Numero 9, anno 1976-77, queste istituzioni

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queste istituzioni

rassegne e documenti

11 credito: vicende di una amministrazione parallela di Guido Sirianni

Galleria '76 di Franco Bevilacqua i La fortuna quarantennale della Il nucleo centrale della disciplina del credito è costituito dalle disposizioni norlegge bancaria del '36 mative del periodo 36-38, usualmente indicate col nome di '<Legge bancaria », profondamente innovatrici rispetto alla 4 Le diverse letture della riforma pur importante riforma del settore di sodel '36 li dieci anni prima. Le norme della legge bancaria, con le parziali modificazioni degli anni dell'im6 La riforma tra interventismo eco- mediato dopoguerra, hanno retto una or nomico e mercato: strumento di ganizzazione pubblica del credito che si polizia o di governo del credito? è resa interprete delle più diverse politiche economiche e monetarie susseguitesi negli ultimi quarant'anni: dal corpo10 La riorganizzazione post-bellica e rativismo alla ricostruzione, dal «boom» l'accentuata autonomia della Ban- alla crisi dei giorni nostri. In questa considerazione è racchiuso il problema cenca d'Italia trale di chi affronta il tema del credito: quello della fortuna quarantennale della legge; in che modo il sistema del credito 14 « Governo» del credito e struttu- si è adeguato alla evoluzione del sistema ra del mercato monetario economico ed istituzionale? Tale adeguamento si è prodotto all'interno della legge bancaria, grazie alla sua <'elasticità », 17 Crediti speciali e finanziamenti o si è svolto in termini fattuali, essenall'industria zialmente al di fuori degli argini fissati dalla legge, addirittura in una sua sistematica violazione? O si può fare qualche 20 Indicazioni bibliografiche ulteriore ipotesi? Evidentemente una ri-


sposia si ruò ricavare solo da una puntuale analisi storica del fenomeno. Gli aspetti peculiari della riforma del '36 fanno perno sulla volontà di creare una volta definito il principio della qualificazione di interesse pubblico dell'attività di raccolta del risparmio e dell'esercizio del credito - gli strumenti organizzativi di un intervento pubblico nel settore, non limitato da finalità garantistiche « di polizia » alla tutela del risparmiatore, ma capace di « governare » il settore, guidando una migliore distribuzione del credito nell'economia, attraverso il controllo dell'attività bancaria come dei flussi finanziari (emissioni obbligazionarie, aumenti di capitale delle s.p.a., etc.). Al vertice dell'organizzazione creata dalla riforma è posto un complesso di soggetti (Comitato dei ministri, Ispettorato per la difesa del risparmio e l'esercizio del credito, Capo del governo, ministro delle finanze - nella formulazione originaria -, Comitato interministeriale per il credito ed il risparmio, Banca d'Italia, Ministro del Tesoro, CIPE nella sua attuale configurazione) che coordina e raggruppa in forma unitaria una serie di compiti precedentemente attribuiti disorganicamente a varie amministrazioni sta-

tali; dal complesso di vertice promana la disciplina del settore, nella forma di atti amministrativi - una sessantina cir ca, prefigurati prevalentemente nella for ma di autorizzazioni - che costituiscono un ventaglio di strumenti così ampio, da escludere la necessità di ricorrere ad eventuali ulteriori interventi normativi del Parlamento. Infine, la Banca d'Italia, estromessi i privati, viene trasformata in ente pubblico ed assume il ruolo di <(banca delle banche ». Le attività creditizie sono nella legge distinte secondo uno schema funzionale - breve e medio termine - e territoriale; gli istituti di credito sono sottratti in larghissima parte alla disciplina del diritto comune; alcuni di essi diventano enti pubblici, altri banche di interesse nazionale; un'ulteriore loro funzionalizzazione è ottenuta attraverso la disciplina per statuti speciali. Va inoltre detto che alla disciplina del settore concorrono, in larga misura, al lato della legge bancaria, le norme relative ai crediti speciali e le leggi che hanno organizzato, in uno sviluppo crescente dal 1950 in poi, l'intervento dello stato a sostegno e direzione dell'economia in forma finanziaria con agevolazioni, erogazione di fondi perduti ecc. Il modo in cui si è venuta formando que-

queste istituzioni dicembre 1976 - gennaio 1977

Direttore: SREGIO RISTUCCIA - Condirettore responsabile: GIOVANNI BECHELLONI. Redazione: MARCO CIMINI, ENNIO COLA5ANTI, MARINA GIGANTE, MARCELLO ROMEI, FRANCESCO Smon, VINCENZO SPAZIANTE.

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Svalutazione ancora del 6,50% ma il mercato prevede <li pi첫 - La Repubblica, 24 genn. 1976


sta disciplina, con un processo durato quarant'anni, in tempi e con finalità disparate, spesso con caratteri alluvionali, sotto la pressione di istanze contingenti che hanno fatto trascurare la coerenza del sistema, ha fatto sì che la disciplina « se pure sicuramente ispirata al principio della rilevanza giuridica pubblica dell'attività creditizia - collega questa rilevanza a finalità e moduli organizzativi diversi, i quali coesistono e producono un assetto estremamente complicato, di mutevole equilibrio, aperto alle più diverse possibilità di variazioni, e, naturalmente, di impossibile o diflicilissima qualificazione generale » (Nigro, Profili pubblicistici del credito, 1969, p. 33). LE DIVERSE LETTURE DELLA RIFORMA DEL '36: MONETARIA, POLITICA, «BANCARIA » E

sta ed alla creazione dell'IRI e dell'IM!; la volontà, ispirata dall'autoritarismo corporativista del tardo fascismo, di fare del credito uno strumento di pianificazione corporativa. L'aspetto monetario della riforma è enfatizzato nella concezione di chi ritiene che tutta l'evoluzione del sistema bancario tra le due guerre si sia indirizzata verso la creazione di uno strumento unitario più agile ed efficace di regolazione della liquidità; la fase finale del processo di costituzione della banca centrale nel nostro paese si sarebbe svolta non diversamente da quanto accadeva negli stessi anni nella generalità degli stati. In tal senso « I provvedimenti del 1936, sebbene più vasti ed incisivi, sono da considerare in un certo senso come la conclusione di un unico ciclo normativo principiato con quelli del 1926 » (G. Carli,

Alcuni aspetti dell'evoluzione funzionale dell'istituto di emissione dalle sue origini ai giorni nostri, 1963, p. 42),-ed una Se generalmente gli studiosi concordano particolare importanza avrebbe rivestito nell'indicare come elementi portanti della riforma quelli che abbiamo testé elen- la pubblicizzazione della Banca d'Italia, con la sua susseguente assunzione al cato, i pareri divergono invece nello staruolo di «banca delle banche », ruolo ribilire in quale misura le varie istanze siano prevalse all'epoca della sua for- spetto al quale la funzione di vigilanza, mulazione. É il caso di ricordare che la definitivamente assunta solo con la riforcosa non ha un interesse solo storiogra- ma del '47, è necessario complemento. Se tale giudizio esprime una realtà infico: i giudizi sull'attuale organizzazione del credito, sulla opportunità di una sua confutabile, ben poco ci aiuta a comprendere le forme originali in cui si proriforma, le possibilità di interpretare le cause della « fortuna » della legge ban- dusse nel caso italiano l'intervento pubcaria sono direttamente legate alla let- blico nell'organizzazione del credito. Da altri è stato posto l'accento sulla tura delle vicende che portarono nel '36 alla riforma; il dibattito sul sistema del «chiara intenzione di porre le istituzioni creditizie nel contesto dello stato cor credito è .hiaramente parte integrante porativo integrato)> (De Cecco, Saggi di del dibattito generale sulla ricostruzione degli elementi di continuità e di rottura politica monetaria, 1968, p. 39) anche se «come nel caso di molte altre riforme tra le istituzioni —in particolare le istifasciste della struttura dello stato, antuzioni economiche - del fascismo e che questa rimase, più o meno, lettera quelle della repubblica. In estrema sintesi, i motivi ispiratori del- morta. Il governo continuò ad avere potere nei settori dove lo aveva esercitato la riforma bancaria sarebbero stati di tre ordini: l'esigenza di creare nuovi e più anche prima » (p. 42). Motivi solo suppleadeguati strumenti di politica monetaria, mentari sarebbero stati l'esigenza della una volta tramontato l'automatismo del tutela del risparmio, e la distinzione tra gold standard ed iniziata l'era della mo- aziende di credito a breve ed istituti esercenti di credito mobiliare. Questa imneta manovrata; la necessità di ricomporre il sistema bancario, dopo gli scon- postazione del problema va sulla scia volgimenti del decennio precedente che tracciata dal Grifone: « Il problema bancario costituisce infatti la premessa che avevano portato alla fine della banca miAMMINISTRATIVA

