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queste lostítUZION 1982/2° semestre
IL CASO AMBROSIANO-bR Un dissesto bancario nella prospettiva dei rapporti Stato-Chiesa
contributi di Piero Bellini, Sergio Lariccia, Gustavo Minervini, Carlo Crocella, Gianni Long, Carlo Cardia, Sergio Ristuccia
Il dissesto del Banco Ambrosiano è una delle maggiori crisi bancarie dal dopoguerra ad oggi. A conti fatti potrà risultare il caso maggiore, in assoluto: così, del resto, è stato già autorevolmente ipotizzato. In questo dissesto si trova coinvolta la finanza vaticana: il caso Ambrosiano ha così riproposto, con sottolineature inedite e drammatiche, il nodo dei rapporti Stato-Chiesa in Italia. E' questo il tema del nostro fascicolo. Alcuni degli scritti pubblicati prendono spunto dalle affermazioni del ministro del Tesoro sulla natura dell'Istituto per le opere di religione (IOR) pronunciate alla Camera dei deputati l'8 ottobre 1982. Nel contesto di un'esposizione molto ampia e ricca di dati, quelle affermazioni sembravano dare per scontata, in termini giuridici, una sorta di « intoccabilità » dello bR. sicché solo il vertice vaticano sarebbe potuto intervenire a sbloccare la situazione. Intese al momento come affermazioni volte a sollecitare direttamente, e dunque polemicamente, il Pontefice ad un intervento (contro il Sen. Andreatta reagì subito il partito papalino interno alla Democrazia cristiana), le medesime dichiarazioni sono state successivamente intese da alcuni come la giustificazione di un intervento governativo di tipo puramente diplomatico. Quelle dichiarazioni sarebbero state, dunque, la
2 premessa logica della trattativa fra stati che alla vigilia di Natale '82 ha approdato alla costituzione della Commissione parit etica italo-vaticana. Rinviamo alle pagine seguenti per la cronaca dei fatti del caso Ambrosiano-IOR più rilevanti nella prospettiva dei rapporti Stato-Chiesa (si veda, al riguardo, il primo paragrafo del contributo di Sergio Lariccia), nonché per il contenuto di quelle affermazioni del Sen. Andreatta. Le valutazioni che di esse danno gli studiosi che hanno risposto alla richiesta di un parere rivolta loro dalla nostra rivista sono vari amente argomentate, ma per lo più critiche sul punto specifico della posizione dello IOR nell' ordinamento italiano. Alcuni pareri inquadrano storicamente il caso recente, altri guardano direttamente ai problemi di riforma dell'ordinamento. Ma la scelta della trattativa con il Vaticano deriva solo da ragioni di principio, giuste o sbagliate che esse siano? C'è da dubitarne considerando l'ampiezza e la gravità del caso Ambrosiano e la complessità dei suoi effetti e. possibili sviluppi. Dal. discorso di Andreatta alla Camera vanno, dunque, colti altri spunti e informazioni. Del resto, come i deputati intervenuti nel dibattito hanno dato at/o al ministro, si è trattato di un'esposizione puntigliosa e ricca di particolari: è stato cioè un buon esempio non molto frequente - di come il governo deve comportarsi, in materie importanti e delicate, quando è chiamato a render conto in Parlamento di ciò che ha fatto e di ciò che è venuto a sapere. Non sarebbe questa, tuttavia, una ragione sufficiente per soffermarsi qui sul discorso di Andreatta. Conta invece richiamarne. anche altri passi in quanto essi consentono di cogliere e intendere, anche in punto di fatto, gli aspetti più rilevanti di un caso (finanziario, giudiziario e politico) che sta facendo emergere i lati meno nobili e insieme meno trattati dei rapporti fra società civile e società religiosa. Su questa più ampia lettura del discorso del ministro alla Camera si basa l'ultimo contributo pubblicato nel fascicolo.
queste . istituzioni 1982/20 semestre Direttore: SERGIÒ RISTUCCIA - Coadirettori: GIOVANNI BECHELLONI (responsabilè) e MAssIMo BONANNI. DIREZIONE, REDAZIONE E AMMINISTRAZIONE, Casella postale 6199 - 00100 Roma Prati - Telefono 657.054. Conto corrente postale 'N. 57129009 - intestato a: GRUPPO DI STUDIO SU SOCIETÀ E ISTITUZIONI - casella postale 6199 - 00100 Roma Prati. « Queste Istituzioni » esce semestralmente in quattro o cinque fascicoU separati di dei quali dedicato ad un solo tema.
16-32 pagine, ognuno
Abbonamento ordinario: annuale L. 20.000.. Periodico iscritto al registro della stampa del Tribunale. di Roma al n. 14.847 (12 dicembre 1972). Spedizione in abbonainento postale - IV gruppo,. . STAMPA: Litospes - Roma.
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Aeocieto ailUspi: Unione Stampa Periodica Italiana
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Lo IOR non è intoccabile (attività patrimoniali degli enti centrali della Chiesa e giurisdizione dello Stato)
di Piero, Bellini
1. La recente istituzione di una Commissione ufficiale mista, incaricata di « procedere congiuntamente all'accertamento della verità sulla questione dei rapporti intercorsi fra l'Istituto per le opere di.religione ed il gruppo Banco Ambrosiano », è segno del prevalere della tesi - emersa negli ultimi dibattiti - che quella diplomatica sia l'unica strada percorribile per la risoluzione della vertenza. E ciò in ossequio alla natura canonica dell'IOR, e ai princìpi del diritto ecclesiastico italiano. La tesi - in verità non persuasiva - suscita perplessità non lievi, delle quali è opportuno far cenno. Personalmente non ho difficoltà ad ammettere che l'IOR sia riconducibile nel novero degli enti centrali della Chiesa, come uno degli oflicia (costitutivi della Santa Sede in senso lato: can. 7 c.jc.) mediante cui il Pontefice « suole svolgere gli affari di tutta la Chiesa »: « ... per quae Romanus Pontifex
negotia Ecclesiae universae expedire solet ». Né voglio disconoscere che l'ordinamento della Chiesa rivendichi alla propria competenza normativa e giurisdizionale la disciplina delle strutture e dell'attività dell'Istituto. Emerge, pur in questo caso, la tenace pretesa curialistica a non veder soggette le persone e le istituzioni ecclesiastiche ad altra legge che non sia quella canonica; né ad altro giudice che non sia il giudice ecclesiastico. Quando non si giunge - al sommo
vertice - a vantare una totale immunità:
« Prima Sedes a nemine iudicatur ». Ciò che non mi sento di accettare è che da queste premesse canonistiche si possa trarre, nell'ordine civile, la conclusione che se ne è voluto ricavare: quella della sottrazione - per ciò stesso - delle attività dell'Istituto alla competenza giurisdizionale del giudice italiano, o di qualunque altro giudice civile. Contestabile a me sembra l'asserzione del Governo (del ministro del Tesoro pro tempore) secondo cui «non è praticabile nessuna via nei confronti dell'IOR, stan te l'autonomia di cui detto ente gode nell'àmbito dell'ordinamento canonico e la conseguenza che ne deriva dell'assoggettamento dell'IOR stesso alla giurisdizione dello Stato della Città del Vaticano ». 2. La tesi - formulata in questi termini non tien conto di un principio elementare (che i giuristi chiamano della «relatività delle valutazioni giuridiche") per cui ogni qualificazione normativa vale per il solo ordinamento sovrano che la compie. Laddove gli altri ordinamenti (sovrani anch'essi) ben possono procedere per proprio conto: guardando alle stesse fattispecie con loro autonomi
criteri. Ed è principio generalissimo che gli ordinamenti di carattere statuale (ordinamenti per loro indole "completi") disciplinino giuridicamente tutte le attività, lecite od illecite, che si svolgono nel loro àmbito di operati-
4 vità (il quale di solito coincide col territorio dello Stato), quando codeste attività - da chiunque poste in essere - investano interessi civilmente rilevanti: d'ordine patrimoniale, per esempio, o di ordine penale. E quindi viene in urto con questo principio di diritto ogni pretesa immunitaria di qualunque ente straniero (ancorché sovrano) riferita ad atti di semplice natura negoziale, compiuti, come si usa dire, alla maniera dei privati: « more privatorum ». (Tanto più la cosa dovrebbe poi valere per il nostro ordinamento, in quanto ú dà il caso che proprio l'Italia, con il Belgio, sia sempre stata la più tenace assertrice - nella prassi internazionale - della sottoposizione degli stessi Stati esteri alla giurisdizione nazionale, quando essi vengono a gestire un qualche interesse di pura e semplice natura patrimoniale: come appunto accade, in primo luogo, nelle ipotesi di attività di rilievo contrattuale intercorse con privati). E' in questa prospettiva che va visto il caso delle eventuali attività di natura negoziale, relative a interessi di carattere patrimoniale, svolte dallo IOR nel nostro territorio, e quindi nell'àmbito formale dell'orclinamento giuridico italiano. Il quale è pur esso dopo tutto - un ordinamento sovrano: che - per giunta - tiene a ribadire questa sua sovranità (« nel proprio ordine ») giusto nei confronti della Chiesa: art. 7, primo comma, della Costituzione.
forzata - nella specie - a dir cosa diversa da quella che significa. E invero l'art. 11 del Trattato vuoI certo coprire gli enti centrali della Chiesa da qualunque « ingerenza da parte dello. Stato » che pretendesse di intromettersi nella loro organizzazione strutturale e nei loro meccanismi funzionali. Esso interdice ogni forma di controllo, o di vigilanza o di verifica, e ogni altra intromissione governativa negli «interna corporis" di detti enti, che sia diretta a garantire l'ordinata amministrazione dei medesimi e il corretto perseguimento dei rispettivi fini. Ma l'articolo stesso (se lo si intende rettamente) non è affatto tale da sottrarre alla giurisdizione dello Stato le attività di ordine materiale (che investano interessi temporali) compiute dagli enti centrali della Chiesa. Liberi questi di prendere, nei modi giudicati più opportuni, le deliberazioni che loro meglio si confanno: ma - quando si tratta di tradurre queste scelte totalmente autonome in atti esterni civilmente rilevanti - gli stessi enti centrali della Chiesa debbono osservare l'ordinamento giuridico civile, e debbono onorare le obbligazioni civili che contraggono.
4. Bisogna affermare con chiarezza che l'art. 11 del Trattato - lungi dall'escludere la giurisdizione dello Stato - dà proprio a vedere di presupporre che le attività degli enti centrali della Chiesa si svolgano nel territorio dello Stato, e nell'ordine proprio dello 3. Potrebbe essere altrimenti solo se l'ordiStato: sotto l'imperio dell'ordinamento giunamento nazionale contenesse una esplicita ridico italiano. norma di esenzione. Ma questo nel caso non Già sta a provarlo il fatto che l'articolo in avviene: e nemmeno lo potrebbe in conso- esame non si limita alla proposizione di prinnanza coi princìpi del nostro ordinamento cipio dian.zi ricordata: ma - nell'escludere costituzionale generale. l'applicabilità agli enti centrali della Chiesa Si è sì in proposito invocata la disposizione .di certe « leggi italiane » (quelle relative aldi principio dell'art. 11 del Trattato laterala « conversione nei riguardi dei beni immonense del 1929: per la quale « gli enti cen- bili ») e nel richiedere l'applicazione di altre trali della Chiesa (e quindi anche l'bR) so- nostre leggi (« concernenti gli acquisti dei no esenti da ogni ingerenza da parte dello corpi morali ») - contiene delle disposizioStato italiano ». Ma questa norma è stata ni che non avrebbero alcun senso se giustap-
WC punto non si. riferissero alla posizione degli enti sopradetti nel territoriò dello Stato e
nell'ordine proprio dello Stato. Che è interpretazione confermata dalla stessa collocazione dell'art. 11 rispetto alla restante normativa del 1929: la quale è c on altre disposizioni che si premura di far salva la piena sovranità della Santa Sede, e più generalmente della Chiesa, in fatto di insindacabile esercizio della missione spirituale, dovunque abbiano luogo le relative attività; e di far salva « la sovranità e la giurisdizione esclusiva » della Santa Sede sulla Città del Vaticano, qualunque attività vi si compia. Come dire che l'art. 11 in esame riguarda proprio l'area di rapporti che è lasciata scoperta da queste altre norme pattizie più intensamente protettive. La conclusione che può trarsi è che in materia non vien tanto in conto la natura intrinseca dell'ente (il carattere sovrano che gli viene dalla qualificazione canonica e dallo stesso riconoscimento convenzionale) quanto l'indole oggettiva delle attività che son concretamente poste in essere. Le quali - se toccano interessi civilmente . rilevanti: rapporti di "dare" e "avere" - non possono restar sottratte alla giurisdizione dello Stato. Ché altrimenti ne rimarrebbe calpestata tutta una sequela di princìpi costituzionali: i quali non presidiano la sovranità dello Stato solo come un valore per sé stante, ma anche in quanto volga - come deve - alla tutela autoritativa delle posizioni giuridiche dei soggetti privati: incluse in prima fila le loro pretese creditizie. Non si può dimenticare - quando si trattano temi come il nostro - che . la distinzione fra « ordine proprio dello Stato » e « ordine proprio della Chiesa », formalmen. te recepita nell'art. 7 della Carta, è articolata in ragione dei tipi di interessi (civile e religioso) rispettivamente perseguiti dallo Stato e dalla Chiesa. E può ben essere perciò che una medesima attività; soggettiva-
mente riferibile a una persona ecclesiastica, rilevi al tempo stesso tanto per l'ordinamento canonico, nei tratti ecclesialmente rilevanti (in ciò che detta attività venga appunto a toccare degli interessi religiosi), quanto per l'ordinamento giuridico statuale, là dove viene a toccare invece delle utilità rilevanti civilmente. (E. d'altra parte si dà anche la reciproca: per cui - ad esempio - un qualunque soggetto privato che « osi » convenire dinanzi a un giudice civile certi alti Uffi-
ciali di Curia, « ob negotia ad eorum munus pertinentia », commette una trasgressione disciplinare canonica singolarmente grave: tanto da incorrere ipso facto nella « excommunicatio Sedi Apostolicae speciali modo reservata », can. 2341 c.j.c. E a questa medesima censura sottostà anche quel qualunque soggetto pubblico civile che emani provvedimenti che contrastino alla libertà della Chiesa o a suoi diritti: « ... qui leges, mandata, vel decreta contra libertatem aut iura Ecclesiae edent. », can. 2334. Come si vede la Chiesa non ha scrupoli - per quanto la concerne a difendersi contro quelle stesse attività che gli Stati non si limitano a svolgere « iure privatorum », ma proprio « iure imperii »: nell'immediato esplicamento della loro sovranità, e a immediata realizzazione dei loro interessi d'istituto). 5. Sotto questo insieme di profili la disposizione dell'art. 11 del Trattato va vista in parallelo con la proposizione d'apertura dell'art. 30 del Concordato, relativa ai comuni enti ecclesiastici italiani: per la quale la gestione patrimoniale di tutti in genere questi enti «ha luogo sotto la vigilanza e la tutela della competente autorità della Chiesa, escluso ogni intervento da parte dello Stato italiano ». Pur in questo caso una lettura attenta del precetto fa proprio concludere nel senso che - se è fatta salva, l'autonomia organizzativa degli istituti ecclesiastici e delle associazioni religiose - non è però affermata una loro
6 risente di una sorta di "contagio concordatario": quasi che certi tipi di rapporti in cui momenti spirituali e temporali si presentano commisti - non possano sottrarsi per loro medesima natura alla "intermediazione necessaria» dei due pubblici apparati, della Chiesa e dello Stato. Che è modo di vedere i nostri temi che séguita forse a corrispondere alle istanze di un sistema come quello della Chiesa, il quale è sorretto per intero da un impianto pubblicistico autocratico e centralizzato; ma viene in stridente contrasto con lo spirito di una società civile più variamente articolata. Se l'ordine ecclesiastico fa capo in toto al Papa, visto non solo come Legislatore e Giudice supremo, e massimo Pastore,' ma anche come gestore universale di tutti i beni della Chiesa, comunque questi beni si presentino formai. mente distribuiti fra innumerevoli enti ecclesiastici giuridicamente autonomi (< Romanus Ponti! ex est omnium bonorum ecclesiasticorum supremus administrator et dispensator »); se questo. è vero "canonice loquendo", tutt'aitri sono invece i princìpi a cui si ispira l'ordinamento giuridico civile, ben altrimenti strutturato al livello pubblicistico, e propenso a lasciar largo margine decisionale all'autonomia dei privati. Sotto il primo profilo è facile osservare come la recente iniziativa del Governo - proprio perché muove dal falso presupposto che non vi siano altre strade percorribili per la soluzione dell'affare - venga oggettivamente in collisione col principio della divisione dei poteri: il quale demanda invece al giudice, con tutte le opportune guarentigie, l'accerta. mento autoritativo della verità, quando non di rapporti pubblici fra enti sovrani si discute ma di vertenze che concernono negozi giuridici privati. Sotto il secondo profilo, di6. Queste considerazioni critiche fanno guar- ciamo privatistico, è altrettanto agevole• osdare con apprensione alla linea prescelta dal servare che il Governo - avviando, come sembra voler fare, una procedura di funzioGoverno. Intanto il programmato «incontro al vertice» ne sostanzialmente transattiva - viene ad
immunità formale esterna: le volte che vengono a operare nell'àmbito della comunità nazionale, in ordine a interessi civilmente rilevanti. Una cosa è stabilire che gli enti ecclesiastici rimangano al riparo da interventi delle autorità italiane che presumano ingerirsi nel loro funzionamento interno: in rapporto al modo concreto in cui essi attendono all'amministrazione del proprio patrimonio e alla realizzazione del proprio scopo tipico. Ma cosa ben diversa (affatto inammissibile) sarebbe estendere oltre detti limiti siffatta sfera immunitaria, sino a fare di quegli enti degli «eslege" nell'ambito di vita reale della comunità nazionale: dei soggetti "legibus soluti". Sarebbe una aberrante abdicazione dello Stato alla propria autorità; e sarebbe una aberrante vaniflcazione dei diritti dei privati che entrano in contatto negoziale con gli istituti ecclesiastici. Inutile poi aggiungere che le nostre conclusioni (sia nel caso degli enti ecclesiastici ordinari, sia degli enti centrali della Chiesa) valgono - in fatto di competenza normativa - tanto per gli atti negoziali che si formano per intero nell'ordinamento giuridico italiano, secondo l'estensione che la nostra legge dà alla propria area di operatività giuridica, quanto per quelli che presentano un qualche elemento di estraneità disciplinato da leggi straniere richiamate da nostre norme di diritto internazionale privato. Del pari - in fatto di competenza giurisdizionale - questa sussiste nel giudice civile, vuoi che questi sia il giudice italiano (quando personalmente competente), vuoi che sia un giudice straniero: le cui pronunce potranno poi ricevere efficacia giuridica in Italia a norma degli artt. 796 segg. del codice di procedura civile.
