni italiane che è inaccettabile. Si spezza inoltre la programmazione nazionale impostata dalla legge 984 dato il vincolo del P.A.N. a far rientrare nel suo ambito tutti gli interventi agricoli. [ ... ]. La costituzidne di fondi di rotazione per mutui di miglioramento fondiario e per prestiti di esercizio a tasso agevolato proposta dal d d 1, è inaccettabile perché spezza l'unitarietà della 984 ,, Documento CGJL sul d d i..., cit., p. S. 08 Relazione, pp. 5 e 6.
li (formazione di quadri, assistenza tecnica, sistemi di informazione, di teleinformazione, servizio di marketing, eccetera). A tale scopo dovrà essere razionalizzata l'attività degli Enti collegati alla Cassa per il Mezzogiorno attraverso una ristrutturazione organizzativa e funzionale dei rispettivi compiti >', (p. 7). '°° Si parla di «estensione della gamma degli "incentivi promozionali" o "reali" nei confronti dei servizi produttivi resi alle imprese con particolare riguardo al leasing; alla commercializzazione, alla ricerca scientifica ed innovazione tecnologica, alla proRelazione, p. 10. mozione delle esportazioni. Tale estensione '°° D dl Signorile, art. 13. corrisponde, come è noto, ad una esigenza 101 Marano: pensiamo anche all'ordinario, in- sostanziale, sottolineata dalla cultura econotervista, « Mondo Economico », 20 maggio mica, di rafforzamento del tessuto di servizi del terziario avanzato come fattore "ambien1981, pp. 7-8. tale" indispensabile alla crescita industriale. 102 E. MARANO, Perché è più difficile nel Mezzogiorno una politica di servizi reali alle im- Si conferma e si rafforza la rete degli interventi diretti dell'intervento straordinario prese, «Orientamenti nuovi per la piccola (affidati sin qui ai cosiddetti "enti collegae media industria », ottobre 1981, pp. 18, 19 ti" alla Cassa) per la promozione industriae 21. le attraverso la partecipazione al capitale di 103 Cfr. F. M0MIGLIAN0, Problemi dell'econorischio, il leasing agevolato, la commerciamia e politica dell'innovazione negli anni setlizzazione, l'assistenza tecnica, la formazione tanta nei paesi avanzati e in Italia, in R. professionale », (p. 7). PRODI - F. GoBBo (a cura di), Per una ristrutturazione e riconversione dell'industria ita- 107 Vengono agevolati «le imprese, singole o consorziate, o i consorzi tra imprese ed liana, ed. Il Mulino, Bologna 1980, e le dienti pubblici che svolgono in via esclusiva chiarazioni di M. D'Antonio nell'intervista di nei territori meridionali contemplati dalla R. Chiaberge, Pro gettiamo..., cit. presente legge attività dirette a fornire i 104 « Occorre avviare programmi concreti di seguenti servizi: incentivi reali, che dovrebbero basarsi essenformazione di quadri direttivi ed intermea) zialmente: di; b) sistemi informativi e ricerche di mer- sulle tecniche della locazione finanziaria cato anche per il settore turistico; c) trae immobiliare; sferimento e diffusione di processi innovati- su una azione di intervento tendente a vi; d) attività di ricerca applicata; e) assiestendere e a migliorare i servizi reali ester - stenza tecnica e gestionale alle imprese per ni all'impresa (strutture di studio, di consui diversi aspetti della progettazione, della lenza, di assistenza alle politiche di mercato, organizzazione produttiva, della politica comassicurazioni, ecc.), ma stimolando la domanmerciale e del marketing, dello studio del da delle imprese meridionali al settore speprodotto, delle relazioni industriali e della cifico anche con opportune agevolazioni; innovazione dei processi produttivi; f) corn- sulla predisposizione di servizi esterni almercializzazione dei tipici prodotti agricoli l'attività produttiva vera e propria che demeridionali; g) assistenza per pratiche alterminano un significativo aumento dei costi l'esportazione e per la commercializzazione di investimento (servizi di comunicazione e dei prodotti all'estero » (art. 29). trasporto, impianti di depurazione, servizi so108 Gli enti collegati dovranno fornire «alle ciali) imprese agricole, industriali, commerciali e - sulla promozione di iniziative consortili, turistiche ubicate nel Mezzogiorno, i seguencon l'obiettivo di abbattere l'impegno finanti servizi reali: ziario iniziale dei singoli partecipanti all'ima - l'assistenza gestionale, anche fornendo presa e di allargare in modo significativo la servizi d'informatica e telematica; b - la for base potenziale delle scelte di investimento '. mazione, l'aggiornamento ed il perfezionaCONFEDERAZIONE GENERALE DELL'INDUSTRIA ITAmento degli operatori imprenditoriali, maLIANA, Per una politica industriale: le propo- nageriali e dei quadri direttivi ed intermedi; ste degli imprenditori, Roma, luglio 1981, c - l'assistenza alla produzione, anche attrap. 66. verso l'acquisizione di tecnologie e sistemi 105 di lavorazione, la diffusione di ricerca appli« La politica di industrializzazione dovrà soprattutto iniziare a sostenere l'attività di cata e l'elaborazione di nuove produzioni; d - l'assistenza alla commercializzazione angestione delle imprese esistenti attraverso che attraverso l'attivazione di centrali di acuna più efficace disponibilità di incentivi rea-
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39 quisto, il lancio, la valorizzazione e la distribuzione di prodotti meridionali, nonché attraverso il sostegno finanziario alla commercializzazione e l'attivazione di strutture stabili all'estero per la migliore penetrazione sui mercati di sbocco » (art. 17). 109 M. Bosco, Linee e strumenti..., cit., pp. 12-13. 110 « In concreto questo significa sostenere l'imprenditorialità latente e quella emergente, valorizzare la produzione, sviluppare i servizi rari e qualificati per accrescere la produttività, puntare decisamente sulla commercializzazione per un più efficace collegamento tra la. produzione meridionale e il mercato,, promuovere una migliore utilizzazione delle risorse. Questi obiettivi non si conseguono attraverso gli incentiyi creditizi e finanziari, quanto attraverso un impegno promozionale assai più deciso di quello consentito fin qui dalle Finanziarie, che vanno tipizzate, rilanciate e raccordate all'impulso di una reale holding quale la Cassa non è stata, laddove il Fondo per la sua stessa natura potrebbe esserlo più efficacemente » (Ibidem, p. 18). 111 La misura era stata a più riprese sollecitata da esponenti confindustriali, tra i quali E. MARANO, Perché è più difficile..., cit., pp. 19-20. 112 C. GABRIELLI - C. TURCO, Il ruolo degli enti collegati, in A. ACCORNERO - S. ANDRIANI (a cura di), Gli anni '70 nel Mezzogiorno, ed. De Donato, Bari 1979. 113 Nel Mezzogiorno, « l'attività di promozione a favore delle piccole e medie imprese industriali finora attuata si è rivelata particolarmente carente. [ ... ]. Con riferimento all'esperienza del Mezzogiorno, lo IASM manca degli strumenti tecnici e finanziari per svolgere un'azione promozionale di tale portata sull'intero territorio meridionale. A questo riguardo forme associative tra imprese opportunamente incentivate, che coinvolgano anche le grandi imprese ubicate nell'area, possono ottenere risultati più soddisfacenti », Rapporto CNEL sul Mezzogiorno, cit., voi. 1, pp. 381-382. 114 «La FINAM [ ... ] promuove è favorisce io sviluppo e la valorizzazione dell'agricoltura nel Mezzogiorno, assumendo partecipazioni al capitale di rischio [ ... ] con priorità per gli interventi previsti nell'ambito dei progetti. speciali e dei progetti regionali di sviluppo . «Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 12 agosto 1978. Disposizioni per la ristrutturazione ed il riordinamento degli Enti collegati alla Cassa per il Mezzogiorno », in Legge 183 per il Mezzogiorno e norme di attuazione, a cura dello IAsM, edizione aggiornata al 15 gennaio .1979, Roma 1979, p. 89. 115 La FIME e l'INSUD avevano preparato,
nel corso del 1980, un progetto - pilota di « Centro tecnico di gestione »: questo sembra essere il precedente dei nuovi compiti che non sono riconducibili a quelli classici di una sòcietà finanziaria. Cfr. Un nuovo progetto FIME-ISVEIMER per l'economia del Mezzogiorno (il titolo è errato), « Corriere della Sera », 15 novembre 1980. 118 Il nominato Decreto per"la ristrutturazione degli enti collegati disponeva: « L'INSUD assume partecipazioni al capitale di rischio di nuove imprese industriali insieme a qualificati soci, anche esteri, in grado di apportare all'impresa comune, oltre alla necessaria dotazione di capitale, elevate competenze a livello tecnico e commerciale, curando in particolare, sulla base delle esigenze di integrazione produttiva delle iniziative di gruppi pubblici e privati, la ricerca di temi industriali tecnologicamente validi, da attuarsi con priorità nelle aree interne », Legge 183 per il Mezzogiorno e norme di attuazione, cit., pp. 89-90. 111 Analoga disposizione era presente nella prima redazione del d d 1, all'art. 6, comma 20 ; ma nei successivi 30 articoli, della GEPI non si faceva più parola.
40
Gli incentivi all'industria
3.1.. Quello degli incentivi all'industria, o più esattamente degli incentivi agli investimenti industriali, è rgomento tra i più dibattuti, e non soio a proposito delle politiche per il Mezzogiorno. In quest'ultimo caso poi, a partire dall'inizio degli anni Sessanta, il nostro tema ha occupato sempre più spazio e attratto sempre più l'attenzione di chiunque portasse interesse ai problemi dello sviluppo delle regioni meridionali,, sia per la centralità del settore manifatturiero nei processi di crescita economica, sia per l'ininterrotta dilatazione quantitativa delle agevolazioni finanziarie, sia - infine - per i numerosi problemi oggettivi e le perpiessità che il loro diffondersi sollevava. La molteplicità delle opinioni di merito e la disparità dei giudizi che hanno caratterizzato la controversia in tutti questi vent'anni e la stessa « classicità » di taluni interventi - fra i quali vanno ricordati quelli di Ackley-Dini, A. Graziani, P. Sylos Labini 118 - non hanno impedito che, spesso, i pareri fossero pronunciati senza controbattere o addirittura far riferimento alle altre opinioni emerse. Se però oggi ancora accade di imbattersi in autori, certo non sprovveduti, che manifestano convincimenti drastici e definitori anche se palesemente destituiti di ogni fondamento logico e storico 119 il fatto può essere dovuto a giudizi di valore diversi da quelli generalmente condivisi. Così, ad esempio, qualora si rilenga che debbano essere raggiunti in una regione determinati livelli di investimenti industriali e si ponga questo obiettivo co-
me un assoluto da conseguire a qualsiasi costo, è ovviò che non si troverà nessun terreno di incontro con chi attribuisce al medesimo obiettivo un'elevata priorità ma non tale da far trascurare l'eventuale rilevante distruzione di risorse che potesse derivarne. E' fuori questione la libertà di assumere i giudizi di valore che più aggradano. Ma è anche evidente che essi vanno esplicitati in tutta chiarezza, e in tema di politica industriale e di incentivi si ha l'impressione che troppe volte l'esplicitazione di giudizi inconfessati (e si tratta spesso proprio di quelli che ispirano scelte che si prolungano e ripetono negli anni) ne paleserebbe l'assurdità. Sta di fatto che la discussione s'è soprattutto preoccupata di indagare se gli incentivi finanziari adottati o ipotizzabili fossero capaci di influire sulla localizzazione degli investirnenti e, ancor più, se essi non agissero nel senso di favorire e determinare investimenti a più elevato contenuto di capitale e con minore capacità occupa.zionale 120• Chi scrive è convinto che l'obiettivo della piena occupazione sia irrinunciabile e che incentivi, come quelli adottati nella politica di industrializzazione del Mezzogiorno, che inducono a « risparmiare lavoro », siano da respingere e da sostituire con altri più adeguati alla scarsità relativa dei fattori nelle regioni meridionali. Ma anche assumendo un obiettivo più neutrale, il giudizio sulla politica di incentivazione è lungi dall'essere positivo. Per questo, accantonando il criterio degli effetti occupazionali, si discuterà di
41 seguito unicamente in termini di « produttività del capitale », ben sapendo - d'altronde - che i due criteri di giudizio non sono affatto estranei l'un l'altro 121 E' opportuno, per introdurre l'argomento, offrire alcuni elementi che diano conto della dimensione degli incentivi industriali, del loro sviluppo nel tempo nonché della loro distribuzione territoriale, con l'avvertenza 'che non ci interesseremo del periodo più recente e successivo aI 1974; da qùell'anno, infatti, le vicende dell'economia, le difficoltà per la raccolta dei fondi da parte degli istituti di credito speciale e i nuovi
regimi imposti dal legislatore inducono .fòrti perturbamenti che andrebbero spiegati e commentati con riferimento ad accadimenti' estranei alle linee di analisi, generale che qui interessano. La Relazione del Governatore della 'Banca d'Italia riporta, anno per anno, una 'tabella nella quale sono espressi i valori assòluti in moneta corrente dell'Onere per concorsi
agli interessi e contributi alla spesa di investimento, distinti per settore e per leggi (o gruppo di leggi) di incentivazione 122• Utilizzando la Relazione relativa al 1974 123, e, trascurando gli altri settori, abbiamo:
Onere per concorsi agli interessi e contributi alla spesa di investimnto (valori assoluti in miliardi di lire; numeri indici: media 1960-1969 = 100) 'Esercizi finanziari m
e
d'i
a 1972
1973
'
1974
1950-59
1960-69
1970-71
3,6
94,8
295,9
363,7
100,0
312,1
383,6
208,4
245,1
317,6
349,7
411,2
532,9
605,9
62,9 ,
70,4
67,4
71,2
66,3
22,4
56,9
77,2
151,6
201,2
100,0
254,0
344,6
676,8
398
= Con orsi agli inter ,ssi V.A.
,
N.I.
-
f
446,1
545,0
470,7
574,9
,i cui Industria, c orni,, rcio e' artigian. V.A.
0,8 -
% sul totale
22,2
59,6, ,
100,0
'
361,1
= Coni ributi in conto capita le industrie Mezzo io rn o V.A. N.I.
'
0,1 -
Dalla tabella si ricava che gli incentivi cre- memente - anche tenendo presente la svaditizi, di scarsa consistenza per tutto il lutazione monetaria - con una forte imprimo decennio (e - sappiamo - anche .pennata tra il decennio 60 e quello succesper i primi anni Sessanta), crescono enor- sivo e negli anni immediatamente seguenti,
42 e questa impennata è ancora più netta per la quota relativa al settore « Industria, commercio e artigianato ». Mentre nel periodo 1950-59 gli oneri più elevati sono sopportati per l'agricoltura (1,7 miliardi) - in particolare per il credito di miglioramento (1,5 mld.) - e per l'edilizia (1,1 mld.), nel decennio successivo l'industria (tra contributi in conto interessi e contributi in conto capitale) assorbe mediamente all'anno 82 m'id. (70%) contro i 29,8 (25,4%) dell' agricoltura e i 5,4 nild. dell'edilizia. Gli oneri per il « taglio » degli interessi a favore degli investimenti industriali crescono con un saggio sensibilmente superiore a quello del complesso degli incentivi fino al 1971 e con un saggio inferiore di altrettanto negli ultimi tre anni considerati. I contributi a fondo perduto per l'industria meridionale seguono un andamento del tutto distinto: aumentano in maniera più contenuta fino al biennio 1970-71 per esplodere successivamente, in concomitanza con l'entrata in vigore della legge 853/1971 che, per gli investimenti di minore dimensione, sposta nettamente il peso dai contributi in conto capitale a quelli in conto capitale (fatti uguali a 100 gli oneri per interessi dell'intero settore al '70-71, essi acquistano negli anni che seguono i valori di 117,6; 152,4 e 173,3, contro 135,7; 266,4 e 353,6 dell'indice dell'altro incentivo finanziario all'industria). Per cogliere la distribuzione territoriale dell'onere dello Stato per i contributi alle iniziative industriali, ci rifacciamo alla stessa fonte 124 Mentre ascriviamo totalmente agli investimenti meridionali le voci « industria. lizzazione dei Mezzogiorno » per i contributi sugli interessi e « contributi in conto capitale alle industrie del Mezzogiorno », assumiamo che gli oneri rimanenti siano imputabili al Mezzogiorno nelle seguenti proporzioni: 40% per la voce « medie e piccole industrie », niente dei « crediti all'e-
sportazione » 125 35% per il complesso delle rimanenti agevolazioni (comprendenti «calamità naturali », « credito navale » e « altri ») 126 Come si può facilmente constatare, le assunzioni compiute sottostimano in qualche caso e in certi, anni in misura veramente notevole - . le cifre attribuibili alle imprese insediate nelle regioT1i meridionali, alle quali talora le leggi riservano una quota normalmente elevata del fondo 'stanziato o, per le quali, determinano un contributo agli interessi superiore, a. quello valevole per il resto del paese. Nonostante questa sottostima, risulta che gli investimenti localizzati nel Mezzogiorno hanno assorbito una quota del totale' degli oneri pubblici aggirantesi mediamente intorno al 70% per il periodo compreso tra il 1960 e il 1972, e superiore al 75% nel biennio 1973-74 127 Risultati non diversi si ottengono elaborando i dati pubblicati dalla Banca d'Italia sulle consistenze a fine anno delle operazioni agevolate per legge di incentivazione 128 Si può dunque concludere che, almeno a tutto il 1974, le operazioni di incentivazione agli investimenti, industriali sono fortemente orientate verso il Mezzogiorno. Si badi, da ultimo, che i dati di cui qui si è fatto uso non considerano altri flussi pubblici direttamente finalizzati all 'espansione dell 'apparato industriale meridionale, quali gli investimenti delle imprese a 'partecipazione statale, gli incentivi autonomamente concessi dalle regioni a statuto speciale Sicilia e Sardegna, 'le infrastrutture specifiche costruite dalla Cassa, soprattutto nel periodo della « contrattazione programmata », ad uso esciusivo di singole imprese 129; essi inoltre ignorano altri incentivi - quelli fiscali e quelli per l'abbattimento degli oneri sociali - che gravano ugualmente sull'erario e di cui beneficiano le imprese industriali del Sud. Se si tenesse conto di tutte queste 'altre
43 voci, è certo che le cifre che quantificano lo sforzo finanziario pubblico per promuovere e accelerare l'industrializzazione meridionale sarebbero ben più elevate. Anche limitando il conteggio a tali cifre
deliberatamente sottovalutate, è opportuno pone a confronto, tradotte in termini percentuali. rispetto all'intera industria italiana, con quelle attinenti all'investimento e al prodotto del settore manifatturiero.
Quota percentuale di partecipazione de]. Mezzogiorno ai valori nazionali: incentivi, investimenti e prodotto lordo del settore industriale Periodi
(media annua)
An n i
INDUSTRIA 1950-59 Incentivi finanziari
1960-64
45,5
1965-69
1970-71
1972
1973
1974
70,0
71,2
75,6
75,8
34,8
43,8
43,9
30,1
37,7
32,4
38,0 33,6
44,5 45,3
44,8 34,2
32,4
13,7
13,3
13,5
14,1
69,4
Investim. lordi fissi nell'jnd. vecchia serie
(a)
nuova serie
(b)
15,9
23,2
25,6
31,2
Investlm. fissi'.l'ordi in macchine e atirezzature, vecchia se'ie.
c)
nuqva serie
(d)
Valore agg.iùnto dell'industria manifatturiera
(e)
16,5
12,5
26;2
11,7
291
13,1
Elai,. da ISTAT, Annuario di ContabilitA Nazionale, voi. 40 ; 1974, torno 2 0 Elab. da cNEL, Rapporto..., cit., voi. 2 0 , tab. 25.
.
Per settore di utilizzazione. La fonte è quella della nota (a). 6) Per branca produttrice. La fonte è piella della nota (b). e) Fino, al 1970-71 è stata utilizzata 'la vecchia serie ISTAT, dal 1972 in poi la nuova. Steae fonti.
Che lo sforzo pubblico per incentivare gli investimenti produttivi ii sia prevalentemente concentrato - fin dalla metà degli anni Sessanta - nelle regioni meridionali, non può far scandalo; semmai farebbe scandalo il contrario. Occorre anche aggiungere che, a giudicare da confronti così grossolani ma ugualmente dotati di forti facoltà indicative, la politica di incentivazione ha trovato risposta nello spostamento verso il Sud degli investimenti, pur se va ricordato che tale processo coincide con il deperimento déi ritmi di accumulazione a livello nazionale. Quello che, più di ogni altro elemento, colpisce è il fatto che l'industria meridionale, he a fine periodo è da dieci anni sede di oltre un quarto degli investimenti, non riesce
che nell'ultimo anno a raggiungere un settimo del prodotto italiano. Colpisce ancora che più aumentano gli investimenti, più diminuisce la loro produttività: a partire dal 1970, e anche sfalsando di un paio d'anni il rapporto per tener presente il tempo che intercorre tra il mettere a punto l'investimento e l'entrata a regime della produzione, la quota di prodotto nazionale ottenibile dall'apparato industriale meridionale, non si avvicina alla metà della quota di investimenti nazionali localizzata nelle stesse regioni. Le serie storiche del rapporto marginale capi tale/prodo tto manifatturiero per le quattro circoscnizioni - che non vengono qui riprodotte e analizzate per motivi di spazio - confermano largamente. Mentre il
44 quoziente K/Y, tra il 1951 e il 1974, diminuisce fortemente fino a dimezzarsi, pur se con notevoli oscillazioni, nell'Italia nordorientale e nord-occidentale e mentre in quella centrale sale e si mantiene stazionario fino al 1963 per scendere negli anni seguenti; quello meridionale, stazionario, con le oscillazioni normali in questo tipo di indice, fino al 1958, aumenta negli anni successivi e fino al 1964, diminuisce nei noti anni di crisi per poi risalire: fino a che, nel '72-74, raggiunge valori più che doppi di quelli conseguiti nel 1966-67 (in evidente parallelismo con l'andamento degli investimenti) e quasi esattamente quadrupli di quelli prevalenti negli stessi anni nelle altre tre circocrizioni del paese. Sappiamo, ancora - e anche qui valgono i limiti dello spazio: ma i dati sono universalmente noti e da tempo oggetto di discussione _L, che l'occupazione, con trends analoghi a quelli del valore aggiunto meridionale, e in maniera straordinariamente divaricata rispetto alle altre circoscrizioni (dunque l'Umbria e la Toscana, il Friuli e il Trentino: che non sono propriamente, e men che mai' erano allora, assimilabili. al « triangolo »), lievita faticosamente, di contro alla robusta crescita delle attrezzature produttive. Può esser vero che proprio l'itinerario storico vissuto dalla società meridionale ha precostituito le condizioni per cui, quando si scatenava il processo accumulativo, gli ostacoli si infittivano a bioccarne la fecondità; ed è senz'altro vero che il mix dei nuovi investimenti vedeva dominare comparti a elevato rapporto capitale/prodotto (ma allora, perché stimolarli con ta.nto impegno finanziario pubblico?). Ma queste circostanze, nel migliore dei casi, non possono che spiegare una parte, se non trascurabile, certo assolutamente limitata dell'incredibile fenomeno che qui va pure affrontato in tutta la sua macrosco-
pica evidenza e - sarebbe ora ci si rendesse conto - drammaticità. Perché, se è vero che 'un processo di accumulazione, indubbiamente favorito dalle elevate misure di incentivazione, quale si è avuto per buona parte degli anni Sessanta e Settanta, e in particolare negli anni 19691973, ha per risultato una crescita così contenuta del prodotto, è giusto chiedersi se là politica di industrializzazione del Mezzogiorno debba ulteriormente proseguire lungo questo binario ed è giusto domandarsi se non esistano strade diverse per ottenere, nelle regioni meridionali, maggior prodotto e maggior benessere.