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occorre superare per procedere nella sistemazione dell'economia nazionale sul piano autarchico-militare » e quindi « Sistemato nel 1932-34 il problema del credito mobiliare, sgravate le grandi banche dal portafoglio azionario, si trattava di dare ora un assetto il più possibile definitivo a tutta la materia bancaria per evitare il ripetersi di situazioni analoghe a quelle del 1894, 1921, 1931, e per assicurare, nelle migliori condizioni possibili, l'approvvigionamento di mezzi finanziari all'industria e all'agricoltura italiana ». « logico perciò che lo stato venga posto al centro del nuovo sistema bancario, come massimo « tutore del risparmio » ed arbitro supremo della ripartizione del credito tra i vari comparti

produttivi> (Il capitale finanziario in Itaha, 1971, pp. 136-137). Nel tentativo di approfondire maggiormente il tema, riconducendo la genesi del sistema del '36 a cause endogene, proprie cioè della particolare relazione tra sistema bancario e sviluppo industriale italiano, è stato opportunamente ricordato come la riforma vada collocata «all'interno del processo formativo del settore 'pubblico' dell'economia '>, e come non convenga enfatizzare oltre misura « la r.atura contingente del fenomeno>' della genesi della riforma (Belli, Modifi. cazioni e sviluppi della legislazione bancaria, 1974 p. 632). Un apporto decisivo alla ricostrazione della vicenda e dei motivi della riforma è dato da recenti studi storici, dai quali risulta un netto ridimensionamento del ruolo giocato dalle strutture del fascismo corporativo, come pure della necessità di tenere separato il credito ordinario dal medio credito. Quanto al primo aspetto, ovvero il ruolo delle corporazioni nella preparazione della riforma, alla testimonianza di Grifone « In effetti la legge del 1936 non fece che tradurre in termini giuridici le deliberazioni votate dalla Corporazione del Credito nella sessione del dicembre 1935 ed affidate per l'esecuzione ad un comitato tecnico cor porativo composto da cinque « esperti> esponenti del ceto bancario» (op. cit. p. 137), va contrapposto il risultato di studi più recenti: « v'è ragione di pensare

che l'introduzione ed il rafforzamento dei nuovi temi dominanti della riforma bancaria siano avvenuti nella fase di preparazione tecnica della legge. Questa fu breve, perché durò meno di un mese. Si svolse all'IRI, sotto la guida di un uomo come Beneduce, e vide come protagonisti Menichella, Saraceno e De Gregorio. L'azione di questo gruppo fu coordinata a quella della Corporazione e a quella del Comitato tecnico corporativo, oppure, come alcuni sostengono, la Corporazione svolse un lavoro indipendente, che rimase in superficie, e fu in sostanza estraneo alla vicenda, che fu invece dominata dal « brain trust» dell'IRI, all'insaputa di tutti, ad eccezione del Ministro delle Finanze, e forse di Mussolini? Questa è una domanda alla quale non è possibile dare una risposta certa. Ma si può notare che almeno un elemento dovrebbe indurre a ritenere le due iniziative sostanzialmente indipendenti: il fatto che nessuno del « brain trust » dell'IRI poteva dirsi fascista: erano, semmai, dei « fiancheggiatori» (Cassese, La preparazione

della riforma bancaria nel 1936 in Italia, 1974, p. 30). Quanto al secondo aspetto, la separazione tra credito ordinario e medio credito, la riforma bancaria veniva a sanzionare un dato di fatto già acquisito. Ciò era già evidente nelle valutazioni del Grifone precedentemente riportate, e trova conferma nella recente pubblicazione delle convenzioni intervenute tra le maggiori banche miste ed il governo, con le quali le prime, in cambio della riottenuta liquidità, s'impegnavano a circoscrivere la propria attività al credito commerciale (si veda per la COMIT l'art. 12 della Convenzione del 13.3.1934, pubblicata in Il capitalismo italiano del novecento, di L. Villari, 1975, p. 324, e per il Credito Italiano R. Faucci, Appunti sulle istituzioni economiche det tardo fascismo 1935-1943, 1975, p. 607). Resta quindi totalmente scoperto il problema della natura istituzionale della riforma del '36, dei suoi modelli organizzativi. Una risposta molto articolata ci viene dal Cassese: il fenomeno della riforma bancaria va inserito in quello più ge-


nerale che caratterizza gli anni '30: la moltiplicazione di burocrazie parallele alla macchina dello stato liberale, che risponde all'esigenza di dare agili risposte a domande settoriali emergenti, e di ricucire il legame tra classe politica ed amministrazione interrotto nella crisi dei primi del secolo. La legge bancaria « non fu opera né della burocrazia statale, né degli organi corporativi, ma dell'IRI; e servì a dare forza alla Banca d'Italia, che trasformò in ente pubblico: la Banca d'Italia e gli strumenti di governo del credito saranno al centro della pianificazione degli anni successivi » (Cassese, op. cit., p. 6). Per inciso, possiamo notare la singolarità del fenomeno della moltiplicazione delle «burocrazie parallele », o meglio come una burocrazia parallela quale l'IRI possa promuovere la costituzione per « gemmazione'> di una ulteriore e più importante burocrazia parallela (la Banca d'Italia). La corrispondenza del modello della riforma bancaria a quello delle amministrazioni parallele dell'epoca risalta nella individuazione delle sue caratteristiche strutturali: «l'assenza di interventi parlamentari e la prevalenza dell'amministrazione, l'accentramento della direzione dell'attività creditizia in un apparato amministrativo unico; la sottoposizione delle aziende di credito ad un regime di controllo; la disciplina per statuti speciali dei principali enti. Sono caratteristiche, queste, di tutte le pianificazioni amministrative di settore degli anni '30: di quella del commercio estero, come di quella del trasporto marittimo e dei trasporti pubblici, di quella degli impianti industriali, di quella delle assicurazioni, nonché di quella che ha riguardo ad alcuni beni, come i suoli urbani, le bellezze naturali, le acque» (p. 8). Alle ipotesi sulla riforma che aievamo prima elencate - quella monetaria, quella politica, quella « bancaria» - va quindi ad aggiungersi la lettura « amministrativa ». In essa si legge chiaramente la genesi di quegli aspetti del sistema bancario - tecnici, ma si badi, non neutrali - che lo caratterizzano ancor oggi: la sua autocefalia, la cua strutturale impermea-

bilità, la separazione rispetto al controllo degli altri centri di direzione dello Stato, la sua irriducibilità ad una programmazione democratica e non «amministrativa » solamente.

LA RIFORMA DEL '36 TRA INTERVENTISMO ECONOMICO E MERCATO: STRUMENTO DI POLIZIA O DI GOVERNO DEL CREDITO?

