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Nano e microplastiche negli alimenti: può partire la valutazione del rischio

Nel giugno del 2016 EFSA definiva le nano- e microplastiche (NMP) un “rischio emergente” e presentava una prima valutazione sul rischio alimentare, richiesta dal German Federal Institute for Risk Assessment (BfR). Indagati speciali erano i frutti di mare, ma l’obiettivo era chiaramente aprire la discussione sulla catena alimentare nel suo complesso. La possibilità che questi composti fossero diffusi in fonti diverse da quelle marine andava indagata, insieme ai possibili effetti.

Ci si chiedeva certamente quali fossero le conseguenze dei rifiuti in plastica nei mari e nei corsi d’acqua sugli habitat naturali e sulla fauna selvatica, ma la preoccupazione non poteva non estendersi alla catena alimentare, per quella visione olistica che definisce il concetto stesso di sostenibilità.

La cosiddetta “zuppa di plastica”, isole galleggianti di plastica che si frammentano e si decompongono in particelle sempre più piccole fino alle dimensioni micro e poi nano, era ritenuta la principale responsabile delle microplastiche ritrovate nell’apparato digestivo di pesci, crostacei e molluschi. Trattandosi di fonti alimentari, l’equivalenza NMP - danno alla salute fu immediata. I dati disponibili nella lettura scientifica però descrivevano un quadro diverso: non che la situazione non fosse preoccupante, ma non c’era ancora prova empirica di danni alla salute. Quello che emerse dallo studio della letteratura fu una sostanziale lacuna dei dati sulla presenza di microplastiche negli alimenti; nessuna o pochissime informazioni sulle nanoplastiche e la necessità di formulare raccomandazioni sulle priorità di ricerca per il futuro prossimo.

Una letteratura inesistente

“La letteratura esistente sull’argomento, rilevando l’insufficienza dei dati relativi alla presenza, alla tossicità e al destino –

di Francesca De Vecchi Tecnologa alimentare OTALL e divulgatrice scientifica

Le microplastiche sono particelle di dimensioni comprese tra 0,1 e 5.000 micrometri, che corrispondono a 5 millimetri. Le nanoplastiche sono particelle di dimensioni da 0,001 a 0,1 µm

La presenza di NMP in ambienti diversi è un indicatore di contaminazione preoccupante per la salute di tutto l’ecosistema

ossia che cosa accade dopo la digestione – di tali materiali ai fini di una valutazione completa del rischio è insufficiente”, aveva spiegato già nel 2016 Peter Hollman, membro del gruppo di lavoro che ha assistito il gruppo di esperti scientifici sui contaminanti nella catena alimentare (CONTAM) dell’EFSA e professore associato di nutrizione e salute, presso l’Università di Wageningen nei Paesi Bassi. “Le nanoplastiche richiedono un’attenzione particolare”, aveva aggiunto. Mancavano prove certe di tossicità, basate su dati sperimentali, ma bastava pensare alle elevate concentrazioni di agenti inquinanti come i policlorobifenili (PCB) e gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA) o i residui di altri composti presenti negli imballaggi come il bisfenolo A (BPA), che possono accumularsi nelle microplastiche, per capire la necessità di aprire una linea di ricerca approfondita. Anche e soprattutto in merito alle nanoplastiche, che possono entrare nelle cellule e di cui non conosciamo gli effetti. EFSA nel 2016, da una prima stima dei livelli di assunzione, su dati limitati, attribuiva a una porzione di cozze (225g) un apporto di 7 microgrammi di microplastica. Una quantità che anche nell’ipotesi più pessimistica di massimi livelli di inquinamento, mai trovati, aumentava l’esposizione ai PCB in misura inferiore allo 0,01 % e quella al BPA a meno del 2%. Un esercizio che forse ha potuto calmare certi allarmismi sui rischi per la nostra salute, senza ovviamente escluderli.

MNP: definizione

Le microplastiche sono particelle di dimensioni comprese tra 0,1 e 5.000 micrometri, che corrispondono a 5 millimetri. Le nanoplastiche sono particelle di dimensioni da 0,001 a 0,1 µm (ossia da 1 a 100 nanometri) e possono derivare dalla ulteriore frammentazione delle microplastiche oppure originare da composti di natura industriale (fonte Ceirsa)

L’inquinamento è solo marino?