7 arrogarsi una « capacità di disporre dei diritti che formano oggetto della lite» (art. 1966 cod. civ.) che giuridicamente non possiede: col rischio di creare un ulteriore dissesto patrimoniale, con diretta esposizione dell'erario. Sarebbe poi esiziale che le preoccupazioni legate alle ultime vicende, tanto clamorose, facessero aggio sull'istanza di un ponderato esame di tutto il quadro dei rapporti fra l'IOR e il sistema bancario italiano: non per metter riparo (così come si può) ai guasti del passato, ma per evitare che altri se ne dianò in avvenire. Problema di grande serietà ed urgenza, che (esso sì) richiede una profonda revisione dell'art. 11 del Trattato. Tanto più che quando questo venne formulato - ancora non esisteva il problema bR, con tutti i pericoli che ne vengono per, il ,nostro equilibrio finanziario: sicché -
dinanzi a questa sopravvenienza - sorge un onere di adeguamento della convenzione, a cui la controparte non si può sottrarre se non addossandosene la responsabilità politica e giuridica. E sarebbe irresponsabile servirsi dello "scandalo" per cercare di rimettere in moto - appigliandosi a un reale interesse dello 'Stato l'arrugginito inceppato meccanismo della «revisione concordataria": gettando l'art., 11 del Trattato (con la sua carica di urgenza) nel paniere delle norme pattizie , da rifare. Il rischio non è soltanto quello di rinviare sine die la soluzione del problema, legandola alla sorte d'una operazione a più vasto raggio tanto incerta quanto discutibile; ma è soprattutto quello di fare di eventuali concessioni vaticane in ,argomento' il corrispettivo di perduranti cedimenti dello Stato sul restante fronte dei privilegi ecclesiastici in Italia.
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Gli enti centrali della Chiesa nell'ordinamento italiano: quali garanzie e quali limiti di Sergio Lariccia 1. Elementi di ricerca - I fatti sui quali occorre soffermare l'attenzione per una valutazione dei molti problemi sollevati dalla vicenda dei rapporti tra l'Istituto per le opere di religione (IOR) e il Banco Ambrosiano sono numerosi e di difficile interpretazione. Molte circostanze risultano tuttora oscure, per cui la ricerca delle soluzioni teoricamente proponibili e la stessa impostazione delle questioni da esaminare trovano un ostacolo nella mancanza di precise informazioni sugli elementi da valutare. La consapevolezza di quanto sia difficile avere un quadro completo ed esauriente di tutti i dati da considerare induce a porre in rilievo le circostanze che, più delle altre, hanno richiamato l'attenzione dell'opinione pubblica, degli ambienti politici e finanziari e della magistratura, determinando l'assunzione di iniziative destinate a chiarire i termini del problema e ad individuare le possibili soluzioni del caso. Dopo che della questione dei rapporti tra l'bR ed il Gruppo Banco Ambrosiano si era ripetutamente occupata la stampa internazionale e dopo che il Parlamento era stato sollecitato, da alcune interrogazioni, ad esaminare il problema della posizione dell'IOR e delle sue responsabilità, il 20 luglio 1982 la Procura della Repubblica di Milano ha emesso tre comunicazioni giudiziarie riguardanti le persone di Mons. Paul Marcinkus, del Dott. Luigi Mennini e del Dott. Pellegrino de Strobel. Con tali atti il Procuratore della Repubblica di Milano ha comunicato che, nei confronti delle persone sopra indi-
cate, quali dirigenti dell'IOR, era in corso un'attività istruttoria suscettibile di dar luogo alle imputazioni di concorso in truffa, concorso in malversazione e concorso in violazioni valutarie. Le comunicazioni giudiziarie, spedite a mezzo posta per la notifica (quella a Mons. Marcinkus presso l'IOR e quelle riguardanti il Dott. Mennini e il Dott. de Strobel presso i rispettivi domicili in Roma), sono state respinte per via diplomatica. Al riguardo è stato sollevato il problema della compatibilità delle comunicazioni giudiziarie e di eventuali altri atti di istruzione con le disposizioni dell'art. 11 del Trattato lateranense, sostenendosi l'inammissibilità di ingerenza del potere giudiziario dello Stato italiano nell'attività svolta dall'Istituto per le Opere di Religione, da considerare uno degli « enti centrali » della Chiesa cattolica. Nella seduta dell'8 ottobre 1982 la Camera dei deputati, che già aveva esaminato il caso Ambrosiano nella seduta del 2 luglio precedente, considera nuovamente la vicenda del Banco Ambrosiano. In tale occasione il ministro del Tesoro On. Beniamino Andreatta, rispondendo anche alle interrogazioni Baiestracci, Mellini, De Cataldo, Bozzi, Greggi, Lo Porto, Labriola, Dutto, Reggiani, dopo avere ricordato l'annunzio dato alla Camera il 2 luglio che lo stesso giorno i tre commissari straordinari si sarebbero incontrati con i rappresentanti dell'IOR, dichiara: « in quell'incontro, quando i commissari chiesero il rimborso dei finanziamenti fatti dal gruppo Ambrosiano estero alle società patrocinate dallo IOR, i dirigenti della Banca va-
ticana risposero che le lettere di patronage a società controllate dall'Ambrosiano avevano il valore di dichiarazioni di favore e pertanto l'bR non intendeva onorare i debiti delle società cui aveva dato lettere di patrocinio ». Sulla questione, proposta da alcune interrogazioni, della configurazione giuridica dell'IOR, il ministro dichiara: « L'Istituto, che ha in sé tutti gli elementi per essere definita attività bancaria, assume la configurazione di un'azienda di credito estera operante in uno Statò estero e, in quanto tale, non è assoggettabile ai controlli valutari e creditizi delle autorità di vigilanza italiane ». Dopo avere osservato che una possibile soluzione tendente a definire il ruolo dell'IOR nei rapporti col sistema creditizio italiano consisterebbe nélla creazione di una filiale italiana dell'IstitutO che, in quanto tale, «sarebbe completamente soggetta ai controlli bancari e valutani », Andreatta rileva che, in ordine alle vicende dell'Ambrosiano, «entrambe le parti si adoperano per accertare la verità » e precisa: « E' già risultato dai primi approcci che non è praticabile nessuna via nei confronti dell'IOR, stante l'autonomia di cui detto ente gode nell'ambito dell'ordinamento canonico e il suo conseguente assoggettamento alla giurisdizione dello Stato della Città del Vaticano. Lo IOR deve essere definito ente facente parte dell'ordinamento canonico, sottoposto come tale ai poteri della Santa Sede, che potrebbe ordinare all'ente di comportarsi in un determinato modo. Da parte italiana il Governo non può di conseguenza ordinare ai liquidatori dell'Ambrosiano di fare alcunché ». Le dichiarazioni del ministro del Tesoro suscitano una vivace polemica, alla quale la stampa dedica notevole risalto, sollevando il problema dell'effettivo significato dell'impegno di non ingerenza assunto dallo Stato italiano nel 1929 nei confronti degli enti della Chiesa cattolica e richiamando l'attenzione sulla posizione giuridica dell'IOR nel diritto italiano.
1125 novembre 1982, alla presenza dei quindici cardinali incaricati di esaminare il problema del sistema finanziario vaticano, il Se gretàrio di Stato Cardinale Casaroli presenta ed illustra le conclusioni degli esperti nominati per valutare i vari aspetti della vicenda IOR. In precedenza il Papa, in una lettera inviata al Cardinale Casaroli il 20 novembre, aveva tra l'altro osservato: « la Santa Sede apostolica può e deve usufruire dei contributi spontanei dei fedeli e degli altri uomini di buona volontà, senza ricorrere ad altri mezzi che potrebbero apparire meno rispettosi del suo peculiare carattere ». Alla riunione plenaria del collegio cardinazio il Cardinale Casaroli preannuncia anche la soluzione che verrà poi adottata un mese dopo, osservando: « Allo scopo di giungere ad una ricostruzione della reale situazione che non sappia "di parte", ma abbia, auspicabilmente, anche il consenso dell'altra parte interessata alla complessa vicenda, gli esperti hanno suggerito una collaborazione italo-vaticana intesa ad accertare la verità sulla base di documenti in possesso delle due parti, per tirarne poi le conseguenze che appariranno legittime ». E lo stesso Pontefice, in un discorso in latino pronunciato il 26 novembre, a chiusura della riunione dei cardinali, dichiara: « La Santa Sede è disposta a compiere ancora tutti i passi che siano richiesti per un'intesa da entrambe le parti, perché sia posta in luce l'intera verità ». Con un annuncio diffuso alla vigilia di Natale (1982), viene emesso un comunicato congiunto, pubblicato contemporaneamente dalla Sala stampa vaticana e dall'Ufficio stampa del ministero degli Esteri italiano, nel quale si legge: « Il segretario di Stato cardinale Agostino Casaroli e l'ambasciatore d'Italia Claudio Chelli hanno sottoscritto oggi un'intesa in virtù della quale la Santa Sede e il Governo italiano hanno affidato a rispettivi incaricati il compito di procedere congiuntamente all'accertamento della verità sul-
lo autorità civili nell'ordine proprio della C'hie sa, cioè nell'ordine religioso; in proposito si pone il problema di precisare l'àmbito entro il quale possa effettivamente parlarsi di « ordine proprio» della Chiesa. Sovranità della Santa Sede nei modi e nelle formi del diritto internazionale, garantita nell'art. 2 Tratt., con il quale l'Italia ha riconosciuto alla Santa Sede « la sovranità nel campo internazionale come attributo inérèn te alla sua natura, in conformità alla sua tradizione ed alle esigenze della sua missione nel mondo ». Sovranità garantita alla Santa Sede negli artt. 3 e 4 Tratt. con un riferimento di carattere territoriale (« sovranità e giurisdizione della Santa Sede sulla Città del Vaticano »): queste norme si resero necessarie in quanto prima del 1929 il territorio dello Stato della Città del Vaticano era territorio italiano e si poneva dunque l'esigenza che per il futuro l'Italia riconoscesse alla Santa Sede la piena proprietà e l'esclusiva ed assoluta potestà e giurisdizione sovrana. sul Vaticano, con tutte le sue pertinenze e dotazioni. Esenzione dègli énti centrali della Chiesa cattolica da ogni < ingerenza » da parte dello Stato italiano (art. 11 Tratt.). La norma pre2. Garanzie riconosciute agli enti• centrali e vede una garanzia autonoma e distinta rispetinferiori della Chiesa cattolica - Il sistema to a quelle sopra ricordate. Essa non riguarlegislativo relativo alle garanzie di libertà e da attività svòlte nell'ordine proprio della di sovranità riconosciute agli organi canoni- Chiesa, per le quali la Chiesa cattolica è inci con la stipulazione dei Patti lateranensi dipendente e sovrana, ma attività collegate del 1929 e poi con l'approvazione della Co- ad interessi temporali, come tali rientranti stituzione del 1948 può delinearsi in questi nell'ordine proprio dello• Stato. L'art. 11 termini. Tratt., inoltre, non si riferisce ad attività a) Sovranità della Chiesa cattolica nel pro- esercitate iure imperii, per le quali nella Citprio ordine (art. 1, 1° comma, Conc. e art. 7, tà del Vaticano non può esplicarsi « alcuna I comma, Cost.). Con queste due disposiingerenza da parte dello Stato italiano » e zioni lo Stato italiano si è impegnato a non non vi è « altra autorità che quella della Saninterferire nella vita interna della Chiesa, a ta Sede » (art. 4 Tratt.), ma si riferisce alle non alterarne la struttura istituzionale e a attività svolte iure gestionis vel administranon sindacarne la dottrina: sin dal 1929 vige tionis. dunque il principio, poi ribadito dal costi- L'art. 11 Tratt. garantisce una particolare imtuente nel 1948, della non ingerenza delle munità, paragonabile a quella dell'art. 30
la questione dei• rapporti intercorsi tra l'Istituto per le Opere di Religione ed il Gruppo Banco Ambrosianò. Le persone incaricate sono, per la Santa Sede: avvocato prof. Agostino Gambino copresidente, avvocato prof. Pellegrino Capaldo, dott. Renato Dardozzi; per il governo italiano: avvocato Pasquale Chiomenti copresidente, prof. Mario Cattaneo, avvocato prof. Alberto Santa Maria ». Al comunicato congiunto la Sala stampa vaticana ha fatto seguire questa aggiunta: « I quattro esperti nominati a suo tempo dal cardinale Casaroli seguiranno, con eventuali consigli e suggerimenti, il lavoro dei sunnominati incaricàti della Santa Sede ». Molte circostanze della complessa vicenda non sono ancora note ed è auspicabile che l'opinione pubblica possa presto acquisire ulteriori e più precisi elementi di conoscenza a seguito : dell'iniziativa giurisdizionale avviata dalla Procura della Repubblica di Milano è a conclusione dei lavori della Commissione italiano-vaticana istituita la vigilia di Natale 1982. In questa fase di attesa, che dura ormai da vari mesi, è possibile precisare alcuni principi che occorre tenere presenti per una esauriente valutazione del problema.
