Anno XIX - n. 85-86 - Semestrale (gennaio-giugno) - spedizione in abb. postale gr. IV/70%
queste ìstìtuzionì Sull'orlo della ragione Quale stato amministrativo per l'Europa Federico Rampini, Alberto Colabianchi, Giulia Mariani, Giampaolo Ladu, Emanuela Goggiamani La riorganizzazione della Sanità al di là della riforma legislativa Roberto Turno, Marco Meneguzzo, Louis De A lessi L'organizzazione del non profit Pablo Eisenberg, Bernardino Casadei, Francesco Rigano
n. 85-86 1991
queste ishhhziorn rivista del Gruppo di Studio SocietĂ e Istituzioni Anno XIX, n. 85-86 (gennaio-giugno 1991) Direttore: SERGIO RISTUCCLk Vice Direttore: VINCENZO SPAZIANTE Comitato di redazione: ANTONIO AGOSTA, BERNARDINO CASADEI, DANIELA FEusINI, GIuuA MARIANI, GIORGIO PAGANO, vljutcaiio Ror, Csusmo A. Ris'ruccrA, STEFANo SEPE, FRANCESCO SIDOTI. Responsabile redazione: GIuUA MASUANI Responsabile organizzazione: GIORGIO PAGANO - Direzione e Redazione: Via Ennio Quirino Visconti, 8 - 00193 Roma Tel. 39/6/3220880 - 3215319 - Fax 3220881 Periodico iscritto al registro della stampa del Tribunale di Roma al n. 14.847 (12 dicembre 1972) Responsabile: GIOVANNI BECHELLONI Editore: QUE SIRE. sRi. QuEsTE ISTITUZIONI RICERCHE Stampa: Soc. Interstampa ari - Via Barbana, 33 - 00144 Roma - Tel. 0615403349-5405972 Finito di stampare nel mese di novembre 1991
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Gruppo di Studio Società e Istituzioni Comitato Italiano della Fondazione Europea della Cultura
Nel 1990 il Gruppo di Studio ha promosso ed ospitato il nuovo Comitato Italiano della Fondazione Europea della Cultura. Creata negli anni Cinquanta nel clima del primo europeismo, la Fondazione è divenuta un organismo di diritto olandese con sede in Amsterdam. La sua attività è volta a promuovere la cooperazione culturale in Europa, e da sempre il suo campo d'azione ha interessato tanto l'Europa occidentale quanto quella centrale ed orientale. L'espressione "cultura" non si riferisce soltanto al patrimonio artistico europeo, ma si estende all'ambito dell'educazione, dell'ambiente, degli affari sociali e della comunicazione. La Fondazione coordina una rete europea di istituti e di centri di ricerca, contribuisce attivamente a stabilire relazioni e ad avviare progetti comuni tra organismi privati e pubblici.
N. 85-86 1991
Indice
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Sull'orlo della ragione
i Quale stato amministrativo per l'Europa 3
Amministrazione francese: passaggio in Europa Strategie per salvaguardare la grandeur e, soprattutto, per mantenere efficiente l'amminisirazione Federico Rampini
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Inerzia e innovazione Le amministrazioni pubbliche di fronte alla normativa europea Alberto Colabianchi
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Italia, pubblica amministrazione: a che punto siamo per il '93? Le risposte di uh dibattito e di un'indagine per questionario Giulia Mariani
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Segretario comunale e Chief Executive a confronto Un parziale avvicinamento di modelli ordinamentali? Giampaolo Ladu
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Il deficit italiano di fronte all'Europa: serve ancora la riforma del bilancio? Emanuela Goggiamani
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La riorganizzazione della SanitĂ al di lĂ della riforma legislativa
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La "riforma della riforma" in Parlamento Il conflitto tra i livelli di governo Roberto Turno
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Sono pronte le Regioni per la riforma della SanitĂ ? Analisi di alcune esperienze regionali negli anni Ottanta Marco Meneguzzo
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Privato e pubblico, profit e
non profit
nella SanitĂ
Le lezioni dell'esperienza americana Louis De Alessi
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L'organizzazione del non profit Associazioni e organismi del settore privato
non proftt
in Europa
Un processo di crescita irreversibile ma difficile Pablo Eisenberg 131
Associazionismo e volontariato in Parlamento Bernardino Casadei
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Le sovvenzioni statali all'associazionismo Francesco Rigano
Questo numero è stato chiuso in tipografia nell'ottobre 1991
Sull'orlo della ragione La grande sorpresa di fronte agli avvenimenti dell'89 ha dato luogo all'inquietudine. L'euforia di noi occidentali per trovarci più o meno, consapevolmente o no, fra i "vincenti" ha poi dato luogo al disorientamento di non capire bene cosa stesse avvenendo e di non sapere. cosa fare, e come, in situazioni dirompenti senza più il contesto geopolitico della spartizione post-bellica. Contesto deprecato ma, tutto sommato, comodo per l'Occidente. Agosto 1990: crisi del Golfo e poi, più avanti, guerra con l'Iraq. Un sentimento raggelato di paura e un gran ribollire di sentimenti contrastanti. Agosto 1991: la grande paura per il golpe tentato a Mosca, il gran sollievo e insieme lo sconcerto successivo (come si assesterà il sistema di potere nell'ex URSS?). E, ancora, sconcerto di fronte alla crisi balcanica, per tanti aspetti incomprensibile. Dunque, il post-89 è sempre più all'insegna dell'ansia collettiva. Le "sfide" sembrano sempre più consegnate al patrimonio della retorica. La storia non: sembra poter fare grandi sconti. Oggi, in verità, si può avere l'impressione, e noi l'abbiamo, di essere sull'orlo della ragione. Come quando, e forse di più, ci si inoltrasse su grandi pianure senza contorni dove non si trovano più i profili naturali e abitativi che definivano confini, luoghi e consuetudini della nostra vita e dove i rischi di forre e voragini nascoste sono difficili da percepire in tempo. In riferimento agli avvenimenti che abbiamo vissuto o stiamo vivendo alcune riflessioni ci sembrano importanti in una prospettiva che si riagganci a problemi istituzionali. Uno: con la guerra del. Golfo sono state create le condizioni per il nuovo ordine delle relazioni internazionali? Ci sono oggi le premesse per realizzare un sistema istituzionale del governo mondiale? O meglio ancora, è stata individuata la caratteristica e la dinamica propria di istituzioni necessarie per il governo mondiale? Due: l'Europa dei 12 in questa fase di transizione, cosa può fare? E, soprattutto, ce la fa ad andare avanti e in qual modo deve, rapidamente, darsi le istituzioni appropriate? Sullo sfondo c'è poi da chiedersi se il patrimonio di idee, valori e strumenti della democrazia occidentale sia sufficiente per le nuove prospettive europee. Per esempio, non ci pare che esista un pensiero politico e costituzionale che si ponga il compito di far fronte al progressi-
vo intreccio della questione dell'"identità" sociale delle tante etnie europee, che drammaticamente si ritrovano in conflitto, con il trauma delle grandi migrazioni in atto o prossime venture. Guerra del Golfo. Difficile immaginare la crisi del Golfo al di fuori del venir meno del contesto geo-politico del bipolarismo che i fatti dell' '89 avevano documentato. L'avventura del tenebroso dittatore di Bagdad che ritenne di risolvere le proprie difficoltà economiche e l'annoso contenzioso con il Kuwait attraverso la brutalità di un 'annessione non avrebbe avuto presupposti adeguati senza il venir meno dell'equilibrio bipolare e senza le ambiguità dell'assetto di transizione. La principale miscalculation di Saddam Hussein riguarda l'atteggiamento degli Stati Uniti della cui protezione aveva pur sempre, in qualche modo, goduto nella lunga guerra con l'Iran. In sostanza la fine • del bipolarismo su scala mondiale sembrava potesse anche essere sostituito da giochi di potenza regionali non piÙ "controllati" dalle superpotenze, come in passato, ma sostanzialmente liberi secondo la regola del più forte in loco. Così ha pensato l'uomo di Bagdad, come ha riferito Eugheni Primakov, inviato personale di Gorbaciov, nel re• soconto dei suoi incontri col tiranno durante la crisi e la guerra La: superpotenza USA, unica rimasta e pur in quakhe. difficoltà sul piano della potenza economica, non poteva però in nessun mòdo consentire. E proprio per non vedere innescare un processo di destabiliz• zazione ulteriore in ùn'àreà strategica.per sée per i paesi dell'Occi• dente industrializzato. . . .' •. Ma da sola l'unica.superpotenza non poteva muòv'rsi senon rischiandò la propria legittimazione ed innescando controproducenti effetti di ri• getto verso il ruolo autoproclamato di "gendarme del mondo". Da qui la necessità di chiedere ed ottenere un mandato dell'ONU, l'organizzazione mondiale tanto poco apprezzata dagli americani nell'epoca rea ganiana. maora fondamentale per riconfermare akune regole base delle relazioni internazionali. L'ONU come soggetto di riserva per mantenere un equilibrio internazionale in una dfJìcile fase di transizione ovvero come possibile nucleo iniziale di un "governo mondiale"? E questa la domanda che si pone oggi, nel dopo-guerra del Golfo. Se l'evoluzione istituzionale non è preparata da processi di lungo periodo non è probabile che una "finestra di opportunità" (espressione cui ci hanno abituato gli strateghi militari americani durante la guerVI
ra) possa essere tenuta aperta. Tanto più che non sembrano esserci, per il momento, ragioni di opportunità per la supeipotenza che la sollecitino a passi ulterori verso un governo mondiale che dovrebbe, in fondo, per gran parte sostituirla ovvero che l'impegnerebbe a mantenere il compito improbo di gendarme del mondo. Certamente l'aspetto più rilevante della guerra del Golfo sta proprio nel ruolo istituzionale dell'ONU, tutto sommato nuovo, e non mai prima sperimentato (la guerra di Corea negli anni cinquanta non era cominciata su mandato, in senso proprio, dell'ONU). Da qui le caratteristiche della vicenda nel bene e nel male: il grande consenso internazionale per un 'azione dura contro il violatore della sovranità di uno stato, l'irrigidimento della contesa. E stato giustamente notato che la diplomazia non ha avuto vero spazio nella vicenda: gli organi collegiali non fanno diplomazia, si limitano ad emettere decreti e verdetti da applicare e bastai Soprattutto quando manchi un' Esecutivo vero. Sicché, seguendo la logica meramente decretizia, all'avversario non è stata applicata nemmeno la "diplomazia della polizia" ma solo l'ultimatum. Ci si è chiesto se era possibile pensare che si arrendesse senza combattere chi si nutre e a sua volta alimenta una tetra cultura di guerra, facendo magari conto di uno dei tanti usi dell'invito profetico alla "erra santa" e, una volta sconfitto, potendo ricorrere l'argomento coranico che tutto vuole Allah, anche. la vittoria dei nemici. La guerra, che è sempré.sospensionè di istituoni e di regole morali, si è rivelata ben. divetsa' nei fatti da quanto si pensasse 'o t'enesse Ìn Occidente: combàttut sostanzidlmenèe da una sola parte con'preoderanza assoluta di mezzi e condotta con la riiassi'ma determinazione nel proposito di ridurre'al minimo i propri costi umani secondo ilprincipio, ineccepibile in guerra, del "mors tua vita mea" (la scomparsa di migliaia di iracheni sepolti vivi in trincea o bombardati mentre erano in fuga sono stati poi ampiamente documentati o raccontati nei giorni o mesi seguenti alla guerra). E ormai rimesso agli storici ed analisti ricostruire e comprendere il percorso attraverso il quale si è arrivati alla guerra, come è andata, quali distruzioni ha comportato e ìoprattutto quali effetti ha avuto e potrà ancora avere. Qualche storico si riproporrà il quesito se fosse veramente necessaria. Quel che ora interessa sapere è se l'ipotesi del rilancio dell'ONU e della sua ristrutturazione si gioverà veramente dell'occasione che la guerra del Golfo ha fornito. O se l'episodio si è già chiuso in sé e VII
se il "mandato" dell'ONU agli Stati Uniti o, per essere precisi, al suo Presidente abbia favorito il processo di transformazione dell'organizzazione iniziato con l'unanime reazione a Saddam ovvero l'abbia interrotto. Non va dimenticato che la guerra del Golfo ha rappresentato un altro capitolo della contesa costituzionale statunitense sui "poteri di guerra" del Presidente. Una contesa nella quale Bush, attraverso l'Onu, si è mosso abilmente di fronte ad un Congresso in definitiva molto perp lesso sul che fare. Il risultato che ne è conseguito sta nella conferma sostanziale dei poteri della "presidenza imperiale" i cui connotati e la cui storia sono stati già oggetto di indagini divenute dei classici punti di riferimento (come il libro omonimo di Arthur Schlesinger jr). L 'Europa della CEE nella guerra del Golfo non ha avuto una presenza di spicco. Più tardi, davanti al ripresentarsi della questione bakanica nei suoi termini peggiori, di inizio secolo, l'Europa comunitaria ha avuto grandi difficoltà a trovare una linea. Poi, una volta assunto un ruolo di mediazione, ha dovuto subire lo scacco di molti insuccessi. E stato facile il coro sulla debolezza europea, sull'incapacità a farsi valere, sulla mancanza di strumenti adeguàti sul piano della difesa e della sicurezza. Diciamo che è difficile negare il notevole grado di impreparazione, la sorpresa, le tentazioni centrifughe, la mancanza di visione. Naturalmente gran parte dei lamenti e critiche sono la scoperta dell'ovvio; la scoperta cioè che la Comunità non è ancora un vero meccanismo di governo. Non essendolo - e lo sappiamo bene - sarebbe sorprendente il contrario, cioè appunto una pronta e lucida capacità di intervento politico. Tanto più che i fatti come quelli di Jugoslavia impongono interventi extra moenia, assolutamente inediti. Il guaio è però che gran parte di lamenti e critiche rivelano concenzioni e metri di giudizio ben discutibili: quelli del rimpianto della grande potenza (militare). E siccome i connotati di grande potenza non si ritrovano nella Comunità ecco tanti commentatori guardare con commiserazione l'Europa e prepararsi a spiegare, e sostanzialmente a giustificare, che la grande potenza venga a riaffacciarsi. Magari nei grandi stati nazionali e soprattutto, com 'è naturale che tutti si aspettino, nella Germania. A guardare bene le cose, e pur dando per scontata impreparazione, pigrizia e mancanza di visione nella classe dirigente europea, appare VIII
chiaro che intanto la Comunità è l'unica realtà strutturale nuova dell'Europa. Essa ha le basi economiche per crescere e possiede una logica coesiva, forse di basso profilo ma già collaudata. Ed, infatti, i singoli stati alla fin fine sono costretti a ritrovarsi in una coesione, inefficace nel breve periodo ma probabilmente molto meno nel lungo. Il che è tanto più importante quanto più si fonda nei casi di conflitto, sulla regola e sulla necessità del negoziare e poi negoziare e poi ancora negoziare. Al di fuori di questo metodo, le profonde diversità europee tornano alla naturalità di conflitti senza senso, cioè a regresso mero e secco.' Ecco, dunque, in che senso siamo sull'orlo della ragione, come lo scrittore croato Miroslav Krleza intitolava un romanzo, scritto fra le due guerre, sulla società della prima guerra mondiale.
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queste istituzioni
Quale stato amministrativo per l'Europa Sulla base di quanto pubblichiamo in questo dossier, al mercato unico ci si può avvicinare in due modi: con strategie d 'insieme ambiziose come quella francese di cui riferisce Rampini; con la perpiessità di chi passa dagli atteggiamenti del cosmopolitismo provinciak proprio degli.iialiani divenuti grandi turisti alla pigrizia del particolare che giorno per giorno caratterizza la vita pubblica e sociak italiana. Chi ricorda più che il primo governo An4reotti di questa decima legislatura era nato anche all'insegna di un proposito: che il governo con riunioni ad hoc dedicasse una particolare attenzione a guidarela preparazionè del "sistema Italia" alla scadenza del 1993? Il quadro, politico europeo si complica e si modifica continuamente con le tante crisi del post-89. E questo sembra una buona ragione per rimanere in attesa. Raccapezzarsi è difficile e stanca. Cominciamo a ritenere che anche l'attesa di una CEE castigamatti nei confronti dell'Italia discola e cattiva amministratrice di se stessa stia diventando attesa esile ed un pò patetica. La mancanza di progetto rischia di sopraffare tutto. L 'Europa delle amministrazioni, se in quakhe modo si farà, la faranno gli altri. L'Italia è pronta a rinchiudersi nel marginale: facciano i singoli (cittadini e imprenditori) se saranno capaci. L 'Italia, al più, potrà servire e fare da alibi per i paesi europei che non sono più molto convinti di dover fare ulteriori passi in avanti. Eppure noi continuiamo a chiederci e a chiedere: quale stato amministrativo per l'Europa del '93?
Amministrazione francese: passaggio in Europa Strategie per salvaguardare la grandeur e, soprattutto, per mantenere efficiente l'amministrazione di Federico Rampini
«Entro dieci anni l'80% della legislazione economica, fiscale e sociale applicabile negli Stati membri sarà di origine comunitaria» 1 Questa previsione, del presidente della Commissione CEE Jacques Delors, sarebbe stata considerata come un autentico oltraggio dal generale De Gaulle. Colui che propugnava negli anni Sessanta l'Europa delle patrie, e che non esitò a paralizzare le funzioni istituzionali della CEE con la politica della «sedia vuota» pur di rifiutare il principio delle decisioni a maggioranza, sarebbe inorridito di fronte alla espropriazione delle sovranità nazionali prospettata nelle parole di Delors. Oggi, al contrario, pochi paesi sembrano disposti quanto la Francia ad accettare uno spostamento del baricentro politico ed amministrativo dalle capitali dei dodici verso Bruxelles. Anzi, si potrebbe dire che tutta la strategia dei francesi è tesa a mantenere un peso specifico sulla scena internazionale attraverso il potenziamento delle istituzioni CEÉ. La stessa amministrazione pubblica transalpina, benché gelosa delle proprie prerogative, ha intrapreso con discreto successo una conversione all'eurocentrismo. Una metamorfosi politica, economica e culturale che ha portato Parigi su posizioni filocomunitarie ad oltranza, fino a dar corpo ad un vero e proprio impegno federalista. Questa trasformazione non è facile da ripercorrere, soprattutto perché sarebbe azzardato .
cercare una data-chiave, un punto di rottura. Coloro che amano rivendicare integralmente l'eredità gollista negano ogni soluzione di continuità, e sostengono che l'Europa di oggi ha ricevuto un impulso determinante dall'intesa tra il generale e il cancelliere tedesco Konrad Adenauer. Di fatto, è a partire dall'avvento di un presidente fioatiantico come Valéry Giscard d'Estaing, che si attenuarono negli anni Settanta alcune resistenze della politica estera francese verso una Comunità europea di tipo sovranazionale. Rinunciando ad ogni velleità di «terza via» ira est e ovest, Giscard inaugurò un duraturo asse preferenziale Parigi-Bonn che per lungo tempo divenne la forza propulsiva dell'integrazione europea. L'affinità di vedute nella strategia internazionale e la costante concentrazione tra Giscard e il cancelliere Helmut Schmidt giustificarono l'immagine di una cm governata dal condominio franco-tedesco. La pedagogia europeista di Giscard cominciò ad abituare i francesi all'idea che la politica estera del loro Paese potesse fondersi proficuamente nelle iniziative comunitarie, senza per questo rinunciare ai sogni di grandeur. Anzi, la CEE offriva al protagonismo parigino l'opportunità di aggiornarsi per sopravvivere. Con l'appoggio fedele di una Germania economicamente robusta ma politicamente e militarmente minorata, la Francia poteva aspirare ad essere un po' il «portavoce
permanente» della Comunità sulle grandi questioni mondiali. Così Parigi consolava l'amor proprio ferito dalla decolonizzazione, e si riattribuiva grazie alla vocazione europea lo statuto di una grande potenza. Giscard ebbe un indubbio successo nell'educare i francesi ad una politica estera europeista. Non altrettanto si può dire sul fronte interno, cioè dell'armonizzazione economica e sociale. Fino agli inizi degli anni Ottanta, ampi strati dell'opinione pubblica e la maggioranza dei partiti politici - i comunisti in testa, ma anche i socialisti e certi settori della formazione gollista - contestavano aspramente i costi dell'integrazione comunitaria. Come in altri paesi europei, il riflesso prevalente dopo i due shocks petroliferi degli anni Settanta era quello di rinviare le ristrutturazioni e i licenziamenti, proteggere il potere d'acquisto degli occupati, far pesare sulle finanze pubbliche l'impatto della crisi. In quest'ottica, le regole dell'economia di mercato e della concorrenza internazionale andavano piegate attraverso interventi assistenziali e una politica industriale dirigista. Gli eurocrati di Bruxelles venivano additati volentieri come capri espiatori, nella misura in cui l'esistenza della CEE limitava le possibilità di ricorso al potenziamento commerciale e industriale. L'avvento al Governo negli anni Ottanta del fronte comune della sinistra - nonostante l'incipiente declino dell'ideologia marxista si poteva spiegare in parte con questa ansia di limitare i traumi sociali della crisi economica. La coalizione formata da socialisti e comunisti propugnava un massiccio programma di nazionalizzazioni che avrebbe dovuto consegnare allo Stato le leve di controllo del sistema creditizio, degli investimenti industriali, della politica salariale nelle grandi imprese. La vittoria del socialista Francois
Mitterrand (candidato del Fronte comune) contro Giscard alle elezioni presidenziali del 1981, e il successivo trionfo del suo partito nello scrutinio legislativo dello stesso anno, consentirono di mettere alla prova l'efficacia delle nazionalizzazioni. Ovvero di quella dottrina che fu definita «il keynesismo in un paese solo». Oltre ad acquistare (nel 1982) i principali gruppi bancari e industriali del paese, il Governo di Pierre Mauroy cercò di rilanciare la crescita con aumenti retributivi e iniezioni di spesa pubblica. Si trattava di andare controcorrente, poiché in quella fase erano in atto nell'area industrializzata - particolarmente nella vicina Germania - manovre di stabilizzazione che rallentavano crescita e inflazione attraverso l'austerità fiscale e salariale. Aumento dei prezzi, forte degrado della bilancia commerciale, svalutazioni del franco fecero seguito alla politica economica di Mauroy. Il presidente Mitterrand e il suo primo ministro si trovarono di fronte ad un'alternativa drammatica: mantenere fermo l'obiettivo di un forte differenziale di crescita rispetto alla Germania, quindi uscire dal Sistema monetario europeo; oppure riconciliarsi con le regole dello SME e allinearsi sul rigore finanziario tedesco. I comunisti erano a favore della prima opzione, che vedevano come preludio ad una più generale presa di distanza dalla CEE. All'interno del partito socialista il dibattito fu aspro, ma alla fine Mitterrand decise di ascoltare i suoi consiglieri più moderati come Jacques Delors (allora Ministro dell'economia a Parigi), Pierre Bérégovoy, Laurent Fabius, Jean Peyrelevade. La Francia restò nello SME, accettandone tutte le conseguenze. Maturava così la sterzata liberista che avrebbe portato alla seconda fase della legislatura. Nel 1984 Mitterrand liquida Mauroy per
nominare Fabius come primo ministro. I comunisti assumono una posizione sempre più defilata nella maggioranza parlamentare e nella composizione dell'esecutivo. Il nuovo Governo preme il freno sulla spesa pubblica e la dinamica salariale. Nelle aziende nazionalizzate si impongono direttive nuove: l'importante non è investire ed assumere ad ogni costo, ma risanare i bilanci, fare utili, gestire con la stessa efficienza dei privati. La vittoria della corrente europeista in seno al partito socialista coincide con l'avvio di una «rivoluzione culturale» piuttosto inaspettata in Francia. Gli stessi valori del decennio reaganiano dilagano attraverso l'Atlantico e travolgono Parigi che vi oppone scarsa resistenza. Centralità dell'impresa, superiorità del settore privato, esaltazione del profitto: queste idee si impongono con una facilità sorprendente in un paese che emerge da secoli di dirigismo. Da Colbert a Pompidou, passando per Napoleone e De Gaulle, era sempre stato difeso il diritto-dovere dello Stato francese di intervenire direttamente e diffusamente nell'attività economica. Nel 1986, il successo del centro-destra alle elezioni legislative consacra il cambiamento. Se Fabius è riuscito a conquistarsi una certa credibilità come alfiere di un socialismo nuovo, efficiente e liberista, gli elettori pref eriscono optare per una svolta ancora più radicale. Il leader gollistaJacques Chirac diventa primo ministro. Il suo massiccio programma di privatizzazioni non sfigura a fianco di quello realizzato da Margaret Thatcher in Gran Bretagna 2 Nel frattempo, con Delors alla Commissione di Bruxelles, la CEE è passata dalla «eurosclerosi» ad una nuova fase di vitalità, fissando il 1993 come traguardo per la realizza-
zione del grande mercato unico. In Francia la nuova tappa dell'integrazione raccoglie consenso senza precedenti. Se si escludono i due estremi dello schieramento politico un partito comunista in forte declino, e l'emergente Fronte nazionale di Jean Marie Le Pen - le altre formazioni gareggiano nel professare una adesione entusiasta al mercato unico. Come preparare la Francia al 1993: questo diventa il tema dominante nel dibattito di politica economica. Il nuovo verbo liberista, che accomuna con differenze marginali i due poli dell'alternanza di Governo 1 , alimenta un europeismo di tipo nuovo, non più limitato alla politica estera bensì allargato a obiettivi interni. Per la classe dirigente transalpina - politica, amministrativa, imprenditoriale - Europa diventa sinonimo di modernizzazione. Il fenomeno avviene anche in altri paesi della CEE ma forse in Francia colpisce di più la rottura con il passato. Nella seconda metà degli anni Ottanta Parigi scopre con l'entusiasmo dei neòfiti le virtù del modello anglosassone nella regolazione dell'economia: meno interventi amministrativi nei mercati, più spazio alla concorrenza. L'armonizzazione europea diventa occasione per smantellare strutture oligopolistiche, inefficienze e rendite di posizione, soprattutto nel settore dei servizi che era rimasto relativamente protetto durante la prima fase di apertura dei mercati CEE. Nell'insieme la società francese si convince che da questa evoluzione essa potrà ricavare più svantaggi che danni. Certo, vi saranno settori che faticheranno di più a reggere l'urto della nuova competizione, si dovranno fare qui e là dei sacrifici. Ma dai più l'appuntamento europeo viene vissuto come una sfida che si deve raccogliere senza esitazioni, perché tornare indietro sarebbe peggio per tut-
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ti. La sconfitta della maggioranza di centrodestra dopo un biennio al Governo, non muta sostanzialmente questa impostazione. Il mercato unico - avvertono i socialisti tornati al potere nel 1988 - sottoporrà le imprese a qualche pressione aggiuntiva, ma sarà ricco di benefici per i consumatori e i risparmiatori. Anche per Mitterrand e per il suo primo ministro Michel Rocard i diritti dei consumatori e dei risparmiatori sono ormai diventati altrettanto degni di tutela degli interessi dei lavoratori. Questo nuovo europeismo francese porta con sé delle innovazioni anche sul piano istituzionale. E prevalentemente per effetto dell'integrazione comunitaria che Parigi assòrbe in dosi crescenti alcune pratiche di regolazione dell'economia tipiche del mondo anglosassone, come l'antitrust, la lotta contro le intese commerciali che ostacolano la libertà dei prezzi e la concorrenza, lo smantellamento di barriere alla competizione nei servizi, ivi compresi quelli pubblici. Per conseguire questi obiettivi l'amministrazione statale si rivela inadatta: tanto più che essa stessa talvolta va posta sul banco degli imputati, giacché la sua invadenza non sempre si conciia con la tutela dei diritti e delle libertà individuali. Lo Stato francese si vede così amputare interi settori di intervento, che vengono trasferiti al suo esterno . Emergono alcuni grandi arbitri istituzionali che occupano sfere un tempo riservate al potere esecutivo ed ai suoi bracci secolari. E il caso della Corte costituzionale, che negli anni Ottanta viene rivalutata e dotata di nuovi poteri, o della COB, l'organo di vigilanza sulla Borsa riformato sui modello della Securities and Exchanges Commission americana. Ancor più significativa è la nascita di soggetti nuovi come l'alta Autorità per il settore audiovisivo e il Consiglio della concorrenza. Rispetto alla
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tradizione transalpina fondata sull'onnipotenza della burocrazia ministeriale, è senz'altro una novità l'irruzione di questi protagonisti istituzionali - indipendenti o semiindipen4enti dal Governo - abilitati a regolare i conflitti in maniera arbitrale e non amministrativa. Si avverte una tendenza inaugurata da De Gaulle', e durata per tutto il dopoguerra, che puntava a valorizzare sistematicamente la professionalità, l'efficienza e l'autorevolezza dell'amministrazione centrale, affidansole missioni sempre più estese. Di fronte ai trapianti istituzionali operati nella seconda metà degli anni Ottanta, qualche osservatore ha parlato di una «americanizzazione» della democrazia francese, in riferimento ad un modello statuale che spesso provilegia il potere dei giudici su quello dell'esecutivo I Torneremo più avanti sulla natura e sui compiti delle nuove istituzioni francesi. Intanto è importante sottolineare come esse siano state ispirate non solo da certe agencies federali americane, ma anche dall'esempio della Commissione e di altri organismi della CEE. .
Nel 1990, l'unificazione tedesca rende ancora più strenuo l'impegno comunitario di Parigi. Di colpo, la politica estera torna in primo piano nel rafforzare la vocazione europeista dei francesi. Venuta meno la divisione della Germania e lo «statuto speciale» di Bonn negli affari mondiali, la Francia sente franare sotto i suoi piedi la base d'appoggio su cui si era ricavata una modesta funzione internazionale in questo dopoguerra. Se l'Europa non è più spaccata in dùe, se la guerra fredda è finita, se la Germania si libera dai suoi vincoli e dai suoi complessi di inferiorità, a che titolo Parigi potrebbe continuare a coltivare i suoi sogni di leadership nella CEE? Il risveglio è brutale per la classe politica, ma
anche l'opinione pubblica percepisce le avvisaglie di una crisi di identità: la Francia come ha scritto un acuto osservatore americano - rischia di ridursi a «media potenza» non solo sulla scala mondiale (cosa già avvenuta da tempo) ma perfino nel continente europeo I . E questo per Parigi sarebbe traumatico. Accelerare l'integrazione tra i Dodici, inquadrare l'unificazione tedesca nel contesto di una CEE più forte, diventa essenziale perché possa sopravvivere una parvenza di «centralità» francese nei nuovi equilibri europei. Solo una Comunità dai poteri più estesi che sottragga sovranità agli Stati membri, può forse compensare l'emergere della Grande Germania. Così l'eurocentrismo di Mitterrand, e di buona parte della classe politica transalpina, fa un altro salto in avanti. Non solo la Francia dà battaglia - con l'Italia e pochi altri - perché l'unione economica e monetaria proceda a tappe forzate. Il traguardo finale diventa una unione politica della Comunità, che Mitterrand carica di un significato esplicitamente federale. Per quanto riguarda l'unione economica, la Francia si è ormai emancipata da ogni complesso: con una moneta forte e un tasso di inflazione stabilmente allineato a quello tedesco, Parigi si sente in diritto di pretendere dalla Bundesbank quella abdicazione di sovranità monetaria che la Banque de France ha già subìto di fatto nello SME. In quanto all'unione politica, nella strategia di Mitterrand essa diventa necessaria per «diluirvi» la riunificazione tedesca e rispondere agli immensi bisogni economici dell'Europa dell'Est. Non solo. Anche la crisi del Golfo conferma nei governanti francesi l'aspirazione ad una unione di tipo federale. La sfida di Saddam Hussein, la sua successiva sconfitta ad opera di una coalizione largamente dominata dagli Stati Uniti, contri-
buiscono a convincere Parigi che la Comunità sarà pericolosamente vulnerabile finché non possiede una sola politica estera. L'unione politica del resto è un passaggio obbligato se si vuole in futuro un sistema di difesa europeo, i cui orizzonti potrebbero essere più ampi rispetto a quelli della NATO
LOBBYING E ARMONIZZAZIONE
L'investimento politico che la Francia fa. nel mercato unico spiega la cura con cui il 1993 viene preparato su tutti i terreni. Di particolare rilievo è lo sforzo operato per adeguare alla nuova dimensione europea lo strumento più prezioso che la classe politica transalpina ritiene di avere: la macchina statale. Se lo spostamento a Bruxelles dei baricentri legislativi nazionali - fenomeno già in corso gradualmente da anni - assume le proporzioni previste da Delors, allora le amministrazioni pubbliche nazionali debbono riconvertirsi in modo radicale. Funzioni che un tempo erano accessorie, diventano centrali nell'attività degli apparati statali: partecipare con efficacia alla fase preparatoria della legiferazione europea; verificare in anticipo la compatibilità tra le leggi, i regolamenti, gli atti amministrativi nazionali e i vincoli europi; fornire alla Commissione e alle altre istituzioni comunitarie servizi di informazione, monitoraggio, controllo; in certi casi, farsi carico direttamente di eseguire le normative CEE. Questo mutamento di vocazione dell'amministrazione pubblica è chiaramente percepito dai governanti francesi. Edith Cresson, quando era ministro degli Affari europei nel Governo Rocard, ha dichiarato in proprosito che la costruzione del mercato unico «comporterà per le amministrazioni modifiche so
stanziali del contesto in cui operano, delle loro missioni, dei loro modi di funzionamento»9 . Il lavoro di adattamento dell'apparato pubblico in vista del 1993 viene perseguito essenzialmente lungo due linee direttrici. In primo luogo si punta a ottimizzare nell'amministrazione la capacità di difesa degli interessi francesi presso le istituzioni comunitane. In secondo luogo viene affinata l'attitudine della burocrazia nazionale ad incorporare nei propri processi decisionali il diritto CEE e più in generale la dimensione comunitaria; in modo da accelerare la armonizzazione e ridurre conflitti o sprechi di tempo e risorse, provocati da una cattiva conoscenza dei vincoli esterni. E ispirata all'avvicinarsi del mercato unico anche quella evoluzione istituzionale che ha creato o rafforzato le alte autorità, organismi extraamministrativi con funzioni di tipo arbitrale. Infine va menzionato che il progetto di grande riforma dell'amministrazione pubblica, lanciato dal Governo Rocard, è esplicitamente indirizzato verso le esigenze del mercato unico europeo. Per quanto riguarda l'efficacia francese nel lobbying comunitario, essa è stata messa a dura prova dai nuovi meccanismi di legiferazione europea instaurati con l'Atto Unico 10. Il prevalere del voto a maggioranza nel Consiglio dei ministri dei dodici ha reso meno frequenti i veti nazionali. Abituata a muoversi secondo una logica centralistica, la Francia tradizionalmente organizzava la propria azione a Bruxelles in maniera verticale. La circolazione delle informazioni era strutturata per far confluire le sintesi verso il potere politico, a cui spettava difendere gli interessi nazionali nel Consiglio dei ministri CEE. Il nuovo processo decisionale, oltre a rendere
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fragili ed effimere le «minoranze di blocco» che possono esercitare il veto, garantisce alla Commissione CEE il monopolio dell'iniziativa legislativa. Quindi sposta a monte il potere di influenzarne i contenuti. Le possibilità di un lobbyng efficace si collocano soprattutto nella fase in cui la Commissione elabora le sue proposte. Questo richiede una capacità orizzontale di dialogo tra i vari rami delle amministrazioni nazionali e gli uffici della Commissione. I metodi di lavoro delle burocrazie dei dodici debbono aggiornarsi perché i loro qiotidiani contatti con la Commissione diano il massimo risultato. L'approccio dei ministeri francesi al rapporto con Bruxelles ha seguito due fasi succes sive. Prima dell'Atto unico, prevaleva la scelta di affidare i dossiers comunitari ad appositi «servizi degli affari internazionali» in ciascun ministero. Di recente invece si è fatta strada un'altra tendenza, che restituisce alle direzioni settoriali molte competenze per i negoziati comunitari. Questo modello ha consentito di far fronte allo straordinario aumento della mole di lavoro «europeo» dei ministeri. Inoltre, restituendo per ogni materia la responsabilità di negoziare a Bruxelles agli uffici che trattano la stessa materia a Parigi, si è ottenuto un migliore livello di coordinamento interno. Questo non ha impedito di promuovere strutture di collegamento tra i vari ministeri, per assicurare che la posizione francese su ogni dossier sia univoca, anche quando diverse amministrazioni sono chiamate in causa. Nell'insieme, a giudizio degli esperti la burocrazia parigina è riuscita a mettersi in buona sintonia con quella comunitaria, e lo Stato francese viene considerato come uno dei più abili nelle relazioni con la Commissione
La competenza professionale dei quadri e dirigenti ministeriali transalpini è senz'altro una risorsa non trascurabile per spiegare la loro efficacia nel dialogo tecnico con gli eurocrati. A questo si aggiunga il fatto che negli ultimi anni si è instaurata una forte mobilità delle élites francesi tra settore pubblico e privato. Un tempo la massima consacrazione di un «enarca» (ex-alilevo dell'Ecok nationale dadministration) era approdare nella direzione del Ministero del tesoro. Oggi sono sempre più frequenti gli «enarchi» che dopo un'esperienza nell' amministrazione pubblica vengono chiamati ai vertici di gruppi industriali o bancari privati. Esiste così una rete di top managers e dirigenti statali che hanno compiuto lo stesso percorso formativo, hanno mentalità omogenee ed un approccio similare nelle rispettive responsabilità, si conoscono assai bene tra loro e sono legati dalla solidarietà degli «ex». Questa situazione di fatto favorisce la circolazione di informazioni sulle strategie europee, e il coordinamento della iniziative pubbliche e private da prendere in vista del 1993. Sul fronte dell'armonizzazione legislativa, che è necessaria per la realizzazione del mercato unico, ai governi, alle amministrazioni e ai parlamenti nazionali spettano diversi compiti. Anzitutto, ogni Paese deve convertire in leggi le direttive CEE: si tratta in particolare delle 279 misure previste dal «libro bianco» comunitario all'orizzonte 1993. Oltre all'adozione di normative nuove, occorre rendere compatibili con i vincoli europei le leggi già esistenti, o quelle che via via vengono approvate e che in qualche modo interferiscono con il mercato unico. Nella conversione in legge nazionale delle direttive CEE la Francia è uno degli Stati membri più diligenti: alla fine del 1989 aveva messo in vigore 54 delle 68 direttive richieste,
contro 50 nel Regno Unito, 47 in Germania e 29 in Italia 12 Questo risultato è indubbiamente facilitato dal sistema istituzionale della Quinta Repubblica, dove il potere esecutivo controlla una maggioranza parlamentare omogenea, e l'iniziativa legislativa è dominata dal Governo. Inoltre la Francia ha il «vantaggio» di una struttura centralistica, dove sono minori le competenze delle regioni, il che semplifica la conversione delle direttive CEE. Ciò non toglie che l'armonizzazione sia anche il frutto dell'impegno prof uso a monte dall'amministrazione nella tempestiva preparazione dei testi di legge. In quanto alla incorporazione del diritto comunitario nell'intera produzione legislativa, essa è stata facilitata da una decisione presa dal Conseil d'Etat il 20 ottobre 1989. Innovando sulla sua precedente giurispudenza, il Conseil d'Etat ha deciso in quella data di far prevalere l'autorità dei trattati anche sulle leggi posteriori. E diventato quindi possibile per il singolo cittadino impugnare e far invalidare in Francia qualsiasi normativa che si riveli in contrasto con il diritto europeo. Lo stesso Consiglio di Stato ha poi espresso una serie di indicazioni sulle conseguenze giuridiche e amministrative dell'integrazione europea 13, «Il numero importante di direttive e il loro sviluppo - si legge nell'ultimo rapporto annuo (1989) del Consiglio pone l'amministrazione di fronte ad una situazione nuova. Questo numero è infatti sproporzionatamente superiore a quello dei primi anni della costruzione comunitaria. Qualitativamente, il diritto comunitario investe campi sempre più estesi e interessa quindi un numero crescente di dipartimenti ministeriali». Il rapporto giudica ancora insufficiente la riorganizzazione intrapresa dall'amministrazione francese per far fronte a questi compiti. Esso raccomanda perciò ai
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ministeri di procedere ad un sistematico studio di compatibilità tra le disposizioni in corso di approvazione e i testi comunitari, allargando questo studio anche alla giurisprudenza interpretativa della Corte di Giustizia europea. Una cura particolare è auspicata per le normative applicabili agli enti locali, per esempio in materia di appalti. Il Consiglio di Stato chiede che sia potenziata la formazione dei funzionari nel diritto comunitario, e raccomanda un più stretto coordinamento tra chi negozia a Bruxelles e gli uffici incaricati della successiva trascrizione delle normative e del loro iter parlamentare. Lo stesso rapporto 1989 giudica positivo il fatto che il comitato interministeriale incaricato della cooperazione europea richieda ormai sistematicamente alle amministrazioni interessate di studiare le incidenze che un progetto di direttiva avrà sulle regole interne. In effetti, quasi tutti i ministeri francesi hanno adottato la consuetudine di associare ad ogni loro attività i giuristi europei presenti in seno all'amministrazione. Si fa strada così un ripensamento generale del ruolo dell'amministrazione statale, che le impone questi nuovi doveri: 1) partecipare fin dai primi stadi alla concezione dei testi comunitari; 2) sviluppare di conseguenza una funzione esecutiva di regole europee; 3) prendere coscienza dell'importanza del contenzioso e quindi della giurisprudenza europea; 4) fin dallo stadio della elaborazione di politiche nazionali, incorporare i vincoli comunitari sia interni che esterni; 5)coinvolgere la Commissione, ed eventualmente altri Stati membri della CEE, come partner nelle procedure decisionali che conducono all'adozione di provvedimenti nazionali 14 Alcuni degli indirizzi espressi dal Consiglio di Stato hanno già avuto un seguito. Per la formazione, ad esempio, il Ministro della funzione pubblica Michel Durafour ha 10
inaugurato nel luglio 1990 uno stage mensile di studio sulle implicazioni del 1993, che coinvolge a rotazione un migliaio di funzionari statali (scelti in tutte le amministrazioni e non necessariamente incaricati dei dossiers comunitari) nell'arco del biennio. Per quanto riguarda le normative sugli appalti pubblici - un terreno dove il traguardo del mercato unico si scontra con resistenze molto aspre in ogni paese - oltre a presentare un nuovo progetto di legge sulla «trasparenza dei meccanismi di gara» il Governo Rocard ha creato un corpo di superispettori che passa al vaglio le attribuzioni di appalti da parte dello Stato francese, degli enti locali e anche delle imprese pubbliche. Questi superispettori hanno gli stessi poteri investigativi del fisco o delle dogane, in particolare per quanto riguarda il sequestro di documenti e la sospensione del segreto bancario. Vi sono poi delle specifiche componenti del processo di armonizzazione che hanno concrete conseguenze sulla struttura della pubblica amministrazione. Un esempio è la liberalizzazione della concorrenza nelle telecomunicazioni, uno dei settori investiti dalla creazione del mercato unico. Adeguandosi in anticipo agli imperativi del 1993, la Francia ha scorporato dal Ministero delle poste e telecomunicazioni sia l'attività postale che il servizio pubblico telefonico, affidando entrambe a due aziende di Stato autonome. Questi enti sono stati dotati di autonomia finanziaria e patrimoniale. I loro rapporti contrattuali con fornitori e utenti appartengono esclusivamente alla sfera del diritto privato. In entrambi i settori il monopolio pubblico è stato intaccato, anche se non del tutto abolito (come è avvenuto invece in Gran Bretagna per i telefoni). Nelle telecomunicazioni lariforma approvata in Consiglio dei ministri il 19 settembre 1990 ha aperto il settore alla concorrenza privata nella fornitura
di centraline, nei servizi telematici e nelle reti a valore aggiunto, nei radiotelefoni. Il nuovo regime giuridico ha lasciato in piedi il monopolio - affidato all'azienda France Télécom - solo per le reti aperte al pubblico cioè telefono, telex e cabine telefoniche. Un altro segmento delle istituzioni pubbliche profondamente trasformato dalla preparazione del 1993 è l'apparato di regolazione e di vigilanza sui mercati monetari e finanziari. Con la liberalizzazione valutaria e creditizia - adottata a Parigi in anticipo sulle scadenze comunitarie - il Ministero del tesoro si è visto sottrarre numerosi strumenti di intervento amministrativo in questo campo. E allo studio anche una riforma della Banca di Francia che dovrebbe dotarla di una autonomia analoga a quella della Bundesbank, rompendo con la tradizione transalpina per cui la politica monetaria éra strettamente subordinata al Governo.
COMMISSIONI INDIPENDENTI ED ALTE AUTORITÀ Abbiamo già accennato che l'approssimarsi del mercato unico europeo ha accelerato una recente evoluzione nel sistema istituzionale francese: il ridimensionamento del potere amministrativo, sostituito in certi campi da autorità indipendenti. Si tratta di una tendenza di primaria importanza, che merita una attenzione specifica j. Le autorità indipendenti nascono da una visione arbitrale dello Stato, che rimette in discussione il ruolo di quest'ultimo nella vita sociale, e quindi i suoi principi di organizzazione. La funzione delle nuove autorità non è quella di fornire prestazioni al pubblico, ma di regolare e inquadrare lo sviluppo di settori sensibili, cercando di conciliare i diversi interessi in campo. Di qui l'aspetto arbitrale
del ruolo, che si avvicina a quello dei giudici. L'idea (relativamente nuova per la Francia) è che lo Stato non debba gestire direttamente certe attività economiche concrete sostituendosi ai soggetti sociali, ma semplicemente definire le regole del gioco e farle rispettare. Sollevato dai compiti di gestione materiale, per i quali si rivela sempre meno qualificato, lo Stato si riserva degli strumenti di regolazione; non tanto per modificare gli equilibri esistenti con provvedimenti positivi (come accade nella ridistribuzione fiscale) bensì assicurando la salvaguardia dei diritti di ognuno. Questa visione induce a promuovere delle istanze non solo esterne al: l'amministrazione, ma anche sottratte ad una logica esplicitamente politica. Lo statuto delle autorità indipendenti - in particolare i meccanismi di nomina dei loro membri cerca di costituire in seno alla sfera pubblica dei «contropoteri», capaci se necessario di difendere i diritti dei governati contro i governanti. Non a caso le alte autorità sono state istituite prima di tutto-in settori sociali sensibili, dove le libertà sono esposte a pressioni di varia natura, ivi comprese quelle dei politici. In questi settori si è cercato - con più o meno successo a seconda dei casi - di separare il potere di chi definisce le regole del gioco (esecutivo, legislativo) da quello di chi ne deve garantire la corretta applicazione. I settori investiti dall'emergere delle autorità amministrative indipendenti sono essenzialmente tre. In primo luogo quello dell'informazione e della comunicazione. Qui è sorta l'antenata delle autorità arbitrali, la Com-
mission nationak de l'informatique et des libertés (cNn.), istituita il 6 gennaio 1978 per tutelare la privacy dei cittadini francesi contro i rischi di ingerenza collegati all'enorme sviluppo dei mezzi informatici e telematici (banche-dati di varia natura, private o pub-
bliche, dal fisco alla sanità, dalla polizia ai datori di lavoro, dalle assicurazioni ai giornali, che raccolgono informazioni attinenti la sfera individuale). Sempre in questo settore, veniva creata il 29 luglio 1982 la Haute Autorité de l'Audiovisuel, sostituita nel 1986 dalla Commission nationale de la communication et des libertés e infine nel 1988 dal Conseil supérieur de l'audiovisuel (csA). Questo organismo, incaricato di regolare il settore della radio e della tv, è stato riformato ad ogni cambiamento di maggioranza parlamentare. Le sue vicissitudini hanno dimostrato che su un terreno ad alta sensibilità politica come l'informazione, i governanti francesi pur aderendo al principio dell'alta autorità indipendente hanno dato interpretazioni controverse e difformi di questa indipendenza. Il secondo settore dove sono fiorite le alte autorità èla regolazione dell'economia di mercato. E qui peraltro che l'influsso del 1993 è più tangibile. Il Conseil de la concurrence, creato il 1 1 dicembre 1986, cumula funzioni di antitrust, di tutela dei consumatori e di controllo della regolarità dei mercati. La con, organo di vigilanza sulle Borse valori, è stata sensibilmente rafforzata l'8 marzo 1989, mentre la regolamentazione delle OPA e la repressione dell'insider trading erano adeguate alle direttive europee. Il terzo ed ultimo settore in cui si è imposta la necessità di una autorità autonoma è naturalmente quello dei rapporti tra cittadini ed amministrazione pubblica, dove l'istituzione del Médiateur ha coperto un vuoto importante e ha dato alla Francia il suo ombudsman. La maggior parte di queste nuove istituzioni ha poteri che vanno ben oltre il semplice ruolo consultivo: la COB, la CML, il CSA possiedono la facoltà di varare nei rispettivi settori norme generali e obbligatorie, che hanno il carattere di veri e propri regolamenti. Il 12
da parte sua si è visto affidare un potere considerevole, che è quello di selezionare tra diversi candidati i soci di controllo delle reti televisive privatizzate TFI e La Cinq, nonché di verificare ad ogni mutamento dell'assetto azionario se sia necessario annullare la concessione d'esercizio e rimettere in vendita il controllo della rete. CSA
Come si è visto, la funzione regolatrice delle alte autorità è chiamata ad esplicarsi anche contro lo Stato o i governanti, per tutelare i diritti dei cittadini e degli operatori economici contro prevaricazioni o ingerenze indebite. Perché questa ambizione sia credibile, è ovvio che i criteri di nomina e la composizione degli organismi assumono un'importanza cruciale. In generale la soluzione prescelta in Francia è stata quella di un pluralismo delle nomine, operate talvolta da organi giurisdizionali (Consiglio dl Stato, Cassazione, Corte dei Conti), talaltra dalle più elevate autorità dello Stato (presidente della Repubblica, presidente del Senato, presidente dell'Assemblea nazionale). Questo sistema non è affatto immune dai rischi di <dottizzazione», ed è fuor di dubbio che la composizione delle nuove istituzioni - particolarmente il CSA - risponde a sottili dosaggi degli equilibri politici. Questo non impedisce tuttavia che lo stesso statuto delle autorità amministrative finisca nei fatti per innescare dinamiche decisionali autonome. Il CSA non ha sempre obbedito ai politici nell'attribuire le emittenti televisive, e la con ha saputo indagare su scandali finanziari che implicavano responsabilità del Governo (come gli episodi di insider frading durante la scalata alla Société Générak orchestrata nel 1988 dal Ministro dell'economia Pierre Bérégovoy). In ogni caso, a lungo andare le alte autorità ricalcate sui modeffi americani e comunitari stanno ricomponendo le frontiere -
tradizionalmente molto precise in Francia tra Stato e società civile. Si afferma gradualmente una visione più pluralista e policentrica dello Stato, con l'emergere di centri di potere (o contropotere) ai margini dei circuiti amministrativi classici. li dogma unitario della burocrazia transalpina è intaccato da eccezioni sempre più rilevanti. Tra le autorità amministrative indipendenti, quella che sta svolgendo in concreto il più imponente lavoro di adeguamento della economia francese al 1993, è il Consiglio della concorrenza. Del resto la preparazione del mercato unico è menzionata a chiare lettere nell'atto di nascita di questa istituzione. «Nella prospettiva di completamento del mercato comune europeo - vi si legge - e in virtù dell'ordinanza del 1 0 dicembre 1986 la libertà dei prezzi e della concorrenza sui mercati costituisce il principio generale di funzionamento della nostra economia. Nell'ambito essenziale del controllo sulle pratiche contrarie alla concorrenza, i poteri di decisione precedentemente attribuiti al Ministro dell'economia sono trasferiti al Consiglio della concorrenza» 16 Per ciò che concerne l'attività classica di antitrust, cioè la repressione di intese oligopolistiche, uno dei successi più importanti del Consiglio è stata l'operazione condotta alla fine del 1989 contro le più grandi compagnie di lavori pubblici e di elettricità, accusate per accordi di cartello nella vendita di materiali stradali e nella costruzione di reti elettriche per il metrò di Parigi. Le aziende sono state condannate a multe complessive di 166 milioni di franchi nei lavori pubblici, 128 milioni di franchi nel settore elettrico, un record assoluto in un Paese con una scarsa tradizione di repressione degli accordi sui prezzi. Va aggiunto che il Consiglio della concorrenza ha sviluppato iniziative importanti per la tutela dei
consumatori, annullando in numerosi settori distributivi le clausole contrattuali private contrarie al diritto.
LAVORI IN CORSO
Agli sforzi già compiuti dallo Stato francese e dai suoi organi per preparare il 1993, altri se ne aggiungeranno. Il 23 febbraio 1990, lanciando il suo «grande cantiere per il rinnovamento del settore pubblico», il primo ministro Michel Rocard ha indicato il mercato unico europeo come una chiave di volta della futura riforma amministrativa. Nel rapporto preliminare consegnato a Rocard dalla commissione Efflcacité de l'Etat, il 1993 viene interpretato come un salto in avanti nella competizione tra sistemi-paese. Dal mercato unico trarrà maggior profitto non solo chi produce beni e servizi più competitivi, ma chi riesce a realizzare le migliori sinergie tra pubblico e privato, tra apparato economico e amministrazione statale. «E alle sfide del 1993 che deve prioritariamente rispondere la modernizzazione del sistema amministrativo francese - si legge nel rapporto -. In questo senso la costruzione europea è simultaneamente un vincolo severo e un'opportunità unica... è anche una competizione in cui si affrontano, ciascuno con le sue forze e debolezze, i sistemi nazionali dei paesi membri della Comunità. L'efficacia dello Stato e delle sue amministrazioni è uno dei fattori di qìiesta competizione. A seconda se quella efficacia sia più o meno forte, i soggetti nazionali saranno più o meno facilitati nel prepararsi alle scadenze europee. Oltre alla sua funzione di regolazione economica, ogni amministrazione statale ha infatti il compito di far giocare le politiche e le procedure comunitarie a vantaggio dei sog13
getti nazionali. In caso di cattiva peiformance amministrativa, è la collettività nazionale a perderci»' 7 Tra le poste in gioco nel mercato unico, il rapporto consegnato a Rocard ricorda il raddoppio entro il 1993 degli, aiuti comunitari distribuiti attraverso i fondi strutturali FEOGA, FEDER, FSE. Il forte incremento dei mezzi a disposizione, di origine comunitaria, moltiplicherà le procedure istruttorie e di conformità per progetti o attività aventi diritto a finanziamenti europei. Le amministrazioni nazionali dovranno non soltanto potenziare la capacità di smaltimento delle pratiche relative, ma anche la propria attitudine a diffondere le informazioni presso i beneficiari potenziali di aiuti. «Bisognerà quindi conoscere i candidati - spiega il rapporto - e saper comunicare con loro per sollecitare il maggior numero di domande possibili, nel rispetto delle condizioni fissate a Bruxelles. Occorre poi seguire l'iter amministrativo e finanziario di questi dossiers. A questo fine non basta che le amministrazioni trasmettano .
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le candidature presentate spontaneamente. Esse dovranno spiegare, consigliare, incitare. Più l'amministrazione saprà farsi carico di queste nuove funzioni, più il Paese trarrà vantaggio dalla costruzione europea». Altrettanto importante sarà poi, secondo la commissione EfJìcacité de I'Etat, il monitoraggio ex-post sull'utilizzo dei finanziamenti concessi dalla CEE, sia per assicurare il rispetto delle regole che per ottimizzare le risorse e modulare di conseguenza le. richieste successive. Più in generale, è ispirato ad una visione europea tutto il progetto di riforma amministrativa che Rocard sta studiando attraverso una consultazione senza precedenti organizzata a tutti i livelli dell'apparato statale. Migliorare l'efficienza della produzione amministrativa viene considerato come un passo indispensabile per affrontare le sfide del mercato unico: «il differenziale burocratico sta diventando uno dei fattori-chiave nella competizione mondiale e nello sviluppo delle nazioni».
No'rE
Intervento di Jacques Delors al Parlamento europeo il 5 e il 6 luglio 1988 (pag. 306 del resoconto integrale della seduta). 2 Federico Rampini, Privatizzare in Francia, in «Queste Istituzioni», n. 77-78, 1989, p. 42 ss. Da una parte l'alleanza di centro-destra che unisce il partito goffista (Iu'R) e la confederazione liberaI-centrista UDF; dall'altra il partito socialista. Federico Rampini, Anche Parigi s'attende: lo Staio non è più tutto, in «il Sole 24 Ore», 13 settembre 1989. Nell'analizzare le cause della disfatta francese nella seconda guerra mondiale, De Gaulle considerava determinante il collasso degli apparati statali. Fu per sua iniziativa che venne creata nell'immediato dopoguerra l'Ecole Nationak d'Administration (ENA), fucina dell'alta dirigenza burocratica. Nell'atto di nascita dell'ENA erano chiari tre obiettivi: attirare le élites del Paese verso gli incarichi pubblici; garantire una formazione tecnica ad altissimo livello ma di tipo polivalente; infondere quel senso dello Stato che era mancato sotto la Terza Repubblica. SUII'ENA si vedano Pierre Bourdieu, La nobksse d'Etat, Les Editions de Minuit, Parigi 1989; e Michel Schifres, L'Enaklatura, Lattès, Parigi 1987. 6 Laurent Cohen-Tanugi, La méta'norphose de la démocratie, Editions Odile Jacob, Parigi 1989; e dello stesso autore Le Dmit sans l'Etat. Sur la démocratie en France et en Amérique, Presses universitaires de France, Parigi 1985. Gregory Flynn, France's Contagious Insecurities, in
«The Wali Street Journal», 21 settembre 1990. Jan Davidson, Ambitious aims br political union, in «The Financial Times», 27 ottobre 1990. Edith Cresson ha lasciato il Governo Rocard nell'ottobre 1990 in occasione di un rimpasto ministeriale, ed è stata sostituita da Elisabeth Guigou al ministero degli Affari comunitari. L'avvicendamento non ha comportato alcun mutamento nella politica europea del Governo. lo Cfr. Federico Rampini, La comunicazio,e aziendale, Etas Libri, Milano 1990, pagg. 153-155. 11 Si veda Alexandre Carnelutti, L'administrationfrancaise face à la règle communautaire in «Revue francaise d'admiistration publique», n. 48, ottobre-dicembre 1988. 12 Dati forniti dalla Commissione CEE. Citati in David Bucham, The good, the bad, the indifferent, in «The Fiancial Times», 25 dettembre 1989. 13 Conseil d'Etat, Rapportpublic 1989, Etudes & Documents n. 41, La Documentation francaise. 14 Alexandre Carnelutti, l'Administration..., cit. 15 La più completa sintesi del dibattito francese su questo tema è quella compiuta da Jacques Chevalliei, COB, CNIL, CNCL et Cm, la philosophie des autorités administratives indépendantes, in «Regards sur l'Actualité», n. 146, dicembre 1988, La Documentation francaise. 16 Premjer rapport d'activité du Conseil de la concurrence anne 1987, Les Notes Bleues n. 398, Mimstère de l'Economie, des Finances et du Budget, 22 agosto 1988. 17 Commission «Efficacité de l'Etat» du Xe Plan, presieduta da Francois de Closets: Le pari de la responsabilité, La Documentation francaise-Editions Payot, Parigi 1989.
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Inerzia e innovazione Le amministrazioni pubbliche di fronte alla normativa europea di Alberto Colabianchi
L'idea di svolgere qualche considerazione in merito al problema del rapporto tra l'evoluzione dell'Europa comunitaria e le pubbliche amministrazioni coinvolte nasce a seguito del seminario organizzato su questo tema nel 1990 a Roma dal Gruppo di Studio "Società ed Istituzioni" (di cui si riferisce nell'articolo che segue, ndr). A concordi condusioni si pervenne in quell'occasione in ordine alla necessità di approfondire lo studio degli effetti dell'attività dei pubblici poteri sul completamento del Grande Mercato interno. Il problema della funzionalità dei servizi pubblici ha assunto nell'intero continente una importanza strategica dinnanzi alla necessità, rivendicata da tutti i paesi aderenti alla Comunità, di sfruttare in modo ottimale la dimensione comunitaria e la conseguente interdipendenza economica. Le singole politiche nazionali nel settore dei servizi pubblici non hanno più la possibilità di discostarsi dalla dimensione europea, "ed è proprio in questa dimensione che devono cominciare a ragionare i policy makers, i funzionari della pubblica amministrazione e gli amministratori degli enti e delle istituzioni locali se vogliono iniziare a porre le basi per un rilancio del settore dei servizi e per un miglioramento duraturo della sua efficienza, della sua efficacia e della sua economicità" (sps, 50 Rap-
porto sullo stato dei poteri locali, 1988). Medesimi stimoli giungono anche da parte delle organizzazioni internazionali che 16
hanno compreso la crescente rilevanza dell'argomento. Nello studio dell'ocsE "StructuralAdjustment and Economic Pe,formance" che raccoglie le esperienze dei paesi industrializzati nella riorganizzazione delle loro economie a seguito 'della seconda crisi petroliera, si afferma: "i miglioramenti di peformance delle economie sono sicuramente amplificati se sono accompagnati dall'incremento dell'efficienza e dell'efficacia nel settore pubblico". La stessa sensibilità, occorre sottolineare, non ha finora guidato le prevalenti istanze comunitarie, che 'si trovano tuttavia dinnanzi all'improrogabile esigenza dell' apprezzamento dei sistemi amministrativi nazionali, considerata la loro incidenza sulla realizzazione degli obiettivi economici. Questa premessa mi ha indotto a ricercare gli elementi di valutazione del rapporto tra Europa ed Amministrazione sulla base di riscontri pratici, affidandomi ad un metodo empirico, l'unico - ritengo - che consenta di pervenire a risultati originali in questo periodo di ripetitiva sovrapproduzione di informazione sui temi del '92. Alcune riflessioni sono la conseguenza di un confronto diretto con gli argomenti trattati, ed il risultato di conclusioni sostanzialmente simili cui sono pervenuto affrontando problemi sorti in ambiti diversi. Infatti, le norme comunitarie che regolano gli appalti pubblici, quelle relative alla
protezione ambientale nel settore dei rifiuti, il problema dell'accesso dei lavoratori comunitari agli impieghi pubblici e l'analisi dei poteri riconosciuti all'Esecutivo comunitario, sebbene si riferiscano ad istituti giuridici tra loro eterogenei, trovano nella presenza condizionante del potere pubblico un unico denominatore comune. L'analisi svolta di seguito si propone pertanto di offrire elementi utili alla verifica di tali considerazioni; esz sa passa per una lettura comparata di vari indicatori sia nazionali che comunitari, richiamando l'attenzione sulle esigenze di efficienza dei pubblici poteri in Italia.
Gu APPALTI PUBBLICI È del 1989 la nota sentenza "F.11i Costanzo contro Comune di Milano" con cui la Corte di Giustizia delle Comunità europee ha stabilito che anche l'amministrazione pubblica, oltre al giudice, è tenuta ad applicare le disposizioni comunitarie aventi efficacia diretta ed a disapplicare le disposizioni nazionali contrarie. Con quella decisione, il Giudice comunitario, imponendo nuovi obblighi alle amministrazioni aggiudicatrici di appalti pubblici, altro non ha fatto che attribuire a queste ultime un ruolo determinante nel sistema di costruzione del Grande Mercato interno. L'Atto Unico ed il Libro Bianco, d'altronde, avevano già accelerato l'integrazione europea incentivando l'evoluzione normativa e coinvolgendo tutti i settori ritenuti strategici per il raggiungimento degli obiettivi comunitari. Questo processo non poteva certo trascurare gli appalti pubblici, non solo per la notevole rilevanza finanziaria che essi rappresentano, ma soprattutto perché ad essi partecipano, assieme alle tradizionali forze di mercato, le burocrazie nazionali.