Lo scenario si è fatto via via più complesso. I dati hanno rivelato la presenza di questi micro e nano inquinanti an-

che nelle zone più remote del pianeta: in organismi marini che vivono fino a profondità di 11.000 metri (Università di Newcastle) o ad altitudini montane dove fisicamente il rifiuto di plastica non arriva. L’inquinamento marino da plastica si può far risalire alla cattiva gestione della fine della vita degli oggetti, molti usati nella filiera alimentare (ma non solo). Ma è plausibile pensare che gli oceani siano la fonte principale e il veicolo di tutto l’inquinamento da NMP? Il fatto che microplastiche siano state trovate anche in miele, birra oppure in acqua in bottiglia, secondo i dati di un lavoro dell’Università di New York, suggerisce una visione più ampia. Quello che oggi si sa è che questi composti una volta formatisi, viaggiano nell’aria; si spostano fino a 100 chilometri dal luogo di origine e si depositano poi al suolo e nelle acque, ricorda Barilla Centre for Food and Nutrition (BCFN, che sulla presenza di NMP nella catena alimentare ha dedicato uno dei suoi approfondimenti).

Microplastiche primarie e secondarie

Le microplastiche si dividono in primarie e secondarie a seconda di come si sono formate. Le primarie sono quelle rilasciate direttamente nell’ambiente sotto forma di piccole particelle, che si stima rappresentino il 15-31% delle microplastiche presenti nell’oceano. La fonte principale però è data dal lavaggio di capi sintetici (35% delle microplastiche primarie), dall’abrasione degli pneumatici durante la guida (28%) e dalle microplastiche aggiunte intenzionalmente nei prodotti per la cura del corpo (per esempio, le micro-particelle dello scrub facciale) al 2%; quelle secondarie invece sono prodotte dalla degradazione degli oggetti di plastica più grandi, come buste di plastica, bottiglie o reti da pesca e rappresentano circa il 68-81% delle microplastiche presenti in ambiente marino (fonte Parlamento Europeo). È stato stimato che la quantità totale di emissione secondaria di microplastiche nell’ambiente marino sia pari a 68.500275.000 tonnellate all’anno (UE, 2016). La presenza di NMP in ambienti diversi è quindi un indicatore di contaminazio-

Abbiamo chiesto a Carmen Losasso, del Laboratorio di Ecologia Microbica e Genomica dei Microrganismi dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, quali sono gli obiettivi del progetto Plastirsk e quali sono stati i presupposti di partenza.

Quali sono le principali aree di ricerca del progetto che indagherà i rischi di esposizione alle nanoe microplastiche per ingestione di cibo e aria?

Indagheremo gli aspetti di salute – di cui si occuperà proprio lo IZSVe – con sperimentazioni in vivo su animali in diversi stati fisiologici (gravidanza e puerperio) con l’obiettivo di valutare se le microplastiche possono passare la placenta e la ghiandola mammaria, danneggiando rispettivamente il feto ed esponendo al rischio la prole. Lo stesso dipartimento farà una simulazione di esposizione su topi all’aria contaminata da microplastiche per vedere se queste entrano negli alveoli; quali problemi provocano in funzione della quantità e/o della tipologia e per valutarne la permanenza. Sarà studiato anche il rischio biologico per l’uomo, determinato dall’esposizione alle microplastiche con gli alimenti, attraverso l’analisi metagenomica delle comunità microbiche che colonizzano le micro e le nanoplastiche e dei geni di antibioticoresistenza che circolano lungo tutta la rete trofica marina attraverso le microplastiche e le nanoplastiche che fungono da veicoli di diffusione.

Per quanto riguarda la caratterizzazione del rischio?

