Anno XI1 n. 65- Iglio-settenbre 1984
trimestrale - spcd. in abb. postale gr. IV/70
questo istituzioni a
Programmi spaziali e potere amministrativo Walter A. Macdougall Tecnocrazia e politica nell'era spaziale Benedetto Purificato Un posto nella spazio: l'Italia e la collaborazione internazionale
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Polverizzando ogni record stagionale, il 2 agosto scorso il Parlamento ha deJÌnitivarnente approvato in soli quattro giorni, da lunedì a giovedì, un disegno di legge d'iniziativa governativa per la concessione al CNR di un contributo integratzvo per l'attuazione di programmi spaziali nazionali. Nell'occasione il Parlamento ha addirittura battuto in velocità il Governo, che quell'iniziativa aveva approvato il 23 luglio e presentato alla Camera soltanto - sifa per dire - il 30 luglio. Che accade, dunque? Siamo forse entrati, senza neppure accorgercene, nell'era del decisionismo? O forse l'ebbrezza spaziale» che - a quanto sostiene Walter A. Macdougall nell'articolo che pubblichiamo in questo fascicolo - già contagiò Lenin e il Soviet supremo delle repubbliche socialiste sovietiche negli anni Trenta, hajìnalmente vinto, cinquant'anni dopo, anche le difese immunologiche del Parlamento italiano? Il dubbio resta. Ma la notizia, comunque, è di quelle che meritano d'essere segnalate: se non per l'entità (appena 94 miliardi di lire) eper la natura (meramente integrativa) del finanziamento, certamente per la singolare unanimità di consensi che ha sostenuto l'iniziativa. L'impegno spaziale dell'italia è injìztti un terna che non aveva mai acceso in
MAGGK1I EDITORE
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passato entusiasmi eccessivi e meno che mai favorito decisioni unanimi.- per un innato scetticismo di fondo nei confronti di un 'impresa sci entfìca ed economica che pareva a dir poco azzardata, assai piii che per ragioni debitamente circostanziate. Con questo scetticismo, e con le cautele anche finanziarie che ne sono derivate, la presenza italiana in campo spaziale, sia che fosse organizzata in forma autonoma sia che fosse inserita nel contesto di collaborazioni internazionali, ha sempre dovuto fa re i conti risultandone, piì4 che frenata, ora incerta ora con traddittoria. Sembra adesso - e l'osservazione va ben oltre l'occasione della legge appena approvata - che il clima complessivo conosca un sostanziale mutamento d'umori e che d'un tratto ogni antico atteggiamento di prudenza o d'esitazione si dissolva nell'invito rivolto dal Parlamento at Governo a manifestare per segni concreti «la volontà dello Stato di mantere ed espandere la propria presenza anche competitiva nel settore spaziale mondiale» (ordine del giorno unitario accolto dal Governo e approvato il 2 agosto scorso dalla Commissione istruzione della Camera). Un po' d'Italia nello spazio dunque. Ma per che fare? Con quali attese? E sulla base di quali calcoli di ricaduta tecnologica diffusa per tutto il tessuto industriale? Per ora, almeno, questi interrogativi restano senza risposte convincenti. E però sperabile che - made in Italy a parte - questa «presenza anche competitiva» sia stata pensata e voluta immaginando risultati e applicazioni industriali pizi interessanti, anche. se meno spettacolari, del fluido speciale prodotto e sperimentato da una consociata Montedison nell'ambito di un programma spaziale internazionale e utilizzato poi con successo - come hanno mostrato le televisioni di mezzo mondo - per riportare a galla le banconote contenute nella cassaforte dell'Andrea Doria.
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Tecnocrazia e politica nell'era spaziale di Walter A. Macdoz4gall
L'<era spaziale», nata con i primi satelliti artificiali nell'autunno del 1957, si avvia velocemente a compiere trent'anni. Le origini della tecnologia spaziale già appartengono alla storia mentre lo Space Shuttle, il razzo europeo Ariane, le stazioni spaziali permanenti dell'Unione Sovietica e il progetto di armi laser spaziali aprono una seconda era spaziale di cui non è agevole immaginare i possibili sviluppi. Ma che cos'è l'«era spaziale»? Lo Sputnik I ha forse segnato l'inizio di un periodo distinto della storia dell'uomo e del comportamento collettivo? Si tratta di domande importanti in un momento storico in cui la società, la politica, l'economia e la diplomazia di tutti gli Stati devono fare i conti con una rivoluzione tecnologica permanente. Alla loro apparizione, sembrò che i primi Sputniks operassero un capovolgimento dell'ordine internazionale nato dalla seconda guerra mondiale. L'Unione Sovietica sembrava prossima a raggiungere una parità strategica con gli Stati Uniti, i quali per la prima volta dal 1918 venivano a trovarsi sotto una minaccia militare diretta. La corsa agli armamenti conosceva un grosso salto qualitativo e il calcolo su cui si erano basate le relazioni degli europei, dei cinesi e dei paesi neutrali con le superpotenze mostrava le prime crepe. Negli Stati Uniti come in tutto il mondo industrializzato, la sfida spaziale e missilistica si tramutò, con la media-
zione di Aormi apparati di ricerca finanziati dallo Stato, in una rivoluzione tecnologica istituzionalizzata e, quindi, in un cambiamento sociale, economico e forse culturale sempre più rapido. La tecnologia spaziale ha modificato i1 rapporto dell'uomo con l'ambiente naturale in maniera che non trova eguali in tutto il periodo storico successivo alla diffusione delle ferrovie. Le macchine possono oggi viaggiare, portare distruzione, conservare e trasmettere informazioni, osservare e conoscere la terra e l'universo come nel 1957 non era neppure immaginabile. Si può dire che ogni campo della scienza abbia fatto un balzo in avanti o abbia conosciuto profonde trasformazioni sulla base di esperimenti e dati spaziali. Lo Sputnik sembra essere stato insomma un potente catalizzatore storico. Un cambiamento simile a quello che distingue l'era spaziale e avvenuto anche nella politica interna e in quella internazionale? L'esplosione della scienza e della tecnologia e il suo impatto sulla societa negli anni Sessanta suggeriscono una risposta affermativa. John K. Galbraith e Daniel BelI hanno parlato di un'età postindustriale, Charles S. Maier di un'eta in cui un intenso sfruttamento politico del pensiero umano può sostituire quello delle materie prime e del lavoro. Persino i teorici sovietici hanno usato la frase «rivoluzione scientifica e tecnologica» per definire il mondo del dopo Sputnik: se 129/3
chimiche e metallurgiche necessarie per la ricerca nel campo dei razzi erano sviluppate già negli anni Venti, l'investimento richiesto dai voli orbitali era così alto, e i benefici immediati sia economici che militari così incerti, da fare dell'avventura spaziale qualcosa di simile alla circumnavigazione del mondo nel XV secolo. Già alla fine del XIX secolo Kostantin Tsiolkovsky e altri della sua generazione avevano sostenuto che i razzi erano il mezzo per rompere le catene della gravità e realizzare l'antico sogno di viaggiare al di là dell'atmosfera. Ma fino agli anni Trenta la scienza dei razzi era stata coltivata da singole persone come Robert Goddard negli Stati Uniti o da circoli ristretti come il Verein fur Raumschif fahrt di Herman Oberth o il GIRD di Frederik Tsander nell'Unione Sovietica. Le radici dell'era spaziale si possono, perciò, collocare alla fine degli anni Trenta, quando si stabilì un rapporto di collaborazione organica fra industria missilistica e apparato militare. Il sociologo William Sim Bainbridge ha tentato di distinguere il ruolo delle persone da quello delle organizzazioni nelle origini del volo spaziale, che considerava uno sviluppo nient'affatto inevitabile e anzi accidentale. A suo avviso la scienza dei razzi era qualcosa al di fuori della «scienza normale» nel senso Kuhniano, e quindi poteva essere spiegata solo in termini di «processi sociali che operano al di fuori dei meccanismi convenzionali di mercato». In genere si crede che il lavoro degli scienziati dilettanti sia stato «preso» dai militari che, specialmente nella Germania nazista, ne promossero poi lo sviluppo per scopi politici. Secondo Bainbridge, invece, ALLE ORIGINI DEL VOLO SPAZIALE fu il movimento per il voio spaziale a Anche se le conoscenze matematiche, fare in modo che l'esercito tedesco fos-
il capitalismo modificava le sue leggi, anche la teoria leninista doveva adattarsi alla nuova situazione e ricomprendere la scienza tra i fattori produttivi. I campi che più spesso vengono indicati come luoghi di cambiamento rivoluzionario nell'era spaziale sono quelli della politica internazionale, del ruolo politico della scienza e degli scienziati, delle relazioni fra lo Stato e la trasformazione tecnologica, della cultura politica e dei valori nei paesi tecnologicamente avanzati. Questo saggio fa il punto sull'impatto della tecnologia spaziale in questi quattro campi e prospetta alcune ipotesi per una futura ricerca. La conclusione cui perviene è che esagera sia chi parla di conseguenze rivoluzionarie della conquista dello spazio e delle relative tecnologie sia chi ne sminuisce l'influenza. La storia delle relazioni fra politica e tecnologia è, infatti, in pieno svolgimento. Dal 1860 è progressivamente cresciuto l'interesse dei governi al finanziamento diretto del progresso scientifico e tecnologico. Ma all'interno di tale evoluzione lo Sputnik ha improvvisamente interrotto ogni continuità, innescando mutamenti che hanno portato i governi a farsi promotori non già di una semplice trasformazione tecnologica, ma di una rivoluzione tecnologica permanente. Soprattutto questo cambiamento ci permette di definire «periodo storico» l'era spaziale e aiuta a spiegare le ragioni di un fenomeno che è sotto gli occhi di tutti: la storia cammina oggi più in fretta che in ogni altra epoca.