La scelta di condizionare la discrezionalità amministrativa, pertanto, è stata giustificata dalla necessità di garantire effettivamente la libertà di stabilimento e di prestazione dei servizi sancite dal trattato CEE e di assicurare la corretta concorrenza tra le imprese che partecipano alle aggiudicazioni delle commesse pubbliche. La sentenza citata, tuttavia, ha sollevato una serie di stimolanti considerazioni quanto ad implicazioni giuridiche e risvolti politici. Va constatato in primo luogo che la Corte ha attribuito efficacia diretta alle disposizioni di una direttiva (lan. 7 1/305 sugli appalti di lavori pubblici), che in quanto tale dovrebbe lasciare liberi gli Stati membri della Comunità nella scelta della forma e dei mezzi finalizzati al suo recepimento. Ove ciò non accada - vuoi perché è scaduto il termine contemplato dalla direttiva, vuoi perché la trasposizione non risulta corretta - il diritto comunitario riconosce ai singoli il diritto di far valere direttamente le disposizioni di quella direttiva a tutela dei propri diritti ed interessi, quando esse risultino sufficientemente chiare, precise ed incondizionate. In questi casi, l'organo cui il singolo si rivolge - il giudice - è obbligato a disapplicare le norme interne contrastanti con quelle comunitarie; la novità introdotta dalla sentenza "F.11i Costanzo contro Comune di Milano" è che la Corte di Giustizia ha individuatu nella pubblica amministrazione, oltre che nel giudice, l'organo tenuto alla disapplicazione. Al riconoscimento di questa prerogativa per i singoli soggetti, frutto dell'evoluzione di una giurisprudenza comunitaria sempre più garantista, ha fatto peraltro seguito una recente pronuncia della nostra Corte Costituzionale (n. 389 del 1989), con cui questa ha ribadito che anche la pubblica amministrazione deve disapplicare le norme nazionali in caso di contrasto con quelle comunita17
ne, e che il principio vale anche per le direttive, sempreché queste ultime non richiedano interazioni o valutazioni discrezionali per essere applicate. A seguito di questa pronuncia, che costituisce un precedente di rilievo per la cultura amministrativa italiana, il processo di integrazione europea giunge a coinvolgere appieno le pubbliche amministrazioni nazionali, attribuendo loro obblighi precisi nei confronti delle imprese in concorrenza sul mercato. Una seconda considerazione emerge poi dietro una più attenta analisi delle motivazioni della sentenza "F.ili Costanzo contro Comune di Milano". Occorre premettere che in analoghe pronuncie la Corte aveva già attribuito efficacia diretta alle disposizioni della direttiva n. 7 1/305 sugli appalti, e che l'art. 5 del trattato CEE, enunciando l'obbligo di cooperazione tra Stati membri e Comunità, impone a tutte le autorità statali di adottare comportamenti conformi al diritto comunitario. Ne discende che, nella fattispecie oggetto di quella pronuncia, i ricorrenti avevano la possibilità di fondare le proprie pretese su disposizioni comunitarie direttamente applicabili, e che questa possibilità poteva essere riconosciuta anche dalla pubblica amministrazione, "autorità statale" par excellence. Dal canto suo, quando l'amministrazione ha dovuto optare se applicare le norme comunitarie o quelle nazionali contrarie, essa ha continato ad applicare quest'ultime, cadendo così in errore. A cosa è imputabile tutto ciò? E ancora tanto assurdo per l'amministrazione prendere una decisione corretta dal punto di vista del diritto comunitario (cosa che, d'altronde, costituisce per essa un obbligo)? È ancora necessario ricorrere ad un giudizio per sapere che le norme nazionali contrarie e quelle comunitarie vanno disapplicate? O forse sull'applicazione del diritto comuni18
tario pende l'ostacolo dell'incertezza, con tutto che esso è parte integrante del nostro ordinamento giuridico? Ogni tentativo di replica resta inescusabile. Risulta solo evidente che, a fronte dei nuovi impegni di cui deve farsi carico la pubblica amministrazione per contribuire alla réussite del trattato, è improrogabilmente necessaria una conoscenza più diffusa, un aggiornamento continuo ed un coordinamento specifico tra gli organi delle burocrazie in materia di diritto comunitario, tale da offrire il giusto supporto e gli strumenti essenziali per soddisfare quegli impegni. Azioni concrete in tal senso si fanno ancora attendere, anche perché gli organi nazionali istituzionalmente preposti al coordinamento delle politiche comunitarie non offrono sempre i risultati sperati: è dunque inderogabile una più profonda rivisitazione dell'organizzazione amministrativa, se l'amministrazione stessa vorrà contribuire da protagonista al processo di costruzione europea. Infine, non bisogna dimenticare che una costante del sistema giuridico comunitario è rappresentata dalla salvaguardia della concorrenza: assieme alle quattro libertà fondamentali previste dal trattato CEE, infatti, le competenze della Comunità in materia di concorrenza hanno consentito all'Esecutivo comunitario di intervenire a tutela di situazioni spesso neppure contemplate dalle legislazioni nazionali. Ciò accade anche per le direttive comunitane in materie di commesse pubbliche - giustificate dalla necessità di sviluppare la concorrenza effettiva nel settore degli appalti che si inseriscono nel sistema giuridico italiano, in ritardo, in materia antitrust. Va tuttavia rilevato che, a fronte degli accresciuti poteri della Commissione delle Comunità europee in materia, e dell'enunciazione dei principi generali ispirati ai tradizio-
nali insegnamenti della teoria economica, sarebbe stata utile proprio a livello europeo una analisi sistenatica diretta a chiarire il contenuto della nozione comunitaria di concorrenza ed a precisarne la portata della tutela: Le istituzioni comunitarie, peraltro, sono state finora fermissime nel far assurgere il sistema di concorrenza non falsata stabilito dal trattato CEE a simbolo e misura dei progressi del Mercato. Va evidenziato in proposito che, se quanto premesso. rappresenta un indubbio passo avanti verso una evoluzione sempre più garantista dell'intervento normativo comunitario, ciò costituisce pure una attribuzione di poteri di dirigismo economico ad un organo, la Commissione - o meglio ancora il membro della Commissione incaricato della Concorrenza - sottoposto a lobbies e pressioni politiche non indifferenti. Si tratta di poteri, insomma, straordinari, rimessi all'ampia discrezionalità di pochi. A fronte della sempre più penetrante presenza dei principi antitrust nel sistema comunitario (le direttive sugli appalti pubblici e la sentenza "F.IIi Costanzo contro Comune di Milano" ne sono solo l'ultimo esempio), manca ancora una politica economica della concorrenza a livello veramente europeo. Una prima conclusione che emerge dalle precedenti considerazioni è questa: in ambito comunitario esistono dei principi dinnanzi ai quali le norme nazionali contrarie cedono il passo. Ciò vale anche per gli appalti pubblici. Di fronte alla necessità di garantire l'effettiva concorrenza, nulla può il comportamento contrario od omissivo della pubblica amministrazione. Queste le conseguenze: l'azione della pubblica amministrazione, anzitutto, deve influire il meno possibile sugli equilibri di mercato al fine di non condizionarlo. Nel contempo
le singole amministrazioni nazionali devono imparare ad operare in un contesto più vasto, di portata europea, nell'ambito del quale dovranno dotarsi di strumenti di coordinamento sempre più validi. Nella prospettiva della completa liberalizzazione degli appalti pubblici; infine, anche. l'amministrazione italiana dovrà offrire un proprio modello di organizzazione burocratica aggiornato alle nuove esigenze che si profilano in Europa. Oggi, così, l'amministrazione pubblica italiana - nell'accezione più ampia del termine - si trova innanzi ad un bivio: promuovere una liaison sempre più stretta tra il fulcro di Bruxelles ed i propri uffici periferici, divenendo il vero motore dell'integrazione comunitaria, o scegliere l'altra strada, lasciandosi trainare da sistemi politici più agili ed efficienti. Si inizia a percepire, insomma, l'affermarsi di una sorta di concorrenzialità tra i diversi modeffi e sistemi amministrativi dei Dodici; la valutazione dell'efficienza burocratica, d'altronde, rappresenta da sempre per il mercato un elemento condizionatore delle scelte allocative possibili.
LA TUTELA AMBIENTALE
Nel settore ambientale le direttive in materia di rifiuti hanno senza dubbio il merito di aver segnato un radicale mutamento di rotta nella metodologia dello smaltimento, coinvolgendo l'amministrazione nel tentativo di prevenire ogni danno al patrimonio naturale ed alla salute pubblica. Negli anni '70 si rendevano ormai improrogabili a livello europeo una regolamentazione ed un controllo diretti a limitare i danni delle cosiddette "diseconomie esterne", dovute al forte incremento industriale e demografico di quel periodo.
Risale ad allora l'elaborazione delle teorie economiche da cui discende il principio "chi inquina paga" che ritroviamo nelle direttive sui rifiuti e nelle forme attuative nazionali, in seguito definitivamente istituzionalizzato dall'Atto Unico Europeo con l'introduzione di detto principio nel trattato CEE. Ciò premesso, si può comprendere perché, a giustificare le direttive sui rifiuti, sia valsa la considerazione che le disparità tra le disposizioni legislative degli Stati membri per lo smaltimento dei rifiuti poteva creare diseguaglianza nelle condizioni di concorrenza ed avere perciò una incidenza diretta sui funzionamento del Mercato. Anche se questo principio non si è poi tradotto in una vera norma, va rilevato che lo stesso trattato CEE, a seguito dell'adozione dell'Atto Unico sancisce che le esigenze connesse alla salvaguardia dell'ambiente devono costituire una componente delle altre politiche della Comunità. La stessa giurisprudenza della Corte di Giustizia aveva sostenuto, ancor prima dell'entrate in vigore dell'Atto Unico, degne di prioritaria tutela le esigenze di protezione ambientale, sollevandole poi al rango di "esigenze imperative" di fronte alle quali divengono giustificabili le restrizioni alla libera circolazione delle merci all'interno della Comunità. Inoltre, nella sentenza "Traen" del 1987 la Corte, dichiarando che il potere di cui dispongono gli Stati membri nell'organizzare la sorveglianza di cui all'articolo 10 della direttiva comunitaria sui rifiuti può essere limitato unicamente dall'esigenza di tutelare l'ambiente e la salute umana, di fatto non ha posto limite alcuno al potere discrezionale delle amministrazioni competenti quanto al rilascio delle autorizzazioni ed alla forma dei controlli. A questa rapida affermazione dei principi di tutela ambientale a livello comunitario, tutta-
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via, non ha fatto seguito sui piano nazionale un valido supporto auspicabile con il recepimento delle direttive sui rifiuti, la cui applicazione, va detto, è stata finora caratterizzata da un alto grado di discrezionalità da parte delle amministrazioni competenti. La normativa italiana ha permesso un controllo piuttosto sistematico dei produttori di rifiuti, ha attribuito ampi poteri agli enti territoriali quanto alle autorizzazioni di smaltimento ed ha consentito agli interessati di far valere in giudizio i danni subiti. Parallelamente a questi vantaggi, tuttavia, sono sorte anche numerose difficoltà: il sistema di protezione ambientale, in materia di rifiuti basato sul DPR n. 915 del 1982, risulta infatti lento, rigido ed inefficace. Tre aspetti di esso appaiono maggiormente insufficienti se analizzati con riguardo agli obiettivi della legislazione comunitaria: il rilascio delle autorizzazioni, le garanzie giudiziarie e le condizioni di concorrenza. Quanto al primo aspetto, per assicurare una protezione efficace dell'ambiente, le direttive comunitarie propongono l'instaurazione di un sistema uniforme di autorizzazioni per le imprese del settore, nonché la realizzazione di piani generali di riferimento. In Italia, tuttavia, il sistema di. deleghe di competenze dallo Stato alle Regioni e da esse agli Enti locali, causa spesso conflitti di competenza ed eccessi di discrezionalità da parte di poteri pubblici in contrasto tra loro (ciò accade, ad esempio, quando per conformarsi al piano regionale dei rifiuti è necessario l'accordo di diverse Province). Inoltre, l'eccessiva decentralizzazione delle competenze per il rilascio delle autorizzazioni alle imprese incaricate di trasportare, trattare o depositare rifiuti, provoca lunghe e dannose situazioni di stallo causate dall'inefficienza, grave ritardo o addirittura inadempimento delle amministrazioni competenti, con conseguenze
spesso irreparabii per l'ambiente. Gli attuali mezzi di tutela giudiziaria, inoltre, non sono in grado di soddisfare l'esigenza di prevenzione del danno all'ambiente. Il DPR n. 9 15/82 e la legislazione derivata, infatti, contengono norme di carattere esclusivamente sanzionatorio. Gli interessati, quindi, pur potendo rivolgersi al giudice penale affinché sia applicata la sanzione prevista ed al giudice amministrativo per far valere i propri interessi nei confronti delle amministrazioni locali, devono attendere l'esito di numerosi e prolungati giudizi per ottenere l'esecuzione dell'obbligo di smaltire i rifiuti correttamente. Emerge d'altronde dal rapporto della Commissione del 27 settembre 1989, che solo in Irlanda, Lussemburgo, Germania e Regno Unito i detentori di rifiuti hanno l'obbligo diretto di consegnarli unicamente alle imprese autorizzate. La legislazione italiana, al contrario, impostata su criteri esclusivamente sanzionatori, affronta il problema rifiuti a danno compiuto: viene pertanto a mancare l'immediata ed efficace tutela voluta dalla norma comunitaria proprio per evitare qualsiasi arbitrio da parte di ogni potenziale inquinatore. L'insufficienza generale del sistema e lo spazio lasciato aperto allo smaltimento abusivo, infine, si ripercuotono negativamente sulla concorrenza. La mancanza di coordinamento tra i diversi enti territoriali e l'evidente ritardo nell'applicazione delle garanzie giudiziarie non consentono attualmetne una ottimale gestione delle imprese dipendenti dal settore dei rifiuti, poiché la generale situazione di mancanza di certezza giuridica rende spesso impossibile ed antieconomica la stipulazione di accordi a lunga durata o a media scadenza con i "produttori di rifiuti" sia urbani che industriali. Ciò consente invece alle imprese di smaltimento controllate diret-
tamente da alcuni produttori di rifiuti (si pensi ad esempio alle aziende municipalizzate, ai consorzi tra comuni) di monopolizzare abusivamente il mercato nazionale con conseguenze negative anche su quello comunitario. In conclusione, quella che in campo comunitario avrebbe dovuto essere una norma quadro, da integrare con successivi interventi, tale è rimasta, dando così adito alle più varie interpretazioni in sede nazionale. Tutto ciò ha prodotto, in questi anni di forte incremento dell'intero settore economicamente influenzato dalla protezione ambientale, ripercussioni negative sulla funzionalità delle imprese legate al mercato dei rifiuti, in quanto l'eccessiva burocratizzazione e la dipendenza ancillare dalla discrezionalità amministrativa ha paralizzato la concorrenzialità delle imprese stesse, con ripercussioni contrarie a quelle auspicate sulla protezione della sanità pubblica e dell'ambiente. Un decisivo contributo correttivo giunge ora dalla Commissione, che sta promuovendo un'ampia opera di revisione sostanzialmente diretta alla rifondazione dell'intera materia: i mezzi di tutela attualmente impostati dalle direttive, infatti, da soli non sono più sufficienti a garantire quel livello elevato di protezione voluto dall'Atto Unico. Anche questa riforma, tuttavia, rischia di infrangersi contro la mancanza di coordinamento delle amministrazioni sia a livello regionale e nazionale che soprattutto europeo.
L'ACCESSO AL PUBBUCO IMPIEGO
Un ulteriore elemento di confronto discende dall'esame di uno degli ostacoli maggiori, e tuttora irrisolti, alla libera circolazione dei lavoratori all'interno della Comunità, ovvero la possibilità - riconosciuta agli Stati 21
membri - di riservare esclusivamente ai propri cittadini l'accesso ai "posti" nella pubblica amministrazione. È vero, infatti, che l'articolo 48 deI trattato CEE pone come regola generale il principio della libera circolazione dei lavoratori comunitari, enunciando la parità di trattamento tra essi ed il divieto di discriminazioni fondate sulla loro nazionalità; ma il paragrafo 4 dell'articolo 48 consente di derogare a questi principi, dichiarando testualmente che essi "non sono applicabili agli impieghi nella pubblica amministrazione". Questa eccezione alla regola, enunciata sic et simpliciter nel trattato CEE, consente di fatto ai Paesi europei di porre un limite per l'accesso al lavoro da parte dei cittadini comunitari. Gli impieghi nel settore pubblico, infatti, soprattutto in un paese come l'Italia caratterizzato da un sistema di intervento e di partecipazione statale nell'economia, sono numerosi; si pensi a quanti di essi sono raggiungibili solo dopo il superamento di concorsi pubblici, per la partecipazione ai quali viene puntualmente richiesto il possesso del requisito della cittadinanza italiana. D'altro canto, nei Paesi europei ad economia fortemente liberista, lo svolgimento dei servizi pubblici è demandato quasi interamente ad enti di capitale a rischio, sicché le correlative occupazioni restano indipendenti dall'apparato amministrativo. Pertanto, al di fuori di una valutazione di congruità delle scelte politiche che possono giustificare in alcuni Stati la chiusura del mercato del lavoro a coloro che sono privi della cittadinanza, è la differenza tra i sistemi amministrativi dei Dodici che si trasforma in disparità per i lavoratori comunitari a seconda che, nel paese in cui essi si recano, il rapporto di lavoro sia retto da norme di natura privatistica o pubblicistica. In un caso sono applicabili i principi generali 22
sanciti dall'articolo 48, mentre nell'altro diviene opponibile l'eccezione di cui al citato paragrafo 4. La Corte di Giustizia, peraltro, ha da sempre tentato di mitigare la portata della deroga di cui al paragrafo 4 dell'articolo 48, interpretando restrittivamente la nozione di "pubblica amministrazione". Di recente, rispondendo alle questioni pregiudiziali ad essa poste dal Pretore di Venezia in una causa che opponeva due lettrici di lingua straniera alla locale Università degli Studi, la Corte ha ribadità che "... i posti nella pubblica amministrazione riservabii ai cittadini nazionali sono solo quelli che implicano la partecipazione, diretta o indiretta, all'esercizio dei pubblici poteri e che hanno ad oggetto la tutela degli interessi generali dello Stato e delle altre collettività pubbliche, e che presuppongono, da parte dei loro titolari, l'esistenza di un particolare rapporto di solidarietà nei confronti dello Stato, nonché la reciprocità di diritti e di doveri che costituiscono il fondamento del vincolo di cittadinanza". Anche la Commissione, con una comunicazione del 1988, ha enunciato la propria posizione in merito: i compiti e le responsabilità che caratterizzano gli impieghi dipendenti da alcune strutture nazionali sembrano abbastanza lontani dalle attività specifiche dell'amministrazione pubblica come sono definite dalla Corte di Giustizia, per cui soltanto a titolo quanto mai eccezionale possono formare oggetto dell'esenzione prevista dall'articolo 48, paragrafo 4 del trattato". Stando quindi alla posizione della Corte e della Commissione, sono accessibili da parte dei cittadini comunitari, anche se dipendenti dell'apparato statale, i lavori - ad esempio - negli enti incaricati di gestire un servizio commerciale, i servizi operativi nel settore della sanità pubblica, gli impieghi di insegnanti nelle scuole pubbliche e quelli "...
concernenti la ricerca a fini civili presso istituti pubblici. Tuttavia, anche il problema dell'accessibilità da parte dei cittadini comunitari agli impieghi pubblici in uno Stato diverso da quello di appartenenza rimane avvolto da grande incertezza giuridica: non bastano infatti le sentenze della Corte od una semplice comunicazione della Commissione (il valore giuridico di quest'ultima, peraltro, è lo stesso di una "circolare") a garantire la posizione dei lavoratori comunitari dinnanzi al rifiuto di ammissione ad un concorso per mancanza del requisito della cittadinanza nazionale. Se a ciò ha contribuito, in Italia, l'interminabile dibattito giurisprudenziale e dottrinale attorno al corcetto stesso di "funzione pubblica", occorre rilevare che, in sede comunitaria, non sono state finora prese misure chiare al riguardo: una soluzione concreta non giunge neppure dalla Carta Sociale, adottata di recente, né compare tra i programmi comunitari per il '92. Cosa può fare, allora, un cittadino comunitario in Italia, od un italiano in un paese della Comunità, per partecipare ad un concorso pubblico per cui è richiesta la cittadinanza italiana? Anzitutto occorre valutare se l'impiego in questione rientra nell'ecceziòne prevista dall'articolo 48, paragrafo 4, del trattato CEE, in conformità dell'interpretazione ad esso data dalla Corte di Giustizia. In secondo luogo, soddisfando gli altri requisiti richiesti dal concorso occorre far presente alla amministrazione competente che, in quanto cittadini comunitari, si deve essere equiparati ai cittadini nazionali, non potendo valere nella circostanza la richiamata eccezione di cui all'articolo 48, paragrafo 4. Tuttavia, come abbiamo riscontrato, non sempre queste "istruzioni per l'uso", delle garanzie previste dal diritto comunitario si rivelano efficaci. Risulta ancora difficile far
recepire alla pubblica amministrazione che è obbligata anch'essa ad applicare il diritto comunitario ed a disapplicare il diritto nazionale con esso contrastante. Se quindi - come nella maggior parte dei casi accade - l'organo pubblico competente dovesse comunque rifiutare l'accesso al concorso, l'interessato non avrà altra scelta che adire la magistratura amministrativa per chiedere l'ammissione al concorso sulla base delle norme comunitarie da applicare secondo l'interpretazione della Corte di Giustizia; il giudice adito, in dubbio, potrà chiedere alla Corte di Giustizia di deliberare sulla questione a titolo pregiudiziale. Si tratta tuttavia di una procedura che, almeno in Italia, risente dei tempi lunghi della macchina giudiziaria, spesso costosa, che quindi scoraggia a priori gli interessati. In alternativa, è esperibile il tentativo di interessare del caso la Commissione, denunciandole il mancato rispetto del diritto comunitario da parte dell'amministrazione nazionale. La Commissione, ove ritenga fondato il reclamo, agirà in base all'articolo 169 del trattato CEE: la procedura prevede l'av vio di una vertenza contro lo Stato ritenuto "in infrazione", che può concludersi davanti alla Corte di Giustizia se lo Stato in questione non si conformi alle richieste formulate dalla Commissione entro il termine fissato. Questa procedura, spesso efficace, trova però un limite nell'ampia discrezionalità della Commissione, che è libera di decidere, caso per caso, se sostenere il reclamo e muoversi di conseguenza. In assenza di norme precise, anche in questo caso, l'effettivo esercizio dei propri diritti dinnanzi alla pubblica amministrazione non sempre garantisce i risultati attesi. In conclusione, se si vuole limitare l'abuso dell'articolo 48, paragrafo 4, da parte delle
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amministrazioni degli Stati membri, si ren- può soccorrere la possibilità riconosciuta agli de necessario un emendamento del trattato Stati membri in base all'articolo 170 del tratCEE ovvero l'adozione di una norma comu- tato CEE di perseguire le infrazioni di uno nitaria a riguardo, così da garantire in modo Stato inadempiente dinnanzi alla Corte di paritario ed uniforme la libertà di circolazioGiustizia. ne dei lavoratori in ambito comunitario. Ne discende che, sebbene la Commissione riceva annualmente un notevole numero di reclami, di richieste di intervento e di "denunI POTERI DISCREZIONALI DELL'ESECUTIVO CO- ce" dalle più disparate provenienze, il suo poMUNITARIO. tere di intervento e sanzionatorio rimane svincolato da qualsiasi regola ed è rimesso a ragioni di mera opportunità. Questa preroQualche rilievo merita infine di essere svolto in merito ai poteri discrezionali riconosciugativa, d'altronde, avallata dalla formulazione delle norme che regolano i poteri della ti dai trattati istitutivi delle Comunità euroCommissione contenute nei trattati, non è pee all'Esecutivo comunitario; emerge, anche in questo caso, la difficoltà che i singoli stata mai messa in dubbio neppure dalla Corriscontrano nel rivendicare i propri diritti di te di Giustizia. Il vero problema, tuttavia, è che da un sifcittadini comunitari nel caso in cui sollecitino l'intervento di un organo ultranazionale fatto schema restano penalizzati i soggetti qual'è la Commissione. privati, che non possono, neppure presentando un ricorso in carenza, giungere a costrinIl problema sorge a seguito del mancato esercizio da pàrte della Commissione di vigilare gere la Commissione ad agire contro le amministrazioni dello Stato inadempiente. sulla corretta esecuzione delle disposizioni comunitarie da parte degli Stati membri: la La via offerta ai singoli è per ora strettamente constatazione dell'inosservanza delle norme limitata all'articolà 177 del trattato CEE, per còmunitarie, infatti, non comporta l'automa- il ricorso al quale, tuttavia, è necessario intico ricorso della Commissione alla Corte di trodurre preventivamente un procedimento presso le autorità giudiziarie nazionali comGiustizia. Come già sottolineato in proposito, il regi- petenti. L'unico modo per contestare efficacemente l'inadempimento statale rimane me delle contestazioni che la Commissione quindi quello di adire un giudice "interno" rivolge agli Stati è caratterizzato dalla totain modo da provocare un ricorso in via prele discrezionalità della Commissione stessa, libera di scegliere se aprire o meno un pro- digiuziale alla Corte di Giustizia. Questo sistema, peraltro, non è più sufficiencedimento di infrazione sulla base dell'articolo 169 del trattato CEE. Il potere di vigi- te a garantire quell'immediata tutela che l'ordinamento comunitario dovrebbe essere in lanza della Commissione concerne perlopiù la prassi statale - ed in particolare quella grado di prestare ai singoli. Su di esso pesaamministrativa - di applicazione, che risulta no inevitabilmente i difetti e le carenze dei spesso riduttiva rispetto agli obiettivi perse- sistemi giudiziari degli Stati membri che si ripercuotono negativamente sulla effettività guiti nelle disposizioni comunitarie. Ciò premesso, diviene di tutta evidenza il ca- e sulla rivendicabiità del Diritto. rattere essenzialmente politico delle azioni Anche in seno alle istituzioni comunitarie, svolte dalla Commissione in materia, né in conclusione, il potere discrezionale
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rimane incoercibile da parte dei singoli a tutela di quei diritti ed interessi legittimi rivendicabili in sede nazionale dinnanzi alle autorità amministrative incaricate dell'applicazione del diritto comunitario. Questa impressione sembra trovare luogo anche nel progetto di Unione politica presentato dalla Commissione: "Il rafforzamento delle istituzioni non è più sufficiente....., per garantire un'autentica partecipazione dei cittadini all'opera comunitaria, mano a mano che si sviluppano politiche in settori che incidono direttamente sulla loro vita. Per questo motivo la Commissione sottoscrive all'idea, proposta dal presidente Gonzàles, di istituire una cittadinanza europea. Quest'ultima dovrebbe prendere corpo gradualmente senza intaccare la cittadinanza nazionale di cui costituirebbe un complemento, non già un sostituto. In una parola, è importante sviluppare il senso di appartenenza alla costruzione europea". Alla base di questa nuova Carta dei diritti del cittadino europeo, tuttavia, resterebbe pur sempre la necessità di coordinare i sistemi amministrativi dei Dodici affinché le forme di tutela - non solo giurisdizionale siano quanto più paritarie in ambito comunitario. Si rischia, altrimenti, di mettere in gioco la credibiità stessa dell'Europa comunitaria dinnanzi alle forti aspettative dei suoi cittadini, se la costruzione di un sistema federale rimane incapace di ripercuotersi positivamente nei rapporti diretti tra i singoli e le pubbliche amministrazioni. La qualità di cittadini europei deve, in sostanza, essere riconosciuta non solo all'estero, ma soprattutto nei rapporti con lo Stato di appartenenza.
L'AMMINISTRAZiONE NEL FUTURO Affrontando così quattro argomenti apparen-
temente indipendenti, si giunge a constatare l'importanza che in seno al processo di integrazione comunitaria vanno assumendo gli effetti dell'attività della pubblica amministrazione, sia essa nazionale o comunitaria, capaci di ripercuotersi sul Mercato e di condizionarlo. Un primo passo avanti è stato fatto nel settore doganale, dove a livello comunitario, è stato introdotto un programma di "mutua assistenza amministrativa" diretto a coordinare gli uffici dipendenti dai vari Ministeri delle finanze, postulando l'esistenza di un Mercato europeo sul quale operare già senza frontiere. Sorgono tuttavia numerose difficoltà anche in questo campo, poiché la differenza tra i sistemi amministrativi dei Paesi membri e le legislazioni nazionali obbligano sovente le amniinistraziorii ad assumere comportamenti tra loro ancora difformi nei confronti del medesimo operatore. L'impossibilità di strappare le attività economiche ed industriali dall'influenza della pubblica amministraziòne, in sostanza, si rende sempre più evidente con il progredire stesso dell'integrazione europea. Non è stato allora troppo ambizioso promuovere l'integrazione economica, istituiionale e giuridica, senza fare prima i conti con i singoli poteri amministrativi nazionali? Verifichiamo la validità di questo interrogativo. L'elaborazione di una politica economica ed industriale a livello comunitario è stata oggetto di continue controversie, sollevate da ultimo anche in seno al Parlamento europeo nelle discussioni attorno ai progetti di Unione politica ed Unione monetaria. Come considerato in precedenza, tuttavia, la mancanza di una definizione chiara di questo concetto e l'assenza quasi completa di un contesto teorico adeguato non hanno consentito l'individuazione degli obiettivi per i quali 25
la concorrenzialità globale degli operatori economici dovrebbe costituire il mezzo ma non il fine ultimo. Per giungere ad individuare l'oggetto dell'interesse comunitario, pertanto, occorrerebbe determinare quali siano le condizioni necessarie al potenziamento ottimale delle risorse, da raggiungere tramite le forze di mercato, per accelerare l'innovazione strutturale e migliorare la competitività industriale. L'approccio proposto dalla Commissione si fonda sul principio dell"adeguamento strutturale", espressione con cui si designa il processo in base al quale l'industria dovrebbe adattarsi permanentemente alle indicazioni fornite dal mercato. Questo concetto dovrebbe incidere sul principio del libero scambio e sul funzionamento dei mercati, garantendo prospettive industriali e tecnologie a lungo termine. Detta politica, inoltre, verrebbe attuata tramite la creazione di un contesto propizio per l'iniziativa imprenditoriale, con il ricorso coerente a tutte le misure comunitarie che possono avere una incidenza sull'industria. In un siffatto contesto a lungo termine, il ruolo della pubblica amministrazione dovrebbe essere soprattutto quello di catalizzatore e di precursore dell'innovazione: "la principale responsabilità della concorrenzialità industriale compete alle imprese stessse, ma esse dovrebbero poter esigere dalle autorità pubbliche la definizione di condizioni chiare e prevedibii per le loro attività" (Comunicazione della Commissione al Consiglio ed al Parlamento europeo del 16 novembre 1990). In secondo luogo, anche come conseguenza della cànsiderazione che precede, sarà opportuno rendere finalmente coercibili per gli Stati membri (o meglio per le amministrazioni degli Stati membri) le disposizioni delle direttive comunitarie ed il rispetto dei propositi in esse previsti. La procedura di infra26
zione contemplata dall'art. 169 del trattato CEE ha svelato negli anni i propri limiti: sono troppe le sentenze della Corte di Giustizia che rimangono ineseguite a causa della mancanza assoluta di sanzioni nei confronti degli Stati membri da essa giudicati inadempienti. Un sistema di sanzioni controllato dalla Commissione non garantirebbe comunque un risultato adeguato, né risponderebbe a logica giuridica imporre sanzioni di carattere meramente economico, anche se questa può apparire la soluzione più realizzabile a medio termine. Resta ancora difficile, in sintesi, riassumere entro una interpretazione unitaria e coerente i molteplici aspetti del sistema comunitario in tutte le loro sfaccettature economiche, istituzionali e giuridiche, e le conseguenti ripercussioni sul ruolo che, in questo contesto, dovrebbe svolgere l'amministrazione pubblica. "A livello istituzionale e politico la Comunità, passando da una crisi all'altra, si allontana sempre più dall'originario ideale di sovranazionalità e si va configurando come un complesso e pesante sistema decisionale intergovernativo. Al contrario, sotto il profilo giuridico, la Comunità è venuta assomigliando sempre più ad una struttura federale" G.H.H. Weiler, Il sistema comunitario europeo, Bologna, 1985). Più arduo ancora risulta nel presente contesto individuare un ruolo sul Mercato diverso da quello meramente passivo finora attribuito alla pubblica amministrazione. "Nell'era dei fenomeni sistemici", è stato d'altronde sostenuto, "non sono più le burocrazie centralizzate a fare la Storia" (A. Mmc, Europa addio-La sindrome finlandese, 1986). Quanto poi al problema istituzionale, si pone la questione della sussidiarietà e del federalismo nella nuova architettura della Comunità. Non si tratta soltanto di ristudiare la legittimazione democratica degli organi
capaci di incidere a livello comunitario sul potere decisionale, ma anche di riesaminare i rapporti di potere tra le stesse istituzioni comunitarie. Il rafforzamento dei poteri comunitari volti alla realizzazione della Unione politica dovrebbe avere per corollario la decentralizzazionè dei processi decisionali europei. In questo contesto le istanze centriste devono confrontarsi con un crescente regionalismo che rigetta i meccanismi di una amministrazione distante ed anonima per affidarsi alle tradizioni amministrative dimostratesi efficaci entro i limiti regionali. La programmazione dei nuovi poteri da attribuire alle autonomie locali assume, come abbiamo potuto riscontrare, particolare rilievo per quanto concerne la realizzabiità delle misure di protezione ambientale:i danni ambientali che i grandi progetti di investimento industriale rischiano di provocare, infatti, non sono contenibii all'interno di confini regionali o statali. Queste implicazioni imporrebbero quindi il coinvolgimento di tutte le amministrazioni interessate, attualmente e potenzialmente, da un dato provvedimento. Le Regioni dovrebbero pertanto poter partecipare alla definizione ed alla realizzazione dell'assetto territoriale europeo, facendo reciprocamente concordare le informazioni tecniche, le procedure e le decisioni, fino a raggiungere il coordinamento delle singole delibere. Anche l'attuazione di una simile politica, tuttavia, solleverebbe problemi pratici enormi, considerato che si tratterebbe di organizzare nella Comunità dei Dodici la collaborazione di circa 160 "Regioni".
La particolare struttura su cui la Comunità poggia le proprie basi, infine, è caratterizzata sottò il profilo giuridico, da atti quali le direttive, adottate per garantire 1 armonizzazione nei settori ritenuti strategici per il completamento del Mercato interno. Parallelamente alle direttive dovrebbe agire il principio del mutuo riconoscimento, in base al quale, per i settori non ancora sottoposti ad armonizzazione, uno Stato membro è obbligato a riconoscere come valido quanto realizzato coerentemente alle disposizioni legislative, regolamentari ed anmiinistrative degli altri Stati membri. Questa scelta, che posa sulla ottimistica presunzione di tacita accettazione da parte delle amministrazioni interessate, comporta comunque la vigenza di dodici normative differenti di trasposizione di una medesima direttiva, nonché la catalogazione e l'inventario di tutte le disposizioni nazionali esistenti che possano comunque interessare il progetto del completamento del Grande Mercato interno. La questione merita due brevi osservazioni. La prima concerne le difficoltà pratiche di fronte alle quali si troveranno i soggetti, siano essi persone fisiche o giuridiche, che dovranno realmente operare in ambito transanazionale. Le garanzie offerte dalle direttive, a quel punto, al di fuori delle peraltro rare eccezioni in cui queste siano riconosciute come direttamente applicabili, verranno collaudate dalla necessità di soddisfare le esigenze di tutela effettiva in ambito europeo. Il timore è che la grande rincorsa per giungere puntuali al traguardo del '92 peserà inevitabilmente sugli anni successivi, che dovranno darci la comprova della funzionalità di un siffatto sistema.
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Ital ia, pubblica amministrazione: a che tunto siamo per il '93? Le risposte di un dibattito e di un'indagine per questionario di Giulia Mariani
Il Gruppo di Studio Società e Istituzioni si è proposto già da tempo di approfondire il tema del ruolo e della filosofia delle amministrazioni pubbliche nazionali coinvolte nel cammino dell'integrazione europea. Partendo dalla convinzione che il progetto comunitario implica necessariamente, ai fini della sua realizzazione, un forte coinvolgimento delle Amministrazioni, nell'editoriale del n. 77/78 di Queste Istituzioni furono messe in luce alcune spiegazioni e possibili linee di sviluppo sia riguardo alle modalità di attuazione dell'integrazione nelle amministrazioni nazionali, sia riguardo al contributo che esse danno alla costruzione dell'Europa. L'interrogativo di fondo che si pone è se la crisi in cui versa lo stato amministrativo troverà nell'integrazione europea un elemento di ulteriore aggravio o, al contrario, validi fattori di rifondazione. C'è'il rischio che le amministrazioni percepiscano le innovazioni comunitarie soltanto come fattori di incertezza e dunque di alteriore destabiizzazione, anche in conseguenza della scarsa conoscenza di strumenti e finalità del progetto comunitario; il problema ha assunto portata maggiore dopo la sentenza della Corte di Giustizia della Comunità europea (del 22 giugno 1989,, cd. sent. Costanzo), riferita al settore degli appalti pubblici, nella quale si è stabilito che anche le amministrazioni pubbliche, oltre alle sedi giurisprudenziali, sono tenute ad applicare 28
il diritto comunitario disapplicando il diritto interno ad esso non conforme. Tale orientamento della Corte pone dunque il problema della gerarchia delle fonti anche nei confronti delle amministrazioni centrali e degli enti locali. In questo contesto il Gruppo di Studio si è rivolto a protagonisti diretti ed indiretti del processo di integrazione comunitaria attraverso due iniziative mirate alla comprensione di quanto sta accadendo e di cosa si possa ed intenda fare per contribuire a tale processo nell'ambito dell'Amministrazione italiana. La prima iniziativa ha visto a confronto in un dibattito studiosi del diritto e addetti ai lavori operanti nella pubblica amministrazione, favorendo uno scambio di idee e dunque un accrescimento del bagaglio di conoscenze riguardo a modalità ed obiettivi prossimi e remoti dell'Europa. Si è poi ritenuto opportuno allargare il campo d'indagine, elaborando un questionarlo volto a cogliere la percezione che si ha dell'unificazione europea nelle pubbliche amministrazioni centrali e nelle autonomie locali. Il consistente numero di risposte rivela il carattere interessante di questa iniziativa, che il Gruppo di Studio si ripromette pertanto di ripetere. Cogliamo intanto l'occasione per ringraziare pubblicamente coloro che rispondendo al questionario hanno contribuito alla riuscita del nostro progetto.
IL. DIBATFITO L'incontro sul tema "Europa '93 e Amministrazioni pubbliche" - di cui si è data notizia nel Taccuino del Gruppo di Studio pubblicato sul n. 79/80 di Queste Istituzioni si è svolto tra giuristi esperti in materia ed alti funzionari 'della pubblica amministraione, tutti coinvolti nell'interpretazione del diritto comunitario, chi in via teorica e chi nella sua pratica applicazione. Il quadro generale delle posizioni dei partecipanti è stato ben reso da Federico Spantigati: "Mi sembra che sia nettissima la posizione degli amministratori che vorrebbero sapere quale è il diritto che dovrebbero applicare ( ... ). Vi è poi la posizione degli amministrativisti il cui problema è vedere come funzionano le fonti; non è tanto il problema di quale diritto applicare quanto quello di che cosa dice il diritto secondo meccanismi preordinati alla sua emanazione". La discussione si è articolata prevalentemente intorno al problema della gerarchia delle fonti, con numerosi riferimenti alla citata sentenza "Costanzo" della Corte di Giustizia, che era alla base delle motivazioni di questo incontro. L'esistenza di fonti normative comunitarie accanto a quelle nazionali mette in crisi il principio della certezza del diritto, creando difficoltà o inadempienze anche da parte dell'amministrazione; oltre alle incertezze dovute al fatto che siamo di fronte ad un fenomeno giuridico senza precedenti, dunque in un certo senso da "inventare" quanto ad efficacia ed applicabiità, la responsabilità è da imputarsi, almeno per quanto riguarda l'ordinamento italiano, ad un frammentario e lacunoso adeguamento al diritto comunitario, ad una diffusa disinformazione e mancanza di coordinamento, dunque ad una inadeguatezza del nostro sistema nel recepimento di quello comunitario. Su questa
considerazione generale si sono ritrovati sostanzialmente d'accordo tutti i partecipanti al dibattito. Giudizi positivi sono rivolti alla legge La Pergola (n. 86/1989, «Norme generali sulla partecipazione dell'Italia al processo normativo comunitario e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari»), mentre fiducia, speranza e scetticismo condiscono l'attesa della i a legge comunitaria ad essa conseguente, in discussione in Parlamento, specialmente tenendo presente quanto lacunosa sia stata l'applicazione della legge precedente sull'adeguamaento ed esecuzione del diritto comunitario, la cd legge Fabbri (n. 183/1987, «Coordinamento delle politiche riguardanti l'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee ed adeguamento dell'ordinamento interno agli atti normativi comunitari»).
La certezza del diritto Sull'esigenza di certezza del diritto per l'amministratore si è espresso Matteo Baradà, Direttore Generale presso il Ministero della Marina Mercantile: "L'esigenza di certezza nasce dal rispetto dell'ordinamento giuridico interno così come si presenta, con tutte le norme internazionali e sovranazionali eventualmente recepite. Non possono attribuirsi agli amministratori passi che, andando al di là dell'ordinamento interno, pur in un indirizzo già segnato a livello comunitario, di per sé precorron6i tempi, comportando certamente censure o almeno difficoltà con gli organi di controllo. L'amministratore deve essere quindi prudente per cercare di operare nel buon diritto, nel rispetto dell'ordinamento così come gli si presenta, proprio per il perseguimento e la tutela degli interessi che gli sono affidati nell'ambito di direttive ricevute. E fondamentale che la chia29
rezza e la certezza del diritto siano alla base dell'Europa unita giuridica. Bisogna fare un salto di qualità a livello di struttura e a livello di organizzazione. Solo dando una chiara direttiva, attraverso 1' armonizzazione degli ordinamenti e delle legislazioni, si può poi perseguire l'obiettivo concretamente stabilito, evitando in tal modo che l'Europa unita resti sulla carta come pura enunciazione di principio". Aggiunge in seguito: "E quindi un discorso estremamente importante vedere qual'è l'obiettivo attuale della Comunità Economica Europea. Dobbiamo insomma interrogarci se la Comunità stia dandosi nuovi obiettivi o siano ancora validi quelli originali. Nella misura in cui gli obiettivi originali sono rimasti, bisogna verificare se vengono ancora coerentemente perseguiti nei cosiddetti "progetti" che vengono poi articolati attraverso i regolamenti comunitari. Proprio nell'ottica di questa mancanza di certezza e di chiarezza del diritto comunitario si compreflde come permanga una discrasia, per non dire antinomia, fra legislazione nazionale e disposizioni comunitarie e vi sia una grande amministrazione comunitaria alla quale l'amministrazione dello Stato sia poco rispondente. Tutto ciò, a mio avviso, deriva dalla mancanza di certezza del diritto; un difetto di chiarezza di impostazione normativa, a fronte del quale se non ci fosse l'opera difensiva, in chiave di resistenza passiva, posta in essere dai singoli ordinamenti, si rischierebbe di vedere travolgere le economie statali più deboli". Per Alberto Massera non vi è incertezza nel diritto comunitario, quanto in quello nazionale: "E un sistema che deve crescere (quello comunitario), però c'è una fortissima esigenza di ripristino della certezza del diritto; ma la prima che lo deve fare è ia Corte 30
Costituzionale riconoscendo che il diritto comunitario è un diritto prevalente". Su questo punto Maria Annunziata Rucireta dichiara che l'approccio monistico della Corte di Giustizia della Comunità europea e quello dualista della Corte Costituzionale italiana portano a risultati sostanzialmente ragguagliabii. A suo avviso la pressione effettuata dalla Corte di Giustizia nei confronti degli stati membri è determinante affinché pongano ordine nella propria legislazione o regolamentazione nazionale, che sia eventualmente in contrasto con le disposizioni comunitarie aventi effetto diretto. E si chiede: "Ma quale forma dovrebbe assumere questa regolamentazione nazionale? La Corte di Giustizia ha richiesto delle disposizioni "aventi lo stesso valore giuridico" di quelle da eliminare; e su questa base essa ha affermato l'inidoneità di prassi amministrative e di circolari, anche pubblicate nella Gazzetta T'iciale, finalizzate a garantire l'osservanza degli obblighi da parte degli Stati membri". Rucireta giudica eccessivo questo atteggiamento della Corte di Giustizia, che ha anche avuto modo di condannare 1' amministraione italiana riguardo all'uso consistente di circolari, dotate peraltro di adeguate garanzie di pubblicità, destinate a chiarire la sfera di applicabiità delle norme comunitarie con prevalenza sul diritto interno: tali circolari non possono certo svolgere una funzione abrogativa delle disposizioni legislative contrastanti. Ma da un punto di vista formale non vi è necessità di rimuovere espressamente norme interne che o non hanno la possibilità di interferire nella sfera di applicazione del diritto comunitario (teoria dualista), o devono addirittura considerarsi come non validamente formate (teoria monista), mentre da un punto di vista sostanziale, l'obiettivo di eliminare ogni ambiguità riguardo alla norma da applicare può essere
raggiunto con mezzi meno onerosi del procedimento legislativo. Anche a parere di Claudio Franchini la Corte di Giustizia, dichiarando in linea di massima inammissibili le circolari di chiarimento sull'applicabilità del diritto comunitario, non comprende come ciò permetta alla pubblica amministrazione di partecipare al compimento del Mercato Unico usando gli strumenti a propria disposizione, specialmente in concomitanza al comportamento inadempiente del Parlamento italiano. "Con riferimento all'attuazione, dunque, le amministrazioni hanno continuato ad agire così come è sempre stato fatto in assenza dell'intervento del Parlamento. Sono tristemente noti gli strumenti adottati per l'attuazione delle decisioni comunitarie: si è sempre intervenuti con leggi che, in pratica, hanno dato attuazione cumulativamente ad un folto numero di direttive. Tutto questo ha comportato lacune e carenze gravissime. Oltretutto, la Corte di Giustizia delle Comunità europee non ci ha dato una mano, perché, nei pochi casi in cui ha dato prova di efficienza, operando scelte definite, la nostra amministrazione è intervenuta con gli strumenti che aveva a disposizione, cioè con strumenti di normazione secondaria. In tutte queste occasioni o quasi tutte - la Corte di Giustizia ha ribadito quell'orientamento formale secondo il quale per poter dare attuazione alle decisioni comunitarie occorre un atto che abbia rango di normazione primaria, non essendo sufficiente quello di normazione secondaria. Mi riferisco a quella giurisprudenza, assai poco precisa, che ha la grossa lacuna di concepire le circolari amministrative non sotto il profilo formale, come mezzo di comunicazione di un atto amministrativo, ma come vero e proprio atto amministrativo di natura sostanziale. Probabilmente, qui la Corte di
Giustizia si trova ad affrontare problemi che nascono dalla necessità di dover in qualche modo adottare decisioni che siano efficaci in ordinamenti diversi e, quindi, con caratteri differenti". Franchini ricorda poi che la legge n. 86 del 1989, che ha stabilito le norme generali per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee, nota come legge La Pergola, affrontando il problema degli interventi di natura regolamentare, ha stabilito che la legge comunitaria li deve - per usare un termine poco tecnico, ma chiaro - <degittimare» in via generale e, quindi, deve dare la possibilità in via preliminare alla pubblica amministrazione di intevenire.
Ritardi organizzativi Franchini avvia considerazioni più generali dichiarando: "Mi sembra che dagli interventi sin qui svolti sia possibile enucleare una considerazione comune, ovvero, per dirlo con un termine più rigoroso, una inadeguatezza evidente della nostra pubblica amministrazione di fronte all'ordinamento comunitario". E prosegue: "nel nostro ordinamento esistono due strumenti che dovrebbero ridurre le notevoli differenziazioni che esitono tra l'amministrazione italiana e quella comunitaria. Purtroppo, però, ambedue questi strumenti a tutt'oggi non hanno fornito buoni risultati. Mi riferisco sia all'apparato introdotto dalla legge n. 193 del 1987, che ha istituito il Dipartimento per il coordinamento delle politiche comunitarie, sia a11a legge n. 86 del 1989, che ha stabilito norme generali sulla partecipazione delle amministrazioni italiane al processo normativo ed a quello di esecuzione degli obblighi comunitari. In particolare, si può dire che, ad oltre tre 31
anni dall'entrata in vigore, (siamo nella primavera 1990, ndr) il disegno introdotto dalla legge n. 183/87 non è stato ancora realizzato. Il Dipartimento è una scatola vuota, perché tutti gli strumenti innovativi previsti non hanno trovato realizzazione: non è stato istituito il Comitato consultivo presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, non è stata costituita la sua segreteria e, quel che è peggio, non sono state emanate le norme sull'organizzazione e sul personale del Dipartimento. Tutto questo ha impedito al Dipartimento di svolgere la propria funzione di coordinamento. Quindi, nella realtà, le nostre amministrazioni non agiscono in modo unitario. Queste considerazioni riguardano 1' apporto delle amministrazioni alla formazione delle decisioni comunitarie; tuttavia, lo stesso discorso si può fare per quello che è il percorso di ritorno, cioè quello che attiéne alla loro attuazione. Anche la disciplina introdotta dalla legge ri. 86/89, infatti, rischia di non trovare una piena attuazione perché siamo già in ampio ritardo rispetto ai termini indicati dalla legge. Occorrerà verificare, poi, in quali termini verrà utilizzato questo nuovo strumento. Con riferimento all'attuazione, dunque, le amministrazioni hanno continuato ad agire così come è sempre stato fatto in assenza dell'intervento del Parlamento. Sono tristemente noti gli strumenti adottati per l'attuazione delle decisioni comunitarie: si è sempre intervenuti con leggi che, in pratica, hanno dato attuazione cumulativamente ad un folto numero di direttive". Della necessità di un urgente ed efficace intervento legislativo in aiuto all'amministra-
tore è convinto anche Ennio Spaziani Testa, Direttore Generale presso il Ministero delle Finanze. "Le tante cose che ho sentito oggi autorevolmente dette da professori e studiosi mi hanno da una parte illuminato su tante 32
problematiche che finora mi erano forse non completamente presenti, ma dall'altra, mi hanno convinto che se non viene qualche direttiva statuale che metta ordine e che dia indirizzi di comportamento in campo nazionale, non saprei quale comportamento seguire". E si domanda ad esempio se alla luce della sentenza "Costanzo" sono gli appalti o le prestazioni di servizio ad essere soggetti alle direttive comunitarie: "infatti un conto è l'appalto o la fornitura di materiale, di mezzi, e un conto è una convenzione per l'affidamento della conduzione di un sistema informativo delicato quale è il settore dell'Anagrafe Tributaria del Ministero delle Finanze, dove la rilevanza pubblica del settore dovrebbe essere assistita da normativa particolare statuale che deroghi alle direttive comunitarie. La specialità della legge che assiste la nostra convenzione doveva essere considerata valido motivo per essere valutata a parte. Naturalmente qui si innesta tutto il discorso della gerarchia delle fonti che lascio alle considerazioni degli esperti giuridici che dovranno affrontare e risolvere il problema, se necessario, anche con apposita normativa statuale compatibile con quella comunitaria".
L 'informazione ed il coordinamento Alberto Colabianchi esalta il ruolo attribuito alle pubbliche amministrazioni nel sistema di costruzione del Mercato Unico dalla sentenza "Costanzo", che ha imposto nuovi obblighi alle amministrazioni aggiudicatrici di appalti pubblici: "a ciò ha fatto peraltro seguito una recentissima pronuncia della nostra Corte Costituzionale (n. 389 del 1989), con cui questa ha ribadito che anche la pubblica amministrazione deve disapplicare le norme interne in caso di contrasto con norme comunitarie, e che il principio vale anche per le
direttive, sempreché queste norme non richiedano integrazioni o valutazioni discrezionali per essere applicate. A seguito di questa pronuncia, che costituisce un precedente di rilievo per la cultura amministrativa italiana, il processo di integrazione europea giunge a coinvolgere appieno le pubbliche amministrazioni nazionali, attribuendo loro obblighi precisi nei confronti delle imprese in concorrenza sui mercato". Di fronte all'errore compiuto dagli amministratori nell'applicazione del diritto nazionale lì ove esiste una normativa comunitaria, dunque prevalente, Colabianchi non ritiene accettabili giustificazioni sulla base dell'incertezza del diritto, ma rivendica che "a fronte dei nuovi impegnI di cui deve farsi carico la pubblica amministrazione per contribuire alla reussite del Trattato, è improrogabilmente necessaria una conoscenza più diffusa, un aggiornamento continuo ed un coordinamento specifico tra gli organi delle burocrazie in materia di diritto comunitario, tale da offrire il giusto supporto e gli strumenti essenziali per soddisfare quegli impegni. Azioni concrete in tal senso debbono ancora farsi attendere, anche perché gli organi nazionali istituzionalmente preposti al coordinamento delle politiche comunitarie non offrono sempre i risultati sperati: è dunque inderogabile una profonda rivisitazione dell'organizzazione amministrativa, se l'amministrazione stessa vorrà contribuire da protagonista al processo 'di costruzione europea". Anche Giuseppe Morbidelli sottolinea l'esigenza culturale di informare amministratori, cittadini, funzionari, dell'esistenza del diritto comunitario: "io credo che dal punto di vista degli amministratori italiani, e qui non mi riferisco tanto alle amministrazioni centrali quanto a quelle locali, l'applicazione dell'ordinamento comunitario ponga sicuramente un problema di certezza del diritto.
Certo, i principi elaborati dalla Corte di Giustizia della Comunità europea, poi ripresi nelle ultime sentenze da parte della Corte Costituzionale e anche dai Tribunali amministrativi, sono principi cartesiani, molto logici che certamente ci convincono; tuttavia a livello di amministrazione, di funzionari, di segretario comunale, di amministratore regionale, è difficile riuscire a far comprendere la diretta applicabilità del regolamento o addirittura la direttiva applicativa". A suo avviso la normativa in tema di appalti pubblici rappresenta una enorme spinta propulsiva per l'ingresso dell'integrazione europea nelle amministrazioni pulbliche, in quanto "le taglia trasversalmer,teé con esse il potre politico chene è strèttamente collegato. (...) Siamo in presenza sul piano concreto di un allargamento delle aree di responsabilità amministrativa dei funzionari ed amministratori pubblici in genere".
La prenegoziazione nella fase di elaborazione del diritto comunitario Lucio Todaro ha sottolineato l'importanza, accanto al problema della gerarchia delle fonti, di approfondire un altro aspetto che tocca i rapporti Comunità-pubblica amministrazion, cioè "la responsabilità dei rappresentanti delle pubbliche amministrazioni nella fase che precede l'emanazione o addi4ttura l'elaborazione delle norme della Comuhità. Intendo alludere non alla fase di negoziazione marcatamente italiana soprattutto in seno al COREPER, ma a tutto quel lavoro che precede tale fase e che è caratterizzato dall'esame delle proposte della Commissione da parte di gruppi di tecnici formati dal Consiglio chiamando a farne parte delegazioni di. esperti di vari Stati. È appunto questa la f ase di prenegoziazione nella quale prevale— è 33
vero - l'approccio tecnico-giuridico sulla visione prettamente politica dei vari temi di intervento: ma i due aspetti sono spesso intrecciati e la riprova l'abbiamo nel nostro ordinamento nazionale ove le leggi sono fatte da un Parlamento in cui si realizza la composizione degli interessi proprio attraverso la. sintesi politica". Todaro giudica il potere rappresentativo sempre più lontano ed ignaro di fronte al sistema di formazione ed elaborazione delle norme giuridiche comunitarie, ed auspica che una riforma dei meccanismi parlamentari tenga in considerazione questo problema. Non meno critico nei riguardi del più semplice livello di coordinamento amministrativo: "E stato spesso riscontrato che i delegati delle varie amministrazioni pubbliche si presentano nella fase di pre-negoziazione senza precise direttive o a volte con una direttiva attendistica che porta a posporre l'elaborazione di soluzioni alle proposte degli altri partners o all'evoluzione di processi interni di maturazione di linee politiche che si muovono però troppo lentamente rispetto ai lavori comunitari". I funzionari agiscono così secondo la loro personale interpretazione, spesso anche al di fuori delle sedi ufficiali ("uno dei numerosi ristoranti di Bruxelles"). Prescindendo dalle esasperazioni individualistiche, certamente i delegati operano a tutela di interessi settoriali e spesso eterogenei: per evitare ciò, prosegue Todaro, "una delegazione composta da rappresentanti di interessi plurimi ed equiordinati dovrebbe portare a rafforzare il ruolo del Dipartimento per le politiche comunitane in sede di coordinazione e di armonizzazione previa, lasciando la soluzione di problemi estemporanei alla capacità decisionale di un responsabile della delegazione da individuarsi preventivamente, nel segno di una preminenza a livello funzionale in relazione 34
alla materia trattata".
Quali gli effetti del sistema comunitario sulla pubblica amministrazione Riguardo alle interazioni tra strutture amministrative, comunitarie e nazionali, Fabio Luca Cavazza ha osservato che "il modello (di amministrazione) comunitario è basato su strumenti operativi, va verso risultati, obiettivi, mentre il nostro modello nazionale su poteri ed aliti. ( ... ) Non c'è dubbio che la Comunità ha adottato lo stile amministrativo federale nordamericani; le istruzioni del COMET ricalcano esattamente le istruzioni che può fare il Department education dei trasporti a Washington". Questo modello si sta insinuando nella pubblica amministrazione italiana, provocando stimoli di cambiamento, di adattamento a comportamenti dei cittadini, dei gruppi, delle organizzazioni che si diffondono, "perché ormai la gente lavora e si organizza secondo il modello americano, e una pubblica amministrazione, viceversa, che lavora per modelli e atti, questo modello non lo ha mai praticato. Io non sto dicendo che sia meglio l'uno o l'altro, sto dicendo che l'organizzazione che sembra prevalere, che sembra diffondersi è questa: per risultati, per obiettivi, per divisioni del lavoro tra "pubblico e privato", per coinvolgimenti di gruppi sociali che si uniscono, si consorziano e che chiedono alla pubblica amministrazione mezzi per svolgere la loro attività". Che il modello dell'amministrazione comunitaria sia un modello di amministrazione di risultato, non fondato sugli atti, è giudicato parzialmente vero da Domenico Sorace: "Anche l'amministrazione (della CEE) ha esercitato l'autorità, esercita l'autorità. Pensiamo
per esempio a tutti i meccanismi relativi alla concorrenza, rispetto ai quali esiste una giurisprudenza della Corte di Giustizia che è attenta a profili di garanzia dei più classici". In riferimento ad eventi giuridici quali la sentenza "Costanzo", oltre all'effetto giuridico formale in senso stretto, afferma ancora Sorace: "a me pare che sia ancora più rilevante, forse non nell'immediato ma neppure ad una distanza troppo lunga, l'effetto culturale che tutto questo può avere, forse favorito dal fatto che vi sia un effetto giuridico formale, perché di fronte alla rottura del sistema giuridico chiuso si è costretti anche a fare i conti con modelli culturali diversi. Io penso che questi modelli culturali possono agire su diversi piani, per esempio sulla prassi. Non mi meraviglierei se il nostro CNR nel giro di poco tempo cambiasse modulistica e facesse diventare le domande degli interventi vari, o cose di questo genere, del tutto simili alle domande del progetto COMET. Una influenza di questo genere che gioca direttamente sulla prassi, naturalmente non è che si limita alla prassi; inserire una modulistica di quel genere, prevedere il colloquio con chi fa la domanda, significa risolvere in termini già direttamente applicativi uno dei vecchi problemi che noi ci trasciniamo da tempo e che è la disciplina del procedimento amministrativo". Si annuncia moderatamente pessimista sulle aspettative di stimoli alla trasformazione della nostra amministrazione da parte dell'ordinamento ed amministrazione comunitaria Alberto Massera. "Ho l'impressione che il processo sarà molto lungo e incerto, perché gli stimoli ci sono ma sono frammentari e dispersi. ( ... ) A mio avviso un modello di amministrazione comunitaria come istituzione, come organizzazione con la quale affrontare l'amministrazione italiana non c'è, o comunque è un modello molto debole. In realtà
l'amministrazione comunitaria nasce come trapianto di istituti e di forme organizzativetratte essenzialmente dall'esperienza francese, riceve alcuni innesti da parte di altre esperienze, ma poi è una struttura ancora una volta debole, e credo che ciò sia voluto. La Corte di Giustizia per prima ha provveduto a tagliare le unghie all'amministrazione comunitaria ( ... ), ma la sua debolezza è dovuta ad una ragione più profonda, e cioè che essa sconta le debolezze del processo decisionale a livello comunitario, dello squilibrio cioè tra sovranazionalità decisionale e sovranazionalità normativa". "Ad una forte integrazione sul piano normativo, spiega Massera, tale da porre un problema di gerarchia tra le fonti all'interno dei vari ordinamenti, grazie anche al rigoroso ruolo svolto dalla Corte di Giustizia per l'affermazione del diritto comunitario, fa fronte l'incertezza della sovranazionalità decisionale legata alla permanenza di statualità forti". In particolare sugli stimoli offerti dall'integrazione comunitaria alle trasformazioni nell'Amministrazione, egli afferma che essi "ci sono, ma sono tutti nella normativa, che è una normativa che non risponde ad una logica unitaria di politica economica che non c'è e forse, ha ragione Cavazza, non ci sarà mai; è una logica di innovazione sparsa nelle normative di settore". E conclude; "sono stimoli così sparsi, così frammentati che il processo sarà lunghissimo se non vi saranno interventi di altro tipo che cerchino di dare un senso, una logica ai divesi fili che sono spar-. si nella legislazione di settore". Mario Chiti sottolinea invece lo scarso coordinamento tra le iniziative riformatrici interne a ciò che proviene di stimolo dalla politi: ca comunitaria. Come esempio cita la direttiva n. 655 dell'89 in materia di appalti, che egli ritiene segni una svolta netta nella poli-
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tica comunitaria e sia solo la prima di un flusso che coprirà tutti i settori di competenze comunitaria, nei quali la Comunità farà anche "politica giurisdizionale" come appunto nél settore degli appalti in seguito alla direttiva n. 665/89. Il contenuto di questa direttiva potrebbe assumere una grossa incidenza nell'ordinamento interno sotto il profilo della riforma della giustizia amministrativa, faticosamente avviata in Italia, ma "il confronto con la legge delega sulla riforma della giustizia amministrativa nell'ordinamento italiano rivela uno scollamento fortissimo, che può diventare ancora più grave il giorno che potesse diventare attuale il criterio dell'equipollenza, ovvero atti amministrativi che si trasferiscono da un ordinamento all'altro senza poter essere nuovamente sindacati nell'ordinamentò in cui vanno poi ad operare in fase estensiva". Concludiamo con le considerazioni rivolte da Federico Spantigati riguardo ad amministratori e cittadini che subiscono effetti e modalità del processo di integrazione europea. Egli si domanda: "Certamente c'è un forte problema di adeguazione dell'arnministrazione alla Comunità ed è un problema essenzialmente culturale, ma questa adeguazione culturale deve essere nel senso che tutti i nostri amministratori devono diventare europei? Oppure deve essere nel senso che bisogna difendere il potere pubblico italiano dai modelli europei che vengono da altre esperienze, tradizioni, assetti di interessi nella società?". Spantigati auspica il nòn appiattimento della tradizione e della posizione culturale dell'amministratore italiano, che deriverebbe se si dovesse realizzare tutto quello che viene stabilito da altri meccanismi decisionali. Vede poi la posizione del cittadino minacciata dal meccanismo decisionale comunitario, in
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quanto questo indebolisce le scelte del potere pubblico, affidandosi a meccanismi automatici di rito dai quali il cittadino non è protetto.
IL QUESTIONARIO
Oggetto del questionario "Le pubbliche amministrazioni e l'integrazione europea". Suo scopo: rilevare opinioni ed atteggiamenti di amministratori pubblici verso il processo di integrazione europea. Sono stati pertanto interpellati appartenenti alle strutture ministeriali, ad enti territoriali quali regioni, province e comuni e ad alcuni enti pubblici. In seno ad una buona percentuale complessiva di risposte, spicca una marcata partecipazione degli esponenti dei ministeri. Il questionario còntiene 14 domande articolate in vari sottoquesiti. Innanzitutto si raccolgono opinioni sui rapporti tra ordinamenti, nel presente e nel futuro, anche in considerazione di disposizioni comunitarie specifiche quali quella della sentenza "Costanzo" della Corte di Giustizia sull'applicazione del diritto comunitario da parte delle amministrazioni (dom. 1,2 e 5); sullo stato e modalità di applicazione dell'Atto Unico in Italia ed in Europa (dom. 3,4,8,9,10,11); sugli effetti dell'unificazione del Mercato sulle pubbliche amministrazioni (dom. 6,7,13 e 14); infine se si è a conoscenza di organi comunitari o costituiti tra amministrazioni di più paesi nel loro specifico 'settore di azione (dom. 12). La lettura dei dati ci consente di rilevare alcune linee di tendenza riguardo alla percézione del processo di integrazione europea che stanno avendo le pubbliche amministrazioni centrali e locali; va tenuto comunque presente che anche di fronte ad un questionano mirato non è scontato che gli intervista-
ti rispondano in base all'esperienza concreta piuttosto che alla retorica europeistica ancora molto diffusa nel nostro paese, per quanto l'integrazione economica stia diventando una realtà sempre più tangibile. Secondo la netta maggioranza degli intervistati è certamente in atto una modifica del sistema delle fonti del diritto per effetto della efficacia conferita alle fonti comunitarie dalle sentenze della Corte Costituzionale di qualche anno fa (a partire dalla n. 170/84 in poi) (dom. 1.a). Ciononostante gli interpellati ritengono in maggioranza che non siamo ancora di fronte ad un consistente trasferimento del potere normativo nazionale; sul futuro di questo processo si eguagliano le opinioni degli scettici e di coloro che invece ritengono che, si realizzerà un crescente trasferimento di potere normativo primario (dom. 1.c e 14. Il fattore limitante per tale evento giuridico sta nel rapporto tra ordinamento comunitario ed ordinamento interno, poiché rimane improntato al modello delle ripartizioni nazionali (dom. 11). Pochi ritengono che stiamo passando ad una sovraordinazione gerarchica di ordinamenti. Dalle risposte emerge inoltre un quadro tutt'altro che omogeneo di opinioni sul diverso peso specifico che avranno le singole fonti del diritto (leggi nazionali, regolamenti, leggi regionali etc.), fatto salvo il giudizio diffuso che crescerà l'influenza delle fonti quali regolamenti e direttive CEE (dom. 1.e). Di fronte al caos normativo nazionale all'unanimità si ritiene che sarà necessaria un'opera di coordinamento su scala europea innanzitutto sui piano normativo, attraverso gli strumenti delle leggi quadro più regolamenti e delle leggi cornice più leggi regionali. Minor rilievo viene dato al coordinamento amministrativo e scarsissimo all'impulso giurisdizionale (dom. 2.a e b). Da tali risposte è palese il riconoscimento del-
la lentezza con cui il nostro paese si adegua al progetto comunitario; più positivo il giu-' dizio sul comportamento degli organi della Comunità (dom. 3.a); le responsabilità riguar, do agli ostacoli posti al progetto di integrazione vengono ripartite in proporzione più ai governi ed ai parlamentari nazionali che non agli organi comunitari e, tra questi ultimi, più al Consiglio dei ministri della Comunità che alla Commissione. In sede nazionale anche la Pubblica Amministrazione e la struttura dei partiti politici vengono considerati in misura consistente come un peso che rallenta il processo di integrazione (dom. 3.c). Più in generale le difficoltà sono attribuite al'sistema nazionale nel suo complesso, come si desume dal fatto che le risposte hanno distribuito su molti e diversi fattori il giudizio sulle responsabilità della nostra amministrazione: resistenza dei responsabili politici ed amministrativi (più i primi che i secondi), interessi corporativi e locali, poca consapevolezza e deficit di cultura istituzionale (dom. 4). Di fronte a tali difficoltà la maggioranza degli intervistati ritiene che il processo in atto, anche tenuto conto delle novità sul piano delle fonti del diritto, diminuirà il peso delle pubbliche amministrazioni centrali. Poco più di un quarto delle risposte indica al contrario che il peso delle amministrazioni nazionali crescerà. La maggioranza prevede però un accrescimento del ruolo in capo alle regioni mentre sostanzialmente uguale quello dei comuni ed in diminuzione quello delle province (dom. 6). Un dato interessante attiene all'opinione degli intervistati riguardo al principio stabilito dalla Corte di Giustizia della Comunità sull'obbligo delle amministrazioni locali di disapplicare le norme nazionali incompatibili con quelle comunitarie (sent. «Costanzo»):
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solo di stretta misura i «si» all'adattabilità di questo principio al nostro ordinamento Costituzionale superano i «no»; un 10% non sa. Il numero degli incerti sale a circa il 30% quando si chiede se la giurisprudenza adotterà questo principio o meno (dom. 5. e 5.a). Pur guardando favorevolmente al mutuo riconoscimento (in alcuni settori quali banche, assicurazioni ecc.) ed al principio del controllo del solo paese d'origine, si sospetta che le amministrazioni estere nutrano meno fiducia nei confronti della nostra di quanto i nostri amministratori non ne nutrano verso di loro (dom. 9. e 10.). Risalta del resto opinione comune che salvo il settore dei servizi finanziari dove ha buon gioco il mutuo riconoscimento, lo strumento più idoneo è certamente l'armonizzazione normativa cui viene attribuito il ruolo di strumento prevalente e più efficace per raggiungere l'obiettivo '93 (dom. 8 e 8.a). Poche risposte, e quasi esclusivamente di provenienza «ministeriale» sono giunte alla domanda volta a verificare se si è a conoscenza di organi comunitari o nei quali siano presenti amministrazioni di più paesi nei settori di loro competenza. Nella maggibranza dei casi si tratta comunque di organi semplicemente consultivi (dom. 12). In definitiva l'impressione che si trae dalle risposte ricevute è di una amministrazione certamente ben disposta ma scarsamente consapevole delle implicazioni dirette o indirette che deriveranno dalla creazione di un mercato interno, che cioè non sia chiaro 'cosa sarà trasformato dagli eventi e cosa rimarrà uguale. Insomma le amministrazioni attendono ordini dall'alto (nuove leggi, armonizzazione ecc.), e rischiano di non cogliere gli elementi concretamente dinamici dell'occasione che si offre loro. 38
A
DISTANZA DI UN ANNO...