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Come si colloca la riforma tra interventismo economico e mercato, come va ad incidere nella separazione di aree tra pubblico e privato? Nigro (op. cit., p. 14) afferma: « Le leggi del 1936 sono quindi sicuramente espressione di un disegno, non del tutto definito, non del tutto attuato, non del tutto preservato da contaminazioni, ma tuttavia riconoscibile, di governo dei fenomeni economici e monetari: la pubblicizzazione del credito, quali che ne siano gli strumenti concreti, ha così, in primo luogo, almeno tendenzialmente, il senso dell'acquisizione allo stato di una funzione di indirizzo del settore nel quadro e per l'esigenza del generale governo economico e monetario ». Diversa è la valutazione del Belli secondo il quale, con riferimento alle esigenze interne al sistema bancario « quello che si presenta fenomenicamente come limitazione imposta da forze esterne ed estranee al settore, nella sostanza viene, per aspetti non secondari, a coincidere con - e in definitiva a qualificarsi come - limitazione concordata dalle stesse forze del sistema e quindi autolimitazione » (op. cit., p. 635). La posizione del Ferri (La validità attuale della legge bancaria, 1974, p. 3) riflette le resistenze del ceto bancario ai contenuti della riforma, che portarono ad una procedura singolarmente lunga dell'iter di conversione in legge: <cLa riforma intendeva attuare una disciplina che sottoponesse l'iniziativa economica ad un più rigido e disciplinito controllo, e non anche una gestione diretta da parte della pubblica amministrazione, e si ribadì, di fronte a qualche perplessità che al riguardo era sorta, che nessuno poteva e doveva intravvedere nella riforma innovatrice il pericolo anche lontanissimo di

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7 una socializzazione o statalizzazione delle banche ». In una visione istituzionale-politologica si pone l'analisi del Cassese: « Il risultato di questo complesso meccanismo di pianificazione amministrativa fu il prevalere di una burocrazia « pubblica » su quella dell'' alta banca', che si vide sottratto il potere di direzione del sistema creditizio che essa aveva avuto fino allora ». Ciò tuttavia non voleva dire una netta espansione dell'area pubblica se «Era estranea al modello di pianificazione amministrativa una ulteriore estensione del settore pubblico. Il tentativo di statizzazione presente anche nel settòre del credito con la proposta di sprivatizzazione del capitale finanziario' fallì. Ma fallì anche quello, opposto, di tirare una linea fissa di separazione tra privato e pubblico, a difesa delle successive invadenze del settore pubblico. Prevalse, si può dire, una via intermedia, di razionalizzazione delle istituzioni create sotto la spinta delle situazioni di emergenza, nella quale però venivano sempre salvaguardati gli interventi direttivi statali » (p. 18). Sempre sul rapporto tra pubblico e privato nel sistema della riforma bancaria Vitale (Il modello organizzativo dell'ordinamento del credito, 1972, p. 1405) osserva che « Lo schema attuato, basato su uno schema piramidale, tendeva a raf forzare la componente pubblica. I programmi della finanza pubblica venivano garantiti anche attraverso una conformazione dell'ordinamento bancario, basata, apparentemente, su una prevalente impostazione pubblicistica. A fronte di ciò, però, si ponevano la sostanziale autonomia della Banca d'Italia; il permanere del modello organizzativo imprenditoriale nell'esercizio dell'attività bancaria, il vasto intreccio, non istituzionalizzato, di rapporti Banca d'Italia-imprese bancarie; la conformazione concreta dell'Ispettorato e la posizione del Governatore della Banca d'Italia, determinanti nella intonazione della normazione dinamica; infine il fatto che l'ordinamento, mentre rispecchiava le esigenze pubblicizzanti del medio e lungo termine, nell'ambito del breve termine non

attuava una organica funzionalizzazione selettiva della gestione delle imprese ». Come appare chiaramente, le posizioni sono varie e di diversa ispirazione: ognuna di esse ha la sua giustificazione. Tuttavia è palese la difficoltà di dare definizioni o interpretazioni economiche di fenomeni istituzionali, data anche la difficoltà di avvalersi di una definizione chiara dei termini di liberismo e d'intervento. Probabilmente le definizioni economiche risultano troppo anguste, o riduttive, quando vengono riferite ad un ambito istituzionale articolato come quello del credito. La stessa ansia di distinguere le componenti pubbliche da quelle private del sistema sottende il desiderio di servirsi di modelli giuridici netti quali erano quelli dello stato « liberale ». Più che una qualificazione globale della riforma è forse necessario tenere distinti, nella consapevolezza delle loro interconnessioni, gli aspetti economici, quelli istituzionali, e quelli politici della vicenda della riforma. È questa a nostro avviso la via migliore per evitare pericolose generalizzazioni; le incertezze nella definizione delle fasi dello sviluppo industriale italiano tendono a riversarsi nei giudizi sulle istituzioni dell'economia: per esempio, si è sempre contrapposto al dirigismo del tardo fascismo il liberalismo della « restaurazione liberale ». Oggi, al contrario, si riscopre come di «liberalismo » nel nostro sviluppo economico non si può parlare neanche in riferimento alle sue fasi iniziali, ai tempi dello stato « liberale »; e d'altro canto, la fase « liberale » della ricostruzione viene riconsiderata nei termini del «protezionismo liberale ». I giudizi sull'attuazione della riforma bancaria riflettono le incertezze degli studiosi nella definizione dei suoi caratteri strutturali; mancano peraltro studi specifici sull'argomento, che viene per lo più affrontato in maniera solo incidentale. Bisogna tenere distinti i due aspetti degli effetti prodotti dalla riforma nella morfologia del sistema bancario, e della concreta attuazione del delicato meccanismo di equilibrio previsto dalla leg-


ge tra istanze di « governo » e funzioni riforma (fino agli anni '50, secondo l'autore) rientrerebbe nella «fisiologia> deltecniche di vigilanza. Quanto al primo aspetto, la riforma è la riforma e non ne costituirebbe, almecoerente ad un processo di concentrazio- no in termini formali, una degenerazione. Al contrario, il prevalere del momento ne già avviato e proprio di quegli anni; ad appena un anno dalla riforma il nume- della « tutela » su quello del controllo sero delle banche si ridusse da 2070 a 1849, lettivo del credito è una violazione della il numero degli sporteffi diminuì progres- legge, strutturalmente non ambivalente, sivamente fino al 1940; sui criteri di tale secondo l'Allegretti (Il governo della financoncentrazione Grifone (op. cit., p. 139- za pubblica, 1971, p. 257), anche se lo stes140) scrive che tra le banche regionali e so autore ammette che nella riforma gli popolari « sono conservate quelle che a- elementi di governo sono di fatto offuscadempiono ( ... ) un buon lavoro di dre- ti dalla funzione di polizia: « Le enuncianaggio di piccoli e medi risparmi... Pa- zioni della riforma non sono su questo recchie banche minori e molte casse ru- punto né sufficientemente articolate, né rali sono invece eliminate per eliminare sufficientemente esplicite ». quella esuberanza di sportelli dannosa Bisogna tuttavia ricordare come la « fattuale frustrazione » della riforma non agli organismi più grandi. Un posto di sia da identificare con l'immobilismo: preminente importanza tra gli istituti raccoglitori di risparmio viene riservato in quegli anni fu attuata la trasformazioalle Casse di Risparmio, le cui «bene- ne della Banca d'Italia in ente pubblico, merenze» come massime sottoscrittrici fu modificata la struttura degli altri istituti di credito, mentre parallelamente di prestiti pubblici ci sono notissime Quanto al secondo aspetto, le valutazioni procedeva l'imponente processo di conproposte dagli studiosi concordano con centrazione che prima abbiamo indicato. le analisi sviluppate dalla Commissione D'altra parte non può ritenersi che l'ameconomica per la Costituente: la fun- bivalenza sia il dato caratterizzante delzione tecnica della vigilanza rappresen- la riforma, se si riconoscono nella sua tata dall'Ispettorato finì per prevalere struttura le premesse che porteranno la sulla funzione di indirizzo politico del banca centrale, con l'Ispettorato, ad asComitato dei ministri. Il meccanismo sumere una indipendenza dagli organi stadella legge sarebbe stato dai fatti vani- tali nelle vesti di amministrazione paralficato, ed addirittura capovolto. Il giu- lela; in tale complesso «parallelo », l'audizio sull'esperienza della legge degli an- torità «informale'> che l'istituto di emisni '36-44 è conforme all'idea che ciascu- sione esercita sul sistema delle banche pono ha dei suoi caratteri. Per Nigro (op. stula il possesso in funzione deterrente di cit., pp. 74-75) la compresenza nella leg- una serie estesa di strumenti coercitivi ge di due finalità - direzione del cre- il cui disuso è tuttavia assolutamente nordito, e tutela del risparmio - la rende male. L'esperienza dei primi anni della ribivalente: « Questa struttura è idonea ed forma contiene quindi molti degli elemenattrezzata a svolgere compiti così di go- ti che caratterizzeranno i successivi sviverno del credito, come di mero con- luppi. trollo di esso. possibile (anzi naturale) che acquisti prevalenza una delle due LA RIORGANIZZAZIONE POST-BELLICA E L'ACfunzioni a scapito dell'altra. Il sistema CENTUATA AUTONOMIA DELLA BANCA D'ITALIA può così precisarsi fattualmente in diversi modi ed anzi assumere, in succesLe strutture di vertice del sistema del '36, sivi periodi, diverse configurazioni le qua- con l'equilibrio che esse esprimevano tra li sono di esso vere e proprie varianti. direzione politica ed autoregolazione del Tutto dipende dall'ambiente politico ed sistema bancario, tra burocrazie statali, economico (internazionale ed interno), nuove burocrazie parallele, apparati degli dalle influenze di altre leggi, dal predo- istituti di credito, vennero rimesse in diminio dell'uno o dell'altro dei soggetti scussione ancor prima della fine della direttivi, etc. ». La « piega» presa dalla guerra. Col DLL 14.9.1944 n. 226 furono -