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se «preso» dal missile; i governi della Germania, e più tardi quelli degli Stati Uniti e dell'Unione Sovietica, furono insomma abilmente usati dai sostenitori della ricerca spaziale per i loro scopi. Questa tesi paradossale sottolinea non solo la capacità tecnica, ma anche l'abilità manovriera di uomini come Wernher von Braun e Walter Dornberger, che riuscirono a vendere agli amministratori del danaro pubblico progetti come il V-2 o i razzi giganti Saturno, che in realtà comportavano un uso non proprio oculato dei fondi governativi. I razzi, quindi, apparvero in una situazione tecnologicamente rivoluzionaria, determinata dalla presenza di un patron ricco e incompetente assillato da problemi che avrebbero potuto essere risolti con innovazioni tecnologiche. In tale situazione, i programmi spaziali potevano svilupparsi al di fuori di ogni razionalità logica. Ma oltre al forte. slancio promozionale, altre condizioni concorsero a rendere possibili gli avanzamenti tecnologici. il missile balistico prototipo, il V-2, fu anche la conseguenza delle restrizioni militari ed economiche imposte alla Germania con il trattato di Versailles, che aveva consentito, e anzi incoraggiato, lo sviluppo scientifico e tecnologico tralasciando peraltro di mettere al bando la ricerca sui razzi. Il V-2 nacque anche dalla crescente cooperazione, fra le due guerre, della scienza e dell'industria tedesca con l'esercito, dall'alta qualità dei prodotti dell'industria metallurgica, chimica e elettrica tedesca che promossero in modo pionieristico la ricerca privata, dal sostegno di un Terzo Reich «modernista» e del suo Fùrer fanatico dei prodotti tecnici, e dalle stesse necessità belliche dell'impero nazista assediato, specialmente dopo
la perdita della superiorità aerea. 11 V-2 si sviluppò in seguito nel Vostok e nello Jupiter C., i primi vettori spaziali sovietici. Anche gli elementi che resero possibile questo sviluppo sono molteplici: la pressione della guerra fredda, le necessità strategiche dell'Unione Sovietica, gli accordi scientifico-militari della seconda guerra mondiale e, non ultimo, la realizzazione della bomba atomica, senza la quale i missili balistici sarebbero rimasti armi senza valore e tali, comunque, da non meritare grossi investimenti. Il più convincente argomento contro la tesi del «movimento sociale» è l'origine sovietica del primo satellite. Dopo lo Sputnik I, gli americani si illusero che le spettacolari imprese spaziali sovietiche fossero solo un caso fortunato, dovuto alla collaborazione di scienziati tedeschi catturati o ad azioni di spionaggio o al genio di qualche persona. A uno studio attento, la storia della missilistica sovietica non rivela niente di tutto questo. Piuttosto, il salto nello spazio fu il risultato del tutto conseguenziale del primo Stato tecnocratico mondiale; di sicuro i sostenitori del volo spaziale non cercarono di ingannare il Cremlino, per ottenerne l'appoggio materiale. Ma l'elemento concreto che determinò l'avvento dell'era spaziale fu la competizione apertasi dopo il 1945 per il miglior mezzo di trasporto delle armi nucleari. Hiroshima spinse Stalin ad accelerare il programma atomico sovietico e a ordinare, già nel 1947, il rapido sviluppo dei missili intercontinentali. Ma per cuanto urgente potesse essere la necessita di controbattere la minaccia rappresentata dalle basi dei bombardieri americani che circondavano il loro territorio, mai e poi mai i léaders sovietici avrebbero potu131/5
to ottenere in dieci anni la costruzione degli ICBM se l'esperienza russa in materia di razzi non avesse affondato le radici negli anni Venti e se i finanziamenti straordinari e il supporto politico alla ricerca non fossero cominciati nel 1918. In Russia la prima guerra mondiale non aveva avuto mai termine e la mobilitazione statale di tecnici e scienziati, che si era sviluppata in tempo di guerra, rimase il perno anche della politica di pace. Promuovere la ricerca, controllandola bene dal centro e finanziandola senza risparmio, equivaleva al «programma di un secondo partito», come disse Lenin inaugurando il Gospian nel 1920. La ricerca tecnologica fu il principale strumento della corsa all'industrializzazione, al superamento dell'occidente: era su questo terreno che si doveva dimostrare a tutto il mondo la superiorità del socialimo. Il volo spaziale in sè, a parte i suoi usi militari, affascinava Lenin e, dopo il 1937, anche il Politburo, che cominciò a organizzare e finanziare le ricerche spaziali quasi nello stesso momento in cui l'esercito tedesco apriva le proprie porte agli studiosi di missilistica. La natura della presa bolscevica del potere e l'ideologia comunista favorivano lo sviluppo della tecnologia avanzata, che poteva dare lustro e legittimazione al regime. I rnass media sovietici passavano sotto silenzio le purghe degli anni Trenta, ma esaltavano ampiamente gli aviatori (le Aquile di Stalin), le loro gesta e i loro primati come simbolo del «nuovo uomo sovietico» e della sua ambiziosa tecnologia. Fino al 1941 i còstruttori di razzi sovietici rimasero alla pari, sul piano delle acquisizioni teoriche, con i loro colleghi tedeschi di Peenemiinde. Ma mentre le vicende 6/132
della guerra fecero progredire notevolmente la scienza missilistica tedesca, la sua durata, invece, rallentò gli sforzi dei sovietici. Quando nel 1945 l'Armata Rossa si impadronì degli stabilimenti di produzione del V-2, gli ingegneri sovietici recuperarono rapidamente il ritardo, ma non fu certo questo a creare le basi del programma missilistico. L'assalto allo spazio si accordava in modo esemplare alla concezione scientifica comunista del dominio della natura; le esigenze militari del dopoguerra fecero il resto. Lo Sputnik era ormai solo una questione di tempo. Altre caratteristiche del regime sovietico furono peraltro d'ostacolo al progresso della tecnologia dei razzi. Il brillante capo disegnatore dell'astronautica sovietica, Sergei Korolev, e il piÙ importante esperto di propellenti e dinamica dei gas, Valentin Glushko, passarono circa Otto anni negli sharagas, gli affollati uffici-prigione delle grandi purghe staliniane. Assieme alle loro furono rallentate o spezzate le carriere di un numero imprecisato di tecnici. Ma i difetti propri di tutta la scienza sovietica (interferenze politiche, terrore, incompetenza dei vertici e segretezza) colpirono la ricerca militare assai meno di quella civile. L'eccellente studio di Kendal E. Bailes sulla tecnologia sovietica prima del 1941 elenca le caratteristiche salienti della ricerca: tensione fra importazione e spinta alla creatività interna; mancanza di stimoli competitivi interni; inibizione causata dal terrore di Stato; resistenza alla creazione di una classe privilegiata come risultato della professionalizzazione della ricerca; carenza di lavoratori specializzati; preferenza, secondo lo spirito e la tradizione russa, per la scienza pura rispetto alla scienza applicata; separatez-
za della ricerca dalla produzione; tenNell'agosto del 1957 i sovietici avevadenza ad anteporre le considerazioni no già sperimentato con successo un tecniche all'efficienza economica. ICBM, ma fu solo il successivo lancio Sommate all'arretratezza storica del primo satellite per mezzo di dell'economia russa, queste caratteristi- quell'enorme razzo a sconvolgere le che del sistema comunista fanno appa- idee preconcette delle élites americane, rire la precedenza sovietica nella corsa europee e del terzo mondo. Come aveallo spazio un caso fortemente anomavano potuto gli Stati Uniti, dalla cui lo. Ma la tecnologia militare era davve- superiorità dipendevano le sorti del ro un caso speciale in ogni senso. In- mondo libero, perdere la corsa allo tanto, aveva priorità nella ripartizione spazio? Il panico che si diffuse dopo lo di uomini, mezzi e finanziamenti. Una Sputnik, amplificato dai mezzi di instretta supervisione politica, dannosa formazione, esigeva risposte tempestiin altri settori, era poi di grande aiuto ve e, se possibile, rassicuranti. alla tecnologia strategica perche elimi- Il sottocomitato del Senato per i servizi nava strettoie burocratiche. La mag- armati presieduto da Lyndon B. Johngior parte delle caratteristiche negative son accreditò la tesi di una cattiva Amelencate da Bailes non toccavano la ministrazione repubblicana: la rivalità missilistica, cui al contrario la necessità fra i vari servizi, l'antipatia che per i politica del regime di dimostrare la su- missili nutrivano i big bomber boys e i periorità militare e tecnologica della pesanti limiti di bilancio imposti da grande patria socialista offriva forte in- Dwight David Eisenhower, tutto ciò centivo. Se consideriamo il talento na- aveva contribuito al «pasticcio missiliturale dei russi, l'assistenza (peraltro li- stico» del Pentagono. Nel paese, pandit mitata) del gruppo tedesco di Helmut e politici dipingevano lo Sputnik come Gròttrup, il pieno appoggio dell'eco- un simbolo del malessere americano: nomia di pace, il balzo sovietico nello educazione permissiva, denigrazione spazio diventa meno misterioso. Rima- delle «teste d'uovo>, compiacenza e ne tuttavia ancora da spiegare la rela- consumismo richiedevano un esame di zione fra le industrie tecnologicamente coscienza nazionale. Per «Life» «c'era avanzate (molte delle quali si dovranno proprio di che sentirsi terrorizzati» e integrare con la missilistica) e il sistema Bernard Baruc.h profetizzava con amaeconomico nel complesso. Il dibattito ra ironia: «se l'America andrà allo sul ruolo, e più ancora sull'origine, di scontro, ci andrà su una cabriolet a due «settori trainanti» nella rivoluzione in- colori». dustriale inglese mostra sorprendenti Ma gli storici non devono cercare negli analogie con il caso spaziale. anni Quaranta e Cinquanta le premesse dell'era spaziale. L'Amministrazione Truman aveva cancellato il primo satellite e i programmi avviati nel 1945 SAFII liii F, ORDINE MON I)l,\ LI dalla marina e dall'areonautica perché non esisteva, né sarebbe esistita fino alIl problema centrale per gli storici la costruzione della bomba leggera a dell'era spaziale sta nel valutare l'im- idrogeno dopo il 1954, una missione patto mondiale dello Sputnik I. remunerativa per grandi razzi. Anche 13317
allora, Nelson Rockfeller fu tra i pochissimi a capire che il prestigio del primo satellite «rende questa una gara che non possiamo permetterci di perdere». In quegli anni l'Europa e l'Asia vivevano in piena guerra fredda; l'Armata Rossa e la sovversione comunista erano le principali minacce, lo Strategic Air Comand e la CIA le necessarie contromisure. Una gara di prestigio per «cuori e cervelli>, in un mondo in cui la preminenza spaziale avrebbe avuto un ruolo sempre più importante, era inconcepibile per Eisenhower prima dello Sputnik I e finanziariamente avventata dopo. Frattanto, l'incombente potenza missilistica sovietica, sorvegliata strettamente dalla Casa Bianca durante gli anni Settanta, più che panico suggeriva colloqui per il disarmo. L'avvento di quella che per i sovietici era la «nuova era» poteva essere il momento propizio per trovare un accordo sul controllo internazionale delle armi che minacciavano l'intero pianeta. Ma le nuove tecnologie rafforzarono invece i fattori politici che ostacolavano tale controllo. Le opportunità offerte dai missili nucleari per un attacco di sorpresa, i tempi lunghi necessari per azionare i complessi sistemi missilistici di difesa, la possibilità di usare la «sorpresa tecnologica» a fini di ricatto politico, e i problemi insormontabili della verifica del disarmo, tutto ciò ostacolava una formula diplomatica di controllo delle armi. L'assenza di soluzioni diplomatiche peraltro fu una fortuna per la tecnologia spaziale, che avrebbe incontrato un forte freno qualora i «missili spaziali esterni», come furono chiamati, fossero stati messi al bando o severamente controllati. Altri imperativi strategici, estranei alla volontà presidenziale e a 8/134
considerazioni sull'ordine mondiale, favorirono il rapido sviluppò della tecnologia spaziale. Per prima cosa, il fatto puro e semplice che la guerra fredda opponesse una società aperta ad una chiusa rendeva convenienti, per gli Stati Uniti, tecniche segrete di sorveglianza, in caso sia di corsa agli armamenti che di controllo. Convenzioni per la regolamentazione dei satelliti spia erano già state stipulate nel 1956, prima dello Sputnik, ed è provato che l'interesse a stabilire la legalita dei voli orbitali dei satelliti (la «libertà di spazio») ebbe parte nell'insistenza di Eisenhower sul programma del satellite civile Vanguard e accrebbe il rischio di perdere la «corsa» dei satelliti. La forza strategica sovietica spingeva inevitabilmente gli americani a studiare tecniche sofisticate e inattaccabili di sorveglianza (diverse, cioè, dall'U-2). In secondo luogo, una forza ICBM funzionale a una strategia che andasse oltre la cruda minaccia di «distruzione delle città» richiedeva un sistema di satelliti di sostegno per la geodesia, la meteorologia, l'inseguimento dei bersagli, l'avvistamento a distanza, la ricerca elettronica e la sorveglianza. L'Unione Sovietica respinse i passi americani per il controllo della tecnologia missilistica e spaziale, ponendo• la duplice pregiudiziale dello smantellamento delle basi straniere e del «disarmo generale e completo» senza ispezioni. Gli Stati Uniti, da parte loro, puntavano al divieto degli usi «aggressivi» piuttosto che degli usi «militari>, per coprire i propri satelliti militari. Così, mentre gli unici oggetti in orbita - Sputniks, Explorers e Vanguards - erano contributi all'anno geofisico internazionale, e mentre folle di pacifisti in tutto il mondo scandivano lo slogan dello