3.2. Ovviamente, la bassa e declinante produttività degli investimenti industriali nel Mezzogiorno è nota da tempo ed è stata oggetto di analisi; anche se resta inspiegabile il fatto che un argomento di tale importanza non sia al centro di curiosità e di attenzione, ma sia sempre rimasto relegato ai margini del dibattito meridionalista. I termini del problemà - anche per gli anni successivi al 1974 durante i quali, peraltro, le tendenze 'descritte si affievoliscono lentamente - sono, in sintesi, i seguenti: nonostante che il processo di accumulazione nell'industria avvenga a ritmi molto più spinti nel Mezzogiorno che nel resto del paese, la crescita del prodotto del settore segna tassi relativamente assai minori; anche 'l'occupazione aggiuntiva (soprattutto nel decennio 60 e agli inizi di quello successivo) è proporzionalmente assai scarsa, ma il valore aggiunto per occupato - in luogo di procedere in netta salita, data la dotazione di capitale per addetto 130 - aumenta stentatamente 131 I tentativi di interpretare e dar conto della questione hanno seguito strade diverse. A voler ignorare quelli dovuti solo a sforzi di fantasia e alla connessione meccanica di fenomeni che hanno in comune unicamente
45 il fatto di verificarsi nella stessa area geogiafica, cioè quelli - per dirla con linguaggio tanto riguardoso per chi li ha formulati da essere oltraggioso della verità - basati su « ipotesi avanzate ma non verificate » 132k gli altri tentativi seguono due direzioni che hanno ben poco in comune. Una prima direzione scarta la possibilità che il fenomeno, generale e duraturo per l'area meridionale, di una produttività eccezionalmente bassa sia dovuto a una causa altrettanto generale; negato il tipo di spiegazione più ovvio, tenta allora un « caso per caso » dai frutti regolarmente magri e insignificanti. E' il caso di Amendola e Baratta 133 che, disaggregata l'industria• nei suoi comparti, in ognuno di questi ricercano con perseverante pazienza il motivo dello scadimento produttivo, e sistematicamente lo ritrovano nelle diverse storie attraversate dai rispettivi tronconi territoriali di ciascun comparto. Nel più favorevole dei casi l'esito è tautologico, meglio, scontato per il metodo stesso col quale l'analisi viene svolta (poiché, per qualsiasi comparto, le difficoltà sono state in qualche periodo superiori nel Sud che al Nord, esse giustificano proprio quella disparità produttiva che viene rilevata); i dati sono spiegati unicamente attraverso espressioni verbali che si presumono giustificatone 134; talvolta - soprattutto laddove si tenta la generalizzazione - si piomba in iraballanti tesi precostituite '. La seconda direzione non mira esplicitamente a dar conto dei livelli di produttività del capitale; nondimeno, nata per spiegare i limitati effetti occupazionali dei cospicui investimenti industriali e il permanere delle elevate importazioni nette, essa - nella formulazione fornita da Augusto Graziani e dai giovani accademici usciti da Portici - può essere altrettanto lecitamente utilizzata a dar ragione del problema in discorso. In sintesi, l'industrializzazione del Mezzogiorno ha contribuito in maniera del tutto
insoddisfacente allo sviluppo dell 'occupazione e del prodotto, non tanto perché le iniziative realizzate e gli investimenti effettuati non hanno sortito gli effetti che provocano altrove e che da essi ci si aspettava, quanto perché, contemporaneamente, altri settori (quelli tradizionali, produttori di beni di consumo durevoli e non durevoli) e altre dimensioni d'impresa (quelle minori, altrettanto tradizionali), oltre ai lavoratori indipendenti che, fino ad epoca recente, erano molto numerosi, hanno subìto un autentico crollo. Le risultanze statistiche - che registrano la stagnazione degli occupati e del valore aggiunto - non rappresentano che la somma algebrica di due grandezze di segno opposto. Una analisi più clisaggregata e più dettagliata dimostra che l'industria pesante (prevalentemente pubblica) e l'« indotto » dei nuovi, grandi investimenti non han potuto che contrapporsi alla falcidia che l'apertura del mercato e il conseguente scontro con l'affermata e agguerrita produzione per il consumo da tempo localizzata al Nord doveva necessariamente provocare 136 In particolare, « la crisi dell'occupazione nel Mezzogiorno non va ricercata nelle modalità specifiche degli investimenti, ossia nell'avere essi posto in essere tecnologie eccessivamente pesanti e scarsamente creatrici di occupazione diretta, ma in altri meccanismi che si sono messi in moto e che hanno provocato la crisi dei settori nei quali non sono stati effettuati investimenti diretti se non in misura circoscritta » 131 L'interpretazione dell'accaduto non è - come nei casi precedenti - capziosa né si discosta dai fatti. Che larga parte dell'industria meridionale tradizionale (dei settori alimentare, del legno e del mobilio, dell'abbigliamento) e della sua articolazione artigianale e semiartigianale non abbia retto alla concorrenza delle imprese operanti nel resto del paese, e che il crollo occupazionale e delle unità locali in essa verificatosi, so-
46 prattutto nel periodo intercensuario 1961-71, si identifichi in buona misura con la componente negativa della complessiva, stentata crescita dell'apparato produttivo del Mezzogiorno, è fuor di dubbio. Questa industria di carattere, di dimensione e . con gestione tradizionali era sorta e s'era sviluppata protetta da barriere naturali e culturali; quando, con la creazione delle grandi infrastrutture di trasporto, la crescita del tenore di vita e la diffusione dei mass media, quelle barriere crollano, essa deve misurarsi con industrie a livelli di produttività ben più alti e, soprattutto, inserite a pieno titolo nell'universo dove modelli di consumo e tecnologie sono creati e diffusi, e dal quale le aziende meridionali sono per definizione escluse. Ammesso tutto questo, e riconosciuto anche che l'induzione di attività complementari e fornitrici non è mancata. (pur con dimensioni ridotte rispetto a quanto sperato e propagandato, ma non calcolato), rimane che l'interpretazione della scuola di Portici aiuta a cogliere una parte, fin qui negletta, degli svolgimenti, ma non dà compiuta ragione di essi né spiega l'enigma del periodo pluriennale di. fallimento della politica delle agevolazioni industriali. In termini più precisi, questa spiegazione non sa e non può dire perché, anche nel periodo in cui si verifica il crollo dell'industria tradizionale, questa continua a essere destinataria di flussi di denaro pubblico sotto forma di incentivi che, se incommensurabili con quelli indirizzati ai settori chimico e metallurgico, non per questo sono scarsamente rilevanti 138; e perché il divario tra investimenti, prodotto e occupazione riguardi anche sia settori precedentement'e assai esigui o pressoché mesistenti (come tessile, carta e cartotecnica, o mezzi di trasporto' 39 ) sia settori che non producono per il consumo (chimiche, minerali non metalliferi 140 etc.). Sono obiezioni che - se non andiamo erra-
ti - ripropongono alla discussione l'intera ipotesi esplicativa e rimandano i] problema. a più compiute analisi. Che queste ultime non rientrino nelle nostre possibilità non ci esime dal tentare un'ipotesi alternativa e dal cercare di suffragarla. 3.3. Dai dati risulta inequivocabilmente che alla forte crescita degli incentivi alle industrie del Mezzogiorno, corrisponde un rilevante aumento degli investimenti, il quale si accompagna a una produttività del capitale in continua e rapida discesa. Sappiamo anche che questo accade, pur con differenze più che sensibili, per tutti i comparti produttivi e, nella misura in cui è possibile inferirlo dalla diversa distribuzione regionale dei diversi comparti, per tutte le regioni. Risulta, ancora, che -- almeno per il periodo fin qui considerato - il fenomeno riguarda solo il Mezzogiorno e non tocca né le aree contermini né quelle più lontane; anzi, sia nelle regioni nord-orientali che in quelle centrali, man mano che si andava rafforzando il processo di industrializzazione, veniva anche elevandosi la produttività degli investimenti. Dunque, siamo in presenza di fenomeni che pertengono unicamente e generalmente al recente processo di industrializzazione del Mezzogiorno. E' ipotizzabile che questi fenomeni siano indotti dalla politica di industrializzazione adottata, e - in specie dallo strumento più diffuso e di maggior potenza tra quelli utilizzati, cioè dagli incentivi finanziari? Perché l'ipotesi possa essere accettata occorre dimostrare che gli incentivi finanziari - questi incentivi finanziari -, che hanno dimostrato una notevole capacità nel provocare nuovi investimenti nell'area, sono contestualmente in grado di indurre o di consentire una sensibile depressione della produttività degli investimenti medesimi. In primo luogo, come appare evidente, que-
47 sta eventuale capacità delle agevolazioni finanziarie dipende dal peso che esse hanno rispetto all'investimento; infatti, se il loro peso quanto al costo del capitale fosse trascurabile, ai limiti o poco oltre della rilevanza, esse certamente non potrebbero influire nella direzione sopra ipotizzata. Che le agevolazioni finanziarie incidano fortemente sulla possibilità di disporre di capitale e sùl suo costo, è ampiamente dimostrato dalle norme di legge che impongono un « tetto », a livello invero elevato, alla quota parte di investimento coperta da incentivi 141 - ciò che presuppone casi in cui questo tetto veniva precedentemente sfondato. D'altra parte, per gli impianti di minori dimensioni, il contributo « in conto capitale » poteva comprendere, in base alla 1. 853/ 1971, il 35% - elevabile fino al 45 dell'investimento e il 40% - elevabile fino al 56 - in base alla 1. 183/1976; se già uno solo dei due incentivi era di tale proporzione, è logico che, per ogni dimensione di investimento, i due insieme costituivano per l'operatore un risparmio e per lo Stato un aggravio almenò uguale e probabilmente superiore. La Cassa per il Mezzogiorno, or è un decennio, valutò l'onere che veniva mediamente sopportato, nei casi in cui gli incentivi non subivano incrementi eccezionali per motivi territoriali o settoriali. « Tralasciando le agevolazioni fiscali e la fiscalizzazione degli oneri sociali (quest'ultima sempre più in evidenza nella considerazione deglj imprenditori) che non sono di competenza della Cassa, l'onere per incentivi, sommando contributi a fondo perduto e riduzione del tasso di interesse sui mutui, si può valutare intorno al 60% dell'investimento » 142 E' valore che si può ritenere mediamente sottostimato sia perché, come s'è visto, non comprende i casi tutt'altro che eccezionali di aumento dell'incentivazione per il tipo
di localizzazione o l'appartenenza settoriale, sia perché fino al 1976 un medesimo investimento poteva talora beneficiare di leggi diverse sia perché - almeno per la quota di investimento compresa entro i 15 miliardi - la legge 183 del 1976 aumentò ulteriormente il livello delle agevolazioni. Se, come sembra fuori discussione, il livello di incentivazione - crescente, legge dopo iegge, dal 1957 al 1962, al 1965, fino ai nostri giorni - è, almeno dalla fine del decennio 60, di questi ordini di grandezza, se, reciprocamente, il costo dell'investimento può essere abbattuto di tale misura, è opportuno vedere quali possono esserne le conseguenze. Schematicamente la drastica riduzione del costo del capitale può avere per effetto: l'abbassamento della soglia di redditività che rende possibile e (privatisticamente) conveniente un investimento. In tal modo esso spinge a nuove decisioni di investimento, ma gli investimenti così consentiti avranno necessariamente una produttività inferiore a quella degli investimenti praticabili prima dell'abbassamento della soglia Contestualmente viene abbattuto anche il coefficiente di rischio, perché il capitale reso disponibile dalle leggi incentivanti prende il. posto del capitale di rischio o di una sua porzione rilevante. In questo senso è vero che « l'eccessiva altezza degli incentivi finisce per alterare il fine naturale dell'impresa » 145; in tutta analogia con l'induzione di investimenti a bassa redditività per unità di capitale, l'espansione delle imprese meno efficienti, con gli esiti che si conoscono 146; lo stimolo a immobilizzi elevati che oltre a distorcere la composizione dei fattori a danno dell'occupazione ' - produce l'immediato innalzamento del rapporto capitale-prodotto 118 e, con la rigidità della struttura dei costi del processo di produ-
48 zione ', l'eccesso di capacità produttiva 150 e il conseguente rischio di ampi margini cli capacità produttiva inutilizzata 151 un ulteriore incremento del rapporto medesimo; la facile disponibilità di capitale, e l'espansione di impianti fissi che ne deriva, a chi, avendo realizzato a norma di legge investimenti di ammontare rilevante, non possiede le cognizioni di mercato, l'esperienza dirigenziale e l'« abilità a investire» che restano nondimeno indispensabili per guidare un'azienda di dimensioni ed entro ambiti non più artigianali 12; la svalutazione delle attitudini imprenditoriali - in particolare, delle doti organizzative e delle facoltà innovative al mutare del mercato e delle occasioni produttive ' - a fronte dell'esaltazione dello spirito af faristico e speculativo 154 che arreca, in queste situazioni, ben diversi benefici al singolo e all'economia; la lotta di gruppi finanziari pubblici e privati, con scarse capacità imprenditoriali, decisi a trovare rilevanza economica e politica a spese dell'erario e incuranti del duro vaglio che il mercato impone a intraprese maldestre e avventate 155 Se questi possibili effetti, che si devono ritenere almeno in buona parte accettabili teoricamente e riscontrabili nella realtà, hanno, isolatamente o in concorrenza con gli altri, probabilità anche ridotte di verificarsi, la riscontrata depressione dei livelli di produttività degli investimenti effettuati nel Mezzogiorno non solo non stupisce, ma risulta pienamente esplicata e - perdurando lo stesso tipo di politica - tranquillamente estrapolabile al futuro. Poiché il Mezzogiorno ha ancora un bel tratto da percorrere sulla strada dell'industrializzazione, la questione non è di poco conto. Con simili livelli di produttività del capitale, se si vuole che il Mezzogiorno raggiunga un prodotto industriale di entità relativa comparabile a quella delle altre regio-
ni, il calcolo del fabbisogno di capitale è presto fatto, e definirne preoccupanti i risultati non è sicuramente esagerato. E' una strada proibitiva per il paese, e per il Mezzogiorno in primis. A guardar poi le condizioni attuali del sistema economico, un tale sforzo finanziario, comunque strenuo, contribuirebbe anche ad aumentare il potenziale inflazionistico (all'effetto degli investimenti sulla domanda non corrisponde un adeguato effetto del prodotto dal lato dell'offerta), a impedire l'aggiustamento del sistema creditizio, a costringere a « gelate » monetarie che - si sa per esperienza ormai lunga - colpiscono più duramente la parte debole, e prevalentemente meridionale, dell'apparato industriale. Un ridimensionamento del peso degli incentivi finanziari che pure inducesse minori investimenti nel Sud, sarebbe ampiamente compensato da una miglior resa produttiva degli stessi. Non è ipotesi meno realistica e sensata di altre, e non si vede motivo per cui una misura di questo tipo non sia praticabile e auspicabile. Contestualmente, si dovrebbero ridurre proporzionalmente gli altri incentivi vigenti, per qualsiasi motivo, nel resto del paese; gli incentivi, e il credito agevolato in specie, devono cessare di essere strumenti moltiplicabili con ogni scusa e per ogni scopo. Un drastico taglio alle agevolazioni creditizie potrebbe renderle più efficaci e meglio amministrabili, oltre che alleggerire un deficit pubblico che impedisce qualsiasi manovra espansiva e dunque danneggia la produzione, i suoi sviluppi all'interno, i suoi confronti con l'estero. Anche se si dovessero scontare ripercussioni negative e inconvenienti di qualche rilievo (che sarebbero comunque incomparabili a quelli accumulati finora, che son tali da disperare di uscirne), sembra che i vantaggi derivabili dal mutamento auspicato li debbano compensare in larga misura. Poiché chi scrive è convinto delle opinioni
49 appena espresse (ed è altrettanto consapevole di come esse saranno accolte, ammesso che trovino qualche udienza), ritiene poco proficuo entrare nel merito delle proposte di innovazione legislativa in materia. A non intrattenersi sulle discutibii proposizioni dei senatori comunisti 158 basterà dire che, mentre il ddl Signorile riduce sensibilmente i livelli di incentivazione e la Proposta Di Giesi li mantiene sostanzialmente inalterati (o quasi) e li redistribuisce sul territorio, il ddl Capria, oltre che innalzarli di buona misura, li abbandona a meccanismi scarsamente meditati 157 Non occorre essere dell'opinione che gli incentivi vanno significativamente ridotti per ritenersi poco soddisfatti di come si traduce in termini di legge l'amaro succo di decenni di agevolazioni all'industria. D'altra parte, non è trascorso molto tempo da quando si ammonì che s'era poco riflettuto sull'argomento, e che già era un traguardo ambito « realizzare al più presto il divorzio tra credito e agevolazioni » 158 Non diversamente deludente era la richiesta degli industriali meridionali, i quali, dopo essersi scagliati contro chi persisteva in atteggiamento assistenzialista nel confronto di operatori che ben avevano dimostrato di saper camminare contando solo sulle proprie gambe, e in attesa degli « incentivi reali », si limitavano a chiedere « che gli incentivi finanziari attualmente in vigore non siano decurtati » 3.4. i problemi connessi all'incentivazione finanziaria non riguardano solo il suo livello. Due sono, e interconnessi, i problemi più scottanti e che travalicano i confini del Mezzogiorno ma che sul finanziamento dell'industria meridionale assumono un peso di particolare spicco. Il fatto che uno degli incentivi all'investimento sia il credito agevolato, equivale - come da anni ormai si denuncia e si discute - a un premio all'indebitamento e implièa, insieme, la commi-
stione tra un'operazione finanziaria e una manovra di politica economica. Si può ben dire che queste caratteristiche erano insite nello strumento del credito agevolato fin dal suo apparire. Ma solo quando' - per la mancata 'riforma del mercato mobiliare, per precise scelte di politica creditizia e fiscale, per gli andamenti dell'economia reale - i rescenti ostacoli a reperire finanziamenti e 'la drastica caduta delI 'autofinanziamento fàvorirono l'eccezionale indebitamento presso gli istituti di credito speciale 160, le aporìe interne e le conseguenze per le imprese industriali di questo incentivo vennero 'mostrandosi e ingigantendò anno dopo anno. Vero o no che l'espansione del credito mobiliare, e in esso di quello agevolato, e il particolare assetto che ne seguì del mercato finanziario e della struttiira debitor,ia delle imprese manifatturiere, fossero « funzionali » alla politica della Banca d'Italia e al suo accresciuto potere di controllo -. come da taluni si sostiene -, rimane che, a partire dall'inizio dello scorso decennio, con l'aumento delle difficoltà del credito agevolato (provvista degli istituti, soprattutto) fino alla sua recente semiparalisi e con la crisi del meccanismo che lo sosteneva (vincoli di portafoglio, doppia intermedi azione, ecc.), i vizi e i rischi connessi a quelle caratteristiche sono apparsi in tutta la loro rilevanza e pericolosità. Per avere un panorama generale e sintetico, stando ai termini di uno studioso autorevole e dalle espressioni pacate come è il Ruozi, « il giudizio complessivo sul credito agevolato non può essere totalmente positivo. Il succedersi di leggi confuse e spesso sovrapponentisi, le paurose inefficienze e i ritardi di ordine amministrativo, i'l progressivo allargamento della schiera dei potenziali beneficiari con conseguente trasformazione del credito agevolato in credito assisteriziale, hanno impedito il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo economico che
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50 attraverso tale strumento si intendevano perseguire, provocando altresì evidenti e forse irreparabili distorsioni nel mercato del credito e nella struttura finanziaria delle imprese » 161• L'intreccio tra operazione creditizia e strumento della politica economica, il fatto (per ripetere da un libro del 1960) « che. gli istituti di credito industriale - siano essi organismi di diritto pubblico o di diritto privato - in larga parte adempiono alla funzione di organi tecnici di distribuziobe dei fondi dello Stato » 162 ha originato, secondo quanto testimoniano molti autori, il venir meno, in numerosi casi, di capacità selettiva negli istituti di credito 163 e di responsabilità nei loro amministratori. Si può ben capire come le cose siano suc cesse ma, per venire a un argomento che riguardava pressoché esclusivamente il Mezzogiorno, non si ritiene che il « parere di conformità » possa essere tenuto colpevole della situazione, come da più parti si voriebbe. Il parere di conformità, in effetti, non ha mai vincolato nessuno a concedere mutui o erogare contributi ai livelli massimi che esso stabiliva, tanto che dal '68 al '72 durò una polemica interessata a contestare agli istituti di. credito la loro « mancata obbedienza ». Talmente era chiaro a tutti che esisteva una netta divisione di compiti tra responsabilità amministrativa e riconoscimento «politico » del presunto valore dell'iniziativa (conforme o meno agli indirizzi di governo), che « come risulta dai dati statistici, [ ... ] a nessuna impresa è mai stato rifiutato il finanziamento sulla base della mancanza di un parere di conformità da parte del Ministero » 104. E' vero, invece, che il credito agevolato (cioè finanziamenti disponibili e ad elevata convenienza), in un periodo di crescente spartizione di istituti economici da parte dei gruppi che tendevano a monopolizzare o a
dividersi il potere, spinse a un intreccio tra interessi economici, appoggi politici e figure e carriere di personale imprenditoriale e dirigente nel mondo del credito, tale da togliere ogni autonomia reale a gran parte degli istituti di credito speciale. Per non parlare di quei « non pochi casi » nei quali, secondo le Considerazioni finali per il 1978 del Governatore della Banca d'italia, « gli organi decisionali degli enti finanziatori,, data la particolare natura giuridica, risultavano essere di emanazione diretta o indiretta delle stesse Amministrazioni preposte alla concessione degli incentivi ». Son questi i motivi reali del fatto che negli « intermediari finanziari si instaurò un andamento a forbice tra l'assunzione crescente di rischi [ ... ] e l'autonomia decisionale decrescente » 165; motivi che, se non vengono sradicati, possono essere origine di ulteriori disastri e di generale disagio. «Fonte di deresponsabiizzazione del. sistema creditizio », il credito agevolato « spinge ad un eccessivo indebitamento, provoca un uso inefficiente del capitale »: . la sua « miglior riforma è l'abolizione » 166, salvando forme di incentivazione « slegate dal credito », che non interferiscano con la politica finanziaria delle imprese, che non leda. no l'autonomia dell'istituto di credito erogatore, « elemento fondamentale ai fini della esigenza primaria di salvaguardare criteri di economicità nei confronti di ogni iniziativa, anche se caratterizzata da rilevante interesse pubblico » 167 Sembra che la coscienza dei problemi sia ormai acuta e decisa la direzione verso cui muovere - ma le soluzioni non sono semplici né pacifiche. Ciò non toglie che la nuova legge meridionalista va giudicata dall'assetto che essa prefigura di questa materia; come sarà giudicata rispetto all'altro, nodale momento, dei criteri e dei tempi dell'istruttoria e dell'erogazione degli incentivi finanziari, di cui si ripete quasi quotidianamente e da anni
51 tutto quello che c'è da dire ma del quale non si intravedono con sufficiente nettezza le necessarie linee solutive.
3.5. Criteri e tempi degli enti erogatori delle agevolazioni finanziarie determinano le stesse possibilità e opportunità di investire e incidono fortemente sulla redditività privata delle imprese. Si è talmente smarrita la nozione di incentivo che non ci si meraviglia nemmeno più se in molti bilanci l'incentivo è ormai registrato come « sopravvenienza attiva », se delle imprese emiliane che hanno originato nuove iniziative al Sud ben il 35 01q ha rinunciato a chiedere i pur rilevanti incentivi, se - stando a una recente inchiesta presso industriali campani - le domande di finanziamento, nel 95% dei casi, sono presentate quando le operazioni di investimento sono già iniziate 168 A rendere inefficiente e distorsivo l'intervento straordinario nel settore industriale contribuisce largamente la rete capillare attraverso la uuale 'troppo spesso si costituisce e si mantiene il contatto tra le categorie imprenditoriali, da un lato, e gli istituti di credito mobiliare abilitati a operare nel Mezzogiorno e la Cassa, dall'altro. Una serie di ricerche sul campo, di indagini a campione, di interviste giornalistiche ha da tempo asseverato che i canali politici locali e le prestazioni 'di professionisti che fruiscono di « entrature » decisive presso gli enti demandati all'erogazione degli incentivi, costituiscono un passaggio obbligato per accedere, a prescindere da ogni convenienza e da ogni merito, alle agevolazioni finalizzate all'industrializzazione delle regioni meridionali. L'ARPES in una ricerca condotta nell'area napoletana nel corso del 1975, riscontrava casi: di impresé che incontravano un certo successo e che « hanno fatto ricorso al credito agevolato in misura consistente e che ricorrono abitualmente al credito ordinario,
senza incontrare particolari difficoltà », per le quali era riscontrabile un'alta correlazione « non solo con una maggiore facilità di accesso ai canali di erogazione del credito' e con la possibilità di saltare alcuni passaggi dell'iter burocratico, ma anche con la maggiore capacità di accedere ai canali informativi »; di imprese « che si trovano in una situazione di elevata marginalità e per le quali il ricorso al credito costituisce un mezzo per effettuare operazioni di "salvataggio" »; di un'azienda « dotata di adeguate capacità a utilizzare in modo produttivo una risorsa come quella del credito agevolato [ ... ], anche 'per la capacità tecnica e le conoscenze dei canali burocratici, che l'azienda ha accumulato nel tempo per far fronte agli adempimenti che l'istituto di credito richiede »; di « molte aziende » che « si tivolgono, per la formulazione dei 'progetti e delle richieste di finanziamento, a società di consulenza che dispongono oltre che di personale tecnico di conoscenze che si rendono utili per ottenere i finanziamenti nei tempi necessari »; di un'impresa di carpenteria industriale e montaggio impianti le cui attività « spesso si svolgono al limite della legalità e richiedono una buona conoscenza ed esperienza del sottogoverno e dei canali informali che permettono di controllare alcuni aspetti dell'intervento pubblico nel Mezzogiorno »; di un'esigenza diffusa, presso gli operatori economici, « di recuperare le difficoltà burocratiche sia mediante una conoscenza adeguata delle procedure, sia grazie ad appoggi politici ». La medesima indagine metteva in luce, tra i fattori che contano per il buon esito di iniziative condotte in determinati comparti metalmeccanici, « il grado d'integrazione dell'imprenditore nella struttura politica locale » e rilevava i danni subiti da chi ignora la « procedura seguita normalmente da tutti gli imprenditori, di passare attraverso società di consuienza che, mediante canali po-
52 litico-dientelari, riescono a sveltire notevolmente le pratiche burocratiche » Altre ricerche parlano di titolari d'azienda che perseguono il modello dell'impiegato a stipendio fisso, che mirano ad « attestarsi su un livello di stabilità di reddito », che fruiscono - con piccoli trucchi - di incentivi ingiustificati, che puntano a « realizzare dei profitti mediante il ricorso ad espedienti paralegali » piuttosto che attraverso comportamenti imprenditoriali che sono loro estranei 1?0; di « pseudo-imprenditori » che sono tali « soprattutto per le opportunità agevolative di vario tipo previste per l'industria meridionale » 171; di imprendito- ri « politicamente garantiti » (« nel senso che l'imprenditore aumenta considerevolmente le sue possibilità di successo al crescere delle reti di relazioni che riesce ad intrecciare con gli amministratori pubblici ») che sono anche « politicamente condizionati »; incapaci di gestire l'azienda « senza far ricorso al sostegno pubblico » - con alto grado di dipendenza e di subordinazioné verso i politici, e quindi con un debito verso di essi che « si presenta come fortemente esigibile nelle forme e nei modi più lesivi della loro autonomia decisionale» -, vivono, insieme alle loro aziende, in virtù di favori, di pressioni, di segnalazioni, in una nicchia scavata dentro e a spese del patrimonio e del benessere collettivo, e ne pagano un costo che avvilisce ulteriormente la loro funzione e la vita politica e amministrativa: « gli imprenditori che conseguono il successo con pratiche clientelari diventano strumento dell'azione dei politici ». E non si tratta di un gruppetto sparuto e marginale, almeno nel caso indagato: « circa un quarto degli imprenditori intervistati ha dichiarato di aver scelto di insediare l'industria nella zona [...] in quanto vi godeva di relazioni e conoscenze politiche negli ambienti creditizi e fiscali »; e sono prevalentemente giovani (costituiscono oltre un terzo delle imprese
fondate dopo il 1969), sono neoimprenditori quelli per i quali « la ricerca di contatti con il mondo politico è condizione nuova ed emergente del comportamento imprenditoriale » 172 Oltre ai vantaggi che offre l'invadente clientelismo politico e ai servizi dei professionisti - sulle cui prestazioni esistono testimonianze senza numero 173 -, l'imprenditore meridionale non trova assistenza e canali istituzionali che gli consentano di accedere ai benefici che gli propone la politica di industrializzazione; e a cosa portino dei contatti viziati in radice non' occorre ripetere. Dunque, da un lato approcci per loro natura distorsivi, dall'altro incapacità di valutare; la tecnologia dell'incentivazione e gli strati dominanti della nuova piccola borghesia parapubblica 'producono questi risultati. Anche dall'analisi minuziosa delle istruttorie svolte dalla Cassa emerge con chiarezza la inettitudine (o l'impossibilità) di questo istituto a giudicare le iniziative industriali 175; ed è più- che sensato sostenere che, in genere nel Mezzogiorno, « il meccanismo di incentivazione costituisce una sorta di "ff1tro alla rovescia" attraverso cui passano non le imprese tecnicamente ed economica mente migliori, ma quelle più smaliziate politicamente » 178 Queste essendo le premesse, non può stupire che, su 2.778 imprese finanziate con credito agevolato entro il 1970 da un istituto meridionale di credito speciale, ben 1.408 (50,6%) erano « scomparse » - per valerci del termine usato dal compilatore dello studio - prima che il 1971 fosse concluso 177; che indagini empiriche riscontrino, nel Mezzogiorno, situazioni in cui la produttività del capitale varia da un quinto a un terzo di quella media italiana e che « anche nelle migliori province meridionali, i livelli complessivi di produttività sono ancora lontani » da quelli delle zone industriali
53 del Centro Nord 178; che persona che ha partecipato per anni ai consigli di amministrazione della Cassa e di istituti di credito speciale riscontri come « gli incentivi abbiano avuto l'effetto di generare un gran numero di imprese poco valide economicamente » 170 Come si può constatare, allo spreco di capitale connesso all'indiscriminata politica di socializzazione degli oneri capitali 180 , si assomma quello provocato dai criteri con i quali gli incentivi vengono concessi. Imprese che falliscono nel volgere di pochi anni, impianti che non si sanno adoperare a standard di prestazioni, attrezzature con bassissimi livelli di utilizzazione, un prodotto lordo tanto depresso da essere insopportabile e inimmaginabile in altre circostanze, anche per questo sono ben più che un'eccezione di poco conto nell'industria meridionale dei nostri anni. Un risvolto non meno importante di questo tipo di rapporto che intercorre tra gli istituti che gestiscono gli incentivi finanziari e gli operatori economici, è dato dall'effetto che esso determina, nel lungo andare, sulla formazione, sulla selezione e sul condizionamento dell'imprenditoria preesistente e di quella emergente. Ci si potrebbe infatti meravigliare che in un Mezzogiorno, certamente non del tutto estraneo aI capitalismo, ai suoi sviluppi, alla ' sua logica, più di trent'anni di intervento straordinario e di immissione di risorse dall'esterno e ormai venticinque anni di politica di industrializzazione abbiano maturato frutti tanto scarsi e un'imprenditorialità che, solo negli ultimi tempi desta a una maggiore dinamica e - almeno in fasce esigue e minoritarie, ma finalmente consapevoli e decise a contare - disposta al rischio e tentata all'innovazione, rimane sempre in gran parte• bisognosa di un ampio supporto pubblico e di in sostegno finanziario di insolito peso.
Ci si potrebbe meravigliare solo qualora non si conoscesse l'aspetto, che non è fuori modo definire distruttivo, in termini di struttura e in termini di tessuto relazionale, di una politica di incentivazione che - tropp0 generosa nel qaantum e troppo meschina e jugulatoria nelle condizioni di fatto in cui spesso si attuava - non può non aver talvolta avuto effetti abortivi per chi seguiva comportamenti propriamente imprenditoriali ed effetti impulsivi ed espansivi per chi ha operato in una prospettiva affaristica, (privatisticamente) ampiamente remunerativa e (pubblicamente) dilapidatoria, per chi ha legato la sua azienda al malcostume politico e con esso l'ha vista crescere, per chi secondo la vecchia immagine del topo nel formaggio - ha tramutato la funzione propulsiva per eccellenza nei. sistemi capitalistici, in un sordido parassitismo destinato a minare le molle della crescita delle regioni meridionali. Stupisce, invece, che tutto ciò fosse consentito in un ambiente in cui la diffusione della cultura industriale e il fiorire di talenti imprenditoriali potevano avvenire solo con lentezza e quasi stentati, secondo un vecchio insegnamento della storia economica, recentemente rinfrescato e riproposto dà un bel libro di Giorgio Fuà 181• Proprio perché le condizioni obiettive non potevano far sperare in un iapido progredire dell'imprenditorialità e dell'industria, proprio per questo occorreva scongiurare qualsiasi elemento di freno, di distorsione, di intralcio. Si è fatto esattamente il contrario. Il tempo perso non è recuperabile né si può pensare di porre oggi riparo al danni che sono stati profusi nel corso di interi decenni. Ma la sterzata, che spetta in larga misura alla nuova legge, deve essere decisa: Di grande importanza, e anch'esso in parte collegato a quelli discussi, è il problema della posizione che, nelle misure incenti-
54 vanti, è riservato alle imprese di minori dimensioni. La letteratura economica 182 e l'esperienza in materia sono unanimi; e non si può immaginare la crescita sufficientemente rapida di un solido connettivo industriale se non si pongono in atto misure tali, nell'erogazione delle agevolazioni e nell'esercizio del credito, da correggere almeno in buona parte gli svantaggi che penalizzano le piccole e medie imprese meridionali. Occorre che la risposta del legislatore non deluda. 3.6. In Italia si parla da tempo di « incentivi al lavoro ». Sarebbe stato più realistico e opportuno parlare di alleviare l'imposta che grava su chi crea posti di lavoro. Qui, più che altrove, spiace non potersi dilungare secondo il merito del tema e secondo i pregiudizi e le ossessioni, invalsi e diffusi in nome delle tecnologie del futuro, della struttura dei costi delle imprese « avanzate », del timore di improbabili effetti deprimenti sulla produttività. Si può iniziare ricordando che l'industria italiana ha un peso di oneri sociali per unità di salario quale nessun altro paese ha e si permette di avere; e che, nel 1978, contro un gettito delle imposte dirette pari al 28% e delle imposte indirette del 32% del totale, i contributi sociali effettivi pesavano per il 40% (nei paesi industrialmente avanzati, limposizione diretta è vicina al 55% e gli oneri sociali non arrivano quasi mai a superare il 35% dell'imposizione totale e questo con tassi di occupazione esplicita coi quali quelli italiani non reggono il confronto) 183 Jl tema, anche solo per gli estremi richiamati, non poteva passare sotto silenzio. Infatti - ricordava recentemente Onorato Castellino - ve ne è traccia fin negli Atti del Ministero della Costituente. Già allora ne uscì una soluzione di compromesso che,
mantenendo gli oneri, richiamò lo Stato a contribuire, secondo una linea che, ribadita dal legislatore nel 1952, continuò fino a tempi recenti vuoi per volontà deliberata vuoi per la necessità di ripianare i crescenti disavanzi delle gestioni INPS 184 Degli oneri sociali ci si continuò a oécupare sotto divcrsi profili, pressoché ininterrottamente 185 ma solo sul finite degli anni Sessanta essi tornarono d'attualità quando, essendosi evidentemente esaurito il ciclo espansivo con forte creazione di occupazione ed essendo chiaro che i salari non potevano essere ulteriormente contenuti, si cominciò a riflettere sul tema in termini di «inentivo ». La problematica si ripresenta oggi in forme del tutto nuove, ma la sostanza è immutata. Vale, però, tornare indietro di qualche anno, anteriormente ai primi provvedimenti di fiscalizzazione. Intorno al 1967, gli oneri sociali (comprendenti i contributi dovuti dal datore di lavoro all'INPS, all'INAM, etc.) erano mediamente pari, nel nostro paese, al 36-40% della retribuzione base (in Belgio 22,4-24,7 per cento; in Olanda 15,5-18,3%; in Francia 34,9-36%; in Germania 13,2%). Il di 30 agosto 1968, n. 918 (convertito in legge 1089 del 25 ottobre 1968) stabilisce a fini meramente congiunturali che, nelle regioni meridionali, si attui una fiscalizzazione pari all'8,5% della retribuzione base per la manodopera già occupata e al 18,5% per l'occupazione aggiuntiva rispetto a quella esistente al 30 settembre dello stesso anno. Con successive proroghe e lievi aumenti della quota fiscalizzata - dove la motivazione dei provvedimenti è sempre congiunturale e la durata di essi limitata nel tempo - si giunge alla legge 183 del 1976 che, oltre a estendere il beneficio ad altri settori, fiscalizza la totalità degli oneri previdenziali (circa il 27%) per tutti gli occupati fino
55 ci 31 gennaio 1980 e per i nuovi occupati fino a tutto il 1986 186 Ma, successivamente all'approvazione della legge, la situazione generale è venuta modificandosi. Infatti, anche se talora sulla spinta di motivi occasionali (ma certamente non futili: come per garantire e premiare l'accordo tra le parti sociali e per controbattere le argomentazioni della CEE allorché prendeva o minacciava posizioni contrarie a nuove norme in materia)' 87 , il governo italiano ha introdotto in tutto il territorio nazionale misure di fiscalizzazione, dichiarando nel contempo che solo ragioni di bilancio impediscono in Italia una radicale riforma dei sistema di sicurezza sociale intesa a esentare tutte le imprese dagli oneri assicurativi e previdenziali. Per questo si diceva che il problema assume oggi forme nuove: perché, lungo una direttrice che mira ad abolire gran parte degli oneri sociali gravanti sull'impresa, un incentivo al lavoro che assumesse la forma più ovvia - la fiscalizzazione degli oneri medesimi -, non determinerebbe quel differenziale dei costi di produzione a favore del Mezzogiorno che è costitutivo di ogni misura incentivante. D'altra parte - e, se si vuole, anche per assumere una struttura di costi aziendali simile a quella prevalente nell'Europa industrializzata, ma di sicuro non solo per questo -, è bene consentire e affrettare il cammino che il governo intende percorrere. Oltre tutto, la capacità degli oneri sociali di trasmettere impulsi inflattivi è superiore a ogni altro tipo di prelievo fiscale 188 e questo parrebbe buon argomento - non ce ne fossero altri - anche per i sostenitori della tesi che « l'inflazione danneggia soprattutto il Mezzogiorno ». Ma, è bene ticordarlo, le stesse obiezioni che oggi si muovono in linea generale contro gli incentivi al lavoro, erano precedentemente portate alla fiscalizzazione degli oneri sociali 189 cui si dichiaravano contrarie - non