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10 soppressi il Comitato dei ministri e l'Ispettorato; i loro poteri furono attribuiti al Ministro del tesoro; le funzioni di vigilanza conferite a tale amministrazione statale vennero in parte temporaneamente délegate alla Banca d'Italia, non essendo possibile in quei frangenti l'organizzazione di un adeguato servizio ad hoc presso il Ministero. A soli tre anni di distanza l'orientamento del '44 fu capovolto: il DLCPS 17.7.1947, n. 691 istituiva il Comitato interministeriale per il credito ed il risparmio (CICR) ed affidava in via definitiva tutti i compiti di vigilanza alla Banca d'Italia. L'organizzazione del credito così ristrutturata, non ha subito modifiche di rilievo finché con la costituzione del CIPE nel 1968, non si stabilì un formale collegamento tra CICR e programmazione. L'interpretazione dei due decreti del '44 e del '47, del modo in cui essi incidono sulla disciplina del 1936, è resa più complessa dall'esistenza di due piani differenti di riferimento: l'astratto sistema del credito quale era prefigurato dalla legge, e l'effettiva sua traduzione in pratica. Riferendoci al primo punto di vista, ci troviamo davanti a due ipotesi interpretative opposte: semplificando al massimo, possiamo dire che per alcuni il decreto del '44 avrebbe costituito un frettoloso adeguamento alle esigenze di defascistizzazione, ed il successivo decreto del '47 avrebbe, con qualche modifica, restaurato le strutture dell'ordinamento del credito; al contrario, secondo altri mentre la svolta del '44 accentuava l'intervento statale nel sistema, permanendo tuttavia nella logica della riforma, nel '47 si sarebbe avuto un completo rivolgimento, con le definitiva esclusione della possibilità che l'ordinamento s'indirizzasse nel senso di una direzione qualitativa del credito, quale era negli intenti della riforma. Con riferimento invece all'esperienza fattuale dei '36-44, si rileva come i due decreti abbiano inciso solo marginalmente su una prassi ormai consolidata: le fanzioni dell'ispettorato erano di fatto svolte dalla Banca d'Italia, e ciò continuò ad avvenire anche tra il '44 e il '47; l'autonomia conseguita dalla Banca d'Italia nei confronti del CICR si era nei fatti già

prodotta nei confronti dei precedente comitato dei ministri; anche la formale scomparsa dei collegamenti tra il sistema del credito e la programmazione non avrebbe avuto alcun effetto significativo, poiché la programmazione corporativa, com'è noto, non sortì alcun risultato di rilievo. Una separazione troppo netta tra la vicenda dell'evoluzione formale della disciplina del sistema creditizio, e quella della sua reale attuazione ci sembra tuttavia eccessiva: se è certamente vero chc gli sviluppi del sistema in buona p2rte prescin dono dalla disciplina formale, sarebbe riduttivo non imputarii, più che al contenuto di singole norme, a talune guide-lines strutturali quale la programmazione amministrativa, l'amministrazione parallela, l'assenza di controlli parlamentari, etc. che costituiscono gli elementi di maggiore originalità della rifor ma del '36. Pertanto non può essere trascurata l'importanza della riforma del '47: se formalmente vengono restaurate le strutture dell'ordinamento del '36, le analogie si fermano al dato esteriore. Il CICR non corrisponde al vecchio comitato dei Ministri: ne è diversa la composizione, la sua presidenza è affidata al Ministro del Tesoro, non dispone di alcuna superiorità gerarchica nei confronti della Banca d'Italia neanche in quanto erede del disciolto Ispettorato, risulta formulabile quale organo di rappresentatività e non quale organo di organi (M. S. Giannini, Istituti

di credito e servizi di interesse pubblico, 1949, p. 105). La piena successione della Banca d'Italia all'Ispettorato nei compiti di vigilanza significa inoltre la completa esclusione delle burocrazie statali nei rapporto diretto con le aziende di credito, a favore della burocrazia parallela dell'Istituto di emissione. Ciò non vuoi dire tuttavia una rottura del sistema del '36, ma rappresenta l'accentuazione di alcune linee di tendenza in esso implicite: fondamentalmente l'autocefalia, che vale a tenere al riparo la tecnocrazia nata dallo sviluppo industriale degli anni '30 dagli attacchi della nuova classe politica del dopoguerra, dalla quale si vuole ottenere collaborazione


11 e protezione ma nòn condizionamento. Per intendere il senso della riforma del '47 è peraltro necessario fare riferimento alla complessa situazione politica, economica, istituzionale dell'epoca, ed all'importantissimo ruolo allora giocato dalla Banca d'Italia. t in quel clima che il sistema del credito, nato per realizzare un governo del credito, può convertirsi alle esigenze di un governo dell'economia basato su strumenti monetari, con una serie di limitate, anche se significative, modifiche normative. che danno risalto ai principali aspetti della sua struttura amministrativa. La riorganizzazione post-bellica del sistema del credito fa perno su almeno due vicende intersecantesi: i lavori e le conclusioni della Costituente nella impostazione della nuova costituzione economica, e la stabilizzazione einaudiana della lira: il tutto soffuso nel clima di « restaurazione liberale », o per meglio dire, di « protezionismo liberale ». La Commissione economica per la Costituente si pronunciò a favore della devoluzione delle funzioni di vigilanza all'Istituzione di emissione in quanto « più vicino di altri organi alle aziende e agli istituti cli credito, con cui vive in quotidiano contatto e di cui sente veramente i bisogni »; risulta chiaramente come l'affidamento delle funzioni di vigilanza alla Banca d'Italia, quale struttura esponenziale del mondo bancario, sia cosa diversa dalla finalità di direzione del credito propria del precedente Ispettorato. Pur essendo chiaramente afliorato nella Commissione il problema di un'adeguata composizione tra elementi di governo ed elementi di vigilanza sul credito, « si propose un sistema tipicamente dicotomico nel quale si ipotizzava una rigida separazione delle due funzioni; da un lato il Tesoro, organo 'politico' e quindi organo di governo, e dall'altro lato la Banca d'Italia, organo 'tecnico' e quindi organo di vigilanza » (Belli, op. cit., p. 648); « appare poi sintomatico il fatto che si ignori il Governatore.., e che non si tenga conto dei collegamenti ( ... ) che si svolgono tra istituto di emissione e Tesoro» (ibidem, p. 649); quanto agli indirizzi che