«spazio per la pace», la militarizzazione dello spazio procedeva inarrestabile. I sovietici— come tutti, del resto - rimasero sorpresi dall 'impatto degli Sputniks e dei Luniks. Gli effetti propagandistici ottenuti contribuirono a grandi trasformazioni nell'Unione Sovietica: tra le prime, un'altra impennata delle spese per la ricerca. Nikita Khrushchev inaugurò la sua politica di difesa new look congedando subito dopo lo Sputnik il leggendario eroe di guerra Maresciallo G.K. Zhukov e dando priorita alle nuove forze missilistiche strategiche. Negli Stati Uniti la rabbia per il «divario missilistico» favorì l'elezione alla presidenza di John Kennedy e diede una spinta alla costruzione di nuove e potenti armi (specialmente le migliaia di Minuteman ICBM e i sottomarini Polaris) che crearono una consistente superiorità missilistica sull'Unione Sovietica, la quale cerco di. ribattere il colpo installando missili a medio raggio a Cuba. In seguito alla crisi cubana dell'ottobre 1962, le due superpotenze si mossero rapidamente verso un trattato di divieto parziale degli esperimenti, dopo il quale l'Agenzia per il controllo delle armi e per il disarmo riaccese le speranze di un congelamento della tecnologia missilistica prima che i missili antibalistici, i vettori rientranti multipli (MIRV), l'accrescimento della precisione e altri «miglioramenti» del genere arrivassero a destabilizzare l'equilibrio del terrore. Un allarmato rapporto della NASA rivelava che ben undici delle quattordici migliorie dei missili che i controllori delle armi speravano di mettere al bando erano importanti o vitali all'esplorazione e all'uso dello spazio. Il controllo della ricerca sulle armi avrebbe soffocato sul nascere i programmi spazia-
li. Il problema di cambiamenti tecnologici per il controllo degli armamenti non solo quello di prevenire l'applicazione militare delle nuove tecnologie; nasce invece soprattutto dal fatto che i sistemi operativi per uso militare e per uso civile sono virtualmente identici. Nonostante ciò, nei primi anni della tecnologia spaziale era viva l'attesa di accordi internazionali in grado di bloccare il processo di militarizzazione dello spazio. In effetti, il diritto spaziale conobbe allora una rigogliosa fioritura sulla base di un certo numero di accordi diplomatici (il Trattato delle Nazioni Unite sullo spazio del 1967; le con-. venzioni riguardanti la registrazione delle astronavi, le responsabilità, i salvataggi di astronauti, l'uso dei satelliti di comunicazione e delle frequenze radio; i negoziati sulle trasmissioni dirette via satellite, sull'osservazione a distanza della terra e sullo sfruttamento della luna). Le due prime contrapposte scuole di diritto spaziale, la naturalista e la positivista, discutevano se fosse piÙ opportuno codificare la regolamentazione delle attivita spaziali o seguire una prospettiva di common law. Il dibattito non era del tutto ozioso, volendo studiosi e politici evitare il ripetersi del fallimento registratosi per la disciplina dell'uso della energia atomica dopo il 1945. Ma la rivoluzione tecnologica rende leggi e regolamenti continuamente obsoleti. Le Commissioni giuridiche internazionali si muovono lentamente; la tecnologia speciale molto in fretta. Ne è derivata una legislazione più di principio che di dettaglio, nella quale conta assai più lo spirito che la lettera delle norme. Il Trattato spaziale sconfisse le mire di dominio nazionale sui corpi celesti e 135/9
vietò la messa in orbita di armi di distruzione di massa. Stabili, inoltre, il libero accesso allo spazio per motivi non aggressivi, riconoscendo cosÌ quelle esigenze tecnologiche e geopolitiche che suggeriscono per lo spazio l'opportunità di un regime di sostanziale laissez faire. Dopo le iniziali schermaglie della guerra fredda, i leaders americani e sovietici riconobbero che era interesse comune prevenire ingerenze da parte delle Nazioni Unite. Funzionari americani dentro e fuori il Pentagono espressero una tesi non dissimile da quella del mernorandum del Foreign Office di Sir Eyre Crowe del 1907 riguardo alla spavalda sfida tedesca. Qualsiasi paese, scriveva Crowe, vorrebbe essere arbitro della situazione; ma in caso di fallimento, tutti vorrebbero come arbitro la Gran Bretagna. Allo stesso modo, l'egemonia americana potrebbe assicurare la libertà di spazio per tutti. I sovietici suggerirono una analogia differente (la stessa proposta per la prima volta da Lyndon Johnson): come l'impero romano dominò la terra con il suo sistema di strade, l'impero britannico il mare e quello americano l'aria, cosÌ ora lo spazio era il terreno decisivo: chi lo avesse dominato avrebbe potuto al tempo stesso dominare il mondo. Nessuna delle superpotenze mostrò di gradire il tipo di controlli multilaterali proposti dalle Nazioni Unite. L'unica via per la distensione nello spazio era la cooperazione fra potenze sovrane. Come notò il politologo Don E. Kash negli anni Sessanta, cooperazione era una «parola divina; chi poteva essere contro?». Ma la stretta connessione tra tecnologia e interessi nazionali militari ed economici limitò notevolmente la possibilità di cooperazione tra gli Stati 10/ 136
Uniti, l'Unione Sovietica e gli Europei. INTELSAT, il consorzio internazionale per satelliti di comunicazione fondato nel 1963, suggeri a qualcuno che le necessità tecnologiche avrebbero potuto spingere, assai più che la volonta politica, verso la cooperazione. Per motivi finanziari e funzionali, questi e altri sistemi economici di satelliti (ad esempio, quelli per la rilevazione delle risorse terrestri) richiedevano organizzazioni non politicizzate. Ma l'esperienza della cooperazione internazionale nello spazio (come sul fondo del mare) non ha dato ragione a quest'ipotesi. LINTELSAT fu luogo di discordia fino a che il dominio americano terminò nel 1971 e la soluzione internazionale del problema fu ricercata in altre sedi diplomatiche. I problemi nell'INTELSAT nascevano in parte dal peso diseguale dei suoi membri. La cooperazione è impossibile quando uno Stato ha il monopolio del sapere tecnologico. Ma un'equa distribuzione internazionale di compiti è definibile solo in termini politici. Le industrie americane, inoltre, nonché promuoverlo, tentarono più spesso di impedire lo sfruttamento della tecnologia dei satelliti, temendone la competitività con i propri cavi oceanici. Le applicazioni spaziali in genere hanno dato il viaa un'accesa rivalita tra europei e giapponesi e industrie spaziali americane, per ragioni sia politiche che econòmiche. I sovietici, poi, invece di aderire all'INTELSAT, crerono un altro sistéma, 1'I[NTERCOSMOS, per i paesi del blocco orientale. Gli europei, dal canto loro, hanno ottenuto successi diseguali con altre agenzie spaziali internazionali. I paesi membri di queste agenzie, e in particolare la Francia e il Giappone, spesso considerano i pro-
grammi di cooperazione come un mezzo per accelerare l'indipendenza tecnologica nazionale. Proprio come la tecnologia avanzata unisce per certi aspetti il mondo, le esigenze finanziarie, militari e organizzative della «grande scienza» tendono ad accentuare il ruolo degli Stati nazionali nella trasformazione tecnologica. In questa situazione ci possiamo ben chiedere come facessero statisti e pandit della prima era spaziale a ritenere che la conquista dello spazio potesse alterare il tradizionale comportamento degli Stati. Forse l'entusiasmo tecnologico degli anni Cinquanta e Sessanta aveva in sé stesso un elemento di giustificazione. Hiroshima e la conseguente assunzione delle armi nucleari nell'ordine internazionale erano ormai, dal punto di vista tecnologico, dei fatti compiuti. Ma dopo lo Sputnik 11 politici si dimostrarono nuovamente incapaci o riluttanti a controllare lo sviluppo accelerato della tecnologia; andarono, invece, in cerca di formule in cui la tecnologia stessa fosse in grado di sostituire l'intervento umano, pretendendo di vedere nello sfruttamento dello spazio o nella sicura distruzione reciproca o in qualsiasi altro possibile sviluppo della missilistica una forza integrativa capace di risolvere, tra l'altro, anche i propri problemi politici. I fatti dimostrano invece che non vi era nulla nella tecnologia che tendesse a unire necessariamente i paesi. La scarsa incidenza del programma Atomi per la pace e più tardi dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica fece comprensibilmente inclinare gli Stati Uniti verso una posizione di resistenza nei riguardi della cooperazione spaziale. L'Unione Sovietica, da parte sua, ha dimostrato scarso interesse alla partecipazione pa-
lese e la cooperazione fra superpotenze - come nel caso del rendez-vous Apollo-So yuz del 1975 - è stata, più che un risultato, la causa della distensione politica. «L'orrore del secolo - ha scritto Norman Mailer - è che eventi di enorme rilievo passano senza quasi lasciar traccia. Lo Sputnik I fu certamente uno sparo udito in tutto il mondo, e i suoi effetti internazionali furono molteplici; ma non modifico la natura del sistema internazionale. Lo Stato nazionale rimase sovrano, la cooperazione rimase una tacita forma di competizione e la rivalita militare estese i suoi confini allo spazio. Le esigenze internazionali stimolarono il rapido sviluppo della tecnologia spaziale, ma questo non riuscÌ a modificarle. Quando il Presidente Johnson, per esempio, inviò ai Capi di Stato di tutto il mondo la famosa fotografia scattata dall'Apollo 8 della terra blu che sorgeva dietro la luna, gli arrivarono risposte di ringraziamento anche da Hanoi, da Ho Chi Minh. Ha scritto Arthur C. Clarke che quello fu il miglior esempio «di come lo spazio possa collocare nella giusta prospettiva le nostre presenti rivalità tribali». Può darsi: fatto sta che la guerra continuò esattamente come prima. TECNOLOGIA SPAZIALE E SOCIETÀ
Parlando di scienza e politica, Bertrand de Jouvenel ha distinto tre grandi et storiche: l'età dominata dai preti, quella dominata dagli uomini di legge e quella dominata dagli scienziati. Nella prima eta la politica si fondava sulla rivelazione divina e sul presupposto dell'ignoranza popolare; nella seconda sulla «scrittura umana» e sul presuppo137/11
sto che il popoio potesse giudicare le questioni di interesse pubblico; nella terza eta la politica presenta un'anomalia: «il popolo ha ancora la responsabilità delle pubbliche decisioni, ma non è più in grado di giudicare e decidere in materia di scienza e tecnologia; questa grande età della scienza è, di conseguenza, un'eta di ignoranza individualei>. In questo secolo le società avanzate si sono rese conto, a un certo punto, che la democrazia è incompetente. Per l'occidente industriale quel punto potrebbe essere stato lo Sputnik. L'umiliazione per l'apparizione improvvisa della tecnologia spaziale sovietica, accompagnata da perplessita e paura, ha forse portato l'Occidente (e forse anche il Politburo) a una rivalutazione della tradizionale gestione del potere da parte di politici e gruppi di interesse? Oppure l'era spaziale e un momento della storia in cui il controllo della politica è assunto necessariamente da una élite di tecnici? Questa prospettiva ossessionò Mao-Tse-Tung come prima aveva ossessionato Stalin. Una soluzione, ma tale soio in apparenza, al dilemma di Jouvenel dopo lo Sputnik poteva essere l'inserimento di una componente scientifica nel corpo politico, come se la scienza potesse informare la politica senza esserne a sua volta informata. Ma «dove la conoscenza è potere, il tentativo di conseguire la conoscenza è certamente un'attività politica». Durante gli anni Sessanta scienziati e politologi si interrogarono e discussero a lungo sui rapporti fra scienza e governo. Anche il ruolo notevole del Comitato consultivo presidenziale per la scienza nell'organizzazione della National Areonautics and Space Administration (NASA) è stato sottoposto ad indagine storica. In que12/ 138
gli anni, almeno secondo la testimonianza dei primi due Consiglieri presidenziali per la scienza, James Killian e George K.istiakowsky, ci si è forse maggiormente avvicinati all'ideale del «buon governo» informato da una «buona scienza>. Valendosi dei suoi scienziati per cercare di soffocare la reazione esasperata allo Sputnik, Eisenhower promosse una politica spaziale nella quale le esigenze della scienza e della difesa avessero la meglio sulla messinscena tecnica organizzata per scopi di puro prestigio. Ma dovette lottare contro i principali rappresentanti dell'esercito e del Congresso, contro l'industria aerospaziale e la stampa, che tendevano a sovrastimare le capacità sovietiche in modo da ottenere finanziamenti ancora maggiori per la ricerca. Nonostante l'affetto per «i miei scienziati>, che erano «uno dei pochi gruppi ... a Washington che lavorasse per il paese e non per se stesso», Eisenhower abbandono i suoi progetti temendo l'impatto che una precipitosa gara tecnologica avrebbe potuto avere sulla societa americana, e mise in guardia dal rischio che non solo il complesso militare-industriale ma anche una élite tecnologico-scientifica acquistassero un'influenza e un potere eccessivi. Sul finire degli anni Sessanta, i critici della politica americana nel campo della tecnologia e in quello della difesa ricordarono che «Ike aveva cercato di metterci in guardia», dando il via a una revisione del mito, tuttora ben vivo, di Eisenhower. Ma una lettura attenta del suo discorso di commiato rivela che Eisenhower considerava inevitabili le tendenze che deplorava e per le quali non aveva rimedi. Già alla fine degli anni Cinquanta aveva affrontato le perplessità dei consulenti scientifici e si
era anche trovato a dover respingere per ragioni politiche pareri scientifici unanimi. Gli scienziati si opponevano senza mezzi termini alle costose missioni spaziali progettate puramente a scopi di prestigio, specialmente al volo umano nello spazio. Eppure Eisenhower trasferì alla NASA sia la missione umana nello spazio che la équipe di Von Braun e ordinò personalmente di accelerare lo sviluppo del vettore gigante Saturno, per il quale non esisteva alcuna missione né militare né scientifica. Benche respingesse 1 opposizione scientifica alla proposta del programma lunare Apollo, il costo di questo programma lo spaventava: tanto più quando si trattava di competere per ragioni di prestigio. I timori di Eisenhower trovarono conferma in seguito, ma forse non nel modo in cui egli si aspettava. Negli anni Sessanta, scienza e tecnologia penetrarono in numerosi settori del governo e trovarono uso sempre più largo sia nell'attività estera (spese militari e aiuti allo sviluppo) che in campo sociale. Eppure l'influenza degli scienziati venne meno. Perché mai le Amministrazioni di Kennedy e Johnson, progressiste e tecnocratiche, avrebbero ridotto l'influenza dei consulenti scientifici proprio nel momento in cui davano grosse sovvenzioni alla comunità di ricerca? Persino la NASA cessò di essere un'organizzazione diretta in primo luogo da scienziati e divenne, grazie all'amministratore James Webb e alla missione Apollo, un calderone di tecnici e politici. La risposta sembra da ricercare ancora una volta nel processo stesso di evoluzione tecnologica. Se la stimolazione artificiale - cioè istituzionalizzata di scienza e tecnologia diventa una fon-
