Queste istituzioni 63

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63/ qUI1Ste. 1.9tItUZUffi l 1983/2° semestre

LA RIFORMA DELL'AMMINISTRAZIONE: PER CHE FARE?

5/ I gIuristi e l'organizzazione amministrativa di Gian franco D'Alessio

30/ La riforma della magistratura amministrativa di Raffaele Manfredi Selvaggi

L'ampia rassegna biblio grafica di Gian franco D'Alessio segnala il lento cammino che ha compiuto la dottrina giuridica per giungere ad occuparsi di organizzazione amministrativa. Si potrebbe ripetere: « meglio tardi che mai ». Eppure oggi bisogna dire che lo studio dedicato all'organizzazione appare insufficiente, privo di mordente. Perché prevalgono ancora nelle analisi e nelle proposte i /ormalismi giuridici? Direi proprio di no se è vero, come è vero, che da qualche generazione i giuristi hanno imparato a fare il bagno nelle acque, talvolta in/ide e intorbidate, delle scienze sociali e dell'interdisciplinarietà. Ho i' impressione piuttosto che sia rimasto a fondamento di tante ricognizioni il gusto sistematico (e non sistemico, che è tutt'altra cosa) della catalogazione e della nomenclatura. Insomma ha pienamente ragione Bruno Dente quando, dopo aver esaminato l'ampia serie di rapporti e proposte « a meri livelli di ufficialità » che sui problemi di riforma o riorganizzazione della pubblica amministrazione sono stati pubblicati in questi ultimi anni dopo il Rapporto Giannini del 1979, dice - dopo aver reso omaggio alla « qualità spesso eccellente » di tali documenti - che in questi rapporti domina tuttora 1' approccio « struttural/funzionale » (v. Bruno Dente, La riforma della pubblica amministrazione quali risposte? e a quali problemi? in « Il Mulino », maggio-giugno 1983). Cosa vuoi dire? Vuoi dire, e passo la parola direttamente a Dente, che « alla identificazione di alcune funzioni chiave del processo politico-amministrativo (decisione generale, indirizzo, esecu-


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zione, controllo, coordinamento, ecc.) corrisponde l'imputazione delle stesse ad apparati o strutture organizzative specifiche. (...) Non stupisce che l'importanza attribuita a una nuova funzione (ad esempio il coordinamento) agisca come creazione di una nuova struttura o di nuovi meccanismi di raccordo - allo stesso livello di normativizzazione - tra strutture esistenti ». Aggiunge Dente: « Orbene questo approccio struttural//unzionale corrisponde ad una certa visione dello Stato e degli apparati pubblici, tesa a massimiz zare (ma I ori e sarebbe meglio dire ad incarnare) certi valori di certezza, parsimoniosi tà, non ridon4nza, ecc. una concézione che - indipendentemente dalla adeguatezza degli apparati ad agire in modo efficace ed efficiente - tende ad enfatizzare la necessità di trasparenza dell'amministrazione, di sua corrispondenza alle norme organizzative positivamente fissate. I risultati dell'azione rilevano solo se negativi. Nel qual caso occorre chiedersi se l'inadeguatezza dipende da non osservanza delle norme o da insufficienza delle norme stesse; si tratterà allora, eventualmente, di cambiare norme, semmai allentandone un po' la rigidezza (il passaggio da leggi a regolamenti, ad es., vuole andare in questa direzione) ». Trovo che in questo brano sono riassunti con molta efficacia gli elementi caratteristici di una cultura dominante, i passaggi' paradigmatici 'del modo di argomentare, discutere e concludere di tante commissioni di studio e certo di quelle alle quali chi scrive ha avuto occasione di partecipare. L'alternativa proposta da Dente è la metodologia dell'analisi delle « politiche pubbliche » (argomento al quale egli di recente ha dedicato l'articolo L'analisi dell'efficacia delle politiche pubbliche: problemi di teoria •e di metodo sulla « Rivista Trimestrale di Scienza dell'Amministrazione », a. 3-4 del 1982). Sarei tentato di sottoscrivere alla svelta il suggerimento, non /oss'altro per aver già anch'io segnalato l'opportunità di questa prospettiva di studio (rinvio a Perché un pro'gram ma di studi sulle politiche pubbliche, nel « Taccuino del Centro Studi della. Fondazione Adriano Olivetti », n. 311981). Ma credo che bisogna andare cauti e specificare meglio il senso e i possibili sviluppi di tale suggerimento metodologico. Innanzitutto perché que-

queste istituziOni 1983/20 semestre Direttore: SERGIO.

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Roma.

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3 sto non decada subito a 'una pura e semplice richiesta di un nuovo insediamento disciplinare: 'utile ma di valenza prevalentemente accademica. In secondo luogo perché il suggerimento va verificato sì, come fa Dente, per la sua capacità di dare una più aggiornata attrezzatura culturale per affrontare la complessità della -Pubblica Amministrazione e dei suoi rapporti con la società, ma anche per la capacità 'di ride/mire il problema stes,so' della riforma della P.A, Insomma: che significa la riforma dell'Amministrazione nella prospettiva della public policy analysis? , Non sarà inutile intanto una precisazione: 'che « politiche pubbliche » è un'espression,e convenzionale. Dato - da una parte - l'uso diffuso della parola « politica » come parola di significato forte in un paese e in un contesto culturale in cui,' fra l'altro, è stalo ben coltivato il mito del primato della Politica, cioè della quintessenza degli interessi '(e dei fini) collettivi, e data - dall'altra - l'inconsistenza e il depotenziamento di soggetti ed organi dell'Esecutivo a tutti i livelli 'di governo, è facile la deduzione che le politiche pubbliche siano fantasmi. Chi 'vuole che cosa, come e perché? In questo senso, forse, le politiche pubbliche non esistono. Ma poi, a far mente locale settore per settore, si viene a scoprire che le cose non stanno proprio così. Bene o male certe azioni pubbliche 'vengono svolte, e sono ricostruibili talora i fili logici (o i fili degli interessi: è la stessa cosa) che legano nel tempo queste azioni pubbliche. Ma non è questo il problema. Per « politiche pubbliche » si intende un modello analitico che comprende gli apparati considerati nelle varie azioni o attività che compiono, le procedure e i meccanismi organizzativi attraverso i quali queste azioni passano dal momento della domanda o dell'iniziativa la quello della realizzazione, gli effetti di retroazione che si verificano. Ed è quest'ultimo punto a sottolineare la logica sistemica dell'analisi. L'espressione « politiche pubbliche » si riferisce a questo complesso oggetto d'analisi. Ora, tornando al punto, che cos'è la riforma dell'Amministrazione secondo la prospettiva della public policy? Ponendo l'accento sulla politica nel senso appena spiegato e lavorando, settore per settore, ad esaminare i fattori che influenzano la realizzazione di determinati compiti da parte di un'amministrazione pubblica e a prevedere gli esiti di un'azione pubblica, si può anche dare il caso che ne venga una conclusione: una data amministrazione può raggiungere i suoi compiti senza bisogno di riorganizzazione per via normativa ma attraverso diversi comportamenti, diversa mobilitazione di energia e così via. Lo schema mentale in base al quale per avere una maggiore efficienza dell'azione pubblica ci vuole una diversa organizzazione e che perciò, dato che in paesi come l'Italia una diversa organizzazione vuole per lo più un intervento legislativo, occorre promuovere leggi di riforma, ebbene è un modello deterministico che può essere messo radicalmente in discussione. Ancora: il modello analitico delle « politiche pubbliche » non risponde ad una logica universalistica. Non è vero che tutte le amministrazioni siano uguali e che esista la riforma dell'Amministrazione e non invece si debba parlare, quando sia necessario, delle riforme delle singole e diverse amministrazioni. Non è questione di tattiche di riforma (fare tutto insieme non si può, meglio fare un pezzo alla volta; e naturalmente ognuno pensa ai fatti suoi). È che in certi casi bisogna riformare (l'organizzazione) e in altri casi no. Uniformazione e egualitarismo sono una interpretazione consolidata, ma non per questo criticamente convincente, di quel che dovrebbe essere la razionalità dell' Ammini-


4 strazione pubblica. Uni/ormazione e egualitarismo traggono spesso origine da esigenze di pulizia e di « trasparenza » dell'amministrazione. Ma la regola della trasparenza non è necessariamente quella di essere uniformi. Si può continuare. Accenno ancora ad un'altra idea consolidata: l'efficienza come e//etto di competenze precise senza ridondanza, duplicazioni, parziali sovrapposizioni. Ma è sicuro che basta ridefinire le competenze degli uffici e delle amministrazioni stesse (si chiamino ministeri, aziende, assessorati, enti ecc.) perché l'efficienza venga riconquistata? Noti potrà talora avvenire che ridondanze e sovrapposizioni possano risolversi in apporti po si/ivi di efficiènza attraverso comportamenti, volta a volta stabiliti, di cooperazione fra vari apparati e amministrazioni, tanto meglio se in utile competizione fra loro? In conclusione, dunque, la prospettiva dell'analisi delle politiche pubbliche serve a verificare lo spazio vero, la consistenza vera della necessità di riformare l'Amministrazione. Se dunque ai fini di un rinnovamento dell'Amministrazione e delle sue politiche la linea culturale da seguire è quella dell'analisi delle politiche pubbliche, cosa dovranno fare i giuristi oltre che provvedere a questo ennesimb aggiornamento in tempi possibilmente ristretti? Sono convinto che essi debbano anche tornare a certe tipiche incombenze della professione antica di juris periti: cioè di conoscitori, elaboratori, organizzàtori, interpreti della normazione. Il fenomeno alluvionale della normazione amministrativa ha bisogno di argini, ma anche di filtri, di chiuse, di bacini di sedimentazione. Il risveglio intellettuale della giurisprudenza come dominio di sistemi specifici e decentrati di norme più che come produzione di ipotesi concettuali o fenomenologiche, spesso troppo generali per stare indietro alla realtà, è un risveglio da auspicare. S. R.


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I giuristi e I 'òrganizzazione amministrativa di Gian/ranco ^ D'Alessio

Scopo essènziale di questo lavoro è l'indivi- indicazioni e riferimenti per l'ulteriore apduazione di alcune chiavi di lettura della let- profondimento dei problemi affrontati. teratura giuridica italiana in tema di orgaIn generale, sulla storia della scienza del diritto nizzazione amministrativa, attraverso una amministrativo in Italia v., oltre al più antico U. sintetica ricostruzione dei principali percor- BORSI, Il primo secolo della letteratura giuridica amministrativa italiana, in Studi senesi, 1914, M.S. si seguiti dalla dottrina che si è occupata di GIANNINI, Profili storici della scienza del diritto amministrativo, Sassari 1940 (ora ripubbl. in Quatale materia, come momento ed aspetto pederni fiorentini per la storia del pensiero giuridico culiare della più generale vicenda degli stumoderno, 1973, con una postilla) e S. CASSESE, Cultura e politica del diritto amministrativo, Bolodi di diritto amministrativo. gna 1971. Su singoli periodi, G. REBUFFA, La forVa però immediatamente chiarito che non mazione del diritto amministrativo in Italia, Bolosi vuole qui certamente proporre un'analisi gna 1981; F. TESSITORE, Crisi e trasformazione dello Stato (Ricerche sul pensiero giuspubblicistico problematica dell'insieme delle numerose e italiano tra Otto e Novecento), Napoli 1963; C. NESPOR, Giuristi e scienze socomplesse questioni interessanti l'organizza- MOZZARELLI-S. ciali nell'italia liberale, Venezia 1981; VE. ORzione degli apparati amministrativi pubblici; LANDO, Sviluppi storici del diritto amministrativO in italia dal 1890 al 1950, in Principi di diritto né si intende predisporre una compiuta ed amministrativo, Firenze 1952; F. BENVENUTI, Gli organica rassegna bibliografica su una tema- studi di diritto amministrativo, in Archivio ISAP, tica così ampia e ricca di implicazioni sul TI, Milano 1962. Sull'organizzazione amministrativa, a parte i prinpiano giuridico e metagiuridico. i riferimen- cipali testi istituzionali di diritto amministrativo ti contenuti nelle pagine seguenti, e le consi- (v. in. particolare quelli di G. ZANOBINI, G. MIELE, M.S. GIANNINI, P. GASPARRI, F. derazioni in esse svolte, rispondono alla più BENVENUTI, A.M. SANDULLI), si possono ricordare le seguenti trattazioni generali: A. DE limitata finalità di segnalare - con la conVATaLES, Teoria giuridica dell'organizzazione dello sapevolezza dei rischi di eccessiva schematizStato, 'voli. 2, Padova 1931-1936; U. FORTI, Teodell'organizzazione e delle persone giuridiche zazione che possono derivarne - alcune del- ria pubbliche, Napoli 1948; A. AMORTFI, Lineamenle direttrici fondamentali e delle tappe più ti della organizzazione amministrativa italiana, Mi1950; P. VIRGA, L'organizzazione amminisignificative nell 'evoluzione della riflessione lano strativa, Palermo 1958; V. BACHELET, Profili dei giuristi che hanno fatto oggetto dei loro giuridici della organizzazione amministrativa, Milano 1965; G. BERTI, La pubblica amministrazione lavori temi e problemi di organizzazione pubcome organizzazione, Padova 1968; G. TREVES, blica. L'organizzazione amministrativa, Torino 1971; G. Verranno quindi ricordati soltanto gli scritti GUARINO, L'organizzazione pubblica, Milano 1977; G. PALEOLOGO, Organizzazione amminidi maggiore rilievo, o che comunque si ritie- strativo, in Enciclopedia del diritto. ne abbiano contribuito, seppure in misura Occorre fare un'ulteriore precisazione e delidiversa, all'arricchimento ed allo sviluppo del mitazione in ordine ai contenuti della presendibattito dottrinale sui vari profili della mate rassegna: in essa si cercherà soprattutto teria che qui ci interessa, oltre, ad altri tedi dar conto del modo in cui il settore dell'orsti, che appaiono utili in quanto contenenti ganizzazione amministrativa, partendo dalla


originaria posizione di marginalità negli studi amministrativi (rispetto alla preponderanza degli scritti dedicati a temi concernenti atti ed attività delle amministrazioni pubbliche), sia venuto progressivamente acquisendo una importanza sempre maggiore, fino ad assumere un ruolo, se non preminente (come pure vorrebbero alcuni autori), sicuramente altrettanto significativo di quello ricoperto tradizionalmente dalle analisi dei rapporti fra àrnministrazioni e soggetti esterni ad esse. Questo processo si è sviluppato principalmente in un arco temporale che va dagli ultimi decenni del secolo scorso fino alla metà del nostro secolo, per giungere agli anni cinquanta e sessanta, che si caratterizzano come una stagione particolarmente feconda per la dottrina sull'organizzazione. Sarà quindi soprattutto su tale periodo che concentreremo la nostra attenzione, pur senza trascurare i contributi apparsi in anni successivi. Va infine ricordato che, come ben si comprende, sulla crescente attenzione dei giuristi per i fatti di organizzazione hanno avuto una influenza determinante - oltre e più dell'affinamento degli strumenti metodologici e concettuali della scienza giuridica - le profonde trasformazioni intervenute nel quadro di riferimento politico, normativo ed istituzionale, ed in particolare i connotati di crescente varietà e complessità via via acquisiti dagli apparati amministrativi pubblici: non ci sarà peraltro qui possibile, evidentemente, dar conto (al di là di un rapido cenno) delle diverse realtà di cui si compone il sistema delle amministrazioni pubbliche nel nostro paese, né tantomeno esaminare gli studi e le descrizioni ad esse dedicati. Sulla configurazione attuale del complesso delle amministrazioni pubbliche in Italia v. per tutti

S. CASSESE, Il sistema amministrativo italiano, Bologna 1983, che contiene anche una bibliografia organica sulla materia. Sulle connessioni fra modificazioni della realtà sociale ed istituzionale e sviluppo degli studi giuridici sull'organizzazione v. M.S. GIANNINI, Diritto amministrativo, in Enci-

clopedia del diritto.

L'AMMINISTRAZfONE DEL MONARCA

Il riconoscimento della rilevanza dell'organizzazione amministrativa, intesa come parte o profilo della materia del diritto amministrtivo - e fatte salve le valutazioni di essa ad opera di altre scienze e discipline è stato assai faticoso e tardivo: si può evidenziare una grande sfasatura temporale fra la effettiva nascita degli apparati burocratici pubblici e la considerazione dei loro caratteri organizzativi da parte dei giuristi. Ciò per motivi legati sia alla storia politico-istituzionale generale, sia a vicende di storia della cultura, sia agli stessi connotati assunti per un determinato periodo dalla scienza giuridica: non è stato quindi un caso se, come autorevolmente rilevato, « per. molti decenni l'interesse prestato ai problemi dell'organizzazione è stato minimo, ed i testi classici del diritto amministrativo si sono occupati principalmente, se non esclusivamente, della "attività" e della "giustizia amministrativa". Gli stessi istituti di organizzazione hanno formato oggetto di attenzione soprattutto per le conseguenze che ne derivavano per i terzi e quindi erano studiati in chiave di attività » (G. GUARINO, L'or ganizzazione pubblica, cit., pp. 17-18). Fra i contributi alla conoscenza delle organizzazioni amministrative provenienti da settori disciplinari diversi, seppur confinanti con quello giuridico, van no segnalati soprattutto gli scritti degli studiosi di scienza dell'amministrazione. Fra di essi, considerando solo il periodo pii recente, possiamo ricor-

dare: R. BETTINI, Il principio di efficienza in scienza dell'amministrazione, Milano 1970; G. CATALDI, Lineamenti- generali di scienza dell'amministrazione, Milano 1970; 0. SEPE, L'efficienza nell'azione amministrativa, Milano 1975; V. MORTARA, L'analisi delle strutture organizzative, Bologna 1973 e, dello stesso, Introduzione alla pubblica amministrazione italiana, Milano 1981; L'organizzazione amministrativa (Atti del IV Gonvegno di Studi di Scienza dell'Amministrazione, Varenna, 1958), Milano 1959; Atti del Convegno di Scienza dell'Amministrazione (Roma, 10-11 giugno 1976), Milano 1977. Anche per il ricco materiale informativo, va sempre tenuta presente la « Rivista trimestrale di scienza dell'amministrazione» (in precedenza pubblicata sotto il titolo « Scienza e tecnica della pubblica amministrazione »). Per il pensiero sociologico, v. i testi e la


7 bibliografia contenuti nell'antologia su La burocrazia (a cura di F. Ferraresi e A. Spreafico), Bologna 1975. Sui diversi motivi del ritardo e della difficoltà nell'avvio di studi giuridici sulla organizzazione v. in particolare M.S. GIANNINI, Lezioni di diritto amministrativo, Milano 1950, p. 13; V. BACHELET, Profili giuridici, cit., pp. 4-5; M. NIGRO,

Studi sulla funzione organizzatrice della pubblica amministrazione, Milano 1966, p. 104, nota 12.