Lo scozzese IOM si occuperà, attraverso tecnologie in vitro e in vivo, di studiare la caratterizzazione del rischio chimico; l’Università catalana produrrà microplastiche utili alle simulazioni, quella basca metterà a punto un sistema di rilevazione chimica di nanoplastiche, per poter indagare il rischio – a oggi sconosciuto – su particelle del range nano. Infine, l’Ente norvegese SINTEF e l’Ispra studieranno la dinamica dell’invecchiamento delle microplastiche in ambiente marino, per definire come si modifica il polimero plastico, sia in termini di composizione sia rispetto ai nuovi composti che si formano per l’interazione fra il polimero stesso – disperso nell’acqua – e i composti presenti in ambiente marino che, interagendo, formano nuovi prodotti caratterizzati da un rischio verosimilmente diverso rispetto a quello del prodotto nativo.

Carmen Losasso, Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie

C’è un aspetto di cui si parla meno ed è l’inquinamento dell’aria.

Le fonti di esposizione maggiori alle microplastiche dell’aria sono domestiche: tessuti di tende, tappeti, maglioni possono genera-

ne preoccupante per la salute di tutto l’ecosistema, che spinge gli Organismi sovranazionali e Istituzioni pubbliche a produrre indicazioni (i primi) e norme (le seconde) per limitare la fonte primaria. I recenti divieti d’uso dei sacchetti di plastica o, in ultimo, dei materiali in plastica usa e getta perseguono questi obiettivi.

I rischi per la salute umana

I profili eco-tossicologici dei composti aggiunti alla plastica per ottenere certe proprietà (ad esempio durabilità, flessibilità, resistenza ai raggi UV) sono noti. Non si sa con sufficiente certezza invece, il grado in cui questi additivi possono essere trasferiti e l’impatto sull’organismo. Non c’è dubbio che i decisori e i valutatori

I decisori e i valutatori del rischio hanno bisogno di dati scientifici certi per valutare il rischio a cui è esposta la salute umana

re microplastiche che possono essere inalate. È un ambito tutto da studiare. Sarà lo IOM a fare le rilevazioni sugli ambienti domestici con dei catturatori d’aria, simulando un ciclo respiratorio umano, rapportato a età e sesso, con l’obiettivo di misurare qual è la quantità di microplastiche a cui le persone possono essere esposte, nell’ambiente di lavoro, a casa e in generale in ambienti antropizzati. A oggi i dati dicono che è proprio la casa l’ambiente più a rischio.

C’è una classificazione degli alimenti in funzione dei contenuti di NMP?

Ci sono dati molto parziali che riguardano fonti alimentari provenienti dal mare, perché le prime rilevazioni sull’inquinamento da microplastiche sono state fatte in ambiente marino. Gli organismi più contaminati sono i molluschi per il fatto che si mangiano non eviscerati. Nel pesce più comunemente consumato, invece, la mitigazione del rischio è demandata al fatto che sono consumati senza l’apparato intestinale. Si è visto infatti che le microplastiche non entrano nelle fasce muscolari. Nulla si conosce invece in merito al comportamento e diffusione delle nanoplastiche. Ed è tutto da esplorare anche l’ambito dei vegetali a causa della deposizione che può avvenire in campo (ma anche in ambito domestico) di microplastiche disperse nell’aria. L’obiettivo è quello di studiare la gamma di alimenti consumati in Europa per mappare il rischio a cui sono esposti i cittadini europei.

Quanto è stata determinante la disponibilità di nuove tecnologie nello studio sugli effetti delle microplastiche?

Uno degli approcci del progetto è anche quello di indagare le microplastiche nel real-life-scenario. Tutto quello che si sa a oggi è riferito all’alimento crudo. Non ci sono dati che descrivano come le microplastiche si modifichino negli alimenti quando questi vengono manipolati e cotti; però sappiamo che sono composte da polimeri sensibili al cambiamento della temperatura. Il progetto prevede quindi di esplorare questi aspetti e di ipotizzare degli scenari. La cosa è concepibile grazie all’intelligenza artificiale, che ha creato nuove possibilità di analisi a partire da dati già esistenti, favorendo uno sforzo investigativo molto basso a fronte di uno computazionale enorme. L’indagine si associa a metodologie chimiche per andare oltre la soglia già investigata e quindi fornire nuovi dati per la valutazione del rischio.

E per le nanoplastiche?

È un campo da investigare totalmente. Tutto ciò che si conosce in merito alla valutazione del rischio delle microparticelle non può essere trasferito alle nanoparticelle o comunque a composti di dimensioni inferiori al micron.