te fondamentale di potere nazionale, allora non puo essere che la leadership politica a distribuire le risorse tecniche e lo farà secondo la propria visione dell'interesse nazionale. La resistenza a un irnprimatur politico sulla creazione di nuovo sapere aveva reso più complicato l'iter di approvazione delle leggi istitutive della Commissione per l'energia atomica e della Fondazione nazionale per la scienza. Una politica di ricerca «orientata» dal finanziamento pubblico è implicita quando i leaders politici passano dalla scelta di finalità sociali per una nuova tecnologia alla scelta di una nuova tecnologia per finalita sociali (e politiche). Questo è ciò che temeva Eisenhower, perché significava abbandonare il concetto di una società libera che si sviluppa naturalmente come risultato di una pluralità di scelte fatte a livello locale e sostituirlo con l'idea di un direttorio centrale che pianifica il corso del progresso sociale e dispone la realizzazione di appropriate tecniche di controllo. Questo passaggio era gia avvenuto nell'Europa occidentale (per non dire dell'Unione Sovietica, che su tale principio si fondava) ma negli Stati Uniti avvenne soltanto negli anni Sessanta: il catalizzatore fu, ancora una volta, il programma spaziale. Eisenhower modellò la politica spaziale americana, ma il finanziamento del programma può cambiare il corso della politica. Kennedy delineò la portata dello sforzo spaziale americano con il suo impegno del 25 maggio 1961 di raggiungere la luna. Grazie all'Apollo, il programma spaziale evidenziò la preminenza della tecnica sulla scienza, della competizione sulla cooperazione, della gestione civile su quella militare e delle ragioni di prestigio sulle applica139/13
zioni pratiche. Questa decisione cru- povertà. Anche Barry Goldwater attacciale, la prima svolta nella storia del vo- cò lo sperpero di miliardi per impreslo spaziale, è stata esaminata da John sionare i leaders del terzo mondo, esorLogsdon. Perché andammo sulla luna? tando l'America a rimanere salda Perché 30 miliardi di dollari furono nell'attaccamento alla libertà e a indigettati nella tecnologia dell'Apollo in- rizzare nuovamente il programma spavece che in altri progetti spaziali o in ziale verso applicazioni militari e scienapplicazioni diverse da quelle spaziali? tifiche. In effetti, il programma lunare La risposta, secondo Logsdon, non sta era una sintesi di quella mentalità che nella tecnologia e neanche nella stessa aveva concepito il mito della «Grande guerra fredda, che avrebbe anche potu- Società» e di quella conservatrice che to condurre a un programma spaziale sosteneva l'esigenza di contenere l'incentrato su applicazioni militari ed fluenza sovietica. Ma in nessuno dei economiche, ma piuttosto nell'azione due casi gli scienziati ebbero un ruolo combinata dei primi trionfi spaziali so- politico significativo. vietici e dell'emergere di un terzo Dal 1957 a tutt'oggi i governi non hanmondo neutrale. La gara di prestigio no risolto la «contraddizione tecnoloverso la luna - contro i russi se erano gica» tra competenza e democrazia, né disposti a gareggiare, contro la fine del peraltro hanno abbandonato i rituali decennio se non lo erano - fu una ri- della democrazia. I consulenti scientifisposta ai rovesci nel Laos e nel Congo, ci continuano a essere scelti come gli alla Baia dei Porci e al volo di Yuri Ga- elettori scelgono i politici: sulla base di garin, primo uomo nello spazio. Il vi- promesse, forza di persuasione, persocepresidente Johnson cosÌ sintetizzò il nalità e preconcetti. Fra i vari Edwrd modo di pensare della nuova Ammini- Tellers, Wernher von Braun e Barry strazione: «fallire nella conquista dello Commoner, di chi avere fiducia? L'era spazio significa essere secondi in ogni spaziale ha introdotto nell'arena politisenso, in una fase crùciale della guerra ca la scienza e la tecnologia, ma non ha fredda. Agli occhi del mondo primi trasformato la politica ne ha mandato nello spazio significa primi in senso as- gli scienziati al potere. soluto; secondi nello spazio, secondi in tutto». L'Apollo fu una realizzazione magnifi- RIcEIcA SPAZIALE E SVILUPPI i'ECNOca, ma sarebbe ridicolo considerano CRATICI NEGLI USA uno degli aspetti «positivi» dei mitici anni Sessanta. Sia da destra che da sini- Per gli Stati Uniti, la prima era spaziale stra questa deviazione della ricerca ver- fu un periodo critico di adattamento so fini politici di dubbia importanza alla prospettiva della parità nucleare stata vista come un uso distorto della sovietica, all'emergere di un terzo trasformazione tecnologica promossa mondo inquieto e poco leale, all'appadallo Stato. Negli anni 1963-64 alcuni rizione di una tecnologia regolamentacritici della sinistra liberai denunciaro- ta come un genio al servizio del governo lo spreco di soldi rappresentato no. Il programma Apollo, pur rifletdall'Apollo in presenza di problemi tendo il fallimento della scienza nel rigravi e irrisolti come il razzismo e la modellare la politica, scatenò tuttavia 14/140
un mutamento tecnologico senza precedenti. L'unico che abbia analizzato il primo programma spaziale come un fenomeno organico piuttosto che come «semplice espressione» di questa o quella tendenza della vita americana o della guerra fredda è Bruce Mazlish (The Railroad and the Space Program: An Exploration in Historical Analogy, 1965). Mazlish descrive il programma spaziale come una «complessa invenzione sociale» che, come le ferrovie nel XIX secolo, fu allo stesso tempo tecnologica, economica, politica, sociologica e intellettuale. Se una nuova tecnologia o un gruppo di tecnologie si diffonde, la sua acculturazione puo implicare un diffuso cambiamento sociale. Il programma spaziale, come le ferrovie, modificò le leggi, l'organizzazione economica e il rapporto tra settore pubblico e settore privato. Come la ferrovia, fu anche un fenomeno culturale e influenzo non solo le istituzioni, ma anche la sensibilità artistica e intellettuale. In breve, la società fu obbligata ad adattarsi al nuovo sistema tecnologico, e il risultato fu un'invenzione sociale. Possono i programmi spaziali essere interpretati in questo modo, anche se toccano direttamente poche persone, impegnano una piccola parte del prodotto nazionale lordo e sembrano estranei alla coscienza popolare? La tecnologia spaziale, in realtà, è allo stadio di maturita raggiunto dalla ferrovia intorno al 1860 o dalla radio negli anni Venti. Lo spirito fortemente pragmatico degli americani non consentÌ a molti di intuire la rivoluzione che si preparava. La reattivita sociale, economica e politica alla diffusione delle ferrovie e della radio fu invece un dato pressoché immediato. Le ferrovie, in particolare,
divennero il principale simbolo del decollo industriale e del passaggio da una civiltà agricola a una industriale. Come si puo descrivere la societa postindustriale dell'era spaziale? Zbigniew Brzezinski coniò il termine <tecnetronico» per definire una «società modellata culturalmente, psicologicamente, socialmente ed economicamente dall'impatto della tecnologia e dell'elettronica, in particolare dai computers e dalle comunicazioni». Questo neologismo è emblernatico. Ogni società è modellata in misura significativa dalla propria tecnologia e dai sistemi di comunicazione, e pochi potrebbero dimostrare che la nostra società è informata in misura quantitativamente maggiore, o in modo qualitativamente differente, che durante il periodo industriale dei primi anni Venti o in quello agricolo del XVIII secolo. Ma termini come «tecnetronico» non aiutano granché a capire le origini e i nessi causali fra i fenomeni sociali della nuova era. PiÙ appropriato pare, invece, il termine «tecnocratico». Negli Stati Uniti, sulla scia degli Sputniks, sembra aver trionfato una mentalità tecnocratica non solo nell'esercito, nella scienza e nello spazio, ma anche negli aiuti ai paesi esteri, nell'educazione, nelle istituzioni del benessere, nell'assistenza medica, nel rinnovamento urbano e cosÌ via. Nella storia moderna, «tecnocrazia» è certamente un termine familiare con il quale si indica la gestione della società da parte dei tecnici. Naturalmente si tratta di un'astrazione, poiché una società del genere non è mai esistita, neanche nel mondo comunista. Nonostante il boom della consulenza scientifica a seguito dello Sputnik, i politici e altri gruppi influenti gestiscono la società 141/15
senza tener conto di condizionamenti tecnici, per quanto importanti possano essere. Perciò sarà meglio definire la tecnocrazia come l'istituzionalizzazione di una trasformazione, tecnologica per scopi statali, che comporta la organizzazione e ilfinanziamento da parte dello Stato diuna struttura nazionale che serva ad accelerare il mutamento tecnologico, pisumendo che i prodotti di tale mutamento saranno utili al raggiungimerfdei propri scopi sia all'interno cWé all'estero. Il passaggio, negli Stati Uniti, al finanziamento statale della ricerca con l'obiettivo di stimolare in modo continuo la rivoluzione tecnologica: è questa la sostanza del mutamento che lo Sputnik fece scattare. Casi analoghi di evoluzione tecnoloica guidata dallo Stato si ritrovano gia nel XVIII secolo, specie nel settore delle forniture militari. Ma lo Sputnik segnò un momento di rottura rispetto al passato. Negli Stati Uniti, il Progressismo fornì un'ideologia tecnocratica; la 11 guerra mondiale fornì il modello di collaborazione fra governo, industria e scienza. Le critiche del dopoguerra al ruolo passivo del governo, il prestigio della scienza sociale e delle dottrine economiche Keynesiane e la tecnica americana di attenuare i conflitti sociali ed economici con politiche economiche espansive: 'tutto ciò costituÌ la miscela esplosiva. Lo Sputnik fu la scintilla. Suggerendo l'ipotesi di un imminente stallo militare fra le superpotenze e dando insieme credibilità alla pretesa superiorità del comunismo ai fini di un rapido sviluppo nazionale, lo Sputnik cambiò la natura della guerra fredda. La rese «totale», ne fece cioè un conflitto globale in cui la scienza, l'educazione, i problemi della casa e della sanità erano terreni di 16/ 142
resistenza della guerra fredda non meno dei diritti umani e dei bombardieri. La scienza veniva per prima: la creazione della NASA, la cui natura di organismo civile era stata voluta per scòpi propagandistici, e poi il boom della National Science Foundation e il National Defense Education Act. L'Apollo venne successivamente. Fece triplicare il bilancio della NASA, procurò commesse per altri 30 miliardi di dollari all'industria aerospaziale e indusse il Congresso a conferire la delega più ampia mai concessa in tempo di pace. Lo shock dello Sputnik e la pretesa superiorità sociale dell'Unione Sovietica contribuirono dunque a far crollare la resistenza storica dei repubblicani e dei democratici del sud a un coinvolgimento federale nell'educazione e in altri campi sociali e diedero l'avvio al più grande corpo legislativo della storia americana. Alla metà degli anni Sessanta il programma spaziale contribuì a convincere gli economisti che massicci e sistematici investimenti in risorse tecnologiche e «umane» non erano un male necessario, ma la chiave di una continua crescita e, perciò, della stabilità sociale. Le spese sociali, militari e per programmi spaziali di notevole ampiezza sarebbero state coperte dal rinnovato benessere creato dalla nuova tecnologia, grazie al fenomeno del trasferimento da settori di punta (come il settore aerospaziale e i computers) ad altri settori e dall'economia americana a economie in via di sviluppo. Con la crescita più rapida che una base scientifica e industriate superiore avrebbe reso possibile, la «Repubblica Tecnologica» avrebbe' sconfitto e oscurato le «Repubbliche Ideologiche» di Pechino e di Mosca. Il simbolo e la punta più avanzata del
movimento tecnocratico fu la NASA, in cui regnavano l'efficienza, l'iniziativa, la competenza e la meritocrazia. Ma le dimensioni del programma Apollo richiedevano di più; richiedevano ciò che James E. Webb chiamò una «rivoluzione manageriale». Non solo la NASA aprì la strada a efficienti tecniche manageriali per coordinare i suoi diversi progetti, ma consacrò, formalizzandoli, i legami fra organizzazione federale, industria e università su cui si basa la società americana. Questo sodalizio governo-industria-università, sapientemente coltivato dalla NASA, mobilitò le risorse umane e materiali della Nazione per «una guerra» sulla frontiera tecnologica. L'America mostrava la compiaciuta esuberanza di chi crede di avere dalla propria parte, se non gli dei, almeno la magia. «La rivoluzione tecnologica che incombe - scriveva Webb - e 1 evento decisivo dei nostri tempi. E se una Nazione non sarà in grado di trasferire gli avanzamenti tecnologici nei gangli vitali del proprio sistema, certamente rimarrà indietro. Il grande interrogativo di questa era è se gli Stati Uniti riusciranno, nell'ambito delle istituzioni esistenti, a organizzare lo sviluppo e l'uso di tecnologie avanzate meglio dell'Unione Sovietica. Il successo dovrebbe arriderci, grazie alla nostra quasi miracolosa capacità di usare la tecnologia esistente per creare nuova tecnologia». Entusiasmi di questo tipo erano comuni. Persino Adlai Stevenson ebbe a dire che «scienza e tecnologia rendono i problemi di ogi irrilevanti nel lungo periodo, perche la nostra economia può crescere per affrontare ogni nuova impresa. Questo è il mircolobase della moderna tecnologia. E una bacchetta magica che ci dà ciò che desi-