11 manus Ponti/ex negotia Ecclesias universae expedire solet ». Può dunque aderirsi all'opinione che l'Istituto per le opere di religione (IOR) sia un ente centrale della Chiesa cattolica e che ad esso debba applicarsi la norma contenuta nell'art. 11 Tratt. L'IOR agisce come un ente che svolge la gestione « portafoglio », come è stata definita, di alcuni beni della Chiesa cattolica attraverso i quali questa esplica i propri fini universali. Se la definizione dell'IOR come ente centrale della Chiesa cattolica non sembra presentare molte difficoltà, meno agevole è precisare il significato e la portata dell'impegno di non ingerenza contemplato nell'art. 11 Tratt., al fine di individuare i limiti derivanti dalla norma pattizia per le attività poste in essere dall'Istituto per le opere di religione. Come si è visto la garanzia contenuta nell'art. 11 Tratt. con riferimento all'attività svolta dagli enti centrali della Chiesa cattolica è prevista nell'art. 30 Conc. rispetto all'attività svolta dagli enti ecclesiastici « inferiori », cosicché per comprendere il significato dell'art. 11 Tratt. è opportuno richia3. L'Istituto per le opere di religione quale mare le conclusioni che si possono accoglieente centrale della Chiesa cattolica e i limiti re a proposito dell'art. 30 Conc. posti all'esercizio delle sue attività - L'art. 11 Uno dei principi generali in tema di enti ecTratt. prevede che « Gli enti centrali della clesiastici ed amministrazione dei loro beni Chiesa cattolica sono esenti da ogni ingeren- è quello del riconoscimento dell'autonomia za da parte dello Stato italiano (salvo le di- della Chiesa e del suo ordinamento per quansposizioni delle leggi italiane concernenti gli to riguarda l'erezione (ed i successivi mutaacquisti dei corpi morali) nonché dalla con- menti) delle persone giuridiche ecclesiastiche e la vigilanza ed il controllo della geversione nei riguardi dei beni immobili L'espressione « enti centrali » contenuta nel- stione dei beni ad esse appartenenti. L'art. l'art. 11 Tratt. è estranea alla terminologia 30, 1° comma, Conc. stabilisce infatti che La gestione ordinaria e straordinaria dei del diritto canonico e del diritto italiano anteriore al 1929: può comunque ritenersi che beni appartenenti a qualsiasi istituto eccleessa indichi «gli enti con fine di governo uni- siastico ed associazione religiosa ha luogo sotversale della Chiesa » e, più esattamente, gli to la vigilanza ed il controllo delle competenti autorità della Chiesa, escluso ogni inenti centrali della Chiesa cattolica che costituiscono la Santa Sede in senso lato che, per tervento da parte dello Stato italiano, e senil can. 7 cod. iur. can., sono « ... Congrega- za obbligo di assoggettare a conversione i betiones, Tribunalia, Officia, per quae idem Ro- ni immobili »8
Conc., e consiste nell'esenzione degli enti centrali della Chiesa cattolica dall'ingerenza dell'autorità amministrativa 1 . La tesi che coilega l'art. 11 Tratt. all'art. 30 Conc. 2 e che limita la portata dell'esenzione alla non ingerenza della (sola) autorità amministrativa può dedursi dai lavori preparatori che precedettero l'approvazione dei Patti lateranensi, dai quali risulta che la disposizione dell'art. 11 Tratt. costituisce una ripetizione di norme che già risultano dall'art. 30, 1° e 2° comma, Conc. relativamente a tutti gli enti ecclesiastici. Con diversa dizione (« esenzione per enti centrali della Chiesa cattolica e per altri determinati enti gestiti direttamente dalla Santa Sede o di particolare importanza da ingerenze da parte dello Stato italiano o dalle conversioni nei riguardi di determinati beni immobili ») essa fu formulata fin dal primo progetto di Concordato3 , rimase in alcuni dei progetti successivi 4 , venne poi trasferita nel Trattato, ritenuta la sede più appropriata5 , e non fu soppressa quando venne formulata la norma che costituì successivamente il contenuto dell'art. 30, 1° comma, Conc..
12 Il principio di libertà della Chiesa in materia patrimoniale, solennemente proclamato nell'art. 30, 1° comma, Conc., trova poi un limite nelle disposizioni successive, che ammettono l'intervento dello Stato, prevedendo varie forme di vigilanza e controllo sull'incremento del patrimonio dei singoli enti ecclesiastici: il primo di questi limiti è previsto nello stesso art. 30, 2° comma, Conc., nel quale si precisa:• « Lo Stato italiano riconosce agli istituti ecclesiastici ed alle associazioni religiòse la capacità di acquistare beni, salve le disposizioni delle leggi civili concernenti gli acqùisti dei corpi morali ». In tema di esenzione degli enti ecclesiastici (inferiori e centrali) dall'ingerenza dell'autorità amministrativa italiana è •da richiamare una distinzione che assumè rilievo a proposito di ogni attività della Chiesa che incide nella sfera dei rapporti di vita interna della società italiana: la distinzione cioè tra il momento della formazione e manifestazione della volontà dell'ente ecclesiastico (momento che attiene al funzionamento interno dell'ente stesso - interna corporis - ed è coperto dalle immunità inerenti all'autonomia di organizzazione e di amministrazione della Chiesa) ed il momento in cui le rispettive deliberazioni si concretizzano in modo giuridicamente lecito ed efficace per l'ordinamento italiano9 Per quanto si riferisce al secondo momento, che attiene alla produzione di effetti giuridici nella vita interna della società italiana e che si collega al problema esaminato a proposito delle attività poste in essere dall'IOR, occorre che ogni operazione giuridica si sostanzi in atti leciti ed efficaci per l'ordinamento italiano ed è ammissibile che, in ta luni casi di infrazioni ai precetti delle leggi italiane, si applichino le sanzioni civili, penali ed amministrative da queste ultime previste. Se così non fosse, l'esenzione (dall'ingerenza) garantita nell'art. 11 Tratt. (e nell'art. 30 .
Conc.) nei confronti degli enti della Chiesa cattolica si risolverebbe in un'autentica impunità, totale ed indiscriminata, di soggetti che pongono in essere atti destinati ad avere effetto nel territorio dello Stato; si risolverebbe cioè in un mero privilegio ingiustifi cato ed inammissibile in un ordinamento che, per solenne impegno costituzionale, attribuisce allo Stato la sovranità ed indipendenza nell'ordine civile (art. 7, 1° comma, Cost.). 4. Ulteriori motivi a favore della tesi che, a proposito della garanzia contenuta nell'art. 11 Tratt., ammette la possibilità di dichiarare l'illiceità di atti ecclesiastici contrastanti con l'ordinamento statuale - Vi sono anche altre ragioni, oltre a qùelle esposte nel paragrafo precedente, che inducono a propendere per la, tesi che ammette la possibilità di dichiarare illecite, dal punto di vista dell'ordinamento italiano, attività poste in essere dagli enti ecclesiastici centrali, e quindi anche dall'bR, in contrasto con le disposizioni della legislazione italiana. Innanzitutto, nel considerare la garanzia prevista nell'art. 11 Tratt., una disposizione che pone un limite ai poteri dello Stato italiano, occorre tenere presente la norma del diritto internazionale generalmente riconosciuta, alla quale l'ordinamento italiano si conforma ai sensi dell'art. 10 Cost., secondo cui, nel caso di una nòrma internazionale che comporti oneri a carico di uno Stato o limitazione dei suoi diritti, questa norma va interpretata nel modo meno gravoso per lo Stato vincolàto. Vi sono inoltre motivi di ordine politico che inducono ad aderire all'opinione qui prospettata. Sinora il dibattito politico e dottrinale relativo alla riforma dei rapporti tra Stato e Chiesa ha riguardato prevalentemente le norme del Concordato lateranense « fermo restando il Trattato »: « L'invito rivolto dalla Camera al Governo - osservava il ministro di Grazia e Giustizia On. Gava nel discorso di insediamento della Commissione per la re-
13 visione del Concordato presieduta dall'On. Gonella, che svolse i suoi lavori nei primi sei mesi del 1969 - segna, infatti, questo limite là dove rileva l'opportunità di considerare soltanto alcune clausole del Concordato. Essa ha avuto ben presente la sostanziale irrevocabilità del Trattato ed ha disatteso ogni richiesta di sua revisione »b0. Se dovesse ritenersi che una norma del Trattato lateranense garantisce ad enti della Chiesa cattolica il potere di amministrare gli interessi ecclesiastici producendo effetti giuridici nell'ordinamento dello Stato in contrasto con i precetti contenuti nelle leggi civili, penali ed amministrative italiane, è da prevedere una vivace polemica da parte di chi avrebbe giustificati motivi per sostenere l'opportunità di una profonda riforma anche delle norme contenute nel Trattato lateranense. Corrisponde dunque agli interessi dell'Italia e della Santa Sede una soluzione della questione interpretativa dell'art. 11 Tratt. che non attribuisca al divieto di « ingerenza » ed alla garanzia di « esenzione » contemplati nella norma pattizia un significato talmente riduttivo dei poteri statali da apparire inaccettabile per le esigenze dello Stato italiano.
5. Conclusioni - Le conclusioni che, a mio avviso, possono trarsi da una valutazione che, a commento della vicenda Banco Ambrosiano-IOR, tenga presente il profilo dei rapporti fra Stato e Chiesa previsti dalla disciplina pattizia del 1929, sono le seguenti: L'Istituto per le opere di religione (IOR) può ritenersi un ente centrale della Chiesa cattolica e nei suoi confronti sono dunque applicabili la norma dell'art. 11 Tratt. e la garanzia in essa contemplata. L'art. 11 Tratt. garantisce una particolare immunità, collegabile a quella dell'art. 30, 1 ° e 2 ° comma, Conc., consistente nell'esenzione dall'ingerenza dell'autorità amministrativa italiana. L'art. 11 Tratt. garantisce l'autonomia di organizzazione e di amministrazione degli enti centrali della Chiesa cattolica e dunque anche dell'IOR, ma non comporta l'ammissibiità di atti illeciti per l'ordinamento statuale: nei confronti di tali atti l'autorità giudiziaria del nostro Paese ha il potere di esplicare controlli e di applicare sanzioni, così come avviene riguardo ad ogni attività destinata ad esplicare effetti nella vita interna della società italiana.
Cfr. in tal senso P. CIPRorrI, Diritto ecclesiastic02 , Cedam, Padova 1964, •p. 106.
ne, cit, p. 214; C. PACELLI, Diario della Conciliazione, cit., pp. 309, 370. C. PACELLI, Diario dèlla Conciliazione, cit.,
2 Prima del Concordato era previsto un sistema di rigido controllo statale sull'amministrazione dei patrimonio ecclesiastico (1. SICCARDI 5.6.1850, n. 1037; r. d. 26.6.1864, n. 1817; artt. 932 e 1060 c. c. 1865; 1. 21.6.1896, •n. 218; reg. 26.7.1896, P. 361). L'art. 30 Conc. stabilisce invece l'autonomia della Chiesa cattolica in tale materia, prevedendo al 1 0 comma il principio di libertà della Chiesa in materia patrimoniale, principio che trova però un limite nelle disposizioni successive, che ammettono l'intervento dello Stato, prevedendo varie forme di vigilanza e controllo sull'incremento del patrimonio dei singoli enti ecclesiastici: per indicazioni di dottrina e giurisprudenza sui punto può vedersi S. LARICCIA, Diritto eccle. siastico2 , Cedarn, Padova 1982, ip. 211. Cfr. C. A. BIonINI, Storia medita della Conciliazione, Garzanti, Milano 1942, p. 90; C. PACELLI, Diario della Conciliazione, Ed. Vaticana, Cittì del Vaticano 1959, p. 264. C. A. BnXINI, Storia medita della Conciliazio-
pp. 267, 388. ° C. PACELLI, Diario della Conciliazione, cit., p. 464. Cfr. in questo senso A. C. JEMOLO, Lezioni di diritto ecclesiastico, Giuffi-è, Milano 1979, p. 364. ° Per una valutazione della complessa problematica relativa agli enti ecclesiastici cfr. di recente F. FINoccHIARo, Appunti in tema di enti con/es-
sionali e di Costituzione democratica e autonomistica dello Stato, in « -Il dir. eccles. », 1981, I, ip. 136; G. FELICIANI, Enti e beni della Chiesa, in « La rivista del clero italiano », 1982, ip. 693. Su tale distinzione cfr. P. BELLINI, Sulla tutela
governativa del patrimonio storico ed artistico in Italia, in « Il dir. eccles. », 1966, I, p. 313. ° Il discorso dell'On. Gava, pubblicato in « Il Popolo » del 28.2.1969, è riportato in S. LARIcCIA, Stato e Chièsa in Italia. 1948-1980, Queriniana, Brescia 1981, p. 152.
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« Realizzabilità» dei crediti nei confronti dello IOR? di Gustavo Minervini
i - Il ministro Andreatta, nel discorso del 2 luglio 1982 alla Camera dei deputati, dichiarava (p. 64 del Resoconto stenografico) che « il Governo si attende che vi sia una chiara assunzione di responsabilità da parte dell'Istituto per 1e Opere di Religione (IOR), che in alcune operazioni con il Banco Ambrosiano appare assumere la veste di socio di fatto ». A tal fine - preannunciava il ministro -i « questa mattina i commissari [straordinari del Banco Ambrosiano] incontreranno i responsabili dello IOR ». Quando, circa tre mesi dopo, l'8 ottobre 1982, il ministro tornava a riferire alla Camera, non parlava più dello IOR come di un socio di fatto dell'Ambrosiano, ma continuava a sostenerne con energia la responsabilità; dava peraltro atto del rifiuto dello IOR di onorare i debiti delle « patrocinare », e quelli propri diretti (complessivi 1287 milioni di dollari dovuti - secondo le informazioni date dal ministro - al gruppo Ambrosiano), per i quali «lo IOR mantiene un atteggiamento di rigida chiusura »; enunciava, in tesi generale, « il tentativo di recupero dei crediti deve essere perseguito con fermezza e rigore »; tuttavia, per quanto attiene i rapporti con lo IOR, reputava che « il Governo non può (...) ordinare ai liquidatori dell'Ambrosiano di fare una qualche cosa », e dava notizia invece di «trattative », di « contatti a livello politico •e diplomatico » fra il Governo italiano e le autorità della Santa Sede « per accertare la verità, una verità che sia anche rispettosa della giustizia » (e la giustizia, secondo il ministro, dovrebbe
concretarsi in un « recupero », ed anche ingete, .se ipotizzato idoneo non solo a « una eventuale composizione della vertenza » con i creditori, ma anche a « favorire gli azionisti del vecchio Banco ») (Resoconto steno-
grafico, p. 42 ss., passim). Il 24 dicembre 1982 (come da comunicato, pubblicato il giorno successivo: vedi p.e. l'« Osservatore Romano ») la Santa Sede e il Governo italiano sottoscrivevano una « intesa », con la quale affidavano a rispettivi incaricati il compito di « procedere congiuntamente all'accertamento della verità » sulla questione dei rapporti intercorsi fra l'bR e il Gruppo Ambrosiano. Nell'intesa, come si vede, è parola solo di « accertamento della verità »; ma pare ragionevole che essa presupponga, come passo successivo, l'attuazione di quanto di giustizia. Forse, occorrerà allo scopo formalmente una nuova « intesa » a livello politico-diplomatico. 2 - La conclusione negativa del ministro Andreatta circa la possibilità di far valere in giudizio le ragioni dell'Ambrosiano nei confronti dello IOR riposava sui convincimento (Resoconto stenografico, p. 56 s.) che « non è praticabile nessuna via nei confronti dello IOR ». Questo sarebbe il risultato di appositi studi di esperti di diritto ecclesiastico e canonico: lo IOR «ente facente parte dell'ordinamento canonico, sottoposto come tale ai poteri della Santa Sede », e quindi si vuoi dire - sottratto alla giurisdizione dello Stato italiano. Da ciò la conclusione che « vi sarebbe possibilità per la Santa Se-
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15 de e il Sommo Pontefice di intervenire », e solo per,questi: onde il trasferimento della questione sul piano politico-diplomatico. Questultimo passaggio, considerato troppo intinto di « laicismo'», è costato talune amarezze al ministro Andreatta in seno al suo partito, da parte di maggiorenti protesi ad acquisire ad ogni costo meriti di là dal Tevere. Ma la Santa Sede ha accettato il punto di vista di Andreatta, stipulando l'intesa di cui si è detto. Pietro Bellini nello scritto pubblicato su questo fascicolo .e parzialmente anticipato su « Il Sole-24. Ore » del 7 gennaio 1982, dal titolo suggestivo Lo IOR non è intoccabile, ha contestato le premesse giuridiche del ministro Andreatta: in materia rileva non tanto la natura intrinseca dell'ente, quanto l'indole delle attività da esso poste concretamente in essere; queste - se toccano interessi civilmente rilevanti - non possono restare sottratte alla giurisdizione dello Stato; né a ciò è di ostacolo l'art. 11 del Trattato lateranense. Se queste premesse sono vere, l'accertamento della verità in una vertenza concernente . rapporti giuridici privati compete al magistrato;.. il Governo, stipulando l'intesa con la Santa Sede, ha violato il principio della divisione dei poteri. Inoltre, il Governo ha avviato una procedura di funzione sostanzialmente transattiva, senza possedere quella « capacità di disporre dei diritti che formano oggetto della lite », che per l'art. 1966 del Codice civile è requisito delle parti che transigono una lite. 3' - Vorrei prendere l'avvio da quest'ultima considerazione. Essa trova preciso riscontro nella composizione della delegazione italiana,' designata in occasione dell'intesa più volte ricordata:..la. quale consta dei due legali (gli avvocati Pasquale Chiomenti e prof. Alberto' Santa. Maria) e dell'esperto di ragioneria. (il .prof. Mario Cattaneo) del Banco Ambrosianò in. liquidazione coatta amministrativa; Pare che, almeno a.livello di.;. sub-