Le iniziative di cui abbiamo reso conto si sono svolte contemporaneamente all'avvio dell'iter parlamentare della 1a legge comunitaria. Presentata dal Governo al Senato l'8 marzo 1990 (con una settimana di ritardo rispetto al termine previsto dalla legge La Pergola), è stata approvata in via definitiva dal Senato stesso il 20 dicembre 1990. Il ritardo nell'approvazione è dovuto, oltre alla complessità della materia ed ai contrasti che essa suscitava, alla necessità di apportare delle modifiche ad alcune norme del regolamento della Camera funzionali ad una corretta applicazione della legge La Pergola (artt. 125-127). Tali modifiche, che includono la costituzione della Commissione speciale per le politiche comunitarie, addetta all'esame della legge comunitaria, sono state approvate il 18 luglio 1990. Il Senato aveva invece provveduto alle modifiche del suo regolamento interno già nel novembre 1988. La legge La Pergola predispone strumenti tali da consentire al sistema Italia una adeguata partecipazione al procedimento giuridico comunitario, sia nella sua fase «ascendente» (partecipazione al circuito decisionale comunitario) che in quella «discendente» (appli-' cazione in sede nazionale degli atti normativi e degli interventi, anche finanziari, approvati dalla Comunità), garantendo certezza nel sistema delle fonti attuative del diritto comunitario con una netta e precisa ripartizione di competenze tra Parlamento, Governo (autorizzato da leggi delega), Regioni, il cui ruolo viene riconosciuto e rispettato, e Amministrazione, autorizzata per materie particolari ad attuare il diritto comunitario con propri atti; garantendo poi meccanismi di informazione e partecipazione di Parlamento e Regioni nella fase prenegoziale di formazione del diritto comunitario, ed infine pre-
vedendo iniziative per contribuire attivamene funzionale del Dipartimento per il coordite alla costruzione dell'Europa e del merca- namento delle politiche comunitarie istituto to interno. presso il Consiglio dei ministri. La prima legge comunitaria (n. 428 del 29 dicembre 1990, "Disposizioni per l'adempiE intanto la Comunità cammina, il fatidico mento di obblighi derivanti dall'appartenen'93 ed il mercato unico si avvicinano. za dell'Italia alle Comunità europee - legL'ultimo rapporto della Commissione sulla ge comunitaria 1990), riproduce le modalità attuazione del Libro bianco, in realtà rivela per l'adeguamento previste dalla legge La che l'ultimo semestre (gennaio-giugno 1991) Pergola (artt. i - 4). Come era prevedibile non ha prodotto molti avanzamenti eccetto il provvedimento risulta appesantito da un che nel campo della circolazione delle persofolto numero di direttive da recepire, in ne. quanto con esso si intendeva sanare lo stato Complessivamente il livello di decisioni adotdi arretratezza rispetto agli obblighi comutate rispetto al programma per l'attuazione nitari che notoriamente caratterizza il nostro dell'Atto unico è intorno al 75% del totale. paese. Obiettivo difficilmente raggiungibile, La Commissione ha sostanzialmente svolto se persisterà la tendenziale inerzia del govertutto il lavoro di predisposizione dei testi che no nell'emanazione dei decreti delegati per gli spettava; il Consiglio, che nell'ultimo seil recepimento delle direttive indicate nella mestre ha molto rallentato la sua attività aplegge comunitaria. provando solo 11 atti, ne ha sul tavolo ancoIl Governo del resto, in deroga sia alla legge ra 89. Il Parlamento europeo, al contrario, La Pergola che alle sue proprie dichiarazioha eliminato la giacenza di dossiers che aveni programmatiche, trascura di presentare alva da analizzare, causa in precedenza di un le Camere la sua relazione semestrale circa rallentamento nel processo decisionale. la partecipazione dell'Italia al processo norParere favorevole è espresso dalla Commismativo comunitario, nella quale siano espo- sione riguardo alla applicazione ed al funziosti i principi e le linee caratterizzanti della namento della procedura di cooperazione tra politica italiana nei confronti degli atti norParlamento, Consiglio e Commissione premativi comunitari; lo stesso dicasi per la convista dall'art 149 dell'Atto unico. vocazione, almeno ogni sei mesi, di una sesLa Commissione non perde comunque neansione speciale della Conferenza permanente che questa occasione per ribadire che il proper i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Processo di realizzazione del mercato unico non vince autonome, dedicata alla trattazione dedeve essere dissociato dalla realizzazione degli aspetti delle politiche comunitarie di ingli altri 5 obiettivi dell'Atto unico, e cioè la teresse regionale o provinciale. coesione economica e sociale, la politica soPer quanto riguarda la partecipazione alla ciale, la politica ambientale, quella di ricerformazione delle leggi comunitarie, essa è an- ca e il rafforzamento della cooperazione ecocora legata all'insufficiente assetto strutturale nomica e monetaria.
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Segretario comunale e Chief Executive a confronto Un parziale avvicinamento di modelli ordinamentali? di Giampaolo Ladu
Il processo di integrazione europea induce da tempo tutti i Paesi membri ad un'attenta opera di revisione delle proprie strutture in vista della scadenza del 1993. La necessità di adeguare le singole realtà istituzionali, a livello nazionale, e di armonizzarle, a livello comunitario, ha così determinato una serie di profonde riforme, in particolare nel campo della gestione finanziaria.. Da questo punto di vista, di particolare rilievo sembra la riforma delle autonomie locali, sotto il profilo istituzionale non meno che sotto quello finanziario, approvata dapprima in Gran Bretagna e quindi in Italia. Un raffronto può pertanto risultare di un certo interesse, sia pure in riferimento ad un aspetto settoriale, ma non per questo di minore importanza, di tale riassetto delle autonomie: quello della riorganizzazione burocratica degli enti e della loro gestione amministrativa, con specifico riguardo al funzionamento amministrativo di vertice. La peculiare posizione giuridica del segretario comunale che storicamente, pur essendo al servizio del Comune, ha la qualifica di funzionario dello Stato non risulta modificata dalla legge di riforma delle autonomie locali (legge 8 giugno 1990, n. 142). Il segretario resta il più importante dei funzionari comunali, con una configurazione nettamente distinta da quella di tutti gli altri dipendenti del Comune: secondo,
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d'altronde, un disegno normativo costante. E tuttavia le funzioni del segretario comunale, il cui profilo è ormai ben definito almeno in via di prassi, sono precisate dalla legislazione vigente in forma alquanto frammentaria. Ferme restando le tradizionali attribuzioni quali l'assistenza del segretario alle sedute del Consiglio e della Giunta (con compiti meràmente esecutivi delle rispettive deliberazioni) e la facoltà di rogare taluni tipi di contratto, rimane una vistosa lacuna legislativa in riferimento alla organizzazione ed alla direzione degli uffici e del personale del Comune, non essendovi sul punto una disciplina precisa riguardo ai compiti e alle funzioni del segretario, il quale non dispone neppure di un'adeguata struttura operativa 1 Che la legislazione più recente - ed in particolare la legge n. 604/62 - abbia disciplinato il riassetto della carriera dei segretari comunali (e provinciali), ai quali sono pure state attribuite funzioni dirigenziali in analogia a quanto disposto per i dipendenti civili dello Stato con i DPR n. 1077/ 70 e 748/72 2, non consente certo di considerare risolti in chiave di efficienza i problemi connessi al ruolo dirigenziale del Segretario. Anche a seguito della legge n. 604/62, infatti, il segretario continua a dipendere gerarchicamente dal Sindaco, di cui esegue gli ordini: per di più senza che l'ordinamento preveda un preciso collegamento tra il segre-
tario e gli organi decisionali, cioè Giunta e Consiglio. Ne consegue, in sintesi, che al segretario comunale l'ordinamento non riconosce alcuna autonomia, almeno in fase esecutiva. In termini di capacità di direzione dell'ente locale, le conseguenze sono però assai negative. Il processo di ristrutturazione dell'ente locale ha infatti prodotto una spartizione della funzione direzionale tra i diversi assessori attraverso il meccanismo delle deleghe senza che, in parallelo, venisse attivato un qualche meccanismo capace di garantire l'omogeneità dell'attività complessiva del Comune. Si è così determinata una situazione che il segretario comunale non è in grado di controllare, anche perché non sempre è dotato - l'ordinamento non lo prevede - di un ufficio di segreteria in grado di coadiuvarlo. La figura del segretario risente, insomma, di una configurazione prettamente individualistica a cui non è mai stata collegata un'organizzazione di supporto tecnico-giuridica. La rilevata frammentazione del potere decisionale ha, d'altro lato, favorito la costituzione, intorno a ciascun nuovo centro direzionale, di nuclei informali di «consulenti», privi più che di guida di una qualunque forma di coordinamento. Ogni assessore, infatti, opera attraverso la sua struttura e la sua dirigenza di settore: che, per quanto possa essere qualificata, manca comunque della necessaria visione d'insieme dei problemi, dell'attività, delle finaltà globali dell'ente. Viene così meno l'unità di direzione che l'ordinamento voleva garantire, attribuendola al Sindaco. E non sembra che una specifica, pregnante attività di controllo e di coordinamento possa essere riconosciuta al segretario quale capo del personale. Non solo, infatti, nessuna norma di legge conferisce al segretario tale qualifica (che deriva, semmai,
dalla sua funzione di vigilanza), sicché è da escludere che egli possa esercitare un (di fatto, inesistente) potere di direzione per il tramite dei dirigenti dei singoli uffici; ma se anche la qualifica di capo del personale è attribuita dai regolamenti organici di gran parte dei Comuni è innegabile che da essa non deriva alcun reale potere operativo del segretario sullo stesso personale I.
LA NUOVA LEGGE SULLE AUTONOMIE LOCALI
La legge 8 giugno 1990, n. 142, «Ordinamento delle autonomie locali», rappresenta soprattutto una legge di riordino più che di radicale riforma, dal momento che non innova la disciplina preesistente, almeno riguardo ad aspetti di grande rilievo I. Tale notazione è, in una certa misura, valida anche con riferimento alla figura del segretario comunale. Tuttavia, va considerato che, a riaffermare un diffuso principio di responsabilità, la 142190 si propone di sciogliere quella commistione tra politica e gestione che finiva con il vincolare i dirigenti alle direttive degli assessori in fase operativa. La dirigenza locale è così modellata sul tipo della dirigenza statale, soprattutto sotto il profilo della distinzione tra gestione e indirizzo. Ma mentre il dirigente statale trova il suo coordinamento nell'organo politico, il dirigente locale è coordinato dal segretario comunale: che si pone, in tal modo, al vertice della struttura amministrativa ed operativa dell'ente, come figura istituzionale necessaria (art. 52). Il ruolo del segretario sembra esaltato anche da un altro punto di vista, laddove è prevista l'iscrizione in apposito albo nazionale territorialmente articolato, a tutela di una sua specifica professionalità, in considerazione delle accresciute e variegate funzioni che 41
l'organo di vertice burocratico del Comune è chiamato ad esercitare. Non a caso, a garanzia della posizione del segretario, sarà la legge a regolare l'istituzione dell'albo ed i requisiti professionali per l'iscrizione; a disciplinare la progressione cli carriera; a costituire un organismo collegiale, presieduto dal Ministro dell'interno o da un suo delegato, con il compito di esercitare funzioni di indirizzo e di amministrazione dei segretari; a disciplinare, infine, le modalità dei concorsi. Preme piuttosto verificare, però, come la 142/90 abbia definito i poteri di direzione e gestione attribuiti al segretario: se, in altri termini, si viene configurando una sorta di management pubblico non formale. Nel nuovo ordinamento degli enti locali, spettano alla dirigenza, ai sensi dell'art. 51, oltre che la direzione degli uffici e dei servizi, tutti i compiti, anche a rilevanza esterna, che non siano riservati per legge o statuto agli organi di governo; correlativamente gli stessi dirigenti sono direttamenté responsabili della correttezza amministrativa e dell'eff icienza della gestione anche in riferimento agli obiettivi dell'ente 5. In questi termini non è però garantita la necessaria unità dell'azione dell'ente. A questo fine, nel quadro di un rapporto di dipendenza funzionale (il segretario opera nel rispetto delle direttive del sindaco: art. 52, terzo comma), il segretario sovrintende allo svolgimento delle funzioni dei dirigenti e ne coordina l'attività. Escluso, dunque, ogni rapporto gerarchico tra organo politico ed organo tecnico, mentre al primo è attribuita la funzione fondamentale di indirizzo e controllo, all'organo tecnico spetta di dare attuazione, secondo principi di autonomia e responsabilità, alle scelte effettuate a livello politico. Il segretario dunque non ha, salvo nelle ipotesi in cui è chiamato ad esercitare le competenze di cui all'art. 51, la direzione degli 42
uffici e dei servizi dell'ente, riservata ai dirigenti, che ne sono, perciò, anche responsabili 6 Ha invece, il compito di coordinare l'attività dei dirigenti. Ma ad evitare che il coordinamento si esaurisca in un profilo meramente organizzatorio, privo di contenuti e di potere, il ruolo del segretario trova completamento ed esaltazione nella sua funzione di sovraintendenza, che definisce una generica concezione di alta dirigenza, i cui contenuti dovranno essere delineati e specificati meglio dalla legge che disciplinerà compiti e responsabilità dello stesso segretario. È ancora il segretario, infatti, che deve curare - art. 52, terzo comma - l'attuazione dei provvedimenti, ed è quindi responsabile dell'istruttoria delle deliberazioni, nonché provvedere ai relativi atti esecutivi. E dal momento che il segretario è responsabile (ex art. 53,. quarto comma) degli atti e delle procedure attuative delle deliberazioni sottoposte alla Giunta ed al Consiglio unitamente al funzionario preposto, dalla interpretazione coordinata di queste due norme deriva l'attribuzione al segretario di un'ulteriore attività non riconducibile al solo organo politico e che porta a concludere che anche atti a rilevanza esterna collegati all'esecuzione di una delibera rientrano nella competenza del segretario I.
LA RIFORMA IN GRAN BRETAGNA
La recente riforma degli enti locali in Gran Bretagna consente di svolgere talune osservazioni sulla congruità e sufficienza delle innovazioni introdotte nel nostro ordinamento, sotto il profilo di una corretta direzione dell'ente. Nel Regno Unito è apparso immeditamente essenziale dotare l'amministrazione di un efficiente meccanismo decisionale: e, da questo
punto di vista, centrale è il ruolo del Chief executive, in funzione di una valido management pubblico, che contribuisce anche a meglio definire i criteri di responsabilità individuali. Il problema è dunque quello di individuare i compiti fondamentali del Chiefexeculive in relazione agli obiettivi strategici dell'ente: al Chief executive, infatti, compete di guidare i dipendenti dell'ente; e di costituire, al contempo, il centro di continuità e l'agente di rinnovamento dell'amministrazione. 11 Chi ef executive, insomma, deve mediare tra politici e dirigenza, tradurre le opzioni politiche in strategia ed in scelte operative, sviluppare le procedure, valorizzare il personale ed i profili dirigenziali in modo che l'amministrazione possa realizzare i suoi piani, verificare la propria azione alla luce degli obiettivi programmati e predisporre progetti per il futuro. In questa prospettiva gli enti locali hanno necessità di una leadership tecnica che possa ripristinare il senso dell'unità dell'azione pubblica I . Laddove poteri e funzioni non sono definiti in modo appropriato, è improbabile che il livello di economicità, efficienza ed efficacia della gestione sia soddisfacente. Ma, soprattutto, in assenza di un forte Chiefexecutive gli amministratori locali avranno difficoltà ad assumere decisioni appropriate per l'ente, capaci di incidere su diversi servizi e di influire sull'ente nella sua globalità. Gli amministratori devono quindi svolgere il loro ruolo in maniera efficace, sulla base di criteri atti a consentire una valutazione di peformance in differ'enti settori, di garantire corrette valutazioni comparative e l'adozione di misure adeguate. I funzionari sono quindi chiamati a verificare tali criteri; ma il Chi ef executive che risulta determinante nell'attuazione dei piani operativi: è per questa ragione che il Widdicombe report 1 suggeriva che l'ufficio del Chief
executive in ogni ente locale fosse adeguatamente potenziato per legge secondo, d'altronde, una linea già definita in precedenza ed intesa a fare emergere un funzionario di rango sovraordinato in grado di dirigere e coordinare gli uffici, incapaci, da soli, di garantire un approccio sistematico ai compiti complessivi dell'ente 10• Il Chiefexecutive, allo stato, è dunque chiamato a svolgere un'ampia gamma di funzioni, alcune strategiche, altre di coordinamento, altre operative, altre ancora rappresentative. Il problema di un corretto management pubblico è pertanto cruciale per amministratori che vogliano conseguire i migliori risultati: ciò che richiede un modo nuovo di impostare i processi decisionali ed un funzionario che ne assuma ogni responsabilità a livello operativo. Nella maggior parte dei casi, il Chiefexecutive tende a distribuire oculatamente il suo tempo tra le sue funzioni fondamentali, cercando di identificare, in relazione alle sue specifiche responsabilità, quei compiti che non possono essere delegati; e di intervenire in modo selettivo laddove debba essere esercitata direttamente una sua particolare competenza. Perché un ente locale possa dispiegare tutto il suo potenziale, occorre dunque risolvere correttamente ogni problema di ordine organizzativo. Anzi, l'ente locale potrà giustificare la sua esistenza solo se riuscirà a dimostrare che la sua organizzazione complessiva è tale da garantire una crescente produttività dei servizi offerti. Tanto comporta che le strutture organizzative siano rese più eff icienti e sia esaltato il ruolo del Chiefexecutive come responsabile di esse. In ultima analisi, appare chiara l'esigenza di una incontestata leadeship a livello di impostazione generale dell'ente e di processo decisionale. Al Chi ef executive compete, insomma, di gestire i rapporti all'interno dell'ente 43
(e tra politici e management) e verso l'esterno; di tradurre le scelte politiche in strategie e, quindi, in programmi operativi; di migliorare le procedure e stimolare le capacità individuali per fare in modo che l'ente possa sviluppare correttamente le sue procedure; di garantire forme di controllo capaci di valutare i risultati raggiunti a fronte di quelli programmati; di progettare l'azione futura. In questo senso il Widdicombe Committee si è espresso perché il ruolo del Chiefexecutive sia formalizzato, le funzioni ben definite e la sua competenza generale adeguatamente rafforzata 11: specie con riferimento alla funzione di controllo. A livello di enti locali occorre dunque definire in maniera puntuale funzioni e ruolo del Chief executive, dal momento che nella sua veste di capo della burocrazia non può, da solo, imporre una sua strategia gestionale se gli altri dirigenti non l'accettano come necessaria. Diviene quindi essenziale che dirigenti e funzionari dell'ente comprendano e accettino che il Chief executive possa anche svolgere un ruolo attivo nei settori di loro competenza 12 La definizione del ruolo appare, peraltro, priva di significato se non è sviluppata in termini «propositivi». Di conseguenza, le funzioni che il Chief executive dovrà esercitare ed i meccanismi manageriali connessi dovranno essere resi espliciti: perché solo così diviene possibile comprendere se le strutture gestionali dell'ente consentono al Chiefexecutive di esercitare efficacemente i suoi poteri, anche a fini di coordinamento dell'attività dell'ente. D'altro canto, è da considerare che i politici non sempre definiscono la loro politica in modo che possa essere sviluppata in dettaglio senza difficoltà. Le decisioni e le aspettative politiche devono, insomma, essere tradotte in una strategia che l'ente possa realisticamente sperare di realizzare in considerazione delle sue risorse finanziarie e manageriali. A sua volta, quella strategia deve esse-
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re convertita in scelte operative congegnate in modo 'da portare all'obiettivo prescelto. E questo il ruolo fondamentale del Chief executive, il quale deve articolare una strategia che risponda alle esigenze espresse in sede politica e che, nel contempo, tenga conto delle potenzialità dell'ente, sempre in vista di un ben definito risultato '3 Ogni dirigente è così responsabile di un settore, ma il Chi e! executive ha una competenza generale, di cui porta la responsabilità, per gli elementi strategici della gestione nel suo complesso e per lo sviluppo stesso dell'ente. Dirigere vuole però anche dire controllare. Verificare i risultati di gestione significa apprestare gli strumenti adatti a misurare e certificare il grado di efficienza e di efficacia dell'ente nel fornire servizi, secondo criteri che devono essere rafforzati 14 Laddove un controllo significativo di gestione è realizzato, il Chief executive svolge un ruolo fondamentale. Anche il Chi e! executive deve però essere assoggettato ad un controllo di peformance. La sua gestione deve, infatti, essere valutata a fronte di obiettivi chiaramente definiti: è, questo, un ruolo importante per la dirigenza politica. Tanto implica, a livello organizzativo, l'esistenza di un efficace sistema di controllo; il potere per il Chief executive di nominare, valutare e revocare i dirigenti di settore, e di verificare che costoro eseguano controlli gestionali per quanto di loro competenza; che siano realmente adottati i necessari provvedimenti, laddove i risultati di gestione risultino modesti; e, infine, che lo stesso Chiefexecutive non sfugga ad un controllo siffatto. Su questi presupposti è possibile realizzare un processo sistematico di revisione dell'ambiente esterno ed individuare i criteri del suo sviluppo formulando risposte efficaci a tale problema in termini di strategia e strutture, nei limiti delle risorse e delle capacità dell'ente: da questo punto di vista, il Chiefexecutive svolge un suo ruolo di «agente del cam-
biamento» Il controllo di gestione rischia però di risolversi in una perdita di tempo in assenza di informazioni accurate e tempestive 15 Ma, purtroppo, a livello di enti locali, le informazioni disponibili per la dirigenza dell'ente sono deprecabilmente inadeguate. Sono ancora relativamente pochi, infatti, gli enti che eseguono un monitoraggio delle informazioni disponibili, che spesso, d'altronde, non pervengono neppure al Chi ef executive. Ogni ente dovrebbe, quindi, garantire al Chiefexe cutive elementi di giudizio sui costi getsionali, sulla gestione del personale e sui risultati raggiunti 16 Il Chief executive non si esaurisce, peraltro, in un soggetto isolato: richiede, anzi, un management team ed una struttura di supporto. Sulla premessa di una necessaria collaborazione che deve provenire dai dirigenti di settore (che devono agire come parti di un gruppo avente interessi comuni), il Chiefexecutive deve contare sii un'adeguata collaborazione logistica, che gli consenta di sviluppare -correttamente le funzioni sue proprie, senza elementi ésterni di disturbo che ne compromettano l'efficienza.
Le capacità individuali sono, così, determinanti, e la nomina del Chi ef executive rappresenta un momento decisivo per la maggior parte degli enti. Un confronto tra la figura del Chief executive, come si è realizzato e si va potenziando nel Regno Unito, e quella del segretario comunale e provinciale appare quindi assai problematica, anche dopo la legge di riforma delle autonomie locali, tenendo in considerazione inoltre le ovvie, e profonde, differenze istituzionali esistenti tra i due Paesi. E tuttavia non può non notarsi come la gamma di poteri attribuiti dall'ordinamento inglese al Chi ef exècutive sia assa più ampia di quella oggi riconosciuta al segretario dell'entelocale in Italia e solo marginalmente omologabile a quell'«alta dirigenza» che viene configurata dalla lege 142/90. Ne consegue che appare sempre più evidente la necessità di garantire all'ente locale una guida tecnica forte ed autorevole, capace di definire le necessarie strategie operative e responsabile delle scelte effettuate e dei risultati di gestione. La legge 142/90, anche da questo punto di vista, costituisce un'occasione da sfruttare.
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Note
8 Si veda, in questo senso, ATJDIT COMMISSION, More equal than others, London, 1989; sui profili organizzativi dell'ente, cfr. Cohen, The Effective Public Manager, S. Francisco, 1988, p. 52 ss. 9 WIDDICOMBE REPORT, The conduct of local authority business, Cmnd 9797, 1-Imso, London, 1986. La proposta contenuta nel Report citato non fu accolta dal Governo che, però, riconobbe la necessità di potenziare il management degli enti locali: White Paper: The conduct of local authoriting business: The Government response to the report of the Wid.dicombe committee enquiry, Cm 433, HMSO, London, 1988. 10 CFr run RESPORT, Management of local government, sirviso, London, 1967 e BAINS REPORT, The new localauthoritis. Management and strncture, sirviso, London, 1972. il wmDIC0MBE REPORT, òp. cit. Il Local Govemment Finance Act del 1988 ha, peraltro, adottati criteri diversi da quelli suggeriti nel rapporto citato. 12 Cfr. Alexander, L'amministrazione locale in Gran Bretagna, Padova, 1984, tit. orig., Local Government in Britain since Reorganisation, London, 1982, specie p. 94
Per una ricostruzione della normativa in materia, cfr. Giovenco, voce Segretario comunale e provinciale, in Noviss. Dig. It. XVI, 1969, p. 932 Ss. 2 Sul punto, Romano, voce Segretario comunale e provinciale, in «Noviss. Dig. It.» Appendice, VII, 1987, p. 5 ss. Vedi inoltre Vucusa, Lo stato giuridico e l'ordinamento della carriera dei segretari comunali in base alla L. 8giugno 1962, n. 604, in «Comuni d'It.alia», 1975, p. 291 e Romano, Stato attuale della posizione giuridica dei segretari comunali, in «Amm. li»., 1976, p. 786 ss. In senso adesivo, cfr. Pianesi, Le funzioni vecchie e nuove del segretario comunale e provinciale, Rimini, 1985, p. 42 ss. ' Cfr. Onida, Introduzione generale della legge di riforma, Tavola rotonda Verso un nuovo regime degli enti locali, in «Azienditalia», n. 12, 1990, p. 6; sul tema, in generale, cfr. anche AA.VV, La produttività negli enti locali, Milano, 1984; ISA?, JAGRE, tSR (CNR), Una riforma per le autonomie, Milano, 1986; Mannozzi, Visco Comandini, Le funzioni del governo locale, in Italia, MilaSS. no, 1990. 13 Sul tema della dirigenza pubblica, si veda Peat MarSul tema, cfr. Picano, Akune osservazioni in margine wich (a cura di), Il manager pubblico, Milano, 1986; sulla alla legge di riforma delle autonomie locali, in La fin. loc., definizione del processo di bilancio e di obiettivi e stran. 1, 1991, p. 27 Ss. tegie, Cohen, op. cit., p. 102 ss. e 121 Ss. 6 VaI la pena di ricordare che la funzione dirigenziale 14 Si veda, sul punto, AUDIT COMÌvIISSION, Economy, Efera stata attribuita anche al segretario ed è stata sopficiency and Effectiveness, London, 1985. pressa solo nel testo definitivo approvato dal Parlamento. 15 Sulle procedure di controllo, si veda OCDE, The conSul punto, si veda Borri, Il Segretario comunale nel trol and management of government expenditure, Paris, nuovo ordinamento, Tavola rotonda Verso un nuovo re1987, anche in riferimento inordine ai critri adottati gime, cit., op. 26 Ss.; sul tema si è svolto un incontro in diversi Paesi. su Il segretario comunale nella riforma delle autonomie lo16 cali, Pisa, 1991, atti inediti. Cohen, op. cit., p. 76 ss
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Il deficit italiano di fronte all'Europa: serve ancora la riforma del bilancio?
di Emanuela Goggiamani
Il disavanzo di bilancio dell'Italia fa da scher- za di fondo: in un quadro istituzionale come mo tra noi e l'Europa. È la colpa scandalosa, quello italiano l'obiettivo di un risanamento dell'Italia ma anche l'alibi che l'Italia offre della finanza pubblica è destinato a rimanealle altrui ritrosie verso fasi ulteriori di inte- re una chimera, fino a quando non si porrà grazione europea. Ma non è un quindicenmano alle riforme istituzionali. nio che si parla di nuova politica di bilancio Un modo per gettare la spugna? Non proe, in funzione di questa, di nuove tecniche prio. Perché, ha ricordato Sergio Ristuccia, e di nuovo ordinamento del bilancio? E apnella gestione della finanza pubblica c'è alpena due anni fa, nel 1988, non si è provve- meno un punto da tenere fermo: quello deduto ad aggiustare in meglio la riforma del gli ostacoli tecnici che devono essere invenbilancio del 1978? Già si dice però che la leg- tati, delle regole che ci devono essere e che ge del 1988 è fallita. Qualcuno risponde: la devono essere gestite da tecnici. Chiamati a legge 362 è morta, viva la legge 362! Il di- «resistere al flusso, all'alluvione, alle ragioni battito svoltosi a Cortona ai primi di ottodel sistema istituzionale e politico nel suo bre del 1990, sul tema "E possibile e utile complesso». un'altra riforma del bilancio?", si potrebbe Stretto tra mille difficoltà dettate dal prevasintetizzare con quest'ultima battuta. Non lere della ragion politica, il tecnico rivendifoss'altro perché tutti gli esperti riuniti in- ca dunque il suo ruolo. Che si concretizza torno al tavolo per discutere delle leggi di bi- ha spiegato Girol4mo Caianiello - «nel fare lancio si sono in qualche modo trovati d'acda diga alle pressioni contingenti del politicordo: prima di seppellire le normative in vico. Un esempio? Il Ministero delle finanze gore da così recente data sarebbe bene cerha preannunciato un grosso impulso ai concare di attuarle correttamente. Solo dopo trolli automatizzati sui contribuenti, dando questa seconda fase si potrà decidere se i teanche delle cifre su quanti dovrebbero essemi per una "riforma della riforma", che pure questi accertamenti. re al Senato sembra delinearsi, sono davve- Ma il tecnico sa che quel determinato numero ro maturi. di accertamenti automatici comporta un determinato lavoro e, secondo determinati parametri, assorbe una quota notevole della coIL RUOLO DEI TECNICI siddetta capacità operativa degli uffici». Solo un casTo tra tanti, perché ovunque «la poUna politica dei piccoli passi, dunque, quel- litica, e specialmente in paesi di democrazia, la suggerita a più voci dai partecipanti al dipuò essere soggetta alle tentazioni del conbattito. dal quale è emersa una consapevoleztingente e quindi a dimenticare la gerarchià, 47
che invece logicamente esiste, tra le scelte di fondo e le scelte del contingente».
LE RIFORME ISTITUZIONALI
Se chi lavora sul campo ancora non vuole arrendersi, si fa comunque strada la certezza che l'obiettivo del rientro dal disavanzo pubblico rischia di diventare irraggiungibile. Almeno con queste regole del gioco. Perché il sistema italiano nasconde in sé le cause del dissesto della finanza pubblica. Al punto da far tracciare un bilancio critico, stando all'analisi di Guido Salerno, del quarto comma dell'articolo 81 della Costituzione. «Abbiamo un assetto istituzionale - ha ricordato Salerno - che, attraverso un modello sostanzialmente cogestivo, non consente l'individuazione delle responsabilità. L'articolo 81 non può che fallire in un sistema nel quale le maggioranze e le opposizioni sono talmente evanescenti che evaporano al minimo calore. Il risultato è che appena c'è un minimo di tensione non si riesce più a capire la parte che viene giocata da ciascun soggetto. È vero che l'ultimo comma dell'articolo 81 deve servire a consentire un giudizio di responsabilità politièa su chi è responsabile del dissesto. Ed è altrettanto vero che le procedure di verifica tanto della copertura che dell'evoluzione delle spese sono finalizzate a questa emersione del giudizio di responsabilità politica. Ma se è così, l'articolo 81 si dimostra non sufficientemente valido. Basti pensare che nonostante tutti gli sforzi procedurali può accadere quello che è successo al Fondo sanitario: che cresce di 6000 miliardi in tre mesi senza che nessuno sappia perché». La conclusione per Salerno «è che in Italia, come negli Stati Uniti, il bilancio non è più cli nessuno. Anche perché poi il problema del48
la copertura delle leggi di spesa si sposta ormai in bilancio. E alla fine il problema della Finanziaria e del Bilancio è un problema di ricopertura di tutto quello che sta succedendo nel corso dell'anno. Se anche fossimo talmente bravi da prevedere una perfetta valu tazione dell'andamento delle spese e delle entrate che servono alla copertura, alla fine con il processo di bilancio bisogna comunque rimetterci le mani. Ecco perché vorrei che in prospettiva si cominciasse a rivedere un po' il problema del terzo e del quarto comma dell'articolo 81: non tanto come coordinamento, ma soprattutto in vista cli una riforma istituzionale che sicuramente dovrà vedere una responsabilità sul bilancio che non può più essere lasciato a se stesso». La sensazione, dunque, è che una riforma della legge di bilancio passi per aggiustamenti normativi ed istituzionali decisamente più rilevanti. «Personalmente - ha spiegato il presidente dell'IsTAT Guido Rey - non ho dubbi: preferisco non modificare la legge di bilancio perché a quel punto dovremmo toccare l'intero sistema di bilancio. Il vero problema è se il bilancio sia del Parlamento o del Governo». Che questo sia il vero nodo da sciogliere l'ha confermato del resto, nel suo intervento, il Ragioniere generale dello Stato Andrea Monorchio. «La corresponsabilità del Parlamento - ha detto - è un grosso alibi per il Governo perché quando la legge finanziaria esce dal Parlamento, il Governo può dire che gliel'ha cambiata il Parlamento, mentre il Parlamento può dire che è stato il Governo. La linea di responsabilità non esiste. Mentre occorre che vi sia una linea esatta. di demarcazione di responsabilità». Un nodo istituzionale, dunque, ma ovviamente, come ha sottolineato Francesco Zaccaria, «anche un nodo di carattere politico. Così, anche quando Corte dei conti e Ragio-
neria si sono messe al lavoro sulla quantificazione delle spese, in sede decisionale si è prestata poca attenzione alle loro conclusioni». Sta di fatto che, secondo Zaccaria, «siamo ormai in una fase di crisi economicofinanziaria e di carattere istituzionale. E questo significa che occorrono interventi incisivi sulla struttura della nostra finanza pubblica e sui suoi meccanismi decisionali. E d'altra parte la storia ci insegná che il processo di bilancio è un fatto centrale della vita dello Stato. Basti pensare alle grandi trasformazioni storiche per vedere che proprio in quei momenti intervengono delle nuove leggi sul processo di bilancio. A questo aggiungiamo che siamo forse l'ultimo paese del mondo o almeno uno dei pochi nei quali il bilancio è essenzialmente un atto del Parlamento: la legge finanziaria e la legge di bilancio sono documenti discussi e affrontati in Parlamento con una posizione parlamentare decisionale, di scelta, di modifica del progetto. Oggi cioè il governo presenta in Parlamento soltanto uno schema, un progetto che il Parlamento riesamina accuratamente, valuta, modificandone evéntualmente una serie di punti fondamentali. In altri paesi come Francia e Gran Bretagna il bilancio è un po' più bilancio del governo. Anche negli Stati Uniti: il Congresso è chiamato a pronunciarsi sostanzialmente in sede di controllo politico, ma il Presidente ha i poteri fondamentali di architettura di disegno generale del bilancio». In questo senso una ulteriore riforma del bilancio è necessaria, ma va detto che «la possibilità di farla è un po' più remota. Per farla andrebbero sciolti nodi giuridicocostituzionali attinenti ai rapporti tra governo e Parlamento». Perché tutto questo sia realizzabile «ci vuole una capacità di grande disegno strategico e politico ed ho dei seri dubbi che i tempi siano veramente maturi per
questo».
UNA POUTICA DEI PICCOLI PASSI
Eppure, fra gli addetti ai lavori convenuti a Cortona, sono stati in molti a ritenere che, ferma restando l'esigenza di riforme istituzionali, una politica dei piccoli passi sia possibile. Cercando di migliorare il migliorabile. E, soprattutto, attuando tutto quello che, in questi anni, è rimasto lettera morta. Una filosofia, questa, che si è ritrovata puntualmente nell'intervento di Franco Bassanini. Secondo il quale occorre «distinguere tra responsabilità della decisione di bilancio e responsabilità delle gestioni di bilancio. In verità per quel che riguarda il potere di decisione l'esempio degli USA ci dimostra che nella decisione di bilancio sono i fatti politici che determinano come si distribuisce il potere di decisione. Se non si pensa ad una riforma istituzionale di quelle "dure", che modificano fortemente la realtà politica, il problema diventa un altro: quali regole e quali procedure assicurano che in un sistema, nel quale la responsabilità di decisione del bilancio è divisa tra soggetti e organi diversi, vi sia almeno una trasparenza ed una coerenza delle decisioni». Insomma un sistema nel quale ciascuno sia costretto ad assumersi la responsabilità degli interventi e delle scelte che fa. «Proprio per questo - ha aggiunto - non mi convince la svalutazione del quarto comma dell'articolo 81. E vero che da solo l'articolo 81 non assicura una corretta gestione del bilancio, però quel meccanismo di chiusura serve. Il punto è invece rendere coerenti le decisioni di spesa che vengono adottate in corso d'animo con quello che è stato deciso in sede di decisioni di bilancio e di programmazione finanziaria». 49
Si tratta dunque di dotare l'insieme di strumenti previsti dalla normativa di regole efficaci per farsi valere. «Così - ha sottolineato Bassanini - non riesco a schierarmi né con chi dice che la 362 non va toccata, né con chi dice che invece urge la riforma». Un esempio? Per Bassanini il Dpef (documento di programmazione economica e f inanziaria) non può considerarsi un'esperienza soddisfacente, perché viene presentato troppo presto. «Deve essere un momento di decisione preventivo e separato rispetto alla Finanziaria e al Bilancio, ma preventivo e separato - ha sottolineato - lo può essere ad ottobre come nella prima fase della sessione di bilancio. Altrimenti il rischio è quello di scrivere cifre che non corrispondono più ai dati e ai vincoli generali». Ma esistono, nell'attuale sistema, altri punti critici: come il fenomeno di «una risoluzione che vincola una legge, la Finanziaria. Una cosa - ha detto Bassanini - che non sta molto in piedi». Altro aggiustamento possibile una Finanziaria che sia una «via di mezzo tra la Finanziaria snella e quelle Finanziarie "omnibus" dell'86 e dell'88». Non è invece praticabile la via, da qualcuno indicata, di varare disegni di legge di accompagnamento che assorbano tutti i provvedimenti di spesa. Un sistema che, secondo Bassanini, è «incompatibile con questo sistema politico istituzionale, visto che ci sono 26 commissioni parlamentari che decidono leggi di spesa addirittura in via deliberante». Allora però, secondo il parlamentare, diventa importante disciplinare questa legislazione di spesa in modo da rendere non scardinante la decisione di bilancio. E qui per Bassanini torna il problema della quantificazione. «Chi si assume - si è domandato - la responsabilità della relazione tecnica? Andreatta aveva proposto il Ragioniere generale dello Stato ma poi si disse che si trattava di responsabilità 50
politica del Governo, cioè ancora una volta di nessuno. Invece si tratta di una valutazione tecnica. Questo dunque è un problema da risolvere». Così come è da risolvere il problema di come ottenere che la quantificazione sia fatta in tempo reale sugli emendamenti e non solo sui disegni e sulle proposte di legge. «Se non lo si risolve - ha concluso Bassanirii - resta aperta una falla di grande consistenza». Su questo punto concorda Maurizio Meschino, che segnala gli altri aspetti degli attuali procedimenti di bilancio suscettibili di miglioramento. «Il primo problema che è stato definito con la 362 - ha detto Meschino - è stato quello di individuare il subprocedimento per le quantificazioni con fasi e soggetti distinti (Parlamento, Governo e Corte dei conti). Il Governo presenta dunque le relazioni tecniche in allegato alla propria iniziativa legislativa, queste relazioni tecniche sono verificate in Parlamento e la Corte dei conti, con relazione quadrimestrale, rivede l'intero procedimento. Il risultato è che si assiste ad una emersione delle informazioni, con un'attenzione alla questione della quantificazione, ad una sua incidenza sul procedimento legislativo, che è crescente per quantità e qualità e che comincia a dare risultati positivi. Questo non significa che tutto funzioni per il meglio». E il problema principale è proprio l'esistenza di «una vasta area di questioni che vengono sottratte alla verifica. Non vi sono ad esempio relazioni tecniche del Governo sui provvedimenti di maggiore entrata o di minore spesa. Ma spesso i provvedimenti di maggiori entrate sono a copertura di provvedimenti di maggiore spesa ovvero, come avviene per la manovra di bilancio, l'intero pacchetto concorre al conseguimento degli o-
biettivi della manovra. E nonostante ciò resta sguarnito di questo insieme di informazioni». E qui Meschino ha fatto un esempio calzante, ricordando come per il recente provvedimento sulla spesa, il "collegato", non ci fosse nessuna quantificazione. Nonostante il Governo dicesse che ci sarebbero stati 6.300 miliardi di risparmio sulla spesa sanitaria, non dava alcuna articolazione del risparmio stesso. «Uno dei primi passaggi sai quali lavorare ha sottolineato il responsabile dell'ufficio di Bilancio della Camera - dunque è questo: arrivare a relazioni tecniche per questi interventi e a relazioni tecniche per i contratti pubblici. Pensando in qualche modo che essi debbano passare alla verifica tecnica parlamentare. E sapendo che un'altra area fondamentale sulla quale lavorare è quella degli andamenti complessivi della finanza pubblica. Esempio: le entrate a legislazione vigente saranno quelle che dice il Governo? Noi abbiamo lavorato ma anche in questo ambito credo che si debba trasportare la logica dell'obbligo per il Governo di dichiarare i dati e i metodi sottostanti a queste valutazioni». Vi è poi il problema dell'affidamento tecnico, che Meschino, insieme a Vincenzo Spaziante, ha sottolineato e che è costituito dalla disparità di metodologia. Un punto chiave, secondo Meschino, sarà arrivare a un lavoro tecnico comune tra Parlamento e Governo, a protocolli metodologici, ad una nozione omogenea di che cosa debba essere considerato onere, di quali dati e metodi debbano corredare quel tipo di onere e così via. In conclusione, ha detto Meschino, non ci sono dubbi: il processo messo in moto dalla 362 va apprezzato, forse un p0' più di quanto venga fatto in certe generali analisi di cri-
tica della legge stessa. Ma, appunto, ci sono spazi per modifiche migliorative. «Ad esempio - ha sottolineato - sarebbe innovazione interessante la Corte dei conti fornisse, magari per campione, l'analisi della spesa effettiva di alcune grandi leggi. Infatti un punto mancante è il riscontro di come è andata. Insomma sarebbe positivo avere, a posteriori, un'analisi su come stanno andando le spese effettive, dopo tre quattro cinque o sei anni, e un'analisi del perché delle deviazioni».
COME CREARE CULTURA DI BILANCIO NELLE AMMINISTRAZIONI
Un'assoluzione alla 362, dunque, condivisa nel suo intervento anche da Vincenzo Spaziante. Che per arrivare a questa conclusione ha voluto fare una premessa per così dire "metodologica". «Quando parliamo di riforma del bilancio - ha detto - non stiamo parlando di una riforma di un settore ben delimitato dell'attività dello Stato, ma stiamo discutendo di una presupposto di funzionamento del sistema politico. In questo senso le due riforme del '78 e dell"88 sono state una scommessa fortemente generosa perché partivano dall'atteggiamento di evitare la visione palingentica per la quale senza riforma del sistema politico non si può parlare di riforma del bilancio. Per questo occorre forse scegliere una posizione minimalista: ritengo che nelle due riforme ci siano stati degli aspetti ben congegnati, e forse anche che abbiano funzionato abbastanza bene. Tra questi l'individuazione dei criteri di copertura delle leggi di spesa, o l'esperienza delle relazioni tecniche». Un'esperienza che, con tutti i condizionali del caso, ha funzionato abbastanza bene. Perché si cercava «soltanto di introdurre un elemento di riflessione per quello che riguarda51
va le nuove iniziative legislative di spesa. E nativa in base al quale per la predisposizioquesto ha prodotto almeno due risultati. Il ne delle relazioni tecniche si poteva attingeprimo è stato quello di costringere le ammi- re ad un fondo destinato alla programmazionistrazioni di spesa a riflettere un po' meglio ne e alla progettazione degli interventi in masui propri obiettivi: non è un risultato conteria di opere pubbliche. Questo fondo era seguito in pieno, ma che possiamo conside- accessibile anche per finanziarie le attività rare tendenzialmente conseguito. Il secondo connesse alla predisposizione delle relazioni aspetto è quello di aver rimesso in moto un tecniche. Un'idea - ha concluso Spaziante circuito di collaborazione prima inesistente. - che scontava una incapacità delle pubbliNormalmente le altre componenti del sisteche amministrazioni di far fronte a questa ma politico amministrativo stanno un po' alla esigenza abbastanza elementare, creando una finestra. La necessità delle relazioni tecniche possibilità di acquisire dall'esterno i dati e ha creato secondo me l'esigenza di capire un le informazioni necessarie». po' meglio che cosa succedeva, quali erano i problemi del bilancio. Con tutti i limiti del caso. Che hanno consentito comunque una L'INSOFFERENZA PER LE REGOLE TECNICHE prima acquisizione sul piano della quantificazione». Anche per Spaziante, però, occorCorrezioni possibili, dunque. Alle quali si so: re però fare di più soprattutto a proposito di no aggiunte quelle suggerite da Sandro quello "scollamento"di analisi messo in lu- Palanza. ce anche da Meschino. «Per quel che riguarda le procedure di bilan«Molto spesso - ha detto Spaziante - vecio, si deve reagire con un atteggiamento di do dalle risultanze sia della Corte dei conti sostegno rispetto a questa riforma che attrasia dei colleghi parlamentari che ci sono del- versa un passaggio cruciale: o decolla o non le incomprensioni sui criteri di valutazione, decolla. E questo un momento in cui l'aumolti diversi l'uno dall'altro. Probabilmenmento di regole e di vincoli che è dilagato te questo è un terreno sul quale è necessario nella vita parlamentare, che ha trasformato trovare una collaborazione più intensa. E an- il modo di ragionare e di decidere, e lo stescora: esiste un problema, rilevante, che è so costume politico, incontra una reazione di quello delle basi di informazione di ciascuna insofferenza. Che determina una serie di atamministrazione. Costrette spesso per valuteggiamenti convergenti di varia natura. E tare costi e spese a rivolgersi alla Ragioneria invece importante chiarire il rapporto tra le generale dello Stato. Si tratta dunque di crearagioni finanziarie, che sono alle spalle di una re una capacità di documentazione da parte normativa di contenimento della spesa, quale delle amministrazioni, senza la quale è illu- quella che si deve accompagnare ad una desorio ogni altro tentativo che facessimo per cisione di bilancio; e le ragioni di settore, che arrivare ad una sofisticazione maggiore di invece prevalgono quando i provvedimenti queste attività». assumono una loro autonomiae vengono afD'altra parte la "rassegnazione" di un'amfidati ad iter procedurali che escludono le ministrazione impreparata sul fronte della commissioni finanziarie ma passano nelle cultura di bilancio sembra quasi scontata. E commissioni di merito». qui Spaziante ha fatto un esempio. RicordanPalanza ha però voluto sottolineare un altro do «un disegno di legge di fonte non goverelemento per così dire "ideologico": rappre-
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fase di rodaggio che, se non conclusa, rischia sentato dal «tentativo di esorcizzare la politica e di dargli invece un canale e un vincolo di rendere impossibile qualunque giudizio di decisioni coerenti. C'è stato in qualche sulle leggi di bilancio vigenti. Un'esigenza, modo anche l'istinto di volere mettere un ar- questa, del quale si è fatto interprete anche gine definitivo ad una cattiva politica di bi- Sergio Gambale. Aggiungendo al dibattito un interrogativo: questa riforma è, oltre che poslancio. Penso alla copertura della legge finansibile e utile, anche urgente? «Ho la sensaziaria costruita con un vincolo di tipo sostanziale, definitivo e valido una volta per tutte. zione - ha detto - che le riforme, almeno nel settore fiscale, quando vengono introdotSono elementi, questi, che richiederebbero delle correzioni limitate». Ma se il processo te possono rappresentare un momento di difmesso in moto comincia a lavorare, «se alcu- ferimento nella soluzione di alcuni problemi. ni limitati ritocchi a questa legge possono es- Attenzione quindi a parlare di esigenze di riforma quando qualcosa è stato definito in sere apportati o in via diretta o in via intertempi abbastanza vicini e sappiamo, per trapretativa, se le regole parlamentari che si sono andate sviluppando si completano sul la- dizione, che i momenti dell'applicazione sono molto lunghi. E insomma necessario riemto delle leggi di spesa» Palanza non ha dubpire gli obiettivi che sono già stati disegnati bi: «il destino di questa legge è ancora tutto da vedere, proprio per la sua portata limita- con l'aggiustamento degli strumenti; soltanto una volta che questi strumenti dovessero ta, procedurale, contingente, ma in un ciclo richiedere la necessità di una modifica degli che si è appena aperto e sul quale dobbiamo obiettivi per funzionare, allora forse si povedere se riusciamò ad introdurre importanti trebbe parlare di riforme. Ma prima di fare e significativi miglioramenti». E proprio per quel che riguarda l'aspetto ulteriori salti propositivi dal punto di vista della normativa i massimi sforzi devono esquantificazione-relazione tecnica Palanza ha sere diretti alla fase della realizzazione». voluto aggiungere un elemento. Ricordando che «servirebbe un ulteriore passaggio; e cioè da un lato un vincolo che porti le commisEVITARE L'ELUSIONE sioni parlamentari a deliberare le relazioni tecniche nella fase di formazione dei testi, dall'altro un vincolo sulle amministrazioni di Piuttosto, secondo Gambale, si deve consisettore e sulla Ragioneria generale per una derare l'esigenza di evitare meccanismi di elusione, anche nel settore dei procedimenti tempestiva redazione delle relazioni tecniche, di bilancio «perché possiamo avere proceduquale ne sia l'esito. Si tratta insomma di chiure legali e procedure reali abbastanza difdere un processo che secondo me ha aspetti ferenti». positivi, ma è ancora parziale. Una preoccupazione eccessiva? Mica tanto. Proprio perché non estende alla generalità dei provvedimenti legislativi la deliberazione del- Perché proprio da Franco Bassanini è arriVata una raffica di esempi su come, per aggile relazioni tecniche durante la formazione rare i vincoli, si stiano inventando meccanidel testo nelle commissioni di merito». smi raffinati. Si dà a un centro di spesa decentrato che ha Su un punto, dunque, la maggioranza è sembisogno immediatamente di risorse finanziabrata d'accordo: occorre completare e forse accompagnare con miglioramenti tecnici una rie la facoltà di raccoglierle sul mercato, as53
sumendo a carico dello Stato non solo un concorso nell'onere degli interesi ma l'intero onere degli ammortamenti, facendolo decorrere dall'anno successivo al bilancio triennale in corso. Dal punto di vista della programmazione finanziaria questo è assolutamente scardinante e formalmente però resta nell'ambito della legge. Insomma, si stanno affinando i meccanismi di elusione dei vincoli di copertura, visto che il meccanismo di sottostimare gli oneri si sta progressivamente chiudendo». Proprio in quest'ottica, secondo Bassanini, «vanno assolutamente vietate le utilizzazioni in difforrnità dei fondi globali. Dopodiché si possono introdurre tutti i correttivi per esigenze di emergenza. Diversamente non si arriva a responsabilizzare le commissioni di merito, che devono invece sapere che per quell'anno per nuove leggi avranno a disposizione ciascuna soltanto quel certo budget».
UN BILANCIO SPERIMENTALE
Tra le "microrif orme" possibili è stata messa sul tappeto anche quella di un nuovo bilancio, in linea con quanto stava emergendo in quelle settimane dai lavori del Senato. Un tentativo portato avanti in via sperimentale dal Tesoro che è stato spiegato, nelle sue fi-
nalità, da Carlo Conte. «Si tratta di un bilancio che abbandona il capitolo come unità elementare. L'obiettivo è quello di dare chiarezza e sinteticità espositiva della posta finanziaria, così da ottenere un miglioramento dello strumento utile alla decisione parlamentare, ed essere utile al Governo per la formazione del bilancio». Si è avuta così la riduzione da 5500 capitoli a 240-250 voci di spesa, oltre ad altre 40 di entrate. «Il nuovo bilancio - ha spiegato Conte - rispecchia l'articolazione dei Mini-
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steri di spesa. Offre la possibilità di evidenziare all'interno del bilancio stesso delle voci di macroaggregazione, che potrebbero esprimere in via sintetica l'attività finanziaria dello Stato. Queste macroaggregazioni possono servire a verificare abbastanza celermente lo status finanziario che deriva da quel bilancio. Alla fine avremo un doppio bilancio: uno per la decisione, per unità omogenee o aggregate da un lato, dal quale deriverà, nel corso della sua esecuzione, il bilancio per la gestione, che è quello tradizionale per capitoli. Non solo: le unità omogenee possono avere una lettura orizzontale: ad esempio la spesa di personale è leggibile separatamente ma anche a sommatoria. Ancora: vengono evidenziate le spese per interventi, quelle che hanno una valenza esterna sovente in funzione anche della rilevanza politica della spesa stessa. Ad esempio, la difesa del suolo, la spesa per l'ambiente o altre. E un'esperienza sperimentale - ha sottolineato - che contiamo di sviluppare per migliorare la decisione di bilancio». Ma sull'esperienza del bilancio "parallelo" non è sembrato puntare troppo il Ragioniere generale dello Stato Andrea Monorchio. Che ha precisato di intervenire al dibattito a titolo personale, senza alcuna rappresentanza istituzionale. Per poi ammettere di non aspettarsi «nulla neanche dal bilancio parallelo. Il bilancio non è un mezzo per controllare, è un mezzo per decidere. Noi oggi abbiamo un bilancio che non è un bilancio di decisione perché è un bilancio che registra solo e soltanto oneri. Sono ad esempio molto preoccupato per quel che può succedere sul fronte previdenziale, anche perché l'INr's ha bilanci che ogni tanto devono essere rivisti. La costruzione di un bilancio e in particolare poi di un ente del settore statale o del set-
tore pubblico allargato, è un lavoro che può essere fatto quando tutti i soggetti che vengono inventariati hanno delle scritture redatte in tempi ragionevoli e trasparenti nei conti. Del bilancio dello Stato tutto si può dire tranne che non è trasparente. Si può dire che è scarsamente leggibile».
DAL PREvENTIvO AL CONSUNTIVO
Del resto leggibile e no, trasparente od oscuro, il bilancio porta in sé una grande contraddizione: quella di essere pensato e considerato solo come strumento preventivo e mai strumento consuntivo. Una contraddizione che, ha rilevato Maurizio Meloni, si inserisce in un sistema generale dei controlli che va rivisto. E che passa attraverso «una rivisitazione e rifondazione dei rendiconti, della cultura del consuntivo, del superamento dell'ossesione del preventivo». Anche perché ha osservato da parte sua Guido Rey «c'è un dato che non funziona. Il Parlamento discute quattro, cinque, sei mesi, della legge di bilancio e discute invece quattro o cinque giorni del consuntivo, quando ci sia aspetterebbe il contrario. Detto questo trovo che il problema più importante sia proprio lasciare all'amministrazione la vera gestione del bilancio; responsabilizzare gli amministratori; responsabilizzare le persone che in qualche modo sono i destinatari di questa legge». Insomma, come ha sottolineato Meloni, «non si può considerare la vicenda del bilancio come qualche cosa di avulso, da osservare in vitro. Come si fa a non considerare tutti i problemi dell'organizzazione amministrativa, della dirigenza pubblica, e ancora più in piccolo, tutti i problemi delle procedure di spesa & dei meccanismi gestionali? Occorre dunque riammodernare pro-
cedure di spesa e meccanismi gestionali; rivedere l'orgànizzazione amministrativa e rifondare la dirigenza pubblica».
LA MINA DEL PUBBLICO IMPIEGO
Ma non basta. Perché tra tutte, forse, c'è una riforma che è davvero impellente, se si vuole arrivare ad un risanamento del bilancio dello Stato. Che è quella del pubblico impiego. Un problema posto sul.tavolo della discussione da Maria Teresa Salvemini, meravigliata di quanto sia poco ben risolto il rapporto tra decisione di bilancio e contratti nel campo del pubblico impiego. «Se guardiamo di quanto si è scostata expostla spesa rispetto alla decisione programmata - ha ricordato - vediamo che nell'87 le variazioni sono state dell'oltre 4 per cento e nell'89 quasi del 6 per cento. Se poi guardiamo il confronto tra il profilo programmatico della spesa in un Dpef e il profilo programmato della spesa nel Dpef successivo, di nuovo vediamo come continuamente si debba far slittare in sù, per cifre che a me risultano tra i 20 e i 30 mila miliardi, la spesa per il personale programmata». Una situazione ingestibile. "Giustificata" in qualche modo da quanti sostengono che <da quantificazione dell'onere è imprecisa per la complessità dei contratti stessi. I contratti in realtà - ha ricordato Maria Teresa Salvemini - vengono siglati in una condizione tale che, se anche hanno sfondato rispetto alle decisioni di bilaricio, non c'è più nulla da fare rispetto a quello che è contenuto nel contratto. Allora bisogna chiedersi se il bilancio è del Parlamento, del governo o dei sindacati, perché obiettivamente a questo punto c'è un terzo attore». Bisogna dunque trovare una soluzione. E secondo Salvemini «il difetto del sistema sta 55
nel fatto che i tetti non sono mai stati spiegati effettivamente nei loro contenuti di politica delle retribuzioni, cioè sono stati dei numeri puri. La verità è che questi tetti sono un bargaining. Si va ad esporre 1000 sapendo che se si espone 1000 si darà 1500. E allora qual'è il rapporto con la decisione del Parlamento? Mi sembra che se il Parlamento ha deciso un certo ammontare complessivo, poi dobbiamo fare in modo che non sia da scavalcare con decisione contrattuale». Il rimedio? «Un provvedimento di accompagnamento che contenga linee guida che accompagnino questi tetti posti ai contratti. Non solo. Da questo punto di vista - ha detto Maria Teresa Salvemini - vedo sconfitta l'idea che il processo di bilancio debba riguardare l'intero settore pubblico. Perché per quanto riguarda il bilancio degli enti, gli enti subiscono gli oneri dei contratti in un contesto in cui, generalmente, nessuno intende garantire loro le risorse per pagare i contratti. In sostanza si porta l'onere sugli enti, sen-, za che dall'inizio sia stato quantificato, ente per ente, che cosa significa». Tutti d'accordo dunque sul fatto che il meccanismo attuale del pubblico impiego abbia un effetto travolgente. «Sottolineo - ha ricordato Bassanii - che la Finanziaria non ripartisce neanche il fondo a disposizione per i rinnovi contrattuali. Con il risultato che chi arriva prima se ne prende la quota maggiore. Occorre quindi privatizzare il pubblico impiego e stabilire la responsabilità dei managers pubblici». Con un'avvertenza, sottolineata da Guido Rey. «Se io stabilisco il principio della contrattazione del pubblico impiego - ha detto - devo trarne le conseguenze. Non mi scandalizzo del fatto che con il sindacato si contratti; però è ovvio che nel momento in cui con il sindacato ho un rapporto conflitturale, e ovviamente il sindacato sciopera, io
debbo avere la possibilità di resistere. Quindi bisogna modificare il rapporto di lavoro». Con tutti i limiti del caso italiano. Perché ha ricordato Ristuccia - <da privatizzazione del rapporto di pubblico impiego sicuramente serve. A patto però che poi il governo sia in grado di licenziare; e onestamente credo che in questo sistéma forse nessun governo licenzierà mai nessuno». Nel frattempo, in presenza di «una legge quadro sul pubblico impiego sbagliata - ha ammesso Monorchio - ci organizziamo alla meglio. Si lascia per ultimo il contratto più difficile. La verità è che quella dei contratti è una storia che va prontamente rivista. I contratti devono avere norme chiare, precise ed inequivoche, da affidare al giudice del lavoro e non ai Tar». E comunque, ha sottolineato Linda Lanzillotta «in attesa di soluzioni più convincenti, nel medio periodo si dovrebbe comunque ripensare la legge quadro, riportando in Parlamento, dove bene o male c'è un verifica dei costi, la copertura dei contratti articolati».
I
SETTORI A RISCHIO
Secondo Linda Lanzillotta non è solo il settore del pubblico impiego a creare preoccupazione. «Esiste un volume di spesa che sfugge totalmente alle quantificazioni. Sono i grandi aggregati: oltre al pubblico impiego, la sanità e la previdenza. Proprio quest'ultima è l'area che è più carente, dove si registreranno negli anni i maggiori scostamenti rispetto alle previsioni. Anche perché non mi sembra che sia sufficientemente utilizzato da parte del Governo lo strumento dell'iniziativa legislativa a copertura degli effetti finanziari di sentenze E mi risulta che gli enti previdenziali applichino le sentenze senza che sia previamente intervenuta la copertura fi-
nanziaria prescritta dalla 362». LE DISILLUSIONI
Una situazione, quella descritta da Lanzillotta, dalla quale ha preso spunto lo "sfogo" di Andrea Monorchio. Che, senza mezzi termini, si è detto «disilluso,>. Non credo né nella legge 468 né nella 362. Pensiamo alle leggi di accompagnamento: io ho sempre pensato che portassero o maggiori entrate o ad economie di spese. Invece le leggi di accompagnamento sono state intese, anche dal Governo, come mezzo per privilegiare alcuni comparii La mia convinzione è che non governeremo mai la finanza pubblica fino a quando non si modificano le regole di decisione. E questo non è semplice. Probabilmente saremo costretti a modificarle in presenza di eventi traumatici o drammatici tipo guerre o crisi finanziarie». Ma alla fine, anche per Monorchio, esistono dei miglioramenti possibili. Ad esempio «il Dpef - ha ammesso - viene fatto in un'epoca molto anteriore rispetto all'effettiva discussione sui documenti di bilancio. Fui accusato di essere un terrorista perché avevo immaginato che il fondo sanitario nazionale '91 potesse fissarsi in 78 mila miliardi in termini di competenza. Le regioni hanno stimato 92 mila, il governo 88 mila». Di cose da fare, comunque, ne restano molte. «Le relazioni tecniche - ha ad esempio ricordato Monorchio - ci hanno semplicemente portato, per ora, un maggior aggravio di lavoro. Nell'amministrazione ancora non esiste una cultura della relazione tecnica del bilancio. E comunque la relazione tecnica non risolve i problemi della copertura finanziaria. Faccio un esempio: nella legge sulle autonomie locali, all'articolo 63, sono previsti tre miliardi e mezzo per fare 7 provincie. Io ho spiega-
to che con tre miliardi e mezzo si stampa solo la carta con gli stemmi delle nuove provincie. Mancava a questo proposito la relazione tecnica. Ma è stato approvato lo stesso».
