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La logistica del futuro è tra digitale e green
Nella logistica l’innovazione non è più rinviabile. Servono una vera transizione ecologica e nuove professionalità. Ma un’azienda su quattro non è pronta
a cura della Redazione
Digitale e green: un binomio necessario e non più scindibile quando si parla di logistica. Perché «se l’innovazione 4.0 è un ormai un must davanti al quale non c’è scelta, il tema ecologico va di pari passo: non è più rinviabile e richiede un impegno concreto da parte di tutti, spiega Carlo Caserini, Presidente di KFI, azienda di Binasco (MI) che da 30 anni opera nell’implementazione di soluzioni integrate per la tracciabilità e la gestione di tutte le fasi della supply chain. Una visione chiara di quello che sarà il futuro, in uno dei settori di maggiore sviluppo: «La logistica, che per anni è stata trascurata, riveste oggi un ruolo trainante nel panorama economico», aggiunge Caserini. «I processi sono più attenti e accurati e possono permettere di raggiungere economie anche importanti, se gestiti correttamente, facendo diventare questo comparto fondamentale per essere competitivi sui mercati internazionali. Si tratta di un settore strategico per la sostenibilità del business; un settore con una grande evoluzione tecnologica che permette riduzioni degli errori, inventari automatici e sicurezza del dato». In questo quadro, il post pandemia può rappresentare una grande occasione. Perché, se l’emergenza sanitaria ha portato a una sensibile riduzione dei fatturati delle imprese, la ripartenza inizia proprio dall’innovazione. Carlo Caserini, Presidente di KFI
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Nasce il negozio 4.0
Fisico e digitale si uniscono nell’hybrid shop progettato da KFI, che ha sviluppato una soluzione nativa Android in grado di trasformare il negozio tradizionale in uno spazio, dove il concetto di retail si unisce alla logistica, gestendo processi relativi all’e-commerce. La soluzione applicativa Lorikeet permette di incrociare aspetti prettamente logistici con quelli tipici del punto vendita, semplificando le mansioni dell’addetto alle vendite e agevolando le operazioni di back office del negozio: dall’entrata della merce alla messa in stock, dalla ricerca di un articolo fino alla preparazione e alla sua uscita. Inoltre, grazie all’utilizzo della realtà aumentata, con la lettura del barcode, ma anche con l’utilizzo della fotocamera del device che permette di leggere più codici prodotto contemporaneamente, avere tutte le informazioni necessarie su un determinato articolo: colori, materiali e disponibilità in magazzino o in altri negozi affiliati. Una volta individuato il prodotto da comprare, l’applicazione di KFI permette al retailer di rispondere all’esigenza di acquisto in diverse modalità. La distanza tra fisico e digitale viene così azzerata.
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«Purtroppo, però, c’è ancora un 25÷26% di PMI che non sono pronte», continua il presidente di KFI. «Spesso le piccole e medie imprese vogliono recuperare il fatturato perso in pochi mesi, senza rendersi conto che questo non solamente non sempre è possibile, ma che per farlo sono necessari investimenti in termini d’innovazione e di digitale». Su questo fronte ci sono anche gli aiuti statali, che hanno rappresentato e possono rappresentare un punto di partenza, un incentivo all’innovazione. «Occorre, però, chiedersi sempre se ne vale la pena. Perché i criteri posti a questi aiuti sono stati letteralmente stravolti rispetto al recente passato. Per accedervi è necessario destinare persone e risorse. Quindi la domanda non è se questi aiuti abbiano incentivato il processo 4.0, ma se per un’impresa vale veramente la pena investire tempo e risorse per potervi accedere». L’innovazione non s’improvvisa: è un processo che richiede tempo. E, come dice Caserini, «serviranno anni prima di andare a pieno regime. KFI, però, vuole anticipare i tempi: investendo sui processi innovativi introdotti dai cobot per l’automatizzazione di alcune fasi logistiche, fino all’implementazione dell’uso della voce. Un tema, quest’ultimo, che ci vede presenti già da anni, sia nella gestione dei magazzini, sia sul fronte del controllo qualità e della check list per la dematerializzazione dei documenti». Così il digitale diventa anche green. «Siamo azienda certificata, ma non è questo il tema. Quando si parla di green economy, solamente un’azienda su quattro è green oriented; le rimanenti tre vivono questo tema come un obbligo, un’imposizione. La transizione ecologica è una questione di cultura e di strumenti. È un atteggiamento che deve essere diffuso in tutti i comportamenti aziendali. Non basta dematerializzare i documenti, riducendo l’impiego della carta; occorre la consapevolezza che questa scelta deve essere pervasiva». Ma il digitale traccia anche la strada del lavoro. «Non è vero che la digitalizzazione penalizza il lavoro: lo rende più pregiato, attiva nuove professionalità, quelle stesse che noi fatichiamo a trovare sul mercato. In un settore così dinamico e in veloce evoluzione come quello della logistica, se realmente si vuole parlare di ripartenza, deve essere azzerato il gap tra formazione e lavoro. Perché le nuove tecnologie e l’aspetto green richiedono professionalità e competenze che non possono essere messe in capo esclusivamente all’azienda. Se dobbiamo ripartire tutti, tutti dobbiamo fare la nostra parte».
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