Sull'esigenza di superare e ribaltare questa situazione di « minorità » dell'organizzazione nell'ambito del diritto amministrativo ha insistito soprattutto G. GUARINO: fra i suoi vari interventi sull'argomento possiamo citare Qualche riflessione sul

diritto pubblico amministrativo e sui compiti dei giuristi, in « Riv. trim. dir. pubbi. », 1970.

Sul piano storico, è noto - grazie a numerose ricerche sul tema - che nella creazione di una burocrazia centrale stabile, di un corpo di agenti posti al servizio del sovrano, si può individuare uno dei dati genetici e delle caratteristiche qualificanti lo Stato modernamente inteso. E' altrettanto noto che in tutta una prima fase, che va dallo Stato patrimoniale fino al periodo dell'assolutismo illuminato (quando pure nel concreto il peso delle amministrazioni diviene grandissimo, tanto da dar vita a discipline che hanno ad oggetto proprio l'orientamento e lo studio dell'azione da esse posta in essere), l'esistenza di tali apparati non attinge giuridicamente ad un rilievo esterno. Essi infatti, pur assumendo dimensioni progressivamente crescenti ed una incidenza sempre più profonda nella società nel suo complesso, vengono comunque ricondotti, nell'esperienza dell'Europa continentale, alla figura del sovrano: la macchina statale non è altro che « l'organizzazione del monarca, di cui questo si valeva per svolgere la sua missione » (V. CRISA-

FULLI, Lezioni di diritto costituzionale, I, Padova 1970, p. 83), pur quando i contenuti e i modi della presenza del potere statale nei confronti dei sudditi subiscono profonde trasformazioni dal XVI al XVIII secolo. La bibliografia sulle vicende dei pubblici poteri ed in particolare delle amministrazioni nel periodo che va dalla nascita dello Stato moderno alla vigilia delle rivoluioni borghesi è assai ampia: possiamo limitarci a citare F. CHABOD, Esiste uno Stato

del Rinascimento?, in Scritti sul Rinascimento, Torino 1967; A. MARONGIU, Storia del diritto pubblico, Varese 1956; G. ASTUTI, La formazione dello Stato moderno in Italia, Torino 1957; gli scritti di autori italiani e stranieri raccolti in La formazione dello Stato moderno (a cura di A. Caracciolo), Bologna 1970, in Lo Stato moderno (a cura di E. Rotelli e P. Schiera), voli. 3, Bologna 1971-1974 ed

in Stato e pubblica amministrazione nell'ancien régirne (a cura di A. Musi), Napoli 1979. Sul piano più strettamente giuridico •v. M.S. GIANNINI, Diritto amministrativo, Milano 1970, pp. 15 ss.

Con le rivoluzioni borghesi assistiamo ad una profonda svolta nella storia costituzionale, in quanto alla sovranità del re subentra la sovranità « nazionale » o « popolare », ed il monarca viene « ad essere ricompreso ed assorbito nell'organizzazione autoritaria, diventandone uno degli elementi essenziali » (CRI. SAFULLI, Lezioni, cit., p. 83). Con la divisione dei poteri e la progressiva affermazione della supremazia del legislativo nasce un nuovo tipo di Stato, basato sull'esigenza di garantire la posizione dei cittadini nei confronti del potere pubblico: all'« autorità » dello Stato si contrappongono - anche se attraverso un processo assai travagliato le « libertà » dei privati. Sui rapporti fra poteri pubblici e cittadini come dialettica fra autorità e libertà v. soprattutto M.S. GIANNINI, Diritto amministrativo, cit., pp. 525 Ss. DALL'« ANCIEN RÉGIME » ALLO STATO LIBERALE: LA CONTINUITÀ DEL MODELLO AMMINISTRATIVO

A questo grande cambiamento sul piano politico e costituzionale non corrisponde un mutamento altrettanto radicale sul versante amministrativo, dove invece prevalgono gli elementi di continuità con le vicende precedenti: tanto è vero che si è potuto fondatamente sostenere che l'organizzazione statale francese, frutto delle riforme napoleoniche, costituisce in realtà il compimento ed il perfezionamento del modello amministrativo dell'« ancien régime ». Questo modello francese, basato su un rigido accentramento e sulla affermazione del-


8 l'autorità esclusiva dello Stato, viene in particolare accolto in Italia dopo l'unificazione nazionale: siamo ormai in possesso di analisi e valutazioni assai accurate sul dibattito pre-unitario e post-unitario in ordine alla scelta fra lo Stato accentrato di tipo francese e quello di vaga ispirazione inglese legato a forme di autonoma rilevanza di organismi territoriali o comunque decentrati, e sui motivi politici e culturali che condussero all'opzione in favore dell'ipotesi centralista. L'idea di una continuità nel campo dell'amministrazione fra Stato assoluto e Stato costituzionale moderno, che risale a Tooqueville, è ampiamente condivisa sia dagli storici che dai giuristi. Per il caso francese v. cosnplessivinente P. LEGENDRE, Stato e società in Francia, Milano 1978 (trad. it. del-

la Histoire de l'administration de 1750 à nos jours, Paris 1968). Per l'Italia, v. S. CASSESE, Il sistema amministrativo, cit., che vede proprio nella continuità un elemento peculiare della storia amrninistrativa, e V. BACHELET, Evoluzione del ruolo e delle strutture della pubblica amministrazione, in Scritti giuridici, Milano 1981, vol. I, pp. 419 Ss. Sui problemi posti dall'unificazione italiana sui piano amministrativo, si vedano i volumi che raccol-

gono gli Atti del congresso celebrativo del centenario delle leggi amministrative di unificazione, Vi-

cenza 1967-1969, e gli scritti raccolti nell'antologia su Gli apparati statali dall'Unità al fascismo (a cura dii. Zanni Rosiello), Bologna 1976; inoltre, v. anche: E. RAGIONIERI, Politica e amministrazione nella storia dell'italia unita, Bari 1967; C. GHI-

SALBERTI, L'unificazione amministrativa del Regno d'italia, in Contributi alla storia delle amministrazioni preunitarie, Milano 1963; A. CARACdOLO, Stato e società civile, Torino 1960; G. ASTUTI, L'unificazione amministrativa del Regno d'Italia, Napoli 1963. In particolare, sull'alternativa fra accentramento e decentramento, v., oltre agli autori ora citati, A. PETRACCHI, Le origini dell'ordinamento comunale e provinciale italiano, Venezia 1962 e C. PAVONE, Amministrazione cen-

trale e amministrazione periferica da Rattazzi a Ricasoli (1859-1866), Milano 1964. In generale, sulla storia amministrativa dell'Italia, v. per tutti i numerosi scritti raccolti in Cento anni di amministrazione pubblica, in «Amministrazione civile», 1961 (nn. 47-51); P. CALANDRA, Storia dell'amministrazione pubblica in Italia, Bologna

1978; S. CASSESE, Amministrazione centrale: un bilancio degli studi storici, in Esiste un governo in italia?, Roma 1980; vari saggi su Stato e amministrazione, in « Quaderni storici », o. 18, 1971.

Inoltre, non mancano acute riflessioni e studi approfonditi sulla volontà dei giuspubblicisti italiani della fine dell'800 - soprattutto

degli esponenti della scuola orlandiana - di legare il proprio lavoro al consolidamento delle istituzioni del nuovo Stato nazionale, fornendo ad esso il supporto di un organico sistema di diritto amministrativo. Su questo ultimo aspetto v. A. NEGRI, Alcune riflessioni sullo « Stato dei partiti » in « Riv. trim. dir. pubbl. », 1964 (ora in La forma Stato, Milano 1977) e S. CASSESE, Cultura e politica, cit. Su Orlando e la sua scuola, oltre agli scritti di TESSITORE e MOZZARELLI-NESPOR già citati, v. di recente M. FIORAVANTI, La vicenda intel-

lettuale del « giovane » Orlando (1882-1897), Firenze 1979 e G. CIANFEROTTI, il pensiero di VE. Orlando e la gius pubblicistica italiana fra Ottocento e Novecento, Milano 1980.

IL GERMANESIMO DEI GIUSPUBBLICISTI ITALIANI

Il metodo e i concetti fatti propri e rielaborati dai giuristi italiani - in particolare dai giuspubblicisti - che operano nel periodo fra i due secoli provengono in larga misura dalla grande costruzione teorica della scienza giuridica tedesca del periodo della pandettistica e poi della post-pandettistica. Anche per i giuristi tedeschi l'obiettivo di fondo era quello di dare un fondamento teorico-giuridico all'edificazione dello Stato nazionale. In particolare, date le condizioni storiche e le forme in cui si svolge in Germania tale processo (pensiamo. al ruolo della monarchia prussiana), si sviluppa « un vigoroso movimento di pensiero giuridico che, opponendosi alla meccanica della divisione dei poteri, tenta la ricostruzione dell'unità dello Stato, ponendo al centro di esso il sovrano, dotato di una sfera di potere esclusivo e chiuso, non soggetta alla cooperazione della rappresentanza popolare e non limitata dalle pastoie della interpretazione giudiziaria della legge » (G. MARONGIU, La direzione nel-

la teoria giuridica dell'organizzazione amministrativa, Milano 1965 (ed. provv.), p. 11).


Per una valutazione critica del « germanesimà » degli amministrativisti italiani v. F. BENVENUTI,

Mito e realtà nell'ordinaménto amministrativo italiano, in L'unificazione amministrativa e i suoi protagonisti, in Atti del congresso celebrativo..., cit., Vicenza 1969. Tra gli scritti italiani sui giuristi tedeschi del secolo scorso v. soprattutto il recente M. FlORA-

VANTI, Giuristi e costituzione politica nell'Ottocento tedesco, Milano 1979.

Sul piano dogmatico, questa tendenza trova espressione nella elaborazione del concetto di Stato come persona giuridica unitaria, che viene rapidamente recepito anche in Italia: « ogni dottrina.., che non voglia riconoscere la personalità giuridica dello Stato, non può comprenderne la vicenda nel diritto, regolata d4 norme giuridiche; non può riconoscere natura giuridica alle relazioni in cui esso sia parte; non può ammettere in riguardo ad esso l'esistenza di un diritto...

(O. RANELLE'ITI, Principii di diritto amministrativo, Napoli 1912, p. 138, che richiama la concorde opinione della dottrina francese, tedesca e italiana). Tale concetto trova svolgimento, tra l'altro, nella individuazione, o meglio, nella costruzione, di una categoria di « diritti pubblici soggettivi » come situazione che qualifica i rapporti fra lo Stato-persona e gli altri soggetti. Tra i numerosi scritti sulla personalità dello Stato, v. D. DONATI, La persona reale dello Stato, in « Riv. dir. pubbl. », 1921. Per una analisi critica della nozione v. tra gli studi più recenti G. BER-

TI, La parabola della persona Stato (e dei suoi organi), in <Quaderni fiorentini », 1982/83 e M.S. GIANNINI, Organi, in Enciclopedia del diritto, dove tra l'altro si nota come l'attribuzione della personalità giuridica allo Stato non sia nata solo da esigenze di sistematica giuridica, ana anche e soprattutto dalla esigenza politica di fare dello Stato l'ente esponenziale della nazione contro i diversi particolarismi (locali, delle classi subalterne). Sui diritti pubblici soggetti v. G. JELLINEK, Sisteppa dei diritti pubblici sribiettivi, Milano 1912 (sul quale v. M. LA TORRE, Jellinek e il sistema

dei diritti pubblici soggettivi: il paradosso dei diritti di libertà, in Materiali per una storia della cultura giuridica, 1982); S. ROMANO, La teoria dei diritti pubblici subiettivi, in Primo trattato conipleto di diritto amministrativo italiano (a cura di V.E. Orlando), vol. I C. MORTATI, I diritti pubblici subiettivi, in Studi sul potere costituente

e sulla ri/orma costituzionale dello Stato, in Raccolta di scritti, I, Milano 1962; E. CASETTA, Diritti pubblici soggettivi, -in Enciclopedia del diritto.

E' chiaro che dietro l'entificazione dello Stato c'è l'idea di una prevalenza del momento dell'autorità nella posizione dello Stato stesso in ordine alle sue relazioni con gli individui e con la collettività. Il che pone non pochi problemi di carattere costituzionale, quali la conciliazione di esso con il principio della sovranità popolare (quando questo si afferma), la definizione dei rapporti fra potere legislativo e potere esecutivo, ecc. Ma sul versante esterno è comunque chiaro che ai diritti ed ai poteri dello Stato si contrappongono i diritti e gli interessi dei privati, dotati di varie forme di garanzia, anche se a volte limitate o poco efficaci. Dove invece il carattere autoritario ed esclusivista dell'idea della personalità unitaria dello Stato ha modo di affermarsi pienamente, e di produrre conseguenze più durature, è sul versante interno agli apparati dipendenti dal potere esecutivo, ed in particolare per ciò che attiene all'organizzazione della macchina amministrativa. Le persone fisiche che operano nell'ambito dell'amministrazione pubblica, i rapporti che si svolgono all'interno di essa, i compiti e le mansioni espletati da questa o quella struttura e che non investono né toccano relazioni con soggetti esterni, non possono avere una autonoma rilevanza giuridica in quanto còstituiscono soltanto delle articolazioni della persona giuridica-Stato. Carattere giuridico può essere riconosciuto unicamente ai rapporti fra il soggetto Stato ed altre figure soggettive esterne ad esso, ed agli atti che regolano tali rapporti: ciò in quanto « per regola... un rapporto di diritto amministrativo presuppone due subbietti » (S.

ROMANO, Principii di diritto amministrativo italiano, Milano 1912, p. 34). Tutt'al più si riconosce che all'interno dello stesso ente, della stessa persona giuridica, possano


'o svolgersi « rapporti riflessivi » (Ibidem, pp. 35 .e 62). Pertanto, non vi possono essere, in linea di massima, poteri pubblici distinti e diversi dallo Stato: non vi può essere una vera contrapposizione o diversificazione di interessi pubblici in quanto tutto va ricondotto all'interesse unitario della persona-Stato. Del resto, l'idea di un interesse pubblico come concetto unitario ed inscindibile, perché riferito allo Stato come entità complessiva contrapposta ai privati, continua a trovare sostenitori ed ampio riconoscimento anche in anni più vicini a noi: così, ancora all'inizio degli anni settanta si poteva rilevare che « ... per un fatto di vischiosità di realtà del passato, accade moltissime volte cli trovare, in dottrina e in giurisprudenza, un personaggio "interesse pubblico" in nome del quale se ne combinano di ogni genere » (GIANNINI, Diritto amministrativo, cit.., p. 108). Signicativo, come applicazione conseguente del quadro concettuale ora ricordato, è il modo in cui gli autori meno recenti affrontano il tema della amministrazione autarchica, e più specificamente il problema di conciliare l'esistenza di enti territoriali storicamente e formalmente distinti dallo Stato centrale (e tale distinzione si accentua via via che si afferma il carattere elettivo degli organi comunali e provinciali) con l'unitarietà dell'azione pubblica nel perseguimento dell'interesse della collettività, di cui unico interprete può e deve essere lo Stato stesso nella sua sovranità. Il dilemma, lasciate da parte le posizioni più rozze che tendono ad inquadrare anche gli enti locali - con una serie di artifici logici - nell'amministrazione statale, viene risolto attraverso la formula dell'< amministrazione indiretta », ed In una seconda fase attraverso quella dell'« ausiliarietà ». Su auesti problemi si vedano principalmente: S. ROMANO, Il decentramento amministrativo, in

Enciclopedia giuridica italiana, 1897; S.ROMANO; Il comune, in Trattato Orlando, voi.. Il., parte I; U.. FORTI, I . controlli dell'amministrazione comu nale, in Trattato Orlando, voi. TI, parte Il; G. ZANOBINI, L'amministrazione locale,. Padova 1935;. R. RESTA, Lineamenti di una teoria giuridica dell'autarchia, in Studi urbinati, 1932; S. LESSONA, Autarchia, autoamministrazione, amministrazione indiretta, in « Riv. dir. pubbi. », 1940; A.M. DE FRANCESCO, A proposito di «autarchia » e di « enti autarchici », in « Riv. dir. pubbi. », 1940; G. TREVES, Autarchia, auto governo, autonomia, in «Riv. trim. dir. pubbi. », 1957. Riassuntivamente, anche per indicazioni bibliografiche, sul concetto di autarchia v. S. CASSESE, Autarchia, in Enciclopedia del diritto, nonché E. GUSTALPANE, « Autarchia »: profilo storico di un termine giuridico in disuso, in «Riv. trim. dir. pubbi. », 1980. Sul concetto di ausiliarietà riferito agli enti autarchici, v. soprattutto S. ROÌvIANO, Gli interessi dei soggetti autarchici e gli interessi dello Stato, in Studi in onore di Ranelletti, Padova 1930 e, dello stesso, Corso di diritto costituzionale, Padova 1929, p. 116; inoltre, sul concetto di ausiliarietà in generale, G. FERRARI, Gli organi ausiliari, Milano 1957. Va poi anche ricordato che la nozione di ammi nistrazione od organizzazione « indiretta» è stata usata per spiegare fenomeni in realtà diversi (delegazione, supplenza, varie forme di esercizio provvisorio di pubblici poteri, concessione di servizi pubblici, ecc.), tutti però riconducibili all'ipotesi di svolgimento di una certa attività da parte di un soggetto, nel caso specifico lo Stato, attraverso la utilizzazione di strutture altrui: si può citare in proposito D. CARUSO INGHt[LLERI, La funzione amministrativa indiretta, Milano 1909. Al concetto di amministrazione indiretta è succeduto poi, in anni più vicini a noi, quello di organizzazione « impropria », sul quale v. F. BENVENUTI, L'organizzazione impropria della pubblica amministrazione, in « Riv. trirn. dir. pubbi. », 1956; per una valutazione critica dell'utilità di questa nozione v. M.S. GIANNINI, Organi di mera erogazione ed organizzazione impropria (a proposito degli enti di patronato), in «Riv. giur. lav. », 1959 e, dello stesso, Organi, cit.