deriamo». Miracoli e magia. Sostenute da questa fede le spese federali per la ricerca aumentarono di sei volte tra il 1955 e il 1965. A metà degli anni Sessanta il governo federale era arrivato a finanziare l'80% dei programmi di ricerca che si effettuavano negli Stati Uniti, per il 90% sotto l'egida del Dipartimento della difesa, della NASA e della Commissione per l'energia atomica: si trattava di una nazionalizzazione in piena regola. Questo ruolo dello Stato come creatore di nuova conoscenza e potere si proietto anche all'estero, dove l'imperativo internazionale era quello di accelerare la trasformazione tecnologica e di conseguenza quella politica e sociale. Nonostante la posizione di leadership e le maggiori risorse degli Stati Uniti e dell'Unione Sovietica, pressoché ogni altra grande Nazione volle cimentarsi con la tecnologia spaziale e sviluppare, sostenendole adeguatamente, le industrie aerospaziali. I programmi spaziali della Francia e dell'intera Europa, come quelli della Cina e del Giappone, furono tutti giustificati allo stesso modo: sia sul piano della sicurezza che su quello dello sviluppo economico, la rivoluzione scientifico-tecnologica imponeva agli Stati di rimanere in prima linea, pena la prospettiva della dipendenza e del sottosviluppo. La Francia gollista reagì allo Sputnik dichiarando che il deterrente nucleare americano non donava sufficienti garanzie e accelerando l'impegno francese in campo sia nucleare che missilistico. Il rifiuto sovietico di mettere in comune la tecnologia missilistica aggravò la spaccatura cino-sovietica e avviò anche in Cina la corsa allo spazio. Ma per tutti la ragione principale della partecipazione ai programmi spa143/17
ziali era di natura economica: si trattava di colmare il profondo divario tecnologico che si era aperto a metà degli anni Sessanta quando era sembrato che gli Stati Uniti avessero scoperto - con il finanziamento pubblico della ricerca e lo sviluppo di settori di punta - le «chiavi del potere». Scriveva «The Economist» che «la prosperita dipende dagli investimenti, gli investimenti dalla scienza; ergo, la prosperità dipende dalla scienza'. Charles de Gaulle esortava la Francia «a investire costantemente, a sviluppare senza tregua la nostra ricerca scientifica e tecnologica per non cadere nella mediocrità». La spesa per la ricerca venne quadruplicata in Francia durante i primi cinque anni della quinta Repubblica, e la Francia continuò a guidare l'Europa verso l'indipendenza aerospaziale e il superamento del divario tecnologico, della fuga dei cervelli e della schiavitù industriale. Una società come quella degli Stati Uniti o una società più piccola e meno flessibile come quella francese, come possono assorbire gli effetti di una massiccia spesa governativa per la continua creazione di nuova tecnologia? Gran parte degli storici, sia che vedano la nuova tecnologia come causa prima o la considerino un jolly posto a caso nel mazzo altrimenti ordinato delle carte della storia, ritengono che la tecnologia sia un fattore indipendente di mutamento socio-economico, che a sua volta condiziona (e in genere sconvolge) i comportamenti politici e diplomatici. Ciò è dimostrabile fino a un certo punto. Ma se nuove e complesse tecnologie vengono promosse dallo Stato, allora lo Stato stesso, quale che sia la sua ideologia, diventa «rivoluzionario». Il problema dello Stato, obbligato dalla competizione internazionale 18/ 144
a stimolare il cambiamento tecnologico, è non solo quello di adattare la società alla nuova tecnologia, ma anche di riconciliare l'una con l'altra. Non sorprende, quindi, che de Gaulle promettesse di restaurare la grandeur francese con una esplosiva avanzata tecnologica, ma «senza che la Francia cessi di essere Francia». Anche Webb, in fondo, immaginava miracoli ma solo attraverso le istituzioni esistenti. La tecnocrazia gollista, perciò, era anche uno strumento di politica interna. Offrendo un'immagine estremamente suggestiva della Francia del 2000, la tecnocrazia serviva a legittimare una quinta Repubblica che, dopo tutto, aveva decretato la fine della Francia imperialista e della Francia socialista e nello stesso tempo anticipato la Francia atlantica e la Francia europea. Una simile prospettiva potrebbe valere anche per gli Stati Uniti? L'interrogativo potrebbe essere il tema di una ricerca sull'emergere di un «centrismo rivoluzionario» che offra un cambiamento tecnologico, non ideologico e sociale, a garanzia di un futuro altrettanto pieno di sicurezza e ricchezza, ma meno minaccioso di quello offerto sia dalla sinistra socialista che dalla destra liberista. La promessa tecnologica, naturalmente, non è stata mantenuta: in parte perché la sua dinamica interna è quella di una macchina del moto perpetuo. Il futuro della «Grande Società>, come la realizzazione finale del comunismo nei paesi dell'Est europeo, non è mai arrivato. Ma un mutamento materiale c'è stato ed è stato consistente. Come possiamo misurare gli effetti della tecnologia dell'era spaziale? L'econometrista Mary Holman ha analizzato il bilancio della NASA e il suo impatto su certe realtà locali (spesso molto grande), sul-
lo sviluppo e il consolidamento dell'industria aerospaziale (positivo), sulla tendenza alla centralizzazione e al monopolio nell'industria (problematico), e come stimolo a una generale crescita economica (inefficace). Purtroppo, n la NASA (che piu di ogni altra organizzazione federale ha cercato di analizzare il proprio impatto sociale ed economico), né l'ICSE, né la Fondazione nazionale per la scienza, né gli studiosi di economia sono riusciti a misurare in modo sufficientente preciso l'impatto della spesa per la scienza e la tecnologia. 11 costo economico della ricerca in un settore dipende dalle previsioni sugli impieghi alternativi di lavoro e capitale da parte dello Stato e del mercato. Inoltre non vi è un insieme di valori accettati che si riferisca a spese che non siano dirette verso specifici obiettivi economici. Che cosa si propone esattamente lo Stato con gli studi federali, i viaggi lunari e i satelliti oceanografici?. Se vi è un compito che gli storici possono-intraprendere è proprio quello di pfPi mutamenti che sono i nterve: nuti nell'insieme dei valori propri del «pensiero ufficiale» a seconda dei progetti educativi, scientifici e tecnici che ricevono la benedizione del finanziamento pubblico. Le stime delle conseguenze economiche derivanti dalle spese spaziali hanno oscillazioni enormi. Mentre alcuni critici descrivono la corsa allo spazio come uno «spreco per puro cerimoniale», la Holman cita invece alcuni studi che promettono benefici fenomenali, in proporzione ai costi, dai satelliti per le risorse terrestri (per esempio 128 a 1 nell'aumento della produzione di riso e 296 a 1 nel controllo della malaria). Se poi ipotizziamo che la tecnologia spaziale non sia mai esistita (come R.
Fogel fece per la tecnologia ferroviaria americana) il costo di sistemi alternativi per l'attuazione ditali compiti risulta in genere molto più alto. Naturalmente l'umanità può andare avanti discretamente anche senza alcun sistema per rilevare le risorse dell'Amazzonia o per moltiplicare per milioni i dati che possono essere trasmessi fra continenti in pochi secondi. Ma è un'altra combinazione storica molto importante il fatto che l'era della tecnologia spaziale sia giunta in concomitanza non solo con la guerra fredda e l'emergere del terzo mondo, ma anche con il culmine della esplosione demografica mondiale, che sembrava richiedere una crescita economica più sostenuta da parte delle Nazioni avanzate per soddisfare la crescita geometrica dei bisogni globali. Altro incentivo alla sperimentazione di nuove tecnologie è la rapida diminuzione del capitale di rischio richiesto dopo le fasi preliminari (in questo caso, l'alto costo per chilo dei materiali da porre in orbita). I razzi Saturno della metà degli anni Sessanta avevano già migliorato l'efficienza di costo di un migliaio di volte rispetto ai primi vettori. Lo Space Shuttle può ridurre ulteriormente tale valore grazie al programma di ammortizzamento del costo di sviluppo. Il programma spaziale esercitò una pressione immediata soprattutto sull'industria aerospaziale, che nel 1962 fu definita «il più recente gigante americano». Numerosi sono gli studi su singoli programmi della NASA e dell'aeronautica; non esistono invece lavori dedicati all'industria aeronautica nel suo complesso, che ne analizzino le implicazioni politiche, economiche e occupazionali sia negli Stati Uniti che all'estero. La cosa non può non sorprende145/19
re, tenuto conto dell'interesse vitale che dagli anni Trenta l'industria aeronautica riveste per tutte le principali potenze. Diversamente dalla gran parte delle altre industrie, quella aerospaziale prospera sulla discordia internazionale. Ha bisogno di una capacità produttiva anche fortemente eccedentaria. Occupa una percentuale di lavoratori altamente qualificati eccezionalmente elevata (alla Boeing, alla fine degli anni Cinquanta, oltre il 40% dei lavoratori erano scienziati o ingegneri). L'industria aerospaziale è essenzialemente una monopsonia o una oligopsonia, in quanto solo un paio di compratori (per esempio la NASA e il dipartimento della difesa) forniscono sia il mercato sia i fondi per la ricerca necessari alle imprese per rimanere competitive. E per questo che le imprese devono corteggiare lo Stato. Le agenzie governative hanno a loro volta interesse a mantere la competitività fra i fornitori; anche se la semplice assegnazione di una grossa commessa a una certa impresa da a questa una posizione privilegiata per l'assegnazione di altre commesse nello stesso campo. Le imprese fanno affidamento sulle sovvenzioni così come era accaduto agli studiosi nel periodo di liberalità seguito allo Sputnik. Gli effetti del finanziamento governativo alle Università negli Stati Uniti e all'estero sono ben conosciuti. Qualcosa di molto simile accade oggi nel settore industriale per la presenza di uno «Stato appaltatore»: mentre i privati fanno assegnamento sul governo, lo Stato perde ogni speranza di mantenere livelli adeguati di costo e qualità «dato che gli interessi pubblici nel mutamento tecnologico hanno una dimensione, una portata e un andamento rivoluzionari». 20/ 146
Quando le decisioni sui finanziamenti e le commesse ricadono per necessità sugli esperti; quando ogni tentativo di «valutazione tecnologica» trova ostacolo proprio nell'assenza di valori comuni fra scienziati, ingegneri, imprenditori e burocrati; quando il volume, le dimensioni e la complessità dei progetti portano fatalmente alla lievitazione dei costi e verso esiti non prevedibili, allora lo Stato decade al rango di apprendista stregone. Se ciò non è quello che avevano in mente Kennedy, de Gaulle o Khrushchev quando con i loro consiglieri usarono la tecnologia come strumento politico, allora forse l'attesa di Mazlish di stadi attraverso i quali un'invenzione sociale deve passare ha trovato realizzazione. La predicibilità degli effetti declina rapidamente con la diffusione sociale di nuove tecniche e modelli di organizzazione. Le caratteristiche particolari dell'industria aerospaziale e di quelle ad essa legate lasciano ritenere che le categorie tradizionali usate per la politica, le relazioni socioeconomiche, i modelli di investimento e altri fenomeni siano sempre meno utilizzabili man mano che cresce l'integrazione o l'interfaccia tra le organizzazioni statali e le imprese private o semiprivate. Soprattutto appare evidente che la collaborazione fra governo, industria e università ha in sé un elemento organico di contrasto, che può essere risolto solo penalizzando i valori conflittuali espressi da ciascuna componente. La tendenza delle industrie strategiche ad alta tecnologia a modificare i rapporti fra Stato e società è particolarmente evidente nell'Europa occidentale. La Gran Bretagna, la Francia, l'Italia, la Germania hanno tutte conosciuto una concentrazione delle loro indu-
strie aerospaziali in enormi apparati semipubblici. Tale fenomeno è stato favorito dai governi nazionali, interessati ad avere come interlocutori pochi gruppi industriali di grandi dimensioni, in grado di competere tra loro e con le grandi società americane. La monopsonia ha generato il monopolio; le pressioni esterne hanno plasmato le istituzioni interne. In modo simile l'Unione Sovietica, anche se socialista, attualmente favorisce la competizione perché può sostenere più centri di ricerca che si contendono i favori del partito. Se venisse meno la guerra fredda - e, quindi, missili e tecnologia spaziale come apparirebbe l'economia americana? Il dibattito giornalistico sulle conseguenze derivanti dal programma spaziale (la NASA ci ha dato il tegame teflon, ma ne valeva la pena?) ha impedito una seria discussione sul suo impatto storico. Il ruolo della ricerca spaziale come occasione intellettuale, istituzionale e finanziaria di sviluppi rivoluzionari nella microminiaturizzazione, nei computers, nell'ottica, nella lavorazione dei materiali, nella robotica, nei laser, nelle batterie solari e altro è il vero argomento della storia economica dell'era spaziale. Gli utili netti prodotti dalla tecnologia spaziale dovrebbero essere misurati non solo in rapporto al costo totale, o al costo economico del programma stesso, ma anche in rapporto alla perdita continua dovuta a spese militari e sociali mal gestite e favorite proprio da quella stessa mentalità tecnocratica che ha ispirato il progetto Apollo. La smania tecnologica, l'introduzione di tecniche efficienti di gestione di grandi sistemi, la compromissione dei valori espressi da istitu-
zioni sociali una volta indipendenti, il predominio sul governo di una ingegneria politica e sociale, il completo scivolamento delle democrazie industriali verso un approccio materialistico e manipolativo alla politica a causa della infatuazione per la tecnica seguita allo Sputnik: tutti questi sono elementi decisivi per comprendere il ruolo della tecnologia spaziale nella societa. Così come decisivi appaiono un ripensamento della relazione fra capitalismo e razionalizzazione nel contesto tecnologico successivo al 1957; la riconsiderazione (ed eventualmente il rigetto) delle ipotesi che immaginano un parallelismo tra le economie politiche dell'Est e dell'Ovest, ambedue alle prese con le stesse esigenze poste da tecnologie costose e complesse; la riformulazione, infine, dell'equazione fra economia e stabilità politica in un'epoca di rivoluzione tecnologica permanente. SPAzIo E CULTURA INDUSTRIALE: CONl'INUITÀ O ROTTURA?
