Luciano Marasca
Da un altro mondo
STORIA E STORIE
La storia raccontata da grandi storie per ragazzi
Luciano Marasca
STORIA E STORIE
Un racconto ai tempi di Cristoforo Colombo
Luciano Marasca
BN IS
9
do 0 on a 4m asc 96 r o 0 tr a al o M 72 un ian 8-4 a 8 D Luc 87
È nato a Filottrano, in provincia di Ancona. Dopo aver esercitato per alcuni anni la professione di sociologo a Roma, ha lavorato nella cooperazione internazionale per gli aiuti allo sviluppo in Ecuador, Argentina, Colombia e, recentemente, in Perù. Ha viaggiato a lungo in Brasile e in America centrale. Dal 1991 è insegnante di scuola primaria e segue con particolare interesse l’accoglienza e il successo scolastico dei bambini stranieri.
Ai primi di ottobre del 1492, sull’isola di Guanahani, nell’oceano Atlantico, il giovane Oxe e i membri della sua tribù vivono ancora una vita tranquilla. Immersi in una natura rigogliosa, le loro giornate sono scandite dalle attività abituali: la caccia, la pesca, i divertimenti. Ma alcuni segni inquietanti fanno presagire l’irrompere di una sconvolgente novità: l’arrivo di Cristoforo Colombo in America. È il primo e fugace incontro tra due civiltà lontane, visto dagli occhi colmi di stupore di un ragazzino indigeno. Tre anni dopo, il navigatore genovese farà ritorno sull’isola, ma gli uomini bianchi, da lui capitanati, non mostreranno verso la popolazione locale lo stesso atteggiamento amichevole dell’inizio.
Un racconto ai tempi di Cristoforo Colombo
Completano la lettura: Approfondimenti finali F ascicolo di comprensione del testo S chede interattive su www.raffaellodigitale.it
I S B N 978-88-472-2503-9
Online: approfondimenti e schede didattiche www.raffaellodigitale.it Questo volume sprovvisto del talloncino a fronte è da considerarsi copia di SAGGIO-CAMPIONE GRATUITO, fuori commercio. Esente da I.V.A. (D.P.R. 26-10-1972, n°633, art. 2 lett. d).
Da un altro mondo
Guanahani, 1492.
€ 9,00
9
788847 225039
Collana di narrativa per ragazzi
Editor: Paola Valente Redazione: Emanuele Ramini Ufficio stampa: Salvatore Passaretta Team grafico: Claudio Ciarmatori Approfondimenti: Elena Frontaloni Schede didattiche: Elena Frontaloni
IIa Edizione 2016 Ristampa
7 6 5 4 3 2 1 0
2022 2021 2020 2019 2018 2017 2016
Tutti i diritti sono riservati © 2007
Raffaello Libri Srl Via dell’Industria, 21
60037 Monte San Vito (AN)
e–mail: info@ilmulinoavento.it http://www.grupporaffaello.it Printed in Italy
È assolutamente vietata la riproduzione totale o parziale di questo libro senza il permesso scritto dei titolari del copyright.
Luciano Marasca
Da un altro mondo
Capitolo
1
Oxe
Isola di Guanahani, ora San Salvador, nell’arcipelago delle Bahamas. Prima settimana di ottobre del 1492
Quella mattina mi svegliai più presto del solito.