avrebbe dovuto seguire l'intervento pubblico, « fecero spicco, nelle opinioni raccolte nella Commissione, la garanzia della « liquidità delle banche e la difesa del valore d'acquisto della moneta » e, nel sottofondo, apparve il problema del pieno impiego dei fattori di produzione e, naturalmente, quello dello sviluppo del reddito », ma, per il perseguimento di tale finalità, si negava la bontà di una fissazione amministrativa dei tassi, e piuttosto si riteneva opportuno lasciare al mercato « la cura di adattare i saggi attivi alla produttività ed al rischio dei singoli investimenti », il che avrebbe garantito la più corretta allocazione delle risorse finanziarie. L'impostazione « garantistica » prevalente nella Commissione fu temperata nella enunciazione dell'art. 47 dalla riproposizione di un intervento pubblico nella disciplina, nel coordinamento e nel controllo dell'esercizio del credito. Ma i dati salienti della disciplina costituzionale del credito, secondo larga parte della dottrna, consistono nella sottrazione della disciplina dei credito alla riserva di legge che l'art. 41 prevede per l'indirizzo ed il coordinamento dell'attività economica pubblica e privata e nell'attribuzione delle funzioni di disciplina, coordinamento etc., non già allo Stato-apparato, ma allo Stato-ordinamento, la Repubblica. Raffrontando lo schema organizzativo della riforma del '36 con l'art. 47, vediamo che i suoi aspetti-base - l'amministra. zione parallela, la delega all'amministrazione della disciplina del settore - sono recepiti dalla Costituzione: dalle funzioni di coordinamento e di controllo è esciusa l'amministrazione dello Stato, e dalla funzione di disciplina è tenuto fuori il Parlamento. Si pone quindi il problema del raccordo tra l'organizzazione del credito, appartenente allo stato-ordinamento, ed il sistema rappresentativo, ovvero tra gli istituti della Costituzione economica e le 'strutture democratiche. L'art. 47, col suo rinvio allo stato-ordinamento, legittima he « l'organo di vertice possa essere un 'organo costituzionale non inserito, nemmeno indirettamente, nel circuito rappresentativo» e la posizione del governatore


12 nei confronti del governo sarebbe qualificabile secondo <(la configurazione weimariana dell'organo politicamente neutro, cioè non legato al succedersi di coalizioni politiche di governo ed al mutare della politica governativa, al quale è, in sostanza, imputabile una autonoma azione cli indirizzo politico-economico motivata dalla logica dell'equilibrio monetario » (F. Merusi, Per uno studio sui poteri della

banca centrale nel governo della moneta, 1972, pp. 1425). Parallelamente alle scelte della Costituente si attua il processo di stabilizzazione monetaria, che porta ben visibile l'impronta del governatore dell'epoca, Einaudi. Si può subito dire che l'esperienza di stabilizzazione non fu un episodio a sé stante, ma inaugurò una prassi istituzionale, un tipo di ruolo della Banca centrale che si protrarrà fino ai giorni nostri. Come è noto, la «stabilizzazione » fu conseguita attraverso la regolazione della liquidità bancaria, con un sistema di riserve bancarie obbligatorie introdotto dalla prima riunione del CICR nell'agosto '47: con la regolazione del ricorso del Tesoro alla Banca centrale e dell'iniziativa parlamentare in materia di spesa; con la ricostituzione delle riserve valutarie. In termini istituzionali, la stabilizzazione pertanto richiedeva: un mutamento del rapporto tra sistema bancario e Banca centrale, attraverso la funzionalizzazione della vigilanza alle esigenze di regolazione quantitativa della liquidità: ciò che fu ottenuto con la riforma del '47, devolvendo definitivamente le funzioni dell'Ispettorato alla Banca d'Italia. la predisposizione di misure atte ad evitare che la politica della Banca fosse neutralizzata dalla dilatazione della spesa pubblica per opera del Tesoro e del Parlamento: pertanto « Con decreti legislativi del dicembre 1947 e del maggio 1948 si vietò al Tesoro il ricorso alle anticipazioni della Banca centrale, in assenza di apposite leggi di autorizzazione per importi determinati. L'elasticità di cassa del Tesoro venne assicurata conferendogli uno scoperto di conto corrente nei suoi rapporti con la banca centrale, limitato ad

una frazione (15%) della spesa effettiva di bilancio. All'inizio del 1948 entrò in vigore la Costituzione della Repubblica. Durante i lavori dell'Assemblea Costituente i professori Einaudi e Vanoni (entrambi membri di quell'Assemblea) sostennero la limitazione dell'iniziativa parlamentare in materia di spesa, secondo una formula che venne tradotta nell'art. 81 della Costituzione: 'Con la legge di approvazione del bilancio non si possono stabilire nuovi tributi e nuove spese. Ogni altra legge che importi nuove o maggiori spese deve indicare i mezzi per farvi fronte ' » (Baffi, Studi sulla moneta, 1965, p. 322). Quale valutazione complessiva si può dare delle vicende degli anni '47-48? Il sistema del credito, sotto la pressione di ideologie ed esigenze economiche, viene ulteriormente separato rispetto al governo, alle Camere, all'amministrazione dello Stato, accentuando quellio che era un suo carattere strutturale. La Banca d'Italia viene a disporre di un potere e di una autonomia di cui non aveva mai goduto in precedenza: se ne ebbe consapevolezza anche allora, se nel decreto 691 del '47 si sentì la necessità di ribadire la estraneità del Consiglio Superiore della Banca alle scelte di politica monetaria, e si previde che nella nomina del governatore la cooptazione del Consiglio stesso fosse accompagnata da un atto di appro. vazione del governo con decreto del Presidente della Repubblica. Il ministro del Tesoro, responsabile politico del settore, non ha in realtà gli strumenti per partecipare alla direzione della politica creditizia e monetaria se non in un ruolo subalterno rispetto alla Banca d'Italia: ogni suo indirizzo passa per il vaglio e richiede la collaborazione operativa della banca stessa; il circuito finanziario separato, fungente alle esigenze della finanza pubblica che faceva capo alle CDDPP, ed al risparmio postale fu ridimensionato nel 1953 per favorire Io sviluppo delle Casse di risparmio; una autonoma politica di tesoreria non ha mai avuto modo di prendere piede. Venuta meno qualsiasi volontà di programmazione pubblica del credito, il CICR,

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14 data la sua struttura di organo di rappresentatività, finisce per essere la camera di compensazione di istanze diverse o semplicemente per assumere una funzione «notarile ». Anche in occasione della costituzione del CIR non venne previsto alcun collegamento tra esso ed il CICR. (Sull'attività del CICR nel periodo '62-72 si veda l'originale studio

Dieci anni di attività del CICR: un tentativo di classificazione, presentato al Convegno di Siena su « Il governo del credito ed evoluzione della legislazione bancaria italiana », 16--18 nov. 1974). Pertanto tutto il sistema del credito finisce per imperniarsi sulla Banca d'Italia ed il suo governatore. Assistiamo così ad una sorta di conversione delle funzioni della riforma del '36, resa possibile dai caratteri del suo modello organizzativo: l'« amministrazione parallela » degli anni '30, a cui è delegata la disciplina del credito, nella svolta della ricostruzione costituisce il sostrato per un vero e proprio potere separato che disciplina ed organizza il settore in modo autonomo rispetto a governo e Parlamento, nel perseguimento del fine della regolazione della liquidità del sistema economico. Ci troviamo davanti a qualcosa di ben diverso che la semplice « degradazione)) in senso privatistico dell'organizzazione pubblicistica del credito, o la realizzazione di una delle possibilità che la natura « bivalente » della legge avrebbe consentito. L'autonomia del vertice del sistema - la Banca d'Italia ed il suo governatore -' realizzatasi nel corso di un trentennio, viene teorizzata da Carli: il banchiere centrale sarebbe « un alto magistrato, ancorché non inamovibile, cui compete di censurare gli avvenimenti e gli intendimenti riguardanti la vita economica: è un super-banchiere che deve fare istituzionalmente una continua valutazione delle capacità di intrapresa, delle possibilità di riuscita, dell'accettabilità dei calcoli di quel super cliente che è il sistema economico, il quale abbia preparato per mezzo dei suoi organi (governo, imprese, sindacati) un super progetto e desideri ottenere l'appoggio finanziario)> (G. Carli,