Esiste dunque un'era spaziale caratterizzata dalla rottura di continuità storica determinatasi con la promozione e la direzione pubblica della ricerca. I suoi primi sviluppi gia obbligano a mettere da parte concetti di storia economica e politica che sono rimasti validi per l'intera era industriale. Ma questi fenomeni e l'esistenza e la promessa di una tecnologia ancora più futuristica hanno forse alterato le fondamenta dei valori culturali? E in grado il volo spaziale di elevare spiritualmente l'umanità, come sognava Tsiolkosky? I Romantici, dopo il 1957, coltivavano tali speranze. L'idea che la fuga dell'uomo dalla terra dovesse generare una consa147/21
pevolezza globale trovava una certa corrispondenza nell'età delle scoperte che aveva accresciuto la consapevolezza e la capacità di autocritica (come anche l'arroganza) degli europei. Ma se la tecnologia spaziale permetteva ad alcuni di guardare con distacco la terra come una nave spaziale, conduceva altri a considerare proprio la tecnologia il nemico dei valori culturali. Jacques Ellul ha sostenuto che la tecnologia è giunta a un tale stato di avanzamento che la politica, l'economia e l'arte, nonché essere influenzate dalla tecnica, sono diventate tecnica esse stesse, mentre una moralità tecnologica ha da lungo tempo soppiantato valori storicamente consolidati. La tecnologia spaziale non è che la scrematura di un più ampio milieu preesistente che ne condiziona le relazioni con la cultura moderna. Lewis Mumford ha giudicato l'esplorazione spaziale un esibizionismo tecnologico, ultima espressione del mito della macchina che domina la civilta occidentale fin dal XII secolo. Imbalsamare gli astronauti in una pelle artificiale e lanciarli nel vuoto infinito in razzi alti come grattacieli era per lui l'equivalente della costruzione delle piramidi nell'antico Egitto. Anche il sociologo Amitai Etzioni ha interpretato la tecnologia spaziale come l'espressione di una società ormai in declino: «Apparentemente gli americani - ha sostenuto - non sono psicologicamente pronti per la coesistenza pacifica e devono superare l'URSS in tutto», mentre gli strumenti giganteschi che tale insicurezza adolescenziale richiede «servono soltanto a coloro che cercano di presevare l'America di ieri nel suo confronto coi problemi di domani». Per Norman Mailer il programma spaziale americano appartiene a «WASP's mo22/148
dori, la geni'a più faustiana, barbarica, draconiana, orientata al progresso, distruttrice di radici». La macchina è divenuta arte, gli astronauti uomini di plastica; la NASA è riuscita a rendere noiosa anche la luna. Ma Mailer equivocava. «Per la prima volta nella storia una burocrazia si era impegnata in una avventura surrealista». Diffamava la sua stessa abominevole armata che si corrompeva e si dissolveva mentre «loro» con fredda disciplina conquistavano la luna. A tali attacchi si potrebbero contrapporre le entusiastiche affermazioni sull'impresa spaziale e la rivoluzione tecnologica fatte da Buckminster FuIler, Krafft Ehricke, James Michener e altri. Ma vale notare che, positivi o negativi che siano, tali commenti rientrano in due distinti gruppi, a seconda che gli autori interpretino il balzo prodigioso della tecnologia nei nostri tempi come una forza esterna che sfidi e forse minacci la cultura storica o come espressione e realizzazione di cultura, almeno nel mondo occidentale. C'è forse un processo di cambiamento tecnologico, che ha effetto indipendentemente dai sistemi di valori, che potrebbe essere di aiuto per spiegare perché gli europei giunsero a esplorare il mondo e a lanciare l'industrialismo o perche i cinesi, i giapponesi e gli indiani abbiano tanta fretta ora di raggiungerere lo spazio? La Gran Bretagna doveva già esprimere in qualche modo una «cultura industriale moderna» perché il sistema industriale riuscisse a diffondersi, o fu la diffusione dell'industria a promuovere la trasformazione dei valori britannici dominanti? Noi siamo portati istintivamente a considerare il progresso tecnologico una funzione dei valori nazionali. L'in-
dustrialismo è considerato in certo qual modo «occidentale» e il programma Apollo molto «americano». Ma è possibile che il nostro primo impulso sia fuorviante. Pensiamo anche che i governi progettino le loro strategie individuando i loro interessi all'estero e poi schierando le forze necessarie a difenderli. Di fatto, gli interessi nazionali sono essi stessi una funzione del potere. In modo simile, i valori di una società possono essere in parte una funzione del potere di quella societa sul proprio ambiente. Il potere di una tecnologia regolata servi forse a formare i valori nella prima era spaziale o le decisioni politiche che diedero vita all'era spaziale esprimevano qualcosa di più antico e profondo dello Sputnik, della NASA e della guerra fredda? Gli Stati Uniti dovevano già essere «la Repubblica della tecnologia» del libro di Daniel Boorstin, o era necessario il culto schizoide dell'eroe e della macchina illustrato da John William Ward, perché potesse aver luogo la rivoluzione spaziale tecnologica? I nostri valori ereditari, materiali e trascendenti, hanno nutrito l'espansione del potere secondo una progressione geometrica? E se non è cosÌ, se la nostra cultura una volta sovrana è rimasta intrappolata nel milieu tecnico di cui ha parlato Ellul, come è avvenuta questa metamorfosi? Nel 1957, dopo lo Sputnik, gli editoriali dei giornali americani non facevano che lamentare la perduta supremazia tecnica. Dieci anni più tardi, ad un pranzo del Dipartimento di Stato, si poteva ascoltare questo discorso: «Tutte le invenzioni, per lungo tempo, si faranno negli Stati Uniti, perché il nostro avanzamento tecnologico è assai più rapido che altrove e gli sforzi organizzati e su vasta scala generano fatal-
mente le invenzioni». Ad ascoltare e riferire queste parole era James Webb; chi parlava era «un certo Mr. Brzezinski». Ciò che era intervenuto a cambiare lo stato d'animo di una Nazione era la rivoluzione tecnologica spaziale. La nostra civilta tecnologica si era evoluta per secoli. Ma le rivalità internazionali della nostra epoca, culminate nello Sputnik, determinarono un mutamento nella politica della tecnologia attraverso la trasformazione dello Stato in promotore attivo ed esclusivo di progresso tecnologico. Alexander Gerschenkron sostenne che, quanto più una Nazione è economicamente arretrata, tanto maggiore deve essere il ruolo dello Stato nell'introdurre cambiamenti. Nel periodo attuale di rapido e continuo progresso, tutti gli Stati sono sempre «arretrati>. Da cio deriva l'istituzionalizzazione dei «metodi di emergenza» propri dei periodi di guerra, la stabile negazione dei valori della pace, l'assottigliamento delle distanze fra Stato e imprese private, l'erosione delle differenze culturali nel mondo. La storia è in fase di accelerazione e le Nazioni guida giustificano il loro ritmo crescente di innovazione con la necessita di garantirsi la sicurezza militare ed economica. Eppure, proprio quel progresso, a volte, può minare i valori che rendono una società degna di essere difesa. Questo, molto all'osso, è il dilemma dell'era spaziale. Si è tentati di concludere che la creazione e l'uso del potere come soluzione ai problemi umani è uno sforzo tanto vano quanto quello del turista americano di far capire il suo inglese alzando la voce. «Il culto della tecnologia ha scritto William C. Davidon dopo lo Sputnik - ha ridotto le differenze fra i paesi totalitari e quelli dove ci si aspet149/23
ta di trovare i più strenui difensori del valore e della dignità umana». L'errore della prima era spaziale fu di credere che l'àspirazione al raggiungimento del potere, specialmente attraverso la scienza e la tecnologia, potesse assolvere l'uomo dal dovere di valutare, difen
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dendoli o modificandoli, i propri valori e i propri comportamenti. I politici hanno preso posto a bordo, lasciando Wernher von Braun ad ammonire l'uomo: «sviluppare i valori etici o perire»..
Un posto nello spazio: l'Italia e la collaborazione internazionale di Benedetto Pur/ìcato
Sono ormai vent'anni che l'Italia può ritenersi inserita nel gruppo dei paesi industrializzati dotati di strutture e capacità operative in campo spaziale. Nel 1964 veniva infatti lanciato e collocato nell'orbita prestabilita il primo dei satelliti «San Marco>', progettato e costruito in Italia, con il coordinamento del Centro ricerche aerospaziali dell'Università di Roma, alfine di effettuare una serie di rilevamenti della densità dell'alta atmosfera e della temperatura molecolare dello spazio. Pur essendo nata nel quadro di una collaborazione tra il predetto Centro e la NASA - secondo i termini del Memorandurn of Understanding firmato a Roma nel 1962 - si può dire che quella complessa esperienza sia stata un importante banco di prova sia per la struttura industriale e di ricerca sia per il personale, interamente italiano, impiegato nel lancio del satellite. La conferma veniva tre anni dopo con il lancio del San Marco B, che i commenti dell'epoca considerarono un vero successo sotto il profilo sia scientifico, essendosi trattato del primo satellite collocato in orbita equatoriale, sia tecnico, in quanto per l'occasione venne utilizzato un poligono di lancio di tipo nuovo, consistente in due piattaforme mobili fissate sul fondo marino delle coste di Mombasa (Kenya), nell'oceano indiano. La realizzazione dell'intero progetto
San Marco, nell'ambito del quale si è avuto anche il lancio di un terzo satellite (San Marco C), ha alla fine consentito l'acquisizione di importanti elementi conoscitivi in tutti i principali settori dell'attività spaziale: dalla costruzione del poligono alla realizzazione del satellite, dall'esperimento scientifico alle tecniche di lancio orbitale, al controllo del razzo - vettore. E mancata, in un certo senso, una valida esperienza in materia di propulsione, considerato che nelle campagne di lancio il vettore (tipo Scout) era messo a disposizione dal partner statunitense. Tuttavia occorre riconoscere che nel complesso l'esperienza San Marco è riuscita a creare i presupposti formativi necessari per i tecnici del Centro ricerche aerospaziali e delle industrie interessate, consentendo a queste ultime di assumere un ruolo nient'affatto marginale nell'ambito della cooperazione europea, le cui prospettive di sviluppo apparivano nel frattempo sempre più promettenti. Va detto, peraltro, che la realizzazione del progetto San Marco non è mai stata priva di difficoltà, anche perché i finanziamenti approvati dal Parlamento negli anni 1963 e 1967 hanno riguardato, in un primo momento, esclusivamente il Consiglio nazionale delle ricerche, e solo successivamente anche il Centro ricerche aerospaziali I A favore del riconoscimento sia pure .