si sa se per irriducibile misconoscimento della logica di mercato o per cosa altro - talune rilevanti componenti della sinistra politica e sindacale 190 Così come va ricordato un intervento di Francesco Forte - diretto, appunto, agli stolidi pregiudizi dell'incultura di certa sinistra -, che .sintetizza quel che c'è da dire in materia. « Non viene in mente E ... ] che i contributi sociali, in quanto tassa sull'impiego del fattore lavoro, distorcono la produzione e frenano l'occupazione e che la loro riduzione, in quanto attenua questa tassa, non ha solo l'effetto di mettere a disposizione maggior denaro per l'investimento, ma anche quello immediato di rendere più convenienti le attività ad alta intensità di lavoro e di consentire produziosii altrimenti rese artificiosamente non convenienti da questo tributo discriminatorio » Nelle condizioni attuali, dopo che per un periodo lungo il costo dei lavoro è continuato a lievitare o ad aumentare in maniera sostenuta, e mentre si prevedono, salvo stasi congiunturali di breve durata, sia ulteriori aumenti salariali, sia diminuzioni dell'orario di lavoro - che in termini di costo e quindi di sostituibilità di macchine alla forza lavoro non hanno effetti diversi dalla crescita delle retribuzioni'92 - è opportuno richiamare le ragioni che depongono a favore di un incentivo sui lavoro nel Mezzogiorno. La ragione fondamentale attiene alla composizione degli investimenti. Se, come sembra fuori discussione, le risorse di cui è dotato il Sud del nostro paese vedono relativamente abbondante il lavoro e relativamente scarso il capitale, sarà razionale e dunque aumenterà la produttività globale degli inputs - quella composizione degli investimenti che riflette la dotazione di risoise di cui dispone il sistema; e sarà, conseguentemente, razionale l'incentivo che premia, deprimendone il costo per l'i.mprendi-
56 tore, l'uso del fattore abbondante e il risparmio di quello scarso. Quando poi, come nel caso delle regioni meridionali, si sia già in presenza di incentivi che favoriscono l'uso del capitale (presenza peraltro inevitabile per la necessità che ha l'investitore di reperire sui mercato, a prezzo appetibile, i capitali di cui necessita), l'incentivo al lavoro non fa che correggere un'ulteriore distorsione, rispetto ai prezzi di mercato, apportata da altre misure della politica di industrializzazione. Questa ragione - alla quale non si sono sentite opporre che superstizioni fondate sull'incoerente definizione di « tecnologia migliore» e « più elevata» - non viene ignorata nemmeno in paesi che godono di una disponibilità ben più ampia di capitale. Dovrebbe sembrare scontato, ma non per questo capace di abbattere l'opposizione degli interessi e la barriera dei pregiudizi, che, per i sei paesi dell'OCSE meno sviluppati, « vanno rimessi in discussione - come scrive G. Fuà - tutti quegli interventi che abbassano il costo del capitale relativamente al lavoro » Ruò forse stupire che in Belgio e in Francia - come la stampa ha ampiamente diffuso - l'esonero dai non rilevanti carichi sociali sia stato attuato per sostenere le piccole imprese e per combattere la disoccupazione giovanile o che una ricerca dell'OCSE sull'origine della disoccupazione strutturale nel mondo occidentale ponga in primo piano il possibile utilizzo, da parte del settore privato, di metodi di produzione a elevata composizione di capitale e socialmente irrazionali E' comunque illuminante che un economista statunitense come Hyman P. Minsky, riferendosi sii suo paese, accusi le politiche in auge con l'amministrazione Carter, e in particolare la politica fiscale, di aver tradito « il nocciolo del messaggio di Keynes e di altri pensatori degli anni 30 » e di contraddire « l'obiettivo della piena occupazione », e de-
nunci l'assurdo meccanismo dominante nel paese dove si è realizzato l'apogèo del capitalismo. «Sempre più il capitalismo è caratterizzato da un crescente intervento statale diretto a garantire i profitti e allontanare i pericoli di grande depressione e disoccupazione di massa. Per sostenere i profitti e, quindi, l'accumulazione, bisogna finanziare investimenti d'intensificazione di capitale e, così, creare nuova disoccupazione, che sarebbe l'esatto contrario degli scopi dichiarati. E ancora, poiché il sostegno procede attraverso finanziamenti e correlativi indebitamenti dell'impresa E ... ], tanto più i governi sono sollecitati a intervenire. Siamo di fronte a un intervento pubblico che per sostenere profitti e accumulazione crea disoccupazione, indebitamenti, instabilità e, quindi, nuova necessità di intervento. Tutto questo è inflazionistico » Per adattano al nostro paese, ci sarebbe da aggiungere la crescente e drammatica rigidità dell'offerta di lavoro che •un simile meccanismo ingenera; che è invece argomento, per gli apologeti dell'irrazionalità, per desiderare e chiedere un'ulteriore intensificazione di capitale degli investimenti. Non è che queste cose non siano state dette, in Italia e con riferimento precipuo al Mezzogiorno. Si è detto, ad esempio, e non propriamente da parte di estremisti o di intellettuali ignari di vita industriale, che il meccanismo dominante in Italia, e tanto vicino a quello descritto da Minsky, « implica una rincorsa continua fra salari reali e investimenti "difensivi" di razionalizzazione, adozione di tecniche più avanzate a più alta intensità di capitale, innovazioni probabilmente "non neutrali" ma risparmiatrici di lavoro, incrementi di oroduttività e così via, su una «base industriale" sempre più ristretta in termini di addetti. Tale rincorsa sarebbe governata in ultima istanza, nella sua dinamica strutturale, dall'anomalo funzionamento di un mercato del lavoro sempre più rigido e selettivo,
57 circoscritto a quote decrescenti dell'offerta potenziale totale, rappresentate dalle componenti "forti" dell'occupazione "regolare». Dall'altro, e sempre molto schematicamente, esso implica, per le esigenze di finanziare un più elevato tasso di accumulazione di capitale, una più alta compressione dei consumi, un maggior saggio di risparmio al livello dell'intero sistema economico, quindi maggiori "sacrifici" globali per la collettività nel » 196 suo complesso Cose dette e ripetute, allora, ma sempre rimaste eccentriche agli interessi accademici, alle richieste sindacali, alle battaglie politiche; e alle quali non si è nemmeno replicato, sperando di poterle definitivamente «metterè in soffitta ». Forse perché, a volerle controbattere, sarebbero emersi quei giudizi di valore e quelle idiosincrasie con certe temute realtà del mondo moderno che bene si possono mascherare con il richiamo alla ricerca scientifica, alle innovazioni elettroniche, a qualsivoglia futuribile possa scongiurare la realistica visione di una società dinamica ma conflittuale. Nostalgie precapitalistiche e antioperaie, che affiorano raramente e sommessamente ', ma che solidamente persistono a innervare una frenetica ricerca di giustificazioni povere e logore. Rispetto alle quali, vale - non solo provocatoriamente - ripetere, secondo logica vuole: « Sempre, comunque, è necessario passare dagli incentivi al capitale agli incentivi al lavoro » 198 La cr'mposizione degli investimenti, la sua razionalità, è argomento decisivo per pretendere la presenza di un rilevante incentivo al lavoro. Ma se questo incentivo deve influire sull 'organizzazione e la composizione dei fattori, non può essere di breve durata e deve avere una vita almeno comparabile a quella media degli impianti. E' evidente che, se (come è stato in Italia fino al 1976, e in parte anche dopo quella data 199) il contributo per unità lavorativa
ha scadenza relativamente prossima, potrà senz'altro alleggerire il costo del lavoro ma non varrà a incidere su calcoli di convenienza che necessariamente si spingono anche molto nel tempo; che è anche una critica al « Regionai Employment Pi'emium » nell'esperienza della Gran Bretagna e spiegazione del suo limitato successo 200 . Dunque, occorre che l'incentivo al lavoro - possibilmente rafforzato da opportune misure fiscali - sia consistente e abbia una durata che, dal momento dell'entrata a regime degli impianti, giunga agli 8-10 anni. E' evidente ci'e un incentivo di questo peso (anche per il bilancio dello Stato) ha senso solo se non si scontano aumenti salariali notevoli. E' pure evidente che, se il tema grava pesantemente sul futuro dell'industrializzazione meridionale e quindi sulla corretta formulazione della nuova norma, esso rimanda a variabili in gran parte esterne al quadro di nostro immediato interesse. Basterà forse dire che, di fronte a una tendenza ormai consolidata a livello nazionale di espulsione di lavoratori dall'industria e davanti all'eventualità di favorire nuova occupazione nel Mezzogiorno, i sindacati operai possono optare per un contenimento delle retribuzioni reali solo se si pongono in atto misure di politica economica tali da: non favorire, come gli attuali incentivi al capitale, la « razionalizzazione » che sostituisce le macchine agli operai; eliminare gradualmente - come rac comandato nel 1979 dalla Conferenza dei ministri europei per la sicurezza sociale - il prelievo parafiscale attraverso gli oneri sociali ricorrendo alle altre entrate fiscali, e in particolare alle imposte dirette 201; alleviare, perdurando l'inflazione, l'effetto del fiscal drag sui salari; affrettare una maggior produttività del terziario privato e una maggior capacità di servizio di quello pubblico (ospedali, servizi mutualistici, scuole, trasporti ur-
58 bani, etc.), ormai determinanti per una parte cospicua dei beni-salario. Le altre misure, da attuarsi sul terreno meridionalistico, sono qu'elle, in parte già toccate, che garantiscono coeteris paribus la massima espansione possibile dell'occupazione industriale, il drastico mantenimento dell'occupazione produttiva agricola e il conseguente ridimensionamento (oltre che trasformazione qualitativa) del settore terziario. Se non è proponibile una richiesta di « sacrifici » e di contenimento salariale a un'occupazione che si va sempre più assottigliando, s'impone il varo di una politica alternativa capace al Nord di bloccare i processi di espulsione e al Sud di espandere gli addetti alle manifatture, in grado di accrescere il prodotto del paese e di aumentare la capacità produttiva dell'insieme delle risorse disponibili, decisa a non far gravare sul lavoro produttivo le inefficienze degli apparati pubblici e i gravami di un assistenzialismo ormai esplicitamente pattizio. E' questa l'unica possibilità per venir fuori - ad iniziativa di scelte governative inequivocabili - da uno scontro che diventa insensato nella misura in cui contribuisce alla paralisi della crescita, e che, d'altronde, può essere superato solo in nome di un'ipotesi «sviluppista » e chiaramente meridionalista. Non è argomento di queste pagine, s'è già detto, ma ignorarlo equivarrebbe a sospenderle nel nulla. Un incentivo al lavoro del tipo sinteticamente tratteggiato, ha in sé altre giustificazioni e consente di conseguire altri vantaggi. Tra i primi occorre almeno citare il costo opportunità di un incoraggiamento all'occupazione industriale; non solo e non tanto rispetto all'alternativa della disoccupazione e della Cassa Integrazione Guadagni (il cui meccanismo, sempre più dannoso e costoso, andrebbe urgentemente rivisto), ma principalmente a ragione delle alternative dinamiche, che già hanno avuto modo di affer-
marsi da circa un ventennio. Conta, infatti, la sp.rale che la mancata occupazione industriale mette in moto per la pressione che ne deriva ai settori-spugna (tipicamente, pubblica amministrazione e servizi privati), che attraverso molteplici meccanismi (prelievo fiscale, rendita commerciale, etc.) attuano un prelievo di prodotto dai settori direttamente produttivi, ne impediscono l'espansione o ne costringono la riduzione in termini di addetti, in tal modo precostituendo le condizioni per il proprio ulteriore, patologico gonfiamento. Per i vantaggi che possono derivare agli linprenditori dall'incentivo all'uso di manodopera, basti richiamare come esso si identifichi in un aiuto alla gestione corrente, tanto più rilevante quanto più numerosi sono i dipendenti dell'impresa, e in un consistente sollievo alla situazione debitoria e alla penuria di contante che affliggono le aziende meridionali. Così tracciato il quadro delle esigenze dell' economia e dell'industria meridionale, si può passare alla verifica delle diverse proposte legislative. 3.7. Trascurando per i motivi già visti il cUi Macaluso, va notato che la Proposta Di Giesi è quella che apporta, come anche a proposito dei livelli di incentivazione, meno modificazioni alla normativa vigente, attenendosi alle disposizioni del TU del 1978. Mentre però per quest'ultimo, nel caso di richiesta congiunta del mutuo e del contributo in conto capitale, l'istituto di credito compie un'unica istruttoria per entrambi e la delibera delle due agevolazioni rimane di spettanza della Cassa - artt. 71 e 73 del DPR 6 marzo 1978, n. 218 --, il progetto espresso dai socialdemocratici detta, all'art. 8, che l'istituto di credito non solo procede all'istruttoria ma « delibera contestualmente entrambe le agevolazioni ». E' ben vero che le disposizioni della 1. 183 e del TU per il coordinamento delle pratiche e l'unificazione delle
59 procedure, nonché « le procedure via via introdotte per attuare » la norma, « aumentando il numero dei soggetti istituzionali al vaglio dei quali devono passare le varie domande di agevolazioni, hanno reso il meccanismo di incentivazione più complesso » 202; ma non pare questo il metodo per risolvere il problema. Anzi, così facendo si caricano gli istituti di responsabilità e di poteri che non competono loro. La disciplina suggerita dal ddl Capria - già segnalatosi per l'abolizione della graduazione dei contributi secondo successivi scaglioni risalta per la sua inarrivabile assurdità. Premesso il riconoscimento delle difficoltà che incontra il credito agevolato e richiamato il monito del Governatore della Banca d'Italia 203 circa la necessità di scindere dall'operazione creditizia i 'incentivo all'investimento, la Relazione sostiene d'aver trovato una soluzione al problema conforme all' esortazione del Governatore. Così nell'art. 21 « non sono rinvenibii né la statuizione secondo la qùale il contributo è concesso agli Istituti di credito né l'altra, per la quale i medesimi assoivono ad un formale ruolo istruttore nell'ambito di un procedimento amministrativo, che però li assume come destinatari (o beneficiari) del provvedimento f inale ». E d'altra parte la « dinamica delineata nei primi tre commi dell'articolo 20 E ... ] evidenzia l'autonomia operativa del soggetto responsabile dell'incentivo e di quello responsabile del credito » 204• La potenza taumaturgica del ministro si annuncia folgorante; dopo il caos, l'ordine del creato e, in sopramercato, lo spirito infuso ai protagonisti nel giardino dell'Eden. Vediamo come. L'impresa che abbia contratto a tasso di mercato un mutuo con un istituto di credito «può essere ammessa dalla Cassa per il Mezzogiorno ad un contributo finanziario pluriennale ». « La Cassa emette formale pronuncia sulla domanda di contributo entro il termine mas-
simo di tre mesi ed esclusivamente sulla base degli elementi contenuti nel contratto di mutuo stipulato con l'Istituto di credito. In aggiunta al contributo di cui al primo comma l'impresa medesima può essere ammessa ad un contributo in conto capitale [ ... ]; nel caso in cui l'impresa faccia domanda di fruire del solo contributo in conto capitale all'istruttoria provvede la Cassa, previo accertamento dei requisiti richiesti dalla legge nonché verifica del piano di spesa, avvalendosi eventualmente di un Istituto di credito a medio termine E ... ] » (art. 21). Cioè: la premessa all'ottenimento degli incentivi è costituita dalla stipula di un mutuo a tasso di mercato. Ma, se questo contratto di mutuo viene stipulato, vuoi dire che l'imprenditore non ha bisogno di nessun tipo di sussidio per compiere l'investimento e che l'istituto di credito giudica l'impresa mutuatana in grado di assolvere i nuovi impegni. Garantita in tal modo che dell'incentivo non c'è bisogno alcuno, la Cassa concede senza batter ciglio i due contributi, forte dell'acciarata certezza che, di essi, l'impresa può (e dovrebbe) fare a meno. Nessuno dubita - lo dice il ministro responsabile - che « l'esperienza dimostra che dette strutture pubbliche [i.e. la Cassa per il Mezzogiorno] non sono munite della necessaria attitudine ed esperienza professionale, del resto neppure acquisibili nel breve periodo » a valutare le iniziative (ma, allora, come è possibile fargliene carico nel caso in cui l'impresa chieda il solo contributo in conto capitale?) e che la linea della legge è «quella che persegue la massima semplificazione delle procedure amministrative » (semplificare più di così è effettivamente impensabile) C'è solo da chiedersi se, in coerenza con l'esperienza passata e le direttive per il futuro, era indispensabile negare in radice la necessità e la legittimità degli incentivi; se era immaginabile un imprenditore che richiedes
60 se una cifra di tanto superiore a quella che, una volta ottenuti gli incentivi, gli sarebbe stata necessaria o un istituto che, di fronte a una domanda di credito di un determinato ammontare, la respingesse sol per ignorare che, una volta giunti gli incentivi conseguenti al mutuo, quell'ammontare si sarebbe seccamente ridotto o l'azienda si sarebbe rivelata abbondantemente in grado di sostenerne l'ammortamento; se, infine, era ipotizzabile un incentivo totalmente coincidente con la « rendita meridionalista »: chi, per vincere le diseconomie della localizzazione, ha bisogno dell'incentivo non l'ottiene, ma chi non ne ha assolutamente bisogno riceve in premio dallo Stato finanziamento e contributo « a fondo perduto ». Decisamente, alla Banca d'Italia circola sangue freddo se il Governatore replicava compassato: «Sono emersi E ... ], in sede di formulazione di nuove normative, indirizzi che addirittura accrescono le responsabilità della gestione dei contributi pubblici da parte degli intermediari finanziari. Così è quando si propone che la Cassa del Mezzogiorno debba pronunciarsi sulla richiesta di contributo esciusivamente in base agli elementi insiti nel contratto di mutuo. In tal modo, soio apparentemente viene rescisso il legame tra credito e sussidio, e il fatto che quest'ultimo non sia del tutto certo incide sulla valuta. zione della redditività dell'iniziativa e quindi sulle scelte degli enti creditizi » 206 • Fuor di dubbio, una risposta all'altezza del ddl Capria avrebbe di molto trasceso il pacato linguaggio nel quale usa esprimersi il Governatore. Anche per i democristiani vale l'indicazione delle autorità monetarie di scindere l'incentivazione dall'operazione di credito e, in talune manifestazioni del loro progetto, essa viene recepita nel senso di concentrare l'agevolazione nel solo contributo in conto capitale 207 Ma l'autorevolezza e il non effimero signi-
ficato dell'indicazione non vanno utilizzati per nascondere altri e non meno gravi rischi; non si possono, cioè, dimenticare i documentati guasti derivanti da quelle valutazioni inidonee e mediazioni improprie e fuorvianti che sono caratteristiche di altre istituzioni Affidare la concessione dell'incentivo alla Cassa o ad altro ente con simili connotati non configura una soluzione soddisfacente. E fino a che ci si limita a perorare una tale soluzione,.immancabilmente accompagnata da generici propositi circa il miglioramento delle strutture responsabili, sarà sempre l'esperienza a far aggio ricordando i ritornanti 'episodi di spreco e di dissipazione di risorse, a non parlar d'altro. Per il ddl Signorile,, « il contributo agli investimenti industriali è concesso dal Fondo previa istruttoria dell'Azienda [nella redazione successiva: "è concesso dal Fondo previa istruttoria"] intesa ad accertare la disponibilità da parte delle imprese di mezzi finanziari propri non inferiori al 30 per cento della spesa prevista [ ... ] e la validità, sotto il profilo tecnico ed economico dell'iniziativa stessa, nonché [quest'ultimo periodo scompare nella redazione di fine inverno] la sua rispondenza alle direttive in materia di industrializzazione emanate dal CIPI » (art. '18). Va rirnarcata un'altra disposizione dello stesso articolo: per investimenti non superiori ai due miliardi, faranno testo le dichiarazioni dei rappresentanti legali dell'impresa, corredate da perizia giurata, e l'Azienda o il Fondo (per l'ultima edizione del ddl) si limiteranno a successivi controlli. Nel caso di investimenti superiori ai due miliardi, spetterà all'organismo competente dell'intervento' straordinario svolgere l'istruttoria e concedere il contributo. Esaurito in tal modo l'esame del metodo di concessione degli incentivi finanziari secondo le proposte di legge sull'intervento straordinario, è opportuno dire del progetto di ri-
61 forma del credito agevolato - che sicuramente inciderà anche sulla normativa per il Mezzogiorno - approvato dal Consiglio dei ministri l'8 gennaio 1982 e il cui esame è iniziato nel mese di marzo presso le commissioni Finanza e Industria della Camera. Il disegno di legge governativo 208 abolisce il credito agevolato nella forma finora in uso e gli istituti sono abilitati a concedere, ai beneficiari indicati dalle diverse leggi, finanziamenti a tasso di mercato. I contributi in conto interessi sono sostituiti « da contributi in conto capitale corrisposti direttamente ai beneficiari da parte delle amministrazioni o enti competenti », e i contributi, « concessi anche indipendentemente dal ricorso dei relativi beneficiari al finanziamento da parte di istituzioni creditizie » (art. 1), verranno determinati sulla base di emanande disposizioni del Comitato interministeriale per il crédito e il risparmio (art. 2). L'onere dei contributi, a carico delle amministrazioni ed enti erogatori, è equivalente « a quello che ai medesimi sarebbe derivato dalla concessione dei contributi in conto interessi » stabilito dalle rispettive leggi e viene sostenuto « fermi restando gli altri contributi in conto capitale previsti dalle leggi medesime ». Inoltre: « L'espletamento dei compiti di. istruttoria, erogazione e controllo E ... ] può essere affidato dalle amministrazioni o enti competenti anche ad aziende o istituti di •credito sulla base di apposite convenzioni » (art. 2). Viene modificato il disposto del TU delle leggi suI Mezzogiorno relativo all'accertamento di conformità e « alla valutazione delle infrastrutture di uso collettivo recessarie », che non vengono più compiuti dal ministro bensì dalla Cassa. Inoltre il ministro per il Mezzogiorno, con il decreto con cui (art. 73 del TU) definisce le procedure ner la concessione delle agevolazioni finanziarie, indica « gli adempimenti che in particolare la Cassa deve espletare ai fini della emanazione del provvedimento di concessio-
ne provvisoria delle agevolazioni preordinato all'emanazione dell'atto finale definitivo di concessione da parte della Cassa, che resta subordinata all'accertamento dell'ammissibilità e della congruità delle singole spese a consuntivo ed al collaudo dell'impianto» (art. 5). Il disegno di legge governativo riveste, come si vede, notevole importanza ai fini dell'intervento straordinario. Esso, di carattere procedurale e di chiaro significato per quel che riguarda la scissione tra credito e agevolazione, si inserisce tra la recente normativa per l'industrializzazione del Mezzogiorno e le prospettive aperte dalle proposte attualmente all'esame del Parlamento in un modo per notevoli aspetti contrario alla direzione secondo la quale il legislatore sembrava muoversi. Mentre l'abolizione del parere di conformità rilasciato dall'autorità politica era ampiamente scontata e non merita particolare commento, le altre disposizioni vanno invece considerate con attenzione. La concessione, da parte dell'amministrazione competente, dell'incentivo equivalente all'attuale contributo in conto interessi può essere rilevante ai fini della delibera, da parte dell'istituto o azienda di credito, del mutuo a tasso di mercato ogni qual volta l'istituto ritenga che, in mancanza di esso, l'impresa abbia una struttura finanziaria troppo debole o non offra sufficienti garanzie; in questi casi, che non dovrebbero essere frequenti per l'incentivazione finanziaria legata alle diverse leggi non finalizzate all'industriali zzazione del Mezzogiorno, la concessione della agevolazione costituirà la condizione per la delibera del mutuo. Ciò potrebbe costituire problema di non poco conto (anche con riferimento ai tempi) ove le amministrazioni responsabili non si dessero strutture adeguate o non stipulassero tempestivamente quelle convenzioni con gli istituti di credito di cui parla l'art. 2 del ddl.
62 Nel caso dei Mezzogiorno, sia oggi col DPR n. 218 sia domani con la futura normativa, le cose si fanno molto più complicate. La Cassa (e in futuro il Fondo o qualsiasi altro ente ne erediti le competenze) è l'amministrazione erogatrice sia del tradizionale contributo in conto capitale sia di quello previsto dal ddl in questione, sostitutivo del « taglio degli interessi » che a sua volta, come è noto, è più alto di quello concesso dalle altre norme agevolative. Ciò significa che gli istituti abilitati a stipulare nel Mezzogiorno mutui a tasso di mercato o concederanno il credito nel caso in cui l'azienda può fare a meno delle misure incentivanti; o, nell'ipotesi contraria, attenderanno che la Cassa deliberi l'erogazione dei contributi a suo carico: e si tratterà della maggior parte dei casi. Ma la normativa vigente, a partire dal 1976, e quella presentata per gli anni Ottanta, stabilendo, con formula più o meno indovinata, di unificare le procedure tra istituti e Cassa, di lasciare ai soli istituti l'istruttoria e la delibera degli incentivi finanziari, di escludere gli enti operativi dell'intervento da ogni decisione di merito, e via dicendo, muovevano proprio dalla constatazione dell'incapacità della Cassa a giudicare le iniziative incentivabili, dalle inutili remore e dagli inammissibili «tempi tecnici » frapposti. Si tratta di stigmi che caratterizzano l'operare della Cassa che inutilmente si è cercato di cancellare e che indiscutibilmente non è pensabile di togliere se non con riforme in profondità. Per questo le modificazioni che il recente ddl sul credito agevolato apporta vanno nella direzione contraria a quella fin qui perseguita e che più si diceva di voler perseguire per quel che riguarda le agevolazioni all'industria meridionale; per le stesse ragioni esse conducono l'attività incentivante in un vicolo cieco, ridando nel contempo impulso e potere proprio a quel ruolo della Cassa
che più si voleva condannato a deperire. E' chiaro, inoltre, che se il Parlamento approvasse questo disegno di legge, le cose precipiterebbero in tempi brevi e tali da non consentire una purché minima azione di adeguamento, per non dire di più vasti e indispensabili rivolgimenti. I quali, comunque, non risultano tratteggiati nemmeno in prima istanza nelle proposte per l'intervento straordinario nel prossimo decennio.
3.8. Forme di incentivazione al lavoro sono contemplate da tutte le proposte di legge in esame e - salvo la Proposta Di Giesi che si limita a generalizzare a tutti gli occupati e fino al 31 dicembre 1990 lo « sgravio contributivo sul complesso dei contributi da corrispondere all'INPS » (art. 10) (misura, come s'è visto, assolutamente insufficiente e di declinante incidenza nel prossimo futuro) con provvedimenti anche notevolmente innovativi. Il ddl Macaluso prevede, per le « imprese, anche artigiane e cooperative, che realizzino nuovi investimenti industriali E ... ] un contributo finanziario annuo in rapporto alla mano d'opera occupata », la cui entità sarà fissata dal governo « per classi di industrie e per livelli di occupazione, tenuto conto del rapporto medio investimento per occupato in ciascuna classe », premiando - è da interpretare - le imprese e i settori che risparmiano capitale. Questo contributo, « aggiuntivo rispetto alle fiscalizzazioni, non potrà essere inferiore al valore medio nazionale degli oneri sociali vigenti per gli occupati nell'industria, ed erogato, 'a scalare, per la durata di dieci anni ». Cioè: per gli occupati preesistenti vale la fiscalizzazione dei tributi INPS (27% della retribuzione base); per gli occupati addetti ai nuovi impianti, o agli ampliamenti, viene corrisposto un ulteriore 35% circa (a tanto ammonta, mediamente, il complesso degli OOSS) della retribuzione base, aumentato « del 50 per
63 cento [il contributo arriva così a superare nelle regioni Basilicata e Calabria), ed è il 52% della retribuzione base] E ... ] alle quindi piuttosto ridotta. In compenso, il conimprese che localizzino nuovi stabilimenti » tributo dura cinque anni « a decorrere dal 1 luglio 1981 » - ma nulla cambia se si nei comprensori arretrati, definiti tali dal sposta la data dell'82 o all'83 -, vale a dire CIPI d'intesa con le regioni. Il contributo, concesso previa certificazione da un momento prefissato e non dal momento dell'assunzione o dall'entrata in funziodell'Ispettorato del lavoro, è erogato dall' INPS a valere sui « Fondo nazionale per ne degli impianti. Trattandosi di legge a interventi aggiuntivi nel Mezzogiorno », de- respiro decennale, l'insensatezza del disposto finito dall'art. 9, e ha durata decennale a acquista ancora maggior pregio, degnamente partire dal « primo anno di funzionamento allineandosi alle altre insipienze del Disegno. dell'impianto » (art. 21): misura che, final- I propositi della Democrazia Cristiana punmente, consente di influire sulla composi- tano congiuntamente a due effetti: contemperare l'incentivazione finanziaria con la prozione degli investimenti. Ma la proposta comunista sembra poco con- mozione di un maggior utilizzo di forza lasapevole delle misure suggerite se, all'artico- voro ed evitare inopportuni « passaggi bulo successivo, detta: il contributo, « triplica- rocratizzanti di discrezionali valutazioni sulla spesa di investimento ». Anche in questo to, si estende agli addetti a uffici direzionali e amministrativi, a centri commerciali e tec- settore, la proposta del partito di maggionici localizzati nei territori meridionali E ... ], ranza relativa si presenta assai più meditata nonché a nuovi centri di ricerca tecnologica che non in analoghe e precedenti occasioni. Stando al responsabile, on. M. Bosco, gli finalizzata ad attività industriali », etc.. Tnobiettivi indicati si possono raggiungere atplicare il contributo equivale a sussidiare il tuando due misure: ragguagliando l'impor105% e, nel caso di localizzazione nei comprensori depressi, il 156% circa; somman- to del contributo in conto capitale « a perdovi la fiscalizzazione dei tributi INPS, si centuali fisse degli importi di investimento arriva nel primo caso ai 132% e nel secon- necessari per creare un posto di lavbro, acdo al 1837o della solita retribuzione base. certati periodicamente dal CIPE secondo moAnche a prescindere - ma non si dovreb- dulazioni merceologiche, E ... ] prevedendo be - dalla validità dei motivi che portano quando possibile - l'autoliquidazione dell' importo di contributo »; incentivando la nuoin questi casi a moltiplicare per tre il contributo al costo del lavoro, è evidente che va occupazione secondo « un'aliquota dello aprire nel Mezzogiorno uffici direzionali e importo degli emolumenti soggetti a ritenuta amministrativi, centri commerciali e di ricer- IRPEF» e provvedendo « alla loro autoliquidazione, per un congruo numero di anni, ca etc., diventerebbe un affare da sbiadire » 209 nella memoria il ricordo dei Cefis e dei Ro- sui versamenti delle stesse ritenute velli, perfino nel caso (improbabile) in cui Si tratta di indicazioni tra le più azzeccate si rinunciasse agli incentivi finanziari. Non che sia stato dato di leggere in materia, pur se - ovviamente - la fissazione delle alioccorrono commenti, si spera, a sottolineaquote e la precisazione del «congruo numere l'adamantina e liliale sprovvedutezza dei ro di anni » saranno decisivi per attribuire parlamentari comunisti. Per il ddl Capria (art. 25), la misura della validità alla proposta. contribuzione, pagata dalla Cassa per ogni Anche per il ddl Signorile è necessario prenuovo occupato, è pari al 10 o al 12%, per miare la nuova occupazione. Esso stabilisce (art. 21) un contributo - sull'« ammontare gli occupati con meno di 25 anni (13 e 15%
64 complessivo annuo di compensi ed emolumenti soggetti a ritenuta », cioè sulla retribuzione base -, che sarà autoliquidato e trattenuto dalle imprese, « nella misura del 10% per il primo esercizio, del 20% per il secondo anno e del 30% per il terzo anno ». Si tratta di norma che, per i motivi noti, non può essere considerata minimamente adeguata, come insoddisfacente è la spiegazione che di essa è stata data 211 Sempre secondo il ddl Signorile, è previsto un particolare incentivo per le assunzioni che avvengono con contratti di alternanza « formazione-lavoro ». Quanti non abbiano compiuto i 30 anni, e per un numero di lavoratori che non superi il 15% dei dipen denti, possono essere assunti con questo tipo di contratto che, per un periodo massimo di 24 mesi, consente attività formative nell'ambito aziendale o presso centridi formazione professionale, per un tempo pari al 40% dell'orario di lavoro mensile. In tali casi viene concesso, per ogni lavoratore così assunto, « un contributo pari al 40% della retribuzione complessiva dovuta a norma del CCNL della categoria e della zona » (art. 22 della prima e art. 23 della seconda stesura). E', questa, un'agevolazione che in taluni casi - stando alle lamentele c.irca la penuria di personale qualificato - può avere un notevole rilievo, ma che, se non sono efficaci le misure ispetrive, può lasciar campo agli abusi. Salvo un'eccezione - che, data la forma presentata, è espressa in modo incompiuto -, l'incentivo al lavoro, come è previsto nelle ipotesi esaminate, non può rispondere alle esigenze cui è finalizzato: menda non lieve solo a tener presenti le dimensioni del problema occupazionale nel Mezzogiorno. Non si è, da ultimo, voluti entrare nel merito della questione della differenziazione del premio seconda si tratti di occupazione preesistente o di nuova occupazione. Anche se si tratta di questione tutt'altro che in-
differente, si ritiene che essa - come quella analoga per gli incentivi finanziari sia tecnicamente superabile sol che si abbia l'avvertenza di congegnare il passaggio dal vigente regime al futuro senza creare n vuoti legislativi o di regolamenti applicativi né alternative (come qualcuno vorrebbe) agli operatori economici tra l'un regime e l'altro secondo convenienza - che sarebbe, pur se limitata ad una fase transitoria, la soluzione peggiore.
3.9. I progetti legislativi di politica industriale per gli anni Ottanta tendono a dar maggior spazio agli incentivi fiscali e e sconti tariffari di vario genere (collocati talora tra quegli « incentivi reali » di cui s'è parlato nel capitolo precedente), come auspicavano sia i rappresentanti degli imprenditori meridionali, sia gli operatori economici del resto del paese o stranieri che avevano insediato o progettavano di localizzare nuove iniziative nel Mezzogiorno. La Proposta Di Giesi dispone, oltre che la proroga delle esenzioni in vigore in base al TU, l'esenzione totale dall'IRPEG per le nuove iniziative, l'esenzione dalla stessa IRPEG per le iniziative preesistenti nel caso di reinvestimento degli utili, la parificarione alle iniziative industriali delle attività di commercializzazione dei prodotti agricoli e industriali del Mezzogiorno. Il da'l Macaluso porta al 100% l'esenzione degli utili dalla imposta locale e accresce la detrazione dell'IVA nel caso di acquisto di beni destinati a costruzione o ampliamento di stabilimenti industriali. Nuove esenzioni o ampliamento e proroga di quelle esistenti, in larga parte simili a quelle viste, sono precisate anche nelle altre proposte, così come alcune di esse ripresentano le tradizionali « riserve » - argomento, si ritiene, che interessa particolari tipi di industrie ma che difficilmente può pesare sulla situazione generale.
65 Pressoché tutte le proposte in esame prorogano gli sconti tariffari vigenti. In più, il ddl Macaluso insiste per condizioni di particolare favore nelle tariffe ferroviarie e in quelle marittime di trasporto da e per la Sardegna, e il ddl Signorile contempla ragguardevoli sconti nei servizi di telecomunicazioni, energetici, di trasporto per le esportazioni 211 Senza dilungarsi sui diversi provvedimenti, è forse opportuno far presente come quelli fiscali vadano ben distinti a seconda che determinino generali riduzioni di costo oppure esentino da imposizioni gli utili conseguiti e come, in quest'ultima circostanza, vengano premiate soio le aziende «in reddito », con quanto di positivo e di negativo ne consegue. A proposito degli sconti tariffari, va doverosamente sottolineato il fatto che, assai più della loro influenza, conta in genere la disponibilità - precaria, a quel che si dice - dei relativi servizi; per non parlare dei rischi che si corrono, ad esempio favorendo la localizzazione di industrie ad elevato consumo energetico. Non meno temibili possono risultare altre iniziative 212 ove l'urgenza di provvedere a fabbisogni anche essenziali sfugga all'impostazione razionale e alle necessarie verifiche. Esaurita, per quanto affrettatamente, l'analisi delle misure destinate a sollecitare l'industrializzazione del Mezzogiorno, preme richiamare quelli che si vorrebbe costituissero dei punti fermi in materia di incentivazione finanziaria: - per l'ottenimento del credito (a tasso di mercato o no) a medio termine, l'impresa (cbme l'istituto mutuante) deve sapere con certezza se ad essa è stato o no concesso il contributo in conto capitale. Anche per questo, il tema delle procedure e dei tempi della Cassa - o dell'ente che ne assuma le competenze - è pregiudiziale rispetto all'intero capitolo della politica industriale;
- è opportuno escludere dagli incentivi quei settori che non incontrano, nel Mezzogiorno, diseconomie di localizzazione e che, con le agevolazioni finanziarie, lucrano un' immotivata rendita 213 - è indispensabile che le imprese di minori dimensioni possano disporre di credito a medio termine senza subire discriminazioni come avviene in certe circostanze - rispetto alle imprese di grandi e grandissime dimensioni. Quale che possa esserne lo strumento - circuito finanziario specializzato o altro -' la necessità di una soluzione non può essere procrastinata; - è betie, infine, alla luce dei nuovi orientamenti generali in ordine al credito agevolato, ripensare a quel Fondo Nazionale Incentivi che, indicato per la prima volta nel Piano Economico Nazionale 1966-1970 e approvato con la 1. 183/1976, è oggi più che mai lontano dalla realtà e più che mai necessario per mettee ordine all'intera materia e per garantire la trasparenza e il confronto delle diverse misure rispetto agli obiettivi che le leggi prescrivono.