UN DPEF DIVERSO
A prescindere dai tempi di presentazione del documento di programmazione economico finanziaria, comunque, sono stati in molti a sostenere che anche i suoi contenuti andrebbero in qualche modo rivisti. Il punto - ha detto ad esempio Girolamo Caianello - è che il Dpef dovrebbe recare delle indicazioni di prorità: graduare gli scopi comuni con un diverso grado di cedevolezza. Così, se nella sede di decisione sui fini si stabilisse questo ordine di gradualità e cedevolezza nelle diverse indicazioni che il legislatore del bilancio deve recepire, si offrirebbe alla sede di bilancio una guida per quella che è la sua naturale funzione iibitoria. Quando in sede di bilancio si constata che oltre una certa somma non si può spenderè, il legislatore deve già sapere che cosa deve cominciare a tagliare nelle destinazioni di spesa deliberate nelle sedi di merito. E ricordiamo la legislazione sull'entrata. Negli altri Stati moderni le legislazioni sull'entrata sono antecedenti alle decisioni di spesa e svincolate da esse. La decisione di entrata fiscale deve essere autonoma in un quadro ordinato di legislazione tributaria, non frammentaria, affannosa e ballerina come invece accade». Un'impostazione, questa, che è stata confermata anche da Giancarlo Salvemini. «Quello che non funziona - ha detto - è che questi documenti di programmazione economico-finanziaria avrebbero dovuto es57
sere realizzati con leggi sostanziali e di settore, e queste invece sono mancate. Si è arrancato dietro le indicazioni del documento di programmazione finanziaria, andando dietro con imposte una tantum, con anticipi di imposta, di entrate, e con ritardi di spesa. Mi sembra poi che sarebbe opportuno tornare alla filosofia originale della legge n. 468 del 1978 che non voleva essere qualcosa che riguardava solo il bilancio dello Stato ma guardava ad un complesso un po' più vasto. Occorre insomma non soio semplificare la lettura del Dpef ma farvi rientrare tutti gli altri enti o settori di spesa. Sarebbe triste se riuscissimo a migliorare il bilancio e poi tutte queste gestioni fuori bilancio continuassero ad essere completamente svincolate in modo tale da portare a dei risultati di cassa completamente difformi da quelli che ci si potrebbe aspettare». -
CHE SIGNIFICA CONFRONTARSI CON L'EUROPA Di carne al fuoco, dunque, ce n'é molta. Ed è spettato a Sergio Ristuccia tirare le fila del dibattito. Ricordando che «la scommessa della riforma di bilancio è stata un'opera di razionalizzazione nei limiti in cui ha senso, in un sistema del genere, porsi obiettivi di razionalizzazione. Noi operiamo in questo contesto costituzionale che è fondamentalemente cogestionario. Se questo è vero, le aspettative devono essere quelle che sono, cioè ri-
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dimensionate». In quest'ottica "minimalista" esiste però lo spazio per aggiustare le procedure. «Possiamo ad esempio accorciare la distanza che c'è tra la sessione di impostazione a maggio e poi quella reale di discussione e approvazione. Sapendo però che fare tutto ad autunno riproporrebbe altri problemi». Ancora: «nel campo della valutazione dei costi occorre raggiungere la parità tra leggi ed emendamenti alle leggi. E forse anche un bilancio parallelo potrebbe migliorare in qualche misura il processo decisionale». Aggiustamenti e miglioramenti che «non devono far nutrire aspettative eccessive, ma devono essere collocati in una strategia dell'innovazione dell'amministrazione in senso complessivo». Sapendo che con queste modifiche «potremo ottenere dei risultati, ma non dei grandi risultati. Allora bisogna passare alle grandi questioni istituzionali. Ed è in questa prospettiva che si deve ragionare sul tema dell'integrazione comunitaria, la quale in verità sembra imporre non soltanto di sottostare ad un'azione di "sorveglianza" sulla politica economica quanto di dar seguito all'esigenza di un avvicinamento del nostro processo di bilancio alle caratteristiche istituzionali di quelli degli altri paesi membri della Comunità». Il vincolo al bilancio che verrà dall'Europa unita «potrebbe diventare una spinta a un ridisegno dei poteri in materia di bilancio. Non dobbiamo dimenticare che negli altri paesi il bilancio è un bilancio dei Governi».
queste istituzioni
La riorganizzazione della Sanità al di là della riforma legislativa Con il titolo del dossier vogliamo richiamare l'attenzione sugli aspetti organizzativi e gestionali della Sanità al di là della riforma legislativa. Riforma importante perché necessaria in materia ma come presupposto e punto di partenza. Le riforme, non ci stancheremo di ripeterlo, sono processi operativi e non meramente legislativi. Nella Sanità, poi, più che altrove. C'è in corso un dibattito sulla "riforma della riforma" la cui importanza è inutile sottolineare. La Sanità tocca aspetti della vita carichi di coinvolgimenti umani ed emotivi: il tema della salute è forse quello che più facilmente si presta ad interventi retorici se non demagogici. Tutto ciò non facilita un 'analisi obiettiva e spregiudicata. E dunque opportuno stimolare una ricerca che sia in primo luogo analitÌca e che permetta di definire i vari aspetti del problema evitando le deformazioni che derivano dai così forti e rilevanti interessi in gioco. Gli studiosi dei processi di formazione delle politiche pubbliche hanno dedicato molta attenzione all'arena della Sanità (v. per esempio e da ultimo Ellen M. Immergut, Institutions, Veto Points and Poli•cy Results: a Comparative Analysis of Health Care, in "Journal of Public Policy", ottobre-dicembre 1990). 59
In tutti i paesi industriali il sistema della protezione della salute è in crisi, sia esso organizzato sotto forma di "national health service" ovvero sotto forma di' 'national health insurance" (e si tratta, ov viamente, di differenze notevoli trattandosi nel primo caso di servizio fornito prevalentemente da organismi pubblici e nel secondo caso ampia e crescente la spesa pubblica assicurativa). Così avviene che negli Stati Uniti si guardi con interesse ai modelli europei e viceversa. La Sanità è grande interesse collettivo, tipico "interesse pubblico". Ma cercare, con buoni risultati, di soddisfarlo significa uscire da formule facili. In questa ricerca delle strade migliori gli aspetti organizzativi e gestionali (con tutto ciò che significa sul piano' della formazione dei quadri pubblici e privati) sono fondamentali. 'Condividiamo questo orientamento, almeno a parole diffuso, e con questo spirito apriamo un dossier Sanità.
La "riforma della riforma" in Parlamento Il conflitto tra i livelli di governo
di Roberto Turno
Il segnale della svolta ha una data precisa: 27 marzo 1991, giorno del «sì» finale del Senato al decreto legge sulla gestione transitoria delle USL in attesa del varo della legge di riforma del Servizio sanitario nazionale. Con la legge di conversione di quel contestato decreto - reiterato per ben quattro volte dal Governo davanti alle fortissime resistenze parlamentari - sono state gettate per la Sanità pubblica le fondamenta di una nuova era. Un mutamento di rotta di centottanta gradi, colmo di buone intenzioni tutte da verificare concretamente. Presidenti e amministratori delle USL sono stati messi definitivamente alla porta. Liquidati perentoriamente dal Parlamento, hanno lasciato il posto a due organismi nuovi di zecca: i Comitati dei garanti (di nomina comunale) e gli amministratori straordinari (di fonte regionale). I primi con valenza politica, ma con ridotti poteri. I secondi, dotati di ferrei requisiti tecnici e di competenze specifiche, incaricati invece di ampi poteri di gestione: veri e propri managers (così si è molto ripetuto), incaricati di gestire «fino e non oltre il 30 giugno 1992» un settore della finanza pubblica da almeno 100 mila miliardi di lire l'anno. Con quella legge (lan. 111 del 6aprile 1991) ha avuto inizio, almeno sulla carta, la rivoluzione del pianeta Sanità. La prima scossa, insomma, a quella riforma del '78 che, mai applicata concretamente e comunque messa
in opera fra troppi compromessi, un po' tutti i partiti fjn quasi dalla sua nascita già chiedevano di cambiare. Ecco così ora la promessa di efficienza; ecco la separazione più netta tra amministratori e politici; ecco ancora la cancellazione del diritto ai rimborsi "a piè di lista" dei debiti delle USL e la contemporanea individuazione di più precise responsabilità sia gestionali che finanziarie individuate in capo alle. Regioni. Ecco, insomma, il varo ufficiale dei primi assi portanti della riforma complessiva del Servizio sanitario nazionale. Perché la legge che ha insediato gli amministratori straordinari nelle Unità sanitarie locali, ha una scadenza ben precisa e un ben preciso punto di riferimento: il 30 giugno del prossimo anno, data entro la quale si conta di far scattare l'applicazione della ristrutturazione della Sanità pubblica. Ristrutturazione radicale, che è affidata ad un disegno di legge presentato dal ministro della Sanità, Francesco De Lorenzo, fra i provvedimenti di accompagnamento alla legge Finanziaria per il '90. Se contrastato è stato il varo del decreto di commissariamento delle USL, altrettanto ma anche più contrastato è stato il cammino parlamentare del disegno di legge governativo di riforma complessiva del Servizio sanitario nazionale. Conviene, per questo, fare un passo indietro. «Una cura shock per la sanità pubblica», 61
«una scommessa per il '93»: queste, tra le tante, le parole d'ordine che accompagnavano davanti all' opinione pubblica la presentazione della «legge De Lorenzo». Un provvedimento che il sesto governo Andreotti presentava in Parlamento dopo le furibonde polemiche che avevano accompagnato l'ultimo scorcio di vita del Gabinetto De Mita e la gestione del ministero della Sanità da parte di Carlo Donat Cattin. Numerose, e per certi aspetti rivoluzionarie rispetto all'attuale sistema, le novità della proposta governativa: istituzione del Fondo sanitario interregionale; nuove regole per l'individuazione dei deficit; affidamento di precise responsabilità gestionali alle Regioni; drastica riduzione del numero delle USL e separazione del momento gestionale da quello squisitamente politico. E ancora, se non soprattutto: creazione di USL-azienda e di ospedali-azienda, guidati da managers capaci coadiuvati da altrettanti Consigli di amministrazione; contratto non più di tipo pubblico per l'esercito dei quasi 650 mila dipendenti del comparto della sanità. Il tutto, con l'obiettivo di sostituire alla pianificazione centralizzata e ai controlli burocratici dall'alto, nuovi meccanismi decentrati di quella che viene definita "servo regolazione". In un ottica europea dunque, secondo meccanismi di partecipazione, di accesso al Servizio, di ridefinizione degli assetti che un p0' dappertutto in Europa sono venuti emergendo, da ultimo con la riforma scattata proprio il 1 0 aprile scorso in Gran Bretagna. Queste le nuove "regole del gioco" che la maggioranza di pentapartito proponeva al Parlamento. Tante (forse troppe?') proposte per un cambiamento di rotta imposto da troppe evidenze: come lo sfascio dei servizi pubblici deputati all'assistenza sanitaria; come l'assoluta mancanza di competenze a livello periferico nella gestione di una mac-
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china tanto imponente. E, ancora, come l'assoluta evidenza del disastro finanziario testimoniato dalla continua iniezione di liquidità per ripianare a fine anno le gestioni deficitarie delle USL (ben 54 mila miliardi di deficit, o di sottostime dei Fondi sanitari, accertati negli undici anni compresi tra il 1980 e il 1990). Disavanzi, peraltro, non interamente e non necessariamente imputabii a cattive gestioni degli amministratori: spesso, anzi, dovuti ai consueti "trucchi" contabili che, come ha poi riconosciuto il Parlamento nelle Commissioni bilancio di Camera e Senato, sono stati ripetutamente messi in opera dagli Esecutivi attraverso una consapevole sottostima dei Fondi sanitari nazionali dell'ultimo decennio. Di qui, insomma, la necessità di cambiare. E di assicurare, naturalmente, certezza di risorse ad un sistema sanitario che, nell'attuazione finalmente in qualche modo esplicita del dettato costituzionale con la proposta di riforma del Servizio sanitario, punta ad affidare alle competenze regionali la chiave di volta del cambiamento in incubazione.
L'UMANITÀ APPARENTE, L'AFFOLLAÌvIENTO REALE DI INTERESSI IN CONFLITI'O Tante necessità, da tutti condivise. Ma forse, chissà, proprio in ragione di tanta unanimità, da nessuno fatte proprie all'atto pratico. Perché quella "legge De Lorenzo", in effetti, proponeva fin dal suo nascere in Consiglio dei ministri il 29 settembre del 1989 un numero eccessivo di nuove regole del gioco. «Il via libera alla privatizzazione della sanità, lo scardinamento delle regole fondamentali dello Stato sociale», è stata continuamente la parola d'ordine delle opposizioni di
sinistra, PCI, e poi nuovo PDS, in testa. «È il modo per consentire al servizio pubblico di competere col privato: privato che comunque potrà restare sul mercato solo se funzionale rispetto alle esigenze del Servizio e che comunque non potrà più godere di una assistenzialismo illegittimo», ha ribattuto ogni volta il ministro. Due modi di porsi antitetici. Due versioni differenti di una legge in cantiere che ancora una volta, prima ancora di nascere, già scontentava tutti. Come quanti operano direttamente nella sanità, i medici anzitutto, che hanno visto fin dall'inizio col fumo negli occhi quell'ibrida proposizione di un contratto di lavoro di stampo quasi privatistico. E scontentava i fautori di una più marcata attribuzione di poteri in capo ai Comuni, soprattutto sull'onda lunga dell'entusiasmo per la nascita della legge n. 142/90 sulle autonomie locali. Ancora distanti da un'impostazione di efficientismo antistatalista sono poi stati gli amministratori locali, che dal nuovo disegno di competenze, di poteri, di spartizione di zone d'influenze hanno facilmente e immediatamente avvertito il rischio ben fondato di una caduta verticale dei propri consensi. Tante remore. Tanti umori contrari. E tante discordie, naturalmente. Ma non soltanto nei rapporti tra maggioranza e opposizione parlamentare: il cambiamento dello statao di cose che si è venuto immediatamente a delineare da quell'ormai lontano 29 settembre 1989, non poteva non avere riflessi all'interno dei singoli partiti della coalizizione a cinque che sosteneva il Governo. Ciascuno, o quasi, con i propri delicati equilibri da difendere. Ciascuno, o quasi, col pensiero rivolto alle categorie rappresentate. Ciascuno, o quasi, con una propria idea delle "cose da fare". Idee, naturalmente, raramente palesate con
chiarezza come impongono certe regole consolidate della politica. Di qui lunghi contrasti, e interminabili vertici di maggioranza; e incontri a cinque; e Consigli di Gabinetto a Palazzo Chigi; e spesso sterili dibattiti nei comitati ristretti delle commissioni parlamentari. Dispute tra i rinati "comunardi" del 1990 (i sostenitori del ruolo invalicabile dei Comuni) e i fautori della attribuzione di ampi poteri alle Regioni; discettazioni, tutt'altro che marginali per la verità, sui numero di USL da "tagliare"; contrasti apparentemente insuperabili sul numero di ospedali-azienda da scorporare. E ancora disfide all'ultimo comma sui contenuti dell'articolo che ridisegna il rapporto di lavoro del personale dipendente del Servizio sanitario nazionale: rapporto di lavoro di tipo privato? o ancora di tipo pubblico? oppure affidato ad un mix di pubblico e privato: di tipo pubblico, cioè, ma ampiamente delegificato? Proprio in questo continuo andirivieni da una Commissione all'altra, da un vertice di Governo ad un summit tra le teste "pensanti" della Sanità dei cinque partiti della coalizione di maggioranza, è stato faticosamente costruito il testo-base della riforma della legge n. 833 del 1978. Un testo che la Camera ha approvato alla metà di luglio del 1990, trasmettendo al Senato un provvedimento di venti articoli già pronto a recepire nuove modifiche. Modifiche che, però, neppure al Senato sono mai state proposte con i toni dell'ufficialità. Troppo divisa la DC, con le sue mille anime, per poter proporre regole bene accette da tutto l'universo scudocrociato. Con una visione decisamente in chiave regionalista il PSI per poter accettare arretramenti sulla nuova gestione non più accentratrice. Troppo attento all'introduzione di regole di managerialità non fondate su mere enunciazioni di principio il PRI, per poter accogliere 63
modifiche di facciata. Decisamente sulla linea della <degge subito» il ru, che della riforma della Sanità ha fatto forse il principale cavallo di battaglia della sua azione di Governo nel corso dell'ultimo scorcio della decima legislatura.
Ai. SENATO IL DIBATI'ITO RICOMINCIA DA CAPO Tante differenze di impostazione che, naturalmente, si sono immediatamente presentate al Senato, fin dall'avvio del secondo esame parlamentare della legge di riforma delle USL. Anche a Palazzo Madama, infatti, dal settembre '90 fino all'esame in aula del testo destinato a tornare alla Camera in seconda lettura, per quello che si presume sarà anche il passaggio parlamentare definitivo, si sono riproposte una dopo l'altra le stesse divisioni, le identiche spaccature sottili, gli sfilacciamenti all'interno della coalizione di maggioranza già registratesi nel corso del dibattito a Montecitorio. Ma, ancora una volta, senza che mai apparissero evidenti i motivi reali dei contrasti sull'impostazione ideale da imprimere alla legge in cantiere. Voci di singoli senatori, emendamenti di gruppi interpartitici, inserimenti e modifiche anche dell'ultima ora su singole questioni hanno infatti caratterizzato l'esame del provvedimento. Ecco così, in questo quadro politico-parlamentare di difficile interpretazione, la proposizione di nuove questioni o la riformulazione di problemi che si supponevano ormai risolti da accordi politici stipulati in precedenza, magari anche solo poche settimane prima. Dai socialisti giungeva ancora forte la spinta al regionalismo. Ma giungevano pure segnali precisi in direzione di un riequilibrio territoriale delle strutture, prevedendo all'uop0 la destinazione in direzione del Mezzo-
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giorno, inserendo uno specifico "capitoloSanità" tra le priorità degli interventi da avviare con gli strumenti della legge n. 64/1986, per il Sud. Una spinta che ha trovato consensi: nei sindacati, nel Partito liberale, in parte della DC. Ma che ha trovato pure voci discordi negli altri partiti, nelle Regioni del Centro ma soprattutto del Nord Italia. Di qui nuovi aggiustamenti, correzioni di tiro per un provvedimento che nella sua tormentata marcia parlamentare ha dovuto subire non poche inversioni di rotta e differenti impostazioni. Ma ecco ancor il riaffiorare delle spinte "comunarde" che la Commissione affari costituzionali ha riproposto all'attenzione dell'aula di Palazzo Madama formulando un parere fortemente critico. Ed ecco le richieste della Commissione bilancio, che intravvedeva il rischio di addossare sulle Regioni oneri finanziari tali da poter compromettere - col solo ripiano dovuto a loro carico di eventuali (ma pressoché certi) disavanzi provenienti dalla gestione della sanità - la finora modesta capacità impositiva loro attribuita. Ed ancora ecco riaffacciarsi le spinte sulla ristrutturazione dei Policlinici; e naturalmente sul contratto del personale, dibattito che si è venuto oltretutto ad incrociare con le trattative nel frattempo apertesi fra la delegazione governativa e quella dei sindacati confederai in materia di riforma complessiva del pubblico impiego. E in questo mare magnum di sollecitazioni, di spinte talora scopertamente corporativistiche, di difese di vecchi interessi o di proposizione di nuove rappresentanze, che si sono consumati sia alla Camera che al Senato il dibattito e quindi la stesura della riforma radicale della Sanità pubblica. Il tutto, però, si badi bene, mai all'insegna dello scontro frontale o comunque di carattere ideologico fra i partiti di maggioranza.
Il trasversalismo di alleanze sui singoli problemi, che ha interessato peraltro significativamente su alcuni aspetti decisivi in discussione anche la minoranza di sinistra, è stato infatti il dato saliente del confronto politicoparlamentare di quasi due anni di dibattito prima a Montecitorio quindi al Senato. Netta, sul piano dell'impostazione ideologica, è apparsa pressoché esclusivamente la divaricazione di posizioni tra sinistra e partiti di maggioranza. Anche se poi, a ben vedere, il punto di partenza delle differenti impostazioni ha sempre avuto fin dall'inizio un unico comun denominatore: la necessità della "svolta", di superare parassitismi impliciti e non, di cancellare sprechi ed inefficienze, di restituire (o meglio: di affidare per la prima volta senza mascheramenti o trucchi contabili) la certezza di risorse finanziarie ai soggetti gestori e responsabili.
IL MINISTRO E LA SUA MAGGIORANZA
Un punto di partenza comune, dunque. «La natura dei problemi che affliggono il Servizio sanitario nazionale rendono necessaria un'azione concreta, che sia volta a ricercare le condizioni effettive di un rilancio funzionale e di un riordino organizzativo del Servizio», si è fin dal principio affermato nella relazione di minoranza della sinistra presentata alla Camera. Indicazioni di partenza del tutto condivise dalla maggioranza. Salvo poi, nei contenuti, marcare una ben differente impostazione. Si afferma ancora infatti nella relazione della minoranza: «Condizione per intraprendere effettivamente questa strada è di superare l'angustia e la parzialità, oltre che la non palese verità, di un dibattito, nel Paese e fra le forze sociali e politiche di governo, tutto incentrato sulla quantità di risorse destinato
al comparto sanitario, sulla loro compatibilità con la più generale capacità del bilancio dello Stato di finanziare la spesa pubblica e sulla loro supposta ingovernabiità in termini di dinamica accrescitiva» Di qui i no senza incertezze all'introduzione non certo strisciante dell'assistenza indiretta che si è venuta presto a delineare; l'opposizione alla fuoriuscita dal sistema sanitario di una quota di cittadini o alla strategia sempre più marcata che si è subito venuta delineando in direzione della privatizzazione di quote via via più significative dei servizi sanitari. E ancora nel dettaglio dei contenuti della riforma, ecco l'elenco delle altre carenze che la legge in via di approvazione non contrasterebbe affatto, accentuando anzi gli aspetti negativi e patologici del sistema: per la riproposizione di vecchi difetti centralistici, per gli sconfinamenti di potere (un caso emblematico proposto è quello dell'eccessivo numero di atti di indirizzo e di coordinamento alle Regioni da parte del Governo dettati dal testo di riforma), per l'imperfetto e nient'affatto razionale riazzonamento delle USL, per la "perversa" logica del contratto di lavoro futuro prossimo verso il quale la sinistra ha spinto forte, per almeno dodici mesi, in favore di una incisiva e non parziale privatizzazione. Da un identico punto di partenza «o si approva rapidamente una buona legge di riforma, o il Servizio sanitario nazionale è destinato a soccombere alle difficoltà nelle quali oggi si dibatte», ha affermato nella sua relazione all'aula il relatore (socialista) di maggioranza al Senato; la maggioranza ha tratto però lo spunto per offrire al Parlamento idee guida e suggerimenti operativi di segno diametralmente opposto, se non nella forma almeno nei contenuti del testo di legge di riforma della Sanità pubblica. Il tutto però nel segno di una altalenante im65
postazione dei problemi, in un groviglio di sistemi e di sottosistemi di governo della Sanità che la maggioranza è riuscita ad unificare tra non poche difficoltà, incertezze e continue perplessità. «Tra scandali e denunce di ogni genere, il nostro compito non è stato facile - ha riconosciuto la relazione di maggioranza presentata alla Camera e stesa da un relatore democristiano -. Soprattutto perché non sempre denunce e scandali ispirano vere correzioni di rotta». In tale affermazione sono impliciti i giudizi negativi espressi da gran parte dei rappresentanti della maggioranza nei confronti di un ministro super attivo che con interventi di forte impatto sulla pubblica opinione ha lanciato nella bagarre dello sfascio del Servizio l'operato dei NAS, che ha denunciato davanti al Parlamento con cifre e fatti, l'uso spesso spregiudicato e a fini clientelari degli incarichi elettivi nelle USL. Un super attivismo certamente vincente in termini d'impatto sulla pubblica opinione, ma proprio per questo male interpretato, e perciò contrastato, da larghi strati della stessa coalizione di governo. Anche in questo confronto tra il ministro responsabile della Sanità - forte di un modesto due per cento dei voti e di pari rappresentanza parlamentare - e la sua maggioranza di riferimento all'interno della coalizione governativa, vanno dunque letti i contrasti tra i cinque e le difficoltà nella messa a punto finale del testo della riforma del Servizio sanitario nazionale.
LE QUESTIONI CRUCIALI
Testo che si presenta dunque contraddittorio. E per questo tutto da verificare in quella che potrebbe esserne la sua applicazione. Un testo necessariamente frutto di mediazio66
ni e di compromessi, che all'atto pratico potrebbe scatenare problemi anche più tenaci di quelli attuali. Capitolo per capitolo, punto per punto, la legge in via di approvazione risente di tutto ciò. Come risente fortemente della "trasversalità" che ha accompagnato, nel corso del dibattito parlamentare, la sistemazione di aspetti fondamentali delle nuove regole del gioco messe in cantiere. Eccone, a titolo di esempio, alcuni momenti cruciali; Regionalismo e ruolo dei Comuni. Proprio sul ruolo e sulle reciproche funzioni degli enti locali e di quelli territoriali nel governo della sanità pubblica, si è registrato, in termini amplificati soprattutto a Montecitorio, un vasto dibattito che ha visto coinvolti singoli deputati e commissioni parlamentari. Su questo argomento, prima e forse con più forza che sul merito di altre questioni certo non di minore rilevanza, si è affacciato quello che è stato definito il "partito trasversale" sulla riforma della Sanità. Trasversale, perché ne hanno fatto parte deputati di tutti i gruppi. Ben lontani, perciò, dalle logiche interne di partito o da rigide consegne provenienti dalla reciproche "case madri". Il partito trasversale, i cosiddetti comunardi, hanno trovato terreno fertile e precisi punti di riferimento istituzionali dapprima nella commissione Affari costituzionali di Montecitorio, quindi nella sua interfaccia del Senato. Davanti all'incipiente regionalismo, infatti, i sostenitori dei Comuni di tutti i gruppi hanno rilanciato in pieno il ruolo degli enti locali; in questo mettendo in campo senza indugi recenti principi e disposizioni fresche di legge: quelle, per l'esattezza, dettate da una recentissima legge, la n. 142 dell'8 giugno 1990 di riforma delle autonomie locali.
«La presunta centralità regionalistica della politica sanitaria - venne così affermato a più voci - taglia fuori il ruolo del Comune quale ente democratico territoriale titolare di funzioni più generali di governo del territori, dalle quali la Sanità non può essere meccanicamente avulsa». E davanti alla tempestiva segnalazione, in sede di parere da parte della Commissione affari costituzionali della possibilità di incostituzionalità del provvedimento, si propose con forza la richiesta di una netta tripartizione, nel testo del disegno di legge di riforma, di compiti e funzioni già individuate con la legge n. 833/78, quindi riconfermate dalla nuova legge sulle autonomie locali. Quale il risultato normativo conseguito da questo forte impulso istituzionale? Un articolo di 4 righe, non di più, che dispone: «Le norme della presente legge si applicano nell'ambito dei principi della legge 8 giugno 1990, n. 142, e ad essa si fa riferimento per quanto attinente e non previsto». Una formulazione finalmente sufficiente a spazzare via tutti i dubbi residui? Anche in questo caso le opposte tesi si sono incrociate. La disputa tra comunardi e regionalisti, infatti, era tutt'altro che conclusa. Immediata eco si è infatti avuta dalla parallela Commissione affari costituzionali del Senato, dove ancora una volta i comunardi sono tornati all'attacco. La scelta di attribuire alle Regioni le funzioni legislative ed amministrative in materia sanitaria non espressamente riservate allo Stato, ha scritto all'unanimità la commissione di Palazzo Madama nel suo parere riservato all'assemblea, appare «coerente con l'articolo 117 della Costituzione». Coerente, ma «fortemente limitata e condizionata dalle norme del disegno di legge in esame». Limitata per le stesse Regioni, vincolate ad un'attività legislativa e amministrativa ridotta di fatto a tradursi
semplicemente in una meccanica esecuzione delle scelte del legislatore nazionale: sarebbe il caso della determinazione dall'alto degli ambiti territoriali delle usL-azienda, della definizione (nel numero e nella composizione) dei relativi Consigli di amministrazione, dell'eccesso ancora immanente di atti di indirizzo e di coordinamento attribuiti al Governo centrale in materia di competenza regionale. Carente sul piano delle nuove norme riguardanti la regionalizzazione, la legge in via di approvazione è stata giudicata altrettanto, se non più, manchevole «nel definire le competenze degli enti locali e in particolare nel definire le funzioni attribuite, dalla riforma, alle Regioni e quelle proprie di Comuni e Province». Tornerebbe così anche a questo proposito in discussione, per la Commissione affari costituzionali del Senato, l'imperfetto riferimento del disegno di legge alla legge n. 142/90 di riforma delle autonomie locali. E insieme, si riproporrebbe la necessità di fissare compiutamente i principi della legislazione regionale, come quella di riaffermare le competenze primarie dei Comuni per quanto attiene ai servizi alla persona. Ma vi è anche una nuova, interessante sottolineatura: il fatto cioè che il disegno di legge ignora totalmente le funzioni in materia di servizi sociali attribuite ai Comuni e le necessarie e inevitabili integrazioni tra Sanità e servizi sociali. «Questa carenza - si fa notare - è ancora più grave se si tiene presente che più Regioni hanno già realizzato questa integrazione nella loro legislazione». Aree metropolitane. fl tema della reciproca valenza, e dunque dei nuovi rapporti di potere tra Regioni ed enti locali, va considerato d'altra parte il filo conduttore della discussione, e perciò delle scelte, su altri aspetti qualifi67
canti della legge. di riforma. È stato il caso, non certo di scarsa rilevanza, delle competenze da assegnare alle istituende dodici aree metropolitane pure previste dalla legge n. 142/90, diventata autentico punto di riferimento all'intero dibattito sulla riforma delle USL. Dodici comuni metropolitani sui quali andrebbero a transitare il 35% delle risorse finanziarie (pari a 24 mila miliardi) della Sanità, il 32% degli ospedali pubblici e il 38% di quelli privati, il 40% del personale complessivo. Aziende sanitarie, perciò, di grandi dimensioni e di spicco assoluto nel panorama nazionale. Ma quale tipo di delega affidare alle Aree metropolitane per le funzioni legisltive amministrative in materia di assistenza sanitaria e ospedaliera? Da una formulazione che prevedeva, per parte regionale, l'obbligo delle delega si è così passati ad una definizione assai meno vincolante: proponendo, cioè, di affidare agli enti territoriali la «facoltà» della delega. Una scelta davvero compiuta nella direzione indicata dai nuovi principi delle autonomie locali? I dubbi non sono mancati, come si ammette nella relazione di maggioranza presentata al Senato, nelle quale si afferma testualmente essersi trattato di «un punto di equilibrio politico». La scelta, ancora una volta, è stata dunque il risultato di un compromesso: che non metterà a tacere tutti i dubbi e che potrebbe suscitare non poche perplessità, generando magari un aspro contenzioso, al momento della sua applicazione.
Il personak. Il nuovo modello di rapporto di lavoro per il personale dipendente del Servizio sanitario nazionale, è stato certamente l'occasione dei confronti più accesi. Dentro e fuori le aule parlamentari. La formulazione iniziale del testo presentato nel settembre dell'89 dal ministro della
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Sanità era esplicita: contratto di diritto privato tout court, regolato da norme conseguenti; possibilità di durata a termine, quinquennale. Un passaggio epocale decisivo, tale da mandare letteralmente gambe all'aria la legge quadro sul pubblico impiego. La proposta del Ministro - che peraltro era già stata uno dei fulcri del progetto di riforma presentata dal suo predecessore democristiano al ministero, Carlo Donat Cattin non ha avuto vita facile. Ma, almeno per una volta, il dibattito ha avuto la caratteristica della franchezza delle posizioni. Finalmente, dunque, rese per la gran parte esplicite e chiare. Sicuramente favorevoli alla privatizzazione sono stati ad esempio i socialisti. E così, sulla sponda dell'opposizione, i comunisti (e quindi il PDS). Contrari per la grandissima parte i democristiani. Pressioni fortissime giungevano intanto dalla classe medica, decisamente contraria all'introduzione del rapporto di lavoro di diritto privato. Dai sindacati conferali, il cui peso nella rappresentanza della categoria medica è peraltro minoritario, giungevano invece le spinte proprivatizzazione. In questo scontro frontale consumatosi più che mai in sedi extraparlamentari, sono quindi giunte a maturazione le scelte di Camera e Senato. In direzione di un contratto che resta nell'alveo del rapporto di lavoro pubblico, ma con ampie deroghe alle regole attuali e introducendo pertanto norme del diritto privato. Un mix delle due forme che ed è questo un altro esempio significativo della traversalià delle posizioni - non è piaciuto, ma per ragioni diametralmente opposte, alle due Commissioni lavoro di Montecitorio e di Palazzo Madama. Quella della Camera, a presidenza DC, fautrice di regole marcatamente pubblicistiche; quella del Senato, a presidenza socialista, di parere contrario, al
punto da sostenere, nel parere formulato alla commissione competente in sede referente, che la formulazione prescelta altro non sarebbe che un "ibrido" di dubbia praticabiità. Indicazione, quest'ultima, che non è stata accolta, preferendo infine l'accoglimento della formulazione intermedia concordata insieme. Formulazione che i medici pubblici continuano a non considerare positivamente, negando l'affermazione secondo cui la. scelta pubblicistica non sarebbe compatibile con i criteri di efficienza e di competenza manageriale che stanno alla base del progetto complessivo di riordino del Servizio sanitario. Sistemazione che dunque, al momento, mo-
stra ancora una volta nettamente il carattere di compromesso. Un compromesso, per di più, destinato a restare di breve durata. Perché nel frattempo è stato chiarito che la natura del rapporto di lavoro contenuta nella riforma della Sanità è destinata a venire superata dalla decisione finale che scaturità dal confronto tra Governo e sindacati confederali in materia di riforma complessiva della disciplina del pubblico impiego. Una soluzione a breve, dunque. Un compromesso già pronto ad essere modificato. In direzione della privatizzazione del rapporto di lavoro, se gli accordi tra Governo e sindacati risulteranno confermati e infine accolti dal Parlamento. Il che è tutto da dimostrarsi.
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Sono pronte le Regioni per la riforma della Sanità? Analisi di alcune esperienze regionali negli anni Ottanta
di Marco Meneguzzo
I recentissimi provvedimenti normativi (decreto legge n. 35 del febbraio 1991, convertito in legge n. 111 del 4 aprile 1991) di nomina dei Commissari straordinari e dei Comitati dei garanti nelle Unità sanitarie locali, sembrano aver messo in secondo piano i contenuti chiave che dovranno caratterizzare il processo di cambiamento istituzionale ed organizzativo del Servizio sanitario nazionale nei prossimi anni. Il disegno di legge di "riforma della riforma" più volte riadattato e riscritto nel corso del 1990, prevede infatti rilevanti ed in alcuni casi «traumatiche» modifiche dell'attuale assetto istituzionale del SSN. A questo proposito basta rammentare la ridelimitazione degli ambiti territoriali delle UsL; l'introduzione della figura del Direttore generale, che interrompe la tradizionale direzione «bicef ala», amministrativa e sanitaria, delle organizzazioni sanitarie pubbliche; la parziale fuoriuscita del rapporto di lavoro del personale dipendente dalle norme del pubblico impiego; la drastica riduzione, infine, dei controlli preventivi sugli atti ed il potenziamento degli strumenti di controllo sui risultati della gestione. La effettiva sfida per il SSN sarà quindi rappresentata dalla formulazione, ai diversi livelli istituzionali (Stato, Regione, governo locale) di chiare strategie di anticipazione e attenuazione degli impatti prodotti dalle modi70
fiche più sopra ricordate; tali modifiche diventeranno la variabile di riferimento per il sistema sanitario pubblico negli anni '90, pur non concretizzandosi nel breve periodo, ma rispettando probabilmente i tempi dei processi di attuazione delle politiche pubbliche nel nostro paese. Tra i diversi attori pubblici chiamati alla predisposizione delle strategie di risposta ed anticipazione, le Regioni saranno destinate a svolgere un ruolo di primo piano; il progetto di «riforma della riforma» attribuisce infatti a questi enti una duplice funzione di «governo» del sistema sanitario regionale e di coordinamento delle politiche di offerta dei servizi, che saranno erogati dalla «rete» di aziende pubbliche che usciranno dal riassetto del SSN. La riforma del SSN prevede infatti la trasformazione delle USL in aziende speciali, dotate di piena autonomia organizzativa, amministrativa e patrimoniale, la introduzione delle aziende speciali ospedaliere (ospedali ad alta specialità, ospedali sedi di facoltà medica, ospedali generali regionali), una gestione specifica per i presidi ed i servizi multizonali ed infine la sperimentazione di formule gestionali alternative (concessione ai privati di opere e servizi, società miste pubblicoprivate). In questo nuovo contesto di relazioni interistituzionali e interorganizzative, profonda-
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mente diverso da quello individuato dalla leggi di riforma sanitaria del 1978, che prevedeva un sistema di relazioni «verticali» tra organizzazioni pubbliche, anche se «debolmente connesso», le Regioni dovranno introdurre innovative logiche di intervento e ritagliarsi un nuovo e specifico «spazio strategico» I . Un possibile esito in prospettiva del processo di ridefiriizione dello spazio strategico sarà rappresentato dalla assunzione da parte delle Regioni di una configurazione di «capogruppo» di un insieme di aziende pubbliche: va ricordato che la capogruppo regionale opererà comunque all'interno di un sistema che vedrà accentuata la caratteristica di «connessione debole», a motivo della ricerca di una sempre maggiore autonomia da parte delle aziende speciali, siano esse USL e ospedali, e dall'entrata in gioco delle società miste. Nel nuovo «network» interistituzionale, che solo con una certa forzatura può essere associato ad una formula di holding pubblica, alla capogruppo Regione saranno sicuramente affidate, oltre ad una funzione di «osservatorio» della spesa, l'assegnazione delle risorse (finanziarie e tecnologiche) e la promozione di interventi di riqualificazione gestionale dell'intero sistema sanitario pubblico regionale. Sarà infatti la Regione a rispondere direttamente delle pe2formances e dei risultati di USL e ospedali muliizònali, quantomeno sotto il profilo finanziario dato che il progetto di «riforma della riforma» assegna alle Regioni una completa responsabilità finanziaria; infatti una volta determinato da parte dello Stato e concordato con le Regioni, il fabbisogno di risorse in sede di FIRS (Fondo interregionale sanitario, che sostituirà l'attuale Fondo sanitario nazionale), le Regioni stesse si dovranno assumere l'onere di finanziare con
risorse proprie eventuali deficit di USL e aziende ospedaliere. Il nuovo ruolo che sarà affidato alle Regioni richiede quindi una approfondita valutazione sulla effettiva capacità di questi enti di opeare in futuro secondo una logica di holding pubblica, o comunque di centro «forte» di un network interistituzionale, sul modello dei Federal Regional Councils statunitensi 2; è verso queste configurazioni che spingono le future attribuzioni quali coordinamento di aziende pubbliche dotate di autonomia gestionale (gli ospedali), piena responsabiizzazione finanziaria, distribuzione delle risorse finanziarie per la gestione corrente e per investimenti, formulazione di obiettivi per la definizione delle politiche di servizio (rapporto tra programmazione sanitaria regionale e «piani sanitari locali») I. Esperienze passate di altri settori di intervento regionale inducono una serie di perplessità sulla effettiva capacità delle Regioni di giocare nel prossimo futuro la funzione di capogruppo di holding o di network interistituzionali a forte autonomia locale; emblematiche sono a questo proposito le esperienze nel settore turistico (rapporti tra le Aziende di promozione turistica e gli Assessorati regionali al turismo) ed in quello della edilizia popolare (capacità di coordinamento verso gli Istituti autonomi case popolari), che hanno visto, nella maggior parte dei casi, una sostanziale debolezza ed inerzia operativa della amministrazione regionale. Un secondo indicatore in negativo è rappresentato dallèvidente difficoltà, mostrata da molte Regioni, nel razionalizzare il sistema di aziende, società per azioni e agenzie operative regionali, attraverso lo strumento delle finanziarie regionali, con casi estremi di accumulo di deficit, di indebitamento sommerso e fuori bilancio (rete delle aziende regionali
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in Puglia); occorre però ricordare alcune eccezioni positive rappresentate ad esempio dall'ERvET emiliano romagnolo e dalla FRIULIA, che hanno evidenziato come la Regione possa orientarsi e soprattutto saper gestire una formula di holding.
A METÀ DEGLI ANNI OTTANTA Per capire quali sono le capacità attuali di governo da parte delle Regioni di sistemi "debolmente connessi" e del probabile esito di una futura trasformazione delle Regioni verso la logica di capogruppo di holdings pubbliche, si è scelto, in questo lavoro, di effettuare una verifica su quanto è successo nella seconda metà degli anni Ottanta, a livello di: - struttura organizzativa delle Regioni, ed in specifico degli Assessorati alla sanità; - coordinamento e promozione presso le USL regionali di interventi finalizzati alla riqualificazione gestionale ed al miglioramento organizzativo. Si sono quindi scelti tre casi regionali, riferiti al Veneto, all'Emilia Romagna ed alla Sicilia; se per le prime due Regioni i criteri di scelta sono riconducibili alla esemplarietà, nel contesto nazionale, degli interventi promossi dalle due Regioni, la scelta della Sicilia, come realtà rappresentativa del Mezzogiorno, è legata alle azioni recentemente avviate di sperimentazione di sistemi di contabilità dei costi, che sembrano prefigurare un ruolo più interventista della Regione stessa. Peraltro occorre sottolineare che nessuna, tra le più significative Regioni del Mezzogiorno, quanto a numero di USL, ampiezza della rete ospedaliera e dotazione di risorse umane, finanziarie e tecnologie (Campania, Puglia, Sicilia) sembra aver finora promosso interventi comparabii con quelli avviati nelle Regioni del Centro nord.
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I casi regionali scelti non sono poi sicuramente esautivi della realtà nazionale, nei due profili di modello organizzativo (alcune Regioni, come la Lombardia, hanno infatti sperimentato modelli più articolati), mentre bene descrivono la capacità delle Regioni di avviare e guidare i processi di cambiamento istituzionale e organizzativo. Nelle conclusioni, dopo un confronto tra le indicazioni che emergono dall'esame dei casi regionali, verranno svolte tre principali considerazioni su: - la configurazione della futura holding regionale, in particolare evidenziando le logiche che dovrebbero guidare la ridefinizione del modello organizzativo che risulta essere attualmente il più diffuso presso gli Assessorati regionali, quello funzionale-settoriale (casi Regioni Veneto ed Emilia Romagna). In specifico appare utile individuare dei nuclei di attività, che dovranno essere previsti nell'attuale struttura, in modo tale da anticipare alcune indicazioni del disegno di legge di «riforma della riforma»: per una immediata comprensione di possibili innovazioni organizzative in sede di macrostruttura regionale, verranno ricordate alcune indicazioni suggerite, per la progettazione delle unità secondo livello, al termine di una analisi sull'assessorato alla sanità della Regione Piemonte (1989). Nella individuazione delle possibili configurazioni, verranno poi riprese sinteticamente le riflessioni sviluppate sull'assetto dei gruppi pubblici (i diversi livelli delle imprese a partecipazione statale quali holding, subholding, società operativa e funzione 4) e sulla funzione di controllo strategico nei gruppi imprenditoriali privati ';
- possibili opzioni per lo svolgimento della funzione di promozione e coordinamento regionale della innovazione gestionale ed organizzativa.
In specifico gli anni Ottanta hanno visto le Regioni decisamente orientate a diffondere cultura manageriale e strumenti gestionali; emblematica è la rilevanza assegnata nelle due realtà veneta ed emiliana a strumenti come contabilità direzionale, controllo di gestione e budget. Nello stesso caso siciliano, ad «innovazione ritardata», attenzione particolare viene posta allo strumento della contabilità direzionale. Per contrò, peso modesto sembrano assumere invece interventi di promozione volti a stimolare un maggior orientamento all'utente e alla qualità del servizio da parte delle USL. La futura ridefinizione delle logiche di intervento potrebbe prevedere una combinazione tra politiche di «sviluppo istituzionale» delle Regioni nei confronti della rete delle diverse aziende sanitarie pubbliche, e iniziative volte alla diffusione di deciso orientamento alla qualità dei servizi a livello di singola organizzazione sanitaria. Come politiche di sistema possono essere previste l'introduzione di forme di mercato simulato a livello di sistema sanitario regionale, attraverso l'introduzione di logiche di concorrenzialità guidata dalle singole Regioni. A livello di USL ed ospedali multizonali invece le Regioni potranno promuovere la diffusione e l'adozione di sistemi di gestione dei
servizi 6 e l'orientamento alla qualità, asse-gnando maggior spazio alla gestione strategica delle risorse umane e alle logiche budgetarie strettamente integrate all'interno dei sistemi di servizi;
- un confronto tra l'insieme degli interventi proposti e le linee di riorganizzazione e riqualiJìcazione gestionale sperimentate dal National Health Service britannico durante gli anni Ottanta. La caratteristica di servizio sanitario nazionale e pubblico del NHS rende interessante la
comparizione tra percorso finora seguito nel Regno Unito con le linee di intervento suggerite nei prossimi anni per il SSN. Occorre infatti segnalare che nel NHS britannico si sòno succedute negli ultimi anni una serie di interventi, da quello di revisione istituzionale, assimilabile in parte alla rizonizzazione delle USL, al potenziamento dei ruoli manageriali (si veda l'attuale enfasi assegnata alla tematica del Direttore generale), all'introduzione di sistemi di reporting su indicatori di attività e spesa, rispetto ai quali è immediato il riferimento al controllo di gestione, fino alle proposte di ridefinizione strategiche delle logiche di intervento, contenute nel rapporto "Workingfor patient" del 1989 ed in altri successivi su prevenzione e ssistenza saniiaria di base.
LE SCELTE ORGANIZZATIVE DELLE REGIONI
Un primo rilevante indicatore della capacità delle diverse Regioni di esercitare effettivamente in futuro il ruolo di "capogruppo" della rete regionale di aziende sanitarie è rappresentato dall'assetto organizzativo degli Assessorati regionali alla sanità. La situazione attuale sembra evidenziare assetti organizzativi squiibrati, con una larga prevalenza di uffici dedicati allo svolgimento di funzioni amministrative e certificative (ad esempio le commissioni invalidi civili), che potrebbero forse trovare migliore collocazione presso le USL e con poche unità che svolgono una funzione di coordinamento e riorientamento del sistema sanitario pubblico regionale. Questo squilibrio sembra destinato ad accentuarsi, e questo in netta contraddizione con l'atteso riorientamento verso la funzione di «capogruppo», dato che le Regioni stesse sono orientate ad acquisire nuove funzioni
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amministrative, a fronte di una sempre maggiore debolezza (da loro percepita) delle USL e di un controllo più stringente sulle determinanti della spesa sanitaria; emblematica a tale proposito è la centralizzazione dei pagamenti alle farmacie in alcune Regioni meridionali. Le Regioni svolgono poi di fatto un ruolo di holding e di subholding: di holding, dato che controllano l'assegnazione di risorse rilevanti per il sistema sanitario pubblico, come la gestione dei fondi in conto capitale, ordinari e straordinari, legato al piano pluriennale dei 30.000 miliardi (legge numero 67 del 1988); di subholding in quanto presidiano le diverse aree funzionali di intervento. Negli Assessorati alla sanità, fortemente caratterizzati da attività amministrative e da controlli minuziosi e «burocratici» sulla attività delle USL, è però possibile pensare fin da ora ad un primo riorientamento, inserendo nuclei di attività che qualifichino maggiormente la funzione di coordinamento e controllo strategico di queste istituzioni. Non appare invece praticabile riprogettare totalmente la struttura organizzativa degli Assessorati, mantenendo solo alcune funzioni chiave di coordinamento e trasferendo le competenze delle aree funzionali (ospedaliera, medicina di base, veterinaria e così via) alle future "macro USL" o ad istituende subholdings regionali. L'esame sugli spazi di manovra di una futura riconversione in holding non può però essere soltanto limitata ad una verifica sulla adeguatezza degli attuali modelli organizzativi. Alla valutazione del modello organizzativo dovrebbe infatti essere affiancata la ricognizione sulle risorse professionali in forza ai singoli Assessorati (dotazione qualititativa e quantitativa di personale), sui sistemi di gestioni attivati (programmazione. e controllo, pianificazione strategica, gestio-
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ne del personale) e sulle caratteristiche dei processi di informatizzazione. Per evitare un inutile appesantimento del testo si è preferito circoscrivere l'analisi alla variabile struttura organizzativa; si può però affermare che la debolezza rilevata quanto alla dotazione qualitativa di personale sembra aggravare il deficit di assetto organizzativo. Cronica risulta negli Assessorati la mancata copertura di posti in organico; ma il vero problema è rappresentato dalla eterogeneità tecnica e professionale del personale effettivamente in servizio e dalla presenza di personale comandato dalle USL, fenomeno questo che acuisce la mancanza di identità professionale degli Assessorati regionali. Non va poi trascurato il fatto che nei primi anni di vita delle Regioni gli Assessorati alla sanità sono stati considerati residuali e questa marginalità ha avuto come immediata conseguenza l'assegnazione di poche unità di personale scarsamente qualificato. Un breve commento va poi operato sulle altre variabili organizzative quali sistemi di gestione e processi di informatizzazione. Queste variabili sono destinate ad assumere una particolare importanza ai fini della futura trasformazione in holding, dato che aiutano a sviluppare, meglio della strutture organizzative «avanzate», una effettiva capacità di governo e coordinamento delle Regioni. Risultano invece più coerenti con l'auspicato cambiamento di ruolo Assessorati che, pura presentando modelli organizzativi più tradizionali, hanno introdotto e realizzato sistemi di gestione avanzati: è verosimile infatti che questi Assessorati siano più faciitati al riorientamento verso la holding, dato che sfruttano la «curva di esperienza» accumulata con le logiche manageriali, connesse a tali sistemi.
Occorre poi considerare che spesso negli enti pubblici modelli organizzativi avanzati, caratterizzati da unità di staffe da "struttura a matrice", sono accompagnati dall'assenza di sistemi di controllo di gestione interni agli Assèssorati .o di reporting istituzionale. Due esperienze in corso presso alcune Regioni consentono di chiarire meglio questa affermazione. In Lombardia la Regione ha introdotto nél 1984 un sistema di controllo di gestione che prevede per le diverse catene leggi (insieme dileggi regionali ed atti amministrativi indirizzati a specifici obiettivi di intervento), la valutazione delle pe,formances finanziarie (capacità di impegno, capacità di spesa effettiva, formazione e smaltimento dei residui). Questa esperienza potrebbe essere ripresa, in una logica di holding regionale, monitorando attentamente presso USL e ospedali multizonali i processi attuativi delle politiche sanitarie pubbliche regionali. In altre Regioni (Veneto, Trento e Bolzano, Friuli Venezia Giulia) sono stati attivati sistemi centralizzati di reporting, in cui vengono rilevati ed elaborati su supporto inf ormatico i dati di spesa e attività delle diverse usi; questa attività viene svolta, in parallelo ai flussi informativi istituzionali previsti per il SSN e gestiti da ITALSIEL e dal servizio centrale della programmazione sanitaria del Ministero della sanità. In alcuni casi (progetto XTEL della Regione Piemonte in collaborazione con il csi, agenzia piemontese per la gestione della inf ormatica pubblica) al reporting finahziario e di attività si è aggiunto un reporting istituzionale (data-base delle delibere delle usL). E evidente che la disponibilità di sistemi di reporting, variamente articolati e concepiti, consentirà di svolgere adeguatamente agli Assessorati quella funzione di coordinamento
strategico del sistema sanitario pubblico regionale.
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MODELLI FUNZIONAU SETTORIALI
Nei tre casi esaminati è possibile operare una prima distinzione tra due Regioni, che presentano un modello organizzativo dell'Assessorato abbastanza articolato, anche se decisamente caratterizzato da una logica funzionale-settoriale e il modello della Regione Siciliana che prevede invece un modello settoriale, fortemente accentrato. E possibile anticipare che nelle prime due Regioni il riorientamento progressivo verso la funzione di capogruppo appare facilitato dal modello organizzativo in vigore: la transizione è sicuramente più complessa nel caso della Sicilia, che dovrebbe prevedere un primo passaggio verso il modello funzionale settoriale tradizionale, un suo successivo consolidamento e infine un secondo passaggio verso la funzione di capogruppo. Il modello organizzativo dell'Emilia Romagna (viene fatto riferimento alla legge regionale n. 44 del 1984 sulla istituzione ed il funzionamento delle strutture organizzative si veda fig. 1) si presenta distinto in dieci servizi, che rappresentano le unità di massimo livello, di cui uno preposto al coordinamento dell'area socioassistenziale. Questi servizi sono stati individuati in base alla funzione di indirizzo e coordinamento di specifiche aree di intervento, riconducibili al sistema sanitario, o al fatto di svolgere funzioni di supporto delle USL regionali. Nel primo gruppo, il più numeroso, sono compresi i servizi di medicina del lavoro, igiene pubblica, veterinaria, medicina di base e assistenza farmaceutica, materno infantile presidi ospedalieri ed altre istituzioni pubbliche e private. 75
Questi servizi funzionali presentano un assessorato alla formazione professionale, a cui setto interno abbastanza equilibrato, con un fanno riferimento i processi di formazione al numero di unità di secondo livello (le unità lavoro e sul lavoro del personale del settore operative), compreso tra due e quattro; il risanitario pubblico regionale. chiamo alla articolazione interna è di partiNella realtà emiliano-romagnola è stato procolare importanza in quanto la presenza di prio un servizio di supporto ad aver giocato, certe unità operative consente di verificare ain questi ultimi anni, un ruolo attivo nella la capacità di anticipazione dei processi di promozione dei processi di riqualificazione cambiamento istituzionale. gestionale e di miglioramento organizzativo; In Emilia Romagna, infatti, così come in alcontrollo direzionale, inventano del patrimotre realtà regionali, l'innovazione organizzanio tecnologico, budgets sono stati infatti intiva può essere valutata analizzando o i pactrodotti nelle USL dietro uno specifico interchetti di attività che vengono attribuiti agli vento della Economia sanitaria. uffici, interni ai diversi servizi, o la creazione di nuove unità di secondo livello. L'assetto organizzativo della Regione VeneLimitato è invece il numero dei servizi di supto presenta una rilevante articolazione, suporto; un servizio che presidia la risorsa perperiore a quella riscontrata nel caso dell'Esonale, un secondo servizio «economia sani milia Romagna, seppur con sostanziali dif tana», a cui è stata affidata la gestione delle ferenze. risorse finanziarie, ed un terzo servizio (staPrima di esaminare il modello organizzativo tistiche sanitarie ed osservatorio epidemioveneto, deputato ad intervenire sul sistema logico), che coordina Io sviluppo del sistema sanitario regionale, occorre segnalare che il informativo regionale. modello di seguito presentato risale alla seEsiste una gestione «mista», all'interno di alconda metà degli anni Ottanta (1987 - 1i88) cuni servizi, di alcune risorse critiche e delle e che recentemente la Regione Veneto ha relazioni interorganizzative che si attivano previsto un nuovo assetto organizzativo più tra sistema sanitario pubblico e soggetti estersnello. ni (sanità privata, università); tipico è il caLa scelta di analizzare una struttura che riso del servizio ospedaliero che si occupa delsulta "datata" è legata al fatto che i procesla gestione della risorsa infrastrutturale e tecsi di innovazione gestionale promossi dalla nologica (in esso è inserita l'unità operativa Regione Veneto presso le IJSL, sono stati pen«interventi di edilizia e tecnologia ospedaliesati e indirizzati proprio all'interno di quera») e delle relazioni operative funzionali con sta struttura. la sanità privata. Nella esperienza del Veneto è opportuno in Ne risulta quindi un modello organizzativo primo luogo richiamare la presenza della Sedecisamente orientato alle aree di intervengreteria regionale della programmazione, in to, con un peso limitato dei servizi di supstaff direttamente con la Giunta regionale, e porto, che sono chiamati a svolgere un ruolo delle cinque Segreterie regionali, presenza abbastanza tradizionale; ad esempio, l'interche caratterizza in modo del tutto originale vento recentemente promosso dalla Regione il modello veneto, ma che produce maggiore di riqualificazione della gestione delle risorcomplessità della struttura regionale, scarsa se umane, è stato gestito congiuntamente dal chiarezza in merito alle attribuzioni di resettore interno «Personale del SSN» con 1'As- sponsabilità e un eccessivo ampliamento dei 76
ruoli dirigenziali. Lo stesso modello organizzativo della Regione Lombardia, che prevede Assessorati di coordinamento, con propri staffs ed Assessorati di «linea» si presenta infatti più semplice, rispetto a quello veneto, contraddistinto da una vera e propria gerarchia tra le unità di massimo livello (segreterie, dipartimenti, servizi). Alla Segreteria regionale dei servizi sociali fanno riferimento ben sei dipartimenti (Sanità, Assistenza Sociale, Veterinaria, Devianze sociali, Protezione civile, Emigrazione); il confronto con la macrostruttura delle altre Regioni viene quindi condotto sul dipartimento della Sanità, suddiviso a sua volta in ben quindici servizi. Il Dipartimento della sanità ha registrato un rilevante potenziament9 dalla istituzione della Regione (nel 1972 erano stati attivati soltanto due servizi) e può essere definito come modello funzionale settoriale, dove con funzionale si identificano i servizi che svolgono un ruolo di supporto alle USL e alle strutture regionali. Netta è la prevalenza dei servizi a vocazione settoriale: ben otto servizi che si occupano del coordinamento di specifiche aree di intervento (si veda fig. 2); atipici, rispetto ad altre Regioni, sono la attenzione specifica riservata alla «educazione sanitaria», che è stata prevista come servizio ad hoc, e l'aver affidato un'area di intervento come la veterinaria ad un'altro dipartimento, mentre nelle USL le attività veterinarie sono integrate con il resto della struttura. Interessanti specificità si riscontrano nei servizi funzionali: ben tre servizi si occupano della amministrazione e della gestione del personale. Uno dei tre servizi cura la attività di formazione delpersonale, attività questa decentrata ad altro Assessorato nel caso emiliano.
Alla centralità assegnata allo sviluppo delle risorse umane nel dipartimento regionale della sanità, non sembrano aver corrisposto, quantomeno nel periodo esaminato dall'articolo (1985 - 1988), azioni specifiche di sviluppo della capacità delle USL della gestione del personale, come ad esempio quelle promosse dalla Regione Emilia Romagna. Vi sono poi altri quattro servizi funzionali, che svolgono attività diverse: Ispezioni, Programmazione, Affari generali ed infine Spesa sanitaria. L'orientamento dirigista dell'Assessorato regionale che ha caratterizzato il Veneto dall'avvio del SSN e recentemente attenuatosi, ben si comprende, considerando che i tre servizi Spesa sanitaria, Personale e, sorprendentemente per un osservatore esterno, Formazione del personale, costituiscono di fatto il centro decisionale effettivo del sistema sanitario regionale; rispetto al modello emiliano, abbiamo quindi ben tre attori organizzativi che giocano ruoli di sponsor e gatekeeper dei processi di innovazione. Questo nucleo centrale opera, promuovendo interventi di consulenza e ricerca presso le USL, rnanovrando in modo deciso la leva delle risorse e appoggiandosi ad una rete formata da risorse professionali e da strutture operative, interne alla struttura organizzativa regionale ed esterne (le USL regionali). Ad esempio il servizio spesa sanitaria controlla, attraverso un proprio ufficio, i piani di investimento in ediizÌa ed in attrezzature tecnologiche delle USL, gli smobiizzi patrimoniali, i lasciti e le donazioni; inoltre questo servizio si appoggia ad una rete interorganizzativa, formata da due Commissioni, una in cui sono presenti i responsabili dei servizi economico finanziari delle USL venete e una seconda, costituita da responsabili dei Servizi economato e provveditorato delle USL stesse. 77
Questa rete interorganizzativa, finalizzata alla acquisizione di conoscenze e competenze, viene completata con altri referenti, interni alla struttura regionale; per la programmazione e gestione dei finanziamenti in conto capitale, il servizio spesa sanitaria interagisce con il Dipartimento lavori pubblici e con quello piani e programmi, in specifico con il nucleo di valutazione costi e benefici Il modello veneto condivide quindi con quello emiianò due rilevanti caratteristiche; struttura organizzativa funzionale settoriale notevolmente articolata, seppure con dif ferenze consistenti sotto il profilo del numero e delle attività attribuite ai servizi funzionali e ruolo di promotore dell'innovazione assunto da Servizi, come economia sanitaria (Emilia Romagna) e spesa sanitaria (Veneto), che dovrebbero svolgere un'attività, abbastanza tradizionale, di assemblaggio di documentazione contabile, di rendicontazione finanziaria e di ripartizione delle risorse finanziarie (di parte corrente) alle USL.