cosciente, il Governo italiano si sia reso conto di disporre cli diritti di privati, e che ne abbia tratto la conseguenza di designare come propri delegati i professionisti che assistono quei privati (lo stesso è a dirsi, rispetto alla delegazione della Santa Sede, quanto meno per l'avvocato prof. Agostino Gambino e per' l'esperto di ragioneria prof. Pellegrino Capaldo: ma la cosa è meno singolare, stante la compenetrazione - si vedrà in che limiti - fra IOR e Santa Sede). Quanto alla tesi di fondo di Beilini, non ho la competenza specialistica necessaria per valutarla. Vorrei tuttavia rilevare che le conclusioni cui egli perviene collimano con quelle degli studiosi di diritto internazionale in materia di trattamento degli Stati stranieri. B. Conforti, nelle sue recentissime, ed eccellenti, Lezioni di diritto internazionale (2 ed., Napoli 1982, p. 176 ss.) rputa « comunemente ammessa ( ... ), tanto da corrispondere allo stato del diritto internazionale consuetudinario » la teoria della c.d. immunità ristretta o relativa, per la quale l'esenzione degli Stati stranieri dalla giurisdizione civile è limitata agli atti iuri imperii, non si estende invece agli atti iure gestionis o iure privatorum. R. Luzzatto, che ha dedicato una approfondita monografia al tema (Stati stranieri e giurisdizione nazionale, Milano 1972, in particolare pp. 143 Ss., 275 ss.), giunge alla conclusione, più cauta ma sostanzialmente non dissimile, che non è possibile « individuare alcun esempio di valutazione internazionale generale che si preoccupi di impedire l'esercizio della giurisdizione riguardo a Stati stranieri indipendentemente dal concorso di una serie di circostanze che importano una speciale protezione di certe funzioni statali. ( ... ) Ove essa manchi, la giurisdizione può liberamente esplicarsi ». Da ciò la conseguenza che ciascuno Stato è libero di esercitare la propria giurisdizione interna in relazione all'attività commerciale svolta da ogni altro Stato; Quanto poi all'ordinamento ita-
16 liano, alcuni princìpi affermati costantemente nel loro nucleo essenziale da una giurisdizione ormai centenaria soddisfano pienamente - continua Luzzatto -, nel risultato pratico, le (limitate) esigenze di tutela poste dalla normativa internazionale generale. Nell'ordinamento italiano, se scostamento si dà rispetto a questa normativa, è solo in senso più favorevole agli Stati stranieri, di quanto la norma internazionale non richiederebbe. Questa si applicherebbe, nei sensi anzidetti, immutatamente anche alle cc.dd. misure coercitive (vedi Luzzatto, op. cit., p. 191 ss.); ma il .RDL 30 agosto 1925 n. 1261, conv. in legge 15 luglio 1926 n. 1263 (e del quale solo l'ultimo comma è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla Corte Costituzionale in sent. 13 luglio 1963 n. 135), prevede che non si può procedere a sequestro o ad atti esecutivi su beni o diritti spettanti a Stati esteri senza autorizzazione del ministro per la Giustizia, limitatamente peraltro a quegli Stati che ammettono la reciprocità (da accertare parimenti con decreto del ministro). Ove si reputi applicabile, anche in coerenza con l'art. 7 comma 1° della Costituzione, alla Santa Sede nel nostro ordinamento per la materia di cui è discorso la normativa prevista per gli Stati stranieri (in tal senso vedi la sentenza della Cassazione a Sezioni Unite 13 marzo 1957 n. 841, in « Foro Italiano », 1957, I, c. 1794), si pone la questione se anche la legge testé citata debba trovare applicazione. 4 - Vorrei toccare ora un profilo diverso, ma connesso a quello precedente: qual è il « merito bancario » dello IOR? Qual è cioè il credito, di cui esso è meritevole da parte del sistema bancario internazionale? Non voglio con ciò alludere agli infortuni professionali dell'Istituto che ha avuto la singolare ventura di entrare, nell'arco di un decennio, in sodalizio con due grandi bancarot-
tieri internazionali, Sindona e Calvi. D'al.. tronde, la scarsa attitudine degli ecclesiastici al rapporto con il mondo della banca già era emersa in anni lontani, in occasione della vicenda del « banchiere di Dio » Giuffrè (vedi la Relazione della Commissione Parlamentare d'Inchiesta, comunicata il 27 dicembre 1958: doc. XI n. 1 della Camera dei Deputati). E nemmeno voglio qui sottolineare la sommarietà della struttura dello IOR, che esclude l'esistenza di un benché minimo controllo interno; situazione resa più grave dall'assenza di ogni forma di controllo esterno, di vigilanza bancaria pubblica: talché lo IOR va considerato fra le più esposte banche 0ffshore (per usare l'immaginifico linguaggio di Andreatta). Il mio quesito attiene piuttosto al presumibile valore di realizzo (art. 2425 comma 1° n. 6 Cod. . civ.) dei crediti bancari nei confronti dello bR, in relazione al patrimonio che ne risponde. Se si parte dal punto di vista che la Santa Sede sia soggetta, nei limiti sopra detti, alla giurisdizione civile dello Stato italiano, e risponda con il proprio patrimonio dei debiti dello IOR, è presumibile un valore di realizzo non irrisorio: in sostanza i banchieri, che hanno fatto credito allo IOR, correrebbero - mutatis mutandis nulla di sostanzialmente diverso da un « rischio Paese » (da valutare, comunque). Se invece, ferma la prima premessa, si ritiene che solo lo IOR risponda dei propri debiti, procediamo per ignota, postoché non consta che l'Istituto abbia un capitale di fondazione, e nemmeno usa pubblicare bilanci; il pre. sumibile valore di realizzo è quindi un punto interrogativo. Quale valore di realizzo si può infine riconoscere ai crediti nei confronti dello IOR, se lo si ritiene sottratto a ogni potere giurisdizionale, secondo la tesi di Andreatta e dei suoi esperti? Può valutarsi positivamente un credito corrispondente a una sorta di obbligazione naturale? Non pare, tanto più in relazione a un debitore che sem-
17 bra irridere alle obbligazioni non-coercibili; p.e. quando rileva la natura «solo morale » delle obbligazioni scaturenti dalle note lette-
re di patrocinio. Non so se per motivi di indole giuridica o dI valutazione economica, certo si è che i creditori delle partecipate estere - tramite la holding lussemburghese - dell'Ambrosiano si stanno muovendo contro i commissari liquidatori, e contro il Nuovo Ambrosiano, ma non contro lo IOR né contro la Santa Sede. E poiché non è pensabile che ciò avvenga per motivi puramente spirituali, questo comportamento è il segno del valore zero che la comunità bancaria internazionale attribuisce alla realizzabilità dei crediti nei confronti dello IOR. A questo dovrebbe corrispondere, rebus sic stantibus, un « merito bancario » zero dello IOR per l'avvenire. Ma forse la Santa Sede,,
doo questo infortunio, ha deciso per l'avvenire di. dismettere l'attività bancaria, e di liquidare lo IOR. Volgendosi al passato, sarà interessante conoscere l'atteggiamento della Magistratura in relazione alle valutazioni in bilancio dei crediti nei confronti dello bR, ai fini dell'eventuale configurazione del reato di bancarotta fraudolenta documentale degli organi sociali del vecchio Ambrosiano. Sarà del pari interessante conoscere quali passi, formali o anche di sola moral suasion, abbia compiuto a suo tempo nei confronti degli organi sociali, in relazione ai crediti in parola, la Banca d'Italia-Vigilanza, cui pure la rilevanza della coercibilità dei crediti è additata dalla stessa legge (vedi art. 35 comma l lett. b della legge bancaria). Ma forse la Banca d'Italia non condivide la tesi del ministro 'Andreatta circa la « intoccabilità » dello IOR.
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Religione e finanza da Pio IX allo lOR di Carlo Crocella
Nel 1968, dopo l'assemblea di Uppsala, il Consiglio ecumenico delle Chiese decise di ritirare i propri investimenti dalle banche compromesse con il Sudafrica. Nel 1972 lo stesso CEC rivolse un appello ad alcune banche perché sospendessero i finanziamenti al. go-• verno sudafricano. Di fronte a queste posizioni si sentirono particolarmente coinvolti alcuni cristiani belgi che occupavano posti di responsabilità nel mondo bancario. Nacque così un'iniziativa collettiva, patrocinata dall'Associazione ecumenica per Chiesa e società e dalla Commissione Justitia Ct pax, per la formazione di un apposito gruppo di lavoro. Dopo anni di riflessione, il 1° dicembre 1981, il gruppo pubblicò a Bruxelles un lungo documento, riproposto in Italia dalla rivita « il rego » (n. 17/1982) con il titolo Potere bancario e problemi etici. Senza pretendere di riassumere in modo adeguato l'intero documento, la cui lettura integrale si raccomanda se non altro per il tentativo di dipanare in modo tecnicamente corretto lo status quaestionis di una materia così complessa, è utile citarne alcuni punti. Essi costituiscono infatti alcuni dei presupposti indispensabili per comprendere quale possa essere l'approccio di una coscienza religiosa critica alla problematica dello bR, a monte di qualsiasi scandalo. Il documento sottolinea « due caratteristiche della funzione bancaria »: quellà di essere organizzata in rete (« una banca non può funzionare da sola; non può funzionare che grazie alle molteplici forme di associazione o cooperazione finanziaria o tecnica messe a
punto tra più banche »); e quella dell'internazionalizzazione (« Questo significa che le banche - o almeno le più importanti- tra loro - sono divenute delle imprese internazionali, con una parte della loro attività che sfugge sempre più al controllo dei loro paesi d'origine »). Analizzando poi « i pro biemi sollevati dal potere bancario », il documento osserva che tale potere. è così nascosto e parcellizzato che « al limite la responsabilità di una decisione o di una politica può essere sempre rifiutata e imputata ad altri centri decisionali » e che « i dirigenti del mondo bancario, qualunque siano le loro personali opzioni morali e politiche, - sono prigionieri dell'istituzione e del sistema ». L'interesse dei cristiani belgi per il rapporto fra esigenze della fede e sistema finanziario ha radici che portano assai lontano. Si deve risalire alla metà del secolo scorso, quando in Belgio per la prima volta i cattolici-liberali, già temprati alle esperienze del capitalismo nascente, assunsero responsabilità di governo. Il problema fu posto ufficialmente all'Assemblea generale dei cattolici belgi del 1863, nota come Congresso di Malines, da Prosper de Haulleville. Dopo aver lamentato l'ostilità verso la Chiesa del sistema finanziario che si veniva affermando, egli concludeva: « Inseriamoci cli più nel movimento economico che si opera sotto i nostri occhi, prendiamo in esso la parte che legittimamente ci spetta e facciamo tornare a nostro vantaggio morale lo sviluppo materiale del nostro secolo. L'industria e la finanza moder-
19 ne sono ormai una potenza: noi non le abbiamo chiamate, ma, poiché ci sono, trattiamole come i barbari del IV secolo: portiamole al battesimo e cristianizziamole! ». Il pontificato di Pio IX fu un periodo cruciale per il modo in cui, durante il suo corso, venne a strutturarsi il problema del rapporto fra religione e finanza. Si tratta infatti del periodo in cui la crescita inarrestabile della borghesia come classe egemone e del capitalismo come sistema economico costrinse anche il modo di produzione delle risorse economiche della Santa Sede a farsi capitalista. Questa trasformazione avvenne in modo decisamente atipico. Basti pensare a due circostanze. La prima riguarda il momento risolutivo di questa trasformazione, che coincide con la fine del potere temporale e con la trasformazione della Santa Sede da organo sovrano degli Stati pontifici a soggetto internazionale privo di sovranità su un territorio. La seconda circostanza riguarda l'< accumulazione capitalistica» iniziale, premessa del « decollo » economico, fornita non già da un'agricoltura moderna, ma da un fenomeno completamente nuovo, nonostante il nome antico, e messo a punto proprio in quegli anni: l'obolo di San Pietro. Quando Pio IX fu eletto Papa, nel 1846, nello Stato pontificio non si pubblicavano i bilanci da dodici anni. Si può dire che, oltre all'emissione di prestiti all'estero, fosse stato questo l'unico provvedimento preso di fronte al deficit di bilancio, comparso per la prima volta nel 1828. Il pontificato precedente, quello di Gregorio XVI, era stato disastroso dal punto di vista del disordine amministrativo, fino a meritare il pubblico rimprovero delle potenze europee che, nel maggio del 1831, avevano trasmesso al governo pontificio ùn memorandum in cui si raccomandava, fra l'altro, una regolare gestione finanziaria e l'istituzione di una Corte dei conti. Pio IX riprese la pubblicazione dei bilanci,
istituì il Consiglio dei ministri, e anche quan do, tornato al potere dopo la Rivoluzione romana deI 1848-49, si ritrovò definitivamente vaccinato contro le velleità liberali, attuò una sorta di assolutismo efficientista che, pur in presenza di ben sette prestiti contratti dai suoi predecessori per quasi 18 milioni di scudi (a fronte di un bilancio di quasi 15 milioni di scudi nel 1858), riuscì a riportare il bilancio in pareggio nei primi mesi del 1859. Ma proprio nel 1859 i fatti che portarono ala costituzione del Regno d'Italia, e che per lo 'Stato pontificio significarono la perdita delle regioni più ricche (Romagne, Marche, Umbria), gettarono lo Stato in una crisi insanabile e definitiva. Il Cardinale Antonelli, segretario di Stato, paragonava i domini della Santa Sede a un nano dalla testa enorme '(la città di Roma) sopra un corpicino sproporzionatamente piccolo. Nel biennio 1859-60 lo stato perse il 71,2% del territorio, il 76,22% della popolazione e il 58% delle entrate fiscali, mentre le spese non si ridussero che del 33%. Un esempio clamoroso di questa crisi è dato dalle trattative condotte dalla Santa Sede per aderire alla Convenzione del 23 dicembre 1865, con cui quattro stati europei (Belgio, Francia, Italia e Svizzera) si costituivano in unione per quanto attiene al peso, al titolo, al diametro e al corso delle monete d'oro e d'argento. Lo Stato pontificio, i cui partners commerciali di gran 'lunga più importanti erano proprio i paesi dell'unione, aveva tutto l'interesse di aderire alla convenzione. Vi era però un ostacolo insormontabile: la circolazione della moneta « divisionaria », cioè non in metallo pregiato, era enormemente sproporzionata rispetto alle quote stabilite dalla convenzione: 26 milioni invece di quattro o cinque milioni di lire. Il Cardinale Antonelli, pur informato dagli organi tecnici di questa impossibilità, avviò ugualmente le trattative, celando ai partners
20 fino all'ultimo le reali condizioni monetarie dello Stato, e nel frattempo la moneta divisionaria pontificia circolava liberamente nei quattro paesi dell'unione. Solo nel febbraio 1870, pochi mesi prima di Porta Pia, essa non fu più accettata in Francia, dove aveva una circolazione larghissima, e fu ritirata con una perdita del 9%. La stampa anticlericale accusò senza mezzi termini il papa di frode, e lo scandalo fu enorme anche fra i cattolici, al punto che il nunzio a Parigi, inforinandone Roma, fece presente che la colletta per l'obolo di San Pietro ne sarebbe stata, enormemente influenzata. Questa segnalazione provocò un immediato cambiamento nella linea del governo pontificio e il Cardinale Antonelli, che per quattro anni aveva ignorato le insistenze del governo francese che chiedevano una maggiore correttezza, autorizzò a giro di posta gli organi incaricati della raccolta dell'obolo di San Pietro in Francia a cambiare alla pari la moneta pontificia che il governo francese aveva escluso dalla circolazione. Il pensiero corre allo IOR e al discreto invito del governo italiano fin dalla primavera 1981 perché esso scindesse, o almeno chiarisse le sue responsabilità rispetto al Banco Ambrosiano. Anche questa volta - duole, specie per un credente, doverlo constatare un orientamento diverso comincia ad emergere solo dopo uno scandalo, e con l'occhio attento alle ripercussioni che lo scandalo potrebbe avere sul fluire delle risorse, specie dalle comunità cattoliche della Germania e degli Stati Uniti. In quel contesto drammatico emergono due fenomeni di estremo interesse per lo studio del rapporto fra religione e finanza in epoca moderna: da un lato i fedeli promossero l'obolo di San Pietro, e dall'altro i finanzieri cattolici proposero la costituzione di potenti strutture finanziarie da porre al servizio della Santa Sede. Il Papa non accettò le proposte di questi ultimi, preferendo basarsi
sulle offerte che i fedeli di tutto il mondo inviavano per soccorrere - come ho avuto modo di ricordare fin dal titolo di un libro fortunato' - la sua « augusta miseria ». L'obolo di San Pietro ha le sue origini nell'alto medioevo come tributo feudale versato al papa: fra i primi tributari dell'obolo si ricorda Offa, re della Mercia (nell'odierna Inghilterra), contemporaneo di Carlo Magno. Caduto in desuetudine il tributo ormai da molti secoli, il nome di obolo di San Pietro fu riproposto per indicare le offerte inviate al papa dai fedeli di tutto il mondo. Un primo movimento per l'invio di offerte ebbe luogo a favore di Pio VII prigioniero di Napoleone. L'Imperatore francese attuò senza drammatizzare una semplice, ma efficace ritorsione di ordine fiscale: agli offerenti veniva imposto un versamento all'erario in misura uguale all'offerta. Durante l'esilio di Pio IX a Gaeta ebbe nuovamente luogo un simile movimento, e in questa occasione, a quel che ci risulta, fu riferito ad esso per la prima volta il termine « obolo di San Pietro » (in un discorso tenuto da Montalembert alla Camera dei Pari). Ma il grande slancio al fenomeno dell'obolo fu dato dalle insurrezioni e invasioni nei territori pontifici del 1859-60. Da tutto il mondo cattolico, comprese le Americhe e i territori di missione, si levarono vibratissime proteste, con assemblee, raccolte di firme, pubblicazione di opuscoli e, infine, raccolta di offerte in denaro. Questa raccolta, come documenta la corrispondenza diplomatica conservata nell'Archivio Vaticano (per l'indicazione precisa delle fonti si rinvia al volume citato), prese l'avvio in forma del tutto spontanea, e solo gradualmente fu organizzata - mai però in modo rigido - dalle strutture ecclesiastiche. La colletta divampò rapidamente come una CARLO CROCELLA, Augusta miseria, aspetti delle finanze pontificie nell'età del capitalismo, Milano 1982, p. 193.