3.10. Se gli effetti della politica di incentivazione industriale nel Mezzogiorno sono stati queffi visti, viene da chiedersi - anche se esula dai limiti di questo lavoro quale sia stata la funzione da essa svolta nel complesso dei rapporti economici, sociali e politici nelle regioni meridionali e delle relazioni tra le grandi aree del paese. Le leggi che avviarono la « seconda fase » dell'intervento straordinario, miravano all' obiettivo dell'industrializzazione attraverso la manovra di una serie di strumenti (tra i quali vanno ricordati i Consorzi delle Aree - successivamente Aree e Nuclei - di sviluppo industriale, l'intervento delle imprese a partecipazione statale, le esenzioni fiscali, i contributi per la formazione di tecnici e di operai specializzati) tra i quali gli incentivi finanziari avevano una posizione certa-
mente rilevante ma non eccezionale. Infatti, sia la legge 29 luglio 1957, n. 634 che la legge 18 luglio 1959, n. 555 concedevano incentivi tutt'altro che generosi solo alle minori imprese e a condizione che non si localizzassero nei maggiori centri urbani 214 Solo con la 1. 20 settembre 1962, n. 1462 - che aumenta il peso del contributo in conto capitale ed estende l'applicazione delle agevolazioni finanziarie alle imprese di qualsiasi dimensione 215 - avviene il mutamento di rotta, destinato a dar inizio al trend che dura tuttora. Ben si comprende che, in pieno « miracolo» e mentre s'ingrossava l'esodo diretto al triangolo industriale, la crescita del prodotto industriale e dell'occupazione meridionali potesse apparire assolutamente sproporzionata ai problemi che urgeva affrontare senza esitazioni; ma resta il fatto che, da allora, l'aumento degli incentivi non ha avuto sosta e che i modestissimi risultati ottenuti non hanno provocato - nel giro di un ventennio né inversione né interruzione della tendenza. Ciò che non può non apparire strano, ove si considerino, oltre agli scarsi successi di questa politica, i contributi che gli economisti venivano elaborando e che contenevano tutti critiche (di cui alcune radicali) al tipo di incentivazione praticata; basti ricordare quelli già citati di Ackley-Dini e di F. Forte, il libro di F. Momigliano, i saggi di B. Jossa e P. Ranci 218 In realtà, là dove si concentravano i poteri decisionali - partiti e ministeri - ciò che contava non era certo l'apporto critico o la consequenzialità logica tra obiettivi politici e misure incentivanti, bensì gli interessi dei grandi gruppi finanziari (tra i quali primeggiavano gli enti di gestione delle partecipazioni statali) e quelli dientelari dell'imprenditoria asfittica, degli intermediari di mestiere, dei tramiti politici che trasmettevano al centro la volontà e le esigenze della nuova piccola borghesia di Stato che andava con-
solidando il suo potere. Le prove di questa duplice pressione, così nel momento legislativo che in quello dei decreti ministeriali e dei regolamenti applicativi, non mancano 217 come non mancano le testimonianze di chi assistette in prima persona ai poco nobili episodi di queste vicende 218 Rimarrebbe da chiedersi perché la sinistra di governo e di opposizione non seppe comprendere e combattere una battaglia che, oltre ad essere a favore dell'occupazione, sarebbe stata contro i centri di potere che colludevano a condizionare la crescita economica e lo sviluppo di una moderna articolazione sociale, delle quali imprenditoria dinamica e masse operaie avrebbero costituito componenti e vettori ben altrimenti orientati di una plebe di condizione o di aspirazioni medioclassiste, economicamente sussidiata e dipendente, ideologicamente subalterna a tradizionalismo insieme a consumismo. Ma è discorso che porterebbe lontano, anche se lontano prima o poi - si dovrà pur giungere per poter finalmente comprendere. Manifestamente, i grandi gruppi non solo approfittarono delle occasioni che la legislazione incentivante offriva, ma contribuirono, talora assai pesantemente, a precostituire quelle occasioni: il loro rafforzamento e l'espansione sarebbero così avvenuti sotto l'alibi che la politica meridionalista aveva costruito. Non si può, dunque, non consentire col Graziani: « Non è stata la struttura degli incentivi a generare una struttura industriale insoddisfacente, bensì la struttura degli investimenti, sollecitata da strategie di lungo periodo, a stimolare una graduale revisione degli incentivi, fino a trasformarli in strumento di sussidio per imprese a più intenso uso di capitale, che erario, per l'appunto, quelle che rientravano nei disegni di espansione dei gruppi pubblici, per i quali le regioni del Mezzogiorno erano diventate la base di espansione » 219 Il fatto che analoghi criteri di premio all'uti-
lizzo del capitale fossero definiti per le medie e piccole imprese è parallelamente dovuto, oltre a evidenti ragioni di simmetria, alla necessità di sovvenire alle esigenze patrimoniali di titolari di aziende che non riuscivano a trasformarsi in moderni imprenditori e a quelle dell'apparato - partitico, burocratico, professionistico - che sempre più monopolizzava l'intermediazione tra gli aventi diritto e gli erogatori degli incentivi. Non si spiega altrimenti il fatto che ogni qualvolta la Confindustria o altri organismi di rappresentanza degli interessi imprenditoriali esternassero il loro gradimento verso un sistema di incentivi economicamente razionale e proceduralmente, almeno in parte, automatico, l'udienza in sede governativa e parlamentare fosse sostanzialmente nulla 220 La dinamica civile del Mezzogiorno fu così notevolmente rallentata, e la pigra modificazione dei valori culturali e dell'articolazione delle strutture sociali facilitò, a sua volta, una gestione politica alla quale una rapida trasformazione avrebbe potuto procurare la perdita di consistenti leve di potere. Lo sfrenato assistenzialismo finanziario e la sua sterilità in termini di prodotto e di posti di lavoro, mostravano d'altra parte la loro insufficienza a sostenere il tenore di vita delle popolazioni; occorreva accrescere la quota dei trasferimenti correnti se si voleva rendere accettabile questo modello. E l'altra branca dell 'assis tenzialismo, ancora attraverso le appendici locali dei gruppi al potere, si irrobustì a ulteriore detrimento di un meccanismo di sviluppo già così fragile: sussidi ad personam, pensioni di invalidità, creazione di posti nell'impiego pubblico e parapubblico vennero a colmare i vuoti lasciati dall'improvvida politica di industrializzazione. Trasferimenti correnti e trasferimenti di capitale che non genera prodotto conducono necessariamente alla costante negatività del.
le esportazioni nette. Dietro questo meccanismo, pare una forzatura voler scorgere la soddisfazione delle «esigenze E ... ] dello s'vi• luppo dei mercati per l'industria del Nord» 221 . E' un meccanismo che s'è venuto formando e rafforzando lentamente, senza nessun disegno precostituito, e che è andato nel contempo creando o sollecitando gli interessi che ne consentono la perpetuazione. Ed è probabile che la lunga semistagnazione dell'economia italiana rappresenti ormai il più grosso ostacolo alla sua inalterata permanenza. Lo squilibrio commerciale con l'estero, il deficit del bilancio dello Stato, il potenziale inflazionistico che può scatenare aumento di prezzi e altre svalutazioni, costringono a rifare i conti, a cambiare ottica, a cercare vie d'uscita. Questo, e il fatto che - nel lungo andare - la dinamica di mercato ha coinvolto schiere pur esigue di nuovi imprenditori e li ha resi consapevoli del cammino rovinoso lungo il quale si rischia di procedere, sembrano essere all'origine della contraddittoria posizione degli industriali e delle innovazioni nel linguaggio e nelle assunzioni caratterizzanti le proposte dei partiti (in questo senso, le novità di maggior rilievo e il mutamento più sensibile sono da vedersi nei programmi democristiani), anche se la loro coerenza lascia troppo a desiderare. Non si può credere che gli interessi delle regioni settentrionali si pongano, di fronte alla crescita del Mezzogiorno, in atteggiamento in qualche modo analogo a quello che trionfò in un passato lontano e in una diffidenza ancora recente. Si può ritenere che, oltre il permanere di veli veteroideologici e un contrasto tra interessi regionali che ha meno parte nella realtà di quanta ne abbia nelle rappresentazioni di comodo, la .priorità di ricostituire nel paese un meccanismo di sviluppo vada oggi riconosciuta come indilazionabi-
68 le; al limite, una perdita di terreno nello scontro tra classi o tra interessi region.ali è preferibile a una stasi che penalizza •tutti, che riproduce aspirazioni contrapposte, che macera nella contrapposizione i veleni di uno sviluppo bloccato. Nuovi criteri di incentivazione possono e devono contribuire a questo processo di ricostruzione. Condizione perché questo avvenga è che essi contemporaneamente concorrano a mantenere un differenziale marcato (tale da neutralizzare le diseconomie all'investimento e alla gestione industriali
che persistono nel Sud) a favore delle regioni meridionali, a impedire la dissipazione di risorse scarse, a esaltare la produttività delle iniziative. Condizioni banali e ovvie, si commenterà a ragione; tali ugualmente da cambiare in misura significativa le condizioni e il divenire della convivenza civile, e non solo al Sud. Gaetano Salvemini diceva che sono meridionali-stici quei provvedimenti che, senza istituire privilegi, premiano nell 'intero paese il lavoro e chi vive di esso. E' da ritenere che quel criterio sia più attuale che mai.
118 Ora riportati insieme ad altri in F. MARZANO (a cura di), Incentivi e sviluppo del Mezzogiorno, Giuffrè, Milano 1979. 119 Cfr., tra i più recenti, G. AMATO: « [...J l'incentivazione finanziaria è comunque irrinunciabile per il solo fatto che tutti la praticano; dal momento che mediamente il 2,5% deI prodotto lordo di ciascun paese della CEE va a trasferimenti alle imprese sotto vario titolo, è chiaro che l'eliminazione degli incentivi finanziari potrebbe avvenire solo con una decisione comune », in AA.VV., Società meridionale e imprenditori locali. Una ricerca e una discussione sull'innovazione negli incentivi, « Mondo Economico », 6 maggio 1981, p. 41; e P. SARACENO: «In conclusione, è solo in -un intenso aumento della produttività [del lavoro] che va comunque ricercato - in una prospettiva certo non di breve e medio periodo — quell'aumento di posti di lavoro che, se gestito in modo diverso da quello degli anni del miracolo, può portare a soluzione la questione meridionale », Lo sviluppo dell'economia meridionale all'inizio del nuovo ciclo dell'intervento straordinario, « Informazioni Svi-mez », giugno 1981, p. 288. La confusione tra produttività del sistema, cioè dei fattori di produzione nel loro com•plesso, e produttività del lavoro è evidente nel brano che segue: « se si ammette che l'aumento della produttività del sistema industriale meridionale a un saggio superiore a quello cui aumenterà la .produttività del restante sistema industriale europeo costituisce l'obiettivo primo della politica meridionalistica, l'incentivo al capitale determina nella industria -meridionale strutture di costi conformi a quelle della economia europea; l'incentivo all'occupazione determina invece strutture che spingono in senso opposto, promuove cioè un sistema industriale la cui produttività si allontana da quel-
la verso cui -progredisce il sistema europeo; il sistema meridionale richiederà, quindi, di essere incentivato in misura crescente se si vuole evitare aumento di disoccupazione determinato dalla caduta delle im-prese, che irrazionalmente incentivate, hanno una dotazione di capitale fisso inferiore a quelle delle imprese dell'area di antica industrializzazione », L'attuale alternativa della nostra politica industriale, « Informazioni Svi-mez », settembre-ottobre 1981, .pp. 363.364. Analoghi paralogismi dello stesso Autore in Aspetti dello sviluppo industriale meridionale, « Informazioni Svimez o, novembre-dicembre 1981. 120 Cfr. F. MARZANO (a cura di), Incentivi e sviluppo..., cit. 121 « [ ... ] in un'economia che — come tutte quel-le non di piena occupazione — non ha alcun bisogno di "risparmiare lavoro", una tecnologia che "risparmia lavoro", ma richiede per unità di prodotto più capitale, è una tecnologia che, necessariamente, provoca una riduzione, almeno relativa, del prodotto », L. IRACI FEDELI, Il dibattito sull'economia del cambiamento tecnologico nell'America Latina: le tesi favorevoli al trasferimento delle tecnologie, «Economia e Lavoro », aprile - giugno 1977, p. 309. 122 La serie presenta l'inconveniente - in questa sede trascurabile - di imputare le cifre per esercizio secondo competenza, mentre le cifre a carico della Cassa per il Mezzogiorno sono imputate all'anno di esborso effettivo. 123 Si trascrive di seguito la Tav. 04 — fonte dei dati riportati nel testo - tratta da BANCA D'ITALIA, Assemblea Generale Ordinaria dei partecipanti, Roma 1975, .p. 334.
1,2
Onere per concorsi agli interessi e contributi alla spesa di investimento (miliardi (ti lire) Esercizi finanziari medÌa -1960-69 1970-71 1950-59
Settori e scopi
1
1972
1973
1974
CONCORSI AGLI INTERESSI ...............3,6
94,8
295,9
363,7
446,1
545,0
0,8
59,6
208,4
245,1
317,6
361,1
medie e piccole industrie ...........0,2 industrializzazione del Mezzogiorno crediti all'esportazione ............0,3 calamità naturali ....................credito navale .... ..................altri ............................... 0,3
14,2 19,9 6,2 8,7 2,5 8,1
40,4 96,4 25,7 10,8 8,2 26,9
57,5 130,8 23,9 13,5' 11,7 27,7
79,5 147,6 23,4 32,5 12,8 41,8
90,4 158,0 24,4 13,3 17,7 57,3
5,4
38,8
46,3
48,8
52,8
29,8
68,7
72,3
79,7
131,1
44,7 11,0 13,0
51,2 2,4 18,7
55,6 7,0 17,1
76,2 40,8 14,1
22,4
56,9
77,2
151,6
201,2
117,2
352,8
440,9
597,7
746,2
Industria, commercio e artigianato' ..
.............................1,1 Agricoltura ..........................1,7 credito di'miglioramento ............1,5 credito di esercizio ................0,1 calamità naturali ...................0,1 Edilizia
CONTRIBUTI IN CONTO CAPITALE ALLE INDUSTRIE DEL MEZZOGIORNO .............. 0,1 TOTALE ............ 3,7
'a" Vedi la tabella riportata nella nota precedente. Com'è noto, il credito all'esportazione di imprese meridionali oscilla, negli ultimi dieci anni, tra il 6 e il 9% del totale nazionale. Un'interessante analisi è in M. GERBI SETHI, Grandi e piccole imprese nelle esportazioni italiane, « Bollettino CERIS », n. 6, 1981. 128 La distribuzione territoriale varia in modo piuttosto marcato nel tempo; per questo, e per minimizzare i dati a suffragio della nostra tesi, abbiamo i.potizzato come valore percentuale medio un valore inferiore al minimo storico che sia stato mai raggiunto nelle rispettive serie. Si espongono, a riprova, i dati relativi ai: 125
Contributi ind.00triali in conto int,er000i deliberati dal diniotorodoll'Induotriu, del ce,rm"reio iel periodo
dell'artigianato
1966-71
l'quota percentuale localizzata nelle regioni meridionali)
Nuocro
-Iovcoti-
oporazio ni
1966
-
monti previsti'
Finanziai,,. scoscesi a contributo
16,3 6,7 6.8' '
,
'
l'investimento e del finanziamento nel Mezzogiorno è costantemente superiore a quella prevalente nei resto del paese; che, altrettanto costantemente, ma con scarti più lievi, la quota finanziata sull'investimento è minore nelle regioni meridionali che nelle altre (ciò può essere ampiamente spiegato con la presenza, nelle prime, dell'elevato contributo in conto capitale); che l'occupazione prevista è sempre più bassa - e talora, come nel 1967, assai più bassa - nel Sud. I dati sono tratti da: COMITATO dei MINIsTRI per il MEZZOGIORNO, Relazione sull'attuazione del Pia-
no di Coordinamento degli interventi pubblici nel Mezzogiorno, presentata al Parlamento il 30 aprile 1972, Istituto Poligrafico dello Stato, voi. 2 0 , tab. 59, pp. 66-67. 127 Rielaborando, secondo i criteri descritti, la tabella riprodotta alla nota 123, 'otteniamo (valori assoluti in mld):
Occupati previsti
flnossi.oi
e.,rstsL
sodio
33,0
59,5
50.8
1967
27,7
58,3
50,7
34.0
1968
30.2
58.7
52,9
42.5
1969
47,3
69,5
65,3
61.2
-
-
950-59
1000-69
1971
1073
1974
1e70-71
43,9
1970
36.6
61,1
60,1
51,8
1971
27,5
54,1
10,6
45,8
Contributi 16 sOttO capitale allo lndtetri, dol n,0506isr,,o
0.1
22.4
50.9
Contributi per li nred100 mi. .1 Ooon.'6morna
0,3
24,5
TotalO 40,nOl torno
Contributi 9cr il credito mi. ai C,nt,'O 2ord
151,0
201,2
100.7
152.3
200.9
025.1
105,6
220.5 71.26
354.3
420.3 75.6%
-
0.4
56.9
d!i
Si noti che i valori assoluti corrispondenti sono tutt'altro che trascurabili; ad esempio, i finanziamenti meridionali ammessi a contributo superano i 129 miliardi nel 1966 e i 176 nel 1968. Dalla tabella si ricava: che l'ampiezza media del-
77.3
0,5
72&
70,7
23.1
0.9
02.0
'
92,6
1!o!i
3°.
Tct.io
'
261.3 '
302,3
ios.%'
3 114.7
ILdà 459,2
loo.or%
236.0
ILlà 562,2
ioo.
70 128 Per il periodo 1961-76 cfr. i dati esposti da C. BIsoNI, Gli istituti di credito industriale, F. Angeli, Milano 1979, alla tab. 6, Operazioni agevo-
late degli istituti di credito industriale per leggi di incentivazione. Consistenze a fine anno (p. 73) e alla tab. 7, Operazioni agevolate degli istituti di credito industriale per leggi di incentivazione. Tassi di espansione delle operazioni a favore delle medie e piccole imprese, del Mezzogiorno e delle esportazioni (p. 74). 129 Infatti, « con l'esecuzione di infrastrutture specifiche e, dal 'punto di vista funzionale, private », Io Stato, attraverso la Cassa per il Mezzogiorno, assumeva su di sé «i costi della singola impresa (o gruppo di imprese tra loro collegate come negli impianti integrati della chimica) che si cercava di minimizzare scaricando sull'operatore pubblico tutti i costi che gli si potevano accollare ». Infatti « avveniva che le imprese non consideravano le infrastrutture come un dato esterno dei cui benefici ci si potesse avvantaggiare attraverso un'appropriata politica di localizzazione, ma piuttosto un elemento da determinarsi di volta in volta sulla base delle richieste imprenditoriali. «Una volta accettata questa logica era inevitabile che le imprese cercassero di ottenere come infrastrutture 'pubbliche impianti che altrove avrebbero normalmente considerato aziendali o che addirittura, per ottenere anche modesti risparmi di costo dei processi produttivi, esigessero la realizzazione da parte dello Stato di costosissime infrastrutture », S. PETRICCIONE, Politica industriale e Mezzogiorno, Laterza, Bari 1976, p. 56. '° Si ricorderà (vedi nota 119 di questo capitolo) che per P. Saraceno un'elevata dotazione di capitale per addetto costituiva la condizione per creare una situazione occupazionale non effimera e per determinare uno sviluppo economico irreversibile. '' Si riportano due tabelle — tratte da M. AMENDOLA - P. BARATTA, Investimenti industriali e sviluppo dualistico, Giuffré, Milano 1978, p. 7 — che bene cornpendiano gli estremi del problema in esame. I. Saggi medi di variazione percentuale (calcolati per interpomnniene) uomo msnifatturiero Mezzogiorno
Centro Nord
Aggregati 1951-63 Investimenti lordi fissi (a) Valore aggiunto
(a)
12,1
1963-73
1951-63
1963-73
8.0
2,4 (b)
9.1 )b)
7.0
7,6
8,6
6,1
Occupazione
1,1
1,0
2,4
1,0
V.A. per oc copato (a)
5,9
6,6
6,0
5,4
(a) Calcolati sui valori o prezzi 1963. )b) Sol valore dei saggi di variazione degli investimenti ,el decc,o,io 1963-1973 infloioce in misera sensibile il :atto che ,,ei primi anni del periodo per il quale si 6 ef cttoata 1' ioterpolazione gli stessi investimenti fanne ogistrare i loro valori minimi.
2. Livelli di accumulazione: investimenti
lordi fissi/valore aggiunto (valori % medi nei periodi indicati) Ramo manifatturiero' Circoscrizioni
1951-63
1963-73
Mezzogiorno
37,3
40,8
Centro Nord
22,8
13,6
24,4
16,8
Italia
132
Esemplare è quella proposta da S. CAFIERO,
Sviluppo industriale e questione urbana nel Mezzogiorno, Giuffré, Milano 1976. Dopo aver richiamato la scarsa produttività degli investimenti meridionali (< il rapporto marginale medio capitalereddito del settore industriale risulta nel Mezzogiorno all'incirca doppio dell'analogo rapporto del Centro-Nord », p. 8), l'A. ricorda l'importanza delle economie esterne, e in particolare della qualità dei servizi alla produzione (.pp. 14-18) che hanno tipicamente sede nelle città moderne (pp. 18-23). «Nelle regioni sviluppate le città offrono [ ... ] le condizioni necessarie all'esercizio della funzione imprenditoriale, che è essenzialmente quella di decidere. In esse è massima la possibilità di acquisizione e di controllo delle informazioni e delle idee, massima la possibilità di contatti, soprattutto con clienti, fornitori, finanziatori, consulenti, massima la possibilità di innovare prodotti e metodi di produzione, canali di finanziamento e mercati, rapporti interni ed esterni all'impresa, ed anche di scambiare favori e di esercitare pressioni. Le funzioni imprenditoriali, siano esse quelle assolte dai quartieri generali delle grandi imprese o da singoli imprenditori, tendono a concentrarsi all'interno o in prossimità delle grandi aree metropolitane nazionali. Le regioni arretrate possono far conto soprattutto sul decentramento dei processi materiali di produzione, se e in quanto distinguibili dai processi decisionali, sul decentramento, cioè, non delle imprese, ma degli impianti. Ed è questo un altro aspetto importante di quel rapporto di dipendenza che viene ad istituirsi tra regioni periferiche e regioni centrali in un processo di industrializzazione: un rapporto che non può essere semplicemente imputato ad una politica perversa, ma che trae origine da condizioni obiettive, di cui, peraltro, la politica regionale di sviluppo deve tener conto. L'elemento critico di tale rapporto è la diversa natura del fenomeno urbano nelle regioni centrali e nelle regioni periferiche: una diversità che è venuta drammaticamente emergendo negli ultimi anni fra Mezzogiorno e Centro-Nord» (p. 23). Che sullo sviluppo economico influisca fortemente un « effetto città o è acquisizione 'pacifica ormai da tenipo. Ma che esso possa spiegare il divario di produttività del capitale delle «due Italue o, e che esso lo spieghi anche per quei settori (come
71 la siderurgia) i cui « quartieri generali)> non sono certo nel Sud, che non esistano aree del Centro Nord (poniamo, le province di Belluno o di Macerata) dove l'« effetto città » è più debole che in certe aree del Sud (come la provincia di Bari), o che il drastico peggioramento della produttività nelle industrie meridionali abbia qualcosa a che vedere con esso, non è pensabile nemmeno in prima, grossolana istanza. 133 M. AMENDOLA - P. BARATTA,
Investimenti indu-
striali..., cit. 134 Esemplare è il caso delle imprese metallurgiche, dove «l'elevato assorbimento di investimenti in rapporto agli incrementi di valore aggiunto ottenuti trova certamente [sott. mia] spiegazione in primo luogo nelle caratteristiche tecniche dei tipi di attività realizzati nel Mezzogiorno, ed in particolare nella elevatissima intensità di capitale per addetto» (ibidem, p. 53). (A questo punto sarebbe stato ovvio chiedersi perché si sono istallate nel Mezzogiorno proprio quelle attività, cosa le ha indotte e perché si è voluto indurle a tale ubicazione; domande tranquillamente ignorate dagli Autori). Tre pagine prima si incontrano, nelle tabb. 19 e 20, i valori che han meritato tanto sottile esplicazione:
Saggi medi annui di variazioné percentuale 1963-1973
Mezzogiorno Investimenti fissi lordi
Centro Nord
8,3
-
Valore aggìUn-
3,7
to ..............17,4
6,6
8,5
5,2
pato...........8,5
5,2
Occupazione V.A. per occu-
Rapporto medio (%) 2 Invost./V.A.
24,4
00,4
uno aveva sofferto di fegato, l'altro era stato allattato artificialmente, l'altro ancora... 135 Si vedano, ad es., le conclusioni. Qui si costata che gli incentivi nel Mezzogiorno hanno favorito l'installazione di impianti piuttosto che lo sviluppo di imprese (.pp. 105.106), che le due cose sono del tutto diverse (.pp. 108.109), che - peraltro gli incentivi capaci di sviluppare nuove e vecchie imprese o spostare imprese da altre regioni (pp. 110.112) dovrebbero essere troppo elevati, discrezionali e quindi rischiosi. «Da quanto finora si è detto emerge dunque come il sistema degli incentivi - per propria natura ed in ragione dei limiti che ne impediscono un utilizzo in forme flessibili e discrezionali difficilmente possa conseguire effetti diversi da quelli conseguiti nel più recente passato ed illustrati nella presente ricerca. Se dunque tale sistema rappresenta tuttora un efficace strumento per indurre, pur nei limiti richiamati, decentramenti di impianti verso l'area meridionale, non sembra possibile affidare soltanto ad esso il perseguimento dell'obiettivo di un più completo sviluppo industriale, tale da realizzare un'effettiva integrazione del Mezzogiorno con le aree sviluppate dell'Europa. Ciò appare tanto più vero in un periodo nel quale più rapidi mutamenti nel quadro interno ed internazionale accelerano l'evoluzione delle imprese operanti nelle aree più sviluppate. Ne segue la necessità che la politica di industrializzazione nel Mezzogiorno affianchi al sistema degli incentivi forme più dirette di intervento da parte dell'azione pubblica. Quest'ultima deve cioè non solo intensificare iniziative volte alla promozione dell'attività imprenditiva 'privata, ma accentuare il proprio impegno diretto attraverso gli istituti dell'imprenditivjtà pubblica» (pp. 113-114). 136 Cfr. A. GRAZIANI - E. PUGLIESE (a cura di), Investimenti e disoccupazione nel Mezzogiorno (in particolare, A. GRAZIANI, Il Mezzogiorno nel quadro dell'economia italiana), Il Mulino, Bologna 1979; A. DEL MONTE - A. GIANNOLA, Il Mezzogiorno nell'economia italiana, Il Mulino, Bologna 1978; A. DEL MONTE, Relazione, in Strumenti cre-
ditizi e fiscali nelle politiche di sviluppo regionale, «Quaderni Isveimer », n. 23-24, 1980; A.
GIAN-
Industrializzazione, dualismo e dipendenza economica del Mezzogiorno negli anni settanta,
NOLA, Incidenza »orcentuale del Mezzogiorno sull'Italia (valori modi nei trienni indicati) 1951-63 Inveotinonti fissi lordi
-
Valore aggiunte .............. 5,6 Occupazione
....
7,5
.
1961-63
1971-73
37,9
69,8
6,6
16,6
8,2
15,4
In generale, il metodo del «caso per caso » qui del « comparto per comparto » - ricorda chi, dovendo spiegare una malattia epidemica, dopo attenta anamnesi crede di poterla esplicare riferendo che, dei colpiti dal morbo, uno era affetto da asma,
«Economia Italiana », n. 1, febbraio 1982. 137 A. GRAZIANI, Il Mezzogiorno..., cit., p. 37. 138 J mutui stipulati a tasso agevolato nel Mezzogiorno nel periodo 1 0 gennaio 1961-31 dicembre 1971 a favore dei settori «tradizionali» (Alimentari e trasformazione dei prodotti del suolo, Tessili e abbigliamento, Pelli e cuoio, Legno, Materiali da costruzione vetro e ceramica) sono stati pari al 52% del totale dei mutui stipulati, per un finanziamento pari al 19,1 della somma globale stipulata, a sostegno di investimenti fissi equivalenti al 17,7% dell'insieme degli investimenti fissi incentivati (COMITATO dei MINISTRI per il MEZZOGIORNO, Appendice statistica a corredo della
Relazione sull'attuazione del Piano di Coordinamen-
72 to, presentata al Parlamento il 30 aprile 1972, cit., tab. 17, pp. 274-275). I contributi in conto capitale deliberati nello stesso periodo dalla Cassa per il Mezzogiorno a favore dei medesimi settori « tradizionali» hanno rappresentato il 73,3% nel numero, il 38,1% nell'importo e il 40,7% nel costo delle opere ammesse a contributo nell'intero settore manifatturiero. (Ibidem, tab. 10, pp. 92.93). 139 Riprendiamo le seguenti tabelle da AMENDOLABARATTA, Investimenti industriali..., cit., rispettivamente alle pp. 87, 82, e 69.
Minerali non rnetalliferi. Saggi modi annoi di varianiodo periontuulo.e lIvelli di occuinulaziono Mozzogiom,o
Aggregati
r-- --
1951-63
InvestImenti lordi. (ioni
-
7,9
11,9
0,0
.
5,3
0,3
V.A. poi occupate
6,2
Ilapporto n,clio (%( Inveut./V.A,
-
Valro aggiunto lloeapaziooe
......
Contro Nord
1963-73
5,7 (
1951-63 ( 1963-73
0.0
-
(
10,4
6,0
3.0
- 0.4
7.2
6,4
-
27,5
-
I
12.0
- Teooile. Saggi medi di variazione percentuale e livelli di accunulazinne Mezzogiorno
Contro Nord
Aggregat i
Inveotinenti ior,li fieni
1951-63
963-73
-
21,7
....
1951-63
1963-73
-
Valore aggiunto
.7.6
11,4
7, 5
Oecupazion
0,8
3,1
- 1O
V.A. per occupi tu ..............
(,,7
4,8
8.4
6,6
1la>ijorio medio () luvent./\'.A.
-
18,6
-
2,2
.........
4,11 7
-
- Carta i' carLo> ecnioz,. Incidenza percentuale dei Mozzoginrnn coll'italia (valori m.,Ii nei trjenoj indicati Aggregati
1951-53
1961-63
-
lnveet linee 1.1 lordi (ioni
1971-73
21,2
73.3
...
6,0
73
7,2
Oicopazi one.......