STATO MONOCLASSE E GIURIDICrTÀ INTERNA DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Ma è con riferimento all'amministrazione statale vera e propria che si può cogliere pienamente la rigidità della visione centrata sui concetto di personalità giuridica dello Stato. Anzitutto, non si concepisce la possibilità di tipi organizzativi differenziati e di modelli di organizzazione articolati: l'apparato sta-


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tale coincide con i ministeri (con le loro ridotte appendici periferiche, tra le quali ocupano una posizione preminente le prefetture), limitati nel numero e strutturati in modo uniforme; fuori di essi troviamo, oltre ai comuni e alle province, solo poche altre realtà, in massima parte collocate anch'esse a livello locale (enti di cultura, istituzioni di assistenza e beneficenza). Embiematica, come riflesso di tale configurazione dell'amministrazione pubblica, è la struttura della parte dedicata all'organizzazione amministrativa nei principali manuali di diritto amministrativo dei periodo fra Ottocento e Novecento (ad es. V.E. ORLANDO, Principii di diritto amministrativo, Firenze 1891 e succ. ed.ni ; S. ROMANO, Principii, cit.; RANELLETTI, Principii, Ch.) Sui ministeri in generale vanno ricordati: R. PORRINI, i Ministeri, in Trattato Orlando, voi. I; I. SANTANGELO SPOTO, Ministero e ministri, in Il digesto italiano; N. PI4EJJLA, L'organizzazione dell'Amministrazione centrale dall'unità d'italia ad oggi, in « Amministrazione civile », 1961; il vol. I dell' Archivio ISAP 1962, Milano 1962; E. CHELI, Ministeri e ministri, in Enciclopedia forense; L. CARLASSPÌRE, Ministeri (dir. cost.) e O. SEPE, Ministeri (dir. amm.), in Enciclopedia del diritto; E. GATTA, Ministeri e ministri, in Novissimo digesto italiano; ARGuno, Introduzione al diritto amministrativo, Roma 1973; D. SERRANI, L'organizzazione per ministeri, Roma 1979; G. ARENA, Ministeri, in Dizionario amministrativo (a cura di G. GUARINO), Milano 1983; S. CASSESE, il sistema amministrativo, cit. Sull' amministrazione ;periferica, ed in particolare sull'istituto prefettizio, v. tra gli altri: T. MARCHI, Gli uffici locali dell'amministrazione generale dello Stato, in Trattato Orlando, vol. Il, parte I; A. PORRO, il prefetto e l'amministrazione periferica in italia, Milano 1952; R.C. FRIED, Il prefetto in italia, Milano 1967; P. CASULA, I prefetti nell'ordinamento italiano. Aspetti storici e tipologici, Milano 1972; R. MALINVERNO, Prefetto, in Novissimo digesto italiano.

Le amministrazioni pubbliche rilevano solo nel momento in cui si esprimono con atti verso l'esterno. Una volta negato il carattere di giuridicità ai rapporti fra gli uffici dello Stato che non vadano a riflettersi su altri soggetti di diritto, come pure agli atti compiuti da un ufficio nei confronti di altri uffici che esauriscano la loro efficacia all'interno dell'organismo statuale (particolarmente rigoroso in tal senso è RANELLETTI, Principii, cit., pp. 181-182), l'unico problema è quello

di stabilire chi ed in quali forme possa esprimere la volontà dello Stato nei rapporti intersoggettivi. La caratteristica delle prescrizioni che possiamo chiamare lato sensu organizzative sta quindi nel determinare esserizialmente « sotto quali presupposti gli atti di volontà di determinate persone fisiche sono imputabili allo Stato come suoi atti di volontà o, in altri termini, le persone fisiche sono da riconoscere come organi dello Stato; il diritto d'organizzazione è così il diritto di creazione dei portatori della volontà (idest autorità) dello Stato e l'organizzazione (in senso statico) il sistema di tali portatori, il complesso degli strumenti e dei meccanismi mediante i quali lo Stato è fatto capace di volontà e di azione nel mondo giuridico » (NIGRO, Studi sulla funzione oiganizzatrice, cit., p. 111, dove sono bene evidenziate le radici ed i nessi storico-ideologici ditale impostazione). In questo contesto, ovviamente, non è pensabile una personalità distinta dell'organo rispetto a quella dello Stato, quale sarà più tardi sostenuta in dottrina (anche se per lo più in modo non particolarmente convincente): gli atti dell'organo sono imniediatamente atti dello Stato in quanto tale (del resto, proprio a questo fine era nata la stessa nozione di organo). Né potrebbe essere altrimenti: ammettere che gli organi ed in generale i soggetti che agiscono per e nello Stato possano avere una loro rilevanza autonoma ed essere titolari di situazioni e rapporti giuridici con altri organi pubblici o con soggetti diversi, significherebbe rompere lo schema dell'unitarietà della persona-Stato ed in prospettiva ipotizzare, da un lato, una disarticolazione dell'interesse pubblico, dall'altro, la possibilità di una sfera di giuridicità interna alla pubblica amministrazione. Ma questo è proprio ciò che la dottrina formalista dello Stato monoclasse non può e non vuole accettare, pena la compromissione delle sue stesse premesse teoriche e la messa in


12 discussione degli obiettivi che essa intendeva perseguire. Assai reciso nella negazione della personalità dell'organo è ancora RANEILETTI, Principii, cit., p. 173; dello stesso autore, v. anche Gli organi dello Stato, in « Riv. dir. pubbl. », 1909. Sulla attribuzione agli organi del carattere di soggetti di diritto y. C. ESPOSITO, Organo, ufficio e soggettività dell'ufficio, in Annali Università di Camerino, 1932 e, per una particolare impostazio-

ne, S. FODERARO, La personaltià interorganica, Padova 1969, nonché, criticamente, GIANNINI, Organi, cit. Sul significato del formalismo nella storia del diritto amministrativo v. per tutti M. NIGRO, Scienza dell'amministrazione e diritto amministrativo, in « Riv. frim. dir. proc. civ. », 1968.

Da questa impostazione discende logicamente che le regole disciplinanti i rapporti interni all'amministrazione, cioè le norme organizzative, in quanto non attengono a relazioni fra soggetti distinti non sono regole giuridiche: tesi rigorosamente sostenuta dalla dottrina tedesca del periodo monarchico ma accolta in buona parte, anche se con qualche significativa eccezione, dai giuristi italiani. Sulle norme di organizzazione, v. in generale N.

SAITTA, Premesse per uno studio delle norme di organizzazione, Milano 1965. Per diversi approcci al problema (che corrispondono a differenti fasi di evoluzione della dottrina), v. tra gli altri F. CAM-

MEO, Della manifestazione di volontà dello Stato nel campo del diritto amministrativo, in Trattato Orlando, voi. III; G. ZANOBINI, Le norme interne di diritto pubblico, in « Riv. dir. pubbl. », 1915; F. BASSI, La norma interna, Milano 1963; NIG1RO, Studi sulla funzione organizzatrice, cit.; G.B. VERBARI, L'attività amministrativa (interna), Ro. ma 1971 (ed. provv.).

Tutto ciò, chiaramente, è più facilmente riferibile ad una situazione nella quale (come appunto avviene in Germania in una prima fase) il potere di organizzare l'amministrazione è riconosciuto in via esclusiva al potere esecutivo, ma può valere anche dove tale potere è distribuito fra legislativo ed esecutivo (come sarebbe avvenuto in Italia fin dalla nascita dello Stato unitario, secondo la rico-

struzione di NIGRO, Studi sulla funzione organizzatrice, cit.); sulla base dei postulati della cd. teoria formale-sostanziale, il fattore

discriminante non è la fonte da cui provengono le norme, bensì il loro oggetto: le regole, pure in ipotesi poste da un atto legislativo, che si occupano di fatti interni all'ente-Stato, non possono essere confuse od assimilate a quelle attinenti a rapporti fra soggetti. Comunque, sta di fatto che a lungo il legislatore lascia largo spazio, in tema di organizzazione, all'autodeterminazione del potere amministrativo (il quale tende ad enuclearsi progressivamente come entità distinta nell'ambito del potere esecutivo). Nella realtà, anche un'amministrazione pub blica che si presenta all'esterno come una unità, si compone materialmente di una serie di individui e di strutture che svolgono determinati compiti ed attività e tra i quali intercorrono determinate relazioni: c'è allora bisogno di una formula, di un principio generale che tenga insieme e riconduca ad unità nell'ambito e sotto l'autorità dello Stato questi elementi. Tale principio è individuato nella gerarchia, considerata non a caso come il « lato più caratteristico dell'ordinamento moderno dei pubblici uffici » (ORLANDO, Principii, cit., p. 54; v. anche L.M.

GIRIODI, I pubblici uffici e la gerarchia amministrativa, in Trattato Orlando, voi. I): la gerarchia qui è intesa non tanto come un tipo di relazione che si può realizzare tra due entità soggettive, quanto come vero e propio « sistema di organizzazione dello Stato » (DE VALLES, Teoria giuridica, cit, I, p. 279), centrato su un potere di supremazia del superiore nei confronti dell'inferiore a tutti i livelli interni alla persona giuridica. Per comprendere chiaramente il significato del principio gerarchico occorrerebbe ripercorrere la vicenda dottrinale attinente alla individuazione dei concetti di ufficio e di organo: quindi, verificare come si sia giunti alla identificazione di una nozione di pubblico ufficio in senso oggettivo o funzionale, distinto dalla persona del titolare dello stesso oltre che dalla sfera di compiti ad esso at-


13 tribuiti, fino alla elaborazione di un concetto giuridico di ufficio fondato sulla compresenza di entrambi questi momenti. Occorrerebbe altresì esaminare per quali vie si sia arrivati all'acquisizione di una definizione dell'organo quale ufficio qualificato da una norma come idoneo ad imputare fattispecie giuridiche all'ente e ad esprimerne la volontà verso l'esterno. Temi questi che potranno compiutamente svilupparsi solo"quando si sa rà' finalmente presa coscienza dell'importanza giuridica 'dell'organizzazione. . I rifrinienti bibliograflci su ufficio ed organo, e sui 'Ioro'caratteri giuridici, sono assai ampi. Possiamo limitarci a, ricordare, fra i contributi principali: V. MIGEtI, La teoria degli organi nel diritto pubblico, in «Riv'. dir. pubbi.», 1923; DE VALLES, Teoria giuridica, cit.; M. COMBA, Organo

e rappresentante nella teoria degli enti collettivi, 1931; C ESPOSITO, Organo, ufficio, cit.; C.A. JEMOLO, Organi dello Stato e persone giuridiche pubbl'iche, in Lo Stato, 1931; V. CRISAFULLI, Alcune considerazioni sulla teoria degli organi dello Stato, in « Archivio giuridico », 1938; S. ROMANO, Organi, in Frammenti di un dizionario, giuridico, Milano, 1947; S. FODERARO, Organo delle persone giuridiche pubbliche,' in Novissimo digesto italiano e, dello stesso, La personalità interorganica, cit.; G. TREVES, Organo e personalità dell'organo, in Scritti in memoria di Esposito, Padova 1974, vol. III; S. AGRIFOGLIO-L. ORLANDO,

Teoria organica e Stato apparato, Palermo 1979; GIANNIN[, Organi, cit.

In mancanza di una distinta posizione dell'ufficio (dell'organo) rispetto alla persona fisica del titolare, si tende a lungo a confondere o sovrapporre una gerarchia come rapporto tra agenti e una gerarchia come rapporto tra uffici, per cui spesso il problema della subordinazione fra gli uffici pubblici si traduce nella ricerca del fondamento del dovere di obbedienza dei funzionari nei confronti dei superiori gerarchici. Ma, in ogni caso, anche laddove la gerarchia emerge soprattutto in termini di potere disciplinare nei confronti dell'agente, rileva cogliere il nesso stretto fra un'organizzazione amministrativa che si' articola sulla base di un meccanismo rigido di sovraordinazione-subordinazione e l'idea di uno Stato-persona in cui all'unitarietà ed. uniformità delle finalità per-

seguite deve necessariamente corrispondere una omogeneità ed unitarietà - garantita dalla presenza di un modulo fortemente autoritario - nei modi di realizzazione di tali fini e nelle strutture cui questa realizzazione è affidata. Su questi aspetti v. MARONGIU, La direzione, cit. (in part. le pp. 16 ss.) e, dello stesso, la voce Gerarch:a, in Enciclopedia del diritto (anche per la bibliografia).

Si tratta però anche di indagare, all'interno di 'questo quadro problematico, su quale sia il presùpposto del generale potere di comando (e del correlativo rapporto di soggezione) che, partendo dal vertice dell'apparato statale, discende, per così dire, « a cascata » - grazie alla formula gerarchica - in tutta la pubblica amministrazione. Ferma restando la tesi della personalità giuridica dello Stato, e dell'organizzazione come realtà interna ad esso, questa supremazia statale sui propri organi e in generale sui propri uffici non può coincidere con la autorità del potere pubblico quale si estrinseca nei rapporti intersoggettivi esterni; tra l'altro, oggettivamente il potere di comando interno si svolge secondo criteri e con contenuti e modalità assai diversi dall'altro. Si introduce pertanto un distinto concetto di «potere di supremazia speciale », cui risultano assoggettati necessariamente gli organifunzionari (ed in tal senso, come è confermato anche dalle indagini sulle origini del concetto stesso nella dottrina tedesca, praticamente coincidente con l'ambito del rapporto di servizio del dipendente) ed in generale coloro che più o meno volontariamente entrano nella sfera della persona Stato o di altra persona giuridica pubblica (qui si lascia comunque da parte l'esame della supremazia speciale riferita ai c.d. « pubblici istituti » ed ai beneficiari dei servizi pubblici). Vedremo poi come l'idea del potere speciale di supremazia verrà ripresa, sulla base di diversi presupposti, dalla dottrina successiva. Anche nella sua accezione 'primitiva, in ogni


14 caso, è evidentemente in tale potere speciale di comando che trovano la loro ragion d'essere e la loro legittimazione le norme e gli atti interni di organizzazione, quale ne sia la veste formale (istruzioni, circolari, ecc.). Sulle origini e la storia del concetto di « supremazia speciale » v. F. MERUSI, Le direttive governative nei confronti degli enti di gestione, Milano 1977, pp. 137 ss. (in particolare, sulla sua incoinpatibilità con gli attuali principi costituzionali, pp. 158 ss.). Quanto agli atti di organizzazione attraverso i quali si esprime tale potere di supremazia interno all'amministrazione, appare particolarmente interessante lo svi1'uzpo della dottrina in tema di « circolari ». La posizione tradizionale trova la sua espressione più organica in G. SALEMI, Le circolari amministrative, Palermo 1913. Sull'evoluzione successiva, v. conclusivamente M.S. GIANNINI, Circolare, in Enciclopedia del diritto e, fra gli scritti più

recenti, A. CATELANI, Le circolari della pubblica amministrazione, Milano 1979 (ed ivi, alle pp. 2-3, nota 2, riferimenti bibliografici).

STATO PLURICLASSE E COMPLESSITÀ ISTITUZIONALE

Questo quadro concettuale, e soprattutto la visione della pubblica amministrazione come realtà unitaria ed univoca, ha senso in una realtà politico-sociale caratterizzata da una omogeneità di valori e di interessi (in concreto, quelli della classe borghese dominante), nella quale lo Stato è chiamato a svolgere essenzialmente compiti di conservazione dell'ordine nella società e di garanzia dall'esterno del mantenimento delle condizioni per lo svolgimento delle relazioni fra i privati. L'amministrazione quindi esplica funzioni prevalentemente giuridiche (anche se non mancano certe forme di ingerenza statale nella vita economica e, almeno nel caso italiano, il potere amministrativo esercita in concreto un ruolo di vera e propria « guida politica »): funzioni che si traducono essenzialmente nella emanazione di atti - in particolare, provvedimenti autoritativi - per i quali non appare significativa e comunque

non risulta rilevante l'attività complessiva che ne costituisce il presupposto. Sulle forme dell'azione 2ubblica in campo economico nello Stato liberal-borghese v. per tutti M.S. GIANNINI, Diritto pubblico dell'economia, Bologna 1977, pp. 29 ss. Sulla funzione complessiva della pubblica aroministrazione nella stessa fase storica v. S. CASSE-

SE, Questione amministrativa e questione ,neridionale, Milano 1977, pp. 13 Ss.

Le cose mutano profondamente all'inizio del Novecento, quando dallo Stato monoclasse (liberale-oligarchico) passiamo, attraverso le note vicende di storia economica, politica e costituzionale, a quello pluriclasse (liberaledemocratico). Qui emergono e si organizzano gruppi sociali portatori di interessi contrapposti o comunque non omogenei: lo Stato è costretto, sia pure in modo faticoso e contorto, a farsi carico di tale pluralità di istanze e di interessi, che lo investono prima dall'esterno, poi dall'interno (pensiamo non solo ai fenomeni maggiori, come l'accesso dei partiti popolari alle amministrazioni locali ed in seguito al Parlamento, ma anche a dati più specifici, come la sindacalizzazione dei pubblici dipendenti), con profonde conseguenze sul suo assetto costituzionale ed amministrativo. Cambiano in questo periodo le dimensioni delle pubbliche amministrazioni, cambiano e si differenziano i compiti ad esse affidati, cambiano conseguentemente i modi di azione e gli strumenti da esse utilizzati: assistiamo in particolare all'« assunzione da parte della pubblica autorità di attività non solo di regolazione e controllo dell'attività sociale, ma anche di intervento operativo nella medesima» (BACHRLET, Profili, cit., p. 6). Sulle trasformazioni intervenute nel nostro secolo in ordine al modo di essere ed al ruolo svolto dallo Stato e dalle aniministrazioni si sono soffermati in più occasioni soprattutto M.S. GIANNINI e S. CASSESE. Del primo, oltre a Diritto amministrativo, cit., pp. 45 ss., v. Parlamento e amministrazione, in « Amministrazione civile », o. 47-51, 1961, e da ultimo I pubblici poteri negli Stati pluriclasse, in « Riv. triin. dir. pubbi. », 1979. Del secondo si segnalano, oltre a Il sistema amministrativo, cit.,


15 diversi saggi raccolti in La formazione dello Stato amministrativo, Milano 1974 (in particolare L'amministrazione dello Stato liberale-democratico). Sulla sindacalizzazione dei pubblici dipendenti v.