LA CENTRALIZZAZIONE DECISIONALE
Completamente diverso, rispetto ai due casi finora esaminati, è il modello organizzativo dell'Assessorato alla sanità della Regione Siciliana: l'analisi di questo caso verrà condotta facendo riferimento alla recente modifica dell'assetto organizzativo dell'Assessorato alla sanità, modifica che ha portato alla definizione nel 1989 di un nuovo organigramma, che sostituisce il precedente, in vigore dal 1985. Prima di analizzare le principali caratteristiche del nuovo assetto, che come vedremo (si veda fig. 3), differisce radicalmente dai modelli funzionali settoriali precedentemente esaminati, si ritiene importante evidenziare i cambiamenti di assetto organizzativo opera-
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ti nella realtà siciliana, con l'obiettivo di verificare in quale misura queste variazioni riflettano i processi in corso di riassetto del sistema sanitario pubblico ed anticipino la problematica della holding regionale. Il caso siciliano offre infatti spunti molto interessanti, rispetto ad altre realtà del Mezzogiorno, per i maggiori spazi di discrezionalità nelle scelte organizzative legati alla autonomia regionale. Questi spazi sono presenti anche nella Regione Sardegna; ma la Regione Siciliana presenta sicuramente livelli superiori di complessità quanto alla configurazione del sistema sanitario regionale. A questo proposito basta ricordare le 62 USL siciiane e la presenza di ben tre Policlinici universitari, che vedono l'intervento finanziario dell'Assessorato regionale. La Sicilia sembra poi aver anticipato fino dal 1985, quantomeno a livello di progettazione, alcune linee del recente progetto di «riforma della riforma»; larga ec hanno infatti trovato in questa realtà i contenuti delle varie proposte di riassetto del SSN che si sono succedute nella seconda metà degli anni Ottanta. Ben due sono stati ad esempio i progetti di riazzonamento territoriale delle USL, presentati a partire dal 1985, progetti che prevedevano un drastico ridimensionamento nel numero di queste istituzioni (un progetto f aceva addirittura coincidere le USL con le nove Provinie regionali); in Sicilia, per la prima volta nel nostro paese, è stata poi avanzata nel 1988 la proposta di offrire (e cedere) gli ospedali pubblici in comodato d'uso ad imprenditori privati. In questo secondo caso significativa è stata l'influenza della sperimentazione, prevista con una legge regionale del 1986, di società miste pubblicàprivate per la gestione di servizi di interesse pubblico.
vertice si contrappone una forte frammenDal confronto dei due organigrammi non ritazione operativa della microstruttura, con sulta sostanzialmente mutata la macrostrutsovrapposizioni e confusioni su specifiche tura dell'Assessorato, che passa dalle due Direzioni e dall'Ispettorato del 1985 alle due aree di attività affidate a gruppi di lavoro, Direzioni ed ai due Ispettorati del 1990; in che dipendono da direzioni diverse; casi emblematici sono politica degli investimenti, sipratica l'area veterinaria è stata affidata nel stema informativo e processi di informatiz1988 ad uno specifico Ispettorato. zazione, gestione del personale. L'Assessorato presenta quindi un assetto forLe aree «grigie» di sovrapposizione sono state temente gerarchizzato, con poche unità di comunque ridotte dalla ristrutturazione ormassimo livello che corrispondono ai tre cenganizzativa del 1990, che ha maggiormente tri decisionali: questo modello solo improcaratterizzato le funzioni delle diverse unità priamente può essere definito come funziodi massimo livello. Alla prima direzione, in nale settoriale, dato che nelle due Direzioni cui operano ben ventotto gruppi di lavoro, convivono attività funzionali e di supporto. è attribuita una funzione amministrativa e Un caso a parte è rappresentato dall'Ispetregolamentativa sulle diverse aree di intertorato regionale, che svolge attività di convento e sulle funzioni di supporto; alla secontrollo sulle funzioni (le aree di intervento) ed attività di supporto alle USL (ad es. l'area os- da direzione la gestione delle risorse finanziarie, delle risorse informatiche e dei proservatorio epidemiologico e sistema inforcessi d'acquisto, all'Ispettorato infine le atmativo). tività sanitarie riconducibii alle diverse aree La valutazione sui potere relativo dei diversi centri decisionali può essere condotta esa- - di intervento ed il sistema informativo ed epidemiologico. minando i cambiamenti intervenuti nelle unità di secondo livello, i «gruppi di lavoro»; al La forte centralizzazione decisionale non di là della denominazione che sembrerebbe consente di individuare con chiarezza, così come avvenuto negli altri due casi regionali, evocare nella realtà siciliana soluzioni orgaquale sia il centro operativo, promotore e renizzative particolarmente avanzate, quali sponsabile della innovazione; questo ruolo instrutture a matrice per progetti e con un nofatti appare attualmente distribuito tra la ditevole grado di flessibilità, i gruppi di lavorezione «gestione del FRAO», che è quella che ro corrispondono agli uffici ed alle unità opeha spinto gli interventi di ammodernamenrative delle altre realtà regionali. to gestionale, che saranno di seguito discusSe la prima Direzione rimane abbastanza stasi, e l'Ispettorato regionale che ha promosso bile, una crescita consistente viene registrainnovazione sui servizi territoriali, sulla forta dalla seconda Direzione, quella di «gestiomazione e/o l'aggiornamento del personale e ne del FRAO» (è interessante ricordare al letsul sistema informativo. tore che la denominazione adottata fa riferimento al Fondo regionale ospedaliero, soppresso nel 1978) che guadagna sette nuovi LA GESTIONE DIRIGISTA DELLA INNOVAZIONE gruppi e lo stesso Ispettorato regionale, che pur perdendo gruppi di lavoro trasferiti alLe logiche di intervento della Regione Vel'Ispettorato veterinario, passa da dieci unineto possono essere sinteticamente ricondottà di secondo livello a ben venti unità. te ad un modello di governo e coordinamento Alla estrema centralizzazione delle unità di 79
forte del sistema sanitario regionale. L'orientamento di fondo espresso dall'Assessorato regionale che ha guidato i diversi interventi di sviluppo istituzionale ed organizzativo è stato quello di fornire strumenti decisionali alle USL in ottica aziendalistica; è stata quindi formulata una politica di supporto alle USL che ha cercato di conciliare l'orientamento dirigista della Regione (le USL non sono in grado a badare a se stesse) con la scelta di lasciare maggiore autonomia alle USL, in modo tale da favorirne la progressiva trasformazione in aziende pubbliche, alle quali associare crescenti gradi di libertà gestionale. Nella attività di promozione della riqualificazione gestionale, avviata in Veneto a partire dal 1985, peso signifi'cativo è stato assunto dallo strumento gestionale della contabilità dei costi. È interessante sottolineare la forte somiglianza tra questo processo con quello avviato in parallelo nel contesto emiliano e la sostanziale sincronia tra i due processi: le due esperienze differiscono però quanto ai riferimenti cncettuali seguiti (il sistema adottato in Veneto è più legato alla logica tradizionale della contabilità finanziaria pubblica) e alle metodologie proposte in concreto. In Veneto si sono infatti seguite tre fasi di distinte: una prima di messa a punto concettuale dello strumento, realizzata con il contributo e l'aiuto di centri di ricerca e formazione manageriale regionali, una seconda di applicazione sperimentale in tre USL dello strumento, una terza di predisposizione di un manuale operativo per l'applicazione del sistema di contabilità dei costi ad altre USL. L'approccio seguito appare quindi meno strutturato e meno guidato istituzionalmente rispetto alla esperienza della Emilia Romagna; manca ad esempio l'individuazione di poli regionali di riferimento ed è stato interessato dalla prima sperimentazione un 80
numero di USL proporzionalmente minore. Sembra quindi esistere ad una prima osservazione una contraddizione tra la valutazione di un coordinamento forte, formulata all'inizio sulle modalità di intervento dell'Assessorato regionale, con quella che appare una guida debole da parte del centro dei processi innescati all'interno del sistema sanitario regionale. Di fatto la Regione pur avendo adottato interventi ad impatto moderato sulle USL regionali ha sempre mantenuto il controllo delle dinamiche avviate, non lasciando spazi alle USL stesse di sperimentazione autonoma e discrezionale, come ad esempio l'introduzione di altri sistemi gestionali o la scelta di avvalersi di consulenze non «certificate», promosse dalla Regione. Inoltre la contabilità direzionale è stata integrata in un progetto più generale di riqualificazione gestionale dell'area amministrativa delle USL pensato in stretto coordinamento con le due Commissioni miste Regioni-usL finanzia ed economato, progetto che prevedeva interventi sulle procedure d'acquisto, sulla funzionalità dei servizi amministrativi e su alcuni servizi generali. Non risultano essere state finora condotte delle verifiche sui risultati conseguiti in questi cinque anni con la introduzione della contabilità dei costi; un indicatore delle difficoltà incontrate è però rappresentato dal numero di USL immediatamente operative (dieci) e da quelle per cui il sistema è ancora in corso di sperimentazione (circa otto: si consideri che in Veneto vi sono trentasei USL). Inoltre si sono avuti slittamenti sia nella quarta fase prevista (quella di aggiornamento del manuale) che negli sviluppi successivi della contabilità dei cpsti. Anche in Veneto, infatti, come in Emilia Romagna, è stata prevista una fase, sempre promossa e coordinata dalla Regione, di
introduzione del controllo di gestione nelle USL, così come si è cercato di sfruttare le opportunità ed i finanziamenti offerti dal progetto nazionale di introduzione del bilancio a base zero, prevedendo la sperimentazione presso gli ospedali pubblici di logiche budgettarie. Il parziale faffimento delle esperienza BBZ (bilancio a base zero) ha di fatto bloccato tutto il processo. Maggiori successi sembrano invece essere stati registrati là dove la Regione ha promosso interventi non soltanto di introduzione di logiche manageriali e di sviluppo organizzativo, ma dove l'innovazione si è direttamente collegata alla gestione amministrativa. Sulle procedure d'acquisto si è infatti decisa una regolamentazione degli acquisti in economia e della trattativa privata, snellendo le procedure adottate ed ampliando gli spazi di applicazione delle modalità di acquisto più flessibili; sugli investimenti si sono sistematizzate le procedure di richiesta dei fondi e resi espliciti i criteri di valutazione dei progetti presentati. I successi ottenuti nella distribùzione delle risorse per investimenti sono serviti per gestire la prima tranche assegnata alla Regione Veneto sui programma straordinario pluriennale di investimento e hanno consentito una maggiore capacità di coordinamento nelle politiche di acquisizione di lasciti e donazioni; inoltre va segnalato che è stato attivato un nucleo per la valutazione degli investimenti in campo sanitario, sul modello degli staffs presenti presso l'Amministrazione centrale (gestione del Fondo Investimenti ed Occupazione). Risultati modesti sono stati conseguiti tramitè interventi, pensati con una logica simile a quella della contabilità dei costi, volti a promuovere e finanziarie consulenze sollecitate dalle USL sul miglioramento della
efficacia organizzativa e gestionale degli ospedali e più in generale su modelli organizzativi e procedure; non ha dato ad esempio gli esiti sperati un intervento sponsorizzato dalla Regione sui servizi amministrativi delle USL che ha visto l'avvio in quattro realtà di progetti di consulenza e formazione, finalizzati alla riprogettazione organizzativa ed alla revisione delle procedure. Una seconda importante caratteristica della attività di coordinamento dell'innovazione promossa in Veneto è stata la priorità assegnata alle attività amministrative, intese in senso allargato. Infatti l'Assessorato regionale alla sanità ha individuato come aree-obiettivo quelle dei servizi economali; è stata quindi avviata una ricerca (in 10 usL) su organizzazione, costi e funzionalità dei servizi di lavanderia e cucina, al fine di verificare la possibilità di scelte di affidamento all'esterno di questi servizi con ipotesi o di contracting out (appalto a imprese private) o di contracting in (affidamento ad altri enti pubblici). Sono stati quindi ipotizzati alcuni interventi quali creazione di servizi centralizzati di lavanderia multi-usL, interventi che hanno evidenziato notevoli ritardi attuativi, in accordo con quanto riscontrato nel caso emiliano romagnolo (si consideri la creazione di un società per azioni mista per la gestione dei servizi di lavanderia delle tre USL dell'area metropolitana bolognese). Risulta comunque molto interessante, al di là di problemi realizzativi, la scelta del modello dirigista veneto di affrontare in modo organico il problema dei servizi generali degli ospedali pubblici, seppur ancora ad un livello conoscitivo.. Una seconda attività amministrativa allargata su cui si sono concentrati gli interventi è rappresentata dagli inventari dei beni immobili e mobili delle USL. Il problema della inventariazione, valoriz81
zazione, gestione e dismissione del patrimonio immobiliare e tecnologico è stata da sempre una delle aree critiche del SSN anche se spesso sottovalutata rispetto ad altre emergenze gestionali (la crescita della spesa, i contratti del personale, la spesa farmaceutica), che hanno sicuramente maggiore presa sulla opinione pubblica e sui mass media. La Regione Veneto, sfruttando, come nel caso del bilancio a base zero, fondi finalizzati messi a disposizione dal Ministero della sanità (progetto GEPA e collegamento con il progetto ACMA GEST coordinato dal CNR), ha promosso un intervento volto a definire modalità omogenee di classificazione del patrimonio attraverso un manuale, utilizzato poi come riferimento in altri contesti regionali, e la realizzazione di banche dati (sperimentazione in tre USL). La caratteristica dirigista dell'intervento sugli inventari è chiaramente avvertibile se si considera che le future banche dati sul patrimonio immobiliare e tecnologico devono, secondo l'Assessorato regionale, essere integrate nel sistema di gestione centralizzata degli investimenti; quindi gli interventi di riqualificazione gestionale sono direttamente subordinati ad obiettivi di maggior controllo del «centro» Regione sulla periferia del sistema sanitario regionale.
In conclusione è opportuno ricordare invece che uno spazio abbastanza ridotto è stato lasciato, nel contesto veneto, alla promozione della cultura -del servizio e della qualità nelle LJSL, così come riscontrato invece in Emilia Romagna, e all'obiettivo di responsabilizzazione economica, basato sulla introduzione di logiche budgettarie o sullo studio della applicabiità di sistemi tipo DRGS (dia-
gnosis related group).
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LA PROMOZIONE ORGANICA DELLA INNOVAZIONE
L'esperienza della Regione Emilia Romagna rappresenta, nel panorama nazionale, l'intervento più organico di promozione da parte della Regione di processi di riqualificazione gestionale e di miglioramento organizzativo all'interno delle quarantuno USL regionali. La caratteristica di organicità è facilmente desumibile, considerando che: - le azioni avviate erano strettamente collegate alla attività di programmazione sanitaria nazionale; in particolare nel secondo piano sociosanitario regionale 1986 - 1988 veniva individuata una area di programma «sviluppo e qualificazione dei processi gestionali ed organizzativi»; gli interventi stessi sono stati condotti su un arco di tempo pluriennale, con inizio nella seconda metà degli anni Ottanta, con tappe intermedie di verifica sui risultati raggiunti, e di allargamento, nel caso di valutazione positiva, delle azioni alle rimanenti USL regionali; - la Regione stessa ha previsto stanziamenti ad hoc di risorse per finanziare interventi di consulenza e formazione presso le usL; l'ammontare complessivo della domanda di servizi reali da parte del «terziario sanitario pubblico regionale» è stato stimato, in una ricerca del 1988, in circa 30 miliardi 7; - la Regione ha particolarmente curato la divulgazione e la comunicazione all'esterno delle azioni attivate e dei risultati conseguiti; dal convengo internazionale del 1986 sulla «azienda sanità» ad una serie di pubblicazioni specifiche sull'informatica sanitaria, sulla tecnologia sanitaria, sul processo di cambiamento innescato presso le USL (usi, e cambiamento), fino al recente convegno (novembre 1990) sulla gestione strategica delle risorse umane nelle USL. -:
Particolarmente interessanti sono le premesse di fondo che hanno guidato l'intervento regionale, premesse che risultano differenti da quelle riscontrate in Veneto, in cui obiettivo qualificante della azione regionale è stato quello di «fornire strumenti decisionali alle USL in una ottica aziendalistica»; nel contesto emiliano si rivendica innanzitutto l'esperienza positiva di cinque anni di SSN, laddove si parla di «salvaguardia dei risultati acquisiti» e si associano gli interventi di sviluppo gestionale ad un orientamento generale del servizio sanitario regionale, volto a conseguire più elevati livelli di efficienza e una maggiore capacità di rispondere alle esigenze degli utenti. Gli interventi regionali si propongono di portare la «cultura del servizio» all'interno del sistema sanitari9 pubblico; viene fatto quindi esplicito riferimento a concetti quali l'orientamento agli utenti, la flessibilità e la personalizzazione dei servizi, il sistema di gestione dei servizi, in cui vengono combinati i concetti di servizio, di utenza e di sistema di erogazione I . Analizzando il pacchetto di interventi promosso, finanziato e coordinato dal servizio economia sanitaria dell'Assessorato regionale che ha svolto un duplice ruolo di innovatore e di «imprenditore pubblico», è possibile individuare due diverse tipologie di azioni; le prime, legate ad un obiettivo di responsabiizzazione economicofinanziaria e le seconde, riconducibii al miglioramento della qualità e delle condizioni di accessibiità ai servizi sanitari. Questo secondo gruppo, che ha visto la promozione di interventi quali la sperimentazione dei DRGS e la riprogettazione di procedure di accesso ai servizi, è quello più direttamente legato alla «cultura del servizio» e al riorientamento verso i bisogni dell'utente. A questo più generale pacchetto di interventi se ne sono poi affiancati altri, sempre
promossi dalla Regione sulla tecnologia sanitaria (rilevazione della dotazione patrimoniale, gli «inventari» 1988), in cui sono state utilizzate conoscenze accumulate nella esperienza del Veneto, sulla informatica sanitaria (predisposizione di un progetto finalizzato) e sulla gestione strategica del personale. Informatica e personale rappresentano un effettivo punto di svolta rispetto a quanto avvenuto nella realtà veneta, dove risulta chiaramente una posizione di laissezfaire da parte dell'Assessorato, sulle scelte informatiche delle USL. Il primo gruppo di interventi è stato avviato con la sperimentazione, in nove USL regionali a partire dal 1985, della contabilità dei costi con due precisi obiettivi, quello di introdurre logiche di responsabilizzazione nelle USL e quello di costituire un "precedente" importante alla introduzione di successivi sistemi manageriali. La contabilità dei costi è stata poi, sempre con il coordinamento regionale, estesa ad altre nove USL ed è evoluta verso l'introduzione di sistemi di controllo di gestione: nel 1987 si è quindi deciso di istituire, con una delibera regionale, nove poli regionali con funzione di coordinamento dei gruppi di progetti formatisi all'interno delle USL, (per una valutazione dell'esperienza). L'Assessorato alla sanità ha svolto un ruolo di coordinamento e promozione «debole», attivando convenzioni di ricerca, consulenza e formazione (sono stati coinvolti nella formazione per la progettazione del sistema di contabilità dei costi ben 2275 operatori) e mettendo i risultati a disposizione delle USL interessate; soltanto nella fase finale, quella di creazione dei poli regionali, la Regione ha assunto un ruolo più incisivo, maggiormente simile a quello riscontrato nella esperienza
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del Veneto. La sperimentazione del budget nelle USL rappresenta il punto d'arrivo della esperienza avviata con la contabilità dei costi, in quanto il sistema regionale di budgeting viene concepito come strumento di programmazione e controllo, in cui viene attribuita rilevanza agli aspetti di autonomia gestionale ed organizzativa e di responsabiizzazione delle diverse unità operative delle USL. La sperimentazione del budget presenta alcune interessanti specificità che vanno brevemente ricordate: se infatti è vero che, al pari del Veneto, la Regione Emilia Romagna ha sfruttato le opportunità offerte da un progetto nazionale di riqualificazione gestionale, promosso dal Ministero della sanità e finanziato per sei miliardi dal CIPE (il progetto BBZ - bilancio a base zero), in un momento successivo il servizio economia sanitaria ha deciso un cambiamento di rotta studiando la possibilità di introdurre in tre USL, centri di riferimento, un sistema di responsabilizzazione basato sulla determinazione di obiettivi e sulla assegnazione di risorse I. Una seconda specificità è data dall'aver emanato.una legge regionale sul budget nelle USL, caso unico a livello nazionale e dall'aver previsto la introduzione del budget in ospedali a rilevante complessità (Ospedale Sant'Orsola di Bologna), anticipando i contenuti della proposta di autonomia gestionale degli ospedali pubblici (introduzione dei DRGS, dei dipartimenti, distinzione tra ospedale metropolitano ed ospedale di comunità, avanzata nel 1989 da si cimici milanesi). Tra il primo e il secondo gruppo di interventi, in una collocazione intermedia, è individuabile la sperimentazione del sistema DRGS, sistema in corso di adozione nel sistema sanitario statunitense ed in quello di alcuni paesi europei, che prevede l'assegnazione delle risorse (personale, fondi, tecnologia) sulla 84
base di gruppi omogenei di pazienti, trattati dalle diverse divisioni e servizi dell'ospedale e la valutazione dei risultati in funzione della complessità e dei mix dei casi trattati. La sperimentazione del DRGS rappresenta un esempio significativo di innovazione gestionale, promossa dalla Regione, attenta ai contenuti tipici della prestazione sanitaria; infatti nei cinque ospedali interessati inizialmente dal progetto regionale (progetto che è stato successivamente esteso a quattordici usL) si è proceduto ad una verifica e revisione delle procedure di accettazione e dimissione ospedaliera. Anche su questo progetto, così come sul bilancio a base zero, la politica regionale di promozione della innovazione ha sfruttato opportunità e margini di manovra, offerti dal Ministero della sanità; infatti il sistema DRGS è partito come progetto nazionale, coordinato congiuntamente dal Ministero e dall'Istituto superiore di sanità, e la Regione Emilia Romagna, grazie alla capacità operativa dimostrata, è stata individuata nel 1988 come riferimento nazionale dal Consiglio sanitario nazionale. Nella seconda serie di strumenti attivati, quelli direttamente riferibili alla logica di orientamento all'utente, rientra a pieno titolo l'intervento sulle procedure di accesso, intervento che, è opportuno richiamare, è stato anch'esso promosso dal servizio di economia sanitaria. L'obiettivo di miglioramento delle condizioni di accessibilità è facilmente comprensibile se si esaminano i contenuti qualificanti di questo progetto, che è stato attivato in quattro USL e che ha visto uno stretto collegamento tra le attività di analisi e riprogettazione delle procedure con quelle di ridefinizione dei compiti degli operatori, aggiornamento professionale e sviluppo di software applicativo. La verifica delle procedure è stata condotta
su due aree: le modalità di accesso degli utenti alle prestazioni specialistiche, ambulatoriali e di diagnostica strumentale, erogate a livello ospedaliero ed extraspedaliero. A questa area è riconducibile il pròcesso di progettazione e messa in opera dei Centri unici di prenotazione, la definizione di tessere sanitarie individuali, in cui siano memorizzati su supporto informatico dati sanitari ed anagrafici, la realizzazione di rete telematiche tra i diversi presidi e strutture della USL. le procedure di accettazione, gestione e dimissione del paziente in ospedale. Una riflessione separata va invece condotta sugli interventi volti ad introdurre logiche di gestione strategica delle risorse umane nel sistema sanitario regionale. Questi interventi, che rappresentano un caso unico a livello del SSN, si differenziano dai precedenti per lo sponsor ed il promotore della innovazione; la logica seguita rimane invece quella di utilizzo coordinato di competenze professionali esterne, di creazione di gruppi di lavoro, di continue verifiche in itinere sui risultati del progetto e di scelta di USL pilota. La gestione strategica delle risorse umane è un progetto pluriennale, avviato alla fine degli anni Ottanta, che si è articolato in cinque sottoprogetti affidati a distinte USL, quello di progettazione di un nuovo modello organizzativo della funzione di gestione delle risorse umane, un secondo sul jersonale operante presso i distretti sanitari di base, un terzo di controllo e valutazione dei risultati, un quarto sulla mobilità del personale infermiristico, ed un quinto, infine, sulla gestione delle risorse professionali mediche ed infermieristiche. Non diverso è il ruolo della Regione, che mantiene anche in questa esperienza una
funzione di coordinamento debole e rifiuta una logica dirigista; diverso è invece lo sponsor ed il promotore della innovazione. Occorre sottolineare infine che la Regione Emilia Romagna ha previsto un rafforzamento della propria capacità di governo sul sistema sanitario regionale, attraverso la istituzione di un Servizio ispettivo a livello regionale.
L'rNNovizIoNE RITARDATA E TA: IL CASO SICILIANO
SOLO
ANNUNCIA-
Il contesto regionale siciliano evidenzia in modò netto la situazione di «innovazione ritardata» e molto spesso semplicemente «annunciata» da parte dell'Assessorato regionale, fenomeno questo che si ritrova in altre realtà del Mezzogiorno. L'innovazione ritardata emerge analizzando due casi, quello della attivazione dei distretti sanitari di base, che costituisce un rilevante indicatore della effettiva capacità di intervenire sulla struttura organizzativa, e quello della informatizzazione, che descrive invece la capacità di modificare prassi e procedure organizzative. In entrambi i casi la Regione non ha giocato nessun ruolo propositivo e propulsivo e le USL siciiane non hanno voluto o saputo sfruttare gli spazi di discrezionalità lasciati dalla Regione. Per quanto riguarda invece l'innovazione gestionale vera e propria, su aree simili a quanto esaminato negli altri due contesti regionali, occorre parlare di «innovazione annunciata»; solo nel 1990 la Regione Siciliana ha adottato una legge specifica (la n. 33) che individua tre aree di intervento che sono: - la messa in opera di un sistema di reporting e di verifica a livello regionale, basato su indicatori «di risultato e di qualità delle
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prestazioni»; • - l'istituzione di un Osservatorio regionale sui prezzi e sulle tecnologie sanitarie; - l'introduzione, in via sperimentale ed in alcune USL regionali, di un sistema di rilevazione contabile per centri di costo. È importante ricordare che la legge prevede «in contemporanea» una serie di interventi di ordinaria amministrazione (dall' anticipazione di fondi di cassa, all'attivazione del servizio di elisoccorso). Ad un anno di distanza non risulta semplice effettuare un bilancio sui primi risultati della innovazione promossa dalla Regione; è però utile svolgere alcune considerazioni sulle caratteristiche di fondo che sta assumendo il processo di riqualificazione delle USL siciliane. In primo luogo forte centralità viene assunta dalla contabilità dei costi; vengono infatti previsti il ricorso alla consulenza esterna e la scelta di USL pilota (ne sono state individuate quattro) per mettere inizialmente in marcia il sistema di contabilità. Quello che differenzia in modo netto il contesto siciliano, rispetto alle altre due Regioni, e l'assenza di un progetto generale di sviluppo futuro della inovazione introdotta, rappresentato ad esempio dalla individuazione di diverse fasi di intervento a complessità crescente (passaggio dalla contabilità dei costi verso il controllo di gestione e alla logica budgetaria, una volta consolidata l'innovazione) e dalla estensione della prima sperimentazione ad altre USL regionali. In secondo luogo due delle tre attività previste rispondono all'esigenza di consolidamento della capacità operativa e professionale dell'Assessorato regionale, che dovrebbe disporre «a regime» di un sistema di reporting e di una base dati, necessaria per valutare e orientare le politiche di acquisto delle diverse USL, e solo indirettamente costi-
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tuiscono promozione della innovazione presso il sistema sanitario regionale. L'innovazione annunciata viene quindi circoscritta alla contabilità dei costi. In terzo luogo esiste una competizione tra USL ed Assessorato regionale sulla messa in opera dell'osservatorio sui prezzi e sulle tecnologie; le cinque USL dell'area metropolitana di Palermo hanno ipotizzato, a partire dal 1988, la realizzazione di una banca dati, che collegasse attraverso rete telematica i diversi «centri di acquisto interni» (i servizi economato e provveditorato) e che contenesse informazioni su fornitori, listini, prezzi e procedure d'acquisto. La realizzazione della banca dati che doveva precedere altri interventi volti a realizzare sinergie ed economie di scala amministrative e tecnicosanitarie tra le diverse USL palermitane, ha visto l'adesione di soltanto due delle USL coinvolte. A livello regionale si è quindi preferito non sostenere e rafforzare l'innovazione locale (ad esempio attraverso incentivi per le USL disposte a partecipare alla sperimentazione), ma si è deciso di ripartire da zero, con rischi probabili di sovrapposizione e sconnessione tra le diverse banche dati e di evidenti diseconomie operative. Il fenomeno della innovazione annunciata e ritardata viene così ad essere trasformato inconcorrenza sulla innovazione. La concorrenza Regione - USL palermitane sulla realizzazione dell'Osservatorio può essere quindi interpretata come indicatore della difficoltà dell'Assessorato di raccogliere stimoli e suggerimenti provenienti dal «basso» e di valorizzare le esperienze di innovazione; alternativamente va letta come tendenza esplicita della Regione di introdurre un modello dirigista «forte» sulle modifiche organizzative e gestionali, modello che si
affianca ad una burocrazia regionale molto tradizionale, e di non riconoscere come interessanti e significative innovazioni promosse a livello locale. In questo secondo caso è comprensibile l'investimento sulla struttura organizzativa regionale fatto all'interno della legge n. 33/90, il rafforzamento di due Direzioni e un coinvolgimento diretto della Regione sulla attività operativa e amministrativa delle USL, così come emerge dalla gestione «centralizzata» dei rimborsi alle farmacie e del controllo, attraverso lettori ottici, della spesa farmaceutica. L'ultima considerazione fa riferimento alla mancata sensibilizzazione, nella realtà siciliana, ad interventi da un lato sulle procedure amministrative e sull'assetto organizzativo (modello Veneto), e dall'altro sulla qualità dei servizi (esperienza Emilia Romagna). Questa situazione ben spiegabile dalla logica di innovazione «ritardata» risulta contraddittoria, considerando che la Regione Siciliana sta realizzando, su fondi CIPE, una Scuola di formazione per operatori sanitari a valenza multiregionale; l'investimento sulla risorsa «personale» che costituisce la variabile più importante dei sistemi di gestione dei servizi pubblici non si accompagna quindi ad una attenzione sulle altri componenti dei sistemi.
GLI ANNI NOVANTA: PROMUOVERE LA QUALITÀ DEL SERVIZIO. MA LE REGIONI DA SOLE NON CE LA FANNO
L'analisi finora condotta sulle diverse politiche regionali di promozione della innovazone, attivate nel corso degli anni Ottanta, ha bene mostrato che largo spazio è stato riservato alla introduzione delle «tecniche aziendali».
Infatti, comune alle esperienze di Veneto ed Emilia Romagna, è stata la centralità attribuita alla sperimentazione della contabilità direzionale in una prima fase e del controllo di gestione in un momento successivo. Occorre ricordare che anche in altre Regioni centrosettentrionali, non trattate in questo lavoro, la fine degli anni Ottanta ha visto la sperimentazione di sistemi di contabilità dei costi; in alcuni casi questo processo ha visto un forte coordinamento a livello regionale, sul modello di quanto riscontrato nei due casi esaminati (Friuli Venezia Giulia, Provincia autonoma di Trento, Marche, Toscana). In altre realtà invece sono state le USL stesse che hanno proceduto in ordine sparso sul controllo di gestione, tramite il supporto di consulenti esterni ed iniziative occasionali (vedi i casi della Liguria e della Provincia Autonoma di Bolzano); tipico è il caso del Piemonte che solo recentemente ha promosso un progetto regionale di intervento organico, affidato ad un centro di ricerca regionale. Coerenti con il rafforzamento delle tecniche aziendali nel Sistema sanitario pubblico sono stati gli altri interventi attivati nelle Regioni esaminate, dallo sviluppo dei processi di informatizzazione alla introduzione di sistemi di gestione del personale (Emilia Romagna), alla riorganizzazione dei servizi amministrativi (Veneto), alla revisione delle procedure (Veneto). L'enfasi attribuita alla logica aziendale, ed in particolare alla contabilità dei costi, si è poi riscontrata, seppur in ritardo, anche nelle Regioni del Mezzogiorno; dalla Sicilia che ha individuato questo strumento come uno dei tre obiettivi dell'azione di coordinamento regionale presso le USL, ad altre Regioni che da due tre anni promuovono e finanziano presso le USL interventi di consulenza e 87
formazione su questa tematica (Campania, Sardegna, Basilicata). La scelta di assegnare priorità a tecniche che consentono di acquisire informazioni in un primo momento e di intervenire poi sulla dinamica della spesa sanitaria pubblica, è ben spiegata dal fatto che in Italia, così come nei sistemi sanitari e di altri paesi industrialmente avanzati, il controllo ed il governo della spesa sanitaria ha rappresentato una delle due sfide poste ai sistemi stessi. La contabilità dei costi è stata quindi vista nel SSN come strumento importante e funzionale ad esigenze complessive di recupero di efficienza e di contenimento della spesa; non va però dimenticato che la sostanziale deresponsabilizzazione finanziaria per le USL e la prassi di copertura a pié di lista dell'indebitamento (i diversi provvedimenti in corso dal 1985 hanno posto carico dello Stato circa 50.000 miliardi) ha però frenato la spinta ad una adozione immediata dello strumento, anche nei contesti regionali più sensibili. E probabile quindi che l'introduzione di forme di compartecipazione monetaria degli utenti e soprattutto la più diretta responsabilità delle Regioni sul rispetto dei tetti di risorse assegnate a livello di Fondo interregionale, previsti dalla «riforma della riforma», determinino una accellerazione, per i prossimi due tre anni, del peso dei sistemi di controllo di gestione. Ma il contenimento della crescita della spesa sanitaria e il sottodimensionamento delle risorse finanziarie disponibili non costituiscono l'unica sfida posta ai sistemi sanitari nei prossimi anni; ad esse si accompagna una seconda sfida, altrettanto importante, quella del miglioramento della qualità dei servizi forniti dai sistemi sanitari. Le grandi istituzioni internazionali OCDE, OMS) e la stessa CEE hanno da tempo ben
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evidenziato la crisi di legittimazione dei sistemi d'offerta dei servizi sanitari, siani essi gestiti direttamente dall'operatore pubblico o siano invece affidati ad organizzazioni «for proJìt» e «non proJìt», che tariffano le loro prestazioni alle società assicurative pubbliche e private 10 Indicatori evidenti della crisi di legittimazione del sistema sanitario pubblico italiano sono: i fenomeni di emigrazione sanitaria dalle regioni meridionali verso le regioni del centro nord, e più complessivamente verso altri paesi europei; la forte crescita della spesa sanitaria privata e l'evoluzione attesa nei prossimi anni; l'incremento delle assicurazioni sanitarie private, attestate ad un mercato di circa 1000 miliardi, e soprattutto dei fondi assicurativi integrativi aziendali. La risposta che è stata data, nei diversi sistemi sanitari, alla crisi di legittimazione, risposta che è bene ricordare è iniziata già nella metà degli anni Ottanta, ha visto l'adozione di una serie di interventi basati su tre fattori operativi critici che sono la varietà del servizio finale (coordinamento tra prevenzione, diagnosi, terapia efollow up), il miglioramento dei servizi collaterali (servizi ajberghieri, sistemi di prenotazione), l'attenzione costante e continua alle esigenze degli utenti e dei clienti finali. Filo conduttore nella progettazione dei diversi interventi, finora realizzati, è stato rappresentato dai sistemi di gestione dei servizi; la scelta di sperimentare in Sanità questi sistemi è partita dalle valutazioni sui successi riscontrati e conseguiti in altri settori (educazione, turismo e tempo libero ... ), contraddistinti al pari della Sanità, da forte personalizzazione del servizio finale e da un elevato utilizzo di personale professionale. Alla realizzazione di sistemi di gestione di servizi, che rappresentano tipicamente interventi «micro», a livello cioè delle singole
organizzazioni sanitarie, si sono poi accompagnati interventi a livello «macro» di ridefinizione dell'assetto istituzionale del sistema sanitario. Un caso emblematico è rappresentato dal caso svedese, dove si è cercato di introdurre, per spezzare le rigidità del sistema sanitario pubblico (un «sistema ibernato»), modalità di competizione governata dall'operatore pubblico (logiche di concorrenza e «quasi mercato» tra i diversi ospedali pubblici) e si è promossa la diffusione di tecniche e metodi di management, mutuate dalle imprese di
servizi for profit. Due sono i presupposti su cui si basano i sistemi di gestione dei servizi introdotti nelle organizzazioni sanitarie dei diversi sistemi: l'avvio di circoli virtuosi, volti al miglioramento della qualità, e lo sviluppo dei processi di «innovazione sociale» negli ospedali. Le leve di azione interne ai sistemi di gestione dei servizi, che portano all'innesco di questi circoli virtuosi, sono formate dalla segmentazione dell'utenza, a cui ci si propone di rispondere, dal miglioramento del contenuto «caratteristico» del servizio (la qualità della prestazione sanitaria), dal sistema di erogazione del servizio (personale, utenti, tecnologia e supporti fisico-logistici), dalla comunicazione esterna e ultima ma non meno importante, dalla cultura e valori dell'organizzazione, responsabile dell'offerta dei servizi. I processi di innovazione sociale, a cui sono riconducibili alcune esperienze di introduzione di«qualità totale» e di circoli di qualità negli ospedali, si fondano su specifici sistemi di apprendimento di competenze e conoscenze e sulla valorizzazione delle capacità professionali dei singoli operatori. Nei prossimi anni le Regioni saranno quindi chiamate a confrontarsi non semplicemente
sul terreno delle tecniche di misurazione dei costi e di controllo della spesa ma soprattutto su quello del miglioramento della qualità dei servizi forniti dalle future aziende USL ed ospedali; questa situazione richiederà un radicale ripensamento delle esistenti politiche di promozione della innovazione organizzativa e gestionale, che dovranno essere evidentemente integrate ed arricchite con nuovi contenuti. Due sono le considerazioni che possono a tale proposito essere svolte; la prima riguarda le leve che le Regioni possono utilizzare per stimolare e diffondere attenzione alla qualità presso il Sistema sanitario pubblico regionale, la seconda invece fa riferimento alla presenza di competenze, conoscenze e capacità necessarie per pensare e gestire queste politiche. Promuovere e lanciare sistemi di gestione dei servizi è infatti intervento di maggiore complessità rispetto al coordinamento attuale di azioni volte alla introduzione del controllo di gestione; i sistemi di gestione dei servizi pervadono tutta l'organizzazione sanitaria, sia essa USL o ospedale, richiedono un elevato investimento in formazione e apprendimento del personale e pongono in primo piano il problema della creazione e consolidamento di valori condivisi nelle organizzazioni pubbliche. In secondo luogo è difficilmente pensabile che le Regioni stesse, profondamente impregnate di logiche burocratiche e scarsamente attente ad esigenze di qualità dei servizi e di comunicazione, diventino centri di riferimento per la Pubblica Amministrazione locale su questa problematica. La visiòne è pessimista. Potrà però modificarsi guardando a quanto emerge da uno dei tre casi regionali analizzato e soprattutto alle opportunità offerte da quello che può
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essere definito come «movimento per la salvaguardia degli utenti nelle strutture sanitarie pubbliche». Le sperimentazioni avviate all'interno dei processi di promozione della innovazione da parte della Regione Emilia Romagna (verifica delle procedure di accesso alle prestazioni ospedaliere ed extraospedaliere, modifica dei processi di accettazione ospedaliera, istituzione dei centri unici di prenotazione e delle tessere sanitarie informatizzate) evidenziano quantomeno un tentativo di presidiare ed agire sulla leva dei servizi collaterali alle prestazioni sanitarie e dei sistemi di erogazione dei servizi. Le leggi regionali della fine degli anni Ottanta, che evidenziano anch'esse lags territoriali consistenti (dal 1988 della Lombardia alla legge Siciliana del 1991) sulla salvaguardia dei diritti degli utenti nel SSN, si propongono
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certo la tutela degli utenti da violazione ed irregolarità di legge e procedure (non a caso si prevede l'introduzione di «uffici di pubblica tutela» e di difensori civici negli ospedali) ma soprattutto cercano di stimolare le diverse organizzazioni sanitarie pubbliche (siano esse USL od ospedali) a predisporre azioni e strumenti, che agevolino e migliorino accessibiità e condizioni di utilizzo dei servizi e ne migliorino la qualità. Le politiche di promozione e diffusione della innovazione sulla qualità, richieste alle holdings regionali per gli anni Novanta, possono quindi raccogliere questi segnali deboli e soprattutto possono sfruttare e riorientare l'esigenza diffusa di tutela dei diritti e di salvaguardia dagli abusi verso il rafforzamento di una cultura della qualità, che costituisce il vero fattore critico di successo del Servizio sanitario pubblico italiano.
Nom
Per un approfondimento dei concetti di "Pubblica Amministrazione come sistema di istituti debolmente connessi' e di "gestione strategica" G. Rebora, M. Meneguzzo, Strategia delle Amministrazioni Pubbliche, UTET, Torino, 1990 , cap. I. 2 Federal Regional Councils sono stati creati all'inizio degli anni Settanta come strumento operativo, atto a facilitare il coordinamento nei processi di attuazione dei programmi che vedevano coinvolti le agenzie pubbliche statunitensi, il Governo Federale ed i Dipartimenti settoriali (Lavoro, Trasporti, Agricoltura, Energia, Sanità e servizi sociali), i governi statali ed il governo locale. Cfr. R. W. Gage, Federal Regional Councils: networking organizationsforpolicy management in the intergovernmental system in «Public Administration Review», marzo aprile 1984. Nel contesto italiano possono essere individuati due modelli di riferimento dei processi di programmazione sanitaria regionale: un modello di tipo top down (Lombardia, Umbria, Toscana) ed un modello bottom up, in cui è attribuita notevole rilevanza alla elaborazione diretta da parte delle USL dei piani sanitari locali (ad es. Emilia Romagna). Si veda E. Borgonovi, M. Meneguzzo , Processi di cambiamento e di programmazione nelle Unità Sanitarie Locali, Giuffrè, Milano, 1985, cap. 2; parte 11. Si veda in proposito R. Cafferata (a cura di), La gestione strategica delle aziende pubbliche, Franco Angeli,
Milano 1989. Per un confronto sui diversi approcci al controllo strategico' si veda F. Amigoni, Il controllo strategico nelle grandi imprese italiane, nota interna della Scuola di Direzione Aziendale, Univ. Commerciale L. Bocconi, Milano 1989. 6 Per il concetto di "sistema di gestione dei servizi" si veda R. Normann Seraice management. Strategy andleadership in seivice business, John Wiley & Sons, 1984. Per una analisi del fenomeno della consulenza direzionale nella Pubblica Amministrazione locale si vedano rispettivamente M. Meneguzzo , L'analisi della domanda di consulenza del teiziario pubblico, nota interna della Scuola di Direzione Aziendale, Univ. Comm. L. Bocconi, Milano 1988 e ASSCo Associazione delle società di consulenza italiane, La domande di consulenza verso la Pubblica Amministrazione, relazione presentata al convegno "Gestire il cambiamento nella Pubblica Amministrazione", Fiuggi, 1990. 7
8
Si veda R. Normann, Service management... cit, e le riflessioni sulla definizione delle formule gestionali contenute in G. Rebora, M. Meneguzzo, Strategia delle..., cit. I diversi interventi di promozione della innovazione gestionale sono stati sintetizzati nella pubblicazione Regione Emilia Romagna, USL e cambiamento, Bologna 1987. 10 Si veda J.P.Poullier, Fmm risk aversion to risk rating: trends in OECD health care systems, in «International Journal of health planning and management», 2, 1987.
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Fig.1
i TE
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-25
E,
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Fig. 2
EEGIONE VENETO
SANITA'
AFFARI GI1EThUd £ SETTORZ STUDI
FERSOI4ALE
PREUDr. IGIThE E SICUREZZA
GESTIONE SPESA SANITARIA
A$S. FAJl?IACEIJTICA ED ANDULATORIALE
A$DII3TI LAVORO
1
ASS. OSPEDALIERA CONVI)IZIOHMA
FORMAZIONE AGGIORNAIIThTO
IGIThE PUBBLICA E MEDICO LEGALE
i H FARMACITICO I H
ASS. SANITARIA DI RASE
RUOLI E PIANTE ORGANICHE
£DUAZIONE SANITARIA
TUTELA SALUTE MIITALE £ ASS. RIABILITATIVA
I
Ii
pEZj&u E VIGILI'ItCA
-
I9
PROGRAMMAZIONE
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Fig. 3 Organigranvna dei gruppi di lavoro dellAssessorato regionale della Sanilà della Regione Siciliana in bdse al decreto del Presidente della Regione Siciliana del 4 0iceme 1989
SANITA
I Direzione Ass. san. e osp. Igiene pubblica
li Direzione Fondo regionale Ass. ospedaliera
Gruppi di lavoro:
Gruppi di lavoro
I Coordoernergo g*nlcoWone s metodo e biblIoteca
Ispettorato Regionale Sanitario
Gruppi di lavoro:
I Progr~ resa aar8wla - Paste corrode
I CoordInamento (5.5)
Il Oasi statIstico - contabile spesa oanttwta Parte coaerd.
llIenepubblca (9.3) III Farmacerrtica
III VIglanza ed attivlta ec.-ltnaro. USI.
IV MI. San - Se. Geit - Economato V All. Personale Assassorato e Uffici PerIferIci
IV As& ospedeSora cormenzionsta
VI TrAltamento economico del personale
V Appllcai. leggI reg. 6677; 202/79; 20188
VII Qulescenza e previdenza peri. dlp.
VI Uquldazione dl MIe le pratiche relativa alte 1091 reg. 66/77; 202/79; 20166
13 • 3)
IV MedIcIna fiscale- ~om, cIvile (3 , 2) VMedldnasoclale (4.2) VIMedldnadibaseedl2riselo (5.3)
VII Os& legIslatIvo ed IstruttorIa dett,aIIIvflà Ispeltiva parlamentare rapporti con la Giunta e con I.A.R.S.
VII Ptogramm, e pianti. della spesa F.S.R. per I potenziamento learotagleo USI, e delltstjMo Zooprofilattico - Uciverslth -
IX Coribalti dl lavoro e corwenziorri OsservatorIo sindacale
VIlMedIcina o~~ pobbllca (5 • 3) VIU Caaedcsaapflcvala.Pewbsld (3.2) IX Salate mentale (6.2) X Ospedafi pskNclrld - gestione stralcIo (3*2)
VIII Gare e controtil X Servizio contenzqloso Ricorso e MarI 10001
Xl E&cazione sanitarIa (3.2) DC Progrormr. pianti. Intorvenil per rediIial 101 Islam del lavoro (3*2)
Xl Ricerca finatirzata XII Assistenza medIco-generica Osiebica e pediatilca dl base AtItola dl prevenzione dl massa XIII
X C.E.D.
1011 Matamo-Infanbte (3.3)
Xl Sistema Inf. san RegIonale
10V Nasellcappati (5 • 2)
XII Ossesv. ec.-IIo, e osserv. prezd
XV L66/77;202179;20/86 (7.3)
XIII Coordinamento
100 CoordInamento settore 0.E.P. (5.3)
vm speclalisllca ambulaloriale In genI. dketta Alt. andaialorlale dei bMogi
XIV Aia. beliretta
XVII Statistiche correnti e S.Llt (7.4)
XV Termalismo terapeutico Alt ,labillttiva ed asa. aMari Tutela sanilasia alt sportiva
XIX Malattie bronzo degenemattce 13.2)
l00 Tutela saralarla malerrio-infontlle e deil,età evolrtIva
XVIII Epidermtlologka malattie bdettive 0' 2)
101 Segreleris CT.S.- Gestione capItale 0.EA , 1)
XV1I Tutela della salute mentale e Ioulcodlpendenze Segreteria (S) XVIII Interventi scsI campo socIale Dalbiografla 13) XIXAsII rido Portierato 19) 101 GuardIa medica e t,Inilco4amracanllca 100 FarmacIe RIepIlogo addettL 103 10111 Interventi dl emergenza nel campo IgIenico Rleptogo fabbIsogno: 50 10(111 Aspetti e problerri IstituzionalI delle USI, 10(7V Concomtl - Astunzioni- Incaricli 107V USI, - Ruolo nominalino - lnquadramentl personale e gestione suoI rorntlnalbi regIonalI 1000 Personale USI. Formazione ed aggIornamento 10001 USI, mobiltà personale- trasferimenti- coma,eS 100011 inpeflars
Nota: -Il primo m.rmero Isa parenlesi sI riferisce all alluale dotazIone dl personale Il secondo corsero tra parenlesi si riInrlsce al fabbisogno aggkrnlloo di personale
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Privato e pubblico, profit e non profit nella Sanità Le lezioni dell'esperienza americana di Louis De A lessi
A partire dagli anni Cinquanta la spesa per l'assistenza sanitaria nei Paesi occidentali è andata continuamente aumentando, ed ha assorbito una quota crescente del reddito prodotto. Negli Stati Uniti (che sono la principale fonte dei dati presentati in questo studio) la spesa per l'assistenza sanitaria è passata, nel periodo 1960-1985, dal 5.9% al 10.8% del prodotto interno lordo, mentre la spesa pro Capite nello stesso periodo è passata da 229 a 431 dollari (a dollari costanti) (Ginzberg, 1987). Tale crescita è dovuta a vari fattori. Dal lato del consumatore, l'incremento della domanda è stato indotto dai progressi nelle cure mediche e dall'adozione di una vasta gamma di programmi di assicurazione per la salute, sia pubblici (ad esempio, Medicare e Medicaid), sia privati. Anche l'incremento demografico e l'aumento del reddito dei singoli hanno contribuito alla crescita, benché l'elasticità della domanda ai cambiamenti del reddito e ad alcune forme di concorso alle spese appaia relativamente bassa (Feldstein, 1971; Rosett e Huang, 1973; Manning, Newhouse et al., 1987). Sul versante dei fornitori, l'incremento della domanda deriva in parte dalla crescita quantitiva dell'offerta di servizi sanitari (compreso l'incremento del rapporto medici/popolazione, Clare et al., 1987), ed in parte dall'aumento dei prezzi, che conferma
come per produrre quantità addizionali di servizi sanitari sia necessario sostenere costi più elevati (le curve dell'offerta hanno indinazione positiva). Naturalmente, non sono stati questi gli unici fattori ad influire sull'offerta: ad esempio, il deteriorarsi delle condizioni politiche ed economiche di altri Paesi ha favorito l'afflusso di medici negli Stati Uniti. I diritti di proprietà specifici delle istituzioni utilizzati per controllare il consumo, la prescrizione e la produzione di servizi sanitari hanno contribuito all'aumento dei prezzi. In particolare, le modalità di rimborso di molti programmi di assicurazione hanno ridotto gli incentivi ad economizzare su quantità, qualità e costo delle terapie, per gli utenti e per i fornitori. Ne consegue che gli utenti e i loro consulenti medici hanno avuto meno incentivi a ricercare terapie a prezzi più bassi o di più bassa qualità, determinando un aumento della domanda maggiore di quello che sarebbe stato necessario. Al tempo stesso si è determinato, da parte dei fornitori di servizi sanitari, un minor incentivo a minimizzare i costi di produzione di ogni dato livello di output, dando luogo a uno spostamento verso l'alto delle curve dell'offerta. Questi fattori hanno favorito l'aumento dei prezzi delle prestazioni mediche, che negli ultimi anni sono state responsabili per circa due terzi dell'incremento percentuale annuo della spesa sanitaria totale (P. 95
J. Feldstein, 1983). Non soltanto la spesa per la sanità è cresciuta, ma una parte crescente di questa è stata alimentata dallo Stato. Così che negli Stati Uniti, nel periodo 1965-1985, l'ammontare di spese mediche finanziate dal settore privato è aumentato di otto volte, passando da 30.9 miliardi di dollari a 250.2 miliardi, mentre l'ammontare delle spese mediche finanziate dallo Stato è cresciuto di ben sedici volte, da 11 miliardi di dollari (di cui 5.5 federali e 5.5 statali) a 174.8 miliardi (124.4 federali e 50.4 statali), passando dal 26% al 41% della spesa totale. La sempre maggiore importanza del ruolo dei contribuenti nel finanziamento dei servizi sanitari ha determinato pressioni politiche miranti a contenere i costi dell'assistenza sanitaria senza drastiche riduzioni dell'offerta di servizi. Di conseguenza, è cresciuta l'attenzione verso gli enti preposti al controllo del consumo, della prescrizione e dell'offerta dei servizi sanitari. Istituzioni alternative implicano differenti sistemi di diritti nell'utilizzo delle risorse che comportano l'esistenza di differenti opportunità di remunerazione per i decision makers e che ne influenzano sistematicamente le scelte. La considerazione dei vincoli istituzionali, compresi queffi che caratterizzano il comportamento delle imprese non projìt e di quelle di proprietà dello Stato, si è dimostrata estremamente utile nell'analisi delle scelte economiche, anche di quelle relative ai servizi sanitari (De Alessi, 1980). L'influenza di accorgimenti istituzionali alternativi nel settore dei servizi sanitari sul comportamento degli utenti e dei fornitori viene in questa sede illustrata traendo alcune implicazioni e sottolineando alcune evidenze empiriche, prevalentemente relative agli Stati Uniti, sul comportamento di 96
pazienti, medici e amministratori ospedalieri. L'analisi assume per certo i vincoli specifici di altre istituzioni, tra cui queffi collegati con le caratteristiche strutturali e culturali di una società. Le differenze in questi vincoli ed in altre variabili rilevanti (come l'accettabiità e il prezzo delle terapie alternative) possono influire sulle risposte osservate; si dovrebbe quindi controllare la natura di queste differenze, allo scopo di estendere l'esperienza statunitense ad altre società. Nel corso degli ultimi anni c'è stato un grande sviluppo della ricerca empirica, favorito da fattori spontanei oltre che da esperimenti controllati di notevole portata, volti a verificare gli effetti di determinate istituzioni e di accorgimenti contrattuali come la proposta di modalità alternative di compartecipazione alle spese. Questo studio fornisce, sul piano scientifico, una solida base, teorica ed empirica, per determinare gli effetti di assetti istituzionali alternativi non soltanto sulle scelte dei singoli in materia di servizi sanitari, ma su qualsiasi scelta. Sul piano politico, la comprensione di queste conseguenze sarà di grande utilità ai fini della progettazione di istituzioni il più possibile attinenti al valore attribuito dai singoli ai servizi sanitari richiesti e al costo sociale sostenuto per produrli, e incoraggerà lo sviluppo e l'adozione di terapie più efficaci ad un costo più basso.
LA STRUTTURA TEORICA
Si ipotizza che ogni individuo, quale che sia il suo ruolo di decisore (paziente, medico, infermiere), tenda a massimizzare la propria utilità in presenza di vincoli imposti dalla natura, dallo stato dell'arte e dalle istituzioni, formali ed informali. Se si segue l'approccio standard (in cui la funzione di utilità ha
un solo valore, è convessa e due volte diffe renziabile), non esiste gerarchia di beni e, al margine, tutte le fonti di utilità sono sostituibili. Questa formulazione è pienamente coerente con il comportamento altruistico, anche per quanto attiene il coinvolgimento nel be.nessere altrui ed i singoli punti di vista circa l'interesse pubblico (De Alessi, 1975). Benché le preferenze varino da individuo a individuo, le risposte ai mutamenti nei vincoli sbno sistematiche e prevedibii. In particolare, gli individui reagiscono ad aumenti nel reddito consumando una maggiore quantità di beni non inferiori (ad esempio acquistando cure mediche migliori). Se si verificano cambiamenti nei prezzi relativi, gli individui reagiscono consumando una maggiore quantità di quei beni che sono diventati relativamente mo cari: la curva di domanda ha inclinazione negativa. Quindi, un aumento dei prezzi delle cure ospedaliere rispetto a queffi delle cure ambulatoriali darà luogo ad uno spostamento dei consumi in direzione di queste ultime. Le modalità di fissazione dei prezzi (reddito incluso) vengono determinate dalla struttura dei diritti di proprietà insiti nelle istituzioni di una società (Alchian, 1967). Perciò per comprendere le scelte relative ai servizi sanitari occorre aver chiara la natura e le conseguenze derivanti dai diritti di proprietà che vincolano gli agenti economici coinvolti. Le istituzioni di una comunità specificano la natura dei diritti di un individuo sull'utilizzo delle risorse, sul reddito che le stesse generano e sulla loro trasferibiità ad altri individui (Alchian, 1965). Quindi il sistema dei diritti di proprietà determina, attraverso prezzi effettivi o attribuiti, le modalità di allocazione dei benefici e dei costi risultanti da una decisione tra chi ha preso la deci-
sione e gli altri individui. Coerentemente, tale sistema contribuisce alla strutturazione delle aspettative che un individuo può avere nella sua interazione con gli altri. Poiché sistemi diversi di diritti di proprietà prevedono generalmente individui con differenti strutture dei costi e dei guadagni (cioè differenti combinazioni di opportunità), la loro influenza sulle scelte è sistematica. Quindi per utilizzare a scopi predittivi questo sviluppo della teoria economica occorrerà precisare in che misura le modificazioni nei diritti di proprietà influiscono sui vincoli che si presentano a coloro che devono prendere delle decisioni. Si osservi che i diritti di proprietà possono essere suddivisi, così che diversi individui possono detenere simultaneamente diritti differenti circa l'uso di una particolare risorsa. Quindi pazienti, medici e amministratori ospedalieri possono avere diritti differenti nell'utilizzo delle stesse risorse ospedaliere. Inoltre alcuni diritti possono essere detenutì privatamente, mentre altri possono essere detenuti in comune con i membri di un particolare gruppo. Per esempio, i proprietari di un ospedale con fini di lucro possono detenere diritti esclusivi e non trasferibili circa l'uso delle risorse ospedaliere; un paziente può avere diritti privati sull'utilizzo di una stanza dell'ospedale, condividendo tuttavia con altri pazienti il diritto all'assistenza infermieristica; al tempo stesso, gli accordi contrattuali tra paziente ed ospedale costituiscono un vincolo rispetto all'utilizzo della stanza e rispetto ai servizi che possono essere richiesti al personale infermieristico e al resto del personale ospedaliero. L'esistenza di diritti di proprietà privati significa che gli individui detengono diritti esclusivi sull'utilizzo e sul reddito delle risorse di loro proprietà, salvo i vincoli imposti dal rispetto delle risorse altrui. 97
Se i costi di transazione (definiti estensivamente in modo tale da comprendere i costi connessi all'acquisto di informazioni, alla negoziazione e all'applicazione dei contratti) fossero uguali a zero, i diritti di proprietà potrebbero essere pienamente definiti, allocati e garantiti. In queste condizioni, le conseguenze future sarebbero interamente capitalizzate nei prezzi correnti di trasferimento. Gli individui dovrebbero sopportare interamente le conseguenze economiche (sociali) delle loro scelte, e sarebbero incentivati a tener conto di tutti i benefici e gli svantaggi derivanti dalle loro decisioni: non ci sarebbero effetti esterni. I diritti su queste richieste avrebbero un prezzo pari al loro costo opportunità, e si indirizzerebbero verso l'impiego con rendimento pii'i elevato che, effetti di ricchezza a parte, sarebbe indipendente dalla loro allocazione iniziale (Coase, 1960). In pratica, ovviamente, non tutti i diritti di proprietà sono detenuti in forma privata. In primo luogo, i costi di transazione sono positivi, e come tutti gli altri costi tendono a salire al margine. Il monitoraggio e la misura della peformance, l'applicazione dei contratti e la riduzione dell'incertezza comportano costi elevati; e c'è anche incertezza circa la funzione di produzione per la salute: ad esempio alcuni farmaci, i cui effetti 'terapeutici e collaterali non sono del tutto noti, potrebbero essere più efficaci su alcuni tipi di pazienti le cui caratteristiche (per esempio, le allergie) non sono del tutto conosciute. Esiste anche incertezza circa la natura, l'incidenza e la durata delle malattie, il che stimola gli utenti poco amanti del rischio a stipulare assicurazioni. Inoltre, le informazioni possono essere distribuite in maniera asimmetrica tra le parti che stipulano un contratto (ad esempio, i medici hanno maggiori informazioni sulle terapie rispetto ai pazienti), ed il costo da sostenere per acquisirle 98
può variare sistematicamente da un bene ad un altro (come nel caso delle cure per il raffreddore rispetto a quelle per il cancro). Per alcuni beni (come nel caso di certi beni pubblici, quali i trattamenti per le malattie infettive), i costi di transazione sono senz'altro proibitivi. Quanto detto comporta che alcuni diritti non siano interamente attribuiti (ad esempio, i diritti reciproci dei medici e dei pazienti non sono completamente specificati), garantiti (ad esempio, i medici hanno una certa discrezionalità nel fatturare agli assicuratori le prestazioni degli assistiti) o stabiliti (ad esempio, l'assistenza infermieristica in corsia viene generalmente fornita sulla base del criterio che è il primo a chiamare il primo ad essere assistito; alcuni programmi di immunizzazione sono offerti a titolo gratuito). In secondo luogo, se anche i costi di transazione fossero nu,lli, i membri di una data società potrebbero a un certo punto decidere che alcuni diritti non possano essere detenuti in forma privata. Quindi alcuni diritti sono legalmente inalienabii e altri sono posseduti in comune per un fatto di pratica. Ad esempio, negli Stati Uniti le persone sono autorizzate a vendere alcune parti del proprio corpo, come i capelli ed il sangue, ma non altre, come i reni ed il cuore. Analogalmente, un paziente non può liberare gli operatori sanitari dalle responsabilità di un'assistenza sanitaria sbagliata: un simile contratto non può essere fatto valere. Recenti sviluppi nella teoria economica evidenziano il ruolo cruciale dei costi di transazione nella determinazione delle scelte delle soluzioni contrattuali utilizzate per organizzare la produzione (Aichian e Demsetz, 1972; Williamson, 1975, 1979; Alchian e Woodward, 1987; Coase, 1988). In particolare, sia la teoria che i dati empirici suggeriscono che le imprese sorgono per risolvere il
problema dell'informazione volta ad evitare il disimpegno che si determina nella produzione congiunta (di gruppo). Se l'output prodotto dagli individui che lavorano nel gruppo è maggiore della somma degli outputs che gli stessi avrebbero prodotto lavorando separatamente, allora esiste un incentivo a organizzare il lavoro in gruppi di produzione. Tuttavia se misurare l'output prodotto da ogni individuo è molto costoso, allora esiste un incentivo a tenere un comportamento demotivato (shirking), in quanto ogni individuo gode interamente i benefici di un simile comportamento, mentre sopporta solo una parte del decremento dell'output che da tale comportamento risulta. Il problema, quindi, è quello di misurare la produttività degli inputs e di come strutturare ricompense finalizzate a scoraggiare il comportamento demotivato, compreso quello dei controllori. Si noti che il concetto di shirking include il concetto di comportamento negligente. Così, la produzione di gruppo può dare luogo ad un danno che non può essere accuratamente e facilmente ripartito tra i membri del gruppo. Se questo danno è minore della somma dei danni che i singoli componenti del gruppo avrebbero potuto produrre separatamente, allora esisterà un ulteriore incentivo ad organizzare la produzione all'interno di una impresa (De Alessi e Staaf, 1985). Per esempio, se i membri di un gruppo (chirurgo, anestesita e infermiere) sono ritenuti responsabili congiuntamente e individualmente di negligenza (ad esempio, assistenza sbagliata), esisterà un incentivo maggiore ad integrare le proprie attività all'interno di un'impresa. Nel caso di imprese con fini di lucro, il problema dell'informazione volta ad evitare lo shirking connesso a una produzione di gruppo viene risolto assegnando i diritti residui
sul reddito netto dell'impresa ai proprietari delle specifiche attività dell'impresa, istituzionalizzando in tal modo l'incentivo a controllare gli altri membri della coalizione (Klein et al., 1978). Un ulteriore incentivo all'integrazione verticale è costituito dalla presenza dello shirking nella forma di comportamento opporturiistico post-contrattuale da parte di agenti esterni alla coalizione (Klein, 1980; Williamson, 1983). Ciò spiega, almeno in parte, la comparsa di imprese che offrono servizi medici pagati anticipatamente, in cui l'offerta di servizi medici e l'assicurazione sono integrati verticalmente allo scopo di ostacolare lo shirking da parte dei medici e degli assicuratori. Anche la concorrenza inibisce lo shirking. La competizione finalizzata a ottenere ruoli manageriali e altre posizioni, all'interno del gruppo, tra candidati interni ed esterni allo stesso, scoraggia i comportamenti demotivati ed esterni degli impiegati, mentre la competizione nel mercato dei capitali trasferisce la proprietà e il controllo delle attività specifiche (come i servizi ospedalieri e i servizi di assistenza infermieristica domiciliare) a quelle coalizioni più abili nel loro utilizzo. La concorrenza tra imprese in termini di qualità o di prezzo assicura inoltre una verifica della peformance, incoraggia l'evoluzione dei dispositivi di controllo interni ed infine costringe i produttori con costi più alti a uscire dal mercato. Sia la teoria che i dati empirici ci dicono che queste modalità di controllo sono estremamente efficaci (De Ajessi, 1980a). Se la dimenzione del gruppo è relativamente ridotta, e lo shirking è relativamente costoso da controllare, si determinerà una evoluzione nei singoli assetti proprietari e nella ripartizione dei profitti. Questa ipotesi fornisce una spiegazione del perché i medici pratichino generalmente in proprio o costituendo partnerrhips nelle quali spesso condividono
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soltanto le spese comuni (come l'affitto dei locali o lo stipendio della segreteria), mentre fatturano individualmente i servizi prestati. Se i processi produttivi favoriscono dimensioni del gruppo di lavoro relativamente grandi, ed i costi di controllo sono relativamente bassi, i rapporti contrattuali tra datori di lavoro e impiegati si evolvono. In tale contesto, i vantaggi derivanti dalla possibilità di raccogliere ingenti somme di capitale di rischio hanno favorito lo sviluppo dell'impresa moderna con la possibilità di trasferire le azioni (Ekelund e Tollison, 1980; De Alessi e Fishe, 1987), una forma di proprietà caratteristica dei grandi ospedali con fini di lucro. Gli azionisti possiedono attività specifiche e sono soggetti alle conseguenze monetane connesse ai cambiamenti nelle condizioni di mercato, e anche a quelle delle decisioni prese all'interno delle imprese, mentre i managers si specializzano nelle decisioni inerenti le modalità di utilizzo delle risorse e si comportano come agenti degli azionisti (Manne, 1965; Jensen e Meckling, 1976).. Le organizzazioni non proJìt si sviluppano quando i singoli sono meno sensibili agli incentivi di mercato, mentre desiderano maggiormente (i benefici derivanti) da certe forme di shirking. Le forme non proJìt inibiscono la capitalizzazione delle conseguenze future nei prezzi correnti di trasferimento, riducendo quindi la capacità di ogni gruppo integrato nella coalizione di appropriarsi completamente dei vantaggi indotti da un miglioramento di gestione valutato secondo gli standards di mercato.. Si verifica quindi, ad esempio, che alcuni ospedali e case di cura possano essere organizzati secondo criteri non proJìt per incentivare la prestazione, ai pazienti più poveri, di cure quantitativamente e qualitativamente migliori rispetto a quelle che potrebbero 100
essere erogate dalle organizzazioni che mirano alla massimizzazione dei profitti (la fissazione di un obiettivo non deve tuttavia essere confusa con il suo conseguimento). Analogalmente, le forme non proJìt possono essere utilizzate per incoraggiare ricerche (ad esempio, la ricerca sul cancro) che sarebbero perseguite in minor misura (o niente affatto) da imprese miranti a massimizzare i profitti. D'altro canto, i managers delle imprese non profit sono meno incentivati a minimizzare il costo di produzione del livello di output prescelto, ed hanno maggiore discrezionalità nella scelta della quantità e della qualità
dell'output. I servizi sanitari pubblici possono essere istituiti per una serie di ragioni, dalla necessità di risolvere il problema dell'informazione volta a evitare il disimpegno nell'ambito di una produzione di gruppo alla faciitazione o alla copertura di trasferimenti di reddito (De Alessi, 1982). La peculiarità caratteristica delle imprese pubbliche consiste nel costo relativamente alto per trasferire le quote di proprietà relative alle attività specifiche di un'impresa (Alchian, 1965). I contribuenti che intendono modificare il proprio portafoglio azionario debbono cambiare la giurisdizione politica nella quale lavorano e vivono, o cambiare la modalità di funzionamento dell'impresa, entrambe attività ad alto costo. Poiché i diritti di proprietà relativi a queste imprese sono effettivamente non trasferibii, la specializzazione nella loro proprietà è esclusa e le conseguenze in termini di valore delle decisioni anmTlinistrative correnti non vengono capitalizzate nei prezzi correnti di trasferimento, riducendo per i contribuenti l'incentivo a controllare i mano gers e offrendo a questi ultimi migliori opportunità di accrescere il loro benessere a spese dei pazienti e delle altre parti.
Dato il sistema di diritti di proprietà ed i costi di transazione che lo caratterizzano, la soluzione che ne risulta per quanto attiene l'aspetto economico è efficiente, in quanto qualsiasi soluzione di un problema di massimizzazione vincolata è efficiente. Se la soluzione (efficiente) per. un diverso sistema di diritti di proprietà determina costi di produzione più bassi o migliore qualità, non è detto che questa sia preferibile. Entràmbe le soluzioni sono efficienti, e la scelta dipende dalle preferenze individuali oltre che dalla sottostante struttura dei diritti attraverso cui le stesse sono espresse (Demsetz, 1969; De Alessi, 1983). Quindi per confrontare assetti istituzionali alternativi occorre esplicitare gli standards di riferimento. Gli standards generalmente accettati in una società (Ostrom, 1984, 1986) sarebbero adeguati allo scopo, anche se non fossero esenti (liberi) da valori o universalmente condivisi. In conclusione, differenze nelle strutture dei diritti di proprietà condizionano i costi e i benefici cui gli individui sono soggetti come conseguenza delle prorpie scelte. Di conseguenza, i singoli modificheranno il prorpio comportamento in maniera tale da massimizzare il proprio benessere (così come essi lo vedono), dati i vincoli effettivi alle loro scelte. Una grande quantità di prove supporta questo approccio (De Messi, 1980).
PAZIENTI E MEDICI
Il comportamento dei pazienti e dei medici è molto sensibile alle istituzioni di controllo, compresi gli accorgimenti assicurativi.