7.6
7,2
Valere aggieict,,
- Olezzi d i L
r,,
(valori celi
chi
Aggregati
1 ,,c iilcozap
,t'ml.,iale dcl col llLiiIi,
1cl ozi, i iielicati(
r
1951-53
Investirncoti lordi fioi
10,2
-
27.0
140 Ancora da AMENDOLA - BARATTA, Ibidem, p. 55 e p. 76.
Chimiche oatfj,,i. Incidenza percentuale dal Mezzogiorno nuli 'Italia (valori modi noi trionul lodicotj) Aggregati Invontiepnti lordi fissi Volere aggiunto Occupazione
1951-53
1961-63
1971-73
-
38.5
54.8
10,1
10,1
15.3
8.6
8.6
13.5
141 Così la legge 853/1971 prescrive (art. 10, comma 170): «La concessione dei contributi [ ... ] è subordinata alla dimostrata disponibilità, da parte delle imprese, di un ammontare di capitale pro. prio non inferiore al 30 per cento dell'investimento fisso; [ ... ] ». La 1. 183/1976 all'art. 15 detta: « in ogni caso la somma percepita dall'imprenditore a titolo di finanziamento agevolato per investimenti fissi e di contributo [in conto capitale] previsto dal precedente articolo 10 non dovrà superare la misura del 70 per cento degli investimenti fissi. Detta aliquota massima è aumentabile solo per le maggiorazioni previste dai commi quarto e quinto dell'articolo 10 ». I commi richiamati prevedono l'aumento di un quinto del contributo in conto capitale « a favore di specifici settori da sviluppare» — e dall'elenco compilato dal ministro De Mita ben 'pochi settori restarono esclusi — e di un ulteriore qtiinto per le iniziative <i che si localizzano nelle zone riconosciute particolarmente depresse ». Così, il «tetto » del 70% poteva essere elevato all'86% per gli investimenti fino a 2 miliardi di lire (il 56% poteva essere ottenuto <o a fondo perduto »), all'82% (di cui il 42% in conto capitale) per la quota di investimento compresa tra i 2 e i 7 miliardi, etc. 142 CASSA per il MEzZOGIORNO, Bilancio 1972, Relazione, Roma 1973, -pp. 8-9. 143 Cfr. M. CANINO, I nuovi incentivi per il Mezzogiorno, «Rassegna Economica », maggio-giugno 1976, ora in F. MARZANO, (a cura di), Incentivi e sviluppo..., cit., in part. § 5.2, Il cumulo di provvidenze (pp. 580-584) e, con accezione più lata, G. VISENTINI, Le più recenti agevolazioni finanziarie all'industria, « Rivista di Economia e Politica Industriale o>, settembre-dicembre 1979, in parI. -pp. 437-438. 44 Questo spiega perché, mentre i teorici dell'incentivazione sostengono che le agevolazioni possono influenzare solo l'ubicazione degli impianti, gli incentivi •per il Mezzogiorno, che si pongono a livelli che quei teorici non possono sospettare, sono all'origine di decisioni di investimento altrimenti impossibili. 115 A. SABA, Il Mezzogiorno nella costruzione di una società diversa, «Economia e Territorio o>, luglio-agosto 1975, p. 5. Interessanti in argomento le riflessioni condotte nel corso di un'indagine da S. SCIARELLI - P. STAM-
73 PACCHIA, Imprenditoria locale e sviluppo industriale. Il caso della Campania, Istituto superiore per la formazione aziendale, Salerno 1978 (in part., p. 214). A livello di analisi economica e finanziaria il tema è da anni oggetto di studio. Di rilievo è la sintetica relazione svolta alla Commissione programmazione economica, bilancio e partecipazioni statali del Senato il 25 gennaio 1979 dall'allora direttore generale della Banca d'Italia, Carlo A. Ciampi. Tra l'altro: « L'analisi delle determinanti degli investimenti industriali conferma l'importanza della disponibilità e del costo del credito, ma nel contempo rivela i limiti di una politica economica che si basi essenzialmente sull'espansione dei mezzi di finanziamento per accrescere l'accurnulazione del capitale. [.1 «Un'indicazione quantitativa del ruolo crescente dell'indebitamento ed in particolare dei finanziamenti delle istituzioni creditizie è offerta dal rapporto tra i finanziamenti alle imprese e gli investimenti lordi privati, salito, escludendo le abitazioni, dal 68,2% in media negli anni 1964-69 all'80,4% negli anni 1970-77. Nell'ambito dei 6nanziamenti, nonostante la decelerazione negli anni .più recenti, è aumentato il peso dei mutui a medio e a lungo termine, anche per effetto della fiscalizzazione da parte dello Stato di una parte del loro costo; i mutui agevolati hanno così assunto il ruolo di sostituti del capitale di rischio », Impresa e crisi finanziaria, «Mondo Economico », 24 febbraio 1979, p. 86. 146 Con riferimento a uno dei due incentivi finanziari, A. MARZANO annotava: « Se principali destinatarie del credito agevolato sono le imprese meno efficienti, o maggiormente sottoposte a strozzature e vincoli di carattere settoriale, si riduce l'elasticità del prodotto reale al credito globale. Ad una eguale espansione di quest'ultimo si accompagnano dunque •più alti tassi di inflazione; i quali si ritorcono in effetti costrittivi della domanda privata in termini reali. Giova notare che quest'ultimo ti.po di risultati sfugge ad un esercizio che sia condotto unicamente sugli effetti moltiplicativi o demoltiplicativi sulla domanda globale delle varie entrate e spese pubbliche (incluse le spese di trasferimento); e che non tenga conto delle elasticità delle distinte componenti dell'of ferta reale », Agevolazioni ed economicità nella gestione del credito, « Economia Italiana », giugno 1980, pp. 330-331. 147 Già nel 1960, quando il livello di incentivazione era incomparabilmente più modesto di quello successivamente prevalso, G. ACKLEY e L. DINI così concludevano il noto studio: «L'effetto principale delle attuali agevolazioni è di ridurre i costi annui in conto capitale. Ciò significa che le agevolazioni incoraggiano principalmente le industrie a intensità di capitale relativamente alta, e meno quelle i cui maggiori costi sono per la manodopera e le materie prime (inclusi i prodotti agricoli e minerari del Sud). Ci si può chiedere se, in un'economia le cui caratteristiche principali sono l'abbondanza di lavoro
e la carenza di capitale, sia desiderabile promuovere l'industrializzazione seguendo un sistema che incoraggia le industrie a capitale intensivo. Un sistema che invece sussidiasse o facilitasse non gli investimenti di capitale ma la produzione corrente costituirebbe uno stimolo molto diverso », Agevola-
zioni fiscali e creditizie per lo sviluppo industriale dell'Italia meridionale, « Moneta e Credito », n. 49, 1960, ora in F. MARZANO (a cura di), Incentivi e sviluppo..., cit., p. 224. 148 Cfr., L.E. DAVIS - R.E. GALLMAN, La formazione del capitale negli Stati Uniti durante il XIX secolo, in Storia economica di Cambridge, vol. 1, L'età del capitale, tomo 2 0, Stati Uniti, Giappone, Russia, Einaudi, Torino 1980. « Può verificarsi [ ... ] un cambiamento dei prezzi relativi, in favore del capitale [ ... ]. In presenza di una diminuzione del costo del capitale rispetto ai costi degli altri fattori, va ritenuto normale che gli imprenditori modifichino le proporzioni dei fattori, con un processo di sostituzione destinato probabilmente ad aumentare il rapporto capitale/prodotto », (p. 19). «Una volta costatata l'ampia diffusione di un uso più intensivo del capitale e la tendenza verso il basso [ ... ] del saggio reale d'interesse, si presenta spontanea la conclusione che l'incremento del rap.porto capitale prodotto possa essere stato provocato da un abbassamento del costo relativo del capitale, come confermano anche i dati, pur frammentari, sul costo relativo del capitale stesso », (p. 29). 149 «Di regola un'azione di investimento intensivo, dato che consiste nella sostituzione del capitale agli altri fattori, farà diminuire il costo totale di produzione solo riducendosi i costi variabili più di quanto faccia aumentare i costi fissi; cioè renderà più rigida la struttura dei costi dell'impresa. [.1 E' evidente che quando la produzione futura è estremamente incerta e quando i costi fissi si dimostreranno un pesante onere nei periodi di bassa produzione, la flessibilità, conseguente all'investimento, è forse uno dei principali ostacoli agli investimenti intensivi », R.M. BIsSEL JR., Il saggio d'interesse, in A. NANNEI (a cura di) La politica degli investimenti, F. Angeli, Milano 1974, p. 196. « Particolarmente colpiti risultano i comparti produttivi caratterizzati da elevata intensità di capitale ed elevate dimensioni di impianto. La brusca ed im.prevista riduzione della domanda non trova qui una pronta capacità di ridurre l'offerta, se non a condizioni disastrose per P conti economici delle imprese. L'esistenza di costosi impianti insufficientemente utilizzati genera perdite, ma la loro chiusura si prospetta spesso a costi economicamente insostenibili per le imprese, anche a prescindere dalle conseguenze sociali sui lavoratori occupati », MINISTERO dell'INDUSTRIA, del COMMERCIO e dell'ARTIGIANATO, Relazione sullo stato dell'industria italiana, Roma, novembre 1977, p. 4. 150 « Si può esprimere l'osservazione generale che nella scelta degli investimenti la grande impresa abbia privilegiato maggiormente la ricerca di una
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74 dimensione maggiore per sé o l'accrescimento dell'occupazione. Più in particolare si può dire che il primo obiettivo ha caratterizzato numerose imprese private, mentre il secondo ha accompagnato l'azione di gran parte delle imprese a partecipazione statale. Il problema della qualità dell'investimento comunque è stato normalmente sottovalutato. Questo atteggiamento diffuso nei confronti dell'investimento ha provocato due effetti spesso concomitanti: la creazione di capacità produttiva in eccesso e lo scadimento della competitività della produzione », C.M. GuERcI, Il nodo della grande un presa, « Mondo Economico », 22 novembre 1980, pp. 44-45. « [.] l'apparente esistenza di un'associazione significativa tra elasticità di sostituzione istantanea dei fattori ed elasticità di utilizzazione [..j sembra confermare l'ipotesi, che lo scostamento dell'utilizzazione effettiva della capacità da quella programmata sia direttamente proporzionale alla rigidità dei processi produttivi, cioè a una scarsa possibilità di sostituire lavoro a capitale, nel breve periodo, ad impianti dati. Se quindi, i prezzi relativi dei fattori produttivi "contano" ai fini delle scelte circa la combinazione dei fattori produttivi medesimi e circa il loro periodo di utilizzazione, è facile rendersi conto
delle conseguenze dei fenomeni analizzati per i livelli di occupazione e di reddito e, in ultima analisi, per lo sviluppo del sistema economico. Un semplice modello di crescita del tipo "Harrod-Domar" può metterlo in evidenza, facendo dipendere il tasso di sviluppo dal rapporto marginale prodotto/capitale moltiplicato per la propensione marginale al risparmio. Allorché si tenga conto del tasso di utilizzazione del capitale, un aumento di questo consentirà, a parità di altre condizioni, una riduzione del tasso di risparmio (accumulazione) necessario a sostenere ogni dato ritmo di crescita del sistema », CENTRO STUDI dell'AssocIAzIoNE INDUSTRIALE LOMBARDA, L'utilizzazione degli impianti industriali, « Mondo Economico », 21 gennaio 1978, supplemento speciale, p. 38. 151 Dai dati raccolti da F.E. CAROLEO, Un indice regionale della capacità produttiva utilizzata, « Rassegna Economica », novembre-dicembre 1979, che stima la capacini produttiva in base alle ore lavorate, e in particolare dalla tab. 2. Indice della capacità produttiva inutilizzata per regioni (p. 1465), si ricava che, nel periodo 1970-1977, nelle regioni meridionali la capacità produttiva inutilizzata è stata mediamente superiore di circa il 30% alla capacità produttiva inutilizzata nelle altre regioni italiane. Cfr., anche CENTRO STUDI dell'AssoclAzxot.m INDUSTRIALE LOMBARDA, L'utilizzazione..., cit., pp. 42-43, e M. TALAMONA, Sono ancora notevoli i
margini per recuperare capacità produttive, «Il sole - 24 ore », 26 marzo 1980. 152 « Tale sviluppo [degli incentivi alla piccola industria meridionale], proprio per le modalità con cui è stato portato avanti, ha determinato un accrescimento delle capacità produttive delle singole imprese, che da artigianali sono divenute "industriali" per dimensioni, ma non ha consentito l'evoluzione dei modeffi di comportamento e di ge-
stione, che sono rimasti sostanzialmente immodificati. [...] Molto spesso, anzi, le modalità della crescita sono state slegate da corrette valutazioni dei rischi connessi all'investimento di capitale e alla gestione, causando difficoltà non lievi nei momenti di crisi successivi », L. SiccA, Relazione, in Strumenti creditizi..., cit., p. 253. Una ricerca dell'ARPEs riscontra come imprese, che hanno fatto largo ricorso agli incentivi e che hanno compiuto investimenti cospicui, hanno operato fuori di ogni programma di lungo periodo; alcune di esse, dopo aver realizzato un notevole aumento della capacità produttiva e dell'occupazione, hanno avuto la loro espansione annullata in pochi anni. Altre dimostrano «l'incapacità di utilizzare in modo innovativo i finanziamenti agevolati », I pro-
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cessi decisionali nelle piccole e medie imprese del Mezzogiorno, Ricerche e Studi Formez, Napoli 1976, pp. 62-65. Cfr., anche S. SCIARELLI - P. STAMPACcHIA, Imprenditoria locale..., cit., passim; in part., pp. 3132 e p. 38. 133 «Non è escluso che, in una logica di investimenti ad ogni costo talora prevalente, tale mancato esito degli sforzi in direzione del miglioramento delle combinazioni produttive possa essere letto come conseguenza di impegni di risorse finanziarie per i quali le motivazioni economiche si siano rivelate sempre più estranee. Il fenomeno potrebbe essere in particolare una conseguenza diretta della notevole espansione dei trasferimenti dall'area pubblica all'area direttamente produttiva tramite i quali i mezzi finanziari sono fluiti alla produzione fuori dei normali meccanismi di intermediazione e a tali condizioni di favore da non indirizzare alla ricerca di opportunità ottimali in termini di efficienza e produttività », G. ZANETTI P. FRICER0, Intensità e direzione dell' accumulazione nell'esperienza industriale italiana, in R. PRODI - F. GOBBO (a cura di), Per una ristrutturazione..., cit., p. 132. E' stato sovepte osservato come ampliamenti anche cospicui finanziati attraverso gli incentivi ilnanziari non siano opportunamente utilizzati, e talvolta conducano al fallimento delle aziende, per. ché al cambiare della domanda di mercato o della commessa, l'imprenditore non sa agire riorientando opportunamente i processi produttivi, anche se i mutamenti che egli dovrebbe apportare sono sostanzialmente esigui. L'ARPES, ad es., ricorda - tra le piccole aziende meccaniche dell'area napoletana - « il comportamento adottato dalle imprese del settore elettromeccanico agli inizi degli anni '70, quando il progressivo esaurimento dei programmi di elettrificazione ha comportato una notevole riduzione della domanda. Quasi tutte le imprese del settore, anziché avviare programmi di riconversione, si sono limitate a perseguire l'obiettivo della riduzione dei costi di produzione attraverso processi di razionalizzazione che hanno determinato l'espulsione di quote rilevanti di manodopera ». Non molto diverso sarebbe il caso delle aziende meccaniche caratterizzate «da rapporti di commessa instabile sia rispetto al volume della domanda (soggetta a con-
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75 tinue oscillazioni), sia rispetto ai fornitori. Si tratta di imprese che operano in condizioni di elevata concorrenza e che, nelle fasi di caduta della domanda, vengono automaticamente a trovarsi nella condizione o di ridurre drasticamente il volume di attività o di cessare la produzione », i processi decisionali..., cit., pp. 49-50. 154 « In effetti la speculazione viene spesso intesa nel Mezzogiorno come unico risvolto agibile dell'attività imprenditoriale, ma sarebbe necessario, piuttosto che dare valutazioni in termini moralistici, cercare di spiegare l'orientamento alla speculazione come funzione della precarietà produttiva », Ibidem, pp. 150-151. 155 G. RurroLo ricorda come i grandi gruppi di determinati settori perseguissero aumenti di capacità produttiva come «una prenotazione di spazi futuri senza eccessive preoccupazioni immediate », Rapporto sulla programmazione, Laterza, Bari 1973, p. 18 e A. DEL MONTE riferisce: «Gruppi con capacità finanziarie limitate utilizzando la politica degli incentivi sono riusciti, o hanno tentato, di guadagnare quote rilevanti del mercato nazionale o estero, a prezzo però di risultati economici estremamente negativi, che hanno portato o alla chiusura degli stabilimenti o a situazioni vicine al collasso. Tali fallimenti sono stati da più parti imputati alla scarsa capacità di progettazione cli tali gruppi, dettata fra l'altro dal fatto che le risorse finanziarie utilizzate erano ottenute, in gran parte, a costo zero », Relazione, cit., p. 301. 156 Oltre a un forte contributo sull'occupazione (art. 31) - del quale ci occuperemo in seguito il ddl Macaluso dispone che i Medio crediti regionali e gli istituti di credito speciale meridionali « sono autorizzati ad assumere partecipazioni di minoranza al capitale di rischio delle piccole e 'medie imprese industriali» (art. 23), che presso l'IMI un analogo fondo svolge le stesse funzioni per le società che hanno in corso processi di riconversione e che realizzano « congrue iniziative industriali nel• le Regioni meridionali » (art. 24), che le imprese « sono ammesse ai finanziamenti a medio termine agevolati per un importo pari al 30 per cento degli investimenti globali - elevato al 60 per cento per le imprese piccole e medie non rientranti tra quelle di cui all'articolo 23 - ad un tasso pari a quello di riferimento ridotto di tre punti percentuali » (art. 25), che il CIPI attua opportune manovre attraverso le commesse pubbliche (art. 28). 157 La Proposta Di Giesi distingue quattro tipi di zona: a) che sono state .protagoniste di un soddisfacente processo di sviluppo; b) in cui tale processo è stato limitato; c) con sovrapopolamento e degrado urbano; d) sostanzialmente statiche. Il contributo base in conto capitale rimane quello vigente, regolato dal TU, ma esso non spetta agli impianti che si localizzano nelle aree a), mentre per quelli localizzati nelle aree c) e d) «è aumentato di due quinti» (cioè diventa pari al: 56% per lo scaglione fino a 2 miliardi; 42% per lo scaglione dai 2 ai 7 miliardi; 28% sull'intero importo investito qualora esso superi i 15 miliardi); la disciplina del credito agevolato non subisce sensibili variazioni (articolo 8).
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Il ddl Capria dispone: - finanziamenti agevolati. Su un mutuo stipulato a tasso di mercato con un istituto di credito, e che non può superare il 40% dell'investimento, la Cassa dà, per un massimo di 10 anni, un contributo pari al 70% (all'80 per le iniziative ubicate in Basilicata e in Calabria) del tasso pattuito; se l'iniziativa supera i 30 'miliardi, il contributo si riduce - secondo la localizzazione - al 60 o al 70%; - il contributo in conto capitale, per le iniziative fino a 30 miliardi è pari (in funzione, sempre, della regione di ubicazione) aI 30 o 40%, se superiori ai 30 mld. al 20 e 25% (artt. 20 e 21). Si noti che il ddl Capria passando dal sistema «a scaglioni » (adottato nella 1. 183 e nel TU del 1978) a quello per entità globale dell'investimento nell'attribuzione del contributo in c.c., 'penalizza le imprese minori, aumenta l'importo medio di contributo per gli investimenti di più elevate dimensioni (ad es., escludendo dal computo le eventuali maggiorazioni ammesse, per un investimento di 2 mld. si ottengono 720 milioni in base al TU contro i 600 di Capria; ma per un investimento di 15 mld., si ottengono 3,82 mld, in base al TU e ben 4,5 mld. in base al nuovo ddl. In particolare, rispetto al regime vigente sarebbero fortemente premiati gli investimenti compresi fra i 10 e i 30 mifiardi) e va incontro alle assurdità che contraddistinguono questo sistema (ad es., nel caso di un investimento di 32 miliardi, l'imprenditore ottiene un contributo di 6,4 mld., ma se ne denuncia o giustifica solo 25, il contributo sale a 7,5 miliardi. Converrebbe sempre denunciare una cifra di poco inferiore ai 30 miliardi - per 29 mld., ad es., il contributo è pari a 8,7 mld. - fino a quando l'investimento non superi la cifra di 44 miliardi. Cioè, a dichiarazioni veritiere, oltre la soglia dei 30 mld., l'imprenditore ricava un minor contributo anche per un investimento superiore di circa il 50% a tale soglia). Discorso analogo vale per il credito agevolato. Il ddl Signorile non parla di finanziamenti agevolati e fissa il contributo al 30% per le aree « Cassa» non comprese nel Mezzogiorno geografico, al 4517o iper le residue zone meridionali salvo Basilicata e Calabria, per le quali il contributo sale al 55%. Il contributo è dimezzato per gli investimenti superiori ai 40 miliardi (art. 18). Nell'edizione di fine inverno viene introdotto, oltre a un nuovo criterio di quotizzazione 'del contributo, il sistema a scaglioni: il contributo mantiene i vecchi importi solo per i primi 5 miliardi investiti e scende per gli scaglioni successivi (fino a 20, e da 20 a 60 mld.) tanto più rapidamente quanto più si 'passa dalle regioni meno a quelle più sviluppate. 158 S. CASSESE-G. GRAZIOSI, Ancora in tema di incentivi, « L'Industria », aprile-giugno 1981, p. 140. 159 E. MARANO, Perché è più difficile..., cit., p. 21. Identica richiesta in E. MARANO, Incentivi? Si grazie ma trasparenti e automatici, « Il sole-24 ore », 26 novembre 1981. A loro volta, gli industriali sardi - in un documento presentato nel gennaio 1981 - pongono tra le loro proposte « quella di inserire nella nuova legge sul Mezzogiorno indirizzi per una nuova politica economica, prevedendo il finanziamento a tas-
76 so agevolato nella misura del 90% della spesa per gli investimenti, senza contributi a fondo perduto. Viene, inoltre, proposto il finanziamento a tasso agevolato nella misura del 50% delle scorte necessarie all'impresa », Gli industriali sardi chiedono più incenhivi agli investimenti, « Il sole-24 ore », 14 gennaio 1981. Cfr. anche « L'Unione sarda » e « La nuova Sardegna» del 13 gennaio. 160 Cfr., V. PONTOLILLO, Il sistema di credito speciale in Italia, Il Mulino, Bologna 1980; L. MuNARI, L'evoluzione della situazione finanziaria delle imprese, F. Angeli, Milano 1979 (in part., pp. 124134); F. CALAMANTI, Il mercato mobiliare italiano, F. Angeli, Milano 1977 (in part., .pp. 42-43). 161 R. Ruozi, Rapporto sul mercato dei finanziamenti in Italia, F. Angeli, Milano 1977, p. 57. 162 A. CONFALONIERI, Il credito industriale, Giuffré, Milano 1960, p. 36. 163 Secondo F. TESTA, nell'esperienza dell'IsvEIMER « questa mancanza di selettività si è anche riflessa nell'automatisino con cui l'Istituto si è tempo per tempo orientato al servizio delle categorie imprenditoriali (pubbliche o private ma con una certa preferenza per le prime) che si sono dimostrate più pronte a cogliere le opportunità di tale fonte di finanziamento degli investimenti », Sull'industria
manifatturiera meridionale: analisi dei finanziamenti e dell'attuale struttura produttiva, in ISVEIMER, Credito industriale e sviluppo del Mezzogiorno, 1981, p. 337. A. SABA, Nuovi elementi..., cit., p. 24. 165 BANCA D'ITALIA, Assemblea Generale Ordinaria dei partecipanti, Roma 1979, Sp. 379. 166 L. CAPPUGI, La miglior riforma è l'abolizione, «Mondo Economico », 30 settembre 1981, p. 11. 187 S. GoLzIo, Le preoccupazioni del banchiere, Relazione all'assemblea dell'Associazione Bancaria Italiana, Roma, 4 luglio 1980, in «Mondo Economico », 19 luglio 1980. 168 G. Jovi, Emilia Romagna: una formula con164
creta per l'industrializzazione del Meridione, « Il sole - 24 ore », 25 settembre 1979; A. GuzzINATI,
Investire nel Mezzogiorno: cosa pensano gli industriali emiliani, « l'Unità» dello stesso giorno; Industriali. Agli emiliani il Sud piace ancora, « L'Espresso », 4 maggio 1980, p. 142; G. CESARINO,
Uno studio degli industriali cam pani. Fondi pubblici per 15 mila miliardi non hanno ridotto i ritardi del Sud, «Il sole - 24 ore », 8 maggio 1981. 169 ARPES, I processi decisionali..., cit., .pp. 62, 63, 64, 99, 100, 107-108, 48 e 143. 170 S. CASILLO, Verso un'economia sommessa, « Rassegna Economica », luglio-agosto 1981. 171 S. SCIARELLI, Relazione, in Strumenti creditizi..., cit., pp. 189-198, in part. p. 194. 172 R. CATANZARO, L'agire imprenditoriale in un'economia dipendente, «Sviluppo », gennaio-marzo 1979, pp. 22, 23, 26 e 27. 173 Cfr., anche F. TESTA, Alcune considerazioni sui risultati delle politiche industriali, in R. PRODI F. GOBBO (a cura di), Per una ristrutturazione..., cit., alle pp. 238-239 (in •part.: « L'indagine mostra che l'interlocutore dell'intervento pubblico nel
caso delle piccole e medie imprese meridionali non è la categoria imprenditoriale, ma la categoria professionale, nel Sud molto diffusa, dei consulenti commerciali e fiscali ») e L. SARTORI, Cassa (privata) per il Mezzogiorno, « L'economico », n. 65, settembre 1980 (un intervistato: « In compenso la Cassa ha dato un considerevole impulso alla crescita dei commercialisti che per svolgere una pratica arrivano a chiedere anche il dieci per cento sui contributi richiesti 1>, Sp. 3). Va peraltro ricordato che l'intermediazione di consulenti professionisti, per l'ottenimento del credito agevolato, si diffonde ovunque sempre più, anche se è ben lontana dalla diffusione e dall'indispensabilità che riveste, da tempo, nel Mezzogiorno (cfr. L. PAuLETTO, L'esercizio del credito speciale e le esigenze
di finanziamento delle imprese industriali e com merciali, « Il Risparmio », maggio 1980, e le parole del •presidente dell'IMI L. Arcuti, in A. SiMONETTI (pagina a cura di), Il credito agevolato? Un ricordo, « Corriere della Sera ». 22 ottobre 1981). Anche sul fenomeno, in parte analogo e in parte connesso a quello in discorso, dei « circuiti consolidati » presso gli istituti erogatori, per cui non sono rari i casi di finanziamenti ricorrenti a breve distanza di tempo per le medesime imprese entrate « nel giro », varrebbe la pena compiere una analisi più approfondita. Cfr., A. LASSINI - A. RIvA, Investimenti e agevolazioni (risultati di una indagine della Regione Lombardia), « Mondo Economico », 3 novembre 1979. 174 L'espressione è di G. CUCINOTTA, Il ruolo degli incentivi finanziari alle imprese, in A. ACCORNERO - S. ANDRIANI (a cura di) Gli anni '70..., cit., Sp. 325. 175 « La verifica del turn down rate [...], del numero cioè di iniziative respinte rispetto al numero di iniziative approvate, nonché dei motivi e delle ragioni addotte per non ammettere ad incentivo l'iniziativa, evidenzia un turn down rate degli incentivi Cassa di gran lunga inferiore alla media degli altri paesi della Comunità, ed una prevalenza di impedimenti burocratico-formali piuttosto che sostanziali nei confronti delle poche iniziative bocciate, laddove una maggiore selettività avrebbe probabilmente scongiurato alcuni poco convincenti episodi di industrializzazione del Mezzogiorno (e forse non solo quelli) recentemente venuti all'attenzione della magistratura ». A. CENDALI PIGNATELLI, Gli incentivi comparati, «Nord e Sud », lugliosettembre 1980, p. 144. 176 A. SABA, Il Mezzogiorno nella costruzione..., cit., p. 5. 77 F. TESTA, Sull'industria manifatturiera..., cit., Il dato risulta dal confronto tra la « Tab. 1. Stabilimenti finanziati dall'Isveimer per regione e stato di operatività» (pp. 318.319) e la « Tab. 10. Stabilimenti finanziati attivi per regione e anno di costruzione al 31-12-1979 » (.p. 331). 178 R. ARTI0LI - R. BARBERIS - F. IAN0, L'economia delle piccole e medie industrie in Italia, Fondazione G. Agnelli, Torino 1978; P. De Vita, Aree emergenti..., cit.
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77 179 S. PrRIccIoa, L'industrializzazione tradita, Guida, Napoli 1980, p. 59. 180 L'espressione è di A. MARZANO, Agevolazioni ed economicità..., cit., p. 315. 181 G. FuÀ, Problemi dello sviluppo tardivo in Europa, Il Mulino, Bologna 1980. 182 Di eccezionale interesse e rilievo A. NIccoLI,
Razionamento del credito e allocazione delle risorse, Il Mulino, Bologna 1979. 183 F. CAVAZZUTI, Finanza pubblica e ruolo dello Stato, Relazione al convegno del Cendes su Lo Stato assistenziale, Firenze, 27-28 gennaio 1979, ora in « Inchiesta », gennaio-febbraio 1979. 184 0. CASTELLINO, La previdenza sociale in Italia: quanto sociale e quanto previdente ?, Relazione alla XXI" riunione scientifica della Società italiana degli economisti, 4 novembre 1980, riportata in « Rivista di Politica Economica », febbraio 1981, pp. 164-166. 185 Cfr., CENsIs, Costi del lavoro e fiscalizzazione degli oneri sociali, « Quindicinale di note e commenti », fascicolo speciale, n. 77-78, 10 settembre 1968. 180 Data la diversità degli oneri secondo settore e ampiezza dell'azienda e la complessità delle norme, le percentuali riportate sono state calcolate in modo da rappresentare valori medi. 187 La Commissione della CEE, infatti, giudica i provvedimenti di fiscalizzazione che non siano generali come rientranti tra quegli aiuti degli Stati (o incompatibili con il mercato comune ») vietati dall'art. 92 del Trattato di Roma. Cfr. la decisione 80/932 CEE del 1980 contro il dl 30 dicembre 1979, n. 663. 188 Cfr. F. CAVAZZUTI, Finanza pubblica..., cit., e M. D'ANTONIo - A. CARDONE, L'impatto del bi-
lancio pubblico in Italia, 1965-1975. Un'analisi multisettoriale, « Rassegna Econoipica », febbraio 1981. Cfr. A. TESTI, Mezzogiorno e fiscalizzazione, « Mondoperaio », novembre 1975 e A. TESTI, La nuova legge per il Mezzogiorno, « Mondoperaio », giugno 1976. 190 Cfr., - tra le manifestazioni più recenti le richieste della Federazione CGIL-CISL-UIL espresse dai segretari confederali Garavini, Romei e Rossi al ministro Andreotti in occasione del varo della legge 183 (e La Gazzetta del Mezzogiorno 1>, 22 aprile 1976), le dichiarazioni del ministro del Bilancio e per gli interventi nel Mezzogiorno, on. Andreotti, al Senato (riportate da M. ANNESSI, 189
L'intervento straordinario nel Mezzogiorno nel quinquennio 1976-1980, ed. Svimez, 1977, .p. 219) e M. D'ANTONIO, Meridionalismo vero e falso, «Rinascita », n. 6, 1977. 191 F. FORTE, Industria governo sotto governo, SEI, Torino 1976, p. 227. 192 Cfr. L. IRACI FEDELI-G. ZAPPA, Orario di la-
voro e occupazione: l'imperativo della ricostruzione, «Nuovo Sviluppo », dicembre 1978. 193 Op. cit., p. 44. Cfr. anche J. ROBINSON, Sviluppo e sottosviluppo, Laterza, Bari 1981, in part. i
paragrafi Tecnologia e occupazione (pp. 141-143) e Gli investimenti industriali (pp. 170-174). 194 Cfr., ad es., Che cosa indica la e via belga » a sostegno delle piccole imprese, « Il sole-24 ore», 27 gennaio 1978; L. Bocci-ti, La Francia ha fatto
il « miracolo »: ecco come si dà lavoro ai giovani, «Corriere della Sera », 14 gennaio 1978; I. ARNAL-
vi, Come nasce la disoccupazione strutturale, « Il sole-24 ore », 11 marzo 1977. 195 HYMAN P. MINSKY, Intervista, « Il Manifesto », 6-7 novembre 1979. ' CENTRO STUDI dell'ASSOcIAZIoNE IN1RJSTRIALE LOMBARDA, L'utilizzazione..., cit., p. 42. Per affermazioni analoghe, su spunti e in contesti diversi, cfr. A. NICCOLI, Razionamento del credito ... , cit., p. 180; L. IRAcI FEDELI, Da salario ad investimenti come avviene il travaso?, «Lavoro Italiano », 31 marzo 1978; G. BRosIo, Con il credito agevolato impianti vuoti, « Il sole-24 ore », 11 luglio 1978. 197 Ne La ricerca scientifica in un'intervista col ministro Pedini. Il Sud diventa un laboratorio di M. BAGNI, il ministro, con l'atteggiamento di chi compie preziose rivelazioni, confessa senza vergogna: « Penso soprattutto ad industrie di piccole dimensioni e ad alta tecnologia, che portano una scarsa turbativa sociale » (e Il Mondo », 22 aprile 1976). 198 L. SPAVENTA, intervistato da E. MAFFÌA, « La Gazzetta del Mezzogiorno », 25 aprile 1979, riportato « Informazioni SVIMEZ », 15 maggio 1979. 199 Infatti, per gli impianti che fossero iniziati solo allo scadere del quinquennio '76-80, e che fossero entrati a regime produttivo tra l'81 e l'82, non si poteva che tener minimo conto di un incentivo sulla manodopera che sarebbe durato quattro o cinque anni. Senza contare che, di fronte a incentivi finanziari tanto elevati, l'incidenza della « fiscalizzazione » era inferiore, e talvolta non di poco, al 18-19% del costo del lavoro. 200 « Il fatto che il REP non fosse mai stato inteso come incentivo permanente suscitò continue voci sulla sua possibile abolizione specie in tempi di instabilità di governo, cosa che certamente non giovò alla popolarità dell'incentivo fra gli industriali. E se l'avvenuta abolizione del REP dimostra una certa coerenza del sistema politico-governativo, vista la sua preventivata temporaneità, è anche vero che essa dà ragione a chi non volle mai fare i propri piani economici tenendo conto anche dei premi all'occupazione offerti nelle regioni depresse ». S. RONZANI, I premi all'unità di occupa-
zione nella forma italiana degli sgravi sugli oneri sociali, « Rivista Internazionale di Scienze Sociali », gennaio-giugno 1979, p. 214. 201 Cfr. G. RUBINO, Relazione, in Strumenti creditizi..., cit., p. 140. 202 ISVEIMER, Credito industriale..., cit., p. 11. Questa parte del libro contiene un rapporto redatto da un comitato scientifico e da una segreteria operativa nominati dal consiglio di amministrazione dell'ISVEIMER. Ancora da questo rapporto stralciamo: « Inoltre il D.M. 28-6-1979 (emanato alla luce della pubblicazione del T.U. sul Mezzogiorno) che aggiorna i criteri per la concessione degli incentivi alle imprese con investimenti inferiori a 30
78 miliardi, nell'istituire un Comitato presso la Cassa per il Mezzogiorno - composto da direttori centrali della Cassa e volta per volta dai dirigenti dell'Istituto di credito interessato - con funzioni di controllo sul progetto da agevolare privo, però, di potere deliberante, ha reso ancora più macchinoso il sistema procedurale » (p. 12). 203 Le parole sono tratte dalle «considerazioni finali» della relazione svolta dal Governatore della Banca d'Italia il 31 maggio 1980 all'Assemblea generale ordinaria dei partecipanti, il quale così si è espresso: « Col credito si impiega danaro del risparmiatore, vi è assunzione di rischio, sorge l'obbligazione di rimborso; con l'incentivo si utilizza danaro del contribuente, non vi è assunzione di rischio, non sorge obbligazione di rimborso.., il legare la gestione dell'incentivo a quella del credito costituisce una commistione di cui bisogna essere consapevoli o di cui occorre ridurre al minimo l'area, o almeno le possibili conseguenze negative» (p. 17). 204 Ibidem, p. 18. 205 Ibidem, •p. 19. 206 BANCA d'ITALIA, Assemblea Generale Ordinaria dei partecipanti, Roma, 1981, pp. 382-383. 207 « Concentrare tutto l'incentivo di impianto sul contributo in conto capitale, opportunamente accresciuto e differenziato territorialmente, è utile sia per l'opportuna esigenza di rispetto delle diverse sfere di competenza, sia per massimizzare la possibilità di trasparenza e automatismo dell'incentivo o,
M. Bosco, Perché la DC propone l'istituzione di un « Fondo », « Nuovo Mezzogiorno », ottobre-novembre 1981, p. 5. 208 E' stato pubblicato su « Il sole-24 ore » del 3 marzo 1982. 209 M. Bosco, Perché la DC propone..., cit., •p. 5. 210 Il capo della segreteria tecnica del ministro Signorile, presentando la proposta, invero congegnata secondo una graduazione inversa rispetto a quella prescritta nel ddl, ha sostenuto: « è stata disposta anche una forma di [.] incentivazione sul costo del lavoro, tagliando il salario per la nuova occupazione del 30% il primo anno, del 20% il secondo anno, del 10% il terzo anno, con l'idea ben precisa di far fronte a una diseconomia che nasce dalla scarsa qualificazione di mano d'opera nel periodo iniziale di creazione dell'impresa ». A. SAaA, Nuovi elementi..., cit., •p. 35. 211 « Le imprese che realizzino le iniziative industriali [.1 e le nuove strutture economiche » nel Mezzogiorno « beneficiano per tre anni di una particolare concessione tariffaria. Essa consiste nel rimborso da parte del Fondo di una percentuale da fissarsi con decreto del Ministro per gli interventi straordinari nel Mezzogiorno in relazione a singoli settori da un minimo del 20% ad un massimo del 25% delle tariffe fissate per le forniture e dei servizi di: a - telecornunicazioni; b - energia elettrica e metano per uso industriale; c - trasporti ferroviari, marittimi ed aerei verso l'estero delle merci prodotte. Le agevolazioni previste dal comma precedente si applicano altresì al trasporto marittimo ed aereo
da e verso la Sardegna delle materie prime, merci, semilavorati ed impianti» (art. 23 prima stesura, art. 22 seconda stesura). 212 E' il caso, temiamo, della posizione assunta dal ministro Signorile in merito alla controversia relativa ai metano che l'Algeria dovrebbe vendere all'Italia. L'on. Signorile ha tutte le ragioni nel far presenti il costo sostenuto dal nostro paese per la costruzione del gasdotto e lo spreco che nascerebbe per la sua mancata utilizzazione. Forse ha meno ragione quando afferma che un calcolo di convenienza globale circa il possibile export-import tra Italia e Algeria ridimensionerebbe il problema del costo del metano algerino. Certamente ha torto quando propugna che « la Cassa per il Mezzogiorno può anche essere •pronta a considerare in termini finanziari i costi complessivi dell'operazione », E. SASSOON, « La Cassa pagherà il gas », « Il sole24 ore », 6 maggio 1982. Anche ammessa l'ipotesi (tutta da verificare) della convenienza « politica » per l'Italia di accettare il costoso gas algerino in contropartita di un mercato per le esportazioni italiane, non si vede proprio il motivo per pagare con i fondi destinati al Mezzogiorno lé eventuali prospettive di buoni affari per industrie prevalentemente centro-settentrionali. Se la posizione del ministro Signorile è fondata, il costò del metano algerino va assunto dal Tesoro in vistà dei vantaggi che possono derivarne all'intera• economia italiana, e non certo dall'organismo deputato agli interventi straordinari nelle regioni meridionali. 213 Il direttore della ripartizione « Sviluppo Industriale » della Cassa, Enrico Calamita, ha sostenuto, nel corso di un'intervista, la stessa tesi fondandosi, evidentemente, su una esperienza che non lascia adito a dubbi. « Bisogna lasciar perdere le iniziative che niente hanno a che fare con •una reale industrializzazione. Ancora oggi finanziamo, ad esempio, le cave, l'estrazione del brecciolino », « Piccola Industria », gennaio 1979. 214 Le legge 634/1957, istituendo il contributo in conto capitale, stabiliva, agli artt. 18 e 19, che la Cassa per il Mezzogiorno « per il sorgere di piccole e medie industrie nell'ambito dei Comuni con popolazione non superiore a 75.000 abitanti, nei quali vi sia difetto di attività industriali », può concedere un contributo fino al 20% per le spese murarie e di infrastruttura, specifica direttamente connesse all'impianto e un contributo fino al 10% della « spesa per l'acquisto di impianti fissi (macchinari e attrezzature) ». Va tenuto presente che « la misura del contributo è determinata in relatione all'importanza dello stabilimento ed alla possibilità di occupazione di mano d'opera, nonché al ..uncorso che il nuovo impianto porta all'economia delle zone industrialmente meno sviluppate ». La 1. 555/1959 si riferiva ancora alle piccole e medie aziende industriali, ubicate - ora - in « Comuni con popolazione non superiore ai 200.000 abitanti », e disponeva che il contributo fosse concesso anche in occasione di ampliamenti di stabilimenti preesistenti e che, per la parte relativa a « impianti (macchinari e attrezzature) costruiti da aziende operanti » nel Mezzogiorno, fosse « elevabile al 20 per cento della spesa documentata » (art. 4).
wj 215 Con la legge 1462/1962 il contributo in conto capitale è esteso alle iniziative industriali di qualsivoglia ampiezza « limitatamente ad una prima quota di investimento non superiore ai 6 miliardi di lire» (cifra equivalente a circa 70 miliardi del 1982) ed è elevato a una quota pari al 25% delle spese per impianto, opere murarie e allacciamento. Questa agevolazione spetta a ogni iniziativa, senza riferimento all'ampiezza demograflca del comune di ubicazione, ed è riconosciuta cu.mulabile « con il finanziamento a medio termine e con altri eventuali concorsi ». A sua volta, il contributo in conto interessi della Cassa, concesso fino a quel momento solo alle piccole e medie imprese, viene consentito per « iniziative industriali di qualunque dimensione ». 210 F. M0MIGLIAN0, Effetti degli incentivi diretti
il ddl in questione non giunse mai ad essere discusso in Parlamento. 2111 11 Mezzogiorno nel juadro dell'economia italiana, cit., pp. 48-49.