G. MELIS, Burocrazia e socialismo nell'italia liberale, Bologna 1980.

ministrazione comunale e provinciale, Padova 1969; A. ORSI BATTAGLINI, Le autonomie locali nell'ordinamento regionale, Milano 1974; P. ZORZI, Strutture organizzative e funzioni delle province italiane, Milano 1971; L. GIOVENCO, L'ordinamento comunale, Milano 1974; E. ROTELLI, L'alternativa delle autonomie, Milano 1978; M. NIGRO, Il governo locale, Roma 1980; G. DE CESARE, L'ordinamento comunale e provinciale in italia dal 1862 al 1947, Milano 1977.

Nella dottrina giuridica questa nuova situazione trova risposte di diverso segno, dalla teoria gradualista della scuola viennese alle teorie istituzioniste francese e italiana. In particolare, nell'istituzioriismo romaniano la organizzazione come categoria generale viene a porsi quale fattore ed elemento qualificante dello stesso « esserci diritto ». Non possiamo certo qui seguire lo svolgimento e le complesse articolazioni di queste concezioni teoriche, né le loro applicazioni nel campo del diritto amministrativo; neppure è possibile analizzare le numerose trasformazioni indotte dall'affermarsi del nuovo tipo di Stato sull'organizzazione dei pubblici poteri. Si può però sicuramente dire che se prima il dato fondamentale che caratterizzava la realtà dell'organizzazione pubblica era 1 'uniformità e l'inquadramento, a volte forzato ad opera della cultura giuridica, di tutte le sue articolazioni all'interno dello Stato-persona (o comunque una stretta dipendenza da csso), ora invece l'aspetto qualificante è costituito dall'apparizione di organizzazioni diverse e separate da quella dello Stato-ente e dalla differenziazione delle forme organizzative all'interno degli stessi apparati statali. In primo luogo, trova forte sviluppo il ruolo degli enti locali territoriali, che tendono a svincolarsi progressivamente (anche se va segnalata la contraddittorietà rispetto a questo processo della Jegislazione del periodo fascista) dai legami con l'amministrazione dello Stato.

Oltre a quella delle aziende autonome, il processo di differenziazione organizzativa all'interno dell'amministrazione statale segue altre strade : organi imprese, organi con personalità giuridica e persone giuridiche titolari di organi, organi di gestione patrimoniale; si tratta di fenomeni disparati, a volte rilevanti solo sul piano giuridico formale, ma comunque significativi dei meccanismi di adattamento indotti nell'organizzazione amministrativa dalla necessità di far fronte ad un ventaglio sempre più vasto di compiti. Su alcune di queste figure v. F. LEDDA, Persone giuridiche titolari di uffici, in « Giur. compi. Corte di Cassazione », 1952; C. CARBONE, Persone giuridiche organi e organi dotati di personalità giuridica, in « Rass. dir. pubbl. », 1956.

Su questo tema esistono molti contributi di estremo interesse. Per tutti, ricordiamo i comuni (a cura di M.S. Giannini) e Le province (a cura di A. Amorth), in Atti del congresso celebrativo..., cit., Vicenza 1967-1968; S. CASSESE, Tendenze dei poteri locali in italia, in La formazione dello Stato amministrativo, cit.; G. BERTI, Caratteri dell'am-

Ma le stesse esigenze che producono queste trasformazioni nell'ambito o in rapporto alle amministrazioni già esistenti conducono anche alla nascita di un insieme via via più numeroso di enti pubblici, cui viene ricono-

Va poi rilevato che i nuovi compiti di gestione di servizi pubblici e di intervento nel campo delle attività economiche comportano la creazione, pur nell'ambito dell'amministrazione statale, di strutture particolarmente caratterizzate sul piano organizzativo e su quello funzionale (pensiamo alle amministrazioni ed aziende autonome) Sulle aziende autonome, v. tra gli altri M. LA TOR-

RE, Aziende autonome e uffici autonomi, in Scritti giuridici in onore di S. Romano, voi. Il, Padova 1940; G. TREVES, Azienda (diritto pubblico), in Enciclopedia del diritto; M.S. GIANNINI, Le imprese pubbliche in Italia, in « Riv. delle società », 1958; R. TORRIGIANI, Le aziende autonome pubbliche, Milano 1971. Vi sono poi numerosi scritti dedicati alle singole aziende. La nascita delle aziende autonome, come accennato, si inserisce nel più generale fenomeno dell'assunzione da parte dei pubblici poteri di attività concernenti l'erogazione di servizi: su tale tema il contributo teorico più importante è di U. POTOTSCHNIG, I pubblici servizi, Padova 1964 (v. an-

che F. MERUSI, Servizio pubblico, in Novissimo digesto italiano, e F. ZUELLI, Servizi pubblici e attività imprenditoriale, Milano 1973).


16 sciuta personalità giuridica propria; tra questi si distinguono per la loro peculiarità anche sul piano organizzativo gli enti pubblici economici. Anche sugli enti pubblici vi è un'ampia messe di apporti dottrinali, centrati soprattutto sui problemi formali dell'attribuzione della personalità giuridica e della distinzione fra ente pubblico e privato; ma non mancano scritti che propongono diversi sistemi e criteri di classificazione degli enti. Fra i tanti contributi, possiamo segnalare: O. RA-

NELLETTI, Concetto delle persone giuridiche pubbliche ammnistrative, in « Riv. dir. pubbi. », 1916; C. VITTA, Nota sul concetto di persona giuridica pubblica, in « Riv. dir. pubbl. », 1933; A.M. DE FRANCESCO, Persone giuridiche pubbliche e loro classificazioni, in Scritti di diritto pubblico in onore di Vacchelli, Milano 1936; R. RESTA, Natura e criteri d'identificazione delle persone giuridiche pubbliche, in Annali TJniversità di Macerata, 1938; M . S. GIANNINI, Rilievi intorno alle persone giuridiche pubbliche, in Stato e diritto, 1940; M. CANTUCCI, Sull'elemento distintivo delle persone giuridiche pubbliche, in Studi senesi, 1940; G. MIELE, La distinzione fra ente pubblico e privato, in « Riv. dir. comm. », 1942 (e, dello stesso, anche

Atèualità e aspetti della distinzione fra persone giuridiche pubbliche e private, in Studi in onore di Crosa, Milano 1960, vol. TI); L.R. LEVI, La persona giuridica pubblica, in «Riv. trim. dir. pubbi. », 1951; A.M. SANDUTiLI, Enti pubblici ed enti privati di interesse pubblico, in « Giust. civ. », 1958; V. OTTAVIANO, Considerazioni sugli enti pubblici strumentali, Padova 1959 (e, dello stesso, Ente pubblico, in Enciclopedia del diritto); F. BEN\TENUTI, L'amministrazione indiretta, in « Amministrazione civile », 1961 (e, dello stesso, Gli enti funzionali. Profili generali, in Archivio ISAP 1962, cit.); R. COLTELLI, Enti e statuti nel diritto pubblico, Milano 1965; F. GALGANO, "Pubblico" e "privato » nella qualificazione della persona giuridica, in « Riv. trim. dir. pubbl. », 1966 (e, dello stesso, Le persone giuridiche, in Commentario al Codice Civile, Bologna-Roma 1969); S. D'ALBERGO, Sistema positivo degli enti pubblici nell'ordinamento italiano, Milano 1969; G. GUARINO, Sull'utilizzazione di modelli differenziati nell'organizzazione pubblica, in Scritti di diritto pubblico dell'economia, Il, Milano 1970; M.S. GIANNINI, Il problema dell'assetto e della tipizzazione degli enti pubblici nell'attuale momento, in Riordinamento degli enti pubblici e funzioni delle loro avvocature, Napoli 1974; P. VIRIGA, Gli enti parastatali nella tipologia degli enti pubblici, in Scritti in onore di Mortati, voi. I, Milano 1977; D. SERRANI, Il potere per enti: enti .pubblici e sistema politico in Italia, Bologna 1978; S.A. ROMANO, L'attività privata degli enti pubblici, Milano 1979; G. ROSSI, Enti pubblici associativi, Napoli 1979. In generale, per una ricostruzione delle vicende dottrinali in tema di enti pubblici fino agli anni sessanta vale sempre il riferimento a M.S. GIANNINI, Diritto amministrativo, cit., pp. 163 Ss.

Sugli sviluppi degli ultimi anni v. per tutti: AA.VV.,

Il riordinamento degli enti pubblici, Milano 1977; V. CERULLI IRELLI, Problemi dell'individuazione delle persone giuridiche pubbliche dopo la legge sul "parastato", in « Riv. trim. dir. pubbl. », 1977; G. ARENA, Soppressione degli "enti inutili" e riforma del parastato nella legge 20 marzo 1975, n. 70, in « 'Riv. trim. dir. pubbl. », 1977 (e, dello stesso, Enti pubblici, in Novissimo digesto italiano Appendice); M.S. GIANNINI, Istituzioni di diritto amministrativo, Milano 1981, pp. 153 Ss.; A. GAPRIA, Amministrazione per enti, in La regionalizzazione (Archivio ISAP, nuova serie, n. 1), Milano 1983. Infine, sul piano della docuinentazione, oltre all'elenco contennto in COMMISSIONE PER STUDI ATTINENTI ALLA RIORGANIZZAZIONE DELLO STATO, Relazione all'Assemblea Costituente, Roma 1946, vol. III (nella quale v. anche un'ampia bibliografia sugli scritti in tema di persone giuridiche pubbliche fino alla seconda guerra mondiale), vanno ricordate due importanti ricerche promosse dal CIRIEC: Gli enti pubblici italiani, Milano 1972 e I modelli organizzatori' degli enti pubblici italiani (a cura di D. Cosi e F.P. Pugliese), Milano 1977. Sugli enti pubblici economici, v. per tutti G. TREVES, Le imprese pubbliche, Torino 1950; P. ME-

SCHINI, Sulla natura giuridica degli enti pubblici economici, Milano 1968; S. CASSESE, Enti pubblici economici, in Novissimo digesto italiano; F. IRACI, Profili istituzionali e tipologici degli enti pubblici economici; riflessioni critiche sugli enti pubblici economici della Regione Siciliana, in « Enti pubblici », 1980. Comunque, è noto che i moduli organizzativi attraverso i quali si estrinseca la partecipazione diretta dello Stato alle attività economiche sono assai vari: v. in proposito GIANNINI. Diritto pubblico dell'economia, cit., caip. IV e V. In particolare, ha suscitato molta attenzione nella dottrina la tematica relativa agli enti di gestione ed al sistema delle partecipazioni statali: si possono ricordare, oltre a vari saggi di G. GUARINO, raccolti in Scritti di diritto pubblico dell'economia, I e Il, Milano 1962 e 1970, MERUSI, Le direttive, cit.; S. D'AL-

BERGO, Partecipazioni pubbliche ed enti di gestione, Milano 1962; F. ROVERSI MONACO, Gli enti di gestione, Milano 1967; G. AMATO, L'indirizzo degli enti di gestione, in «Riv. trim. dir. pubbl. », 1969; Le imprese a partecipazione statale, Napoli 1972; A. MASSERA, Partecipazioni statali e servizi di pubblico interesse, Bologna 1978; Partecipazioni statali: strategia e riassetto, in « Quaderni di Giur. comrn. », n. 8, 1977; Ricerca sulle partecipazioni statali (a cura di G. Cottino), voli. 3, Torino 1978.

Ancora, andando oltre - e lasciando da parte tutto il settore tradizionale dell'esercizio di attività pubbliche da parte dei privati, ad esempio attraverso lo strumento della concessione di servizi pubblici - acquistano rilievo sempre maggiore altri centri di potere,


17 diversamente qualificati dalle norme dello Stato, che si affiancano ed interferiscono sul potere statuale, in quanto enti esponenziali o più in generale centri di riferimento di interessi di gruppi a vario livello (partiti politici, sindacati, associazioni professionali, ecc.). Sull'aflidamento a privati di attività pubbliche, oltre ai classico G. ZANOBINI, L'esercizio privato delle funzioni e dei servizi pubblici, in Trattato Orlando, voi. Il, parte 3, v. F. TRIMARCHI, Pro-

liii organizzativi della concessione di pubblici servizi, Milano 1967. Sulla estrema varietà delle forme assunte dal complesso dei pubblici poteri negli Stati contemporanei e sui centri di riferimento di interessi v. in sintesi GIANNINI, Istituzioni di diritto amministrativo, cit., pp. 36 Ss.

Naturalmente, !anche a voler considerare soltanto l'esperienza italiana, tutti questi fenomeni si evidenziano in momenti diversi e si compongono fra loro in forme varie durante l'evoluzione storica dello Stato pluriclasse: non vanno trascurate, cioè, le grandi fratture ed anche le cesure meno appariscenti nella storia politica, nella successione delle costituzioni (formali e materiali), nella stessa storia amministrativa. Ma la linea di tendenza dominante conduce sicuramente ad un sempre più accentuato allontanamento dall'idea di un pubblico potere come entità monolitica, verso un arricchimento ed una complicazione sempre maggiore delle forme e dei modi della presenza pubblica nella società.

FENOMENI ORGANIZZATIVI E CULTURA GIURIDICA

La cultura giuridica, nonostante l'affermazione delle nuove teorie generali, cui già si è fatto cenno - ed anzi, a volte, proprio in conseguenza di specifiche applicazioni di tali teorie agli istituti positivi - ha faticato non poco a prendere coscienza ed a fornirsi degli strumenti concettuali atti a sviluppare l'analisi della nuova realtà in movimento:

ciò è tanto più vero in un settore come quello dell'organizzazione amministrativa, a fronte di una assoluta svalutazione o addirittura di un misconoscimento del peso giuridico di gran parte dei fenomeni e problemi ad essa relativi. Certo, i giuristi non possono più ignorare o porre in secondo piano il significato dei fatti organizzativi; il ruolo dato all'elemento organizzazione nella concezione dell'ordinamento giuridico del Romano, come già si è detto, ne costituisce la più significativa testimonianza: « il diritto non è solo norma di rapporti, ma è, soprattutto e prima di tutto, organizzazione» (S. ROMANO, L'ordinamento giuridico, Firenze 1946, p. 90). Sull'organizzazione come elemento fondamentale dell'ordinamento giuridico insiste in particolare

M.S. GIANNINI, Gli elementi degli ordinamenti giuridici, in Studi in onore di Crosa, voi. TI, Milano 1960. Su Romano v. tra gli altri S. CASSESE, Ipotesi

sulla formazione de "l'ordinamento giuridico" di Santi Romano, in La formazione dello Stato amministrativo, cit.; TESSITORE, Crisi e trasformazione, cit.; AA.VV., Le dottrine giuridiche di oggi e l'insegnamento di Santi Romano (a cura di P. Biscaretti di Ruffìa), Milano 1977 (in part. i saggi di A. AMORTH e S. D'ALBERGO).

IVIa proprio l'utilizzazione della teoria istituzionista ai fini dell'interpretazione dei problemi dell'organizzazione amministrativa fornisce un esempio evidente di riproposizione della visione di un'amministrazione organizzata sulla base di rapporti di subordinazione, e la èui realtà interna si colloca su un piano diverso e separato da quello delle sue relazioni con l'esterno, pur in un quadro concettuale originale rispetto a quello tradizionale. Nell'ambito dell'ipotesi pluralistica, l'amministrazione pubblica viene considerata come un ordinamento giuridico distinto da quello generale dello Stato, sia pure a questo collegato da un nesso fondamentale di derivazione e di dipendenza: un ordinamento dotato di proprie finalità e di propri interessi, di una propria normazione e di propri organi, che in un certo senso appaiono come


18 entità autonomamente rilevanti nei loro rapporti. Grazie a questa impostazione si compie un decisivo progresso nel senso della attribuzione di un rilievo giuridico ai rapporti interorganici ed alle norme organizzative, anche se la loro emersione a livello di ordinamento giuridico complessivo è mediata dal rapporto tra quest'ultimo e l'ordinamento particolare dell'amministrazione (v. in proposito ampiamente BASSI, La norma interna, cit.). (Ma appunto questa costruzione dell'amministrazione-organizzazione come « ordinamento interno » o « speciale » tende ancora una volta ad individuare in essa qualcosa di chiuso e di separato dall'ordinamento generale; il che, tra l'altro, conduce a recuperare l'idea di una sfera di rapporti fondati su poteri di supremazia speciale, anche se qui dal piano soggettivo ci si sposta su quello obiettivo delle relazioni fra ordinamenti: in concreto, i rapporti interorganici sono speciali in quanto inseriti ed inquadrati in un ordinamento speciale, così come le norme organizzative sono norme interne in quanto riferite ad un ordinamento interno.

tro, essa è alla base degli studi sugli « ordinamenti organizzatori » di particolari settori dell'apparato pubblico (es. l'ordinamento militare) e sui c.d. « ordinamenti sezionali ». Sulla nozione di « ordinamento organizzatorio » e sulla sua attuale crisi v. GIANNINI, Diritto amministrativo, cit., p. 160 ss. Sull'ordinamento militare, l'opera principale è di V. BACHELET, Disciplina militare e ordinament9 giuridico statale, Milano 1962. La nozione di « ordinamento sezionale », introdotta da Giannini con riferimento al settore del credito, è stata successivamente utilizzata per diversi altri settori, quali le assicurazioni, l'edilizia popolare, e, di recente, il commercio con l'estero: v. in argomento M.S. GIANNINI, Istituti di credito e servizi d'interesse pubblico, in « Moneta e credito », 1949; M. NIGRO, L'edilizia popolare come servizio pubblico, in «Riv. trim. dir. pubbi. », 1957; G. VIGNOCGHI, Il servizio del credito nell'ordinamento pubblicistico, Milano 1968; M. NÌGRO, Profili pubblicistici del credito, Milano 1972; A. MASSERA, L'ordinamento sezionale del commercio con l'estero (teoria e norme), Ancona 1979.