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21 gara in tutto il mondo cattolico: dal Tibet al Polo artico, dalla Martinica all'Equador, dovunque c'era una missione cattolica si raccoglieva l'obolo per il papa, anche se oltre il 4096 delle offerte proveniva dalla sola Francia. Nel 1861, a fronte di un'entrata nel bilancio pontificio di poco più di cinque milioni di scudi, l'obolo forniva risorse per un ulteriore milione e mezzo di scudi. Nello stesso tempo i primi finanzieri cattolici, specialmente belgi e francesi, impressionati dai capitali raccolti con l'obolo, e nello stesso tempo dalle perduranti ristrettezze finanziarie della sede romana, cominciarono a far pervenire con ogni mezzo al governo del Papa una serie di proposte per organizzare con maggior talento finanziario le risorse che i cattolici mettevano a sua disposizione con tanta generosità. Essi proponevano lotterie mondiali, società per azioni per il riscatto dell'asse ecclesiastico, società di credito fondiario... Ma soprattutto fu il grande finanziere belga Langrand Dumonceau - che dava del tu à Napoleone III come a Francesco Giuseppe ed era chiamato il Napoleone delle finanze - a perseguire in modo organico e con ampiezza di mezzi il progetto per la fondazione di un'istituzione finanziaria Cattolica mondiale che avrebbe dovuto garantire al Papa, nel nuovo assetto economico internazionale, un potere di efficacia analoga a quello di cui aveva goduto nei periodi più gloriosi della sua storia passata. Pio IX, come si è accennato, non rispose mai positivamente a sollecitazioni di questo tipo. E forse anche per questo lo Stato pontificio giunse alla sua estinzione. Fu solo allora, dopo il 20 settembre 1870 che, perduta ogni sicurezza terrena, ma trovandosi fra le mani le risorse dell'obolo di San Pietro, che raggiungevano ormai il doppio delle spese necessarie per il governo centrale della Chiesa, le autorità vaticane si lasciarono trascinare nell'avventuroso mondo delle operazioni finanziarie.
I criteri furono quelli codificati più tardi nel codice di diritto canonico del 1917, che fa obbligo agli amministratori ecdesiastici, qualora dovessero procedere a una Compravendita di titoli, di curare che i titoli acquistati siano « ugualmente o più sicuri e fruttiferi di quelli venduti (can. 1539). Sembra di udire l'eco di questo canone nell'intervista rilasciata da monsignor Marcinkus a « Panorama» nell'aprile 1982, quando Calvi era ancora in vita: « Noi mettiamo i soldi dove rendono di più, e da questo punto di vista l'investimento nell'Ambrosiano è stato ottimo ». Da un punto di vista strettamente cristiano, ci si può chiedere se lo stesso slancio grandioso di generosità che alimentò l'obolo di San Pietro non sia da considerare inquinato da una certa mancanza di fede di cui la Chiesa nel suo insieme sembra aver dato prova in quel periodo: la pretesa di garantire la libertà della Chiesa con il denaro non porta già in se stessa un germe di apostasia? Il Concilio, specialmente nel documento « Gaudium et spes », ha indicato criteri radicalmente diversi da quelli del can. 1539 per la gestione delle attività economiche. E questi criteri non sono indicati in particolare per i beni ecclesiastici, ma sono indicati come validi per tutti i cristiani, e addirittura per tutti gli uomini di buona volontà. Basta ricordare i passi in cui si chiede che l'attività economica sia compiuta « entro i confini dell'ordine morale, così che si compia il disegno di Dio sull'uomo » (« Gaudium Ct spes », 64); o che lo sviluppo economico rimanga sotto il controllo dell'uomo, secondo criteri di democrazia economica (ivi, 65); o che gli investimenti contribuiscano « ad assicurare possibilità di lavoro e reddito sufficiente tanto alla popolazione attiva di oggi quanto a quella futura » (ivi, 70); o, infine, che i flussi finanziari siano orientati in modo da favorire lo sviluppo armonico di tutti i
popoli (ivi, 86).
22 Ma, osserva monsignor Marcinkus rispondendo all'intervistatore de « Il sabato », quando già la morte di Calvi aveva incominciato a sollevare molti veli, « lei crede che sia possibile ancora oggi parlare di una banca cattolica? Forse ormai una banca è una banca » (29 ottobre 1982). La posizione di Marcinkus si trova in sorprendente concordanza con quella del gruppo ecumenico belga citato all'inizio. E allora può essere forse ingeneroso addossare completamente sulle sue spalle una responsabilità che è di tutta la Chiesa, e forse dello
stesso Concilio. La dottrina conciliare non pecca forse di genericità? E non è forse vero, comunque che è mancata qualsiasi sua applicazione in questo campo, sia a livello di norma che di prassi? Il problema vero è quello del rapporto fra la fede, la Chiesa e il denaro. Un problema che il pontificato di Pio IX ha visto sorgere - almeno nella sua strutturazione attuale e che forse il pontificato di Giovanni Paolo TI potrà anche avviare a soluzione, ma che mi sembrerebbe francamente ipocrita addossare sulle spalle di una persona sola.
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Ricordando una intervista di Nitti: l'amministrazione del Vaticano come banca»
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di Gianni Long
Una curiosa anticipazione dei più recenti problemi legati alla vicenda AmbrosianoIOR ed all'esistenza stessa di una banca vaticana che agisce anche in territorio italiano è contenuta in una intervista di Francesco Saverio Nitti rilasciata a < La libertà » (il giornale della Concentrazione antifascista, stampato in Francia) all'indomani della firma dei Patti lateranensi. Nell'intervista, intitolata Il Vaticano non osò mai chieder tanto, Nitti rievoca i contatti da lui avuti con la Santa Sede, quando era Presidente del Consiglio, per giungere ad una definitiva chiusura della questione romana. L'accordo stipulato da Mussolini e dal cardinale Gasparri è molto deteriore per lo Stato italiano rispetto a quanto si era prospettato allora; ed in particolare appare esagerata la somma di un miliardo 750 milioni versata alla Santa Sede. Nitti fa riferimento alla somma annua stabilita dalla legge delle Guarentigie: al tempo del suo contatto con il Vaticano, questo sembrava accontentarsi della capitalizzazione di quella somma (mai riscossa in passato) più le annate arretrate dal 20 settembre 1870. Invece, osserva Nitti, Mussolini ha concesso al Vaticano un importo quadruplo rispetto a quello. E ciò non potrà che andare a detrimento del bilancio dello Stato italiano e soprattutto dei suoi contribuenti, che dovranno essere « torchiati » anche per far fronte a questa spesa. Mentre, per converso, la Santa Sede, con una somma così enorme, dovrà cambiare le caratteristiche dellà propria gestione: « l'ammi-
nistrazione del Vaticano dovrà d'ora in poi funzionare come una vera Banca ». E' abbastanza singolare questo tipo di critica in un personaggio come Nitti che, tra le figure di spicco del prefascismo e dell'antifascismo in esilio non si caratterizza certo come « anticattolico ». E infatti, oltre ad essere stato l'artefice delle prime trattative con il Vaticano (nell'aula della Costituente Nitti aprirà una lunga querelle con Orlando per stabilire chi dei due è stato il primo fautore dell'accordo), Nitti finirà anche per votare a favore dell'articolo 7 della Costituzione. Non stupisce invece affatto la sua presa di posizione se si pensa al momento storico (l'intervista esce il 24 febbraio 1929, a pochi giorni dalla Conciliazione) e soprattutto alla testata su cui appare: il giornale della Concentrazione antifascista. L'atteggiamento degli antifascisti in esilio (dopo lo scoop alla rovescia de « La libertà » che, pochi giorni prima dei Patti, smentiva energicamente che si fosse prossimi alla loro conclusione) è infatti di netta condanna per i Patti e per le due parti stipulanti: se alla Chiesa si rimprovera di aver fornito con quegli accordi un formidabile puntello al regime che la Concentrazione ovviamente aborrisce, al governo fascista si muove l'accusa di aver abdicato ai diritti e ai doveri dello Stato italiano. E non ultima tra le accuse è appunto quella di aver fatto un cattivo affare economico, troppo cedendo al Vaticano anche sul Mano finanziario. « E chiameranno i fedeli in avvenire questo
24 papa Pio-daemiliardi » scrive Eugenio Chiesa il 17 febbraio nel primo commento a caldo, intitolato La « Conciliazione ». Ed anche il popolare Francesco Luigi Ferrari sostiene, su quel numero de « La libertà », La nullità del trattato. Mentre sul numero successivo Silvio Trentin (La mostruosa utopia), scrive che « per garantire il Papato contro le dé/aillances della Provvidenza divina... lo Stato, a meglio affermare il proprio vassallaggio, metterà a disposizione della Chiesa una parte del gettito delle proprie imposte ». Più drastico e minaccioso Angelo Crespi: Il « mal tolto » dovrà essere restituito, cioè dopo la caduta del fascismo si dovrà procedere alla confisca dei beni delle Congregazioni religiose ed alla restituzione del famoso miliardo e 750 milioni (con tutte le rendite annuali nel frattempo percepite) da destinare ad indennizzo per le vittime del regime. Dei « due miliardi » si occupa anche Togliatti (Ercoli) nel famoso articolo Fine della « questione romana » su « Lo Stato operaio » del febbraio 1929. Ma l'interesse per questo risvolto economico è meno esclusivo di quanto non avvenga sul giornale della Concentrazione. L'articolo tende a mostrare le ragioni storiche dei Patti, che trovano origine in una coincidenza di interessi tra borghesia italiana e Chiesa cattolica veriflcatasi sin dal momento della presa di Roma: tra due forze che hanno accettato in pieno il sistema capitalistico non può che esistere concordanza e anzi complicità nell'imporre il proprio potere alle classi sfruttate. In questa prospettiva la yicenda dei due miliardi non costituisce, come per altri, il vero scandalo, ma solo la conferma di un'analisi più generale: « Vi sono, infine, i due miliardi che lo Stato paga. Essi non sono una cosa enorme, di fronte ai debiti verso l'America e l'Inghilterra, ma sono una cosa molto grande per l'odierno bilancio italiano e una enorme cosa per il contribuente che dovrà pagar-
li: per l'operaio che pagherà più caro il pane e riceverà meno salario, per il contadino che già ieri pensava a vendere il suo pezzo di terra onde poter soddisfare l'agente delle im•poste ». Nella polemica di Togliatti non afflora quindi il tema caro invece alle componenti « borghesi » dell'antifascismo: quello della abnormità del versamento, che non trova giustificazione giuridica (giustificazione che per tutta la Concentrazione esiste soltanto se rapportata alle somme previste dalla legge delle Guarentigie, poco importando la non accettazione di quest'ultima da parte della Chiesa). Per i comunisti un patto, più o meno truffaldino, tra borghesia ed ecclesiastici è nella natura stessa delle cose. La polemica sui preti (o meglio monsignori e cardinali) grassi che viVono alle spalle del proletariato italiano magro e sfruttato non sorgeva comunque con la Convenzione finanziaria del 1929. Si trattava di un vecchio punto di forza della stampa anticlericale precedente, sia di quella di matrice liberale e repubblicana della seconda metà dell'Ottocento che di quella, ancor più accesa nei toni, dei primi movimenti anarchici e socialisti. Dopo la Conciliazione, ed esauritesi le prime indignate reazioni di cui abbiamo riferito, essa resterà a lungo un cavallo di battaglia di « Giustizia e libertà » ed è presente ancora in documenti diffusi clandestinamente in Italia da questo movimento durante la guerra. Nel 1932 uno schema di programma pubblicato dai « Quaderni GL» rivendicava « separazione completa dello Stato dalla Chiesa, previa confisca dei beni dell'alto clero e delle congregazioni religiose. Incondizionata libertà di coscienza e di cuito. Il Trattato di Conciliazione, la Convenzione finanziaria e il Concordato saranno dichiarati nulli. Ai titoli di rendita (1 miliardo) consegnati al Vaticano sarà tolta ogni validità ». Se pure non si pretendeva, più la restituzione dei 750 milioni a suo tempo versati in contanti alla Santa Sede, permaneva
25 l'idea-guida dell'annullamento, almeno parziale, delle concessioni economiche del '29, insieme a quella, di antica tradizione risalente al Risorgimento e prima ancora alla Riforma e all'illuminismo, relativa alla confisca del beni ecclesiastici. Che documenti del genere circolassero ancora negli anni '40 è provato dalla presa di distanza che Benedetto Croce, giudicato dai cattolici un campione di anticlericalismo, ritiene opportuno sottolineare nel suo primo scritto politico dopo la caduta del fascismo. Nell'opuscolo Che cosa è il liberalismo dell'agosto 1943 Croce scrive: « Quando in uno dei più fragorosi programmi della unione di Giustizia e Libertà, fondata dagli esuli a Parigi, era messa la lotta ad oltranza contro la Chiesa cattolica e la restituzione imposta al Papato dei "miliardi" avuti alla Conciliazione e altre simili cose, l'obiezione che sorse, e da parte di qualche persona tutt'altro che clericale, la quale protestò contro quel programma, era questa semplicissima: che si dimenticava un piccolo particolare, cioè che il popolo italiano nella sua grande maggioranza è cattolico e non si può calpestare questo suo sentimento, e bisogna che anche i razionalisti più radicali lo tengano in conto e si regolino di conseguenza ». Non era comunque solo Croce a ritenere del tutto superata questa polemica. Dopo la caduta del fascismo e la ripresa dell'attività dei partiti in quell'estate 1943, nessuno avanza più le bellicose proposte di restaurazione territoriale e finanziaria ai danni della Chiesa e del Vaticano: neppure il partito d'azione, che continua la tradizione del movimento GL e che pure sarà, sino al dibattito nell'aula della Costituente, il più tenace e coerente assertore della laicità dello Stato. Tutte le forze politiche saranno in quella sede concordi nell'affermare l'intangibiità del Trattato con tutte le relative implicazioni. Oggetto di dibattito sarà invece l'inclusione dei Patti nella Costituzione con la
conseguente intangibilità del Concordato (se non previo negoziato con la controparte ecclesiastica). Di cose venali alla Costituente proprio non si parla, lasciando semmai ai periodici anticlericali come il « Don Basilio » e « Il pollo », peraltro non direttamente riconducibili ad alcun partito, qualche vignetta con il solito monsignore che maneggia sacchi di denaro. Solo un curioso richiamo al fatto che la Chiesa, al di là delle apparenze, è povera nella stragrande maggioranza dei suoi ministri venne fatto da Umberto Calosso allo scopo di dimostrare, che la Chiesa stessa non ha nulla da temere da una maggiore giustizia sociale. Nella seduta del 25 marzo 1947 Calosso disse infatti: « Non c'è dubbio, il socialismo garantirà la libertà di tutte le opinioni, e smentirà quella che è in fondo una leggenda assai diffusa: che la Chiesa sia ricca. La Chiesa è povera. Il parroco di campagna, e più ancora quello di città, è di solito un uomo povero ». Ma di ben altri argomenti si alimentò il dibattito sull'articolo 7, alla Costituente e nell'opinione pubblica: libertà di coscienza, autonomia del diritto statuale, tutela delle minoranze. Anche la serrata polemica che dal 1947 opporrà le sinistre alla DC sostenuta dal Vaticano non comporterà più la messa in discussione dei rapporti economici tra Italia e Santa Sede. Non mancheranno certo le polemiche spicciole (sull'« appropriazione » da parte della POA degli aiuti alimentari provenienti dagli Stati Uniti, sulle colonie estive ecc.), ma si tratta sempre di questioni interne italiane, che non toccano il rapporto diplomatico con l'oltre Tevere. Analoghe caratteristiche ha anche l'episodio più clamoroso, quello della cosiddetta « anonima banchieri », che provocò anche una inchiesta parlamentare. Lo scandalo, esploso nel 1958, riguardava le operazioni economiche di un certo commendator Giuffrè, il quale si faceva affidare da parrocchie, enti religiosi ecc.