Qual è l’obiettivo finale del progetto?

Dare strumenti al legislatore e a chi fa valutazione del rischio, perché possano condurre una valutazione del rischio sanitario science based in relazione al pericolo di ingestione e inalazione di questi “nuovi” contaminanti della catena alimentare.

Plastrisk: Schema del quadro olistico di valutazione del rischio per la salute umana in riferimento alle nano- e microplastiche (Paradigms to assess the human health risks of nano- and microplastics. Micropl.&Nanopl, 2021)

del rischio hanno bisogno di dati scientifici certi per valutare il rischio a cui è esposta la salute umana: dovremo per lungo tempo avere a che fare con queste sostanze e quindi decidere le azioni di mitigazione. Lo ha spiegato Carmen Losasso dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (ISZVe) presentando un importante lavoro di un consorzio denominato Plastrisk di cui fa parte e ne è capofila lo stesso IZSVe. Si tratta di un approccio olistico per valutare il rischio per la salute umana delle nano- e microplastiche in seguito a ingestione e inalazione e copre tanto la presenza di NMP negli alimenti, quanto quella nell’aria che respiriamo. Il consorzio internazionale ha recentemente pubblicato una sintesi dei possibili nuovi paradigmi di cui bisogna tener conto, attraverso l’acquisizione di nuovi dati mediante l’impiego di nuove tecnologie, strumenti modellistici innovativi e il coinvolgimento partecipato di cittadini, esperti scientifici e portatori di interesse, (Noventa, S., Boyles, M.S.P., Seifert, A. et al. Paradigms to assess the human health risks of nano- and microplastics. Micropl.&Nanopl. 1, 9. 2021). Alla plastica, infatti, si associano rischi diversi: innanzitutto “un rischio fisico, a cui si aggiunge la capacità di fare da supporto e adsorbire contaminanti dall’ambiente”, riassume Losasso. “C’è poi un rischio biologico che deriva dalla capacità di fare da supporto a comunità microbiche che sviluppano strategie nuove, trasformando la microplastica in un nuovo pericolo: batteri capaci di trasferire pezzi di geni, trovandosi vicini, possono scambiarli tra di loro (e se sono geni di antibiotico resistenza, si rischia che questi ultimi siano trasferiti ad ambienti che ne sono ancora immuni, come quelli marini)”. Ma non solo. Il lavoro fa luce anche sull’importanza della corretta informazione: “Si parla molto di microplastiche sui media”, aggiunge Losasso, “ma l’informazione tiene poco conto dei dati scientifici. È necessario rendere consapevoli i cittadini su quali siano i veri rischi, quali alimenti siano più interessati dal problema e su come mitigare il rischio”. Le fasi del progetto infatti (che dovrebbe durare 4 anni, è in corso una richiesta di finanziamento europeo) ricalcano idealmente quelle della valutazione del rischio: identificazione del pericolo, valutazione dell’esposizione, caratterizzazione del pericolo e modellizzazione del rischio. Si vuole infine riunire i vari stakeholders, in ottica di citizen science, per coinvolgere i cittadini in un rapporto attivo con la scienza, indagare la percezione del rischio che questi hanno rispetto al tema e dare strumenti al legislatore per condurre una valutazione del rischio sanitario science based in relazione al pericolo di ingestione e inalazione di questi nuovi contaminanti della catena alimentare.

PLASTIRSK: IL CONSORZIO

Tre sono soggetti italiani: l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (capofila), l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) e l’Istituto di Scienze Polari (CNR); tre partner sono spagnoli: il centro di ricerca CIC nanoGUNE BRTA di Tolosa, l’Università dei Paesi Baschi e l’Università Vall D’Hebron della Catalogna. Ci sono poi due partner olandesi: l’Institute for Public Health and the Environment di Bilthoven e l’Università di Wageningen; due partner scozzesi (UK): l’Institute of Occupational Medicine (IOM) e la Heriot-Watt University di Edimburgo; un Ente indipendente norvegese di ricerca multidisciplinare (SINTEF) e l’Institute of Technology Assessment di Vienna.

Analisi microbiologica degli alimenti: ceppi microbici liofilizzati

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