Pazienti Gli articoli sanitari (i farmaci, le protesi) sono prodotti che debbono essere acquistati
dalle imprese che operano nella produzione di servizi sanitari: la domanda per questi beni è quindi indotta dalla domanda per i servizi sanitari. Di conseguenza, differenze in queste funzioni produttive condizionano le scelte dei pazienti (Rosenzweig e Schultz, 1983). La domanda dei pazienti per l'assistenza medica, così come la domanda per qualsiasi altro bene o servizio, è determinata dal prezzo dei beni (tenuto conto dei costi di assicurazione, del tempo e di altri costi), dalla qualità dei beni, dal prezzo e dalla qualità di altri beni e servizi (complemehtari e sostitutivi, comprendenti la dieta, l'esercizio fisico e i servizi medici forniti dallo Stato), dal reddito dei pazienti e dalle loro caratteristiche demografiche (età, sesso, razza), dai costi di informazione e di transazione (Feldstein., 1971; Goldman e Grossman, 1978). Prove empiriche evidenziano che la curva di domanda per i servizi sanitari ha inclinazione negativa: minore il prezzo, maggiori i consumi. I dati relativi all'elasticità della quantità rispetto al prezzo, tuttavia, non sono univoci. I primi studi suggerivano che' incrementi nel prezzo producono un sostanziale decremento della quantità consumata: l'elasticità della domanda rispetto al prezzo è relativamente alta (Feldstein, 1971). Studi più recenti evidenziano che, per lo meno nel caso di malattie «catastrofiche», l'elasticità della domanda rispetto al prezzo possa essere addirittura di -0,2 (Mànning, Newhouse et al., 1987). Un pazienie è incentivato a consumare una combinazione quanti-qualitativa di servizi tale che, al margine, il valore del servizio è uguale al costo complessivo (cioè comprensivo del costo opportunità degli spostamenti e dei tempi di attesa) sostenuto dal paziente. Se i consumatori sono assicurati sono incentivati a considerare solo i costi ai quali sono soggetti, come i costi di ricerca e la com101
partecipazione alle spese, e non si preoccupano delle fatture dei fornitori. In particolare, i singoli pazienti non terranno conto delle conseguenze che le terapie scelte avranno sui premi assicurativi o sulle imposte da pagare: la loro quota è troppo piccola (perché essi debbono preoccuparsene). Anche le assicurazioni condizionano la ricerca del consumatore. Se gli individui sopportano interamente il costo di ricerca, ma so!tanto una piccola parte dei costi medici, saranno meno incentivati a cercare fornitori che offrano le stesse terapie a costi più bassi o terapie della stessa efficacia a un minor costo, ed altri modi di economizzare su quantità, qualità e costo dei servizi medici. Infine, gli accordi istituzionali relativi all'offerta di assicurazioni condizionano gli incentivi per gli assicuratori a controllare i pazienti e i fornitori di servizi sanitari. Ad esempio, spesso le assicurazioni mediche sono fornite da agenzie governative o da imprese non proJìt quali la Blue Cross o la Blue Shield. I diritti di proprietà specifici di queste organizzazioni riducono gli incentivi per i managers a ridurre il costo per fornire ogni livello dato di assicurazione, e determinano l'imposizione di vincoli più deboli sugli utenti e sui fornitori di servizi sanitari.
Medici Dal lato dell'offerta, i medici (così come i managers ospedalieri, gli infermieri, i tecnici di laboratorio ed altri operatori sanitari) lavorano nel contesto di vincoli individuali propri. I medici all'interno di una collettività sono generalmente organizzati come i membri di un cartello sanzionato dallo Stato, che ha pieni poteri nel limitare l'entrata (ad es. nell' autorizzare nuovi membri), nell 'imporre standards etici e nell'applicazione degli accordi di cartello. Gli sforzi dei medici per limita102
re la competizione, che comprendono l'opposizione alle innovazioni che potrebbero indebolire l'opportunità di discrirninare sui prezzi (per esempio, servizi medici pagati in anticipo) ha costituito la causa principale dell'incremento dei costi dell'assistenza medica. Inoltre, i medici esercitano spesso un considerevole controllo (talvolta completo) sul personale degli ospedali in cui lavorano. Si è quindi sostenuto che gli ospedali privati non profit si comportano come cooperative di medici, dove i consumatori pagano il pieno prezzo di mercato per l'assistenza, e i medici che massimizzano la ricchezza si appropriano dell'intera rendita del produttore come ricompensa per i servizi prestati (Pauly e Redisch, 1973). Un medico potrebbe essere considerato come un'impresa privata che produce servizi differenziati - diagnostici e terapeutici ad un costo marginale crescente (Frech e Ginsburg, 1975). Poiché i medici sono in grado di appropriarsi del reddito residuale della loro attività (dopo aver pagato le tasse), essi sono incentivati a massimizzare la loro ricchezza dati i vincoli appropriati, che comprendono la proprietà dei diritti non trasferibii connessi alle loro licenze e l'inserimento in uno staffospedaliero. Tuttavia, un medico che massimizza la propria utilità è incentivato, come qualsiasi altro detentore di diritti in relazione all'utilizzo delle risorse, a considerare, oltre alla ricchezza, altre variabili, come le condizioni di lavoro e il benessere dei pazienti. Quindi i medici possono assumere un atteggiamento paternalistico in quanto sono convinti di essere più informati circa i risultati possibili e circa la relativa valutazione da parte dei pazienti, o semplicemente perché ritengono di sapere ciò che va bene per i loro pazienti. L'etica professionale certamente non incoraggia i medici ad appropriarsi com-
pletamente dei vantaggi derivanti dalla distribuzione asimmetrica delle informazioni a spese dei pazienti; ciononostante, quanto detto non implica che gli interessi dei pazienti e quelli dei medici debbano coincidere. In particolare, un paziente e un medico possono attribuire una diversa importanza alla salute del paziente, e affrontare costi - opportunità differenti allo scopo di migliorarla. Un medico, comportandosi come consigliere, contribuisce a determinare la domanda degli utenti per i servizi sanitari, inclusa la domanda per le stesse prestazioni mediche. Dato l'assetto istituzionale, (ad es., un ordine di medici) questo duplice ruolo dei medici (come consiglieri e come fornitori di servizi sanitari) offre loro l'opportunità di creare domanda per i servizi da essi prestati. L'entità dell'incentivo dipende da altri fattori, tra cui il prezzo del trattamento, la natura della malattia e le capacità diagnostiche del paziente (Dranove, 1988). In una certa misura gli interessi dei medici e dei pazienti presumibilmente coincidono. Un medico che prescriva quei rimedi che sarebbero scelti anche da un paziente con la stessa conoscenza delle terapie e dei prezzi incrementerà la probabilità di ripetere l'affare, avrà una pubblicità positiva e quindi attrarrà un maggior numero di pazienti, il che gli consentirà onorari più elevati. Naturalmente, anche i pazienti ci guadagnano. Oltre un certo punto, tuttavia, gli interessi divergono, dato che i medici sono incentivati a fornire un maggior numero di servizi rispetto a queffi che un paziente con analoghe informazioni circa terapie alternative, fornitori e prezzi sceglierebbe di acquistare. Gli esempi variano da argomenti relativamente banali, come la richiesta di ripetere. visite ambulatoriali o la prescrizione di tests di laboratorio addizionali che dovrebbero ridurre la probabilità di azioni giudiziarie con-
tro un'assistenza inadeguata, a problemi più seri, quali l'esecuzione di interventi chirurgici di scarsa efficacia terapeutica o addirittura dannosi. Inoltre, se il grado di istruzione di un paziente può essere considerato come indicatore di capacità diagnostica, i livelli di istruzione più elevati saranno correlati con una minor proporzione di visite specialistiche. Analogalmente, i medici sono scarsamente incentivati a mettere in pratica attività tendenti a ridurre i costi, ad esempio inviando i pazienti ad un collega che può fornire le stesse prestazioni ad un prezzo più basso, magari perché può accadere ad un ospedale meno costoso. Quanto detto consegue dal fatto che in genere un medico non può trasferire ad un altro medico il diritto di fornire uno specifico servizio ad uno specifico paziente, così come un paziente in genere non può trasferire ad un altro paziente il diritto alla prestazione di uno specifico servizio da parte di uno specifico medico (in assenza di quest'ultima restrizione la discriminazione dei prezzi sarebbe impòssibile).
AssIcuazxoM Le assicurazioni, ovviamente, condizionano gli incentivi. Poiché i pazienti assicurati sopportano interamente i costi di ricerca, ma raccolgono soltanto una parte dei benefici, essi sono meno incentivati a :ricercare terapie della stessa efficacia ad un costo più basso. Quindi, dato che essi sopportano soltanto una parte del costo ma colgono interamente i benefici di una più elevata qualità dell'assistenza, sono incentivati a ricercare servizi di più elevata qualità. Perciò ci si può aspettare che la polizza assicurativa riduca la ricerca e sposti l'obiettivo del paziente da prez103
zi più bassi a una qualità più elevata. Data una polizza assicurativa, sia i pazienti che i fornitori possono trarre congiuntamente •benefici a spese di una terza parte (ad esempio, tutti gli individui che hanno acquistato una polizza, o i contribuenti), attraverso la prescrizione di cure coperte dall'assicurazione (ad esempio in regime di degenza piuttosto che ambulatoriale se il primo è coperto dall'assicurazione e il secondo non lo è), e la definizione di servizi che rientrino nelle categorie coperte dall'assicurazione. Oltre a un certo punto, tuttavia, si ha nuovamente una divergenza tra gli interessi dei pazienti e dei fornitori. L'assicurazione indebolisce l'incentivo del consumatore a controllare il comportamento del medico, mentre quest'ultimo è maggiormente incentivato a prescrivere procedure mediche di valore terapeutico dubbio, se non addirittura dannose. Un'analisi più dettagliata di alcuni degli schemi di assicurazione più diffusi appare opportuna. L'analisi è incentrata sul rimborso totale e parziale, sul rimborso predeterminato e sull'assitnza sanitaria pagata in anticipo. Questi schemi, singolarmente o in maniera congiunta, coprono la gran parte dell'assicurazione sanitaria negli Stati Uniti.
Rimborso totale o parziale Secondo questo piano assicurativo, l'assicuratore paga una percentuale predeterminata dai costi medici al paziente. Se la percentuale è del 100%, come nel caso dei programmi Medicare e Medicaid, il prezzo del servizio è irrilevante per il paziente, che sceglierà di consumare servizi sanitari fino a che la loro utilità marginale sarà uguale al costo - opportunità del tempo, degli spostamenti e di altri costi non soggetti al rimborso. Inoltre, gli incentivi per i pazienti a controllare coloro che offrono servizi sanitari è fortemente ri104
dotto, specialmente per quanto riguarda la fatturazione. Ne consegue che i fornitori di servizi sanitari hanno notevoli opportunità di incrementare sia il prezzo che la quantità dei servizi fatturati (Frech e Ginsburg, 1975). Una soluzione parziale al problema del controllo e dello shirking è la compartecipazione alle spese. Tanto più sono alti i costi deducibii e la percentuale di spese mediche a carico dei pazienti, tanto maggiori sono per questi ultimi gli incentivi a ricercare combinazioni quanti-qualitative a basso costo e a controllare i fornitori, stimolando quindi i mercati ad accrescere la loro competitività e riducendo i costi. Naturalmente, oneri più pesanti a carico del paziente favoriscono la riduzione dei consumi di servizi sanitari, e possono escludere alcuni consumatori dal mercato.
Rimborso predeterminato Questo piano, utilizzato da alcuni assicuratori privati e offerto ai medici come lternativa dal programma Medica re, prevede un pagamento fisso per ogni singola prestazione. Se il prezzo sostenuto è maggiore del prezzo rimborsato, i consumatori sono incentivati a ridurre questo differenziale ricercando cure meno costose. Tuttavia, nella misura in cui i prezzi delle singole prestazioni sono coperti, vengono a mancare per i pazienti gli incentivi a contenere i costi totali, ed i medici sono incentivati a prescrivere una maggiore quantità di prestazioni. Se la quota fissa viene stabilita al di sotto del prezzo di mercato della prestazione, ed al paziente non è legalmente consentito di coprire la differenza, oppure sceglie di non coprirla, è prevedibile che i fornitori si rifiutino di fornire la prestazioneo che adottino tattiche di riduzione della quali-
tà (ad esempio, attraverso tempi di attesa più lunghi ed esami più sbrigativi), oppure che fatturino prestazioni addizionali. Per risolvere le difficoltà, pratiche e politiche, connesse all'individuazione delle tariffe, alcuni assicuratori le hanno determinate sulla base di indagini sulle tariffe di mercato correnti, le cosiddette tariffe abituali, di uso comune e prevalenti. Questa procedura non fa che ritardare la dinamica delle tariffe e determina cronici incrementi nei prezzi (Frech e Ginsburg, 1975). Il rimborso parziale consente un decremento dei costi rispetto ai piani con meccanismi di rimborso al 100%. Tuttavia, al diminuire della percentuale rimborsata diminuisce anche l'attrattiva relativa e, a un certo punto, i piani di rimborso totale o parziale sono più convenienti. Sistemi di tutela della salute Questi programmi di assicurazione per la salute prepagati (Health Maintenance Systems lirvios), incentivano i fornitori a minimizzare i costi di produzione di ogni data quantità di assistenza, e ad economizzare su quantità e qualità, anche in riferimento al numero delle giornate di degenza. Costi più bassi si riflettono in prezzi più bassi, dovuti alla competizione con altri fornitori. Se un lirvlo attrae più sottoscrittori, è probabile che diventi maggiormente rappresentativo dell'insieme della popolazione (al limite, coincidendo con essa), aumentando la prevedibilià della domanda e riducendo i problemi della selezione avversa. Malgrado i managers degli HMos siano incentivati a cercare di ridurre la qualità dei servizi, tale tendenza è controllata dalle perdite attese di clientela a favore dei concorrenti. La crescita degli Hmos è stata lenta, anche se sembra che questi comportino costi infe-
riori rispetto ad altri programmi (Saward e Sorensen, 1982). Ciò è dovuto in parte alla forte opposizione delle associazioni mediche nazionali e locali che, temendo la concorrenza, hanno inizialmente reagito revocando o negando l'adesione ai medici convenzionati con gli HMOs (Kessel, 1958). Poiché l'appartenenza a dette associazioni costituisce un prerequisito per l'utilizzo dei servizi ospedalieri, questo rifiuto ha indotto gli lirvlos ad istituire ospedali propri ed ha incrementato i costi operativi, limitando l'estensione della specializzazione. Inoltre, le associazioni mediche statali hanno condizionato i governi locali in merito a una serie di vincoli sugli HMO5, richiedendo che questi fossero organizzati come imprese non profit (riducendo quindi l'incentivo ad istituire FuvIos e a gestirli in maniera efficiente), ed impedendo loro di pubblicizzare i propri servizi e i propri premi di assicurazione (Morrisey e Ashby, 1982). Sebbene alcune di queste restrizioni siano state alleggerite, la crescita degli HIvIos è tuttora ostacolata dalla limitata scelta di medici e di servizi offerti in una certa area di consumatori. Akuni dati reali L'ipotesi che ad aumenti nei prezzi delle cure mediche corrispondano decrementi nei consumi è ampiamente documentata (Feldstein, 1983). Un recente esperimento, finanziato dal governo federale, propone tuttavia elementi illuminanti (Newhouse et al., 1981; Brook et al., 1983; Manning et al., 1987). L'esperimento è stato condotto nel periodo 1974-1982 su circa 8000 soggetti distribuiti in sei città di quattro diversi stati. A questi soggetti sono state.applicate a caso 14 diverse tariffe sperimentali, mentre ad un solo gruppo sono state applicate condizioni di prepagamento. I tassi di compartecipazione alle 105
spese (ratei di scoperto obbligatorio) sono stati rispettivamente fissati in ragione dello 0, 25, 50 e 95%. Sono state inoltre applicate limitazioni in ragione del reddito alle spese direttamente a carico dei pazienti. I risultati dell'esperimento indicano che il concorso alle spese condiziona senz'altro il comportamento. Infatti, i pazienti tenuti al pagamento di almeno una parte delle spese riducevano di un terzo la frequenza delle visite mediche e dei giorni di ricovero ospedaliero. Inoltre, i soggetti interamente coperti ricorrevano più spesso all'uso di una maggiore quantità di servizi, determinando un aumento delle spese superiore del 50% rispetto ai soggetti coperti da polizza "catastrofica" correlata al reddito. I risultati indicano che il concorso alle spese influisce anche sull'utilizzo dei reparti di pronto soccorso ospedaliero ('O Grady et al., 1985). Infatti, i pazienti che non dovevano sopportare alcun onere hanno determinato una spesa per il pronto soccorso superiore del 42% rispetto a quella determinata dai pazienti assoggettati a un onere del 95%, e del 16% rispetto alle classi soggette a concorrere con oneri del 25 e del 50%. Dai controlli è inoltre emerso che i pazienti appartenenti alla fascia di reddito più bassa (che sono quindi meno esposti a spese dirette) hanno provocato spese per servizi di pronto soccorso superiori del 64% rispetto a quelle determinate dai pazienti inseriti nella fascia di reddito più alta, ed hanno ricevuto una parte più consistente delle loro cure ambulatoriali all'interno dei reparti di pronto soccorso. Inoltre, i pazienti che non dovevano concorrere alle spese mediche hanno usato una quantità di antibiotici più alta dell'85% rispetto a quelli tenuti a contribuire alle spese (Foxman et al., 1987). E interessante osservare come in generale le cure gratuite non abbiano comportato né un miglioramento dello Stato di 106
salute, né delle abitudini igieniche (Keeler et al., 1985). Sembra infatti che l'assistenza gratuita comporti benefici per le persone con problemi di vista e per i pazienti ipertesi a basso reddito; tuttavia la sua influenza sui pazienti ipertesi ad alto reddito appare indeterminata. L'assistenza gratuita appare ininfluente rispetto ad altre Otto misure della salute e delle abitudini igieniche. L'analisi suggerisce che i tassi di ricovero siano più bassi nel gruppo soggetto a condizioni di pagamento anticipato rispetto a queffi soggetti al pagamento di una percentuale. Un primo studio metteva in evidenza che il tasso di ospedalizzazione dei pazienti i-irxos era inferiore di circa il 40% rispetto a quello dei pazienti a tariffa convenzionata (Luft, 1978). Una ricerca più recente ha sottoposto a verifica questa ipotesi. Un campione di 1600 soggetti è statao suddiviso casualmente in due gruppi: i pazienti di un gruppo sono stati lasciati liberi di ricevere le cure gratuite da un medico della mutua di loro scelta, mentre i pazienti dell'altro gruppo sono stati assegnati alla Group Health Cooperative di Puget Sound (Manning, Leibowitz et al., 1984). I risultati ci dicono che benché le frequenze delle visite ambulatoriali siano state sostanzialmente analoghe per entrambi i gruppi, i tassi di ricovero dei pazienti w'aos sono stati inferiori di circa il 40% rispetto a quelli dei pazienti ammessi al servizio gratuito. L'assistenza HrvIos ricorre quindi meno spesso alle cure ospedaliere, ed è perciò meno costosa. Inoltre gli i.iMos ricorrono con minor frequenza ad analisi cliniche e radiografie, prestazioni che di solito assorbono circa il 25% di tutte le spese per l'assistenza di tipo ambulatoriale negli Stati Uniti (Epstein et al., 1986). Uno studio recentemente condotto su un campione di dimensioni ridotte, sottoponen-
do tuttavia a controllo diverse variabili critiche, ha dimostrato che gli internisti che operavano presso i grandi gruppi mutualizzati prescrivevano il 50% in più di elettrocardiogrammi e il 40% in più di radiografie rispetto ai colleghi dei programmi a pagamento anticipato (Epstein et aL, 1986). Analizziamo ora gli effetti indotti dall'informazione sulle scelte mediche. E provato che la pubblicità da parte di chi offre servizi sanitari dia luogo ad un decremento dei prezzi e, almeno in alcuni casi, a un miglioramento della qualità. La pubblicità abbassa infatti i costi di ricerca per i consumatori, consentendo una maggiore specializzazione dei fornitori; ciò si traduce in un abbassamento dei costi e in un miglioramento della qualità. Perciò ci si può attendere che la pubblicità riduca non soltanto il prezzo medio di un servizio medico, ma anche la dispersione dei prezzi intorno alla media. Uno studio ormai classico ha posto a confronto i prezzi degli occhiali da vista in due gruppi di stati, uno dei quali consentiva la pubblicità e l'altro no (Benham, 1972). I risultati dimostrano che i vincoli alla pubblicità erano associati con aumenti dal 25% al 40% nel prezzo degli occhiali da vista (Benham, 1972; Benhmam e Benham, 1975). Questi risultati hanno giocato un ruolo fondamentale in alcune successive sentenze giudiziarie, che vietarono l'interdizione della pubblicità da parte delle organizzazioni di ottici, avvocati e altri. Studi successivi hanno dimostrato che la rimozione di queste interdizioni ha determinato un abbassamento del prezzo degli occhiali (Feldman e Begun, 1978), oltre che i prezzi più bassi e più alta qualità di molti servizi legali man mano che imprese più specializzate entravano nel mercato (Muris e Mc Chesney, 1979). Un'ulteriore prova dell'importanza dell'in-
formazione è fornita da quei programmi che richiedono per i pazienti un secondo parere che confermi la necessità di un certo intervento chirurgico. Questa regola riduce di circa il 20% l'attività chirurgica, aiuta i pazienti a trovare terapie alternative, e riduce i costi dell'assistenza medica sia per gli assicurati che per gli assicuratori (Ruchlin et al., 1982). Inoltre, un più elevato livello di istruzione si associa con. una minore, frequenza di visite mediche. Esistono prove sufficienti che la quantità di prestazioni fornita dai medici sia piuttosto elastica rispetto al prezzo. Alcuni studi sul programma Medicaid nel Maryland e in California hanno dimostrato che ad un incremento nella tariffa applicata alle visite corrispondeva un incremento dei medici che partecipavano al programma, e un aumento delle visite da questi effettuate (Gabel e Rice, 1985). Per prevedere la reazione ad una modificazione nelle istituzioni, i medici possono es sere assimilati a imprese che tendono a massimizzare la propria utilità, producendo un prodotto differenziato e praticando la discriminazione dei prezzi (Masson e Wu, 1974). Le condizioni per la discriminazione dei prezzi 'chiaramente esistono: l'elasticità della domanda per i servizi sanitari rispetto al prezzo varia a seconda dei pazienti, che differiscono in quanto a reddito, assicurazioni per la salute, costo opportunità del tempo, preferenza per la salute; i mercati sono separati (una volta effettuata, un'operazione chirurgica non può essere rivenduta da un paziente ad un altro paziente), e la concorrenza tra medici è severamente proibita dalle associazioni mediche (Kessel, 1958). Esistono inoltre numerose prove del fatto che i medici siano impeganti nella discriminazione dei prezzi (Feldstein, 1983). L'Associazione Medica Americana (AIvIA) ha 107
giocato un ruolo determinante nel facilitare una discriminazione dei prezzi tendente ad accrescere la ricchezza dei suoi membri. L'AMA ha limitato il numero di medici abilitati alla professione, ha ottenuto la collaborazione degli ospedali per controllare dove i futuri medici possono fare pratica, e ha fatto pressione contro programmi governativi (ad esempio, nuove facilitazioni per la formazione, borse di studio per studenti in medicina e piani medici prepagati), che avrebbero aumentato il numero dei medici o ridotto le loro possibilità di discriminazione dei prezzi (KesseI, 1958; Masson e Wu, 1974; Feldstein, 1983). L'incremento del numero dei medici incoraggia la competizione e abbassa i costi di ricerca per il consùmatore (per un punto di vista contrario, vedi Pauly e Satterthwaite, 1981). Quindi il reddito dei medici è significativamente più alto (tenuto conto di altre variabili) in quegli stati nei quali i membri del consiglio statale che fornisce le licenze alla professione medica sono nominati tra i rappresentanti della professione (cioè delle associazioni mediche di stato) ed hanno quindi maggiori opportunità di limitare l'ingresso, piuttusto che in quegli stati in cui questi vengono nominati dal governatore (Paul, 1982). Le azioni antitrust, a partire da quella avviata dalla Commissione federale e sul commercio contro l'A.lvIA nel 1975, hanno favorito l'aumento della competizione tra medici e altri forntori di servizi sanitari (Costio, 1985). Le pratiche etiche messe sotto accusa comprendevano la determinazione dei prezzi, le interdizioni alla pubblicità, i boicottaggi dei programmi di contenimento dei costi da parte degli assicuratori, e i vincoli ai contratti innovativi e mirati al contenimento dei costi. Pratiche di questo genere non sono state tuttavia del tutto eliminate, e le restrizioni all'ingresso continuano a limitare la competi108
zione. L'opportunità di un comportamento tendente a un incremento della ricchezza da parte dei medici è stimolata dalla discrezionalità di cui gli stessi godono nella prescrizione delle terapie. Ad esempio, c'è disaccordo all'interno della professione medica circa l'utilità di varie procedure chirurgiche (come l'isterectomia, la tonsillectomia) e le tariffe pro Capite per queste procedure variano ampiamente all'interno dei mercati ospedalieri (Mc Pherson et al., 1982). Ancor più illuminante è la testimonianza fornita da un recente studio riguardante la variazione delle tariffe di ricovero di 30 aree di mercato ospedaliero nel Maine dal 1980 al 1982 (Wennberg at al., 1984). Lo studio classifica tutti i ricoveri ospedalieri medici non ostetrici e chirurgici all'interno di 467 gruppi correlati di diagnosi (nac) definiti dalla riforma Medicare nel 1983. I risultati ci dicono che mentre le tariffe per l'isterectomia, prima candidata alla creazione di domanda, sono variate del 350%, il 90% dei ricoveri cadeva all'interno di un DRG per i quali le tariffe di ricovero variavano in misura ancora più ampia. È interessante notare come uno degli obiettivi della riforma Medicare del 1983 riguardasse il contenimento dei costi, passando da un sistema di rimborso retrospettivo ad un pagamento per ogni ospedalizzazione, basato su un prezzo predeterminato per ogni DRG. I medici tuttavia possono rendere più flessibili i criteri che determinano l'accettazione presso gli ospedali (ammettendo quindi un maggior numero di pazienti), scindere le diagnostiche e le procedure terapeutiche di un paziente in più di un ricovero ospedaliero, e classificare le terapie all'interno di DRG con prezzo più elevato (Simborg, 1981; Wennberg et al., 1984) oltre che prescrivere un maggior numero di quelle cure che non sono
soggette alla limitazione dei DRG, come la riabilitazione e l'assistenza infermieristica domiciliare. La possibilità che si verifichi un simile comportamento è confermata dalla reazione dei medici all'introduzione di vincoli all'aumento dei prezzi. Tra il 1971 e il 1974 l'incremento annuo nei prezzi delle prestazioni mediche e nelle rate di rimborso del programma Medicaid in California fu soggetto all'imposizione di un tetto del 2,5%. Nel periodo in cui erano in atto i controffi gli incrementi nei prezzi Medicaid aumentarono in misura inferiore al 3%, mentre la quantità di servizi fatturati ai pazienti Medicaid era aumentata dal 9 al'll% nèl primo anno è dall'8 al 15% nel secondo anno. Tuttavia, nel primo anno successivo alla rimozione dei controlli i prezzi fatturati dai medici ai pazienti aumentarono del 23%, e la quantità dei servizi fatturati cadde al 9%. Analogalmente, nel periodo 1970-1975 le quote di rimborso pagate dall' assicurazione medica universale della provincia del Quebec restarono invariate. I medici cui venne chiesto di accettare i rimborsi a titolo di pagamento pieno reagirono effettuando meno visite e rendendole tuttavia più complesse e quindi più costose; il risultato fu che le loro entrate provenienti dal programma assicurativo aumentarono del 13% (Gabel e Rice, 1985). Questi risultati dimostrano che i medici si adattano all'imposizione di un tetto dei prezzi sostituendo alcuni servizi con altri, appartenenti a categorie di prezzo più elevato. Un'ulteriore prova è fornita da uno studio più recente sugli effetti indotti da un cambiamento delle modalità di rimborso Medicare sull'intensità delle cure, sulle visite di controlla, sulle procedure chirurgiche, sui tests di laboratorio e sui raggi X nel Colorado (Rice, 1983). Il cambiamento di queste modalità ha incrementato le tariffe prevalenti
per servizi medici - un elemento importante delle tariffe di rimborso - di meno del 5% per i medici delle aree urbane e di circa il 20% per i medici delle altre aree. Un'analisi di regressione basata su tutte le richieste Medicare per i medici del Colorado per l'anno 1976, l'anno precedente la revisione, e per il 1978, l'anno successivo alla revisione, e contenente una serie di variabili critiche, indica chè la qualità (intensità) e la quantità dei servizi medici e chirurgici e delle analisi cliniche varia in misura inversamente proporzionale rispetto alle tariffe di rimborso. Ulteriori prove supportano l'ipotesi di induzione della domanda. Ad esempio, i risultati di alcune ricerche indicano che circa il 50% delle analisi cliniche non sono giustificate, che i pazienti dei programmi a rimborso effettuano circa il 50% di elettrocardiogrammi e il 40% in più di radiografie al torace rispetto a queffi dei programmi prepagati (Epstein et al., 1986) e che una diminuzione della quota a carico del paziente per ogni visita medica determina un aumento delle visite richieste (Wilensky e Rossiter, 1983). Allo scopo di ridurre la capacità dei medici di aggirare i controlli sui prezzi, alla fine degli anni Settanta la provincia del Quebec ha ridotto il numero dei codici procedurali (allo scopo di ridurne l'ascesa), ed ha imposto un limite al reddito dei medici. Coloro il cui reddito eccedeva il limite furono soggetti a riduzioni del 75% delle tariffe per il periodo restante. Questo accorgimento ha apparentemente ridotto il tasso di incremento delle spese governative per l'assistenza medica (Gabel e Rice, 1985), e presumibilmente ha anche ridotto la qualità dell'assistenza medica, riducendo gli incentivi dei medici a fornire prestazioni una volta raggiunto il limite di cui sopra, che naturalmente veniva raggiunto più in fretta dai medici più abili. Inoltre, tale accordo ha incoraggiato l'abbandono
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del programma da parte dei medici migliori, come si era già verificato nel caso del Servizio Sanitario Nazionale Britannico; ha incoraggiato i medici ad economizzare il proprio tempo e le proprie risorse a spese dei pazienti, ed ha ridotto gli incentivi ad entrare nel-. la professione medica. I medici sono altamente sensibili alle opportunità di imporre tariffe più alte. Così uno studio basato su serie storiche dal 1948 al 1966 ha evidenziato che più di un terzo dei guadagni potenziali derivanti da un miglioramento delle assicurazioni era vanificato dall'aumento delle tariffe imposte dai medici (Feldstein, 1970). Studi più recenti hanno contribuito a confermare l'ipotesi che la ricchezza sia la determinante principale del comportaménto dei medici (Steinwald e Sloan, 1974); così, un incremento di un dollaro nelle tariffe concesso da un assicuratore si risolve in un incremento da 13 a 35 cents nelle tariffe praticate (Sloan, 1982). E interessante osservare come i medici reagiscano ad un incremento nel loro reddito riducendo la quantità delle prestazioni effettuate: il tempo libero è quindi un bene superiore (Fèldstein, 1970). L'esperienza dei programmi di compartecipazione al rischio offrono ulteriori elementi sulle reazioni dei medici all'evolversi degli incentivi. Secondo questi piani assicurativi, i medici avrebbero dovuto coordinare le cure per i loro pazienti (come il ricorso autorizzato a specialisti oppure ai ricoveri), assegnando ai pazienti preventivi di spesa in base al sesso e all'età. In tal modo i medici avrebbero potuto beneficiare delle eventuali quote non utilizzate, (coprendo, in caso contrario, le differenze), mentre gli onorari degli specialisti e le rette degli ospedali sarebbero state retribuite in misura fissa, indipendente dai costi. Ovviamente questi piani sono stati eliminati, in quanto incapaci di 110
imporre alcun vincolo (come la partecipazione alle spese) agli assicurati, agli specialisti e agli ospedali, mentre i vincoli imposti ai medici risultavano essere assai deboli (Moore et al., 1983).
AMMINISTRATORI OSPEDALIERI
Assetti proprietari alternativi pongono gli amministratori ospedalieri di fronte a strutture costo-rimunerazione differenti; l'evidenza empirica suggerisce che almeno una parte degli effetti che ne c.onseguono sia significativa.
Modelli organizzativi Negli ospedali con fini di lucro i proprietari hanno diritto al reddito residuale dell'impresa, e sono quindi incentivati a controllare la peiformance. Poiché l'attività di controllo comporta costi, ed il diritto al profitto è generalmente indebolito dai regolamenti governativi per una gran parte delle attività ospedaliere, ci si può attendere che i managers ospedalieri godano di una certa discrezionalità. Ciononostante, gli ospedali con fini di lucro sono soggetti alla disciplina di mercato, e devono rispondere alle regole del mercato per sopravvivere. Di conseguenza, l'opportunità per i managers di incrementare la propria utilità a spese dei proprietari risulta limitata. Gli ospedali privati non proflt escludono diritti privati nel reddito residuale dell'impresa: Tuttavia nella praticai medici sono spesso in grado di appropriarsi di una parte consistente dei guadagni disponibili, mediante aumenti nello stipendio e altri accorgimenti finalizzati ad accrescere la ricchezza. Inoltre, questi ospedali sono soggetti a possibilità di bancarotta; l'acquisto e la vendita degli stessi
è un fatto di routine. Nonostante ciò, poiché nessun gruppo è in grado di appropriarsi interamente di tutti i guadagni, compresa la loro capitalizzazione nei prezzi correnti di trasferimento, si ha l'abbassamento del costo dello shirking, che risulta quindi incentivato. Così i managers degli ospedali privati non proJìt sono presumibilmente meno sensibili ai segnali del mercato rispetto agli amministratori di corrispondenti ospedali con fini di lucro, ed hanno presumibilmente maggiori opportunità di far valere i propri interessi, anche se le differenze nel comportamento (dei managers) tra i due tipi di imprese possono essere relativamente ridotte. Gli ospedali governativi non soltanto escludono la possibilità di diritti privati sui profitti aziendali, ma impediscono inoltre a qualsiasi gruppo all'interno della struttura di assicurarsi i guadagni conseguibili attraverso un miglioramento della gestione. Inoltre, gli amministratori di queste imprese sono meno vincolati dalle regile di mercato rispetto ai managers degli ospedali privati non proftt, e trovano relativamente facile ottenere sussidi per adempiere ad una serie di obiettivi sociali, reali ed immaginari. Ci si può quindi aspettare che i managers degli ospedali governativi siano meno sensibili ai bisogni dei loro pazienti, attuali e potenziali, rispetto ai managers degli ospedali privati non profit; essi tendono a preoccuparsi di più di quegli aspetti delle loro attività (come il numero delle giornate di degenza fornite) che sono più facilmente controllabili da parte di coloro che controllano i bilanci ospedalieri. Aumentando per i managers l'opportunità di un comportamento demotivato, gli stessi sono incentivati ad incrementare le risorse (personale, beni) poste sotto la propria supervisione, e ad allocarle in maniera da accrescere il proprio benessere. Gli stipendi ed altre
ricompense pecuniarie contrattuali degli amministratori degli ospedali senza fini di lucr0 sono però generalmente soggetti ad un tetto cui non sono sottoposti quelli degli amministratori degli ospedali con fini di lucro. Ne consegue che gli amministratori degli ospedali senza fini di lucro sono maggiormente incentivati ad allocare le risorse in maniera tale da salvaguardare la sicurezza del proprio lavoro, aumentando quindi il valore attuale di tutte le fonti di utilità collegate al lavoro e a procurarsi un numero relativamente maggiore di fonti di utilità non monetarie. In particolare, è più probabile che i managers delle imprese senza fini di lucro adottino politiche destinate a rafforzare il proprio prestigio e quello delle loro strutture, ad alleggerire il proprio carico di lavoro e a rendere quest'ultimo più piacevole. In particolare, è più probabile che gli amministratori di queste imprese scelgano politiche dei prezzi più facili da amministrare e giustificare. Di conseguenza, ci si può attendere che essi cambieranno meno spesso i prezzi degli outputs adeguandoli meno velocemente alle condizioni esistenti della domanda e dell'offerta, e favorendo l'influenza di determinati gruppi di interesse. Nel caso degli ospedali privati non profit, gli amministratori sono inoltre incentivati a offrire stipendi più elevati, attraendo così un più ampio gruppo di aspiranti tra i quali selezionare i lavoratori con le caratteristiche preferite (come la congenialità), ad assegnare aumenti salariali ai subordinati ai vari livelli, e ad attribuire ulteriori emolumenti, quali una maggiore sicurezza del posto di lavoro ed un maggiore coinvolgimento nelle decisioni gestionali, allo scopo di ridurre gli attriti. Se l'output prodotto dai due tipi di imprese è identico, ci si può attendere che gli ospedali orientati al profitto abbiano costi minori rispetto a quelli degli ospedali governativi. 111
Nella pratica, ovviamente, gli outputs differiscono. Ad esempio, i managers degli ospedali governativi sono incentivati a foca lizzare l'attenzione su quelle caratteristiche dell'output che sono più facilmente controllabii da parte dei loro supervisori, come ad esempio il numero delle giornate di degenza. Tuttavia, il numero delle giornate di degenza può essere aumentato trattenendo i pazienti più a lungo; poiché il costo di produzione dei servizi di tipo alberghiero è minore (di quello dei servizi medici), si determina un costo dei servizi sanitari apparentemente inferiore.
impiegato I'80% del tempo in più per effetture le prestazioni e che hanno commesso il 140% di errori in più. Successivamente, lo stesso campione è stato suddiviso in tre categorie, lasciando unito il gruppo delle imprese proJìt (12 imprese) e separando il gruppo delle non proJìt in gruppi mutualistici (13 imprese) e "altre" (53.imprese), queste ultime per lo più Blue Shield (Frech, 1980). Rispetto ai managers delle altre imprese non proJìt, i managers dei gruppi mutualistici hanno in genere maggiori opportunità di appropriarsi dei vantaggi di una gestione più efficiente, attraverso strumenti come i contratti di management e mediante la Confronto con la prassi proprietà di imprese che vendono servizi agli Il comportamento delle imprese proftt e non enti da loro amministrati. projìt che gestiscono le prestazioni del pro- Come era prevedibile, i costi di produzione getto Medicare per l'Amministrazione della dei gruppi mutualistici erano più alti del 22% Sicurezza Sociale (un'agenzia federale), forrispetto a quelli delle imprese proJìt, ma eraniscono una buona esemplificazione (Frech, no più bassi (del 19%) rispetto a quelli delle 1976). Questi agenti, che hanno il compito altre imprese non proftt. I gruppi mutualistidi stabilire se le tariffe sono ammissibili e di ci erano inoltre caratterizzati da tempi di effettuare i pagamenti, vennero scelti dal Mi- trattamento più lunghi e da un maggior nunistro per il Dipartimento per la Salute, l'E- mero di errori rispetto alle imprese profit, anducazione e l'Assistenza (HEw), secondo criche se la loro peiformance non era significateri diversi dall'asta competiviva; ad essi ventivamente diversa rispetto a quella delle alnero attribuiti diritti esclusivi di attività al- tre imprese non profit. l'interno di specifici territori, compensati sulIl confronto tra le imprese proJìt e le "altre la base di un "costo ragionevole". Nessun non profit" (esclusi i gruppi mutualistici) è agente è mai stato allontanato per scarso ren- particolarmente sorprendente. I risultati modimento. Lo studio utilizzava dati I-IEW del stravano che le "altre non projìt" incorre1970 per mettere a confronto lape7formance vano in costi di produzione più alti del 51%, di 12 enti proJìt e di 66 enti non proJìt (mu- che i tempi di attuazione dei trattamenti eratue, Blue Shield, un'agenzia governativa e un no più lunghi dell'84%, e che gli errori comgruppo di attività sanitarie prepagate) nel ge- messi erano superiori deI 124% rispetto alle stire le prestazioni (Frech, 1976). imprese con fini di lucro. Benché alcuni I risultati di un'analisi di regressione effet- aspetti delle procedure analitiche utilizzate tuata rispetto al valore totale delle prestazioni siano dubbi (De Alessi, 1980), i risultati comsvolte in un mese e rispetto alla media delle plessivi sembrano tali da reggere il confronprestazioni hanno dimostrato che le impre- to con indagini empiriche più rigorose. se non proJìt sono incorse in costi di tratta- I piani privati della non profit "Blue Cross", mento più alti del 45%, che le stesse hanno che rappresentano circa la metà del mercato 112
delle assicurazioni private negli Stati Uniti, godono di esenzioni fiscali grazie alle leggi federali e a molte leggi statali. Di conseguenza, esse possono operare - e di fatto operano - a costi più alti rispetto alle concorrenti commerciali corrispondenti (Higgins e Bruhn, 1981). Inoltre, i piani Blue Cross soggetti a tassazioni statali hanno costi più bassi rispetto a quelli che non lo sono (Vogel, 1977). Poiché gli amministratori degli ospedali non projìt sono più sensibili a considerazioni di natura politica e burocratica, essi sono meno incentivati a utilizzare le informazioni di mercato, preferendo risorse peÉ loro meno costose da acquisire, utilizzare e giustificare pubblicamente. I dati dimostrano che, rispetto agli ospedali con fini di lucro, i consiglieri di amministrazione degli ospedali non proJìt siano più inclini a scegliere managers laureati in amministrazione ospedaliera (una qualifica facilmente controllabile), a valutare la peiformance organizzativa basandosi su indagini piuttosto che non sulle risposte del mercato, e ad utilizzare pratiche contabili raccomandate dall'American Hospital Association (Clarkson, 1972). I managers degli ospedali non projìt sono inoltre meno incentivati, rispetto a quelli dei corrispondenti ospedali con fini di lucro, ad utilizzare combinazioni di risorse a più basso costo. L'evidenza empirica suggerisce che gli ospedali non projìt siano caratterizzati da una maggiore variabilità dei salari da essi corrisposti e, quindi, nella qualità del personale e nella combinazione di inputs utilizzati. Altri indicatori, tra cui la variabilità della proporzione di maschi e femmine impiegati, suggeriscono allo stesso modo che gli ospedali non proJìt (pubblici e privati) siano caratterizzati da una maggiore variabilità più ampia degli inputs rispetto agli ospedali con fini di lucro (Clarkson, 1972).
Un recente studio sulle case di cura proJìt e non proJìt fornisce ulteriori prove, utilizzando dati relativi al periodo 1973-1974 per 600 strutture. I risultati hanno dimostrato, tenuto conto dell'educazione generale e infermieristica, dell'esperienza, dell'età, del sesso e di altre variabili, che le imprese projìt pagano i salari più bassi, e che più è forte l'incentivo aminimizzare i costi coperti dal piano di rimborso Medicaid (ad es., tariffe uniformi indipendenti dalle spese o dal livello delle cure), più bassi sono i salari corrisposti (Borjas et al., 1983). Altri dati confermano l'ipotesi che gli ospedali non proJìt siano meno propensi a minimizzare il costo di produzione dell'output prescelto. I risultati di un'analisi di regressione condotta su un campione di piccoli ospedali per degenze brevi (tutti localizzati nella regione del medio sud del Tennessee) hanno registrato gli effetti indotti da un incremento del numero dei pazienti sul numero delle unità di personale impiegato nella produzione di tre tipi di servizi ospedalieri: medici, alberghieri e amministrativi (Rushing, 1974). Nel caso degli ospedali con fini di lucro, un incremento percentuale del personale preposto alla somministrazione di servizi medici e ad un decremento percentuale del personale preposto alla somministrazione di servizi amministrativi ed alberghieri, un risultato implicito nell'ipotesi di massimizzazione della ricchezza. Nel caso di ospedali privati e pubblici senza fini di lucr0, per contro, un incremento nel numero dei pazienti si rifletteva anzitutto in un incremento percentuale del personale amministrativo, una tattica destinata ad alleggerire il carico di lavoro degli amministratori. Alcune più recenti e più rigorose ricerche confermano questi risultati con riguardo all'efficienza relativa dei reparti di medicina nucleare negli ospedali privati con fini di lu113
cr0, non profit e governativi (Wilson eJadlow, 1982). In questo studio sono stati utilizzati dati del 1974 relativi a oltre 1200 ospedali per stimare i parametri della frontiera di produzione (outputs alternativi massimi) ottenibili mediante varie combinazione alternative di inputs. È stata quindi eseguita un'analisi di regressione tra le divergenze dei singoli ospedali della frontiera e cinque variabili riflettenti l'intensità competitiva, la specializzazione nell'offerta di servizi per la medicina nucleare, gli sforzi interni di addestramento, più due variabili relative alla forma proprietaria. I risultati hanno dimostrato che le due variabili più importanti nel determinare la vicinanza alla frontiera erano l'intensità competitiva e la forma proprietaria; gli ospedali con fini di lucro erano in genere i più vicini. Anche la competizione impedisce lo shirking. La competizione dei fornitori, attuali e potenziali, fornisce una verifica della peformance, incoraggia Io sviluppo e l'adozione di accorgimenti contrattuali e di controllo più efficaci, ed infine determina l'eliminazione dei produttori a più alto costo di qualsiasi data combinazione quanti-qualitativa richiesta dai consumatori. Evidenze empiriche provenienti dalla zona di Minneapolis/St Paul dimostrano che la competizione all'interno degli HMOS determina costi inferiori (che si riflettono in premi assicurativi più bassi), resi possibili da tassi di ospedalizzazione più bassi, da contratti innovativi di compartecipazione al rischio che determinano la diminuizione dei prezzi dei ricoveri ospedalieri, e da minori costi dei servizi amministrativi e delle cure ambulatoriali; la competizione determina inoltre costi di ricerca più bassi per il consumatore, e accresce la soddisfazione di quest'ultimo per la qualità dei servizi (Christianson e Mc Clure, 1979). Inoltre, la competizione stimola gli ospedali a 114
produrre servizi più specializzati. Uno studio effettuato su un campione di 3720 ospedali non federali per ricoveri brevi, utilizzando dati del 1983 e tenendo sotto controllo una serie di fattori, ha evidenziato che gli ospedali che avevano più di 20 concorrenti erano più propensi del 166% ad offrire chirurgia del by pass e del 147% ad offrire angioplastica coronarica rispetto agli ospedali che non avevano concorrenti a livello locale. Un altro importante studio ha confrontato alcune caratteristiche della peformance degli ospedali con fini di lucro con quelle degli ospedali gestiti dall'Amministrazione dei Reduci (VA), un'agenzia governativa federale. (Lindsay, 1976). Poiché alle imprese pubbliche manca il profitto come misura della performance manageriale, gli organi preposti al controllo (come gli appositi Comitati del Congresso) debbono cercare di misurare la produttività direttamente. Di conseguenza, i inanagers sono incentivati a stornare le risorse verso quegli attribuiti di qualità che sono più facili da controllare, incrementando così il prodotto visibile delle loro organizzazioni. L'evidenza empirica conferma la validità di questa analisi. Come era prevedibile, gli ospedali VA hanno un rapporto personale pazienti più basso. Essi impiegano inoltre un numero relativamente maggiore di medici con caratteristiche meno gradite ai pazienti (come l'appartenenza a minoranze etniche, o l'incapacità di parlare inglese), che possono quindi essere assunti ad un prezzo inferiore. Le giornate di degenza, che sono una misura dell'ouiput, possono essere prodotte ad un prezzo minore se i pazienti sono relativamente meno gravi, perché in tal caso l'assistenza ai pazienti (servizi alberghieri) può essere fornita utilizzando in minor misura i servizi medici. Ne consegue che i pazienti in cura per ogni singola malattia hanno una degenza più
lunga presso gli ospedali VA e presso gli ospedali locali e statali che negli ospedali con fini di lucro. Risultati analoghi sono stati riportati in uno studio condotto dal Generai Accounting Office (Lindsay, 1976). E opportuno sottolineare ulteriori aspetti relativi alle istituzioni.che caratterizzano la gestione degli ospedali negli Stati Uniti. Ad esempio, le spese ospedaliere per costruzione, rinnovo, dotazione di capitali, espansione di servizi e per altre finalità approvate dagli organismi governativi preposti venivano fino a poco fa automaticamente incluse nella base usata per chiedere allo stato il rimborso dell'assistenza ai pazienti assicurati. L'approvazione dei progetti riduce così il loro costo per gli ospedali; verranno quindi richiesti e approvati più progetti di quanto sarebbe giustificato impiegando criteri di mercato. Questo meccanismo dei prezzi contribuisce a spiegare il rapido incremento nello sviluppo e nell'utilizzo di tecnologie avanzate, così come l'aumento del numero medio di lavoratori ospedalieri per pazienti, che è passato da 3 nel 1970 a 3,6 nel 1977 (Muller, 1981). Non è sorprendente che i controlli sui servizi forniti contribuiscano a ridurre i costi. Un riesame delle richieste di prestazioni assicurative di 222 gruppi di impiegati e &pendnti nel periodo 1984-1985 indica che il controllo obbligatorio delle prestazioni richieste (certificati di prima ammissione, controlli sulle assegnazioni, contròlli permanenti) ha ridotto del 12,3% i ricoveri, dell'11,9 le spese ospedaliere e dell'8,3% le spese mediche totali (P.J. Felstein et al., 1988). Le riduzioni sono state significativamente più consistenti nei gruppi con tassi di ricovero relativamente alti: in questi gruppi in particolare, le giornate di degenza erano diminuite del 34% e le spese ospedaliere del 30%. Altri fatti confermano l'ipotesi esaminata in
questo studio. In generale, è evidente che gli ospedali con fini di lucro sono gestiti con maggiore efficienza rispetto agli standards di mercato. Gli ospedali senza fini di lucro, tuttavia, producono in parte servizi che altrimenti verrebbero a mancare. Se esiste la necessità di questi servizi, sorge allora la questione se assetti istituzionali alternativi non sarebbero preferibii per produrli. Ad esempio, mettere a disposizione certi servizi non implica che gli stessi debbano essere necessariamente prodotti dalle agenzie governative competenti: queste ultime hanno sempre la possibilità di stipulare convenzioni con altre agenzie governative e con imprese, proJìt e non proJìt. Il convenzionamento esterno fornisce misure della peiformance, e offre inoltre i vantaggi determinati dalla competizione tra fornitori potenziali. Questa strategia si risolve in genere in costi più bassi (De Alessi, 1980, 1982), e tende a essere sempre più spesso utilizzata nell'offerta di servizi sanitari (ad es. Melia et al., 1983).
ALCUNE TENDENZE ATTUALI
Negli Stati Uniti si è registrato, negli ultimi venti anni, uno spostamento dagli ospedali non proJìt verso quelli con fini di lucro, comprese le case di cura e gli i-uvlos (Saward e Sorensen, 1982). A partire dalla metà degli anni Settanta c'è stato un ulteriore spostamento, all'interno del settore proflt, dagli ospedali indipendenti alle grandi catene di ospedali privati. Questo cambiamento è stato evidentenente stimolato dallo Stato e dalle procedure federali di rimborso piuttosto che da costi inferiori (Pattison e Katz, 1983; Watts et al., 1986). Particolarmente interessante è il fenomeno del franchising (First Alert, Humana), che, come il franchising in altre industrie, diminuisce i costi di ricerca 115
per il consumatore e stimola la concorrenza. L'estensione e le conseguenze di quésto mutamento sarenno basate sulle modifiche istituzionali adottate dai governi per contenere i costi. Le modalità di rimborso delle cure prestate ai pazienti Medicare sono state cambiate in maniera drastica, e sono tuttora soggette a evoluzione (Feder et al., 1987). Nell'ottobre 1982 è entrata in vigore la TEFRA (legge sulla perequazione fiscale e sulla responsabilità tributaria), che fissava un prezzo target per ogni ospedale, applicando ai relativi prezzi per caso del 1981 un fattore di inflazione. Gli ospedali che spendevano meno rispetto al prezzo target venivano autorizzati a trattenere il 50% di qualsiasi risparmio fino al 5% del prezzo target; quelli che spendevano di più perdevano il 75% della cifra spesa in eccesso. L'anno seguente, il Congresso ha approvato il irs (prospective payment system) che corrisponde a ogni ospedale una quota fissa predeterminata per ogni caso, stabilita in base alla media dei costi per caso. Ogni ospedale si trova quindi a dover sopportare interamente le conseguenze finanziarie di costi al di sotto o al di sopra della quota prefissata. A seconda delle rispettive scadenze di bilancio, nel 1984 ad alcuni ospedali venne applicata la TEFRA e ad altri il l'Ps; è quindi possibile confrontare i dati relativi ai singoli ospedali per il 1982 e per il 1984. Da tale confronto emerge che gli ospedali soggetti al TEFRA e quelli soggetti al i''s registravano analoghi incrementi nelle entrate del Medicare per ogni caso (17,7% contro 18,5%), e tuttavia quelle soggette al i''s registravano incrementi dei costi per caso significativamente più bassi (7,6% contro 18,1%). Inoltre, maggiori erano le perdite potenziali degli ospedali soggetti al i'is che non modificavano il proprio comportamento, minori erano gli incrementi nei costi. Le proposte di riforma i-
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stituzionale hanno preso due direzioni principali: la regolamentazione attraverso il mercato e la regolamentazione imposta dal governo. E interessante come ognuna di queste posizioni abbia posto le basi per una drastica revisione di alcuni degli attuali sistemi sanitari. Nell'ottobre 1982 il Massachussettes iniziò un esperimento, della durata di sei anni, nel quale la quota massima di pagamento per ognuno dei 121 ospedali dello stato doveva essere stabilita annualmente, e distribuita tra i quattro maggiori enti paganti (le compagnie private di assicurazione, la Blue Cross, Medicare e Medicaid e i pazienti che pagano privatamente); il provvedimento conteneva inoltre misure volte a ridurre i ricoveri ospedalieri e ad incrementare la produttività (Caper e Blumenthal, 1983). Alcune possibili difficoltà connesse con questo piano riguardano la sostituzione delle cure ambulatoriali con quelle ospedaliere, ed il deterioramento della qualità dell'assistenza. Il programma globale di finanziamento ospedaliero adottato dalla provincia canadese dell'Ontario si basa su un approccio di questo genere: tuttavia in questo caso il sistema dei vincoli istituzionali è differente, comprendendo un più ampio spettro di controlli governativi sui servizi sanitari; quindi i risultati osservati possono non essere direttamente trasferibii agli Stati Uniti (Barer et al., 1988). Il governo provinciale, che provvede in ragione del 95% alle entrate di ciascun ospedale, calcola gli incrementi annuali dei bilanci ospedalieri basandosi sulle previsioni di aumento dei prezzi dei fattori - compresi il carburante, il cibo, i beni capitali e i salari del personale paramedico - a scala provinciale; eventuali errori vengono poi sanati dando luogo a finanziamenti aggiuntivi (Detsky et al., 1983). Con questo sistema, l'incremento dei bilanci ospedalieri nel peno-.
do 1968-1981 è stato molto meno rapido che genti in caso di gravi malattie (Hillman e Christianson, 1984; Mc Cali et al., 1987), ponegli Stati Uniti. Il contenimento dei bilantrebbero offrire un contributo alla soluzioci ospedalieri non implica tuttavia il contenimento dei costi; così come non implica che ne di alcune delle attuali problematiche inenon ci sia stata una diminuizione della quan- renti gli effetti di istituzioni di controllo altità e della qualità delle cure mediche forni- ternative. te. Ad esempio, il programma impedisce agli ospedali di reagire ai cambiamenti' nei costi CoNcLusIoM e nelle còndizioni della domanda a livello locale. La California ha implementato un pacchet- Le analisi teoriche e le evidenze empiriche to legislativo basato sulla negoziazione di presentate in questo studio suggeriscono alconvenzioni di prepagamento tra lo stato e cuni degli effetti di istituzioni alternative su i fornitori di servizi sanitari (Melia et al., qualità, quantità e costo dei servizi sanitari. 1983). È prevedibile che la competizione tra Quindi, i piani assicurativi che comportano fornitori determinerà effetti drammatici sul oneri di compartecipazione alle spese di encosto delle giornate di degenza negli ospedali tità trascurabile eliminano gli incentivi per della California (Howell et aL, 1988). Il pro- i pazienti ad economizzare sulle spese per gramma prende inoltre in considerazione l'assistenza sanitaria. Questi programmi in l'acquisto, da parte dello stato, delle assicu- effetti incoraggiano i pazienti a ricercare servizi di qualità più elevata, e a consumare una razioni per la salute per indigenti dalle comquantità maggiore di quella che sarebbe racpagnie private di assicurazione, e l'eliminacomandabile dati i costi sociali necessari per zione della burocrazia statale Med. -Cal. Tutprodurre questi servizi. tavia questo approccio non stimola adeguatamente la competizione tra i medici, e non I vincoli alla competizione, quali restrizioni incentiva a sufficienza i pazienti ad econo- sulla pubblicità (ad esempio il prezzo, la quaniizzare su qualità e quantità delle prestazioni lità e i tipi di servizi offerti) e all'ingresso di sanitarie. nuove imprese, incrementano i costi di ricerAlcuni osservatori hanno contrastato i pro- ca per i consumatori e la capacità dei fornigrammi del Massachussetts e della Califor- tori di servizi sanitari di sostenere costi più nia in quanto principali esempi di soluzioni alti, prescrivere terapie che potrebbero non opposte al problema del contenimento dei co- essere nell'interesse dei pazienti, far pagare sti: l'una in senso competitivo, l'altra nel sen- prezzi più alti e di impegnarsi nella differenso della regolamentazione (Kinzer, 1983). ziazione dei prezzi. Benché questa dicotomia appaia troppo for- I produttori privati proJìt di servizi sanitari te, gli approcci utilizzati differiscono signi- generalmente incorrono in costi inferiori e ficativamente e dovrebbero produrre risul- rispondono meglio ai bisogni del consumatati di sicuro interesse. Questi due approc- tore rispetto alle corrispondenti imprese non ci, unitamente ai risultati di altri program- projìt, che a loro volta sembrano comportarmi, come il sistema (prospective payments) del si meglio - sempre secondo gli standards di New Jersey (Rosko, 1984) e l'asta competi- mercato - delle imprese pubbliche. I risultiva in atto nell'Arizona per il programma fi- tati coincidono con quanto osservato in alnalizzato a offrire assistenza medica agli indi- tri settori ed in altri Paesi (De Alessi, 1974, 117
1980; Borcherding, 1981). I risultati descritti consentono alcune inferenze di carattere generale circa le riforme istituzionali che potrebbero abbassare i costi dei servizi sanitari senza effetti avversi sulla loro quantità e qualità. Quindi alcuni cambiamenti potrebbero risolversi non solo in. prezzi più bassi, ma anche in una migliore qualità e in una maggiore quantità. Le riforme più promettnti sono incentrate su una ristrutturazione degli incentivi per abbassare i costi di produzione, per diffondere informazioni sulla natura e i costi di terapie alternative, e infine per indurre i consumatori e i fornitori di servizi sanitari ad acquisire e a rispondere alle informazioni (Enthoven 1981). Per esempio, la creazione di domanda da parte dei medici verrebbe seriamente limitata da un aumento della competizione, oltre che da una maggiore motivazione ed informazione dei pazienti. L'incremento della competizione incoraggerebbe inoltre lo sviluppo e l'adozione di accorgimenti contrattuali tendenti a ridurre i costi (Christianson, 1981), come le forme di assicurazione offerte da un gruppo di medici (Evans, 1980). La competizione tra fornitori di servizi sanitari potrebbe essere incrementata rimuovendo, o riducendo, una vasta gamma di vincoli allo scambio, formali ed informali. Tali vincoli anticompetitivi includono la determinazione dei prezzi, le restrizioni alla pubblicità, la limitazione del numero delle licenze, gli ostacoli all'adozione di tecniche produttive a più basso costo, e l'adozione di una definizione restrittiva di ciò che costituisce la professione medica. Inoltre, la competizione potrebbe essere ulteriormente stimolata promuovendo la privatizzazione delle assicurazioni sanitarie pubbliche e dei servizi sanitari pubblici, magari attraverso un 'offerta competitiva (vedi Christianson e Smith, 1984-85) e mediante la rimozione di ostacoli 118
(come le esenzioni fiscali) che favoriscono le organizzazioni senza fini di lucro. L'obiettivo è quello di sfruttare in maniera più completa il potere del mercato nel trasmettere informazioni e nel dare incentivi agli agenti economici. Si potrebbe inoltre incrementare per i pazienti l'incentivo ad economizzare su qualità e quantità dei servizi medici consumati costringendoli a sopportare una quota più alta del loro costo. Ad esempio, le assicurazioni pubbliche potrebbero richiedere quote più alte (Manning er al., 1987), oppure offrire rimborsi di cassa per non aver utilizzato il servizio. Quest'ultima soluzione rappresenterebbe una sorta di tassa sul reddito negativa per le spese mediche, e viene attualmente sperimentata in un progetto dimostrativo avviato in California. Benché alcuni datori di lavoro stiano cercando di ridurre i premi delle assicurazioni sulla sanità che essi pagano a favore dei loro dipendenti (Feldman et al., 1984-85), includere quei premi nel reddito imponibile degli stessi incoraggerebbe la ricerca di piani assicurativi più efficaci rispetto ai costi (Phelps, 1984-85). Sia i datori di lavoro che il governo sono incentivati a stabilire una relazione più stretta tra la domanda dei singoli per l'assistenza sanitaria e il costo sociale da sostenere per produrla (Throw, 1985). L'alternativa all'aumentata fiducia nel mercato è l'incremento della regolamentazione imposta dal governo, soluzione che continua ad essere politicamente desiderabile (Borcherding, 1981; Kinzer, 1988). Tuttavia non esiste una funzione di benessere sociale; inoltre, i decisori del governo tendono a massimizzare la loro utilità: posti i vincoli istituzionali, le loro scelte sono in funzione del loro interesse, o nella migliore delleipotesi in funzione della loro idea di benessere pubblico (De Alessi, 1980).
Le regolamentazioni dei servizi sanitari sono state finora relativamente inefficaci (1984-85) e contraddittorie (Stone, 1985). Per cui le regolamentazioni statali e federali, legislative ed amministrative, riflettono le pressioni provenienti da particolari gruppi di interesse in conflitto tra loro, con un limitato successo nel contenere i costi, mentre le decisioni giudiziali hanno incoraggiato l'incremento delle spese, aumentando le responsabilità dei fornitori. L'industria sanitaria è interessata da cambiamenti radicali, e i professionisti sono soggetti alle difficoltà derivanti per alcuni dall'aumentata burocratizzazione e dai controlli sui prezzi (per esempio, nel caso degli assicuratori), e per altri dall'aumentata competizione, che determinerà in futuro ulteriori cambiamenti (Alper, 1987; Berrien, 1987; Kralewski et al., 1987). Per rendersi conto dell'importanza del problema, si consideri che ogni anno il 70% di tutte le spese Medicare sono destinate al 9% di quelle coperte (Thurow,1985). La tecnologia 'ta facendo di ognuno un candidato alle malattie "catastrofiche", tutti, eccezion fatta per coloro che muoiono inaspettatamente nel sonno o prima di poter ricevere le cure del caso, sono destinati a morire di una qualche malattia che assorbirà un'enorme quantità di risorse (Thurow, 1985). Importanti modifiche istituzionali miranti a contenere i costi sono inevitabili (es . Ginzberg, 1987). Sfortunatamente, il futuro non fa presagire nulla di buono alla luce delle realtà po-
litiche, considerata la pressione in atto per le cure a lungo termine e per la terapia delle malattie "catastrofiche" (Inglehart, 1987; Kinzer, 1988), e l'incapacità di comprendere gli effetti delle istituzioni sulle scelte; incapacità che si riflette nel tipo di riforma proposta per la revisione del progetto Medica re (Blumenthal et al., 1986), nella "remunerazione razionalizzante" dei medici (Roe, 1985) e nella nazionalizzazione dei servizi sa: nitari (Himmelstein e Woolhandler, 1986; Caper, 1988).
NOTE
Desidero ringraziare Elinor Olstrom, Robert J. Staaf e G. Ullinan per i loro preziosi suggerimenti. Un particolare ringraziamento va a David H. Feeny, che ha accuratamente riesaminato varie versioni di questo saggio La mia intenzionale noncuranza di alcuni dei suoi suggerimenti lo libera totalmente dalla responsabilità di qualsiasi eventuale errore contenuto nello stesso. Una prima versione di questo stesso saggio è stata presentata ala conferenza internazionale "Efficacia ed Efficienza nella produzione dei Servizi. Sanitari", tenuta a Torino il 14 e il 15 marzo 1985, e pubblicata in italiano negli atti della stessa conferenza (De Messi, 1987) (n. dell'A.). (Traduzione di Maria 011a). La stesura finale del saggio è stata pubblicata su «Journal of Theoretical Politicis,>, 1989,. 1(4) pagg. 427-458. Al fascicolo di questa rivista rinviamo i nostri lettori più specializzati per l'amplissima bibliografia che, in linea con le caratteristiche dei nostri dossiers, abbiamo ritenuto di non riportare qui (n. della Red.).