26 varie somme, destinate soprattutto alla costruzione di edifici, restituendole raddoppiate dopo brevi periodi. Per queste operazioni il Giuffrè godeva di larghissimo credito soprattutto presso il basso clero; ma il sistema si basava sostanzialmente su un principio simile a quello della « catena di S. Antonio », cioè sul rimborso ad altissimo interesse dei vecchi depositi sulla base di un continuo moltiplicarsi dei nuovi. Nonostante una serie di irregolarità (evasioni fiscali, prestiti usurari) l'impalcatura era fatalmente destinata a crollare non appena si fosse rallentato l'afflusso dei nuovi depositi. Il che puntualmente avvenne. Nonostante la limitata portata geografica del « caso Giuffrè » (la vicenda si era svolta in Romagna e zone limitrofe), esso assunse portata nazionale sia per i contrasti tra il ministro del Tesoro Andreotti e quello delle Finanze Preti, sia soprattutto per i rapporti intrattenuti dal Giuffrè con organi ecclesiastici. La relazione della Commissione d'inchiesta afferma che « sia per la natura delle opere eseguite, sia per le lodi e gli, attestati di benemerenza al Giuffrè pervenuti (e da lui stesso ostentati) da parte di autorità ecclesiastiche anche di rango elevato.., si era formata intorno al Giuffrè una fama di persona benefica e quindi una forma di generale suggestione ». Ma si trattò di un fenomeno che riguardò soprattutto il basso clero, mentre molte voci (a cominciare da quelle dei vescovi delle diocesi interessate) ammonivano a non fidarsi troppo delle iniziati ve del « banchiere di Dio ». Ciò che nella vicenda Giuffrè può interessare, alla luce dei fatti più recenti, è piuttosto un aspetto marginale: la polemica che, nell'ambito della Commissione d'inchiesta e attorno ad essa, si accese su1 cosiddetto « memoriale Giuffrè », un documento che il pro. tagonista della storia avrebbe indirizzato al Papa per giustificarsi e la cui acquisizione agli atti era stata richiesta. Nella seduta del-
la Camera del 21 gennaio 1959, in cui si discussero i risultati dell'inchiesta, si affermò da parte comunista che la maggioranza della Commissione si era opposta non solo ad una richiesta in tal senso al Vaticano, ma anche all'acquisizione del memoriale per altra via, in considerazione della destinazione dello stesso. La polemica sul punto fu sollevata soprattutto fuori dal Parlamento dal gruppo di Pannunzio, tanto che persino gli oratori comunisti, in quella seduta, si sentirono in obbligo di replicare ai « laicisti di professione » che contestavano gli scarsi risultati dell'inchiesta. Secondo il PCI, tali risultati. andavano attribuiti non tanto alla mancata conoscenza del memoriale quanto al fatto che alla Commissione era stato possibile opporre il segreto d'ufficio da parte di molti degli interrogati. Ad ogni modo, nella questione dell'anonima banchieri, non vennero mai chiamati direttamente in causa gli organi del Vaticano in quanto tali, ma semmai l'intreccio esistente tra strutture ecclesiastiche e partito democristiano. Il compiersi della profezia di Nitti, con la creazione nel 1942 della banca vaticana, lo bR, era quindi passato sostanzialmente inosservato tra le forze politiche italiane. Negli anni della guerra l'attenzione era rivolta altrove ed anche successivamente l'attività dello IOR non ebbe mai occasione di venire in primo piano. Ciò si verificò invece negli anni 70 con l'esplodere della vicenda Sindona e soprattutto in tempi più recenti con il caso Calvi-Ambrosiano. A quest'ultimo è dedicata gran parte del presènte fascicolo: per concludere un sommario esame dei precedenti, occorre ancora rievocare brevemente i termini del coltivolgimento dello IOR nel fallimento delle banche di Sindona. Secondo la relazione di maggioranza della Commissione d'inchiesta Sindona, nel luglio 1974, allorché venne esperito il tentativo di salvataggio di due banche sindoniane (Banca Unione e Banca
27 privata finanziaria), il Banco di Roma, cioè l'istituto incaricato del salvataggio, dispose che non venissero rimborsati depositi di organismi collegati con le due banche sindoniane. Nell'elenco di questi era incluso lo bR. 'Ma dopo pochi giorni (il 23 luglio) venne ugualmente effettuato un pagamento di 5 milioni di dollari allo IOR. Su questo pagamento si discusse molto nella Commissione d'inchiesta; pare che esso sia stato autorizzato dal governatore della Banca d'Italia sulla base di una serie di accertamenti, ma ferma restando la necessità di chiarire il ruolo dello IOR nell'intreccio di rapporti che faceva capo a Sindona. Questo ruolo dello IOR è indicato piuttosto esplicitamente in due relazioni di minoranza della Commissione d'inchiesta. Secondo quella dei deputati D'Alema, Minervini e Cafiero i rapporti tra Banca privata finanziaria, IOR e Finabank sono «realizzati per agevolare la fuga di capitali, cioè di una delle cause principali della debolezza della bilancia dei pagamenti italiana » (pag. 270 della relazione, che poi riferisce testimonianze sui modi seguiti per realizzare questo 'fine). Più ampia l'analisi delle finanze vaticane e dei rapporti con Sindona nella relazione di minoranza del deputato Teodori, secondo il quale nel 1969 si ebbe un vero e proprio formale accordo tra Paolo VI e Sindona per cambiare l'indirizzo sino ad allora seguito dal Vaticano. Scrive Teodori: «Il valore patrimoniale dei beni mobili e immobili posseduti dal Vaticano era stimato alla fine degli anni '60 in 4,8 miliardi cli dollari, provenienti dai due organismi operanti nel minuscolo Stato del Vaticano: l'Istituto per le Opere di Religione (IOR) e l'Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica (APSA). L'bR con tre miliardi di dollari stimti in quel periodo poteva liberamente muovere capitali in tutto il mondo fuori da ogni controllo e rgola nazionale. L'APSA amministrava un miliardo e ottocento milio-
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ni di dollari, un capitale che aveva avuto origine dalla somma (2,4 milioni di lire del tempo) che il Governo italiano presieduto 'dal cavalier Benito Mussolini aveva versato alla Santa Sede in forza del Concordato del 1929 come risarcimento nelle confische che lo Stato italiano aveva effettuato all'indomani di Porta Pia. Alla fine degli anni sessanta - scrive ancora Teodori - Paolo VI decise di smobilitare gli investimenti italiani spostandoli sul mercato internazionale e in particolare su quello degli eurodollari. Alla base di quella scelta c'è una valutazione negativa della situazione economico-finanziaria italiana, incentivata dalla decisione del 1968 delle autorità italiane di porre fine all'esenzione fiscale per i dividendi delle azioni possedute dal Vaticano, direttamente o indirettamente. Così l'IOR, alla cui testa è andato monsignor Paul Marcinkus, procede nella operazione smobilitazione degli investimenti italiani e entrata in massa sul mercato internazionale. Sindona diviene al tempo stesso il maggiore artefice di questa nuova linea d'azione, il consigliere più ascoltato in Vaticano e il partner di gran parte delle operazioni messe in atto dal 1969 in poi ». Questa la ricostruzione (non priva dj qualche evidente inesattezza storica) della relazione di minoranza Teodori alla Commissione Sindona. Si tratta comunque, in quella sede, del più compiuto tentativo di ricostruzione del ruolo del Vaticano nella vicenda Sindona. Le altre relazioni si fermano infatti di fronte alla constatazione che rapporti esistevano tra lo IOR e Sindona, senza precisarne l'origine e gli sviluppi. Si tratta certamente di una storia in gran parte da scrivere, ed i cui sviluppi, con la vicenda dell'Ambrosiano, sono tuttora in corso. Qualche osservazione è tuttavia già possibile: come i commentatori antifasciti del 1929 avevano confusamente intuito, gli accordi economici inseriti nei Patti lateranensi face-
vano del Vaticano una potenza finanziaria, restituendole un «potere temporale» ben superiore a quello rappresentato dalla . limitatissima ovranità territoriale. Grazie a recenti studi (rinvio al libro di Crocella, Au-
gusta Miseria - Aspetti delle finanze pontificie nell'età del capitalismo, già citato in questo fascicolo) possiamo inserire questo evento in un preciso disegno che trova Je sue origini nel 1870 ed anzi ancora prima, al momento della perdita da parte dello Stato Pontificio delle sue regioni più ricche: il disegno di sostituire alla millenaria garanzia. di uno Stato territoriale sufficientemente ricco e forte. la garanzia di una adeguata potenza economica. Né i rappresentanti dello Stato italiano nel 1929, né (a quanto si può giudicare dal dibattito svoltosi negli anni della Costituente) i .partiti del post-fascismo hanno avuto adeguatamente presente questa
realtà, continuando a ragionare in termini di trattato (territoriale) e di concordato. Ancora nei recenti dibattiti parlamentari sul caso Ambrosiano si è sentito richiamare a sproposito il Concordato del 1929 come possibile regola delle attività dello bR. D'altra parte non si può negare che l'esistenza dei Patti lateranensi stabilisca un rapporto speciale tra le due sponde del Tevere; non si può quindi ridurre la questione a quella di un migliore controllo sulle banche straniere operanti in Italia, anche se i tecnici potranno suggerire utili ed opportune iniziative in questo senso. Siamo di fronte ad un aspetto nuovo della tradizionale dialettica tra Stato e Chiesa in Italia, trascurato da quasi tutte le forze politiche ancora oggi, dopo che i « sintomi » di Sindona e dell'Ambrosiano hanno, dopo decenni, fatto avvertire i termini del problema.
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Le prospettive di riforma di Carlo Cardia
E' opportuno partire dallà premessa - qui non motivabile - che allo IOR si addice la qualificazione di ente centrale della Chiesa ex art. 11 del Trattato lateranense, anche se si devono tenere presenti due circostanze: che all'atto della stipulazione dei Patti lateranensi tale Istituto, nella sua attuale configurazione, non esisteva; e che la natura delle sue attività è all'origine di problemi giuridici e pratici di qualche rilievo. Considerato astrattamente, pertanto, lo IOR gode di quella garanzia della «non ingerenza » da parte dello Stato italiano di cui al citato art. 11, che altro non è se non il riflesso, dell'indipendenza che è riconosciuta alla Santa Sede e allo. S.C.V nell'ambito internazionale e nei loro rapporti con l'Italia. D'altra parte, ogniqualvolta lo IOR pone in essere attività e operazioni (ad es. valutarie) nell'ambito del territorio italiano, od entra in relazioni con soggetti pubblici o privati in Italia, si sottomette per ciò stesso alle disposizioni che nell'ordinamento italiano disciplinano quelle attività e quelle 'elazioni, e alla giurisdizione del competente magistrato civile. E' vero, però, che questo «doppio profilo » della condizione giuridica dello IOR non si esprime su linee strettamente separate e parallele, ma si presenta come interdipendénté e chiama in causa una molteplicità di soggetti (dell'ordinamento canonico e di quello civile), ciascuno con le proprie competenze e con le proprie caratteristiche. Due esempi per tutti. Un eventuale, legittimo, intervento del magistrato civile non può non svilup-
parsi nel rispetto• del carattere « straniero » dello IOR e dei suoi organi interni, e rinviene, quindi, davanti a sé quel limite della « non ingerenza » che, analogamente a quanto avviene per analoghe situazioni che presentano profili . internazionalistici, impedisce ad esempio l'attuazione di determinati provvedimenti cauelativi o coercitivi. Per mci: dens si deve osservare che tale situazione non sarebbe modificata se lo IOR avesse la sua sede in territorio italiano, dovendosi. riconnettere le garanzie accennate solo alla quali fica di ente centrale.della Chiesa. Per l'altro esempio va detto che anche. quando lo IOR agisce more privatorum in Italia non per ciò le autorità vaticane possono dissociarsi dalle sue responsabilità, essendo tutte le attività dello IOR riconducibii - in virtù della stessa qualificazione canonistica - agli organi della Santa Sede che sono. i supremi regolatori e moderatori delle attività di tutte le istituzioni ecclesiastiche centrali. Proprio, l'intreccio tra i due profili, appena segnalati, dello IOR è' allà radice dei problemi sorti nelle vicende che hanno visto la « banca vaticana » intessere rapporti con il Banco Ambrosiano. Problemi che possono qui essere appena tratteggiati, e di cui si può prospettare qualche soluzione, almeno de jure condendo, che tenga conto sia del profilo dei rapporti tra Stato e Chiesa, sia del profilo tecnico-giuridico di tipo , più squisitamente valutano. 1. 'Nel momento in cui la Chiesa chiede di essere riconosciuta con la sua struttura pe-
30 culiare, che è struttura verticale e tutta riconducibile, almeno in ultima istanza, al potere del Pontefice quale supremo reggitore e moderatore, non può poi, per l'attività di un suo ente centrale, chiedere che vengano obliterate le conseguenze che derivano dal citato riconoscimento della sua medesima struttura. La responsabilità per l'attività de. gli enti centrali della Santa Sede è necessariamente responsabilità della Santa Sede e, per essa, del Pontefice. 2. Presentandosi, invece, lo Stato italiano, in quanto stato moderno, fondato sulla separazione dei poteri, ne deriva che, ciascuno secondo le sue prerogative, i diversi poteri (nel caso, l'esecutivo e il giudiziario) possono agire per la tutela degli interessi di cui sono investiti per legge. Dimodoché, tralasciando quanto già accennato per il potere giudiziario, il governo italiano è sempre, e necessariamente, investito di tutto quanto turbi, o possa turbare, le relazioni tra Stato e Chiesa a seguito di comportamenti di enti (soprattutto se centrali) della Chiesa o, evidentemente, di organi governativi italiani. Non rileva in questo caso l'obiezione che lo IOR andrebbe considerato semplicemente alla stregua di una banca straniera, e ciò per due ordini di ragioni: perché con nessun altro Stato l'Italia intrattiene rapporti pattizi e concordatari che dettano una disciplina giuridica e politica peculiare e unica nel suo genere; perché, a voler delineare una similitudine effettiva ed esauriente, va detto che lo Stato italiano, e per esso il suo governo, avrebbe egualmente il diritto-dovere di intervenire per via diplomatica presso altri Stati o governi ove si verificassero situazioni imputa bili ad attività di organi di cui questi altri / governi portino dirette responsabilità. 3. Ciò comporta una maggiore chiarezza sugli oneri che Italia e Santa Sede si sono as-
sunti con i Patti lateranensi che sono doveri di correttezza e reciproca limpidità non sempre e formalmente definibili a priori. Un esempio può chiarire il concetto. L'art. 20 del Trattato prevede un particolare, e privilegiato, regime doganale tra Italia e S.C.V. anche in virtù del carattere di quest'ultimo di stato enclave; ma questo evidentemente non consente affatto allo SC.V. di fruire di questa condizione giuridica per realizzare traffici che si prestino ad obiezioni o che comunque presentino un profilo di illiceità, o anche di verificata discutibilità. Ove, per assurdo, ciò avvenisse, sarebbero egualmente chiamate in causa le relazioni tra Italia e Santa Sede non dissimilmente, appunto, dal caso IOR-Ambrosiano. Si evince, da tutto ciò, la legittimità, e anzi la doverosità - come d'altronde è avvenuto - di interventi politici di parte italiana e di parte vaticana diretti sia a chiarire i termini concreti di una situazione come quella di cui si discorre, sia a trovare soluzioni che soddisfino gli interessi di tutti i soggetti, pubblici e privati, coinvolti nella vicenda medesima. Ancor più, però, si deduce agevolmente che la vicenda dello IOR sollecita una prospettiva giuridica che deve muoversi a diversi livelli: a. un livello pattizio volto a chiarire il contenuto e i limiti del concetto di ente centra le della Chiesa e dell'impegno statuale di non-ingerenza. Chiarimento, questo, che non deve evidentemente avere come obiettivo quello di restringere gli spazi della indipendenza e dell'autonomia delle istituzioni ecclesiastiche, bensì l'altro di meglio definire i confini tra le attività religiose di queste istituzioni e altre attività che rientrano in ambiti temporali troppo evidenti per poter esserè pretermessi. A questo scopo non sareb-
31 be negativa l'ipotesi che un ente come lo IOR ricevesse una configurazione giuridica speciale che rendesse più chiara la distinzione tra la sua attività internazionale e quella che svolge in Italia; b. un livello non necessariamente pattizio che realizzi l'ipotesi formulata in sede di dibattito parlamentare di una filiale dello IOR in Italia che liguri come centro di imputa-
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zione e di piena responsabilità per le attività espletate in territorio italiano; c. un' ulteriore livello che meglio definisca - data la natura delle attività della banca vaticana, che sono considerate unanimemente attività difficilmente controllabili - la liceità e illiceità di operazioni valuturie nelle quali siano, a qualunque 'titolo, còjiìvolti soggetti pubblici o privati italiani.