In generale, anche a prescindere dalle specifiche vicende dell'istituzionismo, di fatto l'osservazione della realtà costringe sempre più i giuristi ad interessarsi dei fenomeni organizzativi. Soprattutto a partire dagli anni trenta, si sviluppa uno sforzo di chiarimento di alcuni concetti di fondo (in tal senso, accanto agli scritti già citati va ricordato almeno quello di A. AMORTH, La nozione di Sull'ordinamento amministrativo come ordinamenL'ordinamengerarchia, (Milano 1936) e si registrano i prito interno (o speciale) v. ROMANO, to giuridico, cit., ed inoltre: G. ZANOBINI, Le mi tentativi di costruzione cli una vera e sanzioni amministrative, Torino 1924; E. SILVESTRI, L'attività interna della pubblica amministra- propria teoria generale dell'organizzazione: zibne, Milano 1950; A.M. OFFIDANI, Studi sulqui è evidente il riferimento all'opera prinl'ordinamento giuridico speciale, Torino 1953; V. cipale del De Valies, nella quale assume uno OTTAVIANO, Sulla nozione di ordinamento amministrativo e di alcune sue applicazioni, in « Riv. specifico rilievo la classificazione dei rapportrim. dir. pubbi. », 1958. ti fra organi e uffici. Per una valutazione critica di questa impostazione v. tra gli altri A. PIRAS, Interesse legittimo e giuNon ci è in questa sede possibile analizzare dizio amministrativo, Milano 1962, voi. Il; MAe valutare questi contributi della dottrina RONGIU, La direzione, cit.; VERBARI, L'attività amministrativa (interna), cit. del periodo fra le due guerre, nella sua conPer un recente ripensamento della questione v. ansistenza teorica e nei suoi collegamenti più o che G. BARONE, Aspetti dell'attività interna della meno stretti con i caratteri che andava assupubblica arirministrazione, Milano 1980, in Dart. il cap. I. mendo negli anni lo Stato fascista (tra l'altro, sarebbero da esaminare i nessi fra la teoIn prosieguo di tempo, l'idea di un ordina ria degli ordinamenti interni e l'affermaziomento amministrativo verrà utilizzata ampiane del potere governativo di normazione in mente per l'elaborazione di varie categorie proprie della materia organizzativa: tra l'altema di organizzazione).


19 In generale, sulle istituzioni pubbliche durante il fascismo v. A. AQUARONE, L'organizzazione dello Stato totalitario, Torino 1965 e R. DE FELICE,

Mussolini il fascista (lI. L'organizzazione dello Stato fascista) e Mussolini il duce (I. Gli anni del consenso), Torino 1968 e 1974. Per ulteriori indicazioni bibliografiche cfr. Gli apparati statali dall'Unità al fascismo, cit. Sulla dottrina del diritto amministrativo in questo periodo v. BENVENUTI, Gli studi di diritto amministrativo, cit. e CASSESE, Cultura e politica, cit.

Nonostante tutto, comunque, è certo che gli amministrativisti continuavano a concentrare la loro attenzione prevalentemente sul tema degli atti amministrativi ed in generale sulla disciplina dei rapporti fra amministrazione e privati (si pensi al gran numero di scritti in tema di attività e di giustizia amministrativa apparsi in quegli anni): così, nel 1940 Giannini poteva indicare fra gli ordini di materie « la cui problematica è scarsissima, per non dir quasi nulla.., quello che concerne il funzionamento dei poteri nei loro rapporti interni » (GIANNINI, Profili storici, cit., p. 83). Bisognerà aspettare i primi anni cinquanta perché si produca una svolta decisiva nello studio giuridico della organizzazione amministrativa.

ORGANIZZAZIONE AMMINISTRATIVA E COSTITUZIONE

Ma per comprendere la successiva evoluzione della riflessione dei giuristi, soprattutto nel settore che qui ci interessa, va posta in luce l'importanza dei nuovi principi introdotti dalla Costituzione repubblicana del 1948. In primo luogo, la stessa ispirazione democratico-pluralistica della Carta costituzionale vale come presupposto per una revisione e reintepretazione complessiva del ruolo e della posizione dei diversi poteri pubblici, ed in particolare delle pubbliche amministrazioni. Nello specifico, dalla struttura della Costituzione si può ricavare una chiara distinr:J

zione fra potere governativo e potere amministrativo, anche se in proposito non mancano elementi contraddittori (che fanno pensare ad una amministrazione come apparato servente del governo), ed anche se è assente nel testo costituzionale una precisa definizione della pubblica amministrazione (su questi aspetti v. GIANNINI, Parlamento e amministrazione, cit., e CASSESE, Il sistema amministrativo, cit.). A parte ciò, numerose norme costituzionali hanno un'incidenza diretta o indiretta non solo sui modi in cui le amministrazioni sono chiamate ad operare nei rapporti con i cittadini e la collettività, ma anche sui criteri che ne debbono caratterizzare l'organizzazione (anche qui, peraltro, va segnalata la mancanza di una disciplina organica della materia). L'autore che sviluppa in modo più conseguente un lavoro di revisione dei modi di concepire l'organizzazione, alla luce della ipotesi pluralistica su cui si fonda la Costituzione, influenzando larghi settori della dottrina amministrativa, è Benvenuti: il riferimento è soprattutto a F. BENVENUTI, L'ordinamento repubblicano, Venezia 1965 (in part. pp. 55 ss.), oltre a numerosi altri scritti, fra i quali ricordiamo Evoluzione dello Stato moderno, in « Jus », 1959. Per una individuazione delle principali norme costituzionali concernenti la pubblica amministrazione v. BAQIELET, Profili giuridici, cit., pp. 16 ss. e M.S. GIANNENI, L'ordinamento dei pubblici uf-

fici e la Costituzione, in Attualità e attuazione della Costituzione, Bari 1979. In argomento, v. inoltre: M. CANTUCCI, La pubblica amministrazione, in Commentario sistematico alla Costituzione italiana (a cura di P. Calamandrei e A. Levi), Firenze 1950; C. ESPOSITO, Riforma dell'amministrazione e diritti costituzionali dei cittadini, in La Costituzione italiana, Padova 1954; P. BISCARETTI DI RUFFIA, La pubblica amministrazione e l'ordina. mento politico-costituzionale italiano, in Problemi della pubblica amministrazione, I, Bologna 1958; V. OTTAVIANO, Poteri dell'amministrazione e principi costituzionali, in «Riv. trim. dir. pubbl », 1964; L. CARLASSARE, Amministrazione e potere politico, Padova 1974, cap. III; L. ARCIDIACONO, Profili di riforma dell'amministrazione statale,

Milano 1980, cap. I. Sulla difficile, lenta e a volte mancata attuazione delle disposizioni costituzionali in materia amministrativa v. tra gli altri S. RAI-

MONDI, La questione amministrativa nell'Italia repubblicana, Palermo 1981, cap. I e M.S. GIANNINI, La lentissima fondazione dello Stato repubblicano, in « Regione e potere locale », 1981.


20 Pur senza sottovalutare altre importanti di. sposizioni, possiamo dire che hanno un valore determinante in tema di organizzazione amministrativa soprattutto l'art. 5 e l'art. 97 (cui si connette l'art. 95). Il primo introduce i principi dell'autonomia e del decentramento non solo per quanto attiene alla sussistenza di poteri pubblici distinti dallo Stato-ente ed alle relazioni fra di essi e lo Stato medesimo, collocate entro schemi assai lontani da quelli della soggezione e della dipendenza, ma anche per quello che concerne l'organizzazione degli stessi uffici statali: viene fissato definitivamente il superamento della vecchia visione dello Stato accentrato e accentratore. Oltre ad alcuni testi già citati in precedenza, sui concetti di autonomia e decentramento v. essenzialmente S. ROMANO, Autonomia, in Frammenti, cit.; R. LUCIFREDI-G. COLETTI, Decentramento amministrativo, Torino 1956 (sulla prima normativa concernente il decentramento nell'amministrazione statale, emanata sulla base di una legge del 1953); M.S. GIANNINI, Il decentramento nel sistema amministrativo, in Problemi della pubblica amministrazione, cit. (anche per la bibliqgrafla) e, dello stesso, la voce Autonomia, in Enciclopedia del diritto; F.A. ROVERSI MONACO, Profili giuridi-

ci del decentramento nell'organizzazione amministratwa, Padova 1970; G.C. DE MARTIN, Decentramento a,nministrativo, in Novissimo digesto italiano - Appendice. Quanto all'autonomia di centri di cura di interessi pubblici distinti dallo Stato, naturalmente l'art. 5 trova conseguente svolgimento non solo e non tanto negli articoli della Costituzione dedicati agli enti locali minori, ma soprattutto nella istituzione dei nuovi enti regionali, che sicuramente costituiscono la novità di maggiore rilievo introdotta nel canipo dell'organizzazione pubblica dalla Carta dcl 1948. Qui non è possibile ricordare l'amplissima produzione dottrinale su temi di diritto regionale, registratasi in particolare a partire dall'inizio degli anni settanta, in coincidenza con l'attuazione delle regioni a statuto ordinario. Sulla storia del regionalismo in Italia prima della Costituzione v. co-

munque R. RUFFILLI, La questione regionale (1862-1942), Milano 1971; sulle discussioni in sede di Assemblea Costituente v. E. ROTELLI, L'avvento della regione in Italia, Milano 1967; per il dibattito precedente la nascita delle regioni ordinarie v. Dal regionalismo alla regione (a cura di E. Rotelli), Bologna 1973, anche per le ricche indicazioni bibliografiche. Sull'organizzazione aniministrativa delle regioni v. Burocrazia e autonomie regionali, Milano 1970; Problemi attuali dell'organizzazione amministrativa delle regioni (Atti del convegno di Udine, 28-29 ottobre 1972), Milano 1972;

L'organizzazione e il personale delle regioni (a cura di F. Sidoti), Milano 1979; S. MUTI, L'organizzazione degli uffici regionali, Napoli 1981; F. DELFINA, L'organizzazione amministrativa delle regioni ordinarie, in Studi per il centocinquantenario del Consiglio di Stato, Roma 1981, vol. I. Sul significato generale dell'art. 5 Cost. v. per tutti C. ESPOSITO, Autonomie locali e decentramento nell'art. 5 della Costituzione, in La Costituzione italiana, cit.; G. BERTI, Commento all'art. 5, in Com,nentario alla Costituzione italiana (a cura di G. Branca), Bologna 1975; F. PIZZETTI, Il sistema costituzionale delle autonomie locali, Torino 1979 (ed ivi ulteriori riferimenti).

Ancora più rilevante ai fini del nostro discorso è l'art. 97: esso introduce una riserva di legge relativa in tema di organizzazione dei pubblici uffici; impone che siano assicucurati il buon andamento e l'imparzialità nell'azione dei pubblici poteri; fissa come contenuto obbligatorio delle leggi di organizzazione la determinazione delle sfere di competenza, delle attribuzioni e delle responsabilità dei pubblici funzionari; disciplina le modalità di accesso agli impieghi pubblici. Con il primo di questi principi la Costituzione risolve il dibattutissimo problema dell'attribuzione della funzione (o potestà) di organizzazione della pubblica amministrazione, sulla quale si erano modulati nel tempo i generali rapporti fra potere legislativo e potere esecutivo (governativo), riconoscendo una presenza prioritaria della legge in questo campo, ma lasciando anche spazio (secondo una parte consistente della dottrina) ad un potere di autorganizzazione della stessa amministrazione: va sottolineato che con questa norma viene ad essere definitivamente riconosciuta l'immediata rilevanza della organizzazione amministrativa nello e per l'ordinamento giuridico generale. Sulle vicende storiche della attribuzione (e della distribuzione) della potestà di organizzazione v.

P. CALANDRA, Parlamento e amministrazione. I, Torino 1971; GIANNINI, Parlamento e amministrazione, cit., e soprattutto NIGRO, Studi sulla funzione organizzatrice, cit. (con ampi riferimenti alle diverse iposizioni della dottrina conteniporanea).

Altrettanto importante la statuizione dei principi di imparzialità e buon andamento:


21 con essi si va oltre il generico principio di legalità, per individuare i criteri sostanziali che debbono essere seguiti nell'attività di organizzazione, riconducibili essenzialmente al concetto di efficienza (nel quale viene normalmente tradotto il principio di buon andamento, di cui l'imparzialità costituirebbe una specificazione). Tra i tanti studi, anche recenti, sul principio di legalità e sulle sue applicazioni, possiamo ricordare

L. CARILASSARE, Regolamenti dell'esecutivo e principio di legalità, Padova 1966; S. FOIS, Legalità (principio di), in Enciclopedia del diritto; F. SATTA, Principio di legalità e pubblica amministrazione nello Stato democratico, Padova 1969. Sul principio di buon andamento come coincidente con quello di efficienza v. NIGRO, op. ult. cit. In generale, su imparzialità e buon andamento v. P.

BARILE, Il dovere di imparzialità della pubblica amministrazione, in Studi in onore di Calamandrei, Padova 1958, vol. IV; U. ALLEGRETTI, L'unparzialità amministrativa, Padova 1965; F. LEVI, L'attività conoscitiva della pubblica amministrazione, Torino 1967; G. BERTI, La pubblica• amministrazione come organizzazione, cit., pp. 81 Ss.; N. SPERANZA, Il principio di buon andamento-imparzialità dell'amministrazione nell'articolo 97 della Costituzione, in « Foro anmi. », 1972; S. CASSESE, Imparzialità amministrativa e sindacato giurisdizionale, in « Riv. it. sc. giur », 1968; A. CERRI, liii parzialità ed indirizzo politico nella pubblica amministrazione, Padova 1973; F. TRIMARCHI, Funzione consultiva e amministrazione democratica, Milano 1974; A. ANDREANI, Il prijcipio costituzionale di buon andamento della pubblica amministrazione, Padova 1979.

Ma un valore ancora maggiore può forse attribuirsi al riconoscimento al legislatore del potere di fissare la distribuzione delle attribuzioni e competenze all 'interno dell 'organizzazione amministrativa: se la norma organizzativa (sulla cui giuridicità non è più possibile dubitare, anche se particolarmente caratterizzata sul piano contenutistico) deve fissare la distribuzione delle attività amministrative fra i diversi organi pubblici, ciò importa da un lato una connessIone stretta fra il momento dell'organizzazione e quello dell'attività (e proprio su questa linea, CO. me vedremo, si muoverà la riflessione della dottrina negli anni successivi), dall'altro il riconoscimento di una rilevanza autonoma

degli organi amministrativi e dei rapporti che si istituiscono fra di essi. Ulteriori considerazioni potrebbero essere sviluppate sulle conseguenze nel campo dell'organizzazione amministrativa di queste di altre disposizioni costituzionali; ma ci interessa soprattutto insistere sul dato complessivo che emerge da una loro lettura coordinata: non soltanto l'organizzazione degli apparati amministrativi ha uno specifico valore giuridico nel suo insieme e nelle sue necessarie articolazioni (tanto è vero che deve almeno in parte essere regolata da norme legislative, dirette a conformarla al perseguimento di precise finalità), ma non può essere più accettata una considerazione autonoma dell'attività intersoggettiva della pubblica amministrazione che prescinda dagli atti e dai rapporti attinenti alla sfera organizzativa.

NORME ORGANIZZATIVE E ATTIVITÀ AMMINISTRATIVA

E' proprio dalla riflessione sulla normativa costituzionale, oltre che dalla osservazione dei mutamenti della realtà politico-istituzionale dello Stato contemporaneo e da una conseguente revisione critica degli apporti della dottrina precedente, che prende le mosse la nuova fase degli studi giuridici sull'organizzazione, che comincia in Italia al principio degli anni cinquanta (CASSESE, in Cultura e politica, cit., p. 59, indica proprio nel 1950 la data di inizio di « un'epoca nuova » della scienza del diritto amministrativo nel nostro paese). Postulato fondamentale della nuova tendenza è l'individuazione del « carattere qualificatore dei fatti d'organizzazione nella cura d'interessi altrui » (NIGRO, Studi sulla funzione organizzatrice, cit., p. 114) e non più nel complesso dei meccanismi di espressione dell'autorità dello Stato nel gruppo sociale.


22 Nell'organizzazione viene riconosciuta, proprio perché vista in stretto rapporto con la cura di interessi pubblici e con lo svolgimento dell'attività a ciò finalizzata, una funzione essenziale di garanzia: « le norme organizzative non hanno tanto lo scopo di costruire un apparato... hanno invece lo scopo di dare evidenza giuridica ad un apparato, di renderne cioè le strutture giuridicamente rilevanti di fronte ad altri soggetti giuridici: nel caso degli apparati statali, le norme orga nizzative hanno lo scopo di rendere rilevanti di fronte a tutti i consociati, cioè nell'ordinamento generale, le strutture dello Stato organizzazione... se un apparato viene regolato da norme giuridiche, i soggetti giuridici esterni possiedono delle certezze circa il modo come la cura degli interessi viene distribuita negli uffici dell'apparato e sono garantiti dal fatto che per modificare l'apparato si richiede un altro atto normativo: ove l'apparato sia quello dello Stato organizzazione, e i soggetti siano i cittadini, tutto ciò si traduce in una ulteriore forma di garanzia del momento della libertà, perché il cittadino sa che per agire in date materie oggetto di sue libertà guarentigiate l'autorità deve servirsi di dati uffici e non di altri, altrimenti agisce illegalmente ». In particolare, « in quanto le norme organizzative regolano la conformazione e la distribuzione degli uffici, regolano insieme la distribuzione delle funzioni, cioè assegnano ai vari uffici nei quali si articola l'apparato la cura di determinati interessi »

(GIANNINI, Lezioni di diritto amministrativo (1950), cit., pp. 88-89). La distribuzione della tutela di certi interessi fra i vari centri di riferimento interni all'amministrazione appare necessaria e decisiva in quanto nella realtà attuale tali interessi sono molteplici e differenziati; essendo una norma di distribuzione degli interessi, la norma organizzativa al tempo stesso crea e delimita la funzione attribuendola ad un ufficio: « in tal modo la norma organizzativa

ridonda in norma di regolazione intersubiettiva » (Ibidem, p. 91). Da questa connessione fra organizzazione ed attività amministrativa, centrata sul momento della distribuzione della cura degli interessi pubblici fra i diversi organi amministrativi, si fanno discendere conseguenze di grande rilievo: l'ordinamento giuridico, attraverso il meccanismo della distinzione rigorosa delle competenze dei diversi uffici (organi) dell'amministrazione, tende ad attribuire agli organi in quanto tali la titolarità (e la responsabilità) della realizzazione delle finalità perseguite dall'ordinamento medesimo, per come determinate dalla legge; gli organi quindi entrano in diretta relazione con l'ordinamento senza passare per il tramite della persona giuridica o dell'ordinamento interno; sul versante esterno, l'atto non è altro che il risultato finale della complessiva attività di composizione dei diversi interessi pubblici introdotti dagli organi che ne sono attributari nel corso del procedimento. Sulla nozione di competenza v. in particolare A.M.