Problemi odierni di un istituto di emissione, 1976, p. 678); è evidente in tale visione un ruolo della Banca centrale di gran lunga più ampio di quanto le leggi non facciano capire. Sulla posizione del Governatore, P. Trimarchi (Il Governatore della Banca d'Italia; 1970, n. 1, p. 24) nota come essa vada cercata « in uno spazio politico: può essere accostata a quella di un ministro. Manca una sua responsabilità nei confronti del Parlamento, ma la sua attività va imputata al governo, di cui è un tecnico ». Pertanto non è possibile considerare il potere dell'istituto di emissione quale una « risultante quasi meccanica delle assenze altrui e delle (correlate) deficienze strutturali del mercato finanziario» (G. Amato, Il governo dell'industria in Italia, 1972, p. 24), ma come il risultato di un disegno istituzionale e politico chiaro nella mente dei suoi autori e protagonisti. « GovÈRNo» DEL CREDITO E STRUTTURE DEL MERCATO MONETARIO Data la collocazione istituzionale che abbiamo descritto, il ruolo, le reciproche relazioni tra i soggetti del sistema del credito - Tesoro, Banca d'Italia, CICR, sistema bancario - sono direttamente condizionati dall'obiettivo del mantenimento della stabilità monetaria e dalla elementare struttura del mercato monetario, le cui origini affondano nei ritardi e nelle peculiarità dello sviluppo economico del nostro paese. « Il mercato monetario italiano » - scri-

ve Graziani (Problemi di politica monetaria in Italia (1945-1970), 1972, p. 307) « è caratterizzato da un'estrema semplicità di struttura. I soggetti che compaiono in questo mercato sono essenzialmente tre, la banca di emissione, le banche di credito ordinario, e il tesoro. Le banche di credito ordinario raccolgono liquidità creata dal pubblico sotto forma di cambiali e forniscono in cambio depositi e moneta legale. A loro volta le banche cedono parte della liquidità raccolta dal pubblico alla banca di emissione attraverso le operazioni di risconto e ricevono in cambio moneta legale. La liquidità di cui le banche dispongono viene usata o


15 per impieghi diretti presso il settore privato, sotto forma di anticipazioni, o nell'acquisto di buoni de.l tesoro, e cioè trasferendo liquidità al settore pubblico ». «Negli anni del miracolo economico le banche ( ... ) trovano modo di collocare la propria liquidità in impieghi presso il settore privato, o collocano il supero in Buoni del Tesoro. Al fine di rendere possibile questo comportamento delle banche, la banca di emissione seguì una politica di stabilizzazione dei corsi del debito pubblico »; per altro verso ciò richiedeva un regime di emissione dei BOT « on the tap» tale da coprire completamente l'eventuale domanda delle banche. Tale organizzazione del mercato monetario presuppone un ben definito rapporto tra Banca d'Italia e Tesoro, tra Banca d'Italia e aziende di credito. Il tesoro rinuncia ad una politica autonoma di tesoreria, funzionalizzando il proprio indebitamento non già al proprio fabbisogno finanziario, ma all'esigenza di regolazione della liquidità di cui si rende interprete la Banca centrale; la definizione della politica monetaria peraltro si esaurisce in un rapporto tra Tesoro e Banca d'Italia che non lascia alcuno spazio al CICR. «Anziché secondo lo schema organizzativo, spesso descritto dalla dottrina, del Comitato dei ministri che determina l'indirizzo politico amministrativo, del ministro preposto al settore e dell'ente strumentale di amministrazione attiva, il sistema istituzionale del credito è venuto sviluppandosi secondo lo schema paritario, necessario e dialettico, tra due organi, un organo dello stato, un ministro, ed un organo posto al di fuori dell'apparato statale, il governatore della Banca d'Italia. Il Tesoro è preposto alla flnanza pubblica, la Banca d'Italia al settore delle banche ordinarie che contro!la ed indirizza non con strumenti amministrativi autoritativi, ma con strumenti bancari. Il debito pubblico unisce necessariamente i due soggetti, ed è condiiione e presupposto dei poteri dell'uno e dell'altro'> T. Merusi, op. cit., p. 1447). uanto al rapporto tra banca centrale ,íed istituti bancari, esso è condizionato dall'esigenza di drenare costantemente

risparmio da trasferire al Tesoro: i titoli pubblici sono infatti lo strumentochiave della liquidità. La Banca d'Italia si adopera per ottenere dalle banche una collaborazione, basata sulla «moral suasion» non disgiunta dalla preoccupazione di incoraggiare la collaborazione alle linee della politica perseguita con convenienze di mercato. In tal senso la Banca d'Italia rinuncia alla potestà di fissare autoritativamente i tassi attivi o passivi, di intervenire in maniera diretta nelle gestioni bancarie; favorisce invece l'instaurazione di un mercato concorrenziale - trascurando di dar seguito al disegno di funzionalizzazione delle aziende creditizie che aveva portato con la riforma del '36 al conferimento di varie figure soggettive, di vari statuti - e limita il proprio intervento finché è possibile, solo alla politica di stabilizzazione dei corsi del debito pubblico. Del dirigismo presente nelle disposizioni relative alla funzione di vigilanza l'ispettorato doveva essere lo strumento atto a realizzare il « piano regolatore dell'economia» - viene mantenuta la « discrezionalità» della Banca d'Italia nell'intervento a sostegno delle situazioni critiche delle gestioni bancarie. Le altre norme della vigilanza, volte nell'impianto prekeynesiano della riforma del '36 alla salvaguardia degli equilibri gestionali, vengono usate ai fini della politica monetaria: così le riserve obbligatorie, le anticipazioni, i vincoli di portafoglio, con un palese « sviamento di potere ». Nel nuovo rapporto tra banca centrale e istituti di credito è implicita la tendenza della banca a trasformarsi in un ambito di sintesi delle esigenze del ceto dei banchieri a scapito della propria libertà di manovra: nella politica perseguita dalla banca centrale di autorizzazione all'apertura di nuovi sportelli, nettamente favorevole alle piccole banche, alle casse di risparmio, a detrimento delle banche maggiori, è da ravvisare - oltre all'ideologia liberale dei primordi einaudiani, ed alla necessità di coniugare la tecnostruttura della banca centrale e delle grandi banche, nata dalle grandi trasformazioni economiche degli anni '30, con la classe dirigente cattolica in-

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16 sediata nelle Casse di risparmio - la volontà di rafforzare la posizione autonoma dell'istituto di emissione. Negli anni del « miracolo)) il mercato monetario, nei suoi tratti elementari, poté adempiere alle proprie funzioni, in un quadro di crescenti ritmi d'investimento, bassi salari, conti con l'estero attivi, e un mercato interno in espansione. In tale clima maturò il proposito del nuovo governatore di allora, Carli, di conferire al mercato monetario del paese un assetto più moderno ed articolato, integrato nei circuiti finanziari internazionali. L'ingresso delle banche italiane nel mercato dell'eurodollaro richiese nel 1962 la modifica del sistema di emissione dei BOT: i titoli del debito pubblico emessi mensilmente secondo le necessità di tesoreria, non coprivano più la eccedenza di liquidità delle banche, le quali erano pertanto sospinte nel mercato internazionale o alla ricerca di opportunità di investimento nell'economia. Ma soprattutto, la riforma del sistema di emissione dei BOT rispondeva alla volontà di « non subire passivamente la situazione di liquidità del mercato, riflettendo quindi, più che guidando, i comportamenti dei tassi di interesse, ma di agire su di essa, attraverso una gestione delle strutture per scadenze del debito pubblico » (M. T. SaI-

vemini, Osservazioni sul mercato dei Buoni del Tesoro ordinari, 1975, p. 6). I propositi di riforma naufragarono nella crisi del '63 e nella successiva depressione, quando si dovettero fronteggiare insieme il disavanzo dei pagamenti, la caduta degli investimenti e l'esportazione dei capitali. La struttura del mercato monetario non uscì immodificata da tali frangenti: si manifestarono chiaramente i limiti derivanti dalla sua scarsa articolazione, essendo indistintamente convogliate nella intermediazione bancaria funzioni diverse, quale il finanziamento- al consumo, il finanziamento degli investimenti e il finanziamento del settore pubblico come del settore privato dell'economia; ciò rendeva ardua una manovra monetaria che selezionasse i suoi obiettivi, evitando di tradursi in una paralisi di tutta la vita economica. L'esigenza di finanziare i programmi del-