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Perché va cambiata la condizione giuridica dello IOR nei rapporti finanziari internazionali di Sergio Ristuccia
Più d'una volta nel corso della sua esposi zione dell'8 ottobre 1982 alla Camera dei Deputati il ministro Andreatta ha qualificato come « fraudolenta strategia » l'opera compiuta « da chi aveva il dominio » del Banco Ambrosiano. La ricostruzione del mi nistro, allora certamente provvisoria anche se aggiornata con « elementi emersi succes sivamente alla liquidazione », individua nei rapporti fra il Banco Ambrosiano e le sue consociate estere le ragioni del crack. Mi sembra importante r,accogliere dalla fonte ufficale più completa finora disponibile tutti gli elementi che valgano a descrivere, sia pure sulla base di una cronaca solo per sondaggi parziali qual è quella che fu possibile ricostruire all'inizio di ottobre, proprio il ruolo giocato dallo IOR e la sua presumibile portata.
UNA « FRAUDOLENTA STRATEGIA »
Nel discorso dell'8 ottobre si ricorda anzitutto .il contenuto della relazione dei commissari straordinari del Banco Ambrosiano. Le citazioni che seguono sono sempre del discorso del ministro. Per quanto riguarda la situazione patrimoniale (« la somma algebrica delle componenti patrimoniali positive e negative conduceva ad un deficit di 480 miliardi di lire dopo aver azzerato il capitale e le riserve ») i commissari rilevavano che « gli elementi negativi si riferivano a perdite su crediti verso le consociate este-
re ». Si trattava di perdite per 900 miliardi derivanti da crediti « irrecuperabili » dell'Ambrosiano'. Ebbene, questi crediti furono giudicati irrecuperabili dai commissari «in quanto il loro rientro era condizionato dal comportamento dell'Istituto per le opere religiose che negava ogni obbligazione a proprio carico ». Ancora: « le garanzie specifiche che assistevano gli attivi delle consociate erano costituite da azioni a pegno il cui valore era del tutto sproporzionato rispetto all'ammontare delle esposizioni. I commissari hanno inoltre sottolineato la inconsistenza patrimoniale delle controparti debitrici di ultima istanza (cioè delle società debitrici verso le consociate estere) e le gravi difficoltà di promuovere azioiii cautelari e procedimenti giudiziari negli stati in cui le medesime hanno sede (Liechtenstein, Panama ecc.) ».
In complesso, secondo i commissari straordinari, lo IOR « risultava debitore per esposizione propria o di sue patrocinate per complessivi 1.287 milioni di dollari». Ma lo IOR « negava ogni obbligazione a proprio carico, sostenendo di non avere interesse nelle posizioni finanziarie; esso asseriva, in particolare, che le dichiarazioni di patrocinio a suo tempo rilasciate erano state effettuate a titolo di favore ». Successivamente, posto in liquidazione coatta amministrativa il Banco Ambrosiano, altri elementi sono emersi: tali da consentire al ministro l'espressione « fraudolenta strategia » che ho innanzi riportato. « In origine - dice il ministro - i rapporti di finanziamento con lo IOR e le società
33 da questo patrocinate erano' tenuti dal Banco Ambrosiàno Overseas di Nassau. Nell'an no 1977 una quota dei finanziamenti venne assunta dall'Ambrosiano Group Banco Comerciai di Managua. Negli anni 1978-79 venne creato dalla holding., lussemburghese il Banco 'Ambrosiano Andino, il quale subentrò nei suddetti finanziamenti alleggerendo la posizione del Banco di Nassau; si può fare l'ipotesi che a quell'epoca i crediti ammontassero a 40-00 milioni di dollari ». La strategia, dunque, si sviluppa attraverso e nell'ambito di una rete di. rapporti che vengono creati nel tempo, progressivamen te. Ma di che cosa si tratta? Al riguardo il ministro dà alcune notizie e formula alcune ipotesi.: . « Le società debitrici non hanno mai pagato gli interessi, che ad ogni '.'scadenza venivano capitalizzati. Il tasso normalmente, applicato sui finanziamenti in dollari risulta assai elevato, 'mediante il 20 per cento annuo, e negli ultimi anni anche il 23-24 per cento in correlazione ai 'tassi elevati corrisposti sulla raccolta. N'egli attivi delle società .patrocinate dallo IOR sussistono partecipazioni, parte delle quali costituite in pegno a garanzia dei finanziamenti ricevuti dal gruppo, il cui valore è notevolmente inferiore a]l'entità dei finanziamenti medesimi. La partecipazione più importante era quella nel Banco Am-' brosiano. Circa tale sproporzione, a parte la capitalizzazione degli interessi di cui si è già detto, possono formularsi soltanto alcune ipotesi: le partecipazioni acquisite dalle società con i finanziamenti del gruppo, possono essere state .pagatè a prezzi 'superiori a quelli di mercato; le partecipazioni medesime possono aver subito svalutazioni, sia .per una riduzione delle quotazioni di .mercato, sia per la rivalutazione del dollaro, tenuto conto .che a fronte di un debito espresso in dollari le garanzie ,erano costituite da titoli in lire italiane; impieghi .per alcune centinaia di milioni di dollaii possono essere stati utilizzati per altri fini, che solo un'indagine accurata potrà fare emergere. I dubbi da' chiarire non riguardano soltanto la destinazione dei finanziamenti per complessivi 1.159 milioni di dollari accordati dalle consociate estere del "gruppo" Ambrosiano allo bR' e alle sue patrocinate, iha' anche' altre consistenti quote del-
l'attivo. Se si calcola infatti che la provvista era pari a circa 1.630 milioni di dollari, resta da chiarire la destinazione data a circa 470 milioni di dollari, collocati al di fuori del circuito bR. Parte di questi, per 176 milioni di dollari, riguardano finanziamenti a soggetti individuati, ma il cui recupero appare difficile. Per l'ammontare resid'uo (294 milioni di dollari), rimane tuttora oscuro l'impiego. Le informazioni sin qui ottenute indicano che il problema finanziario delle consociate derivava dalla circostanza che, essendo il loro attivo immobilizzato, esse dovevano far fronte alle scadenze dei depositi con il rinnovo dell'indebitamento in misura crescente per provvedere anche agli oneri derivanti dagli interessi passivi, sempre più di tipo usuraio ». A questo punto il ministro, fa, fra gli altri, il commento seguente: « la non avvenuta identificazione di soggetti detentori del controllo azionario del Banco non consente tuttora di appi,irare le finalità di una strategia perseguita senza l'osservanza delle corrette regole bancarie ». Qui non interessa andare oltre ma cercare di trarre dagli elementi citati qualche prima supposizione sul ruolo giocato dallo bR.
IPOTESI SUL RUOLO DELLO IOR
Proprio partendo dallo spunto sulla proprietà si può innanituttò ricordare la supposizione, ricorrente in questi mesi, che lo IOR fosseesso stesso proprietario del Banco Am brosiano in misura ben maggiore di quell'1,588 per cento del capitale che risultava dl libro soci. Sull'assetto proprietario il ministro del Tesoro aveva già dato notizie alla' Camera' il 2 luglio 1982 rispondendo alle interrogazioni parlamentari motivate, fra l'altro, dalla morte di Roberto Calvi. Egli aveva dichiarato: «Aspetti problematici derivano dall'assetto proprietario' del Banco, caratterizzato da un processo di concentraziòne 'in capo a società' estere. Al libro soci, 'in data recente, risultavano i seguenti azio-
34 nisti di maggior rilievo: Itaimobiliare spa, 3,62 per cento del capitale; Kredit Bank sa, 3,2 per cento; Credito Overseas sa, 2,718 per cento; Istituto per le opere di religione, 1,588 per cento; Société fiduciaire "La 'Tour" sa, 1,588 per cento; Credit Commercial de France, 1,367 per cento; Rekofinanz Aktiengesellschaft, 1,215 per cento; Ulticor Aktiengesellschaft, 1,180 per cento; Interpart spa, 1,100 per cento; Cascadilla sa, 0,925 per cento; Lantana, 0,925 per cento; Spectra 'Business mc, 0,333 per cento; La Fidele Compania Financiaria sa, 0,680 per cento. Questi dati mostrano che il capitale era estremamente frazionato (o appariva frazionato) e che era possibile esercitare il' controllo disponendo di un pacchetto azionario contenuto».
C'è, infine, da dire una cosa: che la supposizione dello IOR proprietario non fosse infondata, soprattutto se riferita al Gruppo Ambrosiano estero, risulta anche chiaramente dal comunicato emesso il 26 novembre a chiusura della IF' riunione plenaria del Collegio Cardinalizio, là dove si afferma che l'Istituto « si è trovato ad avere la titolarità, e quindi il controllo giuridico, di due società » 2 Se anche si dovesse escludere l'ipotesi dello IOR proprietario, altri ruoli giocati dall'Istituto sembrano fuori discussione: quello di soggetto fiduciario per transazioni fra le consociate estere dell'Ambrosiano e le società « patrocinate », quello di soggetto concedente « favori » a chi aveva il dominio dell'Ambrosiano. Le lettere di patronage dell'agosto 1981 sono dati di fatto. Conviene ricordare che queste furono rilasciate a Calvi dopo la sua condanna in primo grado per reati valutari. Le linee, diciamo così, difensive relative a questo coinvolgimento IOR nel caso Ambrosiano sono due: che i rapporti IOR'-Ambrosiano siano stati fondati su normali rapporti finanziari singolarmente corretti e non censurabili ovvero che lo IOR sia stato oggetto di frode e raggiro. Quest'ultima è, mi sembra, la.linea fatta propria dai Cardinali nel
comunicato già citato; La prima è quella dei responsabili diretti dello IOR (si vedano alcune dichiarazioni alla stampa di Marcinkus). Tale coinvolgimento può essere oggetto di molteplici valutazioni: di congruità ad una corretta e buona prassi bancaria e finanziaria; di conformità a leggi e usi commerciali e bancari; di conformità a leggi penali. Infine, può essere oggetto di valutazioni morali in relazione, soprattutto, alle finalità religiose ultime dello IOR. Ma prescindiamo pure da valutazioni che non è ancora possibile dare con la compiutezza necessaria, mancando ancora moltissimi elementi di fatto, e prescindiamo pure, ovviamente, dal problema che è tipicamente di fattispecie se lettere di patronage valgono o non a costituire obbligazioni in capo allo IOR. Un quesito però va posto: nella strategia di chi aveva il dominio del Banco Ambrosiano il coinvolgimento dello IOR 'era utile in ragione del « prestigio » che questo istituto avrebbe ancora avuto sul piano internazionale per essere incardinato nella Santa Séde (un « prestigio » che, però, sul piano della stretta credibilità finanziaria avrebbe dovuto già essere incrinato, da precedenti connessioni con il crack della Franldin, National Bank di Sindona), ovvero anche in ragione del suo statu's di soggetto giuridico operante nel sistema finanziario italiano con particolari privilegi derivanti dall'attuale regime dei rapporti concordatari Stato-C'hiesa? Questo è il punto che interessa .qui e che va affrontato perché costituisce l'elemento per così dire « strutturale » che sottintende all'intera vicenda e non solo a questa. Negli ambienti finanziari internazionali si dice ' che una fonte importante di guadagno per Io IOR sarebbe stato in passato il trasferimento fuori d'Italia di capitali italiani. Infatti, quando gli uomini d'affari hanno usato lo IOR a questo scopo, essi poi avrebbero fatto donazioni « per gratitudine ». .Og-
35 gi queste operazioni sembrano più difficili. Nulla però le ha rese impossibili. Per questo, lasciando da parte le dicerie, occorre venire alla ricognizione del regime valutano in cui opera, in Italia, lo bR.
Repubblica ». La prassi ha fatto a meno di tale condizione. Tale prassi, rimessa per molti anni, alle disposizioni dell'Ufficio Ita liano dei Cambi, è' stata sanzionata dall'art. 105 del decreto del Ministro del Commercio con l'Estero 12 marzo 1981 che così detta:
IL REGIME VALUTARIO IN CUI OPERA LO IOR
« Le obbligazioni tra persone fisiche e giuridiche con residenza, o sede nello Stato della Città del Vaticano o nella Repubblica di San Marino e persone fisiche e giuridiche residenti devono essere considerate quali obbligazioni tra residenti da regolarsi in lire interne. In relazione a quanto stabilito nel precedente comma, alle persone fisiche e giuridiche con residenza o sede in uno dei ripetuti Stati, è consentito intrattenere presso qualsiasi azienda di credito operante nel territorio della Repubblica, conti e depositi in lire interne».
C'è un fatto da rilevare subitò. Fin da quando, nel 1956, furono dettate le norme valutane di base tuttora vigenti (Decreto legge 6 giugno 1956, n. 476, convertito con modificazioni dalla legge 25 luglio 1956, n. 786) l'attuazione dell'ordinamento vide instaurarsi la prassi di una sostanziale equipa razione fra residenti in Italia e residenti in Vaticano e in San Marino, cioè nei due stati-enclaves presenti sul territorio della peniSi può discutere circa l'idoneità di un atto sola italiana: Questa equiparazione consiste normativo come il decreto ministeriale a nella facoltà di aprire conti in lire cosiddet- modificare disposizioni di carattere legislaté « interne» presso aziende di credito ope- tivo oppure anche soltanto a rimediare a laranti in Italia e significa che le obbligazioni cune di ordinamento: quali finirebbero per fra persone fisiche e giuridiche dei due stati- essere, secondo l'opinione di alcuni, le conenclaves e persone fisiche e giuridiche ita traddizioni fra il regime valutano generale liane sono da regolare senza tener conto dei e la portata sostanziale delle convenzioni vincoli valutari: così come avviene, appun- monetarie fra l'Italia e i due piccoli statito, fra residenti. Il fatto che il Vaticano e enclaves. Ma non è neppur questo, in defiSan Marino facciano parte dell'area monetanitiva, il punto. Il punto è che il regime varia italiana• secondo quanto hanno sancito lutanio configurato dalla prassi dell'Ufficio apposite convenzioni monetarie e, ancor più, dei Cambi e dalla normativa ministeriale poi la naturale integrazione dei due stati nel siè asimmetrico: facilita sì i rapporti all'interstema economico italiano sono a base di queno dell'area monetaria italiana per le persosta prassi attuativa. Rimane però il fatto, ne, fisiche e giuridiche, dei due stati-enclainnanzitutto, di una discordanza formale fra ves ma non può con trobilanciare queste faciquesta 'e l'art. i della citata legge del 1956 litazioni con i controlli e i vincoli vigenti nelche dà una precisa definizione dei residenti l'ordinamento. ai fini dell'ordinamento valutano. Ebbene, Nessuno può escludere il fatto che refra le categorie previste dalla legge 4 non sono sidenti italiani abbiano trasferito capitali indicate le persone fisiche e giuridiche del Vaall'estero senza rispetto dei vincoli valutani ticano in quanto tali: anche per esse dovreb- avvalendosi di strutture esistenti nello be valere la regola generale che i soggetti straStato Vaticano. Il fatto rimane, ovviamennieri assumono la qualità di residenti quando te, illecito e penalmente rilevante per ricorra la condizione dell'« attività produt- la legge italiana, ma intanto è reso possibile trice di redditi esercitata nel territorio della dal fatto che tali strutture non sono obbli-
36 gate a tenere comportamenti in linea con le disposizioni valutarie vigenti in Italia. Si consideri; per esempio, come l'apertura di conti presso lo IOR a nome di residenti in Italia renda agevoli ai titolari compensazioni con soggetti non residenti al riparo da controlli di vigilanza bancaria. Ancora, eventuali operazioni di acquisto sull'estero da parte dello IOR di banconote italiane, pur se con proprie disponibilità in valuta, pos sono contribuire a. rendere meno costosa la costituzione all'estero, a favore di residenti italiani, di disponibilità in valuta mediante la successiva esportazione delle medesime banconote.