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queste,istftuzioni
L'organizzazione del non profit L'interesse per le fondazioni e per le organizzazioni variegate del non profitto e del volontariato si fa sempre piz forte. C'è da chiedersi se ilfatto non debba essere messo in relazione con la con giuntura di crisi ideale e di pensiero debole in cui vivono le società e le istituzioni. In quakhe modo c'è in questo interesse la risposta ad un malessere che sembra soffocare le volontà politiche che non siano mera con quista o gestione del potere o di quel che resta del potere. In Italia come nei paesi che non seguono il diritto consuetudinario c'è un problema preliminare: come razionalizzare e chiarire l'apparato normativo che, nato in ben altra temperie, iion sembra adatto a garantire un fenomeno che sta ora conquistando un posto di primo piano nella vita sociale dopo essere stato tenuto al margine per lungo tempo. Per la verità già negli anni Sessanta vi fu un dibattito che registrò apprezzabili contributi dottrinali e suscitò in sede parlamentare un promettente progetto di legge, ma come spesso succede gli sviluppi del discorso furono modesti se non nulli. 121
Il rinnovato interesse per questa realtà ha spinto autorevoli studiosi a riprendere il discorso iniziato 25 anni fa. Ne sono testimonianza le ricerche promosse già qualche anno addietro dalla Fondazione Napoli Novantanove: Le fondazioni in Italia e all'estero a cura di Pietro Rescigno, dalla Fondazione Adriano Olivetti: Non per profitto a cura di Maria Chiara Bassanini e Pippo Ranci e Les fondations culturelles en Europe a cura di Marina e Pierre Schneider. Interesse, questo, che non si limita all'universo scientijìco, ma che ha fatto breccia anche in sede parlamentare, sia a livello nazionale che comunitario. Crediamo che non si debba perdere una simile congiuntura e che quindi vada stimolata e sviluppata una riflessione che deve andare al di là della stessa razionalizzazione normativa pur certamente indispensabile. Ripensare i "corpi morali" può essere un modo per offire gli strumenti ideali per risolvere i problemi che le crisi e le impasses del cammino verso il welfare state hanno lasciato lungo la strada e per rimo-. tivare una partecipazione degli individui alla solidarietà sociale. C'è da aggiungere tuttavia che un interesse per le fondazioni di tipo molto diverso da quello appena segnalato deriva dalfatto che intorno all'istituto giuridico. "fondazione" sta per iniziare un nuovo capitolo di esperienze in ragione del riassetto del settore bancario pubblico. Si tratta di un riordino che si realizza intorno a due classiche figure del diritto privato: la società per azioni per l'attività bancaria e, appunto, la fondazione per la gestione "in senso non profit" degli utili che spettano alla proprietà che rimane pubblica in senso sostanziale, ma non pit secondo le regole e gli istituti del diritto pubblico. Può trattarsi di un rilancio importante nel nostro ordinamento delle fondazioni. Di che tipo saranno sul piano dell'attività sostanziale? E quali effetti avrà la loro presenza sul fenomeno delle organizzazioni del non profitto? Sono domande importanti alle quali bisognerà dare una risposta.
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Associazioni e organismi del settore privato non profit in Europa Un processo di crescita irreversibile ma difficile di Pablo Eisenberg
I cambiamenti economici e politici che hanno avuto luogo in Europa alla fine degli anni Settanta e durante gli anni Ottanta hanno comportato enormi tagli alle spese di tipo assistenziale. Migliaia di lavoratori hanno perso il posto di lavoro, soprattutto gli immigrati assunti nel periodo subito precedente per svolgere mansioni ritenute umili dai cittadini europei. Il tasso di disoccupazione ufficiale ha raggiunto il 10-12 per cento ed è rimasto tale. Con economie stagnanti, ristretti mercati del lavoro, scarse possibilità di alloggio, la vita per gli immigrati ed i po veri in generale è divenuta molto dura. La richiesta pressante di benefici e programmi sociali ha contribuito ad aggravare lo stato, già messo a dura prova dai bilanci nazionali. Per tutta risposta, l'amministrazione conservatrice della Thatcher ha cominciato in Gran Bretagna a ridurre progressivamente l'apporto assistenziale del Governo, lamentando il cattivo funzionamento nel passato dei programmi assistenziali e deplorando la crescita attraverso un atteggiamento di dipendenza dallo Stato. I Paesi Bassi, dal canto loro, più miti per tradizione ed in virtù di un governo di coalizione, hanno seguito una politica di tagli meno severa quanto ai programmi ed alle spese pubbliche. Il governo socialista in Francia, pur non abbandonando l'intento di costruire una rete di sicurezza per le fasce di popolazione più
disagiate, ha tuttavia dovuto restringere a sua volta le uscite a fronte dei programmi sociali. Anche coloro che criticano aspramente la tendenza a ridurre l'intervento assistenziale dei Governi esprimono largo consenso nei confronti di un più ampio coinvolgimento dei cittadini, nell'ambito d'iniziative di autosostegno e di tutte Ié iniziative locali intraprese dai privati e da organizzazioni non profit. In Francia, le autorità lamentano l'esistenza di una cittadinanza passiva, dipendente da un radicato sistema burocratico centralizzato. La presenza del Governo, secondo loro, non potrà più essere così dominante. E ormai opinione diffusa in Gran Bretagna, in Olanda e in Francia che esista un bisogno reale di diffusione del settore non profit; vi è la consapevolezza, infatti, che nei prossimi 10 anni i Governi disporranno di risorse limitate e dovranno coinvolgere nuovi partners dal mondo dei privati, e delle organizzazioni non profit. Anche gli strati di popolazione meno abbienti, le minoranze ed i gruppi d'immigrati, mentre sono sottoposti all'erosione di indispensabili benefici e programmi di servizio sociale, auspicano ed incoraggiano l'avvento di iniziative che li coinvolgano direttamente nelle organizzazioni non proJìt e in imprese private. Rimane il grosso interrogativo sul se, come e quando questi ambiti della popolazione riusciranno a far fruttare il proprio coinvolgimento nel senso di un reale consolidamento 123
del proprio potere, della propria forza d'influenza e delle proprie opportunità economiche. Così come si presenta oggi, il settore non profit nei tre paesi risente di uno scarso profilo degli amministratori, d'una fondamentale scarsità di aiuti dall'esterno, di una eccessiva dipendenza rispetto al governo e di una scarsa presenza nelle comunità che hanno maggiore bisogno di assistenza.
MANCANZA DI UN'AMMINISTRAZIONE EFFICIENTE E VITALE
In effetti; il problema non è tanto quello della grandezza e dell'estensione. In Gran Bretagna e nei Paesi Bassi il mondo non proJìt è in proporzione altrettanto esteso, se non di più, rispetto quello americano. In Francia, solo nel 1986 sono nate circa 40.000 organizzazioni private, stando ad un rapporto della Banca Mondiale redatto da Charles Fleming. I maggiori ostacoli per una reale efficienza del settore non proJìt sembrano consistere soprattutto nella fragilità del settore amministrativo, nella scarsità.di personale e nella dimensione ridotta della sfera d'azione. Diversamente dagli Stati Uniti, sono piuttosto poche le associazioni non profit che hanno uno staff di professionisti regolarmente retribuiti. I bassi stipendi e lo scarso profilo delle organizzazioni volontaristiche hanno rallentato l'emergere di una classe di lavoratori professionisti. Conseguentemente, molte di queste organizzazioni portano avanti iniziative blande, di breve durata ed alquanto inefficaci. La tradizionale predominanza del Governo nei paesi europei può servire a spiegare la scarsa risonanza pubblica delle organizzazioni volontaristiche, ma un altro grosso limite deriva da una evidente constatazione: le associazioni di volontari non sono accreditate 124
presso l'opinione pubblica e sono male amministrate. Dove esiste un senso di responsabilità, esso si esercita nei confronti del singolo donatore, anziché della società in generale. Médecins du Monde, i cui medici volontari forniscono cure gratuite ai bisognosi in Francia e all'estero, ha scioccato letteralmente il mondo non proJìt un paio d'anni fa, allorquando ha commissionato una revisione del proprio bilancio e ne ha reso pubblicamente noti i risultati. Questa iniziativa, però, non sembrerebbe aver apportato un'innovazione sul piano contabile; i rapporti annuali sulle attività delle associazioni non proJìt sono rari e ancora più rare le verifiche contabili disponibili al pubblico. In generale, il mondo non profit in Gran Bretagna, Francia e Paesi Bassi sembra muoversi timidamente, in modo poco vivace. Esistono relativamente poche organizzazioni che esercitano attività di lobbying disinteressato, che svolgono un'azione di critica nei confronti del governo e ne chiamino in causa le responsabilità, che organizzano la popolazione a livello locale per accrescerne ed avvalorame i poteri ed incrementare iniziative di auto-sostenimento, che promuovono campagne in merito a questioni di pubblico interesse o che agiscono come gruppi di sostegno in grado di offrire un apporto tecnico, manageriale o finanziario alle organizzazioni locali e regionali. Né esistono molti raggruppamenti di organizzazioni non proJìt che si siano coalizzate per combattere su una o più questioni di comune interesse. Vi sono tuttavia segnali che testimoniano come un numero crescente di organizzazioni non proJìt stia divenendo più reattivo e maggiormente coinvolto in azioni di pressione politica. In Francia, Médecins du Monde, ATD Quart Monde e SOS Racisme hanno condotto con successo attività di lobbying in merito a questioni sociali. Nei Paesi Bassi, le tre
maggiori associazioni per l'edilizia abitativa si sono unite per giocare un ruolo importante a sostegno dell'edilizia per le fasce di popolazione meno abbiente; le chiese di Amsterdam si sono unite a comunità organizzate formando una Commissione contro la Povertà; infine LSOBA, una coalizione di minoranze e gruppi d'immigrati, sta intensificando la propria attività di lobbying su problemi che investono i propri sostenitori. Le organizzazioni nazionali britanniche come Sbelter, il Child PovertyAction Group e la Law Pauy Unit stanno intensificando le loro campagne a sostegno del diritto alla casa, ai benefici assistenziali ed al minimo salariale. Anche l'attività in crescita degli ambientalisti in tutti e tre i paesi riflette un risveglio dell'attivismo.
SCARSA DIFFUSIONE NELLE COMUNITÀ PIÙ DISAGIATE Soprattutto, le iniziative non proJìt scarseggiano nelle comunità meno abbienti, fra le minoranze o i gruppi di immigrati. In questi ambiti, le organizzazioni volontaristiche sono generalmente a carattere squisitamente locale ed hanno una natura informale, fondandosi sulla religione, sulla cultura, sul principio di fratellanza e promuovendo attività di reciproco sostegno. Le organizzazioni più strutturate perlopiù forniscono servizi, portano avanti programmi di apprendistato, educativi, varano iniziative imprenditoriali. Solo una piccola parte è in grado di intraprendere attività di lobbying nei confronti del governo o di figurare come parte in causa in processi o, ancora, di affrontare programmi di una certa mole e condurre battaglie di tipo politico. Ben poche arrivano ad avere un organico di almeno 5 persone. Troviamo solo un esiguo numero di orga-
nizzazioni "di vicinato" o "di comunità" intese all'americana, gruppi con una base di sostenitori e di membri a basso reddito che si battono attraverso l'azione collettiva, attività di pressione politica, iniziative di tipo concreto ed anche economico, programmi di aiuto reciproco così da incrementare il potere di quanti risiedono in una certa area circoscrizionale. Né gruppi organizzati, né corporazioni dedite allo sviluppo dell'intera comunità hanno ancora messo radici. In Inghilterra, tuttavia, la Foundation for Community Organization - di recente creazione - ha lanciato un modello di associazione (c.d. "Alinsky"), inteso a portare avanti i propri sforzi a Bristol e l'amministrazione Thatcher sta incoraggiando le minoranze ad intraprendere attività e progetti di tipo anche economico. Nei Paesi Bassi, dove le organizzazioni di base erano fiorite negli anni Settanta, il crescente conservatorismo ed i tagli al bilancio hanno portato le organizzazioni nell' ambito degli immigrati e dei gruppi a basso reddito a doversi ridimensionare ed a diminuire. Il movimento per le occupazioni abusive è quasi scomparso del tutto. E tuttavia abbastanza sorprendente che esistano ancora quasi 1.600 piccoli gruppi attivi nella sola Amsterdam e numerosi altri in città come Vlaardingen, Delft, Rotterdam e le Hague. Sfortunamente, quando ancora all'apice dell'attivismo, poche organizzazioni olandesi hanno costruito una solida base in termini di membri e di potere, sviluppando e diversificando le proprie attività. La tradizionale benevolenza del governo olandese può avere indotto le comunità dei meno abbienti a credere che ci sarebbe stato scarso bisogno di permanenti forze di resistenza di base. A livello nazionale, nei tre paesi esaminati, vi sono poche organizzazioni influenti che 125
rappresentino le minoranze, i poveri, gli immigrati. Diversi fattori concorrono a spiegare ciò: le dimensioni relativamente esigue dei gruppi d'immigrati e delle minoranze; la loro frammentazione; una tendenza alla autocommiserazione e dunque una scarsa abitudine alla rivendicazione; la mancanza infine di un valido supporto finanziario da parte dei privati. Gli sforzi per creare delle coalizioni, che negli Stati Uniti hanno avuto tanto successo, sono stati dunque minati dalla frammentazione delle comunità. In Gran Bretagna, gli Afro-Caraibici, gli Indiani, i Pakistani, gli Africani, i Cinesi, gli immigrati dal Bangladesh si sono raggruppati in organizzazioni non collegate le une alle altre, e meno che mai con le comunità dei bianchi poveri. Lo stesso vale per i Paesi Bassi, dove gli immigrati dal Suriname, dalle Antille, dalla Turchia, dal Marocco, dalla Cina e dal Sudafrica competono per ottenere i già scarsi aiuti governativi e per trovare lavoro nel settore privato. I Francesi, invece, sono stati abili nel fondere alcune minoranze etniche all'interno di forti organizzazioni nazionali che lavorano sui problemi della razza e della povertà. sos Racisme, FASTI, ATD Quart Monde e France Plus sono emerse creando una leadership ed un polo di attivismo in questi settori d'interesse. Una delle difficoltà che preoccupa maggiormente è lo sviluppo della leadership. Ben pochi leaders tra le minoranze e gli immigrati godono del carisma e del prestigio, nonché della rappresentatività necessarie, ovvero esercitano la dovuta influenza sulla popolazione in generale. Vengono spesso costretti ad accollarsi responsabilità ed oneri troppo pesanti e dunque creano aspettative che non possono essere soddisfatte. Questo limite è ancora più evidente laddove non esiste
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alcun programma per la creazione ed il rafforzamento di una kadership fra le minoranze ed i gruppi di immigrati di più recente insediamento. Alcuni programmi di scambio, come il Ger-
man Marshall Fund's Ethnic Minority Fellowships, prevedono utili esperienze di apprendistato in tal senso, ma si tratta pur sempre di iniziative troppo ridotte per scopo e dimensioni perché possano apportare grossi cambiamenti. Un veloce progresso delle minoranze e delle comunità di immigrati dipenderà dalla misura della crescita di una leadership giovane ed aggressiva nel corso del prossimo decennio. Le rotte tradizionali del progresso - migliori opportunità di educazione ed un più ampio accesso alle professioni - giocheranno un ruolo importante in questa direzione. Tuttavia, molte strategie "informali" che si sono dimostrate vincenti negli USA potranno ugualmente rivelarsi più che importanti. Il ruolo di organici professionali e di una classe di membri selezionata nelle organizzazione non profit sono fattori di potenziale crescita. Ciò nonostante, allo stato attuale, ben raramente i rappresentanti delle minoranze e degli immigrati fanno parte degli organici e delle memberships delle organizzazioni non profit che non abbiano una natura specificatamente etnica se non con mansioni di segreteria.
CARENZA DI SISTEMI DI SUPPORTO Molta della vitalità, dello stato di "salute" e delle capacità delle organizzazioni comunitarie locali negli USA è attribuibile ad una solida rete di istituzioni di supporto, che esistono per consolidare la loro valenza istituzionale e per sviluppare le potenzialità generali e tecniche dei loro organici. Queste "or-
ganizzazioni intermedie" forniscono un'assistenza tecnica quanto allo sviluppo programmatico, alla pianificazione, all'addestramento del management amministrativo e contabile, all'impianto organizzativo, alla crescita dello staffe della membership, all'attività di ricerca, di raccolta dei finanziamenti, alla formulazione delle strategie di politica pubblica da seguire ed alla formazione di una leadership adeguata. Esse facilitano altresì la comunicazione e Io scambio fra le organizzazioni locali che altrimenti rimarrebbero isolate. Alcune fungono da intermediari finanziari, reperendo capitali per le organizzazioni non projìt coinvolte nelle politiche abitative e nelle iniziative di sviluppo economico. In Francia, una parziale assistenza tecnica viene fornita da organizzazioni nazionali, sebbene abitualmente solo a istituzioni locali loro affiliate. I Paesi Bassi vantano un sistema di supporto più avanzato. Circa 40 centri di assistenza, regionali e locali, tutti alimentati da fondi governativi, forniscono aiuto ai centri comunitari ed alle organizzazioni. Due o tre, come l'Institute for Welfare a Vlaardingen, forniscono aiuto sul piano dell'organizzazione e dello sviluppo organizzativo. Nei paesi in questione, inoltre, l'assistenza tecnica è generalmente vista come consulenza per programmi o progetti specifici. Sono pochi coloro che possono fornire un aiuto in termini di programmazione e di sviluppo, addestramento professionale, management finanziario ed amministrativo, attività processuali, contabilità, raccolta di fondi. Eppure questo è il tipo di aiuto di cui hanno disperatamente bisogno molte, se non la maggior parte, delle organizzazioni non proJìt. In Europa, inoltre, molte delle organizzazioni intermedie sono pesantemente, se non completamente, dipendenti dai sussidi governativi,
con il che si viene in gran parte ad inficiare la natura, l'efficacia e là completezza della loro azione. Organizzazioni olandesi molto conosciute come Workshop 2000 e Planwinkel sostengono di non poter più attingere ai fondi del governo per supportare tecnicamente le comunità di base. Altre organizzazioni lamentano tagli ai finanziàmenti che provengono dal governo e sostengono di essere controllate più da vicino rispetto al passato. Un altro tallone d'Achille nel sistema degli aiuti è la tendenza a "sovrapporre" personale e competenze a quello delle organizzazioni di base in relazione a determinati progetti o programmi, anziché impostare il lavoro per creare competenze e capacità all'interno delle strutture di base in modo che possano da sole impostare e completare i propri programmi. Business in the Community, per esempio, fornisce aiuto in relazione ad iniziative di sviluppo economico intraprese in diverse aree urbane della Gran Bretagna. Eppure, la gran pàrte delle attività che questa organizzazione svolge sembrano non essere mirate verso il consolidamento delle organizzazioni di base, bensì verso il raggiungimento di obiettivi particolari. Sarà dunque difficile che le organizzazioni di base possano progredire senza un sistema di aiuti più esteso e più forté. I sussidi governativi ed i contribuiti occasioali - varati con appositi decreti di stanziamento - non sono utili al fine di soddisfare il bisogno di un apporto efficace ed indipendente in termini di assistenza. Così fra non molto, le stesse organizzazioni intermediarie avranno sempre più bisogno di alimentare i pròpri bilanci ricorrendo a so127
stanziosi contributi privati,
INIQUIITÀ NELLA SCALA DELLE PRIORITÀ DEI GOVERNI
attualmente meno disposto ad appoggiare questo ruolo fondamentale delle organizzazioni non profit di quanto non fosse dieci anni fa. I tre Governi, tuttavia, potrebbero ben presto non avere scelta e trovarsi necessariamente a dover cambiare punto di vista. Quando le organizzazioni non proJìt dovessero incrementare il proprio attivismo e l'attività di lobbying, i Governi si troverebbero ad avere a che fare con gruppi che, come i loro corrispettivi in America, si fanno carico della responsabilità d'influenzare le politiche pubbliche, chiamano in causa i Governi ad ogni livello ed intraprendono campagne per la tutela dei diritti.
I Governi della Gran Bretagna, dell'Olanda e della Francia hanno sostenuto la crescita del settore non profit durante la passata decade per varie ragioni e con diversi gradi di entusiasmo. Il Governo britannico si è dimostrato, per Io meno a parole, quello più favorevole, considerando il settore non proJìt come una effettiva opportunità di trasferire una parte sostanziale delle proprie responsabilità in mano ai privati. Il Governo olandese ha assunto un atteggiamento più cauto, però anch'esIn Gran Bretagna, l'amministrazione Thatso ha intravisto nella crescita del settore non cher ha incrementato i fondi da destinare alle proJìt la possibilità di assottigliare i margini organizzazioni non profit utilizzandoli per di dipendenza dei cittadini dall'apparato svolgere corsi di addestramento, per creare statale. opportunità di sviluppo economico e per reaDal canto suo, il Governo francese sembra lizzare servizi sociali. Come risultato, molti in una certa misura ambivalente, probabilgruppi di minoranze e di soggetti a basso redmente a causa della compresenza di un forte dito hanno adottato questi obiettivi come losenso dell'autorità intesa tradizionalmente, ro propri. In altre parole, hanno dirottato i come nucleo centralizzato, e della necessità loro sforzi in direzione delle attività per le di far fronte ai tagli di bilancio inevitabili in- quali si rendevano disponibili i finanziamencoraggiando le iniziative private. ti, anziché rispondere alle concrete e presIn ogni caso né il Governo britannico né santi esigenze delle comunità che rapprequello francese vedono il settore non proJìt sentano. molto diversamente da una macchina in graLe organizzazioni che vorrebbero far sentido di fornire certi importanti servizi riemre maggiormente la propria voce nell'opiniopiendo i vuoti lasciati dai programmi del ne pubblica facendosi carico della difesa dei Governo. diritti del cittadino si trovano a dover affronLe aspettative del Governo britannico si postare un dilemma classico. sono succintamente riassumere attraverso Se cominciano a diventare più aggressive e questa lapidaria dichiarazione di un rappre- via via piu coinvolte nella politica pubblica, sentante dell'Home ofJìce: «La politica del corrono il rischio di perdere gli aiuti finanGoverno è quella di far fare alle organizzaziari di cui hanno estremamente bisogno in zioni non proJìt ciò che noi vogliamo». An- funzione della loro esistenza pura e sempliche il Governo olandese, che ben presto ha ce. D'altro canto, se si attengono ad un tecompreso l'utilità delle forme di autotutela, è nore di attività ordinario, non possono arri128
sorizzato gruppi di patrocinio e programmi piuttosto discutibii a favore di minoranze o ceti a basso reddito. L'Anglican Church's Urban Fund elargirà 4 milioni di dollari all'anno a gruppi circoscrizionali e progetti vari, ed almeno altri flussi di denaro verranno convogliati a favore dei poveri da altre congregazioni religiose. La maggiore fonte di finanziamenti per la popolazione a basso reddito in Olanda, cosiccome per gli immigrati e le associazioni femminili, è la Queen Juliana Foundation, che nel 1987 ha dato 3 dei suoi 13,5 milioni di dollari a favore di quei gruppi che rappresentano fasce di popolazioni particolarmente disagiate. IL FILANTROPISMO RIEMPIRE IL VUOTO? Può Il denaro della Chiesa ha invece contribuito a finanziare una campagna nazionale contro Il filantropismo pubblico e privato determina negli Stati Uniti la capacità, la varietà, la la povertà. forza, l'energia del settore non profit. Com- La Fondation de France ha una posizione preprendendo oltre 28.000 fondazioni, migliaia dominante nel mondo delle fondazioni francesi. Dei 23 milioni di dollari erogati nel di donatori, centinaia di comunità ecclesiali 1986-87, circa la metà sono andati ad orgae milioni di contributori privati, il filantropismo rappresenta un motore per il cam- nizzazioni impegnate nella lotta contro la povertà, ma nulla per un supporto generale di biamento. cui vi è essenziale bisogno. Al contrario, in Gran Bretagna, Francia e Paesi Bassi il filantropismo è un fenomeno Le organizzazioni non proJìt, nei tre paesi og getto della ricerca, stanno cominciando a spelimitato, procede cautamente, è un mondo rimentare nuove strategie di raccolta dei con"opaco". Con poche eccezioni, si rivolge altributi presso donatori individuali. Molte orla ricerca scientifica, all'educazione, alle arganizzazioni francesi hanno adottato in via ti ed alla cultura, nonché ai tradizionali serprincipale tecniche di raccolta dei contribuvizi sociali. Soltantò una minima parte delle ti attraverso l'invio di lettere di richiesta spese è rivolta alle attività di tutela processuale dei diritti, ai problemi dei meno abbien- espressa. Alcune associazioni britanniche stanno introti, delle minoranze o ad iniziative ed orgaducendo metodi di finanziamento attravernizzazioni che concernono l'attività politica. D'altro canto, i finanziamenti pubblici sono so deduzioni dai libri paga, e diversi gruppi locali hanno instaurato un regime di autopronotoriamente carenti. Ciò nonostante, molte corporazioni britan- mozione "porta a porta". Sebbene ancora ridotto ed incerto, l'apporniche, sotto l'impulso dell'amministrazione to filantropico in Gran Bretagna, Paesi BasThatchere del principe Carlo, hanno cominciato a varare nuovi programmi. La British si e Francia mostra di possedere le caratteristiche per diventare una forza significativa Petroleum e l'Allied Dunbar hanno spon-
vare a svolgere un'azione efficace contro i problemi ed i condizionamenti che affliggono le minoranze e gli strati di popolazione a basso reddito. Il Governo olandese e quello francese sembrano essere più tolleranti nei confronti del dissenso che il Governo britannico. Tuttavia, la dipendenza dal finanziamento pubblico e l'esiguità dei contributi privati in tutti e tre i paesi continuano a limitare fortemente le attività dei gruppi non profit, specialmente di quelli coinvolti nella titela dei diritti e nella politica pubblica.
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durante i prossimi 10 anni. A mano a mano che migliorano le condizioni "di salute" delle associazioni già esistenti, si rendono disponibili fondi per nuove fondazioni ed associazioni, dunque per nuovi programmi. I Governi stanno incoraggiando il settore privato e le associazioni .corporative in generale stanno cominciando a considerare l'importanza del proprio ruolo filantropico. Dunque, un fermento esiste. Come e con quali ritmi indurrà un cambiamento effettivo è difficile a dirsi. Molto dipenderà dal-
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l'aiuto fornito alle organizzazioni non proJìtdai tre Governi e da altre istituzioni. Mal'ingrediente più importante di tutti potrebbe essere l'impegno delle organizzazioni stesse, nonché dei loro leaders, a concentrare le loro energie per rafforzare le strutture organizzative, la propria consistenza, efficienza e affidabilità.
(Traduzione di Daniela Tòrdi).
Associazionismo e volontariato in Parlamento
di Bernardino Casadei
Una prova dello sviluppo e dell'importanza del fenomeno associativo nel nostro paese è data dalle proposte di legge attualmente in esame al Parlamento volte ad offrire una disciplina ed una tutela ad una realtà che appare sempre più rilevante per lo sviluppo della società. Sin dalla passata legislatura, sull'onda lunga del finanziamento pubblico ai partiti, l'On. Bassanini presentò un progetto di legge volto a garantire finanziamenti per quelle organizzazioni che realizzano finalità umanitarie, scientifiche, culturali, religiose, politiche, sindacali, di promozione sociale e civile, di salvaguardia dell'ambiente e del patrimonio culturale e artistico senza fini di lucro. La proposta, la n. 2970 della Camera, assegnata alla prima Commissione in sede referente, non riuscì a raggiùngere l'aula prima della fine della legislatura a causa delle obiezioni da parte del Governo, principalmente per ragioni di bilancio: si sarebbe trattato di una perdita di getto non quantificata. Così il 2 luglio 1987 lo stesso Bassanini e altri notevoli esponenti di diversi partiti (complessivamente 5 del gruppo della Sinistra indipendente, 10 democristiani, 11 comunisti, 6 socialisti e 3 verdi) la ripresentarono con la speranza che un così vario e qualificato appoggio ne avrebbe permesso la rapida approvazione, tanto che si pensò di abbinarle la proposta Teodori del gruppo dei Federalisti europei, volta ad abrogare la miriade di leg-
gine di finanziamento per tali associazioni, così da realizzare una normativa unitaria. La realtà deluse tali aspettative e si dovette constatare, già in sede referente, una mancanza di volontà che comportò notevoli ritardi dovuti anche alla lentezza con cui la Commissione bilancio forniva il suo parere. Assegnata alla Commissione affari costituzionali il 21 settembre 1987, poteva arrivare in aula solo il 5 luglio 1990. In realtà, dopo i primi dubbi sollevati nelle sedute del 7 e del 21 ottobre oltre che in quella del 3 dicembre 1987, si dovette attendere quasi un anno per iniziare la vera e propria discussione il 5 ottobre 1988. Il dibattito portò ad una mutazione radicale della fisionomia della norma tanto da abrogare articoli fondamentali quali l'art. 2 che, istituendo un fondo sulla base del 2 per mille del gettito IJUEF da ripartire secondo le scelte operate dai contribuenti nel modello 740, rappresentava la vera novità, e l'art. 5 che garantiva la copertura finanziaria. Inoltre l'art. 3 non chiariva sufficientemente la normativa nei confronti dei partiti politici.
LA DISCUSSIONE ALLA CAMERA
Così amputato il progetto aveva ben poche possibilità di venire approvato ed infatti appena giunto in aula venivano sollevate questioni di pregiudizionalità costituzionale. I 131
missini Valensise, Franchi, Tassi, Pazzaglia si richiamavano all'art. 81 Cost. e all'assenza di una specifica copertura finanziaria, mentre i federalisti europei Mellini, Calderisi, Cicciomessere si richiamavano agli articoli 3, 18, 49 e 8 primo comma della Costituzione. Secondo loro veniva infatti leso il principio d'uguaglianza attraverso un meccanismo che portava a una disparità di trattamento fra vecchie e nuove istituzioni e che permetteva un potere di discriminazione non eliminato dalle condizioni di iscrizione all'elenco degli enti e delle associazioni. Inoltre si notava come veniva istituzionalizzata la concessione di immobili comunali per le attività di queste organizzazioni senza nessuna garanzia di parità ed uguaglianza di trattamento. Parallelamente l'On. Battistuzzi del partito liberale sollevava questione di merito, rilevando che si trattava di una forma surrettizia di finanziamento ai partiti, che avrebbe aggravato il deficit in un momento particolarmente delicato, che avrebbe realizzato dei privilegi per particolari forme associative, che avrebbe accollato l'amministrazione di verifiche laboriose e dispendiose e che comunque era poco opportuno apportare tali modifiche senza una profonda riflessione sulla riforma fiscale, le norme di finanziamento per i partti e soprattutto la legge quadro sul volontariato allora in esame al Senato. E interessante notare come l'opposizione accomunasse i partiti minori, anche di opposte tradizioni politiche quali i missini, i repubblicani, i liberali, i socialdemocratici e per alcuni timori gli stessi demoproletari, mentre i derriocristiani, i socialisti e i comunisti respingevano le mozioni, anche se solo questi ultimi si incaricavano di difendere espressamente il progetto in questione. Spicca infatti l'assenza d'intervento in aula da parte dei deputati DC se si eccettua Soddu, il qua132
le però parlava in qualità di relatore, e di quelli socialisti, se si esclude un intervento di Labriola. Quest'ultimo però era chiaramente destinato a creare un precedente volto a garantire l'utilizzo del voto palese per l'approvazione della legge sull'emittenza. Questo porterà gli On. Bassanini e Bordon ad accusare gli altri firmatari di aver realizzato una mera manovra strumentale e di aver di fatto affondato il provvedimento. In particolare veniva accusato proprio l'On. Labriola, presidente della I Commissione e firmatario della proposta di legge, di aver repentinamente cambiato opinione. E opportuno rilevare che malgrado il profilo ideale e generale che il progetto rivestiva e malgrado l'ampiezza di un fenomeno quale quello dell'associazionismo che interessa più di 7 milioni di cittadini, come ricordava nel suo intervento l'On. Bordon riferendosi a una recente indagine, il dibattito è stato scarsamente seguito sia dai deputati (è stato necessario aggiornare le sedute per la mancanza del numero legale indispensabile alle votazioni) che dallo stesso governo, sebbene fra i firmatari ci fosse il Ministro Girino Pomicino. Infine, proprio il 2 ottobre, primo giorno di vero dibattito in aula, veniva presentata dai Ministri Carli e Girino Pomicino la situazione del bilancio dello Stato. Ciò provocò tre richieste di sospensione dell'analisi del provvedimento dato che oramai sarebbe iniziata la nuova sessione di .bilancio. Queste non vennero votate, anche perché la discussione fu di fatto aggiornata al 6 marzo di quest'anno, quando furono presentate nuove richeste di sospensione dato che la nuova legge di bilancio aveva concluso il fondo destinato a coprire le spese ditale provvedimento e il Movimento sociale espresse a chiare letere la propria volontà ostrùzionistica. Le richieste respinte, si raggiunse ugualmente una
sospensione di fatto davanti all'intervento del Governo, rappresentato dal sotto segretario alle finanze De Luca, il quale si impegnò ad approntare opportuni emendamenti capaci di fornire un'adeguata copertura al progetto in esame.
LE RAGIONI DELLA MANCATA APPROVAZIONE
Sebbene vi sia un comune accordo sulla necessità di tutelare un mondo come quello associazionista, di cui si rileva l'estrema importanza per lo sviluppo del paese, soprattutto in una congiuntura che vede lo statalismo fortemente in crisi, l'apparato normativo che si è proposto ha sollevato notevoli dubbi da un punto ideale, ma soprattutto da un punto di vista pratico. Nato dalla volontà di estendere il modello oggi in vigore per la Chiesa cattolica, modello esplicitamente richiamato durante la discussione in sede di Commissione, all'associazionismo in genere, ci si è presto resi conto delle profonde differenze e delle difficoltà che ne sarebbero sorte. Diverso è scegliere di destinare parte del gettito mPEF fra 4 organizzazioni, di cui le due principali sono lo Stato e la Chiesa cattolica, cioè realtà ben visibili e a tutti note, diverso è operare tale scelta fra centinaia di migliaia di associazioni spesso incontrollabili. Si è argomentato che una tale noema avrebbe suscitato l'opposizione dei soggetti beneficiari del precedente fondo, i quali avrebbero potuto essere danneggiati dall'introduzione di un fondo ulteriore, ma la logica di tali supposizioni non sembra molto stringente; infatti sebbene sia possibile che una quota dei contribuenti che oggi sceglie la Chiesa cattolica nel fondo dell'8 per mille, potrebbe poi scegliere associazioni cattoliche nel fondo del 2 per mille, sentendosi con ciò libera poi di spostare la preferenza sullo Stato
riguardo all'8 per mille, è molto più probabile che tutte e due le quote vengano destinate al mondo cattolico. E ben più probabile che l'opposizione dei partiti della maggioranza che, come già è stato accennato, hanno snaturato in sede di Commissione il disegno di legge rendendone molto problematica se non impossibile l'approvazione, sia dovuta a ben concrete esigenze di pareggio del bilancio, esigenze che sono naturalmente meno sentite nei partiti di opposizione. Da un punto di vista ideale la norma in oggetto poteva sembrare particolarmente stimolante. Si trattava infatti di cogliere l'occasione per regolamentare un settore tradizionalmente trascurato dalla normativa italiana. Giustamente Bassanini ha a più riprese notato che si trattava di operare una scelta di portata generale, che mutava alcune tendenze per molti anni presenti nel nostro ordinamento. Dopo un lungo periodo di avversione nei confronti dei corpi intermedi, in nome sia dell'individualismo sia dello statalismo che, da questo punto di vista, si erano mostrate quali facce della stessa medaglia, questi sarebbero stati non solo garantiti in nome del pluralismo sancito dalla nostra Costituzione, ma anche tutelati ed aiutati da parte dello Stato. L'approntamento di una normativa generale avrebbe altresì permesso di ridurre quelle migliaia di finanziamenti ad hoc, spesso gestiti in modo poco trasparente, come l'indagine compiuta dalla Corte dei conti aveva mostrato; da qui l'accostamento del progetto Teodori a quello Bassanini, proposte di cui già Soddu aveva indicato il carattere di radicale contrapposizione. Abbinamento che forse è stato causa non ultima dei notevoli ritardi già segnalati. Si è trattato infatti dell'accostamento di due provvedimenti che Firpo ebbe a definire due estremi, tanto da risul-
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tare una vera provocazione capace di riunire chi fosse contrario all'una o all'altra ipotesi. Il progetto inoltre permetteva di adeguare la normativa italiana a quella europea con l'obiettivo di liberare le associazioni dalle spesso non disinteressate tutele da parte dei partiti politici, favorendo così l'anticientelismo. Su tale ipotesi il dissenso è stato completo. Si è infatti osservato che il nostro è un paese troppo furbo, che subito si sarebbero trovati modi per far sì che i fondi così resi disponibili potessero raggiungere ben altri scopi e forse avrebbero potuto anche sovvenzionare organizzazioni a stampo mafioso. Si affermò che in realtà sarebbe stata favorita la partitocrazia, tanto che l'On. Ravaglia del Partito repubblicano ha parlato di' 'leggina clientelare" e che infine il Comitato dei Garanti preposto alla tenuta dell'elenco degli enti e delle associazioni sarebbe stato presto lottizzato. Infine il rischio più grave, affermato da culture molto diverse come quelle rappresentate dall'On. Firpo (iu) e Russo (DP) è quello della statalizzazione di una realtà che invece deve essere espressione della massima libertà individuale e di gruppo. E infatti vero che lo Stato con una opportuna politica di incentivazioni sovvenzioni può avere un'enorme peso, che presto può trasformarsi in ingerenza, nell'indirizzare e dirigere l'attività di queste associazioni. Inoltre i particolari strumenti individuati avrebbero finito per influire negativamente sulle organizzazioni più piccole o dall'attività più discreta, ma spesso più rilevante per il benessere comunitario. Infine si tratterebbe di una proposta atta a favorire quelle esperienze che avendo soci a reddito medio-alto, potrebbero più facilmente usufruire delle agevolazioni previste. Infine la presenza di un albo definitio ogni tre anni si trasformerebbe presto in uno 134
ostacolo per la nascita di nuove associazioni. A tutte queste obiezioni si è poi aggiunta la constatazione che proprio la varietà e complessità, oltre che estensione, del fenomeno avrebbero imposto un ingente lavoro burocratico e di controllo da parte di un Ministero che dovrebbe utilizzare tutti i propri mezzi alla lotta contro l'evasione come quello delle finanze. Un ultimo obiettivo che, sebbene non fosse stato esplicitamente considerato dai firmatari, è presto diventato uno dei loro cavalli di battaglia, è la realizzazione della cosiddetta democrazia fiscale. Se il termine può lusingare per le valenze emotive che suscita, sarà forse opportuna una maggiore riflessione e ponderazione. Infatti la nostra Costituzione vieta espressamente l'utilizzo dello strumento per eccellenza di democrazia diretta, il referendum, proprio per le leggi tnbutarie e di bilancio; non ci sono dunque solo ostacoli tecnici, oggi superabili, che hanno impedito tali forme di democrazia, ma anche principi ideali che sarebbe opportuno non dimenticare se non si vuole cadere in f acii demagogie. Tutti questi problemi hanno fatto si che malgrado le assicurazioni del Governo si sia arrivati ad. una situazione di stallo che difficilmente potrà essere superata entro la fine, ormai prossima, della legislatura. Il testo unificato della legge-quadro sul volontariato approvato al Senato il 30 maggio scorso e trasmesso alla Presidenza della Camera il 4 giugno potrà chiarire la situazione, ma difficilmente riuscirà a ridare la vita ad un dibattito che, così come è stato impostato, ha raggiunto un punto morto. Sarà forse opportuno riformulare, il problema su nuove basi, magari incentrando l'attenzione sul modello delle fondazioni, così come è stato proposto dagli On. Meffini (r'z) e Valensise (MsI), altri-
menti si rischia di procedere in un dialogo fra sordi destinato alla sterilità.
LA PROPOSTA DI LEGGE SUL VOLONTARIATO
La proposta di legge sul volontariato rappresenta invece, come è stato già accennato, un testo unificato frutto di progetti presentati da Lipari ed altri senatori democristiani (n. 296 del 24/7/1987), Tarameffi ed alcuni suoi colleghi del gruppo comunista (n. 648 del 20/11/1987), Gualtieri ed altri repubblicani (n. 784 del 20/1/ 1988), Onorato della Sinistra Indipendente (n. 1582 del 7/2/1989), Filetti con alcuni missini (n. 1682 del 6/4/1989) ed infine Acquaviva del gruppo socialista con altri suoi compagni di partito (n. 2085 dell'8/2/ 1990), quest'ultima, però, con contenuti e finalità parzialmente diverse ed anche più ampie. Tutti progetti che manifestavano una visione abbastanza comune del problema in oggetto, così da poter essere unificati senza eccessive difficoltà. Alcuni, in particolare quelli dei senatori Lipari e Taramelli, tenevano largamente conto di proposte analoghe formulate nella IX legislatura. Inoltre la Commissione affari costituzionali ed il suo comitato ristretto hanno usufruito, come testimonia Elia nella sua relazione comunicata alla Presidenza del Senato il 19 febbraio 1991, dei dibattiti svoltisi in seno alla stessa Commissione nel febbraio 1985 e nell'aprile 1986, ed in particolare degli interventi della relatrice sui disegni di legge-quadro, senatrice Colombo Svevo. Inoltre la presenza di numerose leggi regionali in tema di volontariato, che si sono succedute sin dal 1981, hanno creato una situazione che imponeva un sollecito provvedimento da parte del Parlamento, capaci di fornire una struttura di carattere generale che potesse regolare un fenomeno di sempre mag-
gior rilevanza sociale. Il problema più difficile che si presentava al legislatore era la necessità di distinguere all'interno del cosiddetto "privato sociale" le varie componenti e in particolar modo delimitare il volontariato dall'associazionismo in generale e dalla disciplina delle cooperative di solidarietà sociale. Esigenza questa fortemente affermata sia dal gruppo comunista che dal progetto presentato dall'on. Onorato. Infatti esistono organismi di varia tipologia in cui non operano in misura prevalente i volontari, ma si affiancano all'opera di questi, alla pari o in misura dominante, lavoratori retribuiti su base contrattuale. La funzione integrativa e non di sostituzione che dovrebbe contraddistinguere la loro attività, rilevata soprattutto dal progetto comunista, impone un intervento legislativo che ponga garanzie in tutto il territorio della Repubblica atte a tutelare i volontari e le loro associazioni, le istituzioni pubbliche e gli stessi utenti attraverso specifiche convenzioni e l'iscrizione in appositi registri regionali. A tal proposito i repubblicani hanno rilevato che la prestazione, benché gratuita, deve essere adeguata alle specifiche esigenze degli utenti. Si è affermata la necessità di assicurare ogni attività di volontariato; a tal proposito il Ministero dell'industria, del commercio e dell'artigianato avrebbe individuato particolari meccanismi assicurativi. Inoltre, anche sul terreno dei rapporti economici tra istituzioni pubbliche e i gruppi di volontari, la legge propone di impedire fenomeni di burocratizzazione e di parassitismo nei servizi sociali. Importante è il riconoscimento da parte della Repubblica del valore sociale del volontanato, nell'articolo 1, comma i che però si limita a considerare il volontarjato di gruppo, anche per evitare i gravi rischi di strumentalizzazione che correrebbe il volontariato in135
dividuale, con conseguenze imprevedibili soprattutto sul mercato del lavoro. Da un punto di vista fiscale gli atti costitutivi delle organizzazioni di volontariato e quelli connessi allo svolgimento delle loro attività sono esenti dall'imposta di bollo e dall'imposta di registro. Le operazioni da loro effettuate non si considerano cessioni di beni né di prestazioni di servizi ai fini dell'imposta sul valore aggiunto e le donazioni ed eredità sono esenti da ogni imposta a carico delle organizzazioni. Sono deducibii le erogazioni liberali per un ammontare non superiore a lire 2 milioni ovvero, ai fini del reddito di impresa, nella misura del 50 per cento della somma erogata entro il limite del 2 per cento degli utili dichiarati e fino ad un massimo di lire lOOmilioni. Infiné i proventi derivanti da attività commerciali e produttive marginali non costituiscono redditi imponibili. Rispetto alla relazione della I Commissione permanente il testo finale mostra alcune modifiche indicative della volontà di evitare i troppo comuni finanziamenti a pioggia. Importante è l'istituzione di un Osservatorio nazionale per il volontariato con compiti di studio, sostegno e promozione, richiesta .presente in ogni disegno di legge e di un Fondo per il volontariato, finalizzato a sostenere finanziariamente progetti sperimentali per far fronte alle emergenze sociali e favorire l'applicazione di metodologie d'intervento particolarmente avanzate, norma che tiene conto di alcuni suggestioni del progetto
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Acquaviva. Inoltre sono istituiti fondi speciali presso le regioni al fine di creare centri di servizio a disposizione delle organizzazioni di volontariato. Può essere interessante notare che mentre l'art. 13 della relazione della I Commissione prevedeva una spesa di tre miliardi per l'Osservatorio e per la Conferenza nazionale, il testo finale la riduceva a 2 miliardi con i quali si sarebbero dovute soddisfare anche le esigenze del Fondo. Infine mentre nel testo della relazione si valutavano le minori entrate dovute alle agevolazioni fiscali a 20 miliardi, nel testo finale tale cifra non veniva specificata. Se non sorgeranno imprevisti, sempre possibili, la proposta di legge dovrebbe essere approvata entro la fine della legislatura, conferendo al volontariato quel riconoscimento giuridico che gli permetterà, pur senza acquistare la personalità giuridica, di comperare beni mobili registrati e beni immobili oltre ad accettare donazioni e lasciti testamentari. La nuova normativa, soprattutto attraverso l'istituziòne dell'Osservatorio nazionale, dovrebbe stimolare un maggiore interesse e una maggiore presa di coscienza sul valore e sulle esigenze del mondo del volontariato, aspetti forse più rilevanti delle seppure fondamentali agevolazioni fiscali per lo sviluppo di un universo che si fonda necessaria-. mente sulla volontà e il sentimento di responsabilità dei singoli.
Le sovvenzioni statali all' associazionismo
di Francesco Rigano
Il nesso tra il modello pluralistico prefigurato dalla Costituzione e l'atteggiarsi concreto delle garanzie di libertà associativa giustifica l'indagine sulle forme di sostegno finanziario pubblico a favore delle associazioni private quale ottica privilegiata per interpretare le trasformazioni dell'assetto pluralista del nostro Stato I . Per diversi motivi, infatti, il finanziamento pubblico è il crocevia dove confluiscono i nodi attuali del rapporto tra Stato e organizzazioni espressive del (pluralismo) sociale.
Vi è da una parte la tendenza ad assicurare piena ed effettiva libertà a siffatte organizzazioni, fondandone la disciplina nell'ambito del diritto privato: oltre alla previsione della privatizzazione degli enti pubblici associativi, stabilita in via generale dall'art. 115 del DPR n. 616 del 1977 e da altre leggi particolari 2, vanno nella direziore indicata gli interventi della giurisprudenza ordinaria e costituzionale tesi a riconoscere il diritto delle organizzazioni "espressive dell'autonomia privata", operanti nel settore dell'assistenza, di sottrarsi al regime di obbligatoria pubblicazione . A fronte di tale tendenza si pone un orientamento favorevole al finanziamento - attuato dal legislatore essenzialmente attraverso novellazioni di discipline già vigenti - che finisce col legittimare l'istanza di maggior controllo pubblico non solo sulla destinazione dei fondi erogati, ma addirittura sulla stessa organizzazione interna
dell'ente sovvenzionato
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ASSOCIAZIONI LIBERE O PROTETTE?
In tale contesto sono numerosi i problemi che emergono. Anzitutto l'interrogativo, per così dire di fondo, sulla possibilità che il finanziamento favorisca una tendenziale istituzionalizzazione - analogalmente a quanto da altri rilevato con riferimento ai partiti politici 1 preludio ad una sorta di pluralismo "assistito". Ciò comporta, per un verso, il dubbio di legittimità costituzionale della disciplina di sostegno finanziario che si troverebbe in fisiologica inconciliabiità con la formazione di "libere" associazioni 6, soprattutto con riguardo alle manifestazioni di aggregazione nelle quali assai forte è l'incidenza del volontariato 7; per altro verso, proprio la necessità del finanziamento pubblico per garantire la "sopravvivenza" di tali associazioni induce perplessità sulla loro natura di reali rappresentanti dell'autonomia sociale e dunque sulla loro capacità di porsi quali intermediari tra società civile e società politica 8. Di qui l'utilità di rilevare le fattispecie di finanziamento alle associazioni private che perseguono fini ideali. L'esatta individuazione di tale categoria di enti pone tuttavia non pochi problemi, a causa della mancanza della positiva determinazione di ciò che si debba intendere per natura ideale dello scopo 137
dell'attività giuridica, nonché per l'assenza della definizione legislativa della associazione: sia consentito qui limitarsi a chiarire che l'indagine avrà riguardo agli enti a struttura associativa disciplinati dagli artt. 14 ss. e 36 ss. cod. civ., con esclusione di quelli con finalità politiche o religiose I. Le associazioni private traggono i mezzi per lo svolgimento delle proprie finalità dai contribuiti pecuniari - degli associati o dei terzi, dello Stato o di altri enti pubblici - ovvero dai proventi dell'attività economica eventualmente svolta. Oggetto della nostra rassegna sono le leggi che prevedono contribuiti da parte dello Stato.
I
FINANZIAMENTI PUBBLICI: CARATTERI GE-
NERALI
Com'è noto, gli studi condotti sulle tecniche di finanziamento all'impresa hanno dimostrato l'impossibilità - e comunque la scarsa utilità - di una definizione unitaria della funzione del finanziamento pubblico; può essere qui sufficiente la descrizione degli effetti economici, consistenti nell'erogaziorii di pubblico denaro, con conseguente accrescimento patrimoniale del beneficiano 10. Alla categoria dei finanziamenti pubblici - ai quali le associazioni, come tutti i soggetti di diritto, possono accedere - appartengono le sovvenzioni, i crediti agevolati e le garanzie pubbliche 11; per le associazioni la sovvenzione è tuttavia il tipico mezzo di finanziamento, poiché gli altri strumenti sono destinati all'incentivazione dell'attività di impresa sì che le associazioni ne sono destinatarie solo ove (eccezionalmente) una siffatta attività svolgano. Sovvenzione è l'erogazione diretta di denaro in via ordinaria o straordinaria, del tutto gratuita senza obbligo di restituzio-
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ne da parte del beneficiano; ove si abbiariguardo al risultato economico finale, fra le sovvenzioni naturalmente si collocano anche le agevolazioni e le esenzioni fiscali 12• Sebbene le associazioni siano beneficiarie di un trattamento fiscale per alcuni aspetti di f avore, in questa sede limiteremo l'indagine all'esame delle leggi che prevedono sovvenzioni in senso stretto e cioè contributi diretti a favore delle associazioni. A rigore, dalla categoria delle sovvenzioni - ove si convenga sulla loro natura di atti amministrativi concessori 13 - dovrebbero essere escluse le fattispecie in cui non è previsto, per l'erogazione del contributo, un provvedimento amministrativo e cioè quando l'attività della P.A. è limitata «alla liquidazione, al semplice pagamento del contributo» 14 'Ciò avviene quando il beneficiato è espressamente e nominativamente indicato dalla legge attributiva del contributo, legge che assume natura provvedimentale: tale situazione si verifica talora - come si vedrà - per le associazioni. Convenzionalmente, quindi, con il termine sovvenzione si farà riferimento a tutte le ipotesi legislative di finanziamento, a prescindere dall'ambito di discrezionalità esercitata dall'Amministrazione. Estremamente difficile, forse impossibile, è rinvenire tutti i casi di sovvenzioni da parte dello Stato alle associazioni e certamente non agevole è la ricerca del collegamento tra la sovvenzione e la relativa disciplina legislativa. Senza dubbio utile si è rivelata la lettura di oltre dieci anni di bilanci dello Stato, dal 1975 al 1990: la disamina, condotta a campione, dei capitoli di spesa contenuti negli stati di previsione dei più importanti ministeri ha infatti consentito la "scoperta" di un miriade di stanziamenti. La necessaria attività per così dire di deci-
frazione dei capitoli non sempre ha dato tuttavia risultati soddisfacenti: ciò sia a causa della formulazione lessicale dei capitoli, spesso generica al punto da provocarne l'oscurità (si pensi alla formula assai ricorrente dei ."Contribuiti dovuti per legge ad enti, associazioni ecc."); sia perché talora nel medesimo capitolo sono curnulati stanziamenti derivanti da più leggi di spesa. D'altra parte, il mancato aggiornamento del "Nomenclatore degli atti", allegato al bilancio dello Stato, - lacuna in più occasioni sottolineata dalla Corte dei conti - ha talvolta impedito di individuare la legge di spesa giustificatrice dello stanziamento a bilancio. Davvero utile è stata peraltro la consultazione dei referti elaborati dalla Corte dei conti su incarico delle Camere per indagare entità e destinazione dei finanziamenti statali a favore degli enti, pubblici e privati 15• Delle fonti legislative che disciplinano i finanziamenti alle associazioni private si è tentata una classificazione, sulla base della tecnica del finanziamento, alla quale è ispirata la successiva divisione dei paragrafi.
I
CONTRIBUITI NON FONDATI SU SPECIFICHE
LEGGI DI SPESA
Non sempre gli stanziamenti a favore delle associazioni hanno avuto e hanno una specifica previsione in norme "sostanziali". La mancanza di connessione con precedenti norme "sostanziali" potrebbe a ragione far dubitare della legittimità della autorizzazione all'erogazione della spesa e del conseguente stanziamento in bilancio, posto che l'art. 81 co. 3 Cost. stabilisce il principio che ogni stanziamento di spesa deve avere necessario titolo in una precedente norma che lo preveda 16 Un importante spunto a favore
della legittimità dell'ipotesi considerata ètuttavia offerto dalla lettura del "Nomenclatore degli atti" che - in relazione ai capitoli di spesa in esame - rinvia alle normative che disciplinano le attribuzioni istituzionali dell'amministrazione nell'ambito delle quali la somma è stanziata. In proposito va ricordato che per un'autorevole dottrina la copertura delle spese inerenti alle attribuzioni istituzionali delle amministrazioni deve esere rinvenuta nella normativa "sostanziale" che siffatte attribuzioni prevede, sì che la legge di bilancio può provvedere legittimamente ad assegnare i fondi necessari per l'espletamento delle attribuzioni, sebbene non esista alcuna norma specifica di spesa: «ciò che conta è solo che le spese cui si riferiscono gli stanziamenti del bilancio attengono ad attività che trovano titolo nella normativa sostanziale», potendo il bilancio giungere alla determinazione più specifica dell'oggetto della spesa o della sua entità senza per ciò travalicare i limiti della sua funzione di assegnazione di fondi per scopi previsti (genericamente o specificamente) dall'ordinamento» 17 . In questa ottica, legittimi sono da considerarsi dunque i finanziamenti che numerosi si rinvengono nello stato di previsione del Ministero della Pubblica Istruzione e che hanno fondamento nella funzione di curare l'educazione fisica e intellettuale dei giovani, promuovendo anche la diffusione dell'arte e della cultura, secondo quanto stabilito dal iu n. 2031 del 1937 18 Autonomi capitoli di spesa prevedono contributi a favore di enti, e tra essi anche di associazioni, che perseguono fii di educazione fisica e morale della gioventù 19 che promuovono l'incremento e la diffusione di biblioteche scolastiche e magistrali 20, ovvero che promuovono l'incremento e l'insegna-
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mento delle belle arti e della musica 21; fj nanziamenti sono poi previsti per "enti e istituti culturali nelle zone di confine", a partire dal 1981 limitatamente alle regioni a statuto speciale 22. Alle funzioni istituzionali proprie del Ministero per i beni culturali ed ambientali sono invece da ricondurre Io stanziamento di "premi ed aiuti" a favore tra l'altro di enti ed istituti che abbiano eseguito o comunque promosso opere di particolare pregio ed importanza per la cultura ed industria 23, come pure la previsione di sovvenzioni e sussidi ad enti e comitati vari 24; ulteriori contributi sono poi erogati ad enti vari - tra i quali anche le associazioni - per la pubblicazione di documenti e l'organizzazione di manifestazioni tese a diffondere e valorizzare il patrimonio artistico 25. Per la mancanza di una specifica normativa sostanziale, a quelli appena ricordati potevano essere assimilati i finanziamenti erogati dalla Presidenza del Consiglio negli anni passati e gravanti sul cap. 1182 ("interventi a favore di enti, istituti, associazioni, comitati per l'incremento di attività istituzionale, per l'organizzazione e partecipazione a convegni, congressi, mostre ed altre manifestazioni" 26), sul cap. 1184 ("spese per le zone di confine 27), e sul cap. 1196 dedicato alle "spese assistenziali di carattere riservato" 28 L'assimilazione trovava tuttavia un limite nella assenza della determinazione legislativa dei compiti istituzionali assegnati alla Presidenza del Consiglio, sì che la legittimazione all'erogazione di spesa doveva essere rinvenuta nell'art. 95 Cost. Quanto forzata fosse tale operazione interpretativa, peraltro necessaria, era stato sottolineato dalla Corte dei conti nell'ambito di un Referto reso in corso di esercizio proprio con riguardo alla
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gestione, negli anni 1981-1983, delle spese previste dai capitoli prima menzionati 29 .La questione della assoluta carenza di norme autorizzanti le erogazioni da parte della Presidenza ha finito con l'essere superata di fatto dalla cessazione di tali spese a seguito della eliminazione dei capitoli a far tempo dal 1985, prima ancora quindi dell'entrata in vigore della legge n. 400 del 1988 che - per quanto detto prima a proposito delle altre amministrazioni - avrebbe potuto costituire fonte legittimante delle previsioni di spesa. Nella specifica attribuzione di funzioni assegnate da leggi di settore alla Direzione generale delle informazioni, dell'editoria e della prtprietà letteraria presso la Presidenza del Consiglio è poi da rinvenirsi il fondamento del potere di erogare contribuiti ad associazioni "culturali" 30 La dimostrata legittimità degli stanziamenti - cui si è fatto cenno - non impedisce tuttavia di rilevare alcune anomalie. Anzitutto la mancanza di una specifica norma di spesa fa sì che non solo l'entità dei finanziamenti, ma talora anche l'individuazione delle finalità e dei soggetti astrattamente beneficiari (e cioè: l'oggetto della spesa) siano determinati dalla legge di bilancio ovvero, dal 1986, dalla legge finanziaria a seguito del recepimento del capitolo di spesa inserito nello stato di previsione così come elaborato dall' amministrazione competente: si pensi ai finanziamenti afferenti ai capitoli di spesa del Ministero della pubblica istruzione, prima ricordati 31• Sempre dall'assenza di normativa specifica deriva poi l'assoluta discrezionalità della competente amministrazione sia nella scelta del soggetto in concreto béneficiato, sia nella determinazione delle modalità dell'erogazione relativaménte all'an e al quomodo della stessa: ciò si traduce nell'impossibilità di
verificare (e dunque controllare) l'utilizzazione dei fondi stanziati. Per questo aspetto interessanti appaiono i risultati dell'indagine svolta dalla Corte dei conti sulla gestione dei capitoli di spesa della Presidenza del-Consiglio. Per un verso, infatti, solo la motivazione dei singoli finanziamenti, fornita dalla Presidenza su espressa richiesta della Corte, ha consentito all'organo di controllo di concludere che gli interventi erano legittimi perché giustificati da «finalità generali non riconducibii a specifiche competenze di singole amministrazioni» 32 Per altro verso, l'esame degli elenchi dei destinatari dei contributi - elenchi acquisiti dalla Corte dei conti e acclusi in appendice al Referto - permette alcune importanti osservazioni. Anzitutto si ha conferma di quanto dinanzi anticipato a livello sintomatico; quando la dizione del capitolo di spesa è generica, nel senso che lo stanziamento è previsto a favore di enti di varia natura giuridica (istituti, comitati ecc. senza distinzione tra pubblici e privati), una quota consistente del finanziamento è erogato a favore di associazioni private: è questa la fattispecie del cap. 1182, i cui fondi erano destinati a «interventi a favore di enti ecc., per l'incremento di attività ecc.». Il secondo rilievo attiene alla incredibile - "polverizzazione" del fondo stanziato in innumerevoli finanziamenti di minima entità. Così, ad esempio, la somma di L. 300 milioni stanziata nel 1981 sul cap. 1182 risulta essere stata distribuita, ove si escluda un finanziamento unitario di L. 30 milioni, con le seguenti modalità L. 81 milioni per interventi a 43 enti vari, per un finanziamento medio di meno di L. 2 milioni per ciascun ente; la residua somma di L. 189 milioni è stata diluita in contributi inferiori al milione a
favore di destinatari che la stessa Corte dei conti ha tralasciato di individuare nella propria indagine non solo «per ovvie ragioni di sinteticità» ma anche -perché «in questi casi il disposto intervento, in considerazione della assoluta esiguità della somma, non sembra avere ripercussione di una qualche rilevanza sull'attività e sugli scopi sociali dei soggetti beneficiari» ". Terzo ed ultimo rilievo, relativo specificamente all'erogazione a favore delle associazioni: dalle rilevazioni della Corte emerge che spesso i finanziamenti sono stati assegnati a sedi locali di associazioni che già fruivano a livello nazionale di finanziamenti in forza di leggi specifiche: così è ad esempio accaduto per numerose associazioni combattentistiche
CONTRIBUTI A FAVORE DI ATFIVITÀ SVOLTE IN FORMA ASSOCIATIVA
Altra tipologia di finanziamenti, che può interessare le associazioni, è quella dei contributi destinati ad agevolare lo svolgimento di determinate attività. In tali fattispecie la previsione del contributo è espressa, sebbene quasi sempre la sua quantificazione sia rimessa alla legge di bilancio ovvero, a far tempo dal 1986, alla legge finanziaria; i beneficiari del contributo sono indicati per categorie generali dalla legge di spesa, il più delle volte con locuzioni che non distinguono sulla natura (pubblica o privata) ovvero sulla qualità (riconosciuto o non) dell'ente; talora, tuttavia, si specifica che non deve essere perseguito uno scopo di lucro (ciò quando l'attività finanziata abbia natura economica) e che l'ente deve essere dotato di personalità giuridica. All' amministrazione competente non sono imposti criteri vincolanti in ordine
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alla concreta scelta del soggetto da beneficiare, come pure piena discrezionalità è attribuita in ordine alla determinazione dell'an e del quantum del singolo contributo; la discrezionalità è, per così dire, esaltata dalla mancata previsione di controlli sull'effettiva destinazione del contributo erogato al perseguimento dell'attività finanziata dal legislatore. Ove si prescinda dall'esistenza della specifica legge di spesa, la tecnica del finanziamento è del tutto analoga a quella illustrata nel paragrafo precedente: anche in questi casi si tratta in buona sostanza di contributi a fondo perduto sulla destinazione dei quali l'Amministrazione rinuncia ad ogni controllo. Molteplici le fattispecie di finanziamento che rientrano nella categoria delineata. a) 11 Ministero degli esteri eroga finanziamenti a enti e associazioni che favoriscono attività culturali connesse, anche mediante la conservazione delle testimonianze, con la storia e la- tradizione del gruppo etnico italiano in Jugoslavia". Sempre il Ministero degli esteri può concedere contributi ad enti italiani per l'assegnazione di borse di studio o sussidi a cittadini stranieri o italiani residenti all'estero o ivi dimoranti per motivi di lavoro temporanei e (a favore di) loro discendenti conviventi «che rientrino in Italia per ragioni di studio» ovvero ai cittadini italiani che si rechino all'estero sempre per motivi di studio, nonché per l'attività generica di "assistenza" di cittadini italiani che tornino, sempre per ragioni di studio, in Italia. La legge 11 aprile 1955 n. 288, istituiva del finanziamento, aveva previsto che i contributi fossero devoluti ad «istituzioni italiane legalmente riconosciute» (art. 1 lett.c ); la più generica previsione a favore di «enti italiani» è stata introdotta con
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la successiva legge 12 marzo 1977 n. 87, la quale ha tra l'altro vincolato la concessione del contributo alla preventiva indicazione di un'apposita commissione nominata dal Ministero degli Esteri e formata da un rappresentante del Ministero della pubblica istruzione e da professori universitari 36. Contributi e sovvenzioni sono erogati dal Ministero della difesa, nei limiti di stanziamento fissati dalla legge finanziaria, a favore di enti che svolgono attività culturali, scientifiche e assistenziali di interesse per le forze armate e per l'aviazione civile, nonché a favore di associazioni di militari in congedo e di arma. 11 finanziamento è stabilito dall'art. 1 letta-) della legge 20 giugno 1956 n. 612; il successivo art. 3 dispone che i Ministri della difesa e del tesoro vigilano e controllano, ciascuno per la parte di propria competenza, l'impiego dei contributi concessi Contributi una tantum sono erogati a favore di enti che, senza scopo di lucro, svolgano attività direttè ad incrementare il turismo sociale e giovanile 38• Nell'ambito della normativa a tutela del patrimonio artistico e storico si rinvengono diverse fattispecie di finanziamento a favore del proprietario privato, eventualmente anche ente associativo. Già la legge 21 dicembre 1961 n. '1552 prevedeva la possibilità di contributi a titolo di sostegno parziale o anche totale delle spese necessarie per i lavori di conservazione di opere di "particolare interesse". Particolarmente significativa è la possibilità che "enti o istituti legalmente riconosciuti" possano ottenere contributi per le spese necessarie per la prevenzione contro i furti e gli incendi: la misura del contributo era stabilita - dalla legge 27 maggio 1975 n. 176 - nella metà della spesa affrontata, rimandendo integra comunque la possibilità dell'Amministrazione di porre integralmente a carico dello Stato la spesa
La recente legge 29 dicembre 1990 n. 431, recante misure urgenti di sicurezza per i beni culturali, ha tuttavia modificato la disciplina vigente, stabilendo all'art. i co. 3 che «enti pubblici e privati possono chiedere al Ministero per i beni culturali e ambientali l'intervento diretto dello Stato per l'adozione, l'integrazione e il perfezionamento degli impianti di sicurezza, previa dimostrazione dell'impossibilità a provvedervi a proprie spese» e) Numerosi contributi sono infine previsti per la promozione di attività in campo sociosanitario. In questo settore l'importanza delle associazioni di volontariato è riconosciuta dalla legge n. 833 del 1978, istitutiva del Servizio sanitario nazionale che, tra l'altro, prevede la possibilità di convenzioni tra le associazioni e le unità sanitarie locali 41 Di identico tenore la legge n. 685 deI 1975 che, disciplinando la materia della prevenzione e cura dei tossicodipendenti, ha stabilito la possibilità di concludere convenzioni con le associazioni private - «che abbiano come loro specifica finalità l'assistenza sanitaria, sociale e la riabilitazione di ogni categoria di persone in stato di necessità, senza scopo di lucro» - al fine di attribuire ad esse l'esercizio di singole attività fra quelle di competenza dei centri medici e di assistenza sociale 42 Numerosi i capitoli di spesa che prevedono stanziamenti, anche a favore di persone giuridiche private, non aventi finalità di lucro, per incentivare attività di ricerca o assistenza. Talora essi sembrano trovare fondamento istitutivo nella citata legge n. 833 del 1978: è il caso ad esempio del concorso alle spese sostenute per studi e ricerche nel campo delle neurolesioni o dei disadattamenti sociali In altri casi vi sono specifiche leggi di spesa
che finanziano i contributi per le associazioni che perseguono determinate finalità. La fattispecie più significativa è quella prevista dalla legge n. 297 del 1985; il Ministero degli interni può erogare contributi anche ad enti, associazioni di volontariato, cooperative e privati che operino senza scopo di lucro, per sostenere l'attività di recupero e il reinserimento sociale dei tossicodipendenti '. In questo caso, ad esempio, le erogazioni avvengono per il tramite dei Prefetti, sì che è in concreto impossibile individuare i beneficiari del contributo. Va infine segnalato che tra il 1977 e il 1982 sono stati erogati contributi per oltre 2 miliardi per l'assicurazione dei volontari e per l'attività di protezione civile svolta da organizzazioni volontaristiche: ciò in forza della legge n. 469 del 1961 '. O Con la legge n. 163 del 1985 è stato istituito il Fondo unico per lo spettacolo nel quale sono confluiti i contributi stanziati per il sostegno finanziario di enti, istituzioni e associazioni operanti nel settore delle attività cinematografiche, musicali e teatrali. Di tali contributi beneficiano anche le associazioni. Ricordiamo, ad esempio, le associazioni culturali nel settore del cinema 46, per le quali la legge n. 182 del 1983 ha richiesto che operino senza scopo di lucro, prevedendo altresì che il contributo deve essere concesso sulla base dei progetti, presentati al Ministero, dello spettacolo e dell'attività svolta, «nonché in rapporto al numero dei circoli aderenti ed effettivamente operanti» 41. Per le associazioni che svolgono attività musicali, provvidenze sono previste dalla legge n. 800 del 1967 48; per le iniziative promosse da associazioni nel campo dell'attività di prosa. dispone la legge n. 153 del 1973 La legge n. 163 del 1985 non ha innovato la
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disciplina vigente quanto alla modalità di concessione dei contributi agli enti associativi, che appare in buona sostenza condizionata dalla discrezionalità dell'Amministrazione 50 L'esame delle tabelle allegate ai referti elaborati dalla Corte dei conti in relazione agli stanziamenti stabiliti dei capp. 2577, 2578 e 2579 del Ministero dello spettacolo consente tuttavia di rilevare la estrema "polverizzazione" del finanziamento, devoluto ad una miriade di associazioni ed enti privati.