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tardivo del ruolo del Centro di ricerche aerospaziali hanno giocato diversi elementi: il fatto, intanto, che il Centro fosse gestito e diretto dai responsabili del progetto San Marco; i rapporti di stretta collaborazione che, in base al Memorandum del 1962, il Centro intratteneva con la NASA; infine, la mancanza di un indirizzo unitario in materia di politica spaziale, dove potevano coesistere due enti con interessi e strategie differenti: uno (il Centro) orientato a mantenere un rapporto privilegiato con la NASA, l'altro (CNR) interessato ormai ad un discorso europeo per la ricerca spaziale in quanto rappresentante degli interessi italiani in quella sede. Gradualmente si è così passati dalla cogestione Centro ricerche aerospaziali - CNR del progetto San Marco al riconosciment del Centro quale unico organismo preposto aJ proseguimento del progetto stesso. Nel contempo è stata prevista la cessazione di ogni rapporto in materia tra i due enti, fino a stabilire il trasferimento «dal Consiglio nazionale delle ricerche all'Università di Roma dei materiali relativi al programma San Marco di proprietà o in consegna allo stesso Consiglio nazionale delle ricerche» (art. 4 della legge 5 giugno 1967, n. 422). LA PROSPETTIVA EUROPEA
Dopo alcuni anni di negoziati condotti nell'ambito dell'apposita Commissione preparatoria per la collaborazione europea nel campo delle ricerche spaziali (COPERS), i paesi europei pervenivano nel 1962 all'istituzione di due organizzazioni, l'ELDO e l'ESRO: la prima aveva il compito di costruire e 26/152
mettere a disposizione dei paesi membri vettori per il lancio di satelliti, la seconda di sviluppare nei propri laboratori la tecnologia spaziale e provvedere al lancio di razzi sonda e di piccoli satelliti scientifici. Il vivo interesse per la cooperazione spaziale europea nasceva, oltre che da ragioni politiche, anche da pressanti aspettative di sviluppo industriale, tanto che già nel corso della gestione del COPERS, cioè prima dell'entrata in vigore delle due Convenzioni istitutive (1964), venivano avviati i programmi realizzativi ed i connessi lavori industriali 2: fatto questo alquanto inconsueto per un'istituzione internazionale priva, come nel caso in parola, di copertura giuridica e garantita solo provvisoriamente dall'organismo promotore e solo parzialmente dall'Accordo di Meyrin (Ginevra) del 1° dicembre 1960, che prevedeva la creazione del COPERS con il compito di avviare le attività preliminari e predisporre una Convenzione (poi diventate di fatto due) per la creazione di una organizzazione definitiva. I programmi originari dell'ELDO e dell 'ESRO prevedevano rispettivamente la realizzazione di tre serie di vettori (Europa I, Europa 11, Europa III) e la costruzione di satelliti scientifici e properativi, nonché di razzi sonda. Ma allo spirito fortemente collaborativo che aveva caratterizzato tanto i lavori preparatori quanto la predisposizione della prima serie di Europa I 3 e la definizione del carico utile dei satelliti scientifici della serie ESRO (lanciati nei tempi previsti con vettori acquistati presso la NASA) era ben presto subentrata una certa tensione tra i partners, specie a seguito dei ritardi rilevati
nei tempi attuativi dell'Europa I. A ciò si aggiunse un'ulteriore difficoltà derivante dalla scelta del tipo di satellite preoperativo che avrebbe dovuto essere collocato in orbita con uno dei vettori europei della seconda serie (Europa TI). A questo proposito l'Italia aveva proposto la costruzione del satellite PAS per le telecomunicazioni, nell'intento di preparare le industrie nazionali a concorrere al soddisfacimento della domanda di INTELSAT per la realizzazione della propria rete '. A loro volta altri paesi erano chiaramente interessati al tipo di satellite spaziale da utilizzare nelle telecomunicazioni marittime (Gran Bretagna), ovvero nelle rilevazioni meteorologiche (Francia), oltre che per la progettazione e costruzione dei vettori quale strategia finalizzata all'indipendenza dell'Europa nel settore spaziale. Pur inserito, in via di principio, nei temi programmatici della collaborazione, il progetto italiano non ebbe però il placet per il passaggio alla fase realizzativa vera e propria, a causa dei primi insuccessi di Europa I che determinarono la richiesta di consistenti tagli nelle spese e, quindi, la cancellazione del programma PAS. Questa decisione creò in Italia un notevole disappunto, tanto che il CIPE, nella riunione del 23 gennaio 1969, decise di negoziare una sostanziale riduzione del contributo all'ELDO, in corrispondenza della quota di lavoro che veniva a mancare alle industrie nazionali (nel frattempo organizzatesi nel CIA - Consorzio industrie aerospaziali), e di proseguire la realizzazione del progetto in ambito nazionale. In questa situazione, la crisi dell'ELDO era inevitabile. Gli Stati membri,
prendendo atto dell'insuccesso di Europa Il (5 dicembre 1971) preordinato alla messa in orbita geostazionaria di satelliti operativi, decidevano la liquidazione delle attività dell'ELDO a partire dal 1973 s. Non solo: quasi contestualmente al lento logoramento dei rapporti in ambito ELDO, taluni partners si chiesero se non fosse giunto il momento di rivedere seriamente gli obiettivi e le procedure operative dell'ESRO, per adattarli alla nuova situazione e alle nuove esigenze. Senza nulla togliere al ruolo insostituibile delle attività scientifiche perseguite dall'ESRO - che in pratica confermavano la vocazione istitutiva di quest'organismo, - la Francia non escludeva che la cooperazione europea in campo spaziale potesse riguardare anche la realizzazione dei programmi applicativi (satelliti meteorologici, per le telecomunicazioni, per il rilevamente delle risorse terrestri). Occorreva, peraltro, riformulare le norme istitutive e vincere le esitazioni della maggioranza delle delegazioni, influenzate da personalità del mondo accademico che sostenevano la convenienza del ricorso al mercato americano dei satelliti applicativi. Alcuni fatti squisitamente politici contribuirono indirettamente a superare le preclusioni di principio all'ampliamento degli obiettivi dell'ESRO. Il primo fu che gli Stati Uniti, forti di una posizione di assoluto predominio in materia di lanciatori di satelliti commerciali, dichiararono che non avrebbero reso disponibile alcun proprio vettore per satelliti per telecomunicazioni costruiti al di fuori dell'influenza dell'industria statunitense. Pertanto, una capacità autonoma europea nel campo dei satelliti operativi non pote153/27
va prescindere da una analoga indipendenza nel campo dei lanciatori. 11 secondo fatto fu l'incontro tra il Presidente francese Pompidou e il Premier britannico Edward Heath (maggio 1971) che favorì la conclusione dei negoziati per l'ingresso della Gran Bretagna nella Comunità economica europea, con la conseguente definizione di un univoco comportamento sul problema della revisione dell'ESRO e, in particolare, sulla possibilità di prevedere la realizzazione di programmi facoltativi (favoriti e finanziati dai soli paesi interessati). Nella stessa occasione furono stabiliti i principi per la gestione delle future reti di satelliti (marittimi a carattere intercontinentale, meteorologici e per telecomunicazioni europee), che, attivate negli ultimi anni, sono appunto di matrice inglese (INMARSAT) per quanto attiene la gestione dei satelliti Marecs e di influenza francese (EUMETSAT nonché EUTELSAT) per quanto concerne le reti di satelliti, rispettivamente, meteorologici (Meteosat) e di telecomunicazioni tra Paesi europei (ECS). 11 terzo elemento politico fu la proposta di collaborazione avanzata dagli Stati Uniti all'Europa per il progetto post-Apollo con la costruzione del laboratorio europeo Spacelab da imbarcare sullo Shuttle. La collaborazione, com'è noto, si è poi conclusa in maniera positiva nell'autunno del 1983. In tale contesto veniva convocata la Conferenza spaziale europea a livello di Ministri della ricerca scientifica (Bruxelles, 20 dicembre 1972), che accolse formalmente la proposta di incentrare in un medesimo organismo le realizzazioni di trasporti spaziali e di satelliti sia scientifici che preoperativi: l'Agenzia spaziale europea (che alcuni 28/ 154
chiamarono la NASA europea) era ormai prossima a diventare realtà. Furono necessari, peraltro, ulteriori negoziati alfine soprattutto di rendere compatibili tre posizioni: quella dei francesi, che volevano l'autonomia nel campo dei vettori sulla base del progetto Ariane (avviato a livello nazionale nell'estate del 1972); quella tedesca, favorevole alla collaborazione con gli USA nell'ambito del programma postApollo; e quella inglese, che sosteneva il progetto per satelliti marittimi. Con la Conferenza dei Ministri pienipotenziari, tenutasi a Parigi il 30 maggio 1975, venne formalmente sottoscritta da 11 paesi la Convenzione istitutiva dell'Agenzia spaziale europea (ESA-European Space Agency) 6 La Convenzione è poi entrata in vigore solo il 30 ottobre 1980 con il deposito dello strumento di ratifica della Francia, dopo che tutti gli altri partners avevano da tempo comunicato l'adesione dei rispettivi Parlamenti nazionali (per l'Italia la ratifica è stata approvata con la legge 9 giugno 1977, n. 358). Fino a quella data la prosecuzione della attività spaziali europee è stata assicurata, nel quadro di un regime transitorio, dal Consiglio dell'ESRO, che, in applicazione della Risoluzione n. i (funzionamento defacto dell'Agenzia spaziale europea) annessa all'Atto finale della Conferenza dei plenipotenziari di Parigi, ha assunto la denominazione di Consiglio ESRO/ASE con composizione pressoché identica a quella del Consiglio della nuova istituzione. Ciò anche perché - a differenza che per l'ELDO, di cui i paesi membri avevano deciso la liquidazione - i rapporti giuridici già in capo all'ESRO sono stati per intero trasferiti all'ASE quale ente successore.
Tramite l'ASE, i paesi europei sono riusciti a mantenere vivo l'interesse delle industrie per le attività spaziali ed a fronteggiare la superiorità tecnologica statunitense fino a poter competere validamente in alcuni campi applicativi; per fare un esempio, 1'INTELSAT utilizza attualmente il razzo europeo Ariane per l'inserimento di nuovi satelliti nella propria rete di telecomunicazione. Se all'inizio si erano impegnate soprattutto nella realizzazione dei lanciatori (peraltro con non poche difficolta) e di satelliti scientifici, le industrie europee sono ora attratte dai programmi dell'Agenzia, che vengono sviluppati come «programmi obbligatori» (attinenti, in sostanza, a iniziative scientifiche per l'esplorazione dello spazio) e <(programmi opzionali» (concernenti progetti applicativi nei settori dei trasporti spaziali, delle telecomunicazioni, anche marittime, delle ricerche meteorologiche e delle risorse terrestri. E importante sottolineare che uno dei compiti dell'ASE è quello di elaborare ed applicare una politica industriale appropriata all'esecuzione dei suoi programmi, politica che, pur finalizzata a migliorare la competitività delle industrie europee sul piano mondiale, deve nel contempo garantire una partecipazione equilibrata delle industrie dei paesi membri. Per tali ragioni, ed in considerazione del fatto che l'annesso V della Convenzione ASE prevede esplicitamente la definizione di regole sulla ripartizione geografica dei contratti, l'Agenzia si è imposta di reinvestire il contributo finanziario di ciascun paese membro presso le rispettive industrie (cosiddetto principio del «giusto ritorno»). Con il tempo, la nozione di «giusto ritorno», cui all'origi-
ne veniva data un'interpretazione strettamente finanziaria, ha progressivamente assunto un significato più aderente alla realtà della collaborazione: nella qualificazione del «ritorno industriale» si è infatti ricompreso sia l'ammontare dei lavori industriali, sia l'acquisizione di conoscenze tecnologiche. In sede di affidamento delle commesse esiste certamente un aspetto quantitativo; ma questo non deve, tuttavia, porre in secondo piano le utilita tecnologiche che possono derivare dalla realizzazione di determinati lavori per componenti spaziali. IL PIANO SPAZIALE NAZIONALE
Parallelamente al rilancio della cooperazione europea attraverso la creazione dell'ASE, in Italia si è sviluppata, sia pure in maniera graduale, un'azione programmatrice del CIPE in materia spaziale. Negli anni Sessanta le iniziative italiane perseguivano finalità diverse (satelliti San Marco con la gestione della base di lancio nel Kenya e ricerche nei laboratori del CNR), senza che tra gli Organi promotori ed esecutori delle medesime (Centro ricerche aerospaziali dell'Università di Roma e CNR), esistesse un effettivo coordinamento. Con la delibera 23 gennaio 1969, il CIPE, nel decidere la prosecuzione in ambito nazionale del progetto PAS e nell'intento di ridurre le spese relative, raccomandava di cercare con la NASA un accordo di lancio gratuito quale «contropartita dell'uso della piattaforma San Marco per il periodo 19691971».