220 Allo scadere della 1. 717/1965, ad es., la Confindustria pubblicò un volume di notevole interesse sull'intervento straordinario. In esso si sostiene che le finalità essenziali dell'intervento pubblico a favore dell'industria nel Mezzogiorno dovrebbero: «in primo luogo creare occasioni stabili e vantaggiose di •lavoro in grado di assorbire in loco la disoccupazione e la sottoccupazione oggi esistenti; in secondo luogo, offrire all'impresa la possibilità non solo di annullarè le diseconomie interne tuttora connesse ad un insediamento nel Sud, ma anche di sostituire alle "diseconomie" vere e proprie "economie" ». nella convenienza all'insediamento delle industrie, L'organizzazione degli industriali privati afferma Ministero del Bilancio e della Programmazione ecoche e non sembra possano sussistere dubbi sul fatnomica, Roma 1968; B. JossA, TJna politica per le to che la fiscalizzazione degli oneri sociali da appiccole e le medie imprese nel Mezzogiorno, «Ras- plicare a tutte le industrie localizzate nel Mezzo- segna Economica», maggio-giugno 1971; P. RANgiorno (cioè senza discriminazione tra vecchi e nuo-vi insediamenti, tra grandi e piccole aziende, ecc.) CI, L'incentivo perfetto, « Settegiorni », n. 333, costituirebbe il provvedimento più idoneo al con1973. Gli scritti di Jossa e di Ranci sono compreseguimento dei fini divisati. si in F. MARZANO (a cura di), Incentivi e svilupt'o..., cit. «In effetti il provvedimento: 211 Tra le prove della pressione dei grandi gruppi - essendo rapportato direttamente all'effettivo imfinanziari, basterà citare i diversi decreti ministepiego di personale, verrebbe a determinare auriali che, nel periodo della « contrattazione selvagtomaticamente un afflusso nel Sud di attività gia» (1968-73), vennero emanati per soddisfare le con elevata capacità di assorbimento di mano d'opera, contribuendo così ad [ ... ] assicurare richieste delle imprese che investivano in impianti la maggiore utilizzazione in loco del fattore la« ad elevata tecnologia» e le delibere del CIPE - di cui almeno una disponeva incentivi supevoro; riori ai livelli consentiti - emerse dalla « Revi- contribuirebbe ad invertire il segno delle disione del pacchetto Sicilia-Calabria » presentata alseconomie interne (prima fra tutte, il relativala Camera dal ministro C. Donat Cattin nel 1973. mente modesto livello di produttività), costiQuanto all'attenzione verso l'imprenditoria minore, tuendo quindi un efficace stimolo per l'impiannon c'è che da vedere con quanta cura il DM 8 to di nuove iniziative ad opera di imprese namaggio 1972, recante la «Determinazione delle zo-zionali ed estere; ne caratterizzate da più intensi fenomeni di spo- rappresentando un notevole aiuto di gestione, polamento » - nelle quali le piccole iniziative gocontribuirebbe a ridimensionare il problema, devano di un contributo addizionale in conto caparticolarmente acuto nel Meridione, dell'esipitale pari al 10% dell'investimento -' includeva guità dei margini tra costi e ricavi delle imnelle zone d'eccezionale esodo i Comuni (tra i quaprese e quindi fadiliterebbe il risparmio azienli Lecce, Latina, Velletri, Frosinone e altri nei ale, premessa indispensabile per nuovi invequali il saldo migratorio era positivo) rientranti stimenti produttivi; nei collegi elettorali del ministro per gli interven- risponderebbe al requisito della "trasparenza" ti straordinari e del presidente del Consiglio in dell'aiuto richiesto dagli organi comunitari; carica. - compenserebbe l'aggravio, e cioè il disincentivo, 218 In occasione della presentazione alla Camera derivante sopratutto per le aziende meridionadel ddl governativo per la modifica degli incentivi li dall'abolizione delle zone salariali ». CONFE(primi firmatari i ministri C. Donat Cattin e A. DERAzIoNE GENERALE dell'INDUSTRIA ITALIANA, Giolitti), Francesco Compagna, sottosegretario agli La politica di sviluppo economico del Mezzointerventi nel Mezzogiorno, spiegava come le nuogiorno, Collana di studi e documentazione, Ro- ve norme disponessero « una incentivazione più forma 1970, •pp. 204-205. te di quanto oggi non sia » per le iniziative a non 221 A. GRAZIANI, Il Mezzogiorno nel quadro..., cit., elevato investimento fisso per addetto. « Da quepp. 58 e 59. sto assetto della riforma, non gradito ai grandi gru ppi a partecipazione statale [sott. mia], si dovrebbe ricavare una spinta rilevante agli investimenti dell'iniziativa privata nel Mezzogiorno, alla diffusione della media industria, alla moltiplicazione delle attività manifatturiere » (« Mondo Economico », 13 aprile 1974, p. 42). E' superfluo ricordare che
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Organizzazione e governo dell'intervento straordinario
4.1. Le strutture organizzative dell'intervento straordinario e gli organi politici responsabili della loro direzione e controllo costituiscono l'ultimo grosso nodo della politica meridionalistica sul quale è necessario soffermarsi. Ma, prima di addentrarci nel merito, è opportuno vedere brevemente l'argomento della durata nel tempo e dell'estensione territoriale delle attività di intervento. Dopo la legge istitutiva della Cassa (che parlava di dieci anni di attività prograrnmata) e la legge che varava la « fase dell' industrializzazione » (che dettava per tempo il suo perdurare per altri cinque anni 222), le norme successive hanno prorogato l'intervento straordinario di quinquennio in quinquennio. A trent'anni dall'inizio della legislazione speciale per il Mezzogiorno e considerate le dimensioni che la storica « questione » ancora presenta, nemmeno il più sconsiderato ottimisrpo può ipotizzare che un ulteriore quinquennio sia sufficiente ad affrontare e risolvere i problemi specifici dell'area meridionale; né si può credere possano nel èontempo determinarsi evoluzioni istituzionali e cambiamenti radicali dell'amministrazione ordinaria tali che, dopo un periodo transitono relativamente breve, i compiti delle norme e degli organismi straordinari giungano ad esaurimento. Dunque, o l'azione della Cassa e degli eventuali enti che vi si sostituiranno già ora• non ha più senso, oppure non resta che concepire un intervento che si protragga per almeno un de-
cennio, con i vantaggi che conseguono alla stabilità organizzativa degli organismi operativi: ciò che non comporterà, ovviamente, immodificabilità dei criteri di azione o vigenza di norme obsolete 223 Il fatto poi che porzioni non indifferènti di territorio esterno al Mezzogiorno geografico (in Toscana, nelle Marche e - soprattutto - nel Lazio: aree cospicue nelle province di Rieti e di Roma e le intere province di Latina e Frosinone) rientrino tuttora nella zona d'azione della Cassa, va considerato come un anacronismo che andava cancellato almeno un decennio fa. La prima norma che disponeva agevolazioni creditizie per la costruzione e l'attivazione di stabilimenti industriali nel Mezzogiorno, si riferiva, oltre alle Otto regioni storiche, all'isola d'Elba e ai Comuni compresi nella circoscrizione del Tribunale di Cassino 224 La legislazione relativa all'intervento straordinario ha sempre incluso i territori già nominati neUa sfera d'attività della Cassa; se questo allargamento dell'area meridionale aveva forse un senso nei primi tempi dell'intervento e della politica di agevolazioni all'industria, da anni ci si trova ad affrontare una situazione nella quale il notevole sviluppo dei territori extrameridionali della « zona Cassa » (anche per il concorso di circostanze con cui l'intervento straordinario non ha niente a che vedere, quale la crescita di un mercato come quello di Roma che favorisce nettamente le industrie di molti comparti localizzate nelle province contermini), per un verso determi-
81 na squilibri all'interno di una regione come il Lazio, per un altro favorisce aree che sottraggono al Mezzogiorno risorse e iniziative. Non è certo discorso nuovo, e s'è parlato di anacronismo a ragion veduta. Da tempo infatti si affollano le richieste di rettifica dei confini dell'intervento 225, ma da altrettanto tempo gli interessi elettorali e gli eqiilibri interni ai partiti si oppongono a esse. Ancor oggi, le resistenze a un provvedimento di elementare buon senso sono forti e decise 226 e tanto più patetiche quanto provengano da chi identifica nella Cassa la fonte di ogni abominio 227• Non si ritiene che esista una sola ragione per mantenere l'intervento della Cassa in aree esterne alle otto regioni meridionali, e non è pensabile che i rappresentanti del Sud e del Nord possano essere a tal punto condizionati da interessi, per quanto potenti, del solo Lazio. Se poi le cose, dal punto di vista della crescita economica, stanno come documentano i dati (e non si vede perché dubitarne), non è accettabile nemmeno un periodo di transizione durante il quale incentivi e altre risorse straordinarie continuino ad affluirvi, sia pure con minore intensità. L'occasione potrebbe inoltre essere opportuna per inserire nella legislazione speciale il principio che, una volta raggiunti in aree sufficientemente vaste (d'ampiezza, ad esempio, provinciale o •pari a due province viciniori) certi liveffi di industrializzazione e di sviluppo economico - certificabili con dati obiettivi -, i diversi territori vengono automaticamente esclusi dai provvedimenti destinati alle regioni meridionali. L'orientamento a conferire al rinnovato intervento durata decennale e a concentrano nel Mezzogiorno vero e proprio, è stato generalmente fatto proprio dai progetti di legge in esame. Mentre la Proposta Di Giesi afferma sinteticamente questo orientamento 228 il ddl Ma-
caluso considera la possibilità, sia pure in via di eccezione, di estendere qualche attività ai territori marchigiani e laziali tradizionalmente compresi nella « zona Cassa »229. Il ddl Capria, che prescrive una durata decennale dell'intervento (articolo 37), prescrive anche la limitazione. territoriale della sua sfera d'azione ma con incertezze ed esenzioni che sembrano inficiare in larga parte - almeno per un primo quinquennio - il valore della norma. Esso infatti, una volta ristretti i confini dell'intervento, chiama le zone che ne vengono escluse a beneficiare, fino a tutto il 1986, dei « progetti speciali interregionali inscindibili » e di disposizioni di legge (tra cui le riserve di forniture e lavorazioni) e, oltre quella data, dei «provvedimenti già adottati» e « degli atti generali programmatori eventualmente approvati su iniziativa delle amministrazioni competenti, sino a modifica degli stessi » (art. 47). Il ddl Signorile si dà il termine temporale del 31 dicembre 1989 e - nell'ultima stesura - i confini spaziali delle regioni meridionali, con blande eccezioni, che risultano più derivate da formule calcate 230 pedissequamente sull'articolato dell'on. Capria che da misurata consapevolezza del problema. Le dichiarazioni degli esponenti democristiani, che non toccano il problema dei territori interessati dall'intervento, sono anch'esse del tutto favorevoli alla determinazione di un orizzonte decennale, essendo la loro proposta incompatibile con un'« ottica di formali termini di scadenza delle norme e dei finanziamenti necessari »231. 4.2. La configurazione dell'organismo operativo dell'intervento straordinario rappresenta uno dei momenti di massima divaricazione tra i progetti legislativi elaborati dalle diverse forze politiche e dai gruppi di intellettuali e di tecnici aggregatisi - talora
82 casualmente - intorno alle personalità dei proponenti. Anche a trascurare la proposta dei rappresentanti comunisti - che col Fondo per gli interventi aggiuntivi, cui ricorrono le amministrazioni statali e regionali, si pone nettamente e consapevolmente a margine dei propositi che qui si discutono 232 -, ben pochi sono i tratti che risultano condivisi dai diversi documenti. Per i deputati socialdemocratici, la Cassa esercita esclusivamente funzioni di programmazione, indirizzo e controllo » (art. 5) dell'attività di due agenzie, aventi « statuto giuridico delle società per azioni, [...] preposte all'attuazione e alla gestione degli interventi straordinari: l'agenzia per i prògetti speciali e l'agenzia per la promozione delle attività produttive »233 La prima elabora ed esegue i progetti speciali; la seconda « cura l'attuazione degli interventi straordinari nei settori dell'industria, dell'agricoltura, del terziario e della valorizzazione turistico - ambientale del territorio. A tale scopo essa si avvale della FIME, FINAM e INSUD al cui capitale partecipa in misura non inferiore al 51 per cento » (art. 6). La Proposta Di Giesi non dice attraverso quali meccanismi le agenzie-società per azioni ripondono all'indirizzo e al controllo della Cassa; ciò che fa nascere qualche problema. Ché, non trattandosi di imprese, non potrà applicarsi loro un meccanismo analogo a quello che regola i rapporti, ad esempio, tra le società finanziarie delle partecipazioni statali e le singole S.p.A.; se così non è, le agenzie-S.p.A. non potranno che erogare i fondi loro trasmessi, per volontà del CIPE e del ministro, dal Tesoro attraverso la Cassa per il Mezzogiorno; in tal caso, rimane un mistero il perché del loro costituirsi « con lo statuto giuridico delle società per azioni ». Oltre le formule, non del tutto appropria-
te, il disegno socialdemocratico prospetta un centro amministrativo che, su indicazione dei responsabili politici, persegue gli obiettivi distribuendo le risorse a due uni tà operative che corrispondono ai due grandi filoni dell'intervento, le quali « si vvalgono » a loro volta degli enti collegati. Pare un disegno rozzo, che si fonda su distinzioni tanto elementari quanto grossolane e in cui è inoltre possibile scorgere il rischio di una sovrapposizione-contrapposizione tra comando amministrativo (della Cassa) e comando politico (del ministero per il Mezzogiorno, ipotizzato dal medesimo ddl): un disegno comunque che lascia indefiniti troppi rapporti, alcuni dei quali altamente probiematici. Anche per il ddl Capria occorre distinguere «i compiti concernenti i progetti speciali (di contenuto prevalentemente attinente all'assetto del territorio) da quelli relativi alla "promozione industriale" (incentivazione,. partecipazione al capitale di rischio, servizi reali"). La soluzione individuata tende a configurare una sintesi tra l'esigenza di unità e quella di specializzazione funzionale »234. La sintesi - che sarebbe improprio definire brillante. - fra le contrapposte esigenze è fornita dall'art. 38: « Sono istituite nell'ambito della Cassa per il Mezzogiorno due autonome unità organizzative e funzionali aventi distinta personalità giuridica, che assumono la denominazione di Agenzia per i progetti speciali ed Agenzia, per lo sviluppo produttivo. Le due Agenzie hanno in comune con la Cassa per il Mezzogiorno il Consiglio .di amministrazione ed il Collegio dei revisori ed hanno ciascuna un proprio Comitato esecutivo, presieduto dal Presidente del Consiglio di Amministrazione », e composto di quattro membri, essi stessi consiglieri della Cassa. Il Consiglio di amministrazione della Cas-
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83 sa - i cui otto membri si ripartono quattro a quattro le incombenze dei due Comitati esecutivi•,— « amministra le due Agenzie », e in particolare determina le attribuzioni dei loro Comitati esecutivi e delibera sui loro bilanci e rendiconti; Alla Cassa restano i servizi generali e comuni, mentre ad ognuna delle Agenzie organizzate « per unità funzionali » - spettano in esclusiva i compiti che derivano dai due distinti filoni di attività. Quindi alla « Cassa per il Mezzogiorno - Agenzia per i progetti speciali » compete la redazione dei progetti isiterregionali (e, su richiesta, di quelli regionali) e dei: progetti di fattibiità; la « Cassa per il Mezzogiorno - Agenzia per lo sviluppo produttivo » è responsabile della incentivazione industriale, dei « programmi speciali agricoli» e di quelli per la ricerca scientifica, del controllo e irdirizzo delle società finanziarie, nonché del coordinamento tra FORMEZ e IASM «per l'esercizio dei compiti ad essi affidati » (articolo 39). Non sembra, tale modo di ridisegnare la struttura della Cassa, quello ideale per « non favorire la paralisi burocratica di un apparato divenuto di troppo grandi dimensioni » ed è difficile identificarlo con •le «incisive e rilevanti innovazioni sul piano organizzativo e funzionale » promesse dalla
Relazione 235 Spaccare (fino ad un certo punto, perché permangono in comune una serie di servizi) un ente come la Cassa in due tronconi e battezzarli « Agenzie » non può avere pretese a migliorare gli standards dell'intervento; specializzare secondo contenuti diversi i due nuclei nati dalla scissione del Consiglio di amministrazione, al quale peraltro non •possono essere alleggeriti i compiti derivanti dalle unitarie responsabilità giuridiche, non costituisce di certo un passo verso la funzionalità; e il coordinamento di FOR.
MEZ e IASM - che non è il coordinamento tecnico che nasce tra tutti gli operatori in determinate occasioni -. non ha un chiaro fine e ancora meno chiara è la ragione di caricarlo a un troncone-agenzia. Se il disegno della Cassa del futuro tracciato da Di Giesi è di grana troppo grossa, quello di Capria, che gli somiglia, è viziato da inutili complicazioni e da sofisticazioni del tutto gratuite. Per il ddl Signorile - che qui consideriamò, per brevità, soio nella seconda versione -, organismo centrale dell'azione straordinaria è il «Fondo per lo sviluppo del Mezzogiorno » (art. 5). Il Fondo, che « ha personalità giuridica ed un'autonoma dotazione finanziaria », subentra alla Cassa nella capacità di contrarre prestiti all'estero, di assumere impegni di spesa per somme anche superiori agli stanziamenti annuali, di emettere obbligazioni, etc., secondo il dettato degli artt. 28-34 del TU. L'art. 5 prescrive ancora: • Il Fondo provvede: • a) alla preliminare valutazione della complessiva validità delle azioni organiche di intervento, di cui ai progetti ad esso inoltrati dal Segretario Generale del Ministro per gli interventi straordinari nel Mezzogiorno; al finanziamento delle azioni organiche di intervento - dopo averne verificato [ ... ] la conformità al programma triennale ed alle direttive annuali - ed al finanziamento delle attività operative delle società » finanziarie e degli enti collegati; alla partecipazione del capitale delle società [finanziarie] ed ai conferimenti » agli enti collegati; a coordinare per la realizzazione dei progetti interregionali » i diversi soggetti dell'intervento straordinario, « al fine di assicurarne l'armonizzazione operativa {...] »;
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84 « e) alla concessione, previa istruttoria, dei contributi finanziari » per le attività produttive e all'erogazione degli stessi. « Il Fondo riferisce periodicamente al Ministro per gli interventi straordinari nel Mezzogiorno sull'andamento dell'attività » delle finanziarie meridionali e degli enti coL legati; esso, inoltre, « verifica annualmente la validità economica e finanziaria delle partecipazioni » di FINAM, FIME e INSUD e « ne riferisce al Ministro per gli interventi straordinari nel Mezzogiorno ai fini delle opportune direttive sulle iniziative da assumere ». Dunque, non solo il Fondo eredita (come è stabilito anche in altri commi dell'art. 5) la posizione della Cassa in tutto quanto attiene all'autonomia e al respiro finanziario e al •cointeressamento agli istituti speciali di credito del Mezzogiorno, ma diventa assai più di quanto non fosse la Cassa il centro di indirizzo e di controllo degli enti operanti nell'orbita dell'intervento straordinario. Mentre - a partire dalla I. 717/1965 e dal Piano di Coordinamento (1966) - i potere politico (CIPE e, soprattutto, ministro per il Mezzogiorno) era venuto acquistando sempre più peso nei confronti degli enti dell'intervento, che da allora sono cresciuti di numero e aumentati nell'importanza dei compiti affidati loro e nel personale dipendente; il ddl Signorile blocca questo processo, che tendeva a equi. parare gli enti collegati e le finanziarie alla Cassa e a poni tutti su un piede di parità di fronte all'autorità di governo, e lo in. verte nettamente. Il Fondo, infatti, è disegnato secondo il sovrapporsi di molteplici fisionomie: holding e centro propulsore dell'intero intervento, esso valuta le proposte degli altri soggetti abilitati « a realizzare azioni organiche » e ne decide il finanziamento, coordina nei progetti l'attività dei diversi operatori, giudica le iniziative e la gestione degli enti col-
legati e delle società finanziarie, oltre a permanere come erogatore degli incentivi ai settori produttivi. Ed è evidente che con questo poliedrico profilo e con questo assumere funzioni tanto diverse rispetto a soggetti eterogenei, il Fondo per un verso si rivela centro gravitazionale di tutti questi soggetti di cui è insieme l'alimentatore di inpats direzionali e di risorse finanziarie, per un altro diventa l'interlocutore amministrativo fondamentale e privilegiato del potere politico. E' coerente, d'altra parte, a questa complessa natura il suo essere destinatario di finanziamenti commisurati ad una quota-parte delle entrate erariali 236 , quasi responsabile amministrativo e garante di un impegno, quello dell'intervento straordinario per lo sviluppo del Mezzogiorno, che la società nazionale e lo Stato gli confidano. L'altro istituto proposto nel ddl Signorile, l'« Azienda per il riequiibrio territoriale e lo sviluppo del Mezzogiorno », propone al Fondo e, attua « le azioni organiche di intervento di sua competenza », porta a compimento le opere della Cassa in corso di attuazione relative alla raccolta e adduzione delle acque ad uso plurimo, gestisce impianti e sistemi idrici fino al loro trasferimento, cura azioni « di preminente interesse per l'economia meridionale » mediante convenzioni con enti statali, concorda con l'ENEL per invasi e condotte, esegue i controlli tecnici e le verifiche necessari per' la regolare erogazione degli incentivi industriali concessi dal Fondo. Fin qui il ddl; in questo art. 7, detta alcuni compiti di importanza non trascurabile ma specifici e ben precisi, talora ausiliari rispetto alle attività del Fondo (come nell'esecuzione dei controlli relativi alla concessione delle agevolazioni all'industria); fin qui, cioè, l'Azienda si configura come un ente « di servizio » dal profilo ben delimitato che assume su di se responsabilità spesso esercitate attualmente da akuni compartimenti della Cassa.
85 Ma, sempre all'art. 7, il ddl Signorile definisce altre competenze, che in qualche modo escono dalla cornice precedentemente delineata. Infatti l'Azienda, « ai fini della realizzazione dei progetti di sua competenza » che, come si ricorderà, spaziano in un campo assai vasto (art. 13), « previa autorizzazione del Ministro per gli interventi straordinari nel Mezzogiorno, costituisce agenzie in forma di società per azioni a totale .partecipazione pubblica, finalizzate ad obiettivi transitori definiti, ed assume partecipazioni in società od enti a capitale pubblico » Inoltre, l'Azienda può « svolgere, su richiesta delle Regioni e degli enti locali meridionali, previa autorizzazione del Ministro per gli interventi straordinari nel Mezzogiorno, attività di consulenza ed assistenza tecnica e di progettazione, in ordine, ai problemi di assetto del territorio. Tali attività possono altresì essere svolte, dietro corrispettivo, fuori » del territorio meridionale « o nell'ambito dei programmi di cooperazione tecnica finanziati dal Ministero degli affari esteri ». Sembra così che l'Azienda, dal punto di vista dei contenuti operativi, abbia non solo una fisionomia composita, ma sostanzialmente squilibrata rispetto al loro ordine di importanza; le sue competenze - a prescindere dal giudizio di merito - in parte rispondono alla concezione di un ente nuovo, autosufficiente nel progettare e nel creare, in questo quadro e per fini definiti, strumenti ad hoc dotati di relativa autonomia, e in parte invece risultano derivanti da una diversa concezione dell'intervento e residuali rispetto a quel « n6cciolo » dello stesso che è il Fondo. L'Azienda - cioè - sembra nascere dalla contaminazione tra l'idea che il ministro Signorile inizialmente affermò, di un ente che, .fondato sui «nucleo funzionale e tecnico dell'attuale Cassa », si ponga come « una struttura di servizio, uno strumento )
dello Stato e delle Regioni di carattere progettuale ed esecutivo »237 e i compiti in un certo qual senso « minori » della Cassa per il Mezzogiorno, una volta che siano trasferite al Fondo quelle competenze che meglio si attagliano al cervello e al motore amministrativo dell'intero intervento straordinario. La stessa « doppia dipendenza» che lega l'Azienda al centro politico e a quello amministrativo dell'intervento, e che è estranea agli altri enti, conferma in qualche modo un'ipotesi di questo genere. Infatti, l'Azienda come istituto che progetta e attua, agisce su autorizzazione del ministro; ma i finanziamenti che le consentono tali operazioni, salvo un fondo cli dotazione di 300 miliardi, le sono concessi, dopo idonea valutazione, dal Fondo. Ed è situazione che potrebbe sollevare problemi di un certo rilievo. Se questa interpretazione non è troppo azzardata, il a!dl Signorile appare ambiguo, perché mentre il nuovo intervento si fonda sostanzialmente su due enti, il Fondo e l'Azienda, questa, che per certi aspetti emerge in tutta autonomia e con notevoli potenzialità operative, per altri e non meno importanti as.petti risulta vincolata da un rapporto di soggezione al Fondo. Oltre tale ambiguità, il problema centrale di questa proposta sembra éssere quello che dovrà affrontare il potere del ministro, avendo a che vedere principalmente con quel monolite di evidente peso amministrativo e finanziario che è il Fondo. E' una questione che non può essere analizzata senza mettere a confronto concezioni del tutto diverse se non opposte, e che non può pertanto essere risolta in termini di efficacia e di coerenza tecnica. Se sia opportuno o meno che ad un centro politico risponda globalmente solo un centro amministrativo, indubbiamente dotato di vasti e penetranti poteri, non può essere
giudicato se non sulla base di più ampio giudizio sull'attuale fase dell'evoluzione politica e amministrativa, e con fondamento in più generali convincimenti circa l'odierna e la futura organizzazione statuale. Identico rimando va fatto a •proposito delle intenzioni democristiane, che su questo tema risultano' assai più elaborate e coerenti. L'idea del Fondo, emersa anni fa 238 , è venuta facendosi sempre più netta nelle dichiarazioni degli esponenti del partito di maggioranza relativa. I suoi obiettivi dovrebbero essere - e non sfugga la mancanza, in questa descrizione, della figura del ministro responsabile - « la migliore correlazione possibile tra provvista ed impieghi; valutare la conformità dei progetti d'azione proposti agli obiettivi posti dal CIPE in un programma poliennale di intervento straordinario; assicurare nel modo più snello e funzionale il finanziamento delle azioni conformi; provvedere - per le soggettività meno forti dell'area - ad una funzione di sostegno progettuale »239. Comè si diceva, l'idea del Fondo può essere giudicata solo con riferimento a diagnosi più vaste. Ma sia il Fondo che l'Azienda, che originano in notevole misura dalle strutture in essere dell'intervento, vanno anche valutati e verificati, così come è stato chiesto, « all'interno dei processi e degli assetti attuali della Cassa »240. In tal senso il giudizio avrebbe meno respiro, e darebbe luogo a risultati certamente deludenti proprio perché realistici. 4.3. S'è già visto come ogni proposta, delineando i tratti dell'intervento e delle sue funzioni, affronti e risolva il problema delle materie di competenza regionale e come, in tal modo, esplicitamente o implicitamente, assuma posizione rispetto all'alternativa centralismo-decéntramento. La medesima alternativa qualifica la prefigurazione degli organi politici di governo
dell'intervento, che se è di interesse immediato e diretto delle Regioni meridionali, coinvolge l'intera comunità nazionale, ed esige pertanto la guida del potere statuale, sia per le risorse che eroga sia per i criteri di investimento diretto, di sostegno della spesa locale e di incentivo alle iniziative produttive. Il ddl Macaluso, che riporta l'intervento aggiuntivo alle amministrazioni ordinarie (statali e regionali) competenti e che prevede la costituzione, presso il ministero del Bilancio e della programmazione, di un « apposito segretariato » con un responsabile cui « sarà attribuita la qualifica di direttore generale » (art. 17), si preoccupa di predisporre garanzie anché l'indirizzo meridio. nalistico dell'attività dello Stato sia effettivamente seguito. A tal fine esso sottolinea le prerogative della Commissione parlamentare per il Mezzogiorno (art. 15) e chiama il Comitato dei rappresentanti delle regioni meridionali a partecipare « con indicazioni, proposte e pareri all'elaborazione e gestione dei programmi e delle politiche d'intervento nel Mezogiorno. In particolare il Comitato esprime pareri su tutte le decisioni da sottoporre al CIPE che comunque riguardino il Mezzogiorno » (art. 16). Che - di fronte alla coriacea amministrazione statale - queste garanzie risultino deboli, nessuno può esitare a riconoscere. Per Di Giesi, « la gestione dell'intervento straordinario spetta allo Stato, il quale la esercita attraverso il Ministero per il Mezzogiorno, al quale spetta anche il compito del coordinamento dell'intervento straordinario, con l'azione ordinaria dell'amministrazione centrale »241 Perno della sua proposta è quindi il ministero, rafforzato rispetto all'attuale segreteria generale del ministro e comprendente due direzioni generali (« l'una competente per gli interventi ordinari dell'amministra-
87 zione centrale, degli enti pubblici economici e per l'esercizio della funzione di indirizzo e di coordinamento dell'attività delle Regioni meridionali; l'altra competente per l'indirizzo e il coordinamento dell'intervento straordinario ») (art. 3). Lo stesso articolato - che lascia praticamente immutate caratteristiche e funzioni della Commissione parlamentare (art. 2) affianca al ministro per il Mezzogiorno, che lo presiede, un apposito comitato, la cui fisionomia e i cui fini non risulta abbiano precedenti nell'ordinamento. Vale la pena trascrivere buona parte dell'art. 4. formato dai titolari dei miIl comitato nisteri del Bilancio, Tesoro, Finanze, Industria, Agricoltura, e dai presidenti delle giunte regionali - cura « la coerente attuazione nel Mezzogiorno degli indirizzi della politica economica generale e settoriale e il coordinamento degli interventi ordinari dello Stato e delle regioni con » gli interventi straordinari e le politiche comunitane. « A tale scopo » le amministrazioni rappresentate nel comitato devono presentare a questo, ogni tre mesi, una relazione sull'attuazione dei rispettivi programmi. « Il comitato esprime parere sui programmi esecutivi triennali della Cassa », mentre spetta al ministro la loro approvazione e il potere di direttiva circa l'aggiornamento e l'attuazione dei programmi. I presidenti delle giunte regionali e i ministri che siedono nel comitato, pertanto, non partecipano al governo dell'intervento straordinario (rispetto al quale esprimono solo « pareri »), che rimane di esclusiva e gelosa pertinenza del ministro per il Mezzogiorno. Anzi, questo, in quanto presiden te del comitato, controlla le attività delle regioni, dei ministeri e delle aziende autonome, che al comitato devono render conto di come operano nel campo di loro competenza. E' chiaro come questo assetto politico, che
esime il ministro dal rispondere a responsabilità collegiali e ai rappresentanti diretti delle regioni del Sud, ne fa contemporaneamente il centro politico di ogni iniziativa e attività amministrativa nei Mezzogiorno e gli attribuisce un 'peso - nel Consiglio dei ministri - secondo solo a quello del presidente del Consiglio. I lineamenti del « vicerè del Mezzogiorno » sono così degnamente e coerentemente compiuti. Il CIPE, per l'approvazione del piano •plu'riennale e dei suoi aggiornamenti annuali, il ministro per gli Interventi straordinari e il Comitato dei rappresentanti regionali (oltre alla solita Commissione parlamentare), sono elencati nel ddl Capria, che riserva nuove attenzioni alla segreteria generale del ministro (art. 4). Le novità in quest'ultima materia sono tre: il limite massimo del personale della segreteria è spostato da 160 a 200 unità; gli esperti che ne fanno parte possono essere assunti « con contratto di diritto privato a tempo determinato »; l'organizzazione, stabilita dal ministro, « identifica in particolare, una unità organizzativa per lo svolgimento dei compiti di segreteria tecnica del Comitato dei rappresentanti delle Regioni meridionali » oltre ad unità specializzate nel seguire la definizione e l'attuazione dei progetti speciali. Capnia lascia il governo degli organismi dell'intervento nei termini definiti dal TU del 1.978, ma si preoccupa di fornire un apparato di supporto tecnico al Comitato dei rappresentanti regionali. Non si tratta di una rivoluzione, ma non si vorrebbe che l'innovazione sfuggisse e, nel dibattito parlamentare, fosse lasciata cadere. E' importante invece che il Comitato in parola non sia solo il destinatario (come talora è avvenuto) di documenti di difficile o impossibile verifica; un supporto tecnico, che operi all'interno della stessa segreteria generale
del ministro, costituisce un primo passo per consentire ai rappresentanti delle regioni di affrontare i compiti, pur modesti, che loro spettano (art. 8 e 9 del DPR 6 marzo 1978, n. 218). In tema di organi politici responsabili dell'intervento, è opportuno vedere entrambe le versioni del ddl Signorile. Basandoci sulla prima redazione - salvo far emergere le variazioni offerte dalla seconda - va subito notato che, a parte il CIPE come ultima istanza di giudizio dell'esecutivo, il Disegno presenta un'organismo politico di notevole importanza. Si tratta di un Comitato presieduto dal ministro per gli Interventi, straordinari e « composto dai Ministri per l'Agricoltura e Foreste, per i Beni culturali ed ambientali, per l'Industria, per i Lavori Pubblici, per la Marina Mercantile, per le Partecipazioni Statali, per le Poste e Telecomunicazioni [cioè dai responsabili dei dicasteri di spesa e non di quelli di direzione come Tesoro, Bilancio e Finanze] e dai Presidenti delle Regioni » meridionali. Questo comitato approva « il piano novennale, i programmi triennali ed il programma esecutivo annuale » (art. 1), « programma gli interventi straordinari e cura il coordinarììento con le azioni statali, regionali e locali per il conseguimento degli obiettivi di sviluppo del Mezzogiorno » ed esercita altre funzioni previste dalla legge (art. 2). Ma la figura politica dominante è, anche qui, il ministro per gli interventi, cui spettano non solo direzione, controllo e indirizzo delle amministrazioni straordinarie, ma anche la verifica della « compatibilità e la coerenza delle politiche economiche nazionali » con gli obiettivi mericlionalistici e che - si direbbe in contrasto con il dettato dell'articolo precedente - « promuove il coordinamento tra le attività ordinarie del lo Stato e delle Regioni e quelle straordinarie, anche sulla base delle proposte del Comitato per lo sviluppo del Mezzogiorno »
(art. 3). Questa posizione centrale del ministro è ancor più evidenziata dalle disposizioni che - allo stessò articolo - richiedono il « previo concerto » o «il parere obbligatorio » sui disegni di legge relativi alla formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato, ai provvedimenti anticongiunturali, ai piani di settore o per le proposte di politica economica che i singoli ministri intendono presentare « ai Comitati interministeriali competenti per legge ». I rappresentanti regionali, che fan •parte del Comitato per lo sviluppo, costituiscono anche l'apposito Comitato di cui al TU, con la funzione di esprimere parere in un numero di occasioni notevolmente ampliato242 Se questo è il quadro del governo dell'intervento - per non ripetere della Commissione parlamentare (art. 10) -, va sottolineato che anche Signorile si preoccupa della segreteria generale del ministro che, oltre a dover comprendere esperti assunti con contratto a termine secondo le norme del diritto privato, muta, rispetto a oggi e alla disciplina del TU, per tre caratteristiche. Essa, infatti, può comprendere 250 persone; « assiste anche il Comitato per lo sviluppo del Mezzogiorno nell'esercizio delle sue funzioni »; e infine « si articola in commissioni permanenti delle quali fanno parte anche funzionari in rappresentanza dei Ministeri e delle Regioni presenti nel Comitato » •(art. 3). Dire « in rappresentanza » è evidentemente privo di senso. Ma non è privo di senso che della segreteria del ministro, una volta che si considerino i suoi compiti e che essa non sia più come era prima - solo un nucleo di burocrati a disposizione del ministro, facciano parte uomini provenienti dalle amministrazioni regionali. Che la formula sia poco azzeccata non incide sul fatto - venuto alla luce a tutto merito dell'on. Signorile che i funzionari della segreteria, per usare .