I
CONTRIBUTI A FAVORE DI CATEGORIE LEGI-
SLATWAMENTE DETER1'1INATE DI ASSOCIAZIONI
I contributi sono talora disposti dalla legge con riferimento alle associazioni appartenenti ad una medesima categoria. Esempio di questa tecnica è l'erogazione di contributi alle associazioni d'arma da parte del Ministero della difesa. La disciplina po sitiva è "essenziale", postò che la legge n. 935 del 1956 non indica i criteri per l'identificazione dei beneficiari e neppure per la quantificazione dei singoli contributi, limitandosi a richiedere che l'ente beneficiato sia dotato di personalità giuridica; le successive leggi hanno semplicemente disposto l'aumento progressivo dello stanziamento 51 A prescindere da qualche altra fattispecie 52, va detto che questo modello di finanziamento è stato adottato dalle più importanti leggi dispensatrici di contributi alle associazioni en: trate in vigore negli anni Ottanta, nel tentativo di razionalizzare il sistema dell'incentivazione e di realizzare un maggior controllo sulla destinazione dei fondi erogati. La matrice storica di questa tendenza legislativa è a mio avviso da ravvisarsi nella norma posta dal co. 3 dell'art. 115 deI DPR n. 616 del 1977, nell'ambito dunque della disciplina 144
della privatizzazione degli enti a struttura associativa. Com'è noto la norma ha disposto la cessazione al 1979 dei contributi per il sostegno dell'attività delle associazioni privatizzate, prevedendo che i contributi statali per gli anni successivi avrebbero dovuto essere corrisposti con apposite leggi e soltanto alle associazioni "nazionali" che "statutariamente e concretamente" avrebbero dimostrato di perseguire "fini socialmente e moralmente rilevanti" 53. E infatti, le fattispecie legislative di seguito illustrate, anche quando non sono espressamente riconducibili alla norma ricordata, individuano anzitutto come socialmente meritevole un settore di attività e stabiliscono quindi quali associazioni possano usufruire dei contributi, nominativamente individuandole ovvero determinando i criteri a cui l'Amministrazione deve attenersi nell'individuarle. Oltre all'accertamento dell'effettivo perseguimento del fine incentivato, attraverso l'esame del programma dell'attività associativa, i criteri attengono all'esistenza, in capo all'associazione, di particolari requisiti strutturali, determinati con riferimento sia alla capacità rappresentativa dell'ente, sia al rispetto delle regole di democrazia nella organizzazione interna dell'associazione, e addirittura talvolta prevedendo un'indagine sull'idoneità delle attrezzature di cui l'associazione dispone. L'intento di rendere più trasparente il sistema di finanziamento emerge evidente anche dalle regole stabilite per il controllo sugli enti beneficiati: oltre al divieto di utilizzare i fondi per scopi diversi da queffi per i quali sono stati erogati, viene generalmente prescritto l'obbligo di presentazione dei bilanci preventivi e consuntivi per ogni esercizio sociale relativo al periodo di godimento dei contributi; presentazione che diviene condizione indi-
spensabile per ottenere ulteriori contributi. A) Con la legge 28 dicembre 1982 n. 948 è stato disciplinato il finanziamento agli enti "a carattere internazionalistico", e cioè a quegli enti che indirizzano la propria attività alla formazione del personale diplomati co, all'organizzazione di corsi, convegni e manifestazioni culturali o scientifiche di carattere internazionale, ovvero alla pubblicazione di scritti destinati a contribuire alla conoscenza dei grandi temi di carattere internazionale. Una tabella allegata alla legge ha individuato gli enti beneficiari del contributo, indicando inoltre l'esatto ammontare del finanziamento per ciascuno di essi; in sede di revisione della tabella - da attuarsi ogni tre anni con DPR su proposta del Ministero degli esteri - è tuttavia prevista la possibilità di inserimento di ulteriori enti, il contributo a favore dei quali non deve essere superiore alla misura del 65% delle entrate risultanti dal bilancio preventivo dell'anno precedente a quello per il quale il finanziamento è erogato 54. In aggiunta a questi contributi "ordinari" è data la possibilità al Ministero degli esteri di concederne altri "straordinari" - anche a favore degli enti non ricompresi nella tabella, ma che tuttavÌa perseguano le finalità incentivate - per «singole iniziative di particolare interesse o per l'esecuzione di programmi straordinari» 55. Condizione imprescindibile per ogni tipo di contributo è che l'ente operi sulla base di un programma di durata almeno triennale e disponga di attrezzature idonee allo svolgimento delle attività programmate; inoltre, annualmente dovranno essere trasmessi al Ministero degli esteri i bilanci preventivi e con-. suntivi "redatti e deliberati" dagli amministratori dell'ente beneficiato, il quale è tenuto a fornire "delibere, documenti, atti e
informazioni" necessari al Ministero stesso per esercitare la vigilanza sull'ente e per redigere l'annuale relazione sull'attività svolta dagli enti, relazione da presentare alle Camere 56 Nell'ambito delle funzioni di controllo, il Ministero degli esteri ha il potere di sospendere o eventualmente disporre la cessazione del finanziamento ove riscontri l'inattività dell'ente, la comprovata destinazione dei contributi a fini non istituzionali ovvero gravi irregolarità nella loro gestione 51. Due brevi osservazioni si impongono ad illustrazione del contenuto normativo della legge, l'una relativa alla tecnica di individuazione dell'ente beneficiato e l'altra in ordine alle modalità di coordinamento con altri contributi previsti a favore degli enti inclusi nella tabella. Per il primo aspetto interessa rilevare che la legge contempla quali possibili destinatari sia gli enti pubblici sia quelli privati, senza distinzione fra associazioni o fondazioni, e soprattutto non richiede che l'ente beneficiato svolga l'attività incentivata senza fine di lucro 58 Quanto agli enti privati, in particolare, l'art. 3 co. 2 prescrive che i bilanci preventivi e consuntivi - da trasmetteisi al Ministero - siano redatti e deliberati dagli organi amministrativi competenti secondo le modalità dettate dal DPR 18 dicembre 1979 n. 696 per la classificazione delle entrate e delle spese degli enti pubblici di cui alla legge 20 marzo 1975 n. 70. Lo schema previsto dal DPR n. 696 ricalca sostanzialmente la struttura del bilancio statale, ed è dunque assai lontano dal modello di bilancio adottato generalmente dagli enti associativi privati, che è ispirato alle regole civiistiche del bilancio societario: di qui la necessità per gli enti di apportare le necessarie modificazioni alle proprie regole statutarie, nel termine
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- fissato dall'art. 3 Co. 3 - di sei mesi dall'entrata in vigore della legge n. 948. Equivoco appare comunque il riferimento alla approvazione del bilancio da parte dell'organo amministrativo; almeno per le associazioni, inderogabile è l'attribuzione di siffatta competenza all'assemblea dei soci rimanendo all'organo amministrativo l'onere di redigere il progetto di bilancio da sottoporre all'approvazione dei soci '. Quanto al problema del coordinamento con altri contributi, l'art. i Co. 6 espressamente ha disposto che con l'entrata in vigore della legge fossero abrogate le previgenti norme recanti finanziamenti a favore degli enti inclusi nella tabella ed erogati dal Ministero degli esteri; rimane integra dunque la possibilità per gli enti di ricevere contributi per lo svolgimento di attività diverse da quelle previste dalla legge n. 948 e rientranti in settori di competenza di Ministeri diversi da quello degli esteri. In effetti tutti gli enti ricompresi nella tabella godevano di contributi statali già prima dell'entrata in vigore della legge n. 948, in forza di specifiche leggi di finanziamento. Così, ad esempio, la Associazione italiana per il consiglio dei Comuni d'Europa (ccE), associazione costituita nel 1952 e con sedein Roma, ha beneficiato di contributi in base a leggi "provvedimento" a partire almeno dal 1962 60; con modalità pressoché identiche un'altra serie dileggi ha provveduto alla periodica e costante erogazione di contributi a far tempo almeno dal 1962 al Consiglio italiano del movimento europeo, associazione privata anch'essa con sede in Roma 61• E difficile, poi, verificare l'effettiva osservanza del divieto di cumulo di contributi a favore dello stesso ente erogati dal Ministero degli esteri: rileviamo, a mo' d'esempio, che la Società italiana per l'organizzazione
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internazionale ha ottenuto nell'esercizio finanziario 1985 non solo il contributo di L. 450 milioni in forza della legge n. 948, ma anche un contributo di L. 36 milioni tratto dallo stanziamento regolato sul cap. 2655 dello stato di previsione del Ministero degli esteri, in forza della legge n. 87 del 1977, esaminata al punto B del precedente paragrafo 62• B) In forza dell'art. 49 del DPR n. 616 del 1977 alle Regioni sono state trasferite le funzioni amministrative relative alle istituzioni culturali di interesse locale, nonché il compito di contribuire finanziariamente al loro "sostegno" 63• Allo Stato rimane dunque la competenza all 'eventuale finanziamento degli enti culturali di interesse nazionale; al riordinamento del settore ha provveduto almeno in parte la legge 2 aprile 1980 n. 123, intitolata appunto «norme per l'erogazione di contributi statali ad enti culturali». La tecnica adottata dal legislatore è assai simile a quella utilizzata per il finanziamento alle associazioni internazionalistjche. Anche in questo caso, infatti, l'identificazione-degli enti beneficiati è operata mediante una tabella adottata ogni tre anni con DPR emanato su proposta del competente Ministero dei beni culturali: la legge prescrive i requisiti necessari per l'iscrizione nella tabella, indicati nello svolgimento di servizi di rilevante valore culturale o nello svolgimento di attività di ricerca, sempre comunque sulla base di un programma almeno triennale e attraverso l'utilizzazione di idonee attrezzature già nella disponibilità dell'ente 64• L'ammontare globale del finanziamento è determinato con riferimento allo stanziamento già inserito al cap. 1606 dello stato di previsione del Ministero dei beni culturali degli anni precedenti al 1980; le modificazioni allo
stanziamento, rese necessarie dalla revisione periodica della tabella, sono demandate alla legge finanziaria. Analogalmente alla disciplina prevista dalla legge n. 948/1982, il potere di vigilanza sulla effettiva destinazione dei finanziamenti è in capo al competente Ministero dei beni culturali, al quale incombe l'onere di trasmettere al Parlamento una relazione triennale illustrativa dell'attività svolta dagli enti beneficiati; è anche prevista, in caso di inattività dell'ente la sospensione dell'erogazione del contributo, sospensione alla quale consegue automaticamente l'esclusione dell'ente dal beneficio in sede di revisione della tabella 65 La legge mantiene tuttavia al Ministero dei beni culturali il potere di erogare contributi annuali anche ad enti non inclusi nella tabella, ma che tuttavia presentino i medesimi requisiti teleologici e strutturali, e presentino una idonea documentazione a corredo della richiesta di contributo. Il riparto del relativo stanziamento, regolato su un diverso capitolo di spesa, deve essere documentato in un apposito allegato allo stato di previsione del Ministero 66 Nell'ambito del medesimo stanziamento il Ministero può erogare anche contributi straordinari a favore di singole iniziative, eventualmente anche a favore di istituti di interesse locale (per legge esclusi dal contributo annuale): in questo caso il contributo è erogato previa l'acquisizione del parere del Consiglio nazionale dei beni culturali ed ambientali 67 C) Particolarmente interessante, soprattutto per i recenti sviluppi, è la disciplina dei contributi a favore di associazioni «per il sostegno della loro attività di promozione sociale», disciplina che espressamente si pone come attuativa della già ricordata norma
dell'art. 115 DPR n. 616 del 1977. Con riferimento alle modalità del finanziamento, vi è una netta differenza fra le previsioni della legge n. 190 del 1981 - come pure modificata dalle successive leggi n. 196 del 1983 e n. 14 del 1985 - e quanto stabilito dalla legge n. 476 del 1987, "prorogata" dalla legge n. 33 del 1989. Con le leggi del primo periodo sono individuate tre categorie di associazioni - le privatizzate ex DPR n. 616 del 1977; le combattentistiche e quelle di assistenza ai portatori di handicaps nell'ambito delle quali sono nominativamente indicate sia le associazioni beneficiarie del finanziamento, sia l'ammontare del contributo 68 I modi di esercizio del controllo - attribuiti alla Presidenza del Consiglio, competente all'erogazione del contributo - sono identici a quelli già descritti in precedenza: trasmissione annuale del rendiconto e della relazione dell'attività svolta, documenti in base ai quali il Governo deve annualmente presentare una relazione al Parlamento 69 Quanto alle associazioni beneficiate, si tratta di soggetti che già godevano di contributi statali sulla base dileggi precedenti sotto tale profilo la legislazione di questo primo periodo rappresenta dunque unicamente una razionalizzazione del modello di incentivazione previgente. Il sistema di finanziamento muta radicalmente con la legge n. 476 del 1987: la tecnica dell'individuazione legislativa del soggetto beneficiano e dell'entità del contributo è infatti adottata soltanto per le associazioni combattentistiche 71. Quanto agli altri contributi, la legge istituisce un «Fondo globale per i contributi ad enti e associazioni di promozione sociale», nel quale è stanziato l'ammontare globale delfinanziamento, e detta quindi i criteri sia per
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l'individuazione dei soggetti beneficiari, sia per ripartizione fra essi del fondo 72• Oltre alle associazioni privatizzate, i contributi sono concessi agli enti e alle associazioni italiane che statutariamente promuovono «l'integrale attuazione dei diritti costituzionali concernenti l'uguaglianza di dignità e di opportunità e la lotta contro ogni forma di discriminazione nei confronti dei cittadini che per cause di età, di deficit psichici, fisici o funzionali o di specifiche condizioni socioeconomiche siano in condizione di marginalità sociale» 73; per questi ultimi sono inoltre prescritti particolari requisiti di rappresentatività Il e di organizzazione interna È previsto l'onere della presentazione di una domanda, da presentarsi entro il 31 marzo di ogni anno, corredata dai documenti che attestino l'esistenza di tutti i requisiti di legge, oltre ai bilanci di previsione e consuntivo 76 Quanto alle modalità di ripartizione del Fondo, la legge fissa le percentuali da destinare agli enti ammessi al contributo: la percentuale del 65% agli enti privatizzati, mentre il residuo 35% agli altri enti, suddiviso in base a criteri in parte proporzionali al numero degli'associati e alla "qualità" del programma 77. Naturalmente l'ente beneficiato è sottoposto al controllo della Presidenza del Consiglio, che, sulla base dei rèndiconti consultivi, predispone una relazione annuale al Parlamento 78
favore di un'unica associazione, leggi delle quali abbiamo avuto modo già in precedenza di ricordare qualche esempio. È quanto accade anche per due associazioni, private, dal legislatore qualificate di "interesse pubblico": l'Associazione Croce Rossa Italiana e l'Associazione Italia Nostra 80 Identica tecnica è adottata per altri enti, tra i quali ricordiamo: l'Associazione nazionale della Polizia di Stato 81; il Centro Nazionale di prevenzione e difesa sociale 82 e la Lega italiana per lotta contro i tumori 83• In alcune ipotesi si tratta di associazioni che godono di ulteriori contributi in base ad altre leggi: è il caso della Associazione Nazionale Combattenti e Reduci 84, del Gruppo Medaglie d'oro al valor militare 85, dell'istituto del Nastro Azzurro 86: associazioni tutte finanziate in forza della legge n. 190 del 1981 - e successive modificazioni - illustrata alla lett. C) del precedente paragrafo. Ove si prescinda dalla fattispecie della Associazione Croce Rossa, palesemente debitrice della originaria natura pubblica dell'ente, la normativa ditali leggi-provvedimento è estremamente semplice concretandosi nella attribuzione, quasi sempre "immotivata", di un contributo a carico dello Stato, e senza alcuna previsione di un controllo specifico sulla effettiva destinazione del finanziamento erogato alle attività promosse dall'associazione.
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE I CONTROLLI DISPOSTI PER ASSOCIAZIONI NOMINATIVAMENTE INDICATE
Modelli di finanziamento alle attività associative si ricavano infine dalle leggi dedicate espressamente alla previsione di contributi a
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A conclusione della rassegna - di cui ribadiamo il carattere empirico e non esaustivo - è difficile non condividere l'impressione che il settore delle leggi dedicate all'incentivazione dell'associazionismo si caratterizzi Come ha rilevato la Corte dei conti nei men-
zionati Referti «per il carattere vistosamente disomogeneo che esso presenta, soltanto in parte spiegabile con la varietà delle tipologie degli interventi». Proprio con riguardo ai modelli di finanziamento ci sembra di dover tuttavia dare atto di una tendenziale evoluzione del sistema. La previsione generica di attribuzione di contributi, la cui erogazione è "abbandonata" alla totale discrezionalità della Amministrazione, tende ad essere superata. È significativa, ad esempio, la scomparsa dello stanziamento previsto dal cap. 1200 dello stato di previsione della Presidenza del Consiglio, sul quale tra il 1985 e il 1987 sono stati erogati contributi ad associazioni ed enti che svolgevano attività culturali o sportive o turistiche o sociali (ecc.) nel territorio di Trieste 87 D'altra parte - a seguito dell'entrata in vigore della legge n. 241 del 1990 - il comportamento della Amministrazione dovrà essere più "trasparente": l'art. 12 della menzionata legge impone infatti alle amministrazioni - che erogano sovvenzioni, contributi o comunque vantaggi economici a favore, tra gli altri, di enti privati - di dar conto dell'effettiva osservanza dei criteri e delle modalità di assegnazione che dovranno essere preventivamente stabilite dalle stesse amministrazioni 88 Espressione di un più rigoroso controllo dei modi della spesa pubblica sono - come già si è ricordato - le leggi che negli anni Ottanta hanno tentato una seria razionalizzazione del sistema di incentivazione all'associazionismo. E interessante osservare che nella legislazione di quest'ultimo periodo sia di fatto sottovalutato il requisito dell'assenza di lucro nell'associazione, requisito che - con l'eccezione dei contributi alle organizzazioni volon-
taristiche - non è mai posto come condizione per la concessione della sovvenzione. Ciò che importa al legislatore è che l'ente sovvenzionato sia idoneo a svolgere l'attività che si propone di promuovere e che dia garanzia dell'effettiva destinazione del finanziamento al compimento di tale attività. Di qui la previsione dell'obbligo di redigere bilanci preventivi e consuntivi rispondeiti a regole pubblicistiche come pure l'onere di provvedere alle modificazioni statutarie per adeguare l'assetto organizzativo interno a "metodi" democratici. Una normativa dalla quale sembra emergere in definitiva un tipo di associazione privata che presenta elementi strutturali di gran lunga più definiti rispetto a queffi dettati dal Codice civile, in materia improntato decisamente al rispetto dell'autonomia contrattuale dei privati. Il ruolo decisivo e discriminante è ovviamente attribuito al tipo di fine che i membri dell'associazione privata deliberano di perseguire. In proposito va rilevato che nella legislazione vigente va incrementandosi la spinta promozionale volta a favorire il perseguimento da parte di enti collettivi di finalità ritenute di utilità sociale 89 Per tale profilo, la disciplina di finanziamento e di controllo prima illustrata può essere intesa come prodromica ad una disciplina speciale riservata a tutti gli enti privati che, in ragione delle finalità perseguite, assumono interesse pubblico. In proposito ci limitiamo conclusivamente a rilevare che in verità la qualificazione di ente privato di interesse pubblico ha oggi valore meramente descrittivo, non essendo ad essa sottesa una nozione giuridicamente unitaria 90 Ciò, sebbene sulla scorta dei rilievi del Rapporto Giannini sia stata autorevol-
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mente promossa un'iniziativa volta ad istituire siffatta nuova categoria di soggetti di diritto: si trattava, per un verso, di dare autonoma veste giuridica agli enti costituiti per la tutela di interessi collettivi o diffusi, soprattutto conferendo ad essi la legittimazione a tutelare tali interessi anche in sede giu-
NOTE
Oltre alle due recenti monografie di Ridola, Democrazia pluralistica e libertà associative, Milano 1987 e di Rossi, Le formazioni sociali nella costituzione italiana, Padova 1989, si vedano in particolare Baldassarre, Diritti invio la bi li, in «Enc. giur», 1989, pp. 16 e Ss.; Ridola, Associazione (libertà di) in «Enc. giur.», 1988, pp: 3 e SS.; 'Barbera-Cocozza-Corso, Le situazioni soggettive. Le libertà dei singoli e delle formazioni sociali. Il principio di eguaglianza, in Amato e Barbera (a cura di), Manuale di diritto pubblico, Bologna, 1986, pp. 206 e Ss.; Pace, Rapporti civili: art. 18, in Branca (a cura di), Commentario della Costituzione, Bologna-Roma 1977, pp. 198 e Ss.; Amato, Libertà (diritto costituzionale), in «Enc. dir.», 1974, pp. 272 e SS.; Barile, Associazione (diritto di), in «Enc. dir», 1958, pp. 837 e Ss.; Galgano, Delle associazioni non riconosciuta e dei comitati, in Scialoja e Branca (a cura di), Commentario al codice civile, Bologna 1976, pp. 1 e ss. e dello stesso A., Le associazioni, le fondazioni, i comitati, Padova 1987. Per un'indagine ricognitiva dell'espansione dell'associazionismo, si vedano Mortara (a cura di), Le associazioni italiane, Milano 1985, nonché sani' (a cura di), Rapporto sull'associazionismo sociale 1984 e 1985, editi rispettivamente nel 1985 e nel 1986. 2 Sull'art. 115 del DPR 616 si vedano D'Onofrio, Commento sub art. 115, in Barbera e Bassanini (a cura di), I nuovi poteri delle regioni e degli enti locali, Bologna 1978, p. 613; Salimbeni, Commento sub art. 115, in Capaccioli e Satta (a cura di), Commento al decreto 616, Milano 1980,11, pp. 1983 e SS.; Rossi, Enti pubblici associa- • tivi. Aspetti del rapporto fra gruppi sociali e pubblico potere, Napoli 1979, pp. 265 e ss. e dello stesso A.,
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diriziaria; per altro verso, si voleva privatizzare quegli enti pubblici che in realtà perseguono interessi collettivi, il che avrebbe consentito di eliminare «alcune stridenti incongruenze attuali, principale delle quali considerare pubblico ciò che è solo collettivo e viceversa» 91
Associazione di diritto pubblico, in «Dig. Disc. Pubbl.», I, Torino 1987; Pizzetti, La privatizzazione degli enti pubblici, in «Quad. plur.», 1984, pp. 12 e Ss.. Quanto alle leggi particolari, il riferimento è Soprattutto al DPR n. 613 del 1980 che ha disposto la privatizzazione della cia; cfr. Balocchi, Osservazioni sulle disciplina giuridica della Croce Rossa Italiana, in «Dir, e soc.», 1986, pp. 32 e ss.. Si veda in particolare Corte Cost. 7 aprile 1988 n. 396 in «Giur. cost.», 1988, p. 1744, con nota tematica di De Siervo, La tormentata delle IPAB; su questa tematica in generale si veda da ultimo Ferrara, Enti pubblici ed enti privati dopo il caso n''.n: verso una rivalutazione del criterio sostanziale di destinazione, in «Riv. &im. dir pubbl.», 1990, pp. 455 e Ss. Cfr. Rossi, Le formazioni, cit., pp. 91 e ss., 165 e ss., 277 e ss.. Bettineffi, Alla ricerca del diritto dei partiti politici, in «Riv. trim. dir. pubbl., 1985, p. 1062; Ridola, Partiti politici, in «Enc. dir.», 1982, p. 116. 6 Si vedano ad esempio le osservazioni di P. Rescigno, Contributi e sovvenzioni statali e parità di trattamento dei destinatari, in Persona e Comunità, Padova 1987, I, pp. 447 e Ss.. Significativa la risposta di legge n. 4358 presentata dai deputati Teodori e altri alla Camera dei Deputati il 17 novembre 1989 con il fine di ridurre drasticamente le somme stanziate ágli enti anche privati. Di dimensioni notevoli la letteratura sul fenomeno del volontariato: fra i molti interventi, oltre ai saggi di vari autori raccolti nei volumi Volontariato, società e pubblici poteri, Bologna 1980 e Verso uno statuto del volontariato, I e Il, Bologna 1982, vanno ric'ordate le numerose ricerche dégli studiosi dell'IRS e in particolare, RanciDe Ambrogio-Pasquinelli, Identità e servizio. Il
volontariato nella crisi del lXfelfare, Bologna 1991. 8 Si veda il volume Militanza senza appartenenza suppi. a Dem. e dir.», 1986 e Gemma, Governabilità della democrazia, domanda politica e promozione dell'associazionismo, in «Studi pari. poi. cost.», 1981 pp. 54, 179 e Ss.; SU questi temi fondamentali sono le riflessioni di Ridola, Democrazia pluralistica, cit., passim. Per la problematica definizione della associazione privata, oltre agli scritti già citati di Gaigano, si vedano con diversa impostazione, Ferro Luzzi, I contratti associativi, Milano 1976, pp. 242 e Ss.; Spada, La tipicità delle società, Padova 1974, pp. 183 e Ss.; Marasà, Le "società" senza scopo di lucro, Milano 1984, pp. 119 e ss; Preite, La destinazione dei risultati nei contratti associativi, Milano 1988, pp. i e ss. e 322 e ss.. Tematica "contigua" è quella degli enti cosiddetti non profit: si vedano oltre ai Saggi in Bassanini e Ranci (a cura di), Non per profitto, il settore dei soggetti che ero g,ano servizi collettivi senza fine di lucro, 1990, Ponzanelli, Le "non profit organizations", Milano 1985 e Verrucoli, Non profit organizations (a comparative approach), Milano 1985. 10 Oltre al "classico" studio di Serrani, Lo Stato finanziatore, Milano 1971, si vedano Annesi, Finanziamento (dir. pubbl.), in «Enc. dir.», 1968, ad vocem, pp. 627 e Ss.; Galasso, Finanziamenti pubblici, in «Noviss, Dig. App.», 1982, ad vocem, p. 766; Cossi, Finanziamenti (dir. pubbl.), in «Enc. giur.», 1989, ad vocem, pp. 1 e Ss.; Virga, Diritto amministrativo, 4, Attività e prestazioni, Milano 1990, pp. 12 e ss. 11 Per questa ripologia si veda per tutti Cossu, Finanziamenti, cit., pp. 2-4. 12 Per gli "elementi" della definizione di sovvenzione si vedano Annesi, a,t. cit., p. 2; e in particolare Pericu, Le sovvenzioni come strnmento di azione amministrativa, Milano 1967, I, pp. 107 e ss.. Per la nozione di esenzione, si vedano La Rosa, Esenzione (dir. trib.), «Enc. dir.», 1966, ad vocem, p. 569; D'Amati, Agevolazioni ed esecuzioni tributarie, in «Noviss. Dig. It. App.», 1990, ad vocem, spec. pp. 115 e Ss.; Zennaro-(Moretti), Agevolazioni fiscali, in «Dig. Disc. Riv. (sez. comm.)», 1987 ad vocem, pp. 64 e ss.; Virga, Diritto amministrativo, 4, Attività, cit., p. 22. Tutti gli autori citati sottoineano la difficoltà di una chiara distinzione fra agevolazioni ed esenzioni: per un approfondito esame della nozione di esenzione si veda Giannini, I concetti fondamentali del diritto tributario, Torino 1956, pp. 147 e Ss. 13 Giannini, Diritto amministrativo, Milano 1988, 1I, pp. 1122 e Ss.; Sandulli, Manuale di diritto amministrativo, Napoli 1989, pp. 671 e ss. e 1133 e Ss.; Virga, Diritto amministrativo, 2, Atti e ricorsi, Milano 1987, pp. 20 e Ss.; Cossu, art. cit., pp. 4 e Ss.; ampiamente
Pericu, Le sovvenzioni, I, cit., passim; Zennaro, art. cit., pp. 71 e ss. 14 Pericu, Le sovvenzioni, I, cit., spec. pp. 128 e ss. 15 Si vedano in particolare Corte dei conti, Referto in corso d'esercizio, a richiesta della Presidenza della Camera dei Deputati, concernente informazioni e chiarimenti sulla spesa, per taluni tipi di trasferimenti a favore di enti e organismi, ero gato negli esercizi 1985 e 1986, sulla natura giuridica degli enti e organismi stessi e sulla relativa disciplina normativa e procedura le, Roma 1986 e il Referto, di medesimo contenuto, aggiornato al 1987, Roma 1987. 16 Si vedano in generale su tale problema Buscema, Trattato di contabilità pubblica, voi. Il, La contabilità dello Stato, Milano 1981, pp. 412 e ss. e 422 e sI. e sopratutto Onida, Le leggi di spesa nella Costituzione, Milano 1969, pp. 675 e ss.. 17 Onida, Le leggi di spesa, cit. pp. 687 e ss.. Significativamente Onida, nel rilevare l'indifferenza del grado di specificazione dei compiti previsti dall'ordinamento, porta ad esempio non solo i capitoli relativi alle spese riservate o alle spese casuali, ma anche quelli dedicati ai contributi premi e sussidi previsti dai capitoli di alcuni Stati di previsione (op. cit., p. 689, n. 154). 18 ao del 5 novembre 1937 n. 2031 ha determinato le attribuzioni spettanti al Ministero dell'educazione nazionale: si vedano in particolare i'art. 1, nn. 1, 2 e 5, al quale fa espresso rinvio il Nomenclatore per i capitoli di seguito illustrati nel testo. 19 Cap. 3102: lo stanziamento è stato di L. 30 milioni dal 1975 al 1984; successivamente il capitolo non è stato più previsto dalla legge di bilancia. 20
Cap. 1624: stanziamento sempre presente ammontante dal 1984 in avanti a L. 181.500.000 e ridotto a 150.000.000 nei 1990. Per l'anno 1975 era stato previsto, al cap. 6620 del Ministero Tesoro, la somma di L. 30.000.000 per sussidi e premi anche a favore di enti per la promozione di biblioteche popolari; non vi è traccia dello Stanziamento nei bilanci successivi. 21 Cap. 2753: stanziamento di L. 35 milioni dal 1975 al 1979, successivamente portato a L. 40 milioni. Va sottolineato che nel medesimo capitolo è computato il contributo al Museo internazionale delle ceramiche di Faenza, determinato in L. 10 milioni dalla legge 17 febbraio 1968 n. 97. 22 Cap. 1202: dal 1975 al 1989 lo stanziamento è stato progressivamente incrementato da 1. 120 milioni a L. 200 milioni; nel 1990 è stato ridotto aL. 94 milioni. 23 Cap. 1603: lo stanziamento è in progressivo aumento, da L. 200 milioni nel 1975 a L. 1.000.000.000 negli anni '89 e '90; anche in questo caso il Nomenclatore rinvia alla normativa disciplinante l'amministrazione
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interessata, e in particolare il DL 14. 12.1974 n. 657, istitutivo del Ministero per i beni culturali. 24 Si veda il cap. 2102, sul quale sono stati stanziati mediamente 200 milioni all'anno tra il 1976 e 1981; a partire dal 1982 lo stanziamentosi incrementa ad Oltre 19 miliardi, ma la previsione del capitolo diviene assai più ampia, comprendendo altre spese. Il fondamento di legittimazione della spesa può essere rinvenuto nell'attribuzione di funzioni al Ministero previste, oltreché dalDL n. 657 del 1974 anche nella legge 1 marzo 1975 n. 44 recante misure intese alla protezione del patrimonio archeologico, artistico e storico nazionale". 25
Stanziamento collocato al cap. 3102 del Ministero Beni Culturali, incrementato da L. 30 milioni a L. 40 milioni negli ultimi anni. La normativa attributiva di competenza è nel DPR 30 settembre 1409, che disciplina l'ordinamento ed il personale degli archivi di Stato, ove manca tuttavia l'espressa previsione della spesa portata dal capitolo. 26
Lo stanziamento era di L. 400.000 milioni nel 1975, progressivamente ridotto a L. 300 milioni nel 1977, a 200 milioni nel 1988, a 80 milioni nel 1984; nel 1985 il capitolo è inserito "per memoria", con un residuo da liquidare di poco biù di L. 4 milioni, ed è infine soppresso nel 1986 per "cessazione della spesa". Sino aI 1981 il capitolo era ricompreso nello stato di previsione del Ministero poiché - com'è noto - non esisteva uno stato di previsione per la Presidenza, alla quale era riservata una rubrica dello stato di previsione del Tesoro (in tal senso cfr. d. kgis n. 352 del 1944); a seguito della riconosciuta esigenza di istituire un apposito stato di previsione per la Presidenza del Consiglio - esigenza sottolineata dalla migliore dottrina: Buscema, Trattato di contabilità pubblica, vol. 11, La contabilità, cit., pp. 109 ss. a partire dall'anno finanziario 1982 anche è previsto nel bilancio un autonomo stato di previsione della spesa della Presidenza del Consiglio: si veda in proposito anelli-izzi-talice Contabilità pubblica, Giuffrè, Milano 1988, p. 212. Quanto ai capitoli "per memoria" - che spesso si trovano inseriti nel bilancio - ricordiamo che essi non sono espressamente previsti dalla legge di contabilità generale, ma sono stati introdotti di fatto nella prassi; essi stanno a rappresentare (entrate o) spese che si sono verificate negli esercizi precedenti e che potrebbero riprodursi nell'esercizio a cui si riferisce il bilancio che li contiene: cfr. sul punto Anelli-Izzi-Talice, Contabilità, cit., pa. 226 e Bennati, Manuale di contabilità distato, Napoli, 1990, p. 271. 27 Su tale capitolo sono stati erogati L. 800 milioni
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negli anni 1981 e 1982 e L. 600 miliolni neI 1983. 28
Lo stanziamento - di L. 120 milioni dal 1975 al 1980 - aumentò a L. 150 milioni dal 1981 al 1984; il capitolo di spesa non è più inserito a partire dal 1985, evidentemente per cessazione della spesa. Anche il cap. 1196 sino al 1981 era ricompreso nello stato di previsione del Ministero del tesoro. 29
Corte dei conti, Referto in corso di esercizio, a richiesta della Presidenza della Camera dei deputati, sulla gestione degli stanziamenti relativi ai capitoli nn. 1106, 1182, 1184 e 1196 dello Stato di previsione della Presidenza del Consiglio dei ministri per gli esercizi finanziari 1981, 1982 e 1983, aprile 1984. Dall'indagine della Corte - che riguarda anche il cap. 1106, dedicato alle "spese riservate" era tra l'altro emerso che la mancanza della legge attuativa dell'art. 95 co. 3 Cost. era causa «della indeterminatezza degli interventi e della loro non precisa delimitazione rispetto a quelli demandati ad altre amministrazioni dello Stato, ovvero alle Regioni o agli enti locali»; di qui la scarsa incidenza dello stesso controllo esercitato dalla Corte dei conti, che non poteva avvalersi di articolati parametri di riferimento: sul puntoinfra. La Corte auspicava un intervento del legislatore che sopperisse alla mancanza di idonei elementi di valutazione sulla modalità di erogazione dei fondi, sottolineando che il problema era comune ad altre amministrazioni. 30 Cfr. cap. 3022, che comprende finanziamenti ad editori, librai, scrittori ecc.: si veda il regolamento adottato con PCM 10 maggio 1985. 31 Operazione certamente legittima alla stregua dell'interpretazione accolta nel testo; «nulla esdude che, in presenza di una normativa sostanziale che dia titolo a spese dall'oggetto ampio e generico, la specifica determinazione di essa venga attuata mediante gli stanziamenti del bilancio»: Onida, Le leggi di spesa,m cit., p. 680. L'unico limite alla legittimità dello stanziamento finisce con l'essere nella necessità che l'oggetto della spesa rientri tra le finalità attribuite, all'amministrazione nel cui stato di previsione è inserito il capitolo, dalla normativa vigente: solo quando ciò non avvenga si deve ritenere violato l'art. 81 eco 3 Cost. Ovviamente, quando addirittura manchi la normativa generale attribuita delle funzioni - così era per la Presidenza del Consiglio - il limite diviene evanescente e di fatto impossibile un eventuale controllo di legittimità. 32 Corte dei conti, Referto, cit., 1984, p. 4. 33 Corte dei conti, loc. ult. cit., pp. 2-3. 34 Ricordiamo ad esempio le sedi di Bolzano e Trento dell'Associazione Nazionale Alpini, la sede di Trento dell'Associazione Volontari del Sangue, le sedi di Trento dell'Associazione nazionale combattenti e reduci, la
sede di Bolzano dell'Associazione mutilatie invalidi di guerra ecc... " Si veda il cap. 2681 dello stato di previsione del Ministero degli esteri, che ha stanziato, nel periodo successivo al 1980, la somma annuale di L. 2 miliardi ca. Lo stanziamento è stato previsto dal DPR n. 615 del 1978, in attuazione della legge 14 marzo 1977 n. 73 recante la rettifica e l'esecuzione del trattato Italia e Jugoslavia: l'art. 3 co. 4 lett. a) aveva infatti delegato il Governo ad adottare le norme necessarie a favorire attività culturali e le iniziative tese alla conservazione delle testimonianze di storia e tradizione del gruppo etnico italiano in Jugoslavia. La successiva legge 22 dicembre 1982, n. 960, oltre a rifinanziare lo stanziamento per l'anno 1982, ha anche stabilito all'art. 4 co. 2 che per gli anni successivi l'entità dello stanziamento sarebbe stata stabilita con la legge annuale di bilancio. 36
Gli stanziamenti, vari miliardi al 1975 in poi, sono inclusi nei capp. da 2651 a 2655 del Ministero degli esteri; l'esame della legge di spesa e del bilancio non consente. In alcun modo di individuare la quota di finanziamento effettivamente erogato ad enti associativi. 37 I contributi a favore degli enti sono stanziati ai cap. 3201 e 1171 del Ministero della difesa; per enirambi i capitoli si può registrare l'incremento della somma stanziata. 38 Il contributo è stato istituito dall'art. 12 della legge 4 marzo 1958 n. 174, recante la disciplina sul finanziamento degli organi turistici periferici e nel credito alberghiero; successivamente incrementato dall'art. 1 lett. a) legge 4 marzo 1964 n. 114 e infine portato a L. 900 milioni dalla legge 29 novembre 1980 n. 816. Lo stanziamento è regolato sul cap. 1562 dello stato di previsione del Ministero per il turismo e lo spettacolo. 39
Il fondo di stanziamento è iscritto al cap. 1103 Sostituito dal 2121 a partire dal 1984 - dello stato di previsione del Ministero dei beni culturali. 40
successivi articoli della legge disciplinano in modo sufficientemente preciso i modi di intervento dell'Amministrazione: in particolare è previsto solo eccezionalmente il ricorso alla trattativa privata per l'esecuzione dell'opera: cfr. spec. l'art. 3. 41
Si vedano gli artt. 45 e 71: sulle convenzioni si veda Trimarchi Banfi, Pubblico e privato nella società. Autorizzazioni e convenzioni nel sistema della riforma sanitaria, Milano 1990, pp. 45 e ss. 42
Si veda l'art. 94 legge n. 685: significativamente il co. 4 prevede che l'attività esercitata in esecuzione delle convenzioni sia sottoposta al controllo e agli
indirizzi di programmazione della regione in materia. ' Si veda il cap. 2544 dello stato di previsione del Ministero della sanità: lo stanziamento globale - comprensivo quindi di contributi anche a favore degli Enti pubblici - è stato di L. 400 milioni dall'80 al.l'85.. ' La legge n. 297 ha convertito in legge il dl. n. 144 del 1985, senza apportare, emendamenti per il profilo esaminato. 45 Si veda il cap. 3150 del Ministero degli interni, he non compare dopo il 1982; la legge 13 maggio 1961 n. 469 disciplina l'ordinamento dei servizi anticendio: l'art. 74 Co. 1 prevede che 'il personale volontario è assicurato contro tutti gli infortuni in servizio, restando esonerata l'Amministrazione da ogni responsabilità; manca tuttavia l'espressa previsione di un contributo finalizzato ad agevolare l'attività delle organizzazioni volontaristiche che operano nel settore. 46 Si veda l'art. 45 co. 1, lett. b) legge n. 1213 del 1965. ' Si vedano art. 1 Co. 12, 18 e 19 legge 10 maggio 1983 n. 182. 48 Numerose risultano le concessioni di contributi a complessi bandistici, per i quali è richiesto che tengano concerti in tutta Italia e all'estero, con un minimoalmeno di 150 concerti annui: art. 40, co. 1 lett. b), si veda anche il cap. 2566. ' Si veda l'art. 2 co. 2, 9.8.1973 n. 513. 50 Cfr. Long, Spettacoli e trattenimenti pubblici, in «Enc. dir.», 1990, pp. 426 e ss. 51 Lo stanziamento è regolato sul cap. 1172 del Ministero della difesa - "Contributi previsti per legge ad enti ed associazioni" - capitolo nel quale concorrono numerose leggi di spesa; per le associazioni d'arma l'ammontare dello stanziamento fissato dalla legge n. 935 del 1956 di 80 milioni, elevato a 120 milioni dalla legge n. 263 del 1961 e quindi a 170 milioni dalla legge n. 931 del 1969; la legge n. 914 del 1980 ha infine determinato in 300 milioni l'ammontare globale del finanziamento annuo. 52 Ad esempio in forza dell'art. 23 legge 14 luglio 1967 n. 592 il Ministero della sanità ha nel passato concesso contributi per il funzionamento delle associazioni dei donatori di sangue: lo stanziamento era regolato sul cap. 1575 del Ministero della sanità. 53 L'originario co. 3 dell'art. 115 del DPR n. 616 modificato dalJ'art. 1 undecies della legge n. 641 del 1971 prevedeva già la norma ricordata nel testo: a commento si vedano D'onofrio, Commento sub. art. 115, cit. p. 613; Salimbeni, Commento sub. art. 115, cit. pp. 1983 e Ss.; Pizzetti, La privatizzazione, cit. p. 12 e ss. Direttamente riconducibile alla norma del DPR è la
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legge n. 123 del 1980 - sulla quale si veda di seguito nel testo - recante disposizioni per l'erogazione di contributi statali ad enti culturali: cfr. Ainis e Ruggeri, Contributi con leggi ed associazioni private, in «Quad. plur.», 1983, p. 50. 54 Si veda l'art. 1, co. 1, 2 e 3; sono espressamente esclusi gli enti che svolgono le attività incentivate nel settore della cooperazione con i Paesi in via di sviluppo (legge 7 del 1981). A seguito dell'aggiornamento dell'ammontare dei contributi, la legge di bilancio - ma oggi la legge finanziaria ex art. 19 co. 14 legge n. 887 del 1984 - provvede alla relativa modificazione dello stanziamento in bilancio. L'art. 5 ha previsto l'unificazione in un unico capitolo di tutti i contributi: si veda infatti il cap. 3177 del Ministero degli esteri. 55
Art. 2 co. I. Artt. co. 4 e 3 co. 2, 3 e 4. 57 I provvedimenti di sospensione e di cessazione devono essere adottati con decreto motivato e della sospensione deve essere data notizia alle Camere: art. 4, co. 1; in caso di soppressione di un contributo, l'ammontare relativo va reditribuito fra gli altri enti bene: ficiari previsti dalla tabella (art. 4 Co. 2). 58 Fra gli enti non associativi ricordiamo l'Istituto per le relazioni tra l'Italia e i paesi dell'Africa, dell'America Latina e del Medio Oriente (n'Auvio), già finanziato in forza delle leggi 26 gennaio 1978 n. 28 e 22 dicembre 1980 n. 926 e l'Istituto italiano per il Medio ed Estremo Oriente (ismeo) il contributo a favore del quale, previsto già dalla legge 24 febbraio 1941 n. 207 è stato chiaramente confermato ed elevato. 59 Si veda l'art. 20 cod. civ.: sulla competenza dell'assemblea all'approvazione del bilancio. 56
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Si vedano legge 27 giugno 1962 n. 1098, che ha disposto l'erogazione di un contributo quinquennale di 20 milioni annui; legge 9 agosto 1967 n. 772 che ha elevato il contributo a 50 milioni anni; legge 23 dicembre 1972, n. 908, con la quale il contributo è portato a L. 100 milioni e poi prorogato sino al 1978 dalla legge 5 dicembre 1975 n. 722; legge 20 dicembre 1978 n. 26 che ha protratto sino 1982 il contributo annuo elevandolo a L. 200 milioni, disponendo inoltre il versamento di un contributo straordinario a L. 200 milioni sia per l'anno a L. 200 milioni sia per l'anno finanziario 1977 sia per il Successivo: il finanziamento era stanziato sul cap. 3125 dello stato di previsione del Ministero degli esteri, capitolo poi soppresso. Interessante rilevare che la legge 722 del 1975 aveva già previsto a carico dell'Associazione l'onere di trasmettere il bilancio annuale consuntivo, corredato da una
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relazione nell'attività svolta, al Ministero degli esteri per la trasmissione al Parlamento; l'esatto assolvimento di tale onere era condizione per l'erogazione del contributo per l'anno successivo: art. 3. 61 Si vedano: legge 1 agosto 1962 n. 1346, che ha previsto un contributo annuo di L. 12 milioni; legge 9 agosto 1967 n. 737, che ha incrementato il contributo a L. 40 milioni; legge 22 maggio 1970, n. 374, con la quale il contributo è stato ulteriormente increnientato a L. 50 milioni, prevedendosi l'onere di trasmissione del rendiconto consuntivo e di una relazione sull'attività svolta al competente ministero; legge 3 giugno 1978 n. 308 e legge 5 agosto 1981 n. 467 con le quali il contributo è stato elevato a L. 350 milioni e si è prevista la trasmissione al Parlamento degli atti consuntivi trasmessi dall'ente. Lo stanziamento era regolato sul cap. 3112 dello stato di previsione del Ministero degli esteri: la somma stanziata, con l'eccezione del 1979, non ha tuttavia mai superato i 50 milioni. 62 Anche l'SPALMO, nell'esercizio finanziario 1985, ha ricevuto, oltre al contributo previsto dalla legge n. 948, un ulteriore finanziamento da parte del Ministero degli esteri pari a L. 470 milioni, nell'ambito dello stanziamento previsto dal cap. 4620 in forza della legge 38 del 1979. 63 Su tale disciplina si veda Zaccaria, Commento sub ad. 49,, in I nuovi poteri, cit. pp. 311 e so. 64 Si veda l'art. 1. La tabella è stata emanata con DPR 30 luglio 1980 n. 624; la revisione è stata operata con il DPR 6 novembre 1984 n. 834, e quindi con il DPR 16 dicembre 1987 n. 574: il numero dei beneficiati è passatoda 84 a 177, con un notevole incremento de1k stanziamento, da ultimo ammontante a L. 14 miliardi. 65 Si vedano gli artt. 1 e 2. 66 Dal contributo sono esclusi gli istituti culturali di cui all'art. 49 del DPR n. 616 del 1977: si veda l'art. 3. Il capitolo interessato è il co. 1606. 67 Si vedano i commi 7 e 8 dell'art. 3. 68 Naturalmente variano sia il numero delle associazioni, sia l'entità del contributo. Così, ad esempio, le associazioni privatizzate erano nove in base alla legge n. 190 del 1981 e sono poi state ridotte a cinque dalla legge n. 14 del 1985. Il numero delle associazioni combattentistiche si incrementa invece da tredici a diciassette con la legge n. 14 del 1985, la quale aumenta anche il numero delle associazioni assistenziali, da tre a tredici. 69 Sivedano gli artt. 4 1. 190/1981 e 4 1. 14/1985; quest'ultima norma prevede altresì l'onere della pre9entazione del programma delle attività che l'ente beneficiatosi propone di svolgere.
legge n. 42 del 1984. Lo stanziamento è regolato al cap. Basti pensare alle associazioni combattentistich per 2129 del Ministero dei beni culturali. alcune delle quali la previsione di contributi risale, nel81 Contributo di 12 milioni annui stabilito dalla I. n. l'Italia repubblicana, al periodo immediatamente suc335 del 1980, stanziato sul cap. 2802 del Ministero decessivo alla Liberazione: così ad esempio: a favore delgli interni. l'Associazione nazionale combattenti e reduci fu previ82 Finanziamento previsto dalla legge n. 49 del 1980 e DL sto un contributo straordinario di L. 24.500.000 dal prorogato dalla legge n. 112 del 1985; cap. 2207 del Mics's n. 1496 del 1947; con decreto legislativo n. 54 del nistero della giustizia. 1948 fu attribuito un contributo straordinario di L. 95 83 Contributo previsto dalla legge n. 67 del 1963, inmilioni all'Associazione nazionale famiglie dei caduti e crementato dalla legge n. 88 del 1982 che ha rimesso dispersi in guerra. alla legge finanziaria la quantificazione del finanziamento 71 Aumenta anche il numero dei beneficiari, portato a per gli anni dal 1985 in avanti: cap. 2488 Ministero diciannove: cfr. art. 8. sanità. 72 Il fondo - ammontante a L. 5 miliardi - è stan-, 84 Stanziamento al cap. 1190 del Ministero del tesoro ziato sul cap. 1191 - dal 1990 cap. 1204 - della Pree dal 1982 della Presidenza del Consiglio, ammontarite sidenza del Consiglio: cfr. anche la legge n. 33 del 1989 dal 1981 a L. 900 milioni annui; la fonte è indicata dal che proroga i contributi. Nomenclatore nel RD 19 aprile 1923 n. 850, concernente 73 Si veda l'art. 1 Co. 2. la sistemazione dei servizi di vigilanza, protezione ed 74 L'ente deve svolgere attività a livello nazionale ed assistenza dei reduci della guerra "nazionale". avere sedi operanti da oltre tre anni in almeno dieci re85 Stanziamento regolato al cap. 1193 del Ministero del gioni; in mancanza è devoluto alla Presidenza del Contesoro e dal 1982 della Presidenza del Consiglio, mesiglio il potere di accertare la "evidente funzione sociadiamente di L. 30 milioni annui dal 1980. Il contributo le" dell'ente, sempreché l'attività da esso Svolta sia conera previsto dalla legge n. 1296 del 1951, elevato poi tinuativasull'intero territorio nazionale: art. 2 co. 1, dalla legge n. 385 del 1954 che ha rimesso la determilett. a) e co. 2. nazione del contributo per gli esercizi futuri alla legge 75 L'ente deve operaré con la più ampia partecipaziodi bilancio (ora legge finanziaria). ne degli associati, agire secondo criteri democratici nel 86 Contributo annuo di 40 milioni stabilito dalla legge proprio interno e garantire la presenza della minorann. 335 del 1959 e stanziato al Cap. 1194 della Presidenza: cost. 2 co. i lett. b). za del Consiglio. 76 Si veda l'art. 3, che, al co. 2, elenca specificamente 87 Lo stanziamento proveniva dal Fondo destinato alle tutta la documentazione necessaria. esigenze del territorio di Trieste di forza dall'art. 70 della 77 Il procedimento di assegnazione è disciplinato dallegge Cost. n. 1 del 1963 - statuto Friuli-Venezia Giulia l'art. 6. Particolarmente significativa è l'espressa pre- elevato da ultimo dalla legge n. 373 del 1980. Il cap. visione della motivazione dell'atto Con cui il Presiden200 è inserito per memoria nei bilanci 1988 e 1989 e te del Consiglio accoglie o respinge la domanda. Sui Crinon compare più nel 1990. teri di ripartizione della quota del 35% del Fondo, si 88 Su tale norma si vedano le osservazioni di Rolla, Legveda l'art. 4, co. 3 lett. a); b) e c). ge 7.8.1990 n. 241. Commento agli artt. da 7 a 13 in «Pri78 Art. 6, co. 2 e 3. me note», 1990, pp. 10 e 55 e ss. 79 Per l'espletamento dei compiti assegnati dal DPR n. 89 Talora siffatte finalità sono imposte; pur se estranee 613 del 1980 la citi gode di finanziamenti stanziati sul alla materia esaminata nella rassegna - ricordiamo che cap. 2585 del Ministero della sanità; sempre nell'ambiil d. legis n. 356 del 1990 - emanato in attuazione delto del medesimo stato di previsione si vedano anche i la legge n. 218 del 1990 disciplinante la riforma delle contributi previsti al cap. 2586, in forza del DL c.P.s.n. Banche pubbliche - ha previsto che l'ente pubblico a 1256 del 1943 per l'espletamento del servizio del proncomposizione non associative conferente l'intera azienda to socorso autostradale al Cap. 2601, portando il finandovrà perseguire «Fii di interesse pubblico e di utilità ziamento destinato al Centro nazionale per la trasfusione sociale preminentemente nei settori della ricerca sciendel sangue. Un cospicuò cntributo è erogato alla citi tifica, dell'istruzione, dell'arte e della salute» (art. 12, anche sul cap. 1173 del Ministero della difesa per la preCo. i). parazione del personale e la predisposizione delle attrez90 Giannini Diritto amministrativo, cit. I, Cfr. Sandulzature necessarie. li, Enti pubblici ed enti privati d'interesse pubblico, in 80 Il finanziamento è stato stabilito dalla legge n. 211 «Giur. cost.», 1958, pp. 1943 e ss. del 1980 in 300 milioni, elevata a 500 milioni dalla 70
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Così il Rapporto sui principali problemi dell'A mmmistrazione dello Stato, in «Riv. trim. dir. pubb.» 1982, p. 754; l'iniziativa ricordata nel testo è quella della Commissione di studio per la revisione strutturale e organizzativa degli enti pubblici di studio e di ricerca e degli enti pubblici dello Stato», presieduta da Merusi, i cui
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lavori sono pubblicati ibidem pp. 820 e Ss. Per tale aspetto appaiono certamente meno significative le conclusioni della Commissione Bozzi, sulle quali si veda Gemma, La "Commissione Bozzi" e la tendenza verso un nuovo regjme costituzionale delle associazioni, in «Quad. cost. », 1987, spec. pp. 481 e ss.
"BAILAMME" rivista di spiritualità e politica SOMMARIO DIZIONARI
PROBLEMI APERTI SU GRAZIA E SACRAMENTI di Edoardo Benvenuto .................................... pag. HISTORIA NON VINCITUR MSI PARENDO di Mario Tronti . »
LA FASE LA PIETÀ
LA TRASFORMAZIONE NON GOVERNATA di Salvatore Natoli .
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IL TRANSITO DI SAN FRANCESCO di San Bonaventura ..................... ..................
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ALLA FINE DELL'ERA DELLA PIETÀ di Fabio Milana ......
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RICORDANDO il - SCAMPOLI I di Romana Guarnieri ...................................... TRA ANTICHE CARTE 3 IL LIBERO SPIRITO E IL CIRCOLO COLONNESE di Romana Guarnieri ...................................... TRA ANTICHE CARTE 4 IL MONASTERO DI SANT'ANNA DI SIGILLO (1547-1901) di Lucia Vitaletti ......................................... IL CONFRONTO CON IL "MODERNO". IL MONDO CULTURALE EBRAICO ITALIANO E LA "QUESTIONE SPINOZA" (18601990) di Mino Chamia .................................... SOVRANITÀ E RIVOLUZIONE IN MANZONI di Paolo Ridella . NEO-PAGANESIMO di Salvatore Natoli ..................... ANGELO di Michele Nicoletti ............................. IL PENSIERO POLITICO DI GIACOMO NOVENTA di Franco Manfriani ....................................... RITROVARSI A NEW YORK. LA NARRATiVA DI SCHOLOM ALEICHEM TRA SCHTETL E METROPOLI di David Bidussa
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N° NOVE - GIUGNO 1991
Associazione Milanese "Amici don Giuseppe De Luca"
CONSIGLIO NAZIONALE DELL'ECONOMIA E DEL LAVORO Commissione dell 'Informazione (III)
DIREMYE SULVORGANIZZAZIONE DELVARCHMO DELLA CONTRATRZIONE COLLE MVA (ai sensi dell'an. 17 della legge n. 936186)
Ari. I
Art. 4
Nell'Archivio nazionale dei contratti e degli accordi collettivi di lavoro, istituito presso il CNEL, vengono depositati, nel rispetto delle procedure indicate negli articoli seguenti, i contratti e gli accordi di ogni livello e ambito relativi sia al settore privato che a quello pubblico, nonché ai rapporti di lavoro autonomo indicati nella legge n.74l del 1959. Vengono, altresì, depositati gli accordi di rinnovo.
L'elenco dei contratti e accordi depositati, con l'indicazione delle parti stipulanti, viene periodicainente affisso in un apposito Albo presso il CNEL e pubblicato sul Notiziario della Commissione del'Informazione.
An. 2 Il deposito avviene a cura dei soggetti stipulanti o anche di uno soltanto di essi direttamente presso il CNEL o per il tramite degli uffici centrali e periferici del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale. In occasione del deposito, dovrà essere indicato il nome di chi provvede e l'organizzazione per conto della quale avviene lo stesso. Ari. 3 Per i contratti e gli accordi di livello aziendale, contestualmente al deposito di una copia dell'originale del contratto o dell'accordo, dovranno essere indicati nome e sede dell'azienda, settore merceologico, contratto nazionale di riferimento nonché il numero degli addetti impiegati nella medesima azienda.
metà se il deposito avviene a cura di una organizzazione rappresentata nel CNEL. Art. 7 Le copie pervenute vengono conservate in ordine eronologicp. con l'annotazione della procedura seguita.
Ari. 6 I termini di cui all'articolo precedente sono ridotti alla
L'elenco dei Contratti inseriti nell'Archivio, con l'indiCazione della classificazione operzta secondo i criteri indicati nel precedente art. 8, viene pubblicato nel Notiziario di cui all'ari. 4. Ari, Il
Ari. 5 Nei 60 giorni successivi alla pubblicazione nel Notiziario della notizia dell'avvenuto deposito, i soggetti stipulanti possono prendere visione ed ottenere copia del testo depositato e comunicare al CNEL l'eventuale diversa formulazione del lesto. Copia delle dette osservazioni viene inviata, a cura del CNEL, ai soggetti che hanno curato il deposito: nei successivi 30 giorni questi ultimi possono far pervenire al CNEL ulteriori osservazioni. Alla scadenza.dei termini indicati nel comma I e, eventualmente, nel comma 2, la copia del contratto o dell'accordo viene inserita nell'Archivio. Qualora al termine della procedura indicata nei commi precedenti, permanga un contrasto in ordine al lesto, l'accordo o il contratto viene inserito nell'Archivio con in calce il testo delle osservazioni.
Ari, IO
Art. 8 I contratti e accordi collettivi inseriti nell'Archivio vengono, altresì, classificati con riferimento: ai soggetti stipulanti; al settore di applicazione: e) al livello o all'ambito territoriale: d) agli altri criteri di classificazione stabiliti dalla Commissione dell'Informazione.
La Commissione dell'informazione viene periodicamente informata dello stato di attuazione delle presenti direttive. Ari. 12 Nella prima fase di applicazione possono essere depositate presso il CNEL le copie dei contratti e degli accordi collettivi, vigenti al momento dell'entrata in vigore della legge di riforma del CNEL (I gennaio 1987), ovvero stipulati successivamente.
Art. 9 Il testo degli accordi e dei contratti inseriti nell'Archivio viene memorizzato. Alla memorizzazione del testo dei contratti e degli accordi interconfederali e nazionali si provvede in collaborazione con il CED presso la Corte di Cassazione. L'Archivio è aperto alla pubblica consultazione e chiunque vi abbia interesse può ottenere copie del testo depositato.
Ari. 13 li testo dei contratti e degli accordi comunque pervenuti o acquisiti al CNEL senza il rispetto delle procedure indicate negli articoli precedenti viene conservato in un apposito settore dell'Archivio nazionale. Anche il testo degli accordi e contratti indicati nel comma precedente viene classificato e memorizzato secondo quanto previsto nei precedenti arit. 8 e 9.
per il deposito: CNEL Archivio Contratti, Via Davide Lubin, 2 - Roma o Uffici centrali e periferici del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale per informazioni: Ufficio Commissione ctelllnforniazione. CNEL. Via Davide Lubin. 2 - Roma Tel. (06) 3692355 - Fax (06) 3202567
•
CONSIGLIO NAZIONALE DELL'ECONOMIA E DEL LAVORO Commissione dell'Informazione (III)
ARCHIVIO NAZIONALE D 1 21 CONTRAM 11
* È operativo dal 10 ottobre 1990 * Raccoglie i contratti e gli accordi vigenti del settore privato e pubblico di ogni livello (interconfederali, nazionali, territoriali, aziendali) * Il testo degli accordi e dei contratti viene classificato e memorizzato per la consùltazionee la riproduzione * L'Archivio è aperto alla pubblica consultazione * La Commissione dell'Informazione del CNEL pubblica periodicamente • (in apposito «Notiziario») l'elenco dei contratti inseriti nell'Archivio
La legge (n. 936/86) prevede che il deposito dei contratti avvenga a cura d'ei soggetti stipulanti, o anche di uno soltanto di essi
IL CNEL IN VITA TUTTE LE ORGANIZZAZIONI SINDACALI A DEPOSITARE COPIA DELL'ORIGINALE DEGLI ACCORDI E DEI CONTRATTI COLLETTIVI
per il deposito: CNEL - Archivio Contratti, Via Davide Lùbin, 2 - Roma e/o Uffici centrali e periferici del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale per informazioni: Ufficio Commissione dellInformazione, CNEL, Via Davide Lubin, 2 - Roma Tel. (06) 3692358 - Fax (06) 3202867
democraja e diritto bimestrale del centro di studi e di iniziative per la riforma dello stato
Sommario IL TEMA
Le .forme» delLa democrazia Cesare Salvi, Alcune considerazio n i introduttjve Antonio Cantaro, Presidenziglù mo e democrazia Oreste Massari, Democrazia dell'alternanza e riforma elettorale Giuseppe Cotturri, Processo costi,,epjte Pietro Barrera, La forma del cambiamento: una proposta Fuko Lanchester, Condizioni e limiti dell'innovazio ne istituzionale Salvatore d'Albergo, La Costituzione per una nuova organizzazio n e de! potere Pierluigi Onorato, Alcune indicazioni strategiche Sandro Guerrieri, Una repubblica semip residenziale in Italia? Considerazioni sull'esperienza francese Cesare Pindlli, Quali risposte alla crisi della democrazia - Giulio Quercini, Un confronto senza pregiudiziali Paolo De loanna, Forma di governo e controllo della finanza pubblica Riccardo Terzi, Forze sociali e riforne istituzionali Salvatore Senese, La cultura delle regole precondizione di ogni riforma istituzionale Augusto Barbera, Il Giano del presidenzialismo Carmelo Ursino, L 'ipotesi presidenzialist del Psi Pietro Ingrao, Ma è di più della partitocrazia Sergio Fabbrini, I due presidenti. Gli insegnamenti dell'esperie nz a stat:nitense e latino-americana ARGOMENrI
Claudio De Fiores, Il presidente della discordia IL SAGGIO
Agostino Carririo, Scienza e democrazia. Il decisionjsrno critico di Hans Kelsen
ILDIBATflTO
Fabio Giovannini, La deriva di una cultura politica Antonio Cantaro, Una replica
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