SANDULLI, Per la delimitazione del vizio di incompetenza degli atti amministrativi, in « Rass. dir. pubbi. », 1948 e P. GASPARRI, Competenza, in Enciclopedia del diritto, oltre a DE VALLES, Teoria giuridica, cit., voi. I, p. 81; GIANNINI, Lezioni (1950), cit., p. 297; F. BENVENUTI, Appunti di diritto amministrativo, Padova 1959, p. 99. Sull'autonoma rilevanza degli organi nello svolgimento di attività giuridicamente qualificate esercita un forte peso l'acquisizione dell'esistenza nell'ordinamento di una pluralità di tipi di « figure soggettive », in grado di agire producendo effetti giuridici, pur senza avere la natura di veri e propri « soggetti » dell'ordinamento: in proposito v. soprattutto GIANNINI, Lezioni (1950), cit., pp. 121 ss. e più ampiamente, dello stesso, Diritto amministrativo, cit., pp. 115 Ss. Si veda anche C. LAVA-

GNA, Basi per uno studio delle ligure giuridiche soggettive contenute nella Costituzione italiana, in Studi Università di Cagliari, 1953. Sulla rilevanza complessiva dell'attività amministrativa, in relazione al concetto di « funzione », v. F.

BENVENUTI, Eccesso di potere per vizio della funzione, in «Rass. dir. pubbi. », 1950 e, dello stesso, Funzione amministrativa, procedimento, processo, in « Riv. trim. dir. pubbl. », 1952; inoltre PIRAS, Interesse legittimo, cit. In generale, sul concetto di attività amministrativa v. M.S. GIANNINI, Attività amministrativa, in Enciclopedia del

diritto.


23 Su queste basi si è potuto parlare di una strumentalità dell'organizzazione rispetto all'attività rilevante nella sua globalità: strumentalità che però « non rappresenta un passivo ed esteriore asservimento di essa all'attività sostanziale di soddisfazione dei fini e degli interessi, ma è partecipazione attiva, cooperazione al movimento, avvio del movimento nella direzione scelta: la decisione organizzativa si rivela, quindi, necessariamente come decisione di indirizzo dell'attività » ( NIG'RO, Studi sulla funzione organizzatrice, cit., p. 118): l'organizzazione perciò influenza profondamente la realizzazione degli interessi in ogni sùo momento. La stretta connessione fra attività ed organizzazione ha condotto alcuni ad ipotizzare - nell'ambito di una particolare impostazione teorica (centrata sul concetto di « amministrazione oggettivata ») - un riassorbimento della prima nella seconda: v. BER-

TI, La pubblica amministrazione come organizzazione, cit. Per una critica della « visione panorganizzatoria del diritto amministrativo» v. PALEOLOGO,

Organizzazione amministrativa, cit., p. 149,

I CONTENUTI DELLA TEORIA DELL'ORGANIZZAZIONE

Come si è già visto, in questo quadro teorico, l'ufficio in quanto dotato di una specifica competenza si pone quale strumento primario predisposto dall'ordinamento per la cura degli interessi pubblici. Da ciò l'importanza, sul piano dell'analisi giuridica, di tutta la materia attinente all'istituzione, alla modificazione ed alla soppressione degli uffici, all'attività posta in essere dagli uffici stessi, alla disciplina del personale e dei mezzi materiali di cui gli uffici si servono (tutti aspetti che rientrano nel campo dell'attività organizzativa). La sempre maggiore eterogeneità degli interessi pubblici, inoltre, non può che provocare una differenziazione qualitativa delle strutture amministrative cui ne viene attribuito il perseguimento e la realizzazione; sono quindi parte integrante e significativa della

teoria giuridica dell'organizzazione le questioni concernenti la classificazione dei vari tipi di uffici ed organi e delle varie figure di titolari degli stessi. Sulla tendenza ad una disarticolazione tipologica delle strutture amministrative v. BACHELET, Profili giuridici, cit. pp. 31 ss., dove tra l'altro si ricorda che l'allargamento quantitativo e qualitativo dei compiti attribuiti alle pubbliche amsninistrazioni ha reso necessaria « una crescente qualificazione tecnica dell'attività, diversa da quella prevalentemente giuridica caratteristica della tradizionale attività amministrativa », dal che è derivata una « moltiplicazione di organi ausiliari, aventi natura tecnica » (Ibidem, p. 41), Su questi aspetti v. dello stesso V. BACHELET, L'attività tecnica della pubblica amministrazione, Milano 1967, oltre a FERRARI, Gli organi ausiliari, cit. Fra le diverse figure e tipi di titulari di uffici emergono per la loro particolare configurazione strutturale, e per la loro peculiare rilevanza in una realtà amministrativa caratterizzata dal •perseguimento di interessi numerosi e differenziati, soprattutto i « collegi » (secondo alcuni, essi costituirebbero non tantu un tipo di ufficio, quanto una figura organizzatoria di coordinamento tra uffici). Sugli uffici ed organi collegiali v. L. GALATERIA, Gli organi colle. giali amministrativi, voli. 2, Milano 1956-1959; U. GARGJULO, I collegi amministrativi, Napoli 1962;

S. VALENTINI, La collegialità nella teoria dell'organizzazione, Milano 1968; M. CAÌvIMELLI, L'amministrazione per collegi, Bologna 1979; G.B. VERBARI, Organi collegiali, in Enciclopedia del diritto; TRIMARCFII, Funzione consultiva e amministrazione democratica, cit.

Ma i differenti interessi pubblici non vivono, né possono trovare completa attuazione l'uno isolato dall'altro. Sl piano sostanziale, questo comporta l'emersione dei concetti di attività e di funzione amministrativa. Sotto il profilo organizzativo ne consegue che le competenze singole vanno a confluire in più vaste sfere di attribuzioni, e che i singoli uffici ed organi vanno a comporre entità soggettive più complesse, di maggiori dimensioni, o comunque si creano forme di collegamento più o meno strette fra di essi. Sul concetto di « funzione », o meglio di « funzioni amministrative » v., oltre a vari scritti di BENVENUTI e GIANNINI già citati, F. BASSI, Contributo allo studio delle funzioni dello Stato, Milano 1969 e M.A. CARNEVALE VENCHI, Contribu-

to allo studio della nozione di funzione pubblica, volI. 2, Padova 1969-1974. Sulla nozione di « attribuzione » v. con precisione GIANNINI, Diritto amministrativo, cit. p. 221 (ma


24 v. già, dello stesso, Lezioni (1950), p. 296) e ALLEGRETTI, L'imparzialità, cit., pp. 311-312.

Le norme di organizzazione sono quindi chiamate a disciplinare le forme di collegamento e di cooperazione fra gli uffici e gli organi, all'interno o al di fuori delle figure oggettive più articolate e « strutturate », come pure le relazioni e le connessioni fra questi apparati di maggiori dimensioni: ciò ha condotto all'individuazione ed elaborazione di distinti tipi di rapporti organizzativi (intersoggettivi od interorganici, a seconda che alle figure soggettive in questione sia attribuita o meno la qualifica di soggetti dell'ordinamento) e di più generali formule organizzatorie. Naturalmente, tramontato il vecchio schema che tendeva ad inserire ed ùnificare tutte le relazioni fra gli individui e le strutture f acenti parte della pubblica amministra2ione all'interno del principio gerarchico, i rapporti organizzativi assumono connotati e contenuti assai diversi. In primo luogo, si determina una disarticolazione dei rapporti di subordinazione, dalla quale emerge in particolare, accanto alla gerarchia e ad altre figure minori, il cosiddetto rapporto di direzione. Ma, assieme a questa, si sviluppano altre linee di tendenza; in particolare vengono individuati diversi tii di rapporti che prescindono (in tutto o in parte) dal criterio della subordinazione. Si tratta di una serie di moduli tutti di grande importanza per la comprensione e l'interpretazione dell'attuale realtà amministrativa: basta pensare ai casi della delegazione, del controllo e specialmente del coordinamento (termine quest'ultimo che a sua volta acquista significati e valenze differenziati a seconda del contesto in cui viene ùtilizzato e dell'impostazione seguita dai vari autori). Per la distinzione delle diverse forme di collegamento fra organi e uffici, v. per tutti DE VALLES, Teoria giuridica, cit.; GIANNINI, Diritto amministrativo, cit. (ed ora anche Istituzioni di diritto amministrativo, cit.); BAJ-IELET, Profili giuridici,

cit.; TREVES, L'organizzazione amministrativa,. cit. Sulla « crisi della gerarchia », oltre agli scritti di MARONGIU già citati, v. ALLEGRETTI, L'imparzialità, cit., pp. 323 ss. e BERTI, La pubblica amministrazione, cit., pp. 78 e 120 ss. Vanno però segnalati anche alcuni tentativi recenti, diversamente argomentati, di rivalutare l'importanza del rapporto gerarchico come criterio di collegamento prevalente all'interno degli apparati amministrativi: v. ad es. R. LUCIFREDI, La gerarchia come ele-

mento caratteristico della organizzazione burocratica, in L'organizzazione burocratica nella pubblica amministrazione e nelle amministrazioni private (Atti del Convegno di Roma, 2-3. maggio 1969), Mila-

no 1974 e F. SATTA, Introduzione ad un corso di diritto amministrativo, Padova 1980, pp. 64 ss. Sulla comjpatibilità della gerarchia con i principi Costituzionali (con specifico riferimento al potere gerarchico del ministro) v. inoltre L. ELlA, Problémi costituzionali dell'amministrazione centrale, Milano 1966. Sul rapporto di direzione, oltre a DE VALLES, Teoria giuridica, cit., pp. 144 ss., v. soprattutto

V. BACHELET, L'attività di. coordinamento nell'amninist razione pubblica dell'economia, Milano 1957; S. D'ALBERGO, Direttiva, in Enciclopedia del diritto; MARONGIU, La direzione, cit.; MERUSI, Le direttive, cit. In tema di delegazione, v. fra gli altri F. FRAN-

ChINI, La delegazione amministrativa, Milano 1950; G. MIELE, Delega amministrativa, in Enciclopedia del diritto; COLZI, Delegazione amministrativa, in Novissimo digesto italiano; G. FAZIO, La delega amministrativa e i rapporti di delegazione, Milano 1964; R. TOJA, In tema di delegazione intersoggettiva, in « Foro amm. », 1965. Andrebbe poi considerata tutta la letteratura, ormai assai ampia, sulla delega di funzioni regionali agli enti locali e di funzioni statali alle regioni, nonché quella sulla delega del potere di firma del ministro ai dirigenti. Sul rapporto di controllo ('ma ricordiamo che non necessariamente l'esercizio di una funzione di controiro implica un rapporto organizzativo), oltre al

classico FORTI, I controlli dell'amministrazione comunale, cit., v. L. SALVI, Premesse ad uno studio sui controlli giuridici, Milano 1957; G. BERTIL. TUMIATI, Controllo amministrativo, in Enciclopedia del diritto; M.S. GIANNINI, Controllo: no zioni e problemi, in « Riv. trim. dir. pubbl. », 1974 (ed ora anche Istituzioni di diritto amministrativo, cit., .pp. 47 ss). Anche qui, per profili applicativi che in certa misura coinvolgono la stessa problematica generale dei controlli, bisognerebbe tenere presente la vasta produzione dottrinale (anche se di valore diseguale) in tema di controlli sulle regioni e sugli enti locali, oltre agli scritti concernenti l'attività di controllo della Corte dei conti. In materia di coordinamento v. BACHELET, L'attività di coordinamento, cit. e, dello stesso autore, le voci Coordinamento e Comitati interministeriali, in Enciclopedia del diritto; POTOTSCHNIG, I pubblici servizi, cit., cap. VII; G. MORBIDELLI, La disciplina del territorio far Stato e regioni, Mi-

lano 1974; Coordinamento e collaborazione nella


25 Vita degli enti locali (Atti del V Convegno di Varenna, 17-20 settembre 1959), Milano 1961; L. ORLANDO, Contributo allo studio del coordinamento amministrativo, Milano 1974; F. MIGLIARESE TAMBURINO, L'attività di coordinamento, Padova 1979; C.E. GALLO, Osservazioni sul coordinamento amministrativo, in «Foro amm. », 1977; F. PIGA, Premessa ad uno studio sul coordinamento amministrativo, in Studi per il centocin quantenano del Consiglio di Stato, Roma 1981, voi. I; L'amministrazione della società complessa (a cura di G. Amato e G. Marongiu), Bologna 1982. Per un ripensarnento della nozione v. infine GIANNINI, Istituzioni di diritto amministrativo, cit., pp. 613 ss. Sui rapporti di «collaborazione », che secondo qualche autore si afliancherebbero al coordina-

mento, v. G. BAZOLI, La collaborazione nell'attività amministrativa, Padova 1964.

I diversi uffici (con le diverse competenze) provvedono dunque alla cura dei molteplici interessi pubblici senza che questi entrino in contrasto fra loro; ciò avviene sia attraverso la partecipazione al procedimento amministrativo, sia contribuendo alla composizione di organismi unitari complessi, sia con la fissazione di precisi rapporti organizzativi (tutto ciò in base alle noi-me dell'ordinamento). Ma va tenuto anche presente che l'azione delle amministrazioni non si esaurisce nella emanazione di atti singoli (a parte il fatto che, come già accennato, spesso essa si esplica attraverso comportamenti che non hanno niente a che vedere con la produzione di atti giuridici), in quanto rileva il modo in cui tali atti vanno a comporre un quadro generale di attività. Ciò appare particolarmente significativo in un ordinamento che si articola in una pluralità di centri di potere, tra loro completamente o relativamente indipendenti non solo per quanto attiene al momento della gestione ed esecuzione delle decisioni, ma anche per quello che concerne il momento decisionale (l'esempio più evidente è quello degli enti regionali). Sui pluralisnio istituzionale come carattere di fondo del nostro ordinamento democratico, e sui suoi riflessi in campo aniministrativo, v. soprattutto gli scritti di F. BENVENUTI, tra i quali, oltre ai già ricordati Appunti, (in part. le pp. 65 ss), L'ordinamento repubblicano, ed Evoluzione dello Stato n;oderno, possiamo citare il più recente L'ammini-

5/razione oggettiva/a: un nuovo modello, in «Riv. rrim. sc . amm. », 1978. Per diversi svolgimenti del tema v. tra gli altri ALLEGRETTI, L'imparzialità, cit.; ELlA, Problemi costituzionali, cit.; A.M. SAN'DULLI, Società pluralistica e rinnovamento dello Stato, in « Justitia », 1968; S. SAMBATARO, Organizzazione amministrativa e democraticità dell'ordina'mento, Milano 1966; L. ARCIDIACONO, Organizzazione pluralistica e strumenti di collegame,:to, Milano 1974; POTOTSCHNIG, I servizi pubblici, cit. Fra i risultati più significativi (ma anche più discussi) dell'afferniazione di una differenziazione dei centri di potere pubblico e delle forme di gestione delle attività dirette al perseguimento degli interessi della collettività, emerge soprattutto negli anni più recenti una tendenza al controllo ed alla partecipazione diretta da parte dei cittadini variamente organizzati; tale tendenza ha ormai trovato riscontri importanti anche in sede legislativa, ipur presentando non pochi elementi contraddittori, messi in luce da parte della dottrina. Per vari approcci alla questione, oltre agli scritti concernenti la partecipazione nell'esperienza regionale o in singoli settori (organi collegiali della scuola, circoscrizioni comunali, ecc.), v. M.P. CHITI, Partecipazione popolare e prestazione dei servizi, Pisa 1977; F. LEVI, Partecipazione e organizzazione, in «Riv. trin-i. dir. pubbl. », 1977; G. AMATO, Aspetti vecchi e

nuovi del « politico » e del « sociale » nell'Italia repubblicana, in Il sistema delle autonomie: rapporti tra Stato e società civile (Atti del Convegno di Firenze, 20-30 settembre 1979), Bologna 1981; M.

NIGRO, Il nodo della partecipazione, in «Riv. trim. dir. proc. civ. », 1980. Secondo alcuni, anche l'inserimento nella bui-ocrazia costituirebbe una forma di partecipazione: v. sul punto G. PASTORI, La burocrazia, Padova, 1967. Infine, per un esame della questione dal punto di vista della scienza dell'amministrazione, v. R. BETTINI, La partecipazione amministrativa, 1973 e, dello stesso, Istitu-

zionalizzazione e prassi della partecipazione del cit-

tadi,ro, Assisi-Roma 1976.

Come è possibile, però, tenere insieme e ricondurre ad unità le attività svolte da questo insieme articolato di strutture, soggetti e figure soggettive pubblici? Risultando ormai inaccettabile il ricorso all'unitarietà della persona giuridica statale, ai giuristi contemporanei, soprattutto a quelli che scrivono in tema di organizzazione negli anni sessanta, cioè nel periodo caratterizzato sul piano politico-legislativo dai tentativi riformatori e programmatori del centro-sinistra, l'unica strada realistica e compatibile con i principi costituzionali appare quella della evidenziazione di una funzione di indirizzo che si qualifica, in primo luogo, come atti


26 vità di indirizzo politico, per quanto attiene alle grandi scelte che investono responsabilità degli organi costituzionali; in secondo luogo, come attività di indirizzo amministrativo, laddove si tratta di imprimere una direzione definita all'attuazione in sede amministrativa delle decisioni assunte in sede politica. A questa funzione di indirizzo, non a caso, si collegano, tra l'altro, molti degli studi in tema di direzione e coordinamento. Gli studi sull'indirizzo politico prendono le mosse

da V. CRISAFULLI, Per una teoria giuridica dell'indirizzo politico, in Studi urbinati, 1939; fra gli scritti successivi dei costituzionalisti, v. per tutti E. CHELI, Atto politico e funzione di indirizzo politico, Milano 1961 e T. MARTINES, Indirizzo politico, in Enciclopedia del diritto. Fra gli amministrativisti, v. sinteticamente GIANNINI, Istituzioni di diritto amministrativo, cit., .pp. 607 ss.; in particolare sull'indirizzo amministrativo v. ampia-

mente G. CUGURRA, L'attività di alta amministrazione, Padova 1973. Complessivamente, sui rapporti fra potere politico e potere amministrativo, v. A.M. SANDULLI, Governo e amministrazione, in « Riv. trixn. dir. pubbi. », 1966; N. SPERANZA, Governo e pub-

blica amministrazione nel sistema costituzionale italiano. Napoli 1971; CARLASSARE, Amminisira. zione e potere politico, cit.; G. PASTORI, Gli apparati dello Stato e il rapporto politica amministrazione, in L'italia degli ultimi trent'anni, Bologna 1978; G. BERTI, La ,iforma dello Stato, in La crisi italiana, Torino 1979; CASSESE, Il sistema amministrativo, cit.; S. RISTUCCIA, Amministrare e governare, Roma 1980.