l'Enel e dell'IRI senza deprimere i corsi dei titoli spinse le autorità monetarie nel 1964 a vincere un tabù quarantennale, autorizzando le banche ordinarie ad inserire nei propri portafogli titoli obbligazionari, e impegnandosi successivamente, a partire dal 1966, in un'azione di sostegno dei loro corsi. Se prima « l'articolazione del sistema monetario era stata estremamente semplice, il sistema bancario non aveva conosciuto altri impighi al di fuori dei normali impieghi presso il settore della produzione, integrati dagli acquisti di buoni del tesoro; adesso il panorama si presentava più differenziato, potendo la banca acquisire posizioni attive nel mercato degli euro-dollari, o potendo acquistare obbligazioni emesse da imprese pubbliche o da istituti speciali di credito)) (Graziani, op. cit., p. 331-2). 11 mercato finanziario pertanto esce dalla crisi degli anni '60 arricchito dalla presenza di nuovi strumenti - euro-dollari, obbligazioni, BOT, etc., .- ma ulterior mente irrigidito a causa dell'accentuarsi della posizione di monopolio dell'intermediazione bancaria: la stabilizzazione dei corsi dei titoli pubblici e delle obbligazioni spinge le banche ad una politica concorrenziale nell'accaparramento di volumi crescenti di risparmio a costi sempre maggiori e con scartellamenti continui, alimentando il mercato interbancario - risparmio da convertire in titoli la cui profittabilità è sicura in quanto garantita dall'azione della banca centrale. Per varie cause, dalla seconda metà degli anni '60 l'intermediazione bancaria si ipertrofizza, il mercato del reddito fisso assume dimensioni sconosciute in tutti gli altri paesi: «le aziende di credito a partire dal 1964 s'impegnano essenzialmente nel lavoro di trasformazione dei depositi in titoli obbligazionari» (Izzo,

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Cause dell'evoluzione della struttura /1nanziaria, 1976, p. 37). Le banche acquistano quindi un ruolo sempre più burocratico e parassitario, traendo profitti sicuri - anzi, rendite, secondo taluni - dalla attività di finanziamento di enti diversi dallo Stato (comuni, etc.) che non hanno la possibilità di un canale proprio di finanziamento, e dalla

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17 politica di stabilizzazione dei corsi. Le possibilità di manovra monetaria sono in tale contesto ridotte dalla rigidità dei tassi, che non possono essere ridotti se non a costo di squilibrare i conti delle banche che hanno titoli a reddito fisso nei loro portafogli, e dal fatto che le funzioni di finanziamento del debito pubblico e di finanziamento dell'industria sono conglobate negli strumenti di regolazione della moneta. Dall'esigenza di ridare elasticità ai tassi derivò la riforma dei sistemi d'asta dei BOT del 1969: buoni non destinati a coprire le riserve obbligatorie erano emessi a tassi variabili; tuttavia la tendenza alla rigidità fu rafforzata dalla immissione dei titoli obbligazionari nelle riserve obbligatorie, e con l'introduzione di vincoli di portafoglio che oggi raggiungono il 42% degli impieghi bancari. La volontà di migliorare il controllo della banca centrale nella struttura del debito pubblico porterà nel 1975 ad una ulteriore riforma, dopo quella del 1969, delle aste dei BOT. CREDITI SPECIALI E FINANZIAMENTI ALL'INDUSTRIA: IL PARZIALE RECUPERO DELLA FUNZIONE DI CONTROLLO DELLA BANCA D'ITALIA

Le esigenze di organizzare e guidare il mercato monetario harmo favorito il processo di Concentrazione dei poteri della struttura di vertice dell'ordinamento monetario creditizio presso la Banca d'Itaha; il Tesoro non ha la autonoma capacità di perseguire una sua politica ed è preso dall'affannosa ricerca dei mezzi necessari per rispondere alla incontenibile dilatazione della spesa pubblica e al finanziamento con risorse pubbliche di programmi d'investimento non più sorretti dal risparmio privato; il rapporto tra banca centrale e sistema bancario oscilla così tra consenso e autorità, tra mercato e vincoli di portafoglio. Con un segno opposto a quello della centralizzazione del potere della Banca d'Italia si svolge, a partire dagli anni '50, lo sviluppo dei crediti speciali, sui quali è necessaria qualche breve premessa. La riforma bancaria del '36, sancendo for malmente la separazione tra medio e bre-

ve termine, non fissava una disciplina sufficientemente articolata per il medio credito. Ciò poiché i problemi connessi ai finanziamenti protratti e tali da creare immobilizzi sembravano risolti con la costituzione dell'IMI, dell'IRI, dell'ICIPU. Gli istituti di credito speciale (mobiliare, fondiario, agrario etC.) preesistenti al momento della riforma furono solo parzialmente sottoposti alla disciplina generale delle aziende di credito, a cui soggiacciono, al contrario, gli istituti speciali costituiti successivamente (DLCPS, n. 370, del 1946). Sia pure attenuati dall'euforico clima di ricostruzione e di boom, i problemi del credito non ordinario, in particolare il finanziamento del credito a medio ter mine per le piccole e medie aziende, si ripresentarono nel dopoguerra, trovando risposte all'interno del sistema delle banche ordinarie, o in iniziative istituzionali. Gli istituti di credito speciale, 28 al tempo della riforma bancaria, passarono a 41 nel 1960, 67 nel 1970; degli attuali 85, 47 sono sezioni autonome di banche ordinarie. Tale sviluppo è dovuto soprattutto agli istituti di credito mobiliare (passati da 6 a 32); la crescita degli ultimi cinque anni è da imputare alla costituzione di sezioni autonome per il finanziamento di opere pubbliche. Nel delineare una tipologia degli istituti di credito speciale, è stato sottolineato come « mentre negli istituti mobiliari è molto ampia la proprietà pubblica, negli istituti di credito fondiario, di credito agrario, e nelle sezioni di credito per le opere pubbliche, parte preponderante del capitale è detenuto dalle aziende di credito, a loro volta appartenenti o meno alla sfera pubblica» (Pontillo, Profili del sistema del credito speciale, 1976, p. 26) e ciò si riflette nella riferibilità della direzione degli istituti a due aree: «mentre negli istituti di credito mobiliare è molto incisiva l'influenza del potere centrale attraverso le scelte da parte dei membri del Consiglio di amministrazione e degli organi sindacali, negli istituti di credito fondiario e negli istituti di credito agrario in linea generale la struttura degli organi amministrativi denota una accentuata caratterizzazione locale dato