RAPPORTI FINANZIARI INTERNAZIONALI SENZA CONTROLLI
Né sotto il profilo della mancata equivalenza fra favori e oneri ci si può fermare alla considerazione dei soli aspetti valutati: esistono problemi di regime bancario e di regime fiscale ai cui vincoli ed obblighi l'Istituto bancario vaticano è sottratto. Torniamo alla ricostruzione del ministro del Tesoro alla Camera, là dove si individua nei rapporti fra Banco Ambrosiano e sue consociate estere la ragione del dissesto. La linea assunta dal Governo e dalla Banca d'Italia a proposito delle posizioni debitorie della holding lussemburghese dell'Ambrosiano è stata sancita nell'atto di cessione fra la liquidazione del . vecchio Banco Ambrosiano e il Nuovo Banco. Come ha narrato il ministro Andreatta, « con atto pubblicato in data 8 agosto 1982, stipulato .per notaio Luigi A. Miserocchi (.n. 25499 di repertorio, n. 3962 di raccolta), il nuovo Banco Ambrosiano, previa autorizzazione della Banca di Italia •ha rilevato attività e passività dell'azienda in liquidazione, fatta eccezione per la partecipazione al capitale della holding iussernburghese, per ogni altro rapporto nei confronti della predetta holding e di altri soggetti ad essa comunque connessi e .per i depositi cosiddetti reciproci, cioè
affiuiti alle consociate estere tramite banche terze e per i quali sussisteva contestazione circa il carattere fiduciario. Le esclusioni erano intese a perseguire il duplice obiettivo di non onerare l'azienda cessionaria di rischi non sufficientemente commensurabili e, nel contempo, conservare ai commissari liquidatori i compiti più direttamente connessi al loro ufficio. Ai commissari stessi compete altresì l'esercizio del. le azioni di responsabilità in qualsiasi sede».
Rapporti finanziari internazionali assai controversi con conseguenti problemi di solvibilità delle consociate estere dell'Ambrosiano hanno posto la questione se ed in qual misura debba esserci un sostegno delle stesse consociate da parte delle Autorità italiane. Mancano norme internazionali sicure riguardanti crisi bancarie del tipo e della dimensione del caso Ambrosiano. In verità, esi stono alcune intese di massima fra le banche centrali, ma non molto precise. Secondo quanto riferisce la International
Currency Review' « nel dicembre 1975, i governatori delle banche centrali del Gruppo dei Dieci più la Svizzera definirono il cosiddetto "Concordato di Basilea", che è un vago dooumento di compromesso, scritto in modo non giuridico e con frasi imprecise, e "rilasciato" ma non pubblicato nel marzo dello scorso anno. La timidezza dimostrata dagli architetti del "Concordato" . può comprensibilmente riflettere un certo imbarazzo per la patente inadeguatezza del documento come strumento per il mantenimento dell'ordine finanziario internazionale ; ma anche così, uno dei principali criteri fissati in questo accordo era che le autorità ospitanti hanno la responsabilità "primaria" in ordine alla supervisione della solvibilità delle sussidiarie di banche estere operanti nel proprio territorio ».
Di altri accordi, che per le difficoltà o l'insolvenza di banche consociate chiamassero in causa le banche centrali dei paesi in cui operano le banche-madri, si è parlato ma, in realtà,., essi non sono stati mai raggiunti né sembrano proponibili in un quadro di così ampia irresponsabilità internazionale in matèria di. vigilanza e controlli.
37 Per concludere su questo punto direi che la linea assunta dalle Autorità monetarie italiane di non intervenire a favore dell'holding lussemburghese dell'Ambrosiano è stata corretta. Essa tuttavia impone la necessità di risolvere il caso delle consociate estere con modalità e soprattutto entro tempi tali da impedire ricadute pericolose sulla liquidazione italiana o addirittura sul Nuovo Ambrosiano. Se, com'era naturale, i creditori esteri della holding lussemburghese non avrebbero facilmente accettato la linea di condotta seguita dalle autorità italiane, il problema era ed è quello di risolvere buona parte del contenzioso del gruppo lussemburghese recuperando i crediti da questo vantati verso Io bR. Con ciò evitando i rischi della procedura fallimentare lussemburghese. In tutto ciò è da vedere una delle ragioni principali per l'intervento del governo italiano presso la Santa Sede, sollecitato peraltro proprio dai liquidatori italiani; La soluzione del caso estero in bonis e limitando il danno finanziario, non può essere, tuttavia, obiettivo politico sufficiente. Proprio la logica della linea assunta dalle Autorità monetarie italiane vuole qualcosa di più. Se è vero che il dissesto del Banco Ambrosiano - il « maggiore nel mondo del dopoguerra a livello di singola istituzione finanziaria », come ha detto Andreatta - ha per causa prima « operazioni compiute in paesi pressoché privi di un controllo pubblico di vigilanza », coerenza vuole che lo Stato italiano faccia subito la sua parte: prendendo le iniziative adeguate per eliminare quella particolare mancanza cli controlli che riguarda appunto lo IOR.
INTERROGATIVI SULL'INTESA FRA SANTA SEDE E GOVERNO ITALIANO
L'intesa fra la Santa Sede e il Governo italiano è un primo passo in questo senso? Può
esserlo, certamente. Ma, per ora, non è stato detto. Né è assolutamente chiaro quale sarà lo sbocco finale dei lavori della Commissione paritetica degli esperti. Si è molto insistito, da parte italiana e da parte vaticana, che il fine immediato dei lavori degli esperti è « l'accertamento della verità ». Non c'è dubbio che un compiuto accertamento voglia piena collaborazione non tanto del Governo italiano (che fra gli organi dello Stato non è certo quello più direttamente deputato aIl'< accertamento della verità ») quanto, date le particolarità dell'ordinamento canonico, della Santa Sede. Ma un accertamento della verità per che cosa? Se l'intenzione è quella di compiere un lavoro utile soltanto ad una composizione amichevole e arbitrale di alcune controversie con lo bR, l'iniziativa del Governo deve essere valutata e seguita con prudenza. E' fuori di dubbio che in casi come quello dell'Ambrosiano scatti una precisa responsabilità di governo. Non solo si tratta di far fronte ad uno di quei crack che per le loro stesse dimensioni non possono essere lasciati andare al loro destino. Si tratta anche di salvaguardare precisi interessi, costituzionalmente previsti e garantiti, come la tutela del risparmio. E quindi: il buon funzionamento del sistema creditizio e la posizione del paese nei rapporti finanziari internazionali. A fronte ci sono però altri interessi pubblici primari da salvaguardare. Valgano al riguardo alcune considerazioni. Prima considerazione. Seppur necessari, o quanto meno politicamente necessitati, gli interventi statali per impedire o ripianare grandi dissesti aziendali ovvero per contenerne gli effetti sono sempre, o quasi, interventi onerosi. Quale onere ricadrà sulla collettività oggi non è chiaro, ma dipenderà in gran parte dalla conclusione delle iniziative intraprese. Bisogna aggiungere, del resto, che non è ipotesi avventata pensare che dissesto Ambrosiano significhi anche dissesto IOR. In che
38 misura un intervento statale non si risolverà alla fine anche a favore, diretto o indiretto, delle finanze bR? Il quesito è del tutto legittimo. Seconda considerazione. Il Sen. Andreatta chiarì nel discorso dell'8 ottobre i meccanismi attraverso i quali scatterebbe •un sostegno della Banca d'Italia all'operazione Nuovo Ambrosiano°. Anche per questo aspetto, sarà necessario continuare a mantenere visibile al massimo il seguito della vicenda. .11 costo finale dovrà essere verificato in Parlamento. Ma un'ultima considerazione è da fare: che il Governo si impegni in un'opera di persua-
I crediti verso le consociate estere ammontavano al 30 giugno 1982, a 744 milioni di dollari - controvalore di oltre 1.000 miliardi di lire - « compresi i depositi "reciproci" afiluiti alle consociate estere tramite banche terze e per i quali sussisteva contestazione circa il carattere fiduciario degli stessi ». Nel comunicato pubblicato -nell'e Osservatore Romano» del 28 novembre 1982 si legge: « Quando si è manifestato il dissesto del Gruppo, l'Istituto ha dovuto, invece, constatare che, con operazioni frazionate poste in atto con soggetti diversi durante un lungo arco di tempo e apparentemente non collegate tra loro, si era abusato della fiducia data: fiducia che era stata confermata dal puntuale svolgimento di prolungati rapporti. Infatti, risultò che il nome dell'Istituto era stato utilizzato per la realizzazione di un progetto occulto, che all'insaputa dell'Istituto stesso collegava ad unico fine operazioni che, se considerate singolarmente, avevano l'apparenza di essere regolari e normali. In particolare, l'Istituto, in seguito ad operazioni bancarie in se stesse normali, si è trovato ad avere la titolarità, e quindi il controllo giuridico di due società e, senza che esso ne avesse conoscenza, il controllo indiretto di altre Otto collegate alle prime due. Poiché l'Istituto non ha mai amministrato nessuna di tali società, esso non ha avuto neppure cognizione delle operazioni che sono state effettuate da ciascuna di esse. Soltanto nel luglio 1981 l'Istituto è venuto a conoscenza che, attraverso un collegamento diretto o indiretto, era stato ad esso attribuito il controllo giuridico di tutte le dette società. L'Istituto ritenne allora opportuno che, almeno, l'indebitamento delle società restasse frattanto bloccato, sino al
sione per trovare una composizione di controversie che sono fuori dalla propria diretta disponibilità giuridica può aver senso solo se, contemporaneamente, esso si adoperi, nella sua primaria responsabilità politica di prevenzione di abusi e illeciti, per ottenere un nuovo ordinamento dei rapporti finanziari che fanno capo a istifuzioni del tipo bR. Anzi, ha senso che faccia dell'ottenimento di questo risultato la condizione finale del proprio intervento. L'impegno in questa direzione e i risultati che ne conseguiranno divengono insomma il problema -politico principale e, in qualche modo, il vero metro per valutare l'opera del Governo.
momento in cui l'attribuzione del controllo giuridico su di esse fosse venuto meno. Nel decidere, quindi, di rilanciare alle due banche del Gruppo, che risultavano le maggiori creditrici delle società (Banco Ambrosiano e Banco Ambrosiano -di Managua), due corrsunicazioni, in data 1 settembre 1981, con le quali veniva confermato il diretto o indiretto controllo di fatto giuridicamente in atto, l'Istituto allegava ad esse le situazioni patrimoniali societarie che gli erano state trasmesse come esistenti al 10 giugno 1981 ». A questo proposito merita di essere riportata -una anspia, e apparentemente accurata e documentata, inchiesta del Sunday Times (13 febbraio 1983). Scrivono Tana De Zulueta, Anthony Mascarenhas e Charles -Raw: « 'La nostra inchiesta suggerisce che, nel descrivere il ruolo dello IOR in questa grande frode, il Vaticano non è stato totalmente franco». I giornalisti inglesi riferiscono la storia di due holdings, una chiamata Manic con sede in Lussemburgo e con 17 sussidiarie e l'altra chiamata United Trading Corporation con sede a Panama e sussidiarie nel Liechtenstein. Queste due holdings avrebbero avuto gran parte nelle operazioni immaginate e realizzate da Calvi -per sostenere, anche per via fraudolenta, il ruolo dell'Ambrosiano sul mercato finanziario internazionale. Ad -un punto della loro inchiesta i giornalisti del Sunday Tines si chiedono: chi acquistò Manic e tJnited Trading e l'elaborata rete delle loro sussidiarie? A loro parere la risposta è nelle affermazioni «profondamente ambigue », fatte dal Vaticano nel comunicato innanzi citato. Soprattutto «è l'uso dell'espressione "si è trovato" nella dichiarazione del Vaticano che è, nel caso migliore, fuorviante. Perché, mentre la nozione di scoperta accidentale della proprietà di queste società si accorda con la principale afferma.
39 zione del Vaticano che lo TOR fu ingannato da Calvi e non aveva conoscenza di queste società, noi abbiamo ottenuto la prova che contraddice completamente questa affermazione ». Gli autori dell'inchiesta citano fra tali prove •un documento del 21 novembre 1974 firmato da dirigenti dello JOR che dà istruzioni alla Banca del Gottardo di 'Lugano circa la costituzione dell'United Trading Corporation. Questa società sarebbe servita « to help the Vatican's' financial problems » mentre, la Manic sarebbe servita a Calvi pei' sostenere il prezzo delle azioni dell'Ambrosiano.
Cfr. ALLSON MACLEOD, The Popes Fallible Banker, in «Euromoney », ottobre 1982. « Agli effetti del presente decreto legge sono considerati residenti: le persone fisiche di nazionalità italiana aventi la residenza nel territorio della Repubblica; le persone giuridiche aventi la sede 'nel territorio della Repubblica; le persone fisiche di nazionalità straniera e gli apolidi aventi la residenza nel territorio della Re: pubblica, limitatamente all'attività produttrice di redditi ivi esercitata; le persone fisiche di nazionalità italiana, aventi la residenza all'estero, limitatamente all'attività produttrice di redditi esercitata nel territorio della Repubblica; le 'persone giuridiche aventi là sede all'estero, limitatamente . all'attività produttrice di redditi esercitata nel territorio della Repubblica ». Cfr., The global implications of Banco Ambrosiano, in « International Currency Review », 1982, n. 4, p. 27 e ss. Ha detto a questo proposito il ministro: « L'intervento della nuova banca [Nuovo Banco Ambrosiano] si inquadra 'nell'ambito di applicabilità del decreto ministeriale 27 settembre 1974, il quale recita : "Ferma la misura dell'interesse sulle anticipazioni presso la Banca d'Italia, sono consentite anticipazioni a ventiquattro mesi, sui buoni del tesoro a lunga scadenza, all'interesse dell'i per cento, a favore di aziende di credito che, surrogatesi ai depositanti di altre aziende in liquidazione coatta, si trovino a dover ammortizzare, perché in tutto o in parte inesigibile, la conseguente perdita nella loro esposizione. 'La Banca d'Italia regolerà l'ammontare del ricorso a tali anticipazioni in rapporto all'entità della perdita - e all'esigenza del piano di ammortamento". La prassi applicativa di detta norma, come è noto, è stata nel senso che dette anticipazioni vengono concesse su buoni del tesoro alle aziende di credito intervenute in favore di tutti i creditori di buona fede, ivi compresi i corrispondenti bancari interni ed esteri, di aziende di credito in liquidazione coatta e che si trovano a dover ammortizzare le conseguenti perdite. L'efficacia riparatoria delle anticipazioni all'i per cento è basata sulla capacità di consentire alle aziende beneficiarie di maturare utili pari al differenziale tra il costo dell'anticipazione stessa e il
rendimento dei' titoli acquistati con il netto ricavo delle sovvenzioni. Pertanto, a fronte degli oneri che la nuova' banca sosterrà a seguito dell'intervento - che verranno determinati sostanzialmente dallo sbilancio tra attività (avviamento, più valore riconosciuto concordernente alle poste attive acquisite): e le passività del Banco rilevate - saranno concesse dalla Banca d'Italia. anticipazioni all'i' per cento di ammontare e durata tali da consentire la produzione di 'utili differenziali pari agli oneri medesimi. Naturalmente, nessuna di queste anticipazioni è stata ancora aperta. Il ripianamento avverrà secondo i criteri uniformeinente seguiti dall'istituto di emissione in tutti i casi di liquidazione coatta amministrativa verificatisi successivamente all' emanazione del decreto sopra citato o anche precedentemente, nei casi in cui i relativi interventi non risultavano all'epoca ancora chiusi ».
CENTRO STUDI DELLA FONDAZIONE ADRIANO OLIVETTI
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Ernesto Bettinelli
All'origine della democrazia dei partiti La formazione del nuovo ordlnarnènto elettorale nel periodo costituente (1944.1948)
Il libro è pubblicato dalle
Edizioni di Comunità Via Manzoni, 12 - 20121 Milano