GLI STUDI SULL'ORGANIZZAZIONE NEGLI ANNI

70

E LA « RIFORMA BUROCRATICA »

Come si è già avuto modo di rilevare, quella che potremmo definire la nuova stagione della riflessione dei giuspubblicisti italiani in materia di organizzazione amministrativa, inauguratasi negli anni immediatamente successivi all'entrata in vigore della Costituzione repubblicana, trova il suo momento cui.minante nel corso degli anni sessanta, con una serie eccezionalmente numerosa e qualificata di contributi, che propongono temi nuovi ed originali o .prospettano una rilettura di . argomenti tradizionali, introducendo

profonde modifiche nel quadro di riferimento concettuale che componeva in precedenza la teoria dell'organizzazione pubblica. In seguito non mancheranno certo scritti interessati ed importanti nel .settore dell'organizzazione: però - fatta eccezione per pochi, anche se rilevanti casi - a partire dai primi anni settanta, e per tutto il decennio successivo, l'attenzione prevalente degli studiosi sarà rivolta non più a profili teorici generali, bensì alle trasformazioni concrete realizzate, in corso o anche solo progettate nel nostro sistema amministrativo, nella direzione di una progressiva attuazione del modello costituzionale. In questo senso, il riferimento più evidente è alla mole imponente e variegata degli scritti sulle regioni, che accompagna, dalla nascita delle regioni a statuto ordinario nel 1970 fino ai decreti dell'estate 1977 ed oltre, il faticoso processo di definizkrne dell'assetto istituzionale e normativo di questi nuovi enti politici voluti dal costituente. Accanto ed in collegamento con gli studi di diritto regionale, si sviluppano quelli degli autori che pongono al centro della loro riflessione i complessi fenomeni in atto nel settore degli enti locali, partendo dall'analisi dei nuovi organi, enti od aggregazioni di organismi preesistenti, istituiti dalle varie leggi statali e regionali (comunità montane, circoscrizioni, comprensori, associazioni intercomunali, ecc.), passando attraverso la riconsiderazione dei ruolo e dei caratteri strutturali degli enti territoriali tradizionali e la ipotizzazione di nuove forme e livelli di governo locale (pensiamo a tutte le discussioni sul c.d. «ente intermedio »), per giungere al ricco e travagliato dibattito sulla riforma generale della legislazione sulle autonomie locali. Né possono essere dimenticati (ad alcuni di essi abbiamo del resto fatto cenno più sopra) gli scritti di coloro che si sono fatti carico di seguire la vicenda normativa degli


27 enti pubblici funzionali, dalla legge 70 del 1975 alle disposizioni inserite nel DPR 616/1977, fino a tutti i provvedimenti attuativi ed integrativi delle previsioni ivi contenute. Andrebbero anche tenuti presenti, per avere un panoraina sufficientemente completo dei contributi recenti in materia di organizzazione delle amministrazioni pubbliche, i lavori legati alle novità legislative intervenute (o alle proposte di riforma elaborate) in singoli settori o sub-materie: basta citare per tutti il caso della sanità. Ma tutte le analisi e le riflessioni sulle riforme parziali o settoriali realizzate o progettate negli ultimi dieci-quindici anni hanno finito per scontrarsi con il problema più generale di una esigenza di trasformazione complessiva dell'insieme del sistema amministrativo italiano, trasformazione sollecitata ed in qualche modo resa necessaria anche dagli stessi provvedimenti di istituzione o di modificazione di questo o quel tipo di struttura o categoria di enti, cui si è appena fatto riferimento. In questo senso, va registrata proprio nell'ultimo periodo una forte ripresa - soprattutto a partire dal completamento dell'ordinamento regionale e poi dalla presentazione al Parlamento del cosiddetto « Rapporto Giannini » del 1979 del dibattito sulla « riforma burocratica », che, sia pure con motivazioni, ispirazioni e contenuti diversi e mutevoli, I-sa accompagnato un po' tutta la storia politico-culturale delle amministrazioni pubbliche nel corso del nostro secolo. Ed in questo contesto generale di verifica critica e di individuazione degli aspetti e settori della realtà amministrativa per i quali è più forte l'urgenza di un'efficace opera di riconsiderazione e ristrutturazione (sia sul piano funzionale, sia sul piano strutturale), si è da ultimo tornati a prestare attenzione, oltre che al problema degli ordinamenti degli enti infraregionali (del quale prima si è fatta menzione), a

quello fondamentale di un ripensamento dell'assetto organizzativo e dei compiti della amministrazione dello Stato. Storicamente, il dibattito politico e tecnico-giuridico sul tema della riforma amministrativa, dopo le prime polemiche antiburocratiche dell'età giolittia•na, si sviluppa in Italia a partire dalla fine del primo conflitto mondiale, e trova riscontro a livello normativo nelle riforme adottate dal primo fascismo, soprattutto ad opera del De' Stefani: su questo periodo v. CAMERA DEI DEPUTATI (Segretariato Generale), Le inchieste parlamentari

e governative sul problema della burocrazia nel primo dopoguerra italiano, Roma 1969; F. PIODI, La riforma burocratica (1920-1923), in «Riv. trim. dir. pubbl. », 1975; P. CALANDRA, I pieni poteri per le riforme amministrative (1922-1924), in « Riv. trim. dir. pubbi. », 1975; R. RUFFILLI,

La riforma del 1922-24 e la crisi del liberalismo amministrativo, in «Riv. trim. dir. pubbi. », 1975; CASSESE, Questione amministrativa, cit. e, dello stesso, Amministrazione centrale, cit.; CALANDRA » Storia dell'amministrazione, cit. Sulle trasformazioni del periodo fascista, oltre agli studi degli storici citati in preceden2a, è interessante la testimonian-

za di C. PETROCCHI, Il problema della burocrazia, Roma 1944. Altra importante fase di discussione sulla riforma delle pubbliche aqnininistrazioni è quella che coincide con la preparazione della nuova costituzione al termine della seconda guerra mondiale; in particolare, il problema fu affrontato dalle due commissioni di esperti istituite dal governo Bonomi e dal Ministero della Costituente, e presiedute entrambe da Ugo Forti: i risultati dei lavori di queste commissioni si trovano rispettivamente in COMMISSIONE PER LA RIFORMA DELL'AMJvII-

NISTRAZIONE, La legge generale sulla pubblica amminist razione. L'organizzazione amministrativa dello Stato. L'organizzazione amministrativa degli enti pubblici. La giustizia amministrativa, Roma 1948 ed in COMMISSIONE PER STUDI ATTINENTI ALLA RIORGANIZZAZIONE DELLO STATO; Relazione all'Assemblea Costituente, cit.; i lavori preparatori della seconda commissione sono

ora raccolti in Alle origini della Costituzione italiana (a cura di G. D'Alessio), Bologna 1979. Per quanto riguarda l'amministrazione statale, i tentativi di riforma sviluppatisi nel periodo repubblicano sono ricostruiti, oltre che in P. CALANDRA,

Il dibattito sulla riforma amministrativa nel secolido dopoguerra, in « Riv. trim. dir. pubbl. », 1975 (dello stesso autore v. anche Storia dell'amministrazione, cit), soprattutto in G. MARONGIU, Il riordinamento dell'amministrazione pubblica, Mila-

no 1974; SERRANI, L'organizzazione per ministeri, cit.; RAIMONDI, La questione amministrativa, cit.: in questi testi vengono distinti ed analizzati i lavori compiuti dall'Ufficio per la riforma negli anni cinquanta, le proposte della Commissione Medici del 1962-63, le ipotesi concernenti l'amministrazione contenute nei documenti sulla programmazione degli anni sessanta, le leggi di delega del


28 1968 e del 1970, gli effetti della regionalizzazione. Vanno ricordati, inoltre: Ri/orma regionale e organizzazione dei ministeri (Quaderni ISAP, n. 12), Milano 1971; P. CALANDRA, Il riordinamento dell'amministrazione statale, in « Riv. trim. dir. pubbl. », 1973; La riorganizzazione dei ministeri

nel quadro della ri/orma della pubblica amministrazione (Atti del Convegno di Catania, 29.30 giugno 1974), Padova 1975; numerosi saggi ed articoli di S. CASSE,SE, raccolti in L'amministrazione dello Stato, Milano 1966 e in Burocrazia ed economia pubblica, Bologna 1978 (dello stesso autore v. an-

che Il riordino dei ministeri, stato della questione e prospettive, in « Politica ed economia», 1978); ARCIDIACONO, Profili di ri/orma, cit.; G. PASTORI, I progetti di ri/orma delle amministrazioni centrali, in « Prospettive sindacali », 1981; D. SORACE, Ipotesi sul riordinamento dei ministeri, in « Quad. costituzionali », 1982; M. COLUCCI, Am,ninistrazione centrale e A. TRAVI, Amministrazione peri/enea, in La regionalizzazione, cit. Una delle questioni da sempre più dibattute nell'ambito del generale discorso sulla riforma degli apparati statali, cd ancor oggi al centro dell'attenzione, anche per le interconnessioni fra profili politico-costituzionali ed aspetti amministrativi, è quella dell'assetto della Presidenza del Consiglio dei ministri, nella prospettiva dell'attuazione dell'art. 95 Cost.: tra i numerosi scritti in materia, v, sul piano storico E. ROTELLI, La Presidenza del Consiglio dei ministri, Milano 1972 e, per i problemi attuali, P. BARILE, L'ordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri, in Scritti di diritto costituzionale, Padova 1967; G. RIZZA, Il Presidente del Consiglio dci ministri, Napoli 1970; I. BUCCISANO, Premesse per uno studio sul Presidente del Consiglio dei ministri, in « Riv. trim. dir. pubbl. », 1972; i saggi di R. DI PASSIO pubblicati in vari numeri della « Ri'. trim. sc. amm. » dal 1976 al 1980; L'istituzione governo (a cura di S. Ristuccia), Milano 1977; S. CASSESE, Esiste un governo in Italia?, cit.; A.M. SANDULLI, Il pro-

blerna della Presidenza del Consiglio dei ministri, in «Dir, e società », 1980; G. POTENZA, L'ordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri, in « Dir, e società », 1980; Costituzione e struttura del Governo. Il problema della Preside,iza del Consiglio (a cura di E. Spagna Musso), Padova 1979; gli interventi di vari autori in « Rassegna parlamentare » del 1980; una serie di scritti

su Struttura del Governo e ruolo della Presidenza del Consiglio, in « Quad. costituzionali », 1982 (n. I), con ampia documentazione sulle più recenti proposte in materia; gli interventi su L'ordinamento della Presidenza del Consiglio, in « Dem. e Diritto », 1982 (n. 2). Come si è detto - e come è del resto ampiamente noto - negli ultimi anni la discussione sull'amnhinistrazione e le esigenze di riforma di essa ha ripreso vigore dopo la presentazione alle Camere, nel novembre 1979, da parte del ministro per la funzione pubblica M . S. Giannini del Rapporto sui

principali problemi dell'amministrazione dello Stato, cui è seguito nel luglio 1980 un dibattito parlamentare e la votazione da parte del Senato di un

ordine del giorno che ne recepisce le principali indicazioni. Nello stesso periodo, sempre per iniziativa del ministro Giannini, sono state istituite diverse commissioni di esperti, incaricate di studiare i problemi dei vari settori dell'amministrazione e una serie di questioni <(orizzontali » indicate nel Rapporto, e di formulare ipotesi di riforma al riguardo: i risultati dell'attività di queste commissioni sono stati ora pubblicati in « Riv. trim. dir. pubbl. », 1982 (n. 3). Inoltre, lo stesso ministro ha promosso anche una serie di rilevazioni ed indagini sulla realtà organizzativa e sulle funzioni svolte dalle amministrazioni statali, affidate al FORjIVIEZ (i risultati completi di questa ricerca, ormai conclusa da tempo, non sono stati ancora pubblicati). Sul Rapporto Giannini e sulle iniziative ad esso collegate si sono registrati non pochi interessanti interventi in dottrina: fra i tanti, ci limitiamo a ricordare quelli raccolti in « Le Regioni », 1980 (n. 3); M. D'ALBERTI, Alcune riflessioni generali sul « Rapporto Giannini », in « Riv. giur. lav. », 1980; la tavola rotonda su La ri/orma del Governo e della pubblica amministrazione, in « Dem. e diritto », 1981 (n. 4). Infine, va segnalato che di recente è stata organizzata dalla Presidenza del Consiglio una Con/erenza nazionale sulla pubblica amministrazione (Roma. giugno 1982).

E' da augurarsi che questo rinnovato interesse (che sembra estendersi al di là della cerchia dei cultori del diritto ed in genere degli studiosi dei fatti istituzionali) per la « questione amministrativa » possa portare quanto prima a risultati positivi sul piano della concretizzazione delle iniziative per la trasformazione ed eliminazione di quanto c'è di vecchio, inefficiente e difforme dai principi democratici della Costituzione nei nostri apparati pubblici, superando i rischi ugualmente gravi che possono venire dalla frammentazione di soluzioni per problemi che richiedono risposte complessive (o quantomeno coordinate fra loro) da un lato; dall'altro da una nuova sottovalutazione delle questioni concernenti l'amministrazione, come sembra stia avvenendo nel contesto del più recente, interessante ma in verità assai fumoso e contraddittorio dibattito politico-culturale sulla cosiddetta « riforma delle istituzioni », dove fatalmente tendono a prevalere, su quelli amministrativi, i profili costituzionali. Ma, oltre a questo - ed è ciò che in questa


29 sede più ci interessa - è ipotizzabile o perlomeno auspicabile che da tutta la discussione di questi anni sulle riforme (attuate o progettate) delle organizzazioni amministrative possa venire un nuovo impulso alla riflessione giuridica su questa materia, recuperando, accanto al pur meritorio sforzo di analisi e di proposta in ordine ai diversi problemi concreti che di volta in volta vengono sul tappeto, anche la capacità di trarne lo spunto per un ripensatnento delle categorie fondamentali che compongono la teoria dell'organizzazione ed eventualmente per la elaborazione di nuovi concetti e di nuovi istituti. In tal senso, ci sembra interessante ed utile riportare quanto scriveva quindici anni fa un autorevole amministrativista, sintetizzando in modo assai puntuale il significato degli studi sull'organizzazione e le prospettive che si aprono ai giuristi in questo campo: « Lo studio dell'organizzazione amministrativa... sorprende il momento in cui l'attività amministrativa si rassoda in strutture dandosi unità ed effettività di vita e conferendo certezze, e individua le forme in cui ciò avviene, in relazione alle concrete esigenze della realtà ed ai principi sostanziali dell'ordinamento. Non è certo facile per il diritto amministrativo cogliere pienamente questo

aspetto della vita amministrativa, caratterizzato, com'è, dal pullulare tumultuoso delle forme organizzative, dal loro rapido mutare, dal loro vario e complicato intrecciarsi, tanto più sensibili in periodi di trasformazione come il nostro: se l'organizzazione è, ovviamente, il territorio in cui più aspra e complessa si manifesta l'attuale problematica dei rapporti fra Stato e società, il giurista ha davanti a sé un compito veramente difficile. Non so se sia vero che il "regno della pubblica amministrazione aspetta ancora il suo Linneo": sicuramente è vero che moltissimo resta ancora da fare in questo campo. Ma l'importante è che la scienza giuriIica dispone degli strumenti metodologici necessari per cogliere la profondità e la ricchezza dei temi organizzativi, posto che essa intende oggi il rapporto organizzazioneazione come un rapporto dialettico e, di conseguenza, evitando di ridurre lo studio dell'organizzazione ad una astratta tipologia, colloca le forme organizzative in stretto, nesso con la loro genesi storica e con le finalità alle quali esse si commisurano; il che, sia detto di sfuggita, rivela la maggiore ricchezza della conoscenza giuridica rispetto ad ogni forma di conoscenza la quale si fermi ad una astratta ed inerte tipologia » (NI-

GRO, Scienza dell'amministrazione e diritto amministrativo, cit., p. 674).


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La riforma della magistratura amministrativa di Raffaele Man/redi Selvaggi

La legge 21 aprile 1982 n. 186 sull'« Ordinamento della giurisdizione amministrativa e del personale di segreteria ed ausiliario del Consiglio di Stato e dei Tribunali amministrativi regionali », nonostante sia passata quasi completamente sotto silenzio, è figlia di un lungo e tormentato iter parlamentare' in cui si sono riflesse - risultando necessariamente mediate - esigenze diverse e modi storicamente sovrapposti di concepire il sistema di giustizia amministrativa nel nostro ordinament0 2 Ridurre, pertanto, tutto il contenzioso di questi anni a mere spinte corporative tra due organismi, l'uno - il Consiglio di Stato - disposto a non cedere più di quanto avesse già dovuto fare in sede di istituzione dei TAR, l'altro - quello formato dai magistrati dei Tribunali amministrativi regionali - deciso a dare piena attuazione al dettato costituzionale, rivendicando un proprio status ed una propria partecipazione organica ad un unitario sistema di giustizia amministrativa, è certamente errato. Una prima chiave di lettura della legge è quella che ne fa il punto di arrivo di un contenzioso decennale. Tale contenzioso, travalicando interessi meramente corporativi, si ricollega al più ampio complesso di tensioni che hanno accompagnato - nel corso degli anni settanta - le varie rotture del precedente assetto istituzionale 3 , di quella continuità su cui non ha certamente mancato di incidere l'idea, ormai in fase di realizzazione, di uno Stato aperto a garantire al cit.

tadino una pluralità di mezzi, connessi ad organismi diffusi sul territorio e strutturati in due gradi di giurisdizione, contro ingerenze illegittime del proprio stesso apparato. Uno Stato, aggiungono alcuni, che dovrebbe anche soddisfare i sempre più ampi bisogni di partecipazione alla funzione decisionale di movimenti e gruppi spontanei di interesse. Una lettura « storica » della legge 186 pone anche l'esigenza di sottolineare le ragioni che hanno indotto a non accogliere il principio di una rappresentazione giuridica non delle posizioni preesistenti all'azione amministrativa e quindi ripristinabili con l'annullamento dell'atto lesivo (già individuate dalla normativa precedente), bensì di quegli interessi che attendono di essere soddisfatti dall'azione legittima dell'amministrazione. Si è persa così l'occasione per fare del nostro sistema di giustizia amministrativa uno strumento di controllo reale e sostanziale sull'operato della Pubblica Amministrazione. Una lettura « organica » della legge 186 richiederebbe infine •di considerare le ragioni per cui si è rinunciato ad inserire in essa un «pacchetto » di norme procedurali in grado di raccordare e rendere rispondente alle attuali esigenze la normativa sul processo dinanzi alle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato, cui già faceva riferimento in attesa di una apposita legge sulla procedura - l'art. 19 della legge 1034/71. E' un'altra importante occasione mancata: attraverso disposizioni procedurali si sarebbe p0-


31 tuto realizzare un ampliamento di còmpetenze del giudice amministrativo, ad esempio a mezzo di un diverso meccanismo di legittimazione processuale 4 In verità, difficilmente la legge 186 avrebbe potuto affrontare tali temi e introdurre radicali innovazioni funzionali a soli dieci anni di distanza della istituzione dei TAR « che hanno generalmente ben funzionato, hanno fatto una prima, quasi sempre felice, cernita di questioni, hanno preparato il cammino a soluzioni più moderne ». Quanto al codice di procedura il discorso è più complesso e forse la legge 186 non era neppure la sede più opportuna. Alcune modifiche funzionali e procedurali, sia pure di limitata portata, non sono comunque mancate. La più importante riguarda la possibilità che un TAR sia articolato in sezioni nella sua stessa sede principale (art. 13). L'art. 1 poi riduce il numero.dei componenti del collegio giudicante delle sezioni del Consiglio di Stato (che delibera ora con l'intervento di uno dei presidenti e di quattro consiglieri) dando un• buon impulso alla accelerazione del corso della giustizia. Altre innovazioni di ordine processuale attengono infine alla firma della sentenza (è sufficiente la firma del presidente del collegio e dell'estensore) ed i tempi di stesura della stessa (le sentenze debbono essere redatte non oltre il quarantacinquesimo giorno da quello della decisione). .