parole adeguate ad altre situazioni e qui inadatte, devono anche « fedeltà » alle regioni e su quello, non meno importante, che occorre formare all'esperienza del governo dell'intervento anche i dipendenti delle amministrazioni regionali, in un ambiente che li obblighi a considerare unitariamente, al di. fuori di interessi localistici o politici della singola regione, il terreno d'azione meridionale. Forse una riflessione sull'esperienza delle Comunità Europee avrebbe suggerito formule più appropriate, ma non è questo che conta. Importa che, per un verso con Capria e per un altro con Signorile, sia emerso un tema che va considerato nodale e che invece una cultura politica abituata da decenni a guardare con illecita indulgenza ai funzionari dello Stato degradatisi a 'lacchè degli uomini di potere, si ostina a ignorare. La seconda versione (giusta la convenzionale numerazione qui adottata) del ddl Signorile non presenta in questa materia variazioni sorprendenti, ma solo marginali ritocchi e messe a punto 243 . Nella segreteria generale del ministro rimangono le commissioni permanenti in cui siedono i funzionari dei diversi ministeri; scompaiono, in compenso, quelli delle regioni. Un altro significativo passo indietro. Così, nelle diverse proposte in qualche modo aperte ad ulteriori decentramenti, gli organi di direzione politica sono solo assai timidamente influenzati dalle rappresentanze delle regioni. Tutti, invece, propendono per un rafforzamento (nel caso di Signorile, veramente considerevole) degli uffici del ministro per il Mezzogiorno, secondo una tendenza che era stata auspicata anche in altre sedi 244 I due temi non possono andar scissi più che tanto; e la partecipazione delle regioni meridionali al governo dell'intervento, se va rafforzata ben più di quanto non preveda.
no le proposte in discussione, va anche qualificata. Un organo di governo vero e proprio (ovviamente non identfficabile in una commissione che .< esprime pareri») che determini le scelte fondamentali dell'intervento e che verifichi sistematicamente la coerenza dell'attuazione, non può non disporre degli elementi conoscitivi utili e necessari, e non può nemmeno entrare nel merito della gestione amministrativa, come è a volte accaduto e come da qualche parte ancor più si vorrebbe 245 L'organo di governo per l'intervento, nel quadro della politica economica nazionale, deve indicare le finalità che vanno perseguite nel Mezzogiorno e il rispettivo peso, deve saperne specificare gli obiettivi intermedi e deve poter giudicare la conformità delle azioni. Per far questo non basta che nel governo dell'intervento abbiano posto i rappresentanti regionali e che le regioni siilino documenti di direttiva (finora per lo più assimilabili a esternazioni di auspici dagli investimenti all'occupazione operaia, dagli equilibri ecologici al prodotto industriale, dalla forestazione alle esportazioni) o di censura. E' indispensabile, invece, che le regioni siano coinvolte nella concretezza del dibattito e della scelta, ché siano in grado di giudicare il senso preciso delle direttive espresse e delle misure in atto e che, rispetto appunto all'adeguatezza degli interventi attuati, siano capaci di modificare o confermare la rotta e di valutare l'aderenza, gli scostamenti e l'efficienza della gestione operativa dei diversi enti. Che, sembra, è cosa ben diversa da quel che è stato registrato dall'esperienza di questi sei anni. Gli stessi motivi impongono un contatto e uno scambio continuo tra burocrazie ed esperti regionali e personale degli uffici del ministro responsabile; che è inutile rendere ancor più pletorici 246 , ma che è urgente .
90 elevare a livelli di efficienza amministrati- le che non può essere soio quello delle amva e di capacità tecnica meno rudimentali. ministrazioni centrali o degli istituti operaSe è vero che l'intervento straordinario è tivi comandato alla segreteria del ministro. a servizio delle regioni, le regioni devono Non dovrebbe essere difficile comprendere partecipare al lavoro di elaborazione e di l'importanza della cosa e trovare la formula controllo politici anche attraverso persona- opportuna.
222
Legge 26 luglio 1957, n. 634, all'art. 1. Cfr., P. SARACENO, Lo sviluppo dell'economia meridionale..., cit., p. 277. 224 Dlcps 14 dicembre 1947, n. 1598; art. 1. 225 Tra le prime richieste, va ricordata quella sollevata da G. FuÀ - P. SYL05 LABINI, Idee per la programmazione economica, Laterza, Bari 1964, p. 91. 226 « Una cosa che vorrei dire [...] riguarda i confini del Mezzogiorno. Quando, in Consiglio dei Ministri, è venuto fuori il discorso [.] solo Andreatta ha sostenuto me e Capria che portavamo avanti l'esigenza di abbassamento del confine dell'area di competenza della Cassa sul Garigliano. Ovviamente siamo stati aggrediti dai Ministri del collegio laziale. Ma quello che mi ha fatto impressione non è tanto quello che è avvenuto allora nel Consiglio dei Ministri, ma quello che è avvenuto l'altro giorno al ciPi dove la grandissima parte (tranne che per la Selenia e per l'Aif a Nissan) delle localizzazioni sottoposte ad approvazione riguardavano la provincia di Latina e la provincia di Frosinone », F. COMPAGNA, Replica a Bologna, cit., p. 50. 227 «Così, a far sentire la propria voce di condanna all'esclusione del Lazio dall'area degli interventi straordinari per il Sud si è levato compatto anche il Consiglio regionale. Infatti, con un ordine del giorno approvato da tutti i gruppi, è stata espressa "netta avversione" al progetto del Governo di escludere il Lazio dalla proroga degli interventi straordinari (attualmente la Regione è interessata alla Cassa per una zona che comprende il Sud e il Reatino, pari al 48% del territorio e una popolazione di un milione e duecentomila abitanti), .privandolo, in tal modo, di agevolazioni di cui esso godeva ormai da trent'anni. 223
Per Berti, comunista, l'esclusione del Lazio dagli interventi straordinari "assesterebbe un duro colpo alla politica di riequilibrio territoriale avviata dalla Regione"; la decisione del Governo è perciò "affrettata ed inaccettabile, anche se è evidente che occorre riformare i metodi di erogazione di tali interventi" », P.C., Guai a chi tocca l'odiata «Cassa », «Piccola Industria », gennaio 1981, pp. 42-43. Meritevole d'attenzione è il parere di un indu striale: « [ ... ] il -pericolo della rimozione del privilegio dà fiato a voci corporative, campanilistiche,
piagnucolosamente irrazionali in uno strano unisono di partiti, sindacati, forze imprenditoriali. E' il caso del Lazio, dove a un progetto senza idee del precedente governo, che intendeva togliere al Lazio tutto con un colpo di spugna, si sono opposte le categorie locali, altrettanto senza idee, che invece intenderebbero mantenere tutto com'è, indefinitamente. Non intendo entrare nel merito del problema Lazio [.]. Intendo solo indicare che gli effetti distorsivi dell'intervento "a pioggia" -possono misurarsi, oltre che nella abnorme crescita industriale di certe zone, anche nella aspettativa di eterna assistenza che la -politica meridionale ha sedimentato in molte mentalità. [ ... ] Non devono ripetersi fenomeni come ad esempio Pomezia, dove il numero dei posti di lavoro creati è esploso almeno dieci volte oltre il massimo che la zona avrebbe richiesto e sopportato ». P. BUFFETTI, Punti fermi per una riforma dell'intervento straordinario, « Piccola Industria », ottobre 1981, pp. 9-10. Cfr. anche V. CIUFFA, Preoccupa i sindacati il progetto di escludere il Lazio dalla « Cassa », « Corriere della Sera », edizione romana, 30 novembre 1980. 228 «La presente legge entra in vigore il 1 0 gennaio 1981 e cessa di avere efficacia il 31 dicembre 1990. Essa si applica alle regioni Abruzzo, Mouse, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia, e Sardegna» (art. 14, comma 10). 229 « Il CIPE, su proposta del Ministro del bilancio e della programmazione economica, d'intesa con le Regioni Lazio e Marche, previo parere del Comitato dei rappresentanti delle Regioni meridionali e della Commissione parlamentare -per il Mezzogiorno, potrà approvare, a valere sul Fondo [nazionale .per interventi aggiuntivi nel Mezzogiorno], interventi previsti dalla presente legge ricadenti nell'ambito dei territori già compresi nella delimitazione di cui all'art. i del T.U. approvato con decreto del Presidente della Repubblica 6 marzo 1978, n. 218 » (art. 9, comma 40). 230 All'art. 38. 231 M. Bosco, Perché la D.C. propone..., cit., p. 5. 232 «E' istituito il Fondo nazionale per interventi aggiuntivi nel Mezzogiorno, con una dotazione iniziale di [ ... ], da destinare al finanziamento degli interventi previsti dalla presente legge. [.] Al Fondo potranno accedere, sulla base del programma di cui al successivo ari. 10 e secondo
91 le norme della presente legge, per il 60 per cento le Regioni meridionali (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Mouse, Puglia, Sardegna e Sicilia), e per la restante parte le amministrazioni centrali dello Stato, le aziende autonome e gli enti pubblici a carattere nazionale, purché abbiano dato attuazione alla riserva di cui all'art. 107 del T.U. approvato con decreto del presidente della Repubblica 6 marzo 1978, n. 218, la cui validità è prorogata fino al 31 dicembre 1990, nonché gli enti e società autorizzati dalla presente legge » (art. 9, commi 10 e 3 1% 233 L'art. 6 della Proposta Di Giesi seguita: «Al capitale delle agenzie parteci.pa, con una quota, pari ad almeno il 51 per cento, la Cassa per il Mezzogiorno. La partecipazione alla restante quota di capitale da parte degli enti pubblici e banche è stabilita secondo le misure e le modalità fissate con Decreto del Ministro per il Mezzogiorno, di concerto con il Ministro del Tesoro, sentito il Comitato formato dai presidenti delle giunte regionali e dai titolari dei dicasteri economici e il C.I.C.R. ». 234 Relazione, •p. 8. 235 P. 8 é .p. 27. 236 « Il Fondo ha [.1 una autonoma dotazione finanziaria costituita da finanziamenti straordinari erogati, per il periodo 1982-1990, con conferimenti annuali a carico del bilancio dello Stato, pari al 7% delle cormplessive entrate erariali » (art. 5, comma 2 0 ). P. CALABRESE, Intervista al ministro Signorile. A Sud qualcosa di nuovo, «Il Messagero o, 18 237
ottobre 1981. Posizioni analoghe erano sostenute, nello stesso pendo, dal presidente della Cassa, Perotti. « La Cassa, azienda pubblica di Stato, coordinerà l'attività di una serie di agenzie [ ... ], con precisi limiti di tempo e ben definiti campi di intervento. In pratica, adeguandosi alle nuove esigenze delle realtà locali, la futura azienda si porrà come struttura di supporto al servizio dello Stato e delle Regioni, per realizzare programmi specifici ». M. PEROTTI, A Mezzogiorno si gioca l'ultima carta della Cassa, intervista di T. OLDANI, « Espansione », ottobre 1981, isp. 73-74. 238 In G. C0LAv1TTI - G. DE RITA - G. MARONGIU,
Politica meridionalistica e meridionalismo politico, Contributi Censis, 1978. 239 M. Bosco, Perché la DC propone..., cit., •p. 5. Cfr. anche i già citati interventi dello stesso A. 240 A. MARIANETTI, Conclusioni, in IRES CGIL, La programmazione.., cit., p. 158. 241 Relazione, pag. 9. 242 Infatti il Comitato dei rappresentanti delle regioni meridionali esprime parere: « a) sulla relazione annuale» presentata dal ministro al Parla. mento sullo stato di attuazione dell'intervento; «b) sulla designazione dei componenti degli organi degli enti soggetti alla vigilanza del Ministro per gli interventi straordinari nel Mezzogiorno; c) sull'autorizzazione ministeriale all'Azienda [ ... ]
a prestare alle Regioni meridionali consulenza ed' assistenza tecnica; d) sui provvedimenti da emanare » circa la liquidazione della Cassa e il trasferimento delle opere da questa realizzate; «e) sulle iniziative legislative che riguardino lo sviluppo del Mezzogiorno » (art. 4). 24 Tra le modifiche e integrazioni: — « Le delibere del Comitato [per lo sviluppo del Mezzogiorno] di approvazione del piano novennale, dei programmi triennali e dei relativi aggiornamenti annuali sono pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica » (art. 2); — Il Comitato dei rappresentanti regionali non si esprime «sulla designazione dei componenti degli organi degli enti soggetti alla vigilanza del Ministro o, bensì solo « sulla designazione dei componenti gli organi del Fondo e dell'Azienda » (art. 4). 244 Cfr., ad es., l'intervento del prof. B. TREZZA alla tavola rotonda in occasione del convegno di
studio La politica meridionalistica degli anni ottanta (Napoli, 27-28 giugno 1980), «Realtà del Mezzogiorno », novembre 1980, p. 185. 245 Ad es., il vicepresidente del Comitato dei rappresentanti regionali, M. CAscIN0, avrebbe dichiarato: « La nuova legge sul Mezzogiorno, dovrà assegnare un ruolo preciso alle Regioni, coinvolgendole nella gestione diretta dell'intervento straordinario. Proprio in quest'ottica il progetto all'esame delle Camere ha bisogno di essere corretto in alcuni punti, tenendo conto delle indicazioni che verranno dalle Regioni meridionali o. Le Regioni del Sud insistono . per guidare gli interventi pubblici, « Il sole -24 ore o, 16 luglio 1981. 246 « La Segreteria del Ministro deve impegnare esperti delle Regioni evitando (in attesa del riordino dei Ministeri) soluzioni di gigantismo centralistico o. (Documento CGIL sul ddl..., cit., p. 10).
92
Per un radicale rinnovamento dell'intervento straordinario
5.1. Le proposte esaminate esauriscono -
per quel che è dato sapere - l'arco dei progetti maturati fino a oggi, l'arco delle « svolte » e delle « riforme » realisticamente possibili. E' difficile non dichiararsene delusi. Se fosse necessario sintetizzare in un giudizio quel che si è ricavato dalla lettura dei progetti di legislazione per l'intervento aggiuntivo nel Mezzogiorno, si dovrebbe dire che non sembra sia sufficientemente chiaro quello che si chiede all'intervento, che non si vede come si intendano affrontare i problemi già emersi e già noti, che - dove vengono definiti obiettivi parziali - le li nee politiche e la strumentazione operativa indicate non sempre sono adeguate. Leggendo i vari dd.l, si radica l'impressione che ogni proposta centri qualche obiettivo, selezioni uno o due meccanismi, individui determinati istituti e dimostri, ri spetto ad essi, come non siano mancate le riflessioni e gli approfondimenti; che tutto il resto venga abbandonato a formule semplicistiche, a rimedi d'accatto, a strumentazioni già sperimentate e insufflcienti, senza che ad essi sia dedicata attenzione bastevole; che in ogni progetto qualche problema tenga il campo e focalizzi le preoccupazioni, mentre i rimanenti sono abbandonati, addirittura senza che ne emergano i contorni: quasi che, per unilateralità di esperienza, di imperativo politico, di formazione disciplinare, di frequentazione culturale o altro, gli artefici dei disegni siano stati affascinati se non paralizzati dalla cen-
tralità - vera o presunta - di questioni, rispetto alle quali la complessiva problematica in oggetto risulta marginale, sfumata, trascurata. Se le prospettive, le finalità, là coerenza interna, gli istituti che contraddistinguono le diverse proposte risultano per più di un verso manchevoli e in qualche caso assolutamente inaccettabili, è altamente improbabile che, in sede di commissione o in aula, il Parlamento possa, muovendo dal loro esame, addivenire ad un risultato defi. nitivo che superi le deficienze, i vuoti, la povertà di idee o la mancanza di vaglio critico che segnano larga parte dei documenti esaminati. Pure, non è difficile giungere a risultati migliori di quelli che le singole proposte o una loro affrettata commistione. lasciano antivedere. Purché, mentre il Parlamento affronta il dibattito, ci siano voci disponibili a ris6llevare le domande cui il dibattito stesso dovrà dare risposta. Senza presunzioni e senza jattanza, ma anche senza inutili modestie, questo saggio ha lo scopo di tentare questa dubbia strada, l'unica ancora aperta. Di seguito si cercherò di mettere in luce i punti che, nell'avviso di chi scrive, sono cruciali per l'avvio di un nuovo e più soddisfacente intervento ,straordinario. 5.2. Le attività straordinarie dello Stato nel
Mezzogiorno non possono avere finalità diverse da (men che mai confliggenti con) quelle che lo Stato - anche qui non neces-
93 sariamente in modo esplicito - persegue con le diverse politiche. Lo Stato punta a diverse finalità, che coinvolgono in una misura o in un'altra il Mezzogiorno; tra di esse si pongono alcuni obiettivi che riguardano direttamente e consapevolmente il Mezzogiorno. Il medesimo Stato, col concorso delle regioni, deve definire i compiti che, con riferimento a questi obiettivi, spettano all'intervento straordinario. Non è pensabile che a organismi speciali si dia carico di obiettivi d'ordine generale (quali lo sviluppo di un'area come il Mezzogiorno o la creazione di un sistema economico autopropulsivo); è altrettanto impensabile che, rispetto a questi o altri obiettivi, non si definiscano i compiti di cui quégli organismi possono e debbono rispondere. Nell'ambito dei propositi e delle mete che muovono Stato e regioni a politiche .di sviluppo, gli stessi specificario gli obiettivi (e le rispettive priorità) che, in ambiti e con funzioni ben definiti, l'intervento deve raggiungere. La situazione problematica del Mezzogiorno, i termini attuali e rinnovantisi della « questione » sono, cioè, interpretati dalle regioni meridionali e dallo Stato e tradotti in scopi dell'intervento secondo una logica che tiene conto della ripartizione delle risorse pubbliche, delle competenze istituzionali e delle capacità e possibilità che gli istituti dimostrino di avere a conseguire i risultati giudicati necessari. Questa posizione sconta il fatto - fino a oggi largamente disatteso - che lo Stato persegua lo sviluppo dell'area arretrata del paese anche attraverso le politiche generali (di cui quasi sempre non ci si è nemmeno curati di individuare gli aspetti e i contenuti volta a volta rilevanti) e non ponga in atto politiche settoriali e specifiche ad esso contraddittorie. Essa esige altresì che le regioni meridionali si facciano portatrici degli interessi comuni dell'area e che la loro condotta, necessariamente• differenziata secondo
le situazioni particolari della popolazione e del territorio, abbia a comune denominatore l'affermazione delle stesse priorità che definiscono gli obiettivi dell'intervento straordinario. Stato e regioni dettano la funzione-obiettivo dell'intervento, ne verificano la attendibilità 'al mutare delle situazioni, e insieme controllano la conformità e l'efficienza dell'operare dell'azione straordinaria e delle altre articolazioni attive dello Stato delle autonomie. Questa collocazione dell'intervento e questa compromissione reale e fattiva dello Stato e delle regioni richiedono un momento politicO unitario di direttiva e di coordinamento. Non conta qui - pur se la cosa è tutt'altro che indifferente - la sede in cui esso si realizza. Quello che è fondamentale è che questo momento di raccordo tra le competenze dei dicasteri e i poteri del governo statale e i governi regionali non ripeta le trascorse esperienze dei vari Comitati interministeriali (in particolare del Comitato dei ministri per il Mezzogiorno), nei quali brevi, formali ed estemporanee presenze dei ministri esaurivano tutta la realtà di funzioni teoricamente complesse e di poteri presuntivamente strategici per il comportamento « meridionalista » dell'esecutivo. Non meno importante è il rapporto istituzionale che il ministro responsabile dell'intervento stabilisce con tale momento, dovendo da un lato rispondere delle attività straordinarie a questa istanza collegiale, e dall'altro svolgere una fu.nzione di stimolo co'ntinuo per il rispetto delle condizioni prima sommariamente tratteggiate - che rendono l'intervento strumento dai compiti ben definiti e calibrati rispetto a finalità effettivamente partecipate ed effettualmente perseguite dai diversi organi dello Stato. In tale cornice, il corollario della presenza di personale regionale nella compagine burocratica del ministro e del Comitato responsabili non dovrebbe richiedere - dopo
94 quel che s'è fin qui detto - ulteriori argomenti. Quanto al coordinamento tecnico-operativo tra competenze statali - ordinarie e straordinarie - e competenze regionali, esso dovrebbe sistematicamente attuarsi in sede regionale. Questo secondo momento di coordinamento e, necessariamente, di verifica non -può non riflettersi su quei giudizi e su quelle opinioni circa la capacità dei diversi poteri e organismi a svolgere i rispettivi ruoli, che dovrebbero nutrire la dialettica del momento politico. Senza credere in soluzioni miracolistiche o a formule passe partout, si può pensare che tali sedi di controllo e di verifica - nelle quali può dispiegarsi tutta la capacità dirigenziale delle istanze autonoxnistiche - possano anche evitare o quanto meno limitare quei rimandi e rimpalli tra le diverse responsabilità e quell'usurpazione di poteri in nome di reali o immaginarie necessità di supplenza, che sono da tempo elemento cocostitutivo e deteriorante del gioco delle parti. Entro una cornice istituzionale del tipo descritto, può ben concepirsi un 'programma pluriennale, da aggiornare periodicamente, 'e dei programmi annuali concernenti il solo intervento straordinario. La specificazione degli obiettivi programmatici potrebbe essere la prima occasione per dichiarare le finalità, debitamente ponderate, cui informare i progetti speciali. Il fatto che presso il ministero del Bilancio e della programmazione economica sia stato istituito un nucleo di valutazione - pur sprovvisto delle prerogative proposte nel dcli La Malfa-Andreatta e richiamate nel cap. 2 - costituisce un -incoraggiamento e un precedente. Imboccare la strada del metodo progettuale, ancora una volta senza mete illusorie - ma nella consapevolezza delle potenzialità e dei limiti del metodo stesso, può dare solo vantaggi, costringendo al confronto tra gli obiettivi e tra le alternative atte a raggiungerli e of-
frendo basi reali per un giudizio di efficienza. L'intervento straordinario - se ne sono viste le ragioni - deve essere ripensato per una durata protratta a lungo nel tempo e concentrato nelle Otto regioni meridionali. Di esso rimangono tuttora in gran parte inesplorati e aperti gli interrogativi riguardanti gli istituti operativi. Circa l'opportunità di un centro amministrativo di dilatate responsabilità - quale il « Fondo » voluto dalla D!C e proposto nel ddl Signorile -, c'è da richiamare il rischio che esso, per l'autonomia stessa che gli deriverebbe dalla vastità delle competenze, dal ruolo di controllore di enti minori e dalla capacità finanziaria, possa assumere un peso e un rilievo del tutto anomali. In tal caso esso potrebbe sfuggire alla responsabilità del ministro e costituirsi come potere indipendente e condizionatore degli interlocutori periferici e del governo centrale; dienterebbe esso stesso oggetto di pretese .partitiche e di una lotta tanto più pericolosa perché combattuta per linee interne, mimetizzata nelle scelte amministrative e nei ruoli tecnici. (Può, d'altra parte, essere considerato un caso che a insistere per questa configurazione dell'intervento sia il partito che controlla quasi tutte le giunte regionali del Sud, che ha selezionato e allevato la stragran parte dei dirigenti e dei quadri della Cassa e che ha tutto da temere da un ministro, esponente di un governo nazionale in cui quel partito, pur maggioritario, non è certo altrettanto predominante?). Quanto a ipotesi diverse di assetto degli istituti maggiori e, in ogni caso, per gli enti collegati, occorre una più chiara specificazione dei loro impegni e un riscontro puntuale delle attività condotte. Non è perpetuabile una situazione in cui gli stessi compiti istituzionali sono talora definiti impropriamente o vagamente e in cui il livello di
95 efficienza è percepibile solo attraverso sintomi di dubbio significato. A scopi chiari da raggiungere utilizzando i fondi conferiti devono corrispondere traguardi in qualche modo verificabii; e l'autorità politica deve poter riscontrare se, in qual misura, a che condizioni e a quali costi i traguardi indicati sono stati guadagnati - deve potere, quindi, appurare la produttività delle risorse e giudicare la convenienza di un loro eventuale aumento, oggi per lo più abbandonato a una logica istituzionale, tendenzialmente e costantemente espansiva, che viene coperta diplomaticamente e sostenuta pattiziamente, piuttosto che giustificata nel rapporto tra i vantaggi pubblici derivanti dalle attività condotte e il costo delle risorse assorbite. Non si può coprire ogni e qualsiasi ente e operazione dell'intervento con le esigenze (reali o immaginarie, da soddisfare o da assumere come alibi) dei Mezzogiorno o con le carenze delle politiche generali. Chiedere che la condotta degli istituti sia traspa'rente esige anzitutto obiettivi chiari e risultati riscontrabili, e impone di fondare una logica di comportamento dove questa, come in certi casi, non c'è mai stata. L'esempio di qualche finanziaria meridionale fa testo.'