18 artigiane, ISVEIMER, .IRFIS, CIS deteril peso prevalente esercitato dalle casse mina, in luogo della Banca d'Italia, i cridi risparmio » (p. 27). Ma alla « fuga » dal controllo del pote- teri generali d'indirizzo dell'attività. In tal modo il CICR viene ad afilancare alre centrale rappresentato dalla Banca d'Italia, oltre alla posizione del potere lo- la funzione di coordinamento di tutto il sistema del credito che la legge gli attricale delle Casse di risparmio, concorre in maniera decisiva sul piano strutturale la buisce, ma che la prassi gli nega, quella di circostanza che nello sviluppo degli istitu- organo di governo di un settore specifico, il medio credito, anche se tuttavia ti di credito speciale si è rafforzato il ruolo delle amministrazioni dello Stato, in « il CICR non era tale da introdurre valutazioni più latamente politiche nella particolare quello del Tesoro, che nel sigestione del credito agevolato» (Amato, stema del '36 e nei suoi sviluppi successiIl governo dell'industria in Italia, 1972, p. vi era stato ridotto, a favore delle strutture parallele della banca centrale. Sul 23). piano funzionale il recupero dell'ammi- Il recupero del controllo della Banca d'Italia sui crediti speciali avviene nel monistrazione politica delle burocrazie statali è favorita dalla adozione in misura mento in cui il loro finanziamento ricrescente dal '50 in poi di strumenti di chiede in misura sempre più massiccia l'apporto delle banche ordinarie e la tupolitica industriale - quali incentivi, cretela della banca centrale, sotto il pediti agevolati, gestioni speciali, fondi di so dell'accresciuta domanda di credito rotazione - che si avvalgono delle strutda parte delle imprese, nel momento ture degl'istituti di credito speciale: alle istruttorie svolte dagli organismi di ta- in cui in esse cade l'autofinanziamento li istituti si sovrappongono quelle svolte e non afiluisce capitale di rischio. Le aua livello subpolitico ed amministrativo. torità monetarie rendono possibile il clasIn tal senso: « non bisogna infatti dimen- - samento di crescenti volumi di titoli degli istituti di credito speciale autorizzanticare che per la legge bancaria il tramite necessario per la trasmissione del- done l'inserimento nelle riserve obbligatorie delle banche ordinarie, stabilizzanle direttive tra vertice ed istituti di credidone i corsi al fine di invogliare all'acquito è il governatore della Banca d'Italia, sto i risparmiatori privati, fino a giungementre qui (nel governo degli incentivi) questa intermediazione sembra negata, re alla costituzione per le banche ordinainstaurandosi un rapporto diretto tra uno rie di vincoli di portafoglio tuttora opedei poli del vertice (Ministro per il Te- ranti. La partecipazione delle aziende di credito al finanziamento del credito spesoro) e soggetti operanti nel settore ». «Né va dimenticato che la legislazione ciale si è allargata tanto da coprire nell'ultimo triennio i quattro quinti della di ausilio finanziario contiene clausole liberatorie degli obblighi ai quali gli isti- loro provvista; nel 1975 uii quarto dei detuti di credito sono astretti o in base ai positi bancari è stato trasferito in impieghi presso gli istituti speciali. loro statuti, o in base a legge generale. Si ha l'impressione, cioè, che le zone di La conseguenza più vistosa che da tanto risulta è l'elevato livello degli immobiizinfluenza del Governatore della Banca d'Italia e del Ministro per il Tesoro ten- zi delle banche ordinarie, una doppia intermediazione - risparmiatore banca dono progressivamente a separarsi e a delinearsi autonomamente, al primo re- banca istituto speciale - istituto speciale prenditore di crediti - che genera la stando quella relativa agli istituti di crelievitazione dei costi bancari, e l'ingresso dito ordinario, al secondo essendo attridei titoli obbligazionari nel mercato mobuita quella degli istituti a medio e lungo termine» (D. Serrani, Lo Stato finan- netario. Ciò, se per un verso costituisce un ulteriore strumento di governo della ziatore, 1971, p. 69). moneta, per l'altro produce rigidità nei Lo sviluppo dei crediti speciali porta ancora ad una significativa evoluzione del tassi e sconvenienti intrecci tra politica ruolo del CICR, che nel caso di Medio monetaria e politica industriale. Se quindi si assiste alla riaffermazione del ruolo credito, Cassa per il credito alle imprese


19 di direzione, in termini monetari e finanziari, della Banca d'Italia sugli istituti speciali, la banca rimane tuttavia estranea al momento importantissimo della gestione, delle scelte d'investimento, etc.; ciò è alla base di recenti battute polemiche del Governatore della Banca d'Italia contro la corruzione del mercato finanziario e del sistema industriale prodotta da una politica d'incentivazione ed agevolazione inadeguata, contro le politiche degli istituti di credito fondiario legate al sistema delle Casse di risparmio; così, quando l'istituto d'emissione ottiene che l'emissione di cartelle fondiarie richieda la sua preventiva approvazione (DL 13 agosto 1975, n. 376, art. 11) ciò non avviene perché la Banca d'Italia intende interrompere il legame solidissimo tra Casse di risparmio, istituti di credito fondiario e rendita fondiaria, ma per arrestare un meccanismo di indiscriminata creazione di liquidità implicito nel vecchio sistema di emissione delle cartelle fondiarie. Osservando lo sviluppo post-bellico degli Istituti di credito speciale in una ottica istituzionale, si può riconoscere in esso un'ulteriore fase del processo di disgregazione del vecchio stato liberale, i cui contorni appaiono più frastagliati per ché si sovrappongono alle importanti trasformazioni dei decenni precedenti: la «burocrazia parallela » della banca centrale si è trasformata in una sorta di potere costituzionale autonomo; alle esigenze di nuovi strumenti di politica industriale, settoriale o di sviluppo, il sistema politico ed il sistema bancario rispondono con la costituzione di nuove amministrazioni, in parte «parallele », in parte « a cavaliere » tra amministrazione pubblica e sistema bancario, e quindi caratterizzate da grandi ambiguità strutturali e funzionali; l'eccletismo di tali strutture, la loro inqualificabilità formale s'accresce sotto la spinta di una crisi dell'economia pubblica come di quella privata, di uno sviluppo sempre meno autopropulso e sempre più bisognoso di sostegni statali. Si moltiplicano i centri del potere e diminuisce la governabilità del sistema, in un intreccio inestricabile tra

tecnocrati laici e classe dirigente cattolica, tra Stato, amministrazioni parallele, amministrazioni parallele all'uno e alle altre, tra profitto e rendita. Certamente nel vortice della crisi attuale anche la Banca d'Italia è soggetta ad una grave crisi di identità: la situazione economica, il quadro politico e la caduta della fiducia internazionale nelle nostre capacità di ripresa hanno tolto alla manovra monetaria, alle ardite operazioni sui mercati internazionali della gestione Carli, la capacità di arginare, sempre nel breve periodo, le falle del sistema economico. Se negli anni passati la politica della Banca d'Italia poteva costituire il perno su cui ruotava la politica economica, oggi non è più così: sono emersi nuovi centri di contrattazione politica, si sono create rigidità che impediscono l'autonomo prevalere del fine che la banca centrale si è dato, la salvaguardia dell'equilibrio monetario. Di tale crisi di identità la Banca d'Italia ha dato numerosi segni: nel discorso tenuto all'Accademia di Modena il Gover natore Baffi (si veda il testo riportato ne Il Sole-24-ore del 31 gennaio 1976, p. 3) indicava le difficoltà dell'azione di difesa del valore della moneta quando la banca centrale non controlla i fattori che creano inflazione (salari e deficit pubblico); e gli stessi rimedi proposti - la politica dei redditi ed il contenimento del deficit pubblico - richiedono ambiti di negoziazione e consenso ben più ampi degli uffici di via Nazionale, tanto che gli interventi delle autorità monetane, un tempo risolutori, oggi appaiono severi ammonimenti o vane geremiadi. Della situazione di frustrazione della Banca d'Italia è espressione la clamorosa polemica tra Baffi ed il ministro del Tesoro, Colombo, sulle responsabilità del rovescio della lira dei primi del 1976; la preoccupazione di accrescere il peso degli indirizzi della Banca per frenare la spesa pubblica portò ad inserire nel programma economico del 3 febraio 1976 del Governo Moro, la proposta di una nuova disciplina che regolasse i rapporti tra Banca d'Italia e Tesoro, proposta che tuttavia non ebbe seguito. Ancora, la richie-

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20 sta di ristabilire l'autonomia dell'Istituto di emissione nello svolgimento dei suoi programmi è presente nelle Considerazioni finali del Governatore del 1976 (p. 441): in esse si fa menzione del programma economico del Governo Moro di cui sopra dicevamo, e si cita l'esempio di altri paesi, la Germania, l'Olanda, la Svezia, l'Inghilterra e gli Stati Uniti, nei quali « la legislazione le offre una adeguata base giuridica assegnandole espressamente il compito di tutelare la stabilità monetaria ». INDICAZIONI BIBLIOGRAFICHE

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CENTRO STUDI DELLA FONDAZIONE ADRIANO OLIVETTI

Gli studi sulle istituzioni politiche costituiscono l'impegno prevalente del Centro Studi della Fondazione Adriano Olivetti. Alle indagini riguardanti il Parlamento e le Regioni si aggiunge ora un programma di ricerche sui problemi del Governo. Di questo programma sta per uscire il primo volume:

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