Per la prima volta si cercava di ricondurre in un quadro unitario i diversi 155/29
interessi sottostanti le iniziative spaziali; per esempio destinando a vantaggio del satellite PAS, in seguito denominato Sino, le controprestazioni offerte dalla NASA per l'uso della piattaforma costruita e gestita fino allora nel ristretto contesto del progetto San Marco. In seguito, un nuovo intervento del CIPE (delibera 6 dicembre 1971) incaricava il Ministro per il coordinamento della ricerca scientifica e tecnoloica di riferire annualmente sulle attivita svolte nel campo della ricerca spaziale in Italia e nelle sedi internazionali, così prefigurando un ruolo di indirizzo e di raccordo fin lì del tutto inesistente. Se prendeva progressivamente corpo l'ipotesi di una gestione coordinata delle attività spaziali, molto a rilento procedevano invece i lavori di realizzazione del satellite SIRIO. Una serie di difficoltà, non ultime quelle riguardanti il reperimento delle necessarie risorse finanziarie (inizialmente si era fatto ricorso al prefinanziamento da parte delle industrie costruttrici), fecero sì che la messa in orbita geostazionaria del satellite non potesse aver luogo prima del 25 agosto 1977 . Oggi il Sino è al settimo anno di ininterrotta vita orbitale, controllata da terra dalle stazioni italiane Telespazio del Fucino e del Lario, e nonostante lo scorso anno sia stato spostato da una posizione gravitante sul versante nord dell'oceano atlantico a una gravitante sull'oceano indiano, consente tuttora l'effettuazione di prove di trasmissioni (telefoniche e televisive a frequenze elevate tra i 12 ed i 18 Gigahertz) tra l'Italia e la Cina. Sulla scia del successo SIRIO, che da eperienza isolata doveva evolvere fino a segnare l'inizio di una sostanziale qualificazione dell'industria nazicuiale in un'ottica di collaborazione e di ri30/ 156
torno sotto forma di commesse, emerse l'esigenza di predisporre un Piano spaziale nazionale, che venne approvato dal CIPE (con delibera del 25 ottobre 1979) per il periodo 1979-1983 8 A cinque anni da quella delibera, il CIPE ha recentemente provveduto (delibera del 27 aprile 1984) alla seconda revisione del Piano, prolungandone l'orizzonte temporale al 1988 ed adattandolo alle nuove esigenze del settore risultanti dall'evoluzione tecnologica e dal niutato panorama internazionale. L'esigenza di una revisione periodica del Piano era del resto già stata prevista implicitamente dal CIPE che, in sede di prima approvazione, aveva stabilito che le risorse da destinare nel triennio 1982-1983 ai singoli settori di intervento fossero determinate entro il 31 dicembre 1981 «tenendo conto dei risultati, delle prospettive risultanti dai vari studi di fattibilità e della evoluzione della situazione internazionale». In teoria la revisione dovrebbe rendere 6ssibile da un lato, la riduzione degli impegni che si rivelassero non più attuali; dall'altro, l'avvio di nuovi programmi necessari per rimanere al passo con i tempi internazionali. Di fatto, tuttavia, niente di tutto ciò è accaduto, essendo mancata la verifica di quanto fosse effettivamente realizzabile con le risorse finanziarie a disposizione. Fatte salve l'assegnazione al Centro ricerche aerospaziale dell'Università di Roma della gestione del progetto San Marco e della base del Kenya, la proposta di realizzare il satellite geodetico LAGEOS Il per collaudare il modulo IRIS quale lanciatore ausiliario dello Space Sbuttie, nonché la previsione di esperienze sul satellite europeo L-SAT per la diffusione diretta di programmi TV, le revisioni si sono concretizzate in una mera
conferma degli iniziali obiettivi programmatici e nel conseguente aggiornamento delle spese relative. Quanto alla dimensione finanziaria, la prima delibera. CIPE di aggiornamento, nel confermare in 200 miliardi diiire l'impegno finanziario per il 19791983 (a prezzi 1978), ha fissato un'integrazione di 352 miliardi per il triennio 1984-1986 (a rezzi 1981); con la seconda revisione e stata poi prevista un'ulteriore integrazione di 538 miliardi per gli anni 1987-1988. Sono dunque 1.098 i miliardi che potrebbero spendersi per progetti posti allo studio nel 1979 ed ora in fase di realizzazione. Per taluni di questi progetti, peraltro, non. è neppure certo che, una volta completati, possano essere utilizzati, dal momento che quest'ipotesi è subordinata all'impiego da parte della NASA per lo Space Shuttle o per le stazioniorbitali. E il caso, in particolare, dell'IRJS, con il relativo carico utile costituito dal satellite LAGEOS Il, del TSS (Tethered Satellite System) e del satellite scientifico SAX che non sembra possano essere realizzati ed impiegati in via autonoma, essendo determinanti la collaborazione coh la NASA (per quanto concerne i progetti IRIS e TAS) ovvei o la partecipazione di industrie europee (per quan-
to attiene l'esecuzione del satellite SAX). Non essendo le nostre risorse scientifiche organizzate in un sistema in grado di garantire la validità e soprattutto la fattibilità delle opzioni del Piano spaziale nazionale - ipotesi, questa, che presupporrebbe quanto meno il superamento dell'attuale sistema gestionale affidato al CNR - il ricorso pressoché istituzionalizzato, per la realizzazione dei vari progetti, alla collaborazioneconsulenza di esperti esterni rischia di attivare una sorta di controllo internazionale sulle nostre decisioni e di trasferire all'estero le commesse per i lavori più complessi: con la conseguenza di rinviare sine die la definitiva qualificazione delle strutture nazionali di ricerca e di produzione. Esiti di questo tipo potrebbero forse essere evitati, almeno in parte, con soluzioni istituzionali appropriate nell'ambito delle quali definire, sull'esempici di organismi gia òperanti con buoni risultati in altri paesi (la NASA negli Stati Uniti, il CNES in Francia, il NIVR in Olanda), le linee e gli obiettivi della politica spaziale in campo sia nazionale che internazionale e coordinare gli interessi e le strategie delle industrie elettronico-aerospaziali italiane.
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NOTE La legge 9 febbraio 1963, n. 123, ha previsto un contributo straordinario, a favore del Consiglio nazionale delle ricerche, di 4,5 miliardi di lire per gli anni 1963-1965. A sua volta la legge 5 giugno 1967, n. 422, ha concesso, per il 1967, 1 miliardo al Consiglio nazionale delle ricerche per consentire &il completamento della fase del programma (San Marco C) in corso di realizzazione» e 1,2 miliardi al Centro ricerche aerospaziali dell'Università di Roma c'per ulteriore espletamento del programma stesso, ivi compresa la manutenzione e l'impiego del poligono di lancio'. La legge 5 giugno 1967, n. 423, ha invece autorizzato, per il 1967, la concessione a favore del Consiglio nazionale delle ricerche di un ulteriore contributo straordinario di 1,7 miliardi «per la realizzazione dei programmi di ricerca fondamentale nel campo spazia1e», operando una netta separazione tra progetto San Marco ed ogni altro genere di attività spaziale promossa con risorse finanziarie statali. 2 La Convenzione ELDO (European Launchers Development Organisation), firmata a Londra il 29 maggio 1962, è stata ratificata con legge 6 marzo 1965, n. 258, mentre la Convenzione ESRO (European Space Research Organisation), firmata a Parigi il 14 giugno 1962, è stata ratificata con legge 6 marzo 1965, n. 257. L'Europa I consisteva in un razzo vettore a tre stadi (il primo derivava dal razzo inglese terra-terra denominato Blue-Streak, il secondo ed il terzo assegnati invece, rispettivamente, ai francesi e ai tedeschi) che sarebbe stato utilizzato, in un primo momento, per mettere un carico utile in un'orbita circolare e, in una fase successiva, per collocare i satelliti operativi nell'orbita geostazionaria. INTELSAT è un consorzio internazionale di natura commerciale per le telecomunicazioni via satellite, non assimilabile alle organizzazioni internazionali esistenti. Esso raggruppa gli organismi di telecomunicazione nazionali, riscuote le contribuzioni in relazione all'uso della rete e, con gli importi riscossi, finanzia la costruzione di nuovi satelliti per il martenimento della rete. V. M,'uiucis LÈvy, Some Recollections ofthe Period 1970 75, Ed. ESA, Paris 1984. 6 il 30 mggio 1975 la Convenzione istitutiva dell'ESA è stata sottoscritta da Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Italia, Olanda, Spagna, Svezia, Svizzera e Regno Unito; l'irlanda ha aderito qualche mese più tardi e cioè il 31
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dicembre 1975. Ci sono poi due paesi associati (Austria e Norvegia). Secondo taluni osservatori, l'esecuzione del SIRIO avrebbe rallentato le altre attività spaziali nazionali per le quali globalmente erano previsti 29,4 miliardi di lire per gli anni 1969-1972 (legge 9 marzo 1971, n. 97) e 34,65 miliardi per il periodo 1972-1976 (legge 2 agosto 1974, n. 388). In particolare, MAssiMo ROCcEII, in Politica della ricerca scientifica e tecnologica in Italia, « Quaderni CNR, Ròma 1981, precisa (pag. 120) «che gli stanziamenti previsti dal legislatore nel 1974 per le ricerche dei laboratori nazionali - 10 miliardi per il periodo 1974-76 da destinare, secondo le proposte del CNR, le raccomandazioni del CIPE e le indagini del Ministro per la ricerca scientifica e tecnologica, all'applicazione della tecnica spaziale in quei settori tecnologici più direttamente utili al paese, e che erano • stati fino allora trascurati - e per il programma San Marco - circa 7 miliardi, in particolare per il completamento del progetto S. Marco D - sono stati per buona parte utilizzati per le inderogabili necessità del SIRIO. Inevitabile è stato il notevole rallentamento di queste ricerche .e solo i significativi stanziamenti del 1979 (40 miliardi) hanno permesso la ripresa delle iniziative'. 8 La delibera CIPE del 25 ottobre 1979 ha motivato l'approvazione del Piano spaziale per il conseguimento dei seguenti obiettivi: - garantire, nella coerenza con i criteri di base della partecipazione italiana ai programmi internazionali, una presenza nazionale più incisiva in campo spaziale attraverso il potenziamento delle iniziative applicative; - agevolare lo sviluppo di un settore avente caratteristiche tecnologiche particolarmente avanzate con elevato contenuto di ricerca e innovazione. Inoltre, la stessa delibera ha determinato il fabbisogno finanziario per il quinquennio 1979-1983 in lire 200 miliardi, di cui per il primo triennio 1979-1981 lire 98 miliardi ripartiti tra i seguenti programmi: - Ricerca di base . . . . . . . . . . . . . lire 12 miliardi - CRA - Base Kenya . . . . . . . . . . . lire 7 miliardi - Spacelab - Carichi utili . . . . . . . . . lire 7 miliardi - Nuovo programma telecomunicazionilire 52 miliardi - Telerilevamento . . . . . . . . . . . . lire 6 miliardi - Propulsione e mezzi ausiliari ..... lire 7 miliardi - Studi - Strutture avanzate ........ lire 7 miliardi