5.3, Gli investimenti lordi fissi sono bruscamente caduti nel paese dopo il 1974, e solo nel 1981 essi hanno raggiunto il livello toccato sette anni prima. Nell'industria, la caduta è stata più grave e la ripresa più stentata 247, Nel Mezzogiorno, come s'è visto all'inizio, questi andamenti negativi risultano sensibilmente accentuati rispetto alla media nazionale, e, a maggior ragione, rispetto al Centro Nord. Anche i valori degli incentivi industriali al Mezzogiorno sono crollati. Le spese sostenute dallo Stato per il taglio degli interessi e per il contributo in conto capitale in base
alle sole leggi meridionalistiche (che, come sappiamo, non sono che una parte - sia pur cospicua - dell'onere che lo Stato assume a sostegno dell'industrializzazione del Mezzogiorno) erano pari, nella media annua del periodo 1970-74, al 57,9% della spesa totale per incentivi finanziari al settore « industria, commercio e artigianato ». Negli anni seguenti tale percentuale scende fortemente e ininterrottamente: al 44,7 del 1976, al 37,9 del '78, al 23,3 dell'80, fino al 19,8 del 1981 248 Diminuisce anche il credito, agevolato e non agevolato, concesso dagli istituti speciali all'industria. Gli impieghi degli istituti crescono assai lentamente nel paese, nonostante l'erosione esercitata dal processo inflazionistico; ma di questa lievitazione dei valori correnti, la parte erogata nel Mezzogiorno è in costante discesa. Del tenue aumento assoluto degli impieghi, il Mezzogiorno, ancora nel 1977, assorbe quasi un quarto; ma l'anno dopo la sua quota scende al 9,9% e nel '79 all'8,6%; nel 1980 e nell'81, quando l'espansione degli impieghi nel Centro Nord rispettivamente supera i 3.200 e sfiora i 5.000 miliardi di lire, nel Mezzogiorno si hanno addirittura delle contrazioni 249 E' evidente l'inversione delle tendenze che, iniziate nei primi anni Sessanta, interrotte nel periodo '64-66, erano riprese con forza subito dopo ed erano continuate fino alla metà del decennio scorso. Il grave indebolimento del processo di accumulazione e la stagnazione che si prolunga da anni nel prodotto e nell'occupazione industriali del Sud - per non parlare della manodopera in Cassa Integrazione Guadagni 25 ° - costringono a porre in termini drastici la ripresa e la successiva accelerazione degli investimenti manifatturieri come priorità indiscutibile della politica meridionalistica e della politica economica nazionale; dove, non sarà superflua la ripetizione, l'ac-
96 cumulazione di capitale dovrà dare frutti ben più consistenti di quanti non abbia finora prodotto. L'espansione degli investimenti, della produzione e dell'occupazione industriali esigono che la politica meridionalista predis'ponga le condizioni affinché le convenienze a investire nel Mezzogiorno siano tali da farvi localizzare una quota estremamente rilevante della futura espansione dell'apparato produttivo nazionale (vuoi in termini di attrazione di medie e, grandi unità produttive originate da imprese di altre regioni, vuoi come sollecitazione alla crescita dell'imprenditoria meridionale) e da elevare al massimo la produttività del capitale. Queste condizioni sono identificabili nella disponibilità di situazioni dove siano il più possibile ridotte le diseconomie esterne all'impresa, nell'erogazione di incentivi adeguati nel quantum e nella composizione, nel corretto comportamento degli organismi preposti alla concessione degli incentivi stessi. L'insistenza con la quale le categorie industriali chiedono la messa a punto di incentivi o servizi reali, è indicativa dell'importanza che gli operatori vi attribuiscono. S'è già visto in cosa essi; di fatto, consistano. E' solo opportuno ribadire come, oltre alla presenza e alla disponibilità dei servizi idrici, energetici, telefonici, etc., assumano importanza particolare la predisposizione di aree attrezzate per l'insediamento di unità minori 25 e il superamento di quella « carenza di operai e di quadri specializzati » che costituirebbe addirittura « il maggiore impedimento allo sviluppo meridionale» 252. Quest'ultimo problema - per il quale torna a proposito l'idea di Signorile dei contratti di alternanza formazione e lavoro - è tanto più assurdo se si considerano le fortissime spese che le regioni meridionali si addossano per la formazione professionale 253, anche qui, il riorientamento produttivo di strumenti oggi asserviti alla logica dell'assisten-
zialismo clientelare, dovrebbe tener dietro alla consapevolezza della loro essenzialità. Dubbi consistenti possono invece nutrirsi sull'opportunità di incentivare l'offerta di consulenze professionali di vario genere. Se è comprensibile l'opposizione a delegare a questi fini strutture pubbliche e semipubbliche (vent'anni di c.d. «assistenza all'industria » potrebbero essere sufficienti come esperienza), e sempre che si continui a ignorare l'esigenza d'imporre loro di mutare i metodi di gestione, occorre la massima cautela a sollecitare un'ulteriore espansione di un terziario che rischia di essere « di ordine superiore » e « avanzato » solo sulla carta. Prudenze analoghe dovrebbero valere anche per l'incentivazione dei servizi di intermediazione commerciale. L'incentivazione diretta agli investimenti e alla gestione industriali deve soddisfare tre esigenze: creare un differenziale di costi rispetto al resto del paese che determini la convenienza all'insediamento nell'area meridionale; contribuire all'approvvigionamento di capitale per chi intenda costruire nuovi impianti o allargare quelli esistenti; spingere il privato verso la combinazione dei fattori che maggiormente si avvicini alla composizione socialmente più conveniente e, dunque, più produttiva. Queste esigenze possono essere soddisfatte attraverso le agevolazioni finanziarie e gli incentivi sul costo del lavoro. Le prime, pur costituendo un apporto significativo al fabbisogno di capitale, devono essere sensibilmente inferiori a quei livelli che, 'nell'ultimo quindicennio, hanno indotto un uso sconsiderato della risorsa scarsa e una depressione inammissibile della sua produttività. Il contributo al costo del lavoro, che dovrebbe aggirarsi intorno a cifre equivalenti alla totale fiscalizzazione degli oneri sociali (e non dei soli oneri previdenziali), si porrebbe a livelli non di molto superiori all'alleggeri-
97 mento dei costi da capitale che deriva dagli incentivi finanziari. Le agevolazioni fiscali vanno stabilite secondo un duplice criterio: di accompagnare e rafforzare la spinta all'uso razionale delle risorse; di contemperare le esenzioni che riducono i costi, e che quindi valgono per la generalità dei produttori, con quelle che, detassando gli utili e favorendo l'autofinanziarnento, tanto più premiano l'azienda quanto più sono positivi i suoi risultati d'esercizio. La concessione degli incentivi deve sfuggire a giudizi di discrezionalità: tale principio non esclude, come già si è visto, che agli incentivi (quanto meno alle agevolazioni finanziarie) non siano ammessi i compa.rti i quali godono di posizioni di rendita perché sottratti all a concorrenza e non risentono delle diseconomie esterne che colpiscono le aziende di produzione meridionali. Salvi, poi, gli incentivi al capitale - •per i quali, anzi, l'istruttoria non può non essere selettiva, in funzione delle prospettive dell'iniziativa e dell'impresa da agevolare - occorre garantire il massimo automatismo possibile e favorire forme di autoliquidazione e tutte le altre misure che evitino intermediazioni inutili e parassitarie. Nei casi in cui tutto questo fosse arduo a realizzarsi, bisognerebbe comunque assicurare il contatto tra imprenditori ed enti erogatori degli incentivi, escludendo qualsiasi tramite improprio. L'impegno allo sviluppo industriale non può limitarsi a orientare la politica di incentivazione. Esiste tutta una serie di strumenti, agibili da diverse istanze politiche, amministrative e imprenditoriali, che possono rive•Iarsi di grande utiliità per la vita delle industrie e che costituiscono il logico - e talora indispensabile - complemento alle misure che pertengono all'intervento straordinario.
5.4. Certamente « fare banca nel Sud è più
difficile » 254; altrettanto certamente nel Sud non si fa banca nel migliore dei modi. Pure, in questa fase del suo sviluppo (ma non si può non mettere nel conto delle difficoltà del passato la presenza di un sistema creditizio particolarmente arretrato), l'economia meridionale di poche cose ha più bisogno che di banche e di istituti speciali che si pongano in modo attivo rispetto alle aziende industriali e alle loro esigenze e che svolgano un ruolo di supporto nei confronti della piccola e media impresa. L'appello, dunque, alla «imprenditorialità bancaria, quale condizione per permettere un uso produttivo delle risorse » 255 il richiamo ad allargare l'attività creditizia con l'adozione di tecniche di intervento più ricche e diversificate 256 l'auspicio della diffusione di strumenti idonei a sollevare pesanti compiti di gestione industriale - quali il leasing e il factoring - 257 devono trovare adeguate ri sposte, anche se non si può sottovalutare la resistenza che una conversione del genere incontrerà nelle stesse istituzioni creditizie 258 . Negli ultimi anni si sono avuti segnali positivi di cambiamento, a iniziare dalla nomina di alcuni alti dirigenti che •ha rotto la lunga e devastante serie di politici locali assolutamente inetti. Uh'occasione potrebbe essere fornita dai Mediocrediti, che tra il 1980 e l'81 sono stati costituiti in molte regioni del Mezzogiorno continentale;, ma qui le candidature di corroborati esperti in mene di sottogoverno preannuncia un esito addirittura opposto. Società finanziarie per la partecipazione al capitale di rischio delle minori imprese sono nei programmi di alcuni governi regionali, e la Giunta della regione Abruzzo ha già approvato, nel dicembre 1981, la costituzione di una finanziaria. Altre iniziative, mosse da enti operanti nel settore creditizio o da istituzioni di vario genere, sono da tempo ventilate 259 Le vicende economiche e finanziarie dell'ui-
98 timo decennio hanno riproposto con forza il tema del capitale di rischio e quello delle società di partecipazione al capitale delle minori imprese. Mentre - come è noto nel Nord del paese (dove, peraltro, si denuncia l'insufficienza. delle finanziarie in attività) sono state da tempo avviate le iniziative necessarie, nel Mezzogiorno la stessa FIME, deliberata con la legge del 1971, è stata costituita anni dopo. Doveva essere già allora evidente, ed è oggi palese a tutti, che gli stessi compiti di una finanziaria per quanto dinamica e ben provvista di mezzi, mai avrebbero consentito che problemi di questo tipo potessero essere risolti, o anche solo affrontati, da un istituto avente competenza sull'intera area meridionale. Il problema si ripresenta in questi anni, e le sue dimensioni reali richiedono una pluralità di organismi. La loro crescita, i cui ritmi fisiologici non sopportano forti accelerazioni, e la difficoltosa formazione del personale impongono tempi lunghi; a maggior ragione si deve provvedere sollecitamente a studiarne la possibilità e a promuoverne la costituzione. Infine, va richiamata l'importanza che posono rivestire le associazioni tra i produttori, e in particolare il ruolo che svolgono i Confidi. A fine 1980, su 17.645 imprese che aderivano a questi consorzi, soio 1.734 (9,8 0/6) erano operanti nelle regioni del Sud. Secondo i rappresentanti degli industriali, « una delle cause principali della scarsa consistenza e operatività del Confidi nel Mezzogiorno, è da attribuirsi ad una carenza cli legislazione regionale volta ad agevolarne la nascita, la crescita e lo sviluppo; per converso nelle aree del Centro Nord esistono leggi regionali che destinano fondi cospicui alle agevolazioni dei Confidi » 26O A sua volta, un Rapporto già utilizzato in queste pagine suggerisce: « il riesame della tematica dei servizi reali potrebbe contemplare la costituzione di forme associative di pro-
duttori con la partecipazione e/o il conferimento di fondi da parte dell'ente Regione, capaci di accollarsi l'onere delle garanzie richieste a fronte dell'indebitamento bancario della minore impresa. Sarebbe questa una notevole agevolazione indiretta per favorire l'accesso al credito di imprese caratterizzate da esigue disponibilità patrimoniali dei soci » 261 Tutti i temi ora richiamati sono destinati ad assumere un'importanza crescente, mentre nel paese la struttura dell'offerta finanziaria e dell'intermediazione tra risparmiatori e utilizzatori di capitali si avvia verso mutamenti in larga parte indefiniti, in funzione anche di variabili (come la pressione del settore pubblico allargato sul credito totale interno) che sfuggono all'orizzonte delle aziende di credito. Probabilmente ci troviamo nel mezzo di evoluzioni che sollecitano iniziative innovanti e articolate. Oltre all'indispensabile revisione del credito agevolato - che può riservare sorprese a chi contava su di un rilevante flusso di credito a basso costo incanalato forzatamente verso le imprese che fruiscono di garanzie « di carattere sia reale che politico » 22 -, anche i processi di disintermediazione e di despecializzazione bancaria esigono che il sistema economico meridionale si doti rapidamente di nuovi strumenti. Come è oto, negli ultimi anni è venuto diminuendo quell'eccesso di intermediazione bancaria che aveva raggiunto il culmine do. po la metà del decennio scorso 263 e che aveva una motivazione di fondo, oltreché un risvolto, nel sostegno alla provvista degli istituti speciali; pur se, come s'è avuto modo di documentare, con risultati economici tutt'altro che lusinghieri, quell'eccesso di in. termediazione 264 è servito anche a finanziare gli investimenti industriali compiuti nel Mezzogiorno. All'inversione di tendenza hanno corrisposto finora nei risparmiatori una crescita elevatissima degli investimenti in
99 BOT - che non può non ritenersi patologica e che, col freno auspicato al deficit pubblico, dovrebbe stabiizzarsi e quindi rientrare entro un certo numero di anni e un sensibile aumento dell'acquisto di azioni che, se procedesse spedito il riordino di questo mercato e se continuasse, sia pure lentamente, a migliorare il risultato economico di un ampio ventaglio di grandi imprese, è destinato a consolidarsi. Nel caso in cui non venissero approntati nuovi strumenti per orientare e incanalare il risparmio, è certo che della necessaria vitalizzazione del mercato azionario - dalla quale, non si dimentichi, sono tuttora (e ovviamente) esclusi i gruppi pubblici che operano prevalentemente nel Sud - potrebbe fare le spese il fabbisogno di capitali, e di capitali di rischio, indispensabile al processo di accumulazione industriale nel Mezzogiorno. Non è una novità che le aziende di credito abbiano superato, in casi non del tutto marginali, i confini posti dalla legge bancaria a separazione dei diversi ambiti di specializzazione. A partire da un •DM del 1972, poi, alcune categorie di aziende di credito sono state autorizzate a compiere operazioni con scadenza compresa tra i 18 mesi e i 5 anni, entro un massimale portato successivamente al 15% della massa fiduciaria 265 La modifica normativa andrebbe interpretata « come incentivo offerto a banche e ad imprese per ristrutturare estesamente la veste tecnica dei loro rapporti e come strumento per rendere più concorrenziale il mercao dei finanziamenti a media scadenza, semplificando ad un tempo i circuiti che li alimentano » 288 A partire da quel DM, il tasso di espansione degli impieghi formalmente a non breve termine delle aziende di credito supera nettamente quello degli impieghi degli istituti mobiliari. Al 31 dicembre 1974 questi impieghi delle banche hanno una consistenza
che è pari al 37,5% di quella dei mutui degli istituti speciali; a fine 1978 essa è salita al 45,3 e nel corso del 1980 giunge al 60% 287 Se - come c'è motivo di ritenere - l< inserimento delle aziende di credito nelle attività a lungo termine deve essere considerato particolarmente minaccioso e suscettibile di ulteriori sviluppi per gli intèrmediari che in tale comparto istituzionalmente operano », e « se è vero che dalla "banca mista" saranno avvantaggiate le imprese già esistenti in condizioni strutturalmente profittevoli sul mercato » 288 qualche corollario di indubbio rilievo deriva per l'impegno alla crescita industriale del Mezzogiorno. Assumendo secondo realismo che la stragran parte delle « imprese già esistenti in condizioni strutturalmente profittevoli sul mercato» sono localizzate nel Centro Nord e che le aziende che vanno svolgendo la funzione di « banca mista » operano pressoché esclusivamente nelle stesse regioni (quanto alle aziende di credito meridionali che, stando alla nuova normativa, si trovano nelle medesime condizioni e possibilità, non ci si può - almeno nell'immediato - attendere molto), risulta evidente il rischio che dall'arricchimento avvenuto e che più si affermerà degli strumenti creditizi, il Mezzogiorno rimanga sostanzialmente escluso. E' chiaro come si imponga un approccio a questo momento e a questi problemi dello sviluppo che poco ha a che vedere con le impostazioni tradizionali, come i temi che possono assumere un peso decisivo siano estranei all'intervento straordinario e come, insieme, risultino assolutamente complementari a esso. Le politiche del Tesoro e della Banca d'Italia, le opzioni che vanno compiute in sede di legislazione regionale e ancor più - le iniziative degli industriali e degli operatori bancari e finanziari acquistano allora un significato e un'importanza che non è esagerato definire determinanti.
iw] Come s'era già avuto modo di accennare parlando delle articolazioni 'periferiche e dei centri locali della pubblica amministrazione, quando - anche per l'effetto di spostamenti massicci di capitale, di forti dotazioni di infrastrutture civili e di una spesa pubblica corrente che è una frazione cospicua del reddito disponibile - vengono superati determinati livelli di crescita, l'ulteriore sviluppo richiede un diversificarsi della presenza pubblica e un complessificarsi della struttura sociale che pongono compiti nuovi e più faticosi ai soggetti responsabili. Si può, forse affermare che le grandi decisioni che sono state determinanti per il Mezzogiorno e che erano in larga parte prese al di fuori di esso - al più scegliendo al suo interno gli interessi omogenei e facendoli partecipi, ma subalterni - oggi possono sempre meno, e quel che possono lo ottengono in virtù della collaborazione di agenti autonomamente radicati e operanti nelle regioni del Sud. Il che, in questa sede, implica almeno due conseguenze: che agli obiettivi meridionalisti non può restare estranea nessuna struttura dello Stato per quel tanto che sta ad essa di favorire, di consentire o di inibire; che i meridionali, le loro sedi di partecipazione 'politica, le loro competenze e capacità organizzative, amministrative e professionali, contano sempre più nell'orientare e nel cadenzare il processo di sviluppo.
5.5. L'analisi tratteggiata nel corso di questo lavoro non pretende essere esaustiva né per l'inrero, complesso tema del rinnovamento legislativo né 'per i singoli argomenti affrontati. Quel tanto di discorso propositivo che si è ritenuto opportuno svolgere è stato condotto entro limiti ancora più angusti, centrando alcuni fra i problemi nodali e insistendo sui criteri con i quali andrebbero affrontati. Altri argomenti, non sempre meno impor-
tanti di quelli accennati, sono stati deliberatamente omessi o trascurati: o perché' vanno affrontati in connessione con scelte che allo stato attuale non possono ritenersi chiarite (è il caso dell'entità del finanziamento delle attività straordinarie), o perché vanno trattati - una volta definiti gli ambiti istituzionali - dopo essere entrati nel merito di una problematica che non poteva essere nemmeno sfiorata (come per i programmi del settore agricolo), oppure perché non si ritiene di possedere gli elementi indispensabili alla discussione (caso degli « accordi di programma »). Man mano che emergevano le proposte per il nuovo ciclo dell'intervento, venivaho esternate forti preoccupazioni (avvalorate dal ricordo del 'lungo periodo di incertezze e difficoltà seguito all'approvazione della 'legge 183): mutamenti radicali nelle norme e negli assetti operativi potrebbero indurre una vera e propria paralisi e finirebbero così col danneggiare l'economia meridionale. Sono timori che non possono essere trascurati, almeno quando sono manifestati - è il caso di F. Compagna269 - come invito al realismo. Quanto al richiamo a precedenti quale la legge del 1976, è bene aver presente che questa cambiava ben poco nella sostanza dell'intervento. Essa portò a un periodo di immobilismo solo perché nutriva ambizioni rispetto alle quali i congegni che impose erano del tutto impari. Essa, infatti, presumeva più di quel che non sarebbe stato possibile mantenere in termini di contenuti (un programma quinquennale, ad esempio, che doveva dire tutto per gli interventi straordinari e quasi tutto per quelli ordinari) e in termini di scadenze (fissate nei tempi brevi quasi a garantire eventi assolutamente improbabili), moltiplicava - talora inutilmente - le istanze pelitiche, complicava, nell'intento di semplificare, procedure già improbe. Come se nonbastasse la mal com-
101 binata legge, al perdurare dell'immobilismo contribuirono direttive ministeriali e del CIPE che, quando non si contraddicevano infantilmente (come gli elenchi dei settori prioritari e i relativi aggiornamenti) o quando non erano vuote di qualsiasi contenuto (si vedano le disposizioni per la ristrutturazione degli enti collegati), davano luogo a ulteriori complicazioni e a perdite di tempo. Ma ben altri sono gli argomenti che depongono a favore di una revisione rinnovatrice dell'azione straordinaria nel Mezzogiorno. Anzitutto è da ritenere che, dato l'attuale grado di funzionalità, un assestamento solo parziale dell'intervento, e della Cassa in particolare, non sarebbe certo bastevole per attingere livelli dignitosi di efficienza. Ciò non significa che revisioni mal concepite (quali abbiamo conosciute in alcuni ddl) non possano addirittura peggiorare la situazione; ma questo intervento non è in grado cli conseguire gli scopi che gli vanno proposti e in questo momento una revisione, ovviamente in meglio, è indispensabile. In secondo luogo, organismi nati per soddisfare esigenze ben diverse da quelle attuali e malamente adattatisi al successivo modificarsi degli obiettivi, certo non potrebbero rispondere agli impegni così diversi che da ogni parte (e sia pure in modi molto, differenziati) vengono richiesti. Infine, e soprattutto, poiché l'intervento straordinario la provocato anche effetti che nessun eufemismo consente di definire positivi e poiché - nonostante l'eccezionale flusso di risorse - i risultati in termini di prodotto, di occunazione, di dipendenza da ulteriori flussi dall'esterno sono quelli che sono, sarebbe semplicemente criminoso non invertire la rotta, e non invertirla immediatamente. Se è vero - come è vero - che occorre porre in atto un meccanismo che accresca 'la produzione, dilati l'occupazione, e con-
tribuisca nei fatti a realizzare un'alternativa all'assistenzialismo, non sarà mai troppo presto per rovesciare una politica e per mutare delle istituzioni che operano nel senso opposto a quello desiderato. Che l'intervento straordinario sia insufficiente a perseguire finalità di tale respiro, non c'è bisogno di ripetere ancora. Per questo vanno individuate concretamente le politiche generali e settoriali che 'lo Stato deve perseguire e precisata la direzione nella quale è auspicabile che le regioni agiscano. Che l'intervento straordinario risulti necessario in tale ottica, è l'unica ragione che ne giustifichi l'esistenza. Stabilito questo, ne consegue la necessità di una rifondazione politico-organizzativa pari ai compiti da assolvere, che gli consenta di operare ai liveffi e con gli standards necessari, a cominciare dalla capacità 'di progettare le proprie azioni e di valutare quelle dei soggetti da finanziare. Se nascesse problema per soddisfare queste condizioni o se si preferisse alla riforma il ripiego su 'formule abusate o insignificanti (l'insistenza di alcuni ddl sulle « azioni organiche » e sulle « agenzie » è sintomo inquietante) vorrebbe dire che 'la riproposizione dell'intervento straordinario è praticabile solo a livelli inadeguati e che è, quindi, inaccettabile. L'impegno per dar vita a un'intervento all'altezza dei problemi da affrontare è arduo; mancarvi sarebbe irresponsabile; pensare di farne a meno illusorio.
102 Fatti uguali a 100 gli investimenti interni lordi fissi al 1974, questi scendono a 87,2 nel 1975 e sono pari a 102,7 nel 1981 (il calcolo è stato fatto a prezzi 1970); nel settore industriale, il numero indice è pari a 78,6 nel 1975 e a 89,7 nel 247
1981. (Fonte: Relazione generale sulla situazione economica del Paese per il 1981, Bozza di stampa, Roma, 1982, vol. I, pp. 190-191). 248 Elaborazione sui dati della tav. « Onere per concorsi agli interessi e contributi alla spesa di investimento », BANCA D'ITALIA, Assemblea Generale ordinaria dei partecipanti, Roma, Appendice, p. 110 dell'edizione 1979 e p 380 della edizione del 1982. 249 Si danno di seguito le variazioni assolute degli impieghi degli istituti di credito speciale nell'industria (valori in miliardi di lire): 1981
2980 74,8
323,5
8o,.10g190,,o
600
151
118
C,ntro 744
2.818
1.528
1.247
3.292,9
4,911.7
2,418
1.679
1.860
3.218,1
4.588.2
It.11 Mo,o./Itoli.
100
24.7
9,0
8.6
-
-
2,2
-
-
7.01
P000011]76911. 00000: 0,,,,o d'Itollo. Aoo,mhl.0 000,0 00 0,48, 01 Ooo,, 000. 'lopioghi poo n000 800grofloho' o p. 275 ,Io.11odi9iono dcl. p. 277 di j11t 601 1981. • . 119 doll'À7909dIoo di q9ohl 1979. 400 1981.
250 Contro una quota di occupazione industriale esplicita variante intorno al 18% di quella nazionale, la percentuale meridionale di ore di integrazione è stata la seguente: 1975 1976 1977 1978 1979 1980 1981 29,4 20,2 24,2 26,6 26,3 29,8 16,2 (Dati tratti dalla Tav. « Ore di integrazione salariale (C.I.G. ordinaria e straordinaria): dati regionali », in CENTRO EUROPA RICERCHE, Rapporto numero due, Roma, marzo 1982, p. 19). 251 Cfr., di G. IMPERATORI, Turismo al Sud con le industrie, « La Repubblica », 14 ottobre 1981 e Gli itinerari della piccola industria, <iPiccola Industria o, ottobre 1981. 252 L'affermazione è di A. Portesi, •presidente della sezione piccola industria dell'Associazione Industriale Bresciana. In G. FABI, Investimenti più fa-
cili al Sud per la piccola e media impresa, « Il sole - 24 or », 19 ottobre 1979. 253 L'<c impegno finanziario delle Regioni meridio-nali per la formazione professionale è tutt'altro che irrilevante e risulta essere in continua espansione. Nel 1980 le Regioni del Sud hanno speso in questo settore il 61,5% del totale nazionale, pari a 520 miliardi di lire, 189 dei quali erogati dalla sola Campania e 120 dalla Sicilia. Ma sotto l'etichetta dei corsi ad indirizzo indu-
striale sono ricompresi anche i corsi per sarti, per parr-ucchieri, rilegatori di libri e riparatori radio e TV. Tutto ciò mentre l'industria meridionale di fatto accusa carenze di personale realmente qualificato, in particolar modo nel comparto. delle lavorazioni a caldo e nel campo delle manutenzioni meccaniche ed elettromeccaniche. La formazione professionale oggi in Italia, ma so.prattutto nel Sud, è dunque -una macchina che ali-menta se stessa da un lato, dall'altro costituisce uno sbocco occupazionale per i tanti di.plomati che non trovano lavoro. Basti considerare che l'incidenza della spesa per il personale in Campania, nei centri gestiti direttamente dalla Regione, tocca l'80 per cento dell'intera spesa, mentre in Calabria, nei centri di formazione, la media- è di 5-6 allievi per docente » (E. MARANO, Perché è più difficile..., cit., p. 20). 254 Cfr., M. MENICHELLA, Perché al Sud è più difficile fare il banchiere, « Il sole - 24 ore o, 24 no. vembre 1981. 255 G. MANGHETTI, I circuiti clientelari del credito nel Mezzogiorno, « Orientamenti nuovi per la piccola e media industria », gennaio 1981, p. 23. 258 Cfr., F. VENTRIGLIA, Oltre il c7edito agevolato, Giannini, Napoli 1978, in particolare il Cap. V e le Conclusioni. 257 Cfr., E. MARANO, Perché è più difficile..., cit., p. 20. 258 Illuminante, per quel che riguarda l'IsvEIMER, quanto lascia trasparire il suo presidente. Cfr., l'Introduzione in F. Ventriglia, Oltre il credito..., cit. 259 Cfr., la relazione di R. BANFI, relativa ai propositi del Mediocredito Centrale, riportata da A.R. G0RI, Problemi specifici degli Istituti di credito speciale nel contesto del sistema, « Bancaria », marzo 1981, pp. 300-301. Va ricordata anche la AgenSud, operante nelle aree colpite dal terremoto del novembre 1980. 280 E. MARANO, Perché è più difficile..., cit., p. 20. 261 ISvEIMER, Credito industriale e sviluppo del Mezzogiorno, cit., p. 41. 282 A. NIcc0LI, Razionamento del credito..., cit., p. 77. 283 Si riportano di seguito (limitatamente ad alcuni degli anni -presi in considerazione dalla - fonte) i dati, relativi alle voci che più interessano, tratti dalla tav. 20, « Analisi del risparmio finanziario delle famiglie: 1963-1980 » di MINISTERO del TESORO, Il sistema creditizio e finanziario italiano. [.].
Relazione della Commissione di Studio istituita dal Ministro del Tesoro, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Libreria dello Stato, Roma 1982 (-p. 221):
103 Anilisi del rispiio finanziario_dello famie:_1963-1980 Conpo.izìor.e
Depositi bancari -. Titoli a breve (b)
27,9 I -
30,5o -
1969i 1972
1975 j 1977 i 1978
32,0
50,
.37,6
-
-
1980
55,4
52,6
52,5
0,2
2,8
3,6
5,5
51,8
-
Titoli a reddito fisso
15,5
18,5
18,6
18,8 I
13,3
10,2
-
Azioni
23,7
16,2
11,4
6,2
1,9
0,7
4,7
4,9
.44
-
Attiviti all'estero
7,5
5,5
10,4
9,8
6,8 ,
4,8
3,8
3,1
3,0
10,6 i 10,1
i
8,2
I
(a) Consistenze di-fine periodo. (b') 807 e,. dal 1979, accettazionj bancarie. 264
«Non è inutile ricordare, oggi, che l'eccesso di intermediazione bancaria è andata a danno delle imprese, delle famiglie, delle stesse banche, della collettività. Le imprese hanno fatto ricorso al credito anche per sostituire il capitale proprio e per coprire perdite, e hanno registrato un pesante deterioramento delle loro strutture finanziarie. Le f amiglie hanno subito una consistente diminuzione del valore reale del loro risparmio, esposto tanto nei confronti dell'inflazione galoppante quanto dell'oligopolio bancario, il quale ha rappresentato un oggettivo ostacolo al miglioramento dell'efficienza allocativa. Le banche - anch'esse, si potrebbe aggiungere, nonostante l'apparente contraddizione hanno pagato l'eccesso di "potere" in doppio modo. Da un lato, si sono fortemente esposte ad un eccesso di rischi, e, quindi, di instabilità; dall'altro, sono divenute sempre meno efficienti, perdendo in capacità operativa e produttività. La collettività, infine, ha dovuto rieqiiilibrare parte di tali costi e disfunzioni; a carico del bilancio pubblico: sotto forma di sussidi alle imprese e di aiuti alle banche per ricapitalizzazioni; a carico del banchiere centrale, sotto, forma di interventi per ridurre il grado di instabilità nelle banche più esposte. La stessa collettività era costretta a subire un costo dell'intermediazione sempre più elevato (il margine lordo sui totale dei -fondi intermediati cresceva dal 3,3 per cento del 1969 al 5,1 -per cento del 1975) ». G. MANGHETTI, Perde peso l'italia delle banche, « Rinascita », 3 luglio 1981, p. 15. 265 e Il fatto nuovo che si verifica agli inizi del
periodo qui considerato - e -più -precisamente per effetto del Decreto del Ministro del Tesoro in data 23 marzo 1972 - è che anche le aziende di credito costituite in forma di società per azioni e le banche popolari cooperative, cioè organismi non specializzati nei suaccennati tipi di finanziamento - sono autorizzate a compiere operazioni con scadenza compresa tra i 18 -mesi e i 5 anni entro un massimale che, originariamente fissato nell'8% della massa fiduciaria, è stato successivamente ampliato sino ad un livello -massimo del 15%, secondo una "scalettatura" che tiene conto' del livello di patrimonializzazione raggiunto dalla singola banca ». F. CESARINI, Le aziende di credito
italiane. Aspetti strutturali e lineamenti di gestione, Il Mulino, Bologna 1981, .pp. 159-160. 266 Ibidem, p. 160. 287
Ibidem, p. 159. U. MARANI, Cosa sta cambiando nell'intermediazione finanziaria, « Politica ed Economia », gen268
naio 1981, p. 66 e p. 67. Quanto al problema degli istituti di medio termine collegati alle banche e della loro •diversa situazione rispetto agli altri istituti di credito mobiliare, si legge con profitto
Economia del credito agevolato: il problema della « efficiente trasmissione », in ISVEIMER, Credito industriale., cit., in part. alle pp. 243-255. V. ORATI,
289
Se ne vedano le opinioni riportate da M.
TURINI,
VEN-
Mezzogiorno. Senza soldi e con due casse,
« Mondo Economico », 19 -marzo 1982.
Nonostante il forte ritardo con cui esce questo fascicolo - e di cui ci scusiamo con gli abbonati - un'ujteriore proroga della vita della Cassa per il Mezzogiorno e il trascinarsi del dibattito parlamentare non ancora approdato in aula sembrano costituire le uniche novità di questi mesi. Per questo riteniamo di inalterata attualità il saggio che qui si presenta, ultimato all'inizio di giugno.
M-
RAPPORTI DI RICERCA E PAPERBACKS OFFICINA
Amministrazione e società civile
Comunità e poteri locali
CENTRO STUDI DELLA FomAzIor.m A. OLIvETTI
ETTORE ROTELLI (a cura di)
Rapporto sulla riforma del bilancio, a cura di P. Ricci, M. T. Salvemini, E. Zaghini, pp. 144, L. 4.000 DONATELLO SERRANI
L'organizzazione per ministeri, pp. 176, L. 5.000 SABINO GAS SESE
Esiste un Governo in Italia?, pp. 272, L. 7.500
Regioni, forze politiche e forze sociali, pp. 588, L. 7.000 FRANCO FERRARESI e PIETRO KEMENY
Classi sociali e politica urbana, pp. 160 L. 3.000 A. SIGNORELLI, M.C. TIRITIcc0, S. RossI Scelte senza potere. Il ritorno dei lavoratori migranti nelle zone dell'esodo,
pp. 328, L. 2.500 ALBERTO LAC AVA e FRANCO KARRER
Ambiente e territorio, pp. 180, L. 4.000
MARIA TERESA SALVEMINI
Il Tesoro e la politica di bilancio, pp. 144, L. 4.000 VINCENZO SPAZIANTE
Questione nucleare e politica legislativa. Primo rapporto del Centro Studi della Fondazione A. Olivetti sui problemi del la politica energetica, •pp. 216, L. 7.500 GOFFREDO ZAPPA
Mezzogiorno e progetti speciali, pp. 260, L. 8.000 CARLO DESIDERI
L'amministrazione dell'Agricoltura (19101980), pp. 320, L. 12.000 SERGIO. RISTUCCIA
Amministrare e Governare. Governo, Parlamento, Amministrazione nella crisi del sistema politico,
•pp. LXIII-607, L. 25.000.
Storia urbana e storia amministrativa MAURICE CERASI e GIORGIO FERRARESI
La residenza operaia a Milano, pp. 368, L. 6.500 CARLO CESARI e GIULIANO GRESLERI
Residenza operaia e città neo-conservatrice. Bologna un caso esemplare, pp. 244, L. 7.000 SILVANO FEI
Firenze 1881-1898: la grande operazione urbanistica, pp. 320, L. 8.000 VIERI QUILICI
Palermo centro storico: un problema di metodo, pp. 128, L. 7.000 Officina Edizioni: Passeggiata di Ripetta, 25 - 00186 Roma