UNÌTARIETÀ DELL'ORDINAMENTO GIURISDIZIONALE

La legge 186 è nata essenzialmente per coprire un vuoto normativo che il carattere unitario impresso alla giurisdizione concentrata nel complesso TAR - Consiglio di Stato aveva lasciato. Il titolo stesso della legge (< Ordinamento della giurisdizione amministrativa ») eviden-

zia tale esigenza e la volontà del legislatore di affermare l'unitarietà dell'ordinamento superando la vecchia impostazione della legge 1034, che individuava nel sistema TAR Consiglio di Stato un organico complesso giurisdizionale, cioè un insieme di organismi sovrapposti. I mezzi attraverso cui si realizza tale unitarietà sono diversi. In primo luogo, è previsto un unico organo di autogoverno: il Consiglio di Presidenza. Tale organismo, presieduto dal Presidente del Consiglio di Stato in posizione « neutrale », si compone di 6 magistrati in servizio presso il Consiglio di Stato e 6 magistrati in servizio presso i TAR6 . In secondo luogo, il personale di magistratura viene ricondotto a un unico ruolo, realizzando così il principio che i magistrati si distinguono solo per funzione e qualifiche, anche nel campo della giustizia amministrativa. La prima di tali modifiche non sembra possa innescare ulteriori mutamenti nel quadro istituzionale del sistema, anzi rappresenta un punto d'arrivo. L'equilibrata composizione del Consiglio di Presidenza, la previsione di canoni sufficientemente rigidi per l'organizzazione interna dei TAR (art. 6), la conferma del meccanismo deliberativo - decreto del Presidente della Repubblica su proposta del Presidente del Consiglio - per i provvedimenti riguardanti lo stato giuridico dei magistrati (art. 13), offrono, infatti, garanzie sufficienti per la rapida soluzione di ogni forma di tensione interna. Al medesimo fine concorre, poi, lo sviluppo di carriera riconosciuto ai magistrati dei TAR, ai quali si apre oggi, oltre che un varco notevolmente più ampio di accesso al Consiglio di Stato, la via diretta alla Presidenza dei Tribunali amministrativi regionali (art. 21). Decisamente più incisiva è invece la seconda innovazione; in particolare la norma-cerniera (art. 19) che disciplina l'accesso al Consiglio di Stato.E' questa


32 una disposizione davvero qualificante, soprattutto per i processi di trasformazione che ne potranno derivare, e merita una particolare considerazione.

IL MECCANISMO DI ACCESSO AL CONSIGLIO DI STATO

In base all'articolo 19, i posti che si rendar no vacanti nella qualifica di 'Consigliere di Stato saranno conferiti: per la metà, ai Consiglieri dei TAR con dati requisiti (quattro anni di effettivo servizio nella qualifica), previo giudizio favorevole espresso dal Consiglio di Presidenza; per un quarto, ad appartenenti a particolari categorie (professori universitari di materie giuridiche, avvocati con almeno quindici anni di esercizio professionale, dirigenti generali dello Stato, magistrati di corte di appello, equiparati), scelti dal Governo; per un quarto, per pubblico concorso. La legge 186 introduce dunque un nuovo meccanismo di accesso al Consiglio. di Stato ampliando la « fetta » riservata ai Consiglieri di tribunale amministrativo e riducendo di conseguenza sia quella di 'scelta governativa (per cui si pone anche un vincolo qualitati. vo, essendo rigidamente indicate le categorie di soggetti tra le quali va operata la scelta) sia quella riservata a pubblico concorso. Un primo fatto è di immediata evidenza. Attraverso il prioritario meccanismo del ricambio generazionale - legato ad una differente esperienza professionale del magistrato dei TAR - si verificherà quello che non era accaduto neanche con l'approvazione della Carta Costituzionale: una forte rivoluzione all'interno di un organismo - il Consiglio di Stato - che, con i suoi 150 anni di vita appena compiuti, rappresenta da sempre la continuità dello Statò in Italia, essendo titolare di tre funzioni cardine nel nostro siste-

ma: quella giurisdizionale-amministrativa, quella, amministrativa-consultiva, quella di amministrazione attiva (non formalizzata, ma riconosciuta nei fatti attraverso l'inserimento di suoi magistrati nei gabinetti ministeriali). Con ogni probabilità, tale « rivoluzione » avrà effetti limitati all'ambito dell'esercizio della funzione giurisdizionale, ormai già « assestata » dopo la prima scossa prodotta dalla legge 1034. Non è infatti realistica la previsione di radicali, mutamenti giurisprudenziali, dal momento che l'oggetto del giudizio amministrativo in primo ed in secondo grado è sempre identico; potrà esserci, semmai, un minor formalismo. Gli effetti più profondi si potranno forse vedere nell'esercizio della « funzione di amministrazione attiva »: Qui, in verità, la vera rivoluzione è rappresentata dalla disciplina dell'art. 29 che, innovando di poco quanto già in precedenza disposto per i magistrati del Consiglio di Stato, riconosce ex-novo ai magistrati dei TAR la possibilità di inserimento nei diversi organismi di raccordo tra potere politico e potere burocratico (in precedenza, vigeva il rigido divieto sancito dal penultimo comma dell'art. 13 della legge

1034). Basta il solo dato numerico - più che quadruplicatosi - entro cui poter operare la scelta dei « consiglieri del principe » a darci la dimensione delle possibili evoluzioni connesse a tale disposizione. Ben più consistenti appaiono, invece le possibilità di rottura che l'art. 19 può determinare nell'esercizio 'della funzione consultiva.

IL DECLINO DELLA FUNZIONE CONSULTIVA

La configurazione del Consiglio di Stato, come organismo tecnico-consultivo, con ampia capacità di valutazione « ab internp » dell'opportunità e legittimità dei comportame'ni amministrativi, rappresenta l'elemento

o


33 di continuità dell'Istituto al di là delle diverse « rotture costituzionali » del nostro ordinamento. La posizione privilegiata del Consiglio di Stato - dipendenza diretta dal Sovrano e netta separazione dal Governo - risultò infatti appena attenuata quando il nuovo regime costituzionale del nascente Stato liberale venne a spostare il centro di gravità dell'ordinamento statale verso le Camere ed il Gabinetto, riducendo e delimitando, con precise indicazioni normative, la posizione del monarca. Quanto poi alla Costituzione repubblicana, questa sembra riconoscere una posizione di preminenza all'attività consultiva, indicata come la prima funzione del Consiglio di Stato. Tale realtà appare oggi mutata. Le amare seppur velate considerazioni del Presidente Pescatore, in sede di celebrazione del centocinquantesimo anniversario del Consiglio di Stato 7 , sull'affannosa ricerca di un nuovo ruolo per l'Istituto e l'ennesimo tentativo di legittimazione del ruolo consultivo fin qui svolto « particolarmente utile nella vicenda che sta attraveÈsandO l'Amministrazione italiana, ricca nella sua normativa di innovazioni, carica di fermenti e di umori rinnovatori, spinta dalla Costituzione e dalle forze sociali verso nuovi assetti in una società che, nonostante tutto, cammina rapidamente », ne offrono la esatta dimensione. Il problema è avvertito e sottolineato in modo esplicito anche dalla dottrina 8 : « l'intervento consultivo del Consiglio di Stato è ormai venuto meno, in ordine a materie per le quali esso era stato sempre considerato opportuno, direi anzi istituzionalmente necessario. Non si tratta cioè di una esclusione determinata da una decisione del legislatore, a causa di una pretesa inutilità o inopportunità della consultazione, ma di conseguenza, forse non voluta, certo non valutata, di riforme relative ad altri istituti ». In verità il nodo è più complesso, anche se

in una certa misura fisiologico in un sistema dove la funzione di amministrazione attiva tende sempre più a dilatarsi e distribuirsi mentre quella consultiva, per non esserle di ostacolo, deve permearla in ogni momento ed ai vari livelli. Non a caso, infatti, si vengono a moltiplicare, in seno o in appoggio alle amministrazioni, organismi di natura non ben, determinata, con generiche funzioni di proposta e di controllo o con compiti di verifica in senso lato dell'operato delle amministrazioni stesse. Per fare esempi recenti di questa tendenza, basterebbe ricordare la Commissione tecnica per la spesa pubblica presso il Ministero del tesoro e il corpo di super-ispettori tributari (SECIT) presso il Ministero delle finanze. Certo, il Consiglio di Stato sarà sempre titolare di una funzione consultiva « primaria » in ordine ad atti più importanti, quali l'emanazione di regolamenti o la disciplina del trattamento giuridico ed economico nel pubblico impiego. Quanto però ciò sia sufficiente a garantirgli, anche per il futuro, la posizione di crocevia istituzionale obbligato da sempre occupata è difficile valutare. La dialettica in atto tra le istituzioni, il difficile equilibrio nel rapporto Governo-Parlamento, i fermenti che percorrono altri organismi, quali la Corte dei conti, sempre più proiettata a smettere gli abiti di controllore della legittimità formale degli atti per assumere quelli ben più importanti di organo consultivo del Parlamento (ad esempio tramite le varie forme di controllo referente), sembrano infatti evidenziare un progressivo declino dell'Istituto. E' dunque proprio nell'ambito dei poteri consultivi che rischia di rompersi il delicato equilibrio su cui si è retta l'immagine fin qui consolidata del Consiglio di Stato. Il diverso meccanismo di accesso all'Istituto, introdotto dall'art. 19 della legge 186, non contribuirà peraltro ad arginare tale realtà.


34 Ritengo anzi, ed è qui la vera carica dirompente della norma, che il solco sia destinato ad accentuarsi e che il Consiglio di Stato si avvii a divenire inidoneo, proprio per la sua stessa struttura interna, all'esercizio della funzione di consulenza. Ciò è dovuto in primo luogo alla progressiva ed accresciuta presenza nelle sezioni consultive di magistrati dei TAR, provenienti da esperienze più varie, formatisi prevalentemente nell'esercizio di attività giurisdizionali e lontani da tempo dall'amministrazione attiva. Non meno importanti sono le notevoli limitazioni (quantitative e qualitative) imposte al Governo nella scelta delle persone che poi verranno chiamate a prestare qualificata attività di consulenza al Governo stesso. Certo, il sistema ha le sue norme di sbarramento o, quantomeno, conosce una qualche

forma di filtro non connessa alle sole vacanze di posto, un meccanismo cioè di selezione delle unità che andranno ad inserirsi nel Consiglio di Stato. La nomina dei consiglieri .di tribunale amministrativo a consigliere di Stato ha luogo, infatti, solo previo giudizio favorevole espresso dal Consiglio di Presidenza in base alla valutazione dell'attività giurisdizionale svolta, dei titoli, nonché dell'anzianità di servizio. E' evidente comunque che quest'ultima non è una clausola di salvaguardia né un vero elemento di chiusura del sistema. Le modifiche della struttura organizzativa, laboriose nell'entrare a regime, innescano infatti altri processi, sia pure graduali, di trasformazione che si sviluppano con automatismi difficilmente arrestabili verso esiti difficilmente prevedibili.

Se ne ricostruiscono qui i trattati fondamentali: - il 4 febbraio 1974 il Consiglio di Stato riceve l'incarico di formulare uno schema di disegno di legge per il completamento del sistema di giustizia amministrativa; - il 22 maggio 1975 lo schema viene approvato dall'Munanza Plenaria; - il 30 dicembre 1976 il Consiglio dei Ministri approva e trasmette al Senato uno schema completamente diverso da quello elaborato in seno al Consiglio di Stato; - il 18 gennaio 1977 lo schema è assegnato alla prima Commissione del Senato (A.S. n. 461). Contemporaneamente vengono presentate alcune proposte panlanientari (AA.SS. nn. 659, 734, 869); - il disegno di legge approvato dal Senato in un testo unificato e trasmesso alla Camera (A.C. n. 2707) decade a seguito della chiusura anticipata della legislatura; - nel corso dell'ottava legislatura il Senato approva, il 21 maggio 1980, un testo unificato dei disegni di legge AA.SS. nn. 20, 55 e 110; - il testo unificato trasmesso alla Camera (A.C. n. 1768) viene discusso assieme ad altri disegni di legge di iniziativa parlamentare (AA.CC . nn. 1243, 1633, 1652) ed approvato con modificazioni; - il nuovo testo unificato, trasmesso nuovamente al Senato, il 14 aprile 1982 viene approvato definitivamente dalla prima Commissione divenendo la legge 21 -aprilè 1982 n. 186.

La posizione del Consiglio di Stato è ben sintetizzata nel parere 9 febbraio 1978 n. 1164/1977 dell'Adunanza Generale, parere richiesto dalla Presidenza del Consiglio sui disegni di legge di iniziativa parlamentare per la costituzione di un ruolo unico dei magistrati amministrativi: « allorquando l'Assemblea Costituente risolse di inserire nella Costituzione della Repubblica le disposizioni che hanno fatto del Consiglio di Stato un organo di rilevanza costituzionale, essa ebbe presente l'Istituto quale era al momento in cui essa deliberava... Il Consiglio di Stato fu individuato, cioè, come organo con attribuzioni di consulenza giuridico-amministrativa nonché di giustizia amministrativa, giurisdizionale e non giurisdizionale, collocato al centro dell'ordinamento della Repubblica ed affiancato agli organi costituzionali dello Stato: tal quale risultava dalle norme preesistenti che lo concernevano. Ma, poiché la rilevanza costituzionalé di un organo consiste in ciò, che esso non può esser modificato da leggi ordinarie in quel che forma oggetto di norme della Costituzione, devesi concludere che ogni riforma diretta a tramutano in una mera giurisdizione amministrativa a struttura diffusa, a degradare il livello delle attribuzioni consultive rispetto a quelle giurisdizionali, a rompere i nessi con il potere esecutivo dello Stato, altera il regime costituzionale dell'Istituto... L'Assemblea Costituente non ha previsto un Consiglio di Stato, bensì quel Consiglio di Stato -che già presentavasi come real2


35 tà concreta ed operante; conservare 'còn il medèsimo nome, alcunché sostanzialmente diverso, non evita il contrasto con il testo costituzionale ». Quarto alle posizioni della magistratura dei Triburiali amministrativi esse sono state vivamente espresse nelle numerose forme di protesta di questi ultimi anni. A titolo di esempio si riportano alcuni passi tratti dal numero zero (maggio 1979) della rivista « Rassegna TAR - Bollettino mensile delle sentenze, informazioni, consulenze e commenti itullé attività dei 19 Tribunali amministrativi regionali a: « L'istituzione di tali Tribunali è stata attiata mediante l'inserimento degli stessi nella giurisdiione amministrativa ordinaria intesa come un còmplesso avente il vertice nel Consiglio di Stato. Tale soluzione trova la sua spiegazione più vera nel!la seria preoccupazione di evitare che la riforma in questione potesse in definitiva svolgersi al di fuori della tradizione giurisprudenziale che il Consiglio di Stato aveva tracciato in circa 84 anni di attività... Ma put se innegabilmente giustificate sono, dwxiue, le attese della categoria, la necessità urgente di una radicale riforma dell'attuale assetto di giustizia amministrativa trova, in realtà, fondamento in ben altre e più 'generali' esigenze. 'Si tratta certamente di non, deludere quelle giuste aspetta. tive, ma soprattutto di non deludere la fiducia che il corpo sociale e le stesse pubbliche amministra-

zioni vannò acquistando versò questi nuovi organismi, per la speditezza e validità dei loro interventi a tutela degli interessi singoli e collettivi a., Sul 'tema può essere interessante consultare: S. RISTUCCIA, Amministrare e Governare, Roma 1980: Per una organica valutazione, v. Tribunali Am-' ministrativi Regionali: un primo bilancio, in « Queste Istituzioni » n. 20. Utile anche la consultazione: degli atti del Convegno La Giustizia Amministra tiva come funzione dello Stato democratico, Venezia 1979 e, in particolare, IVONE CACCIAVILLANI,

Deficienze normative 'e inefficienza strutturale dei TAR. ALDO MARIA SANDULLI, La. Riforma, della Magistratura Aministrativa, m in « Foro' Amministrati-

vo », n. 7/8, 1982. Da notare che un numero uguale di membri in rappresentanza del Consiglio di Stato e dei TAR è eletto da due collegi numericamente assai differenti tra loro. I GABRIELE PESCATORE, Il Consiglio di Stato da

Carlo Alberto ai problemi attuali, in Celebrazioni per il centocinquantesirno anniversario della fondazione del Consiglio di Stato. LIONELLO LEVI S,ANDRI, Sul 'nuovo ordinamento della giurisdizione amministrativa, in « Rivista tnniestrale di diritto pubblico », n. 2, 1983.


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