Ero in preda a una strana eccitazione che non mi aveva quasi fatto dormire per tutta la notte. Scesi velocemente dall’amaca e attraversai di corsa il villaggio. Mi accorsi che era praticamente deserto: c’erano solamente alcune madri con i loro bambini piccoli e pochi anziani che sonnecchiavano ancora, sdraiati sulle stuoie, vicino alla porta o all’interno delle loro capanne. Era stata una notte afosa e la giornata, benché il sole si fosse levato da poco, si preannunciava caldissima. Non spirava un alito di vento. La gente non aveva fatto altro che cercare refrigerio per tutta la notte. – Come si fa a dormire con questo caldo? – sentii borbottare la vecchia Alisha, che abitava al bordo del villaggio, mentre conversava con Zeon, la vedova del capo, deceduto qualche mese prima. – Sono anni che non ricordo un caldo così – confermava questa, di rimando. Tutte e due erano sedute davanti all’uscio della capanna di Alisha, sgranocchiando pannocchie di mais arrostite. 5
Capitolo 1
Ad un tratto mi videro passare. – Dove corri di così prima mattina, Terribile Iguana? – mi gridò Zeon. – Il caldo non ha fatto dormire neanche te, eh? – gridò a sua volta Alisha. – Non possono essere state le pene d’amore. Sei ancora giovane per questo! Ridacchiarono entrambe. Fui tentato di ignorarle, non tanto per la battuta quanto per l’appellativo, Terribile Iguana, con cui gli anziani amavano chiamarmi al villaggio e che francamente ho sempre detestato. “Il mio nome è Oxe, figlio di Mouchi e Canvine, e Oxe vorrei che tutti mi chiamassero, senz’altri fronzoli o soprannomi” pensai di ribattere. Comunque, per rispetto dell’età delle due, rallentai il passo e risposi educatamente: – Vado in spiaggia a vedere se oggi c’è qualche novità. – Vai, vai, figliolo, ma novità non ne troverai né oggi né domani, come non ci sono state nei giorni scorsi – mi rispose Zeon. Allungai di nuovo il passo, mentre le due anziane continuavano a borbottare tra loro. – È il caldo, ti dico, che non fa dormire la gente. E mette strane idee in testa – diceva una. – E come no, è solo quello il motivo delle chiacchiere che ci sono – ribadiva l’altra. Dopo pochi istanti ero in spiaggia. Gruppi di persone si erano già radunati, più insonni di me, sulla riva del mare, che si presentava piatto come una tavola. La maggior parte di loro scrutava l’orizzonte, in piedi o seduta. Alcuni chiacchieravano o scherzavano, i bambini si rincorrevano sulla spiaggia e tra gli alberi. Praticamente tutta la gente del villaggio era lì. 6
Oxe
Per il momento io non avevo nessuna voglia di giocare. Ancora mi covava dentro quella strana agitazione che da qualche giorno accomunava un po’ tutti noi del villaggio della Spiaggia di Sale. Scorsi mio padre tra la folla, mi avvicinai e gli toccai leggermente la mano, salutandolo. – Buongiorno, padre – gli dissi – Buongiorno, figliolo – rispose lui, accennando un sorriso. Poi mi cinse affettuosamente le spalle con un braccio. Mi voltai, cercando con lo sguardo mia madre che era seduta all’ombra di una palma e allattava Zeon, la mia sorellina più piccola, che si chiamava come la vedova del capo. “Ha quasi due anni, già cammina, parla, corre e ruzzola… e ancora poppa dal seno della mamma come fosse un bambino appena nato!” pensai un po’ infastidito. Immerso in questi pensieri, guardavo la gente che scrutava l’orizzonte e sinceramente non capivo cosa stesse aspettando. Mi sorpresi a sbadigliare. Garbatamente mi svincolai dall’abbraccio di mio padre e mi decisi a raggiungere gli altri ragazzi della mia età, che ora stavano facendo una gara di capriole tra i ciuffi d’erba e le piccole dune di sabbia. Mi cimentai anch’io in una capovolta, quando un coro di voci maschili richiamò la nostra attenzione. – Là, là! Sono là!!! – gridavano tutti, segnalando con le braccia protese verso l’estremità di un’insenatura. Vedemmo sbucare due canoe che procedevano nella nostra direzione. Le riconobbi: erano di un paio di giovani del nostro villaggio. Navigavano però troppo lentamente per giustificare l’ansia con cui le attendeva la gente sulla spiaggia e troppo velocemente per essere reduci da una fruttuosa partita di pesca. Non sembrava proprio che avessero pesce a bordo. 7
Capitolo 1
I giovani ai remi fecero da lontano alcuni cenni che volevano dire “nessuna novità”, e tra i commenti e gli sguardi dei presenti sulla spiaggia lessi un misto di disappunto e di sollievo. – A fare il bagno, gente! – squillò allora la voce di Arzacay, il nuovo capo eletto dopo la morte del marito di Zeon. Fu proprio lui a tuffarsi per primo in mare, e tutti lo seguirono nel rituale delle abluzioni1 mattutine. Noi ragazzini ci tuffammo per ultimi, e in breve fu un tripudio di risate e di scherzi con l’acqua. Anche mia madre fece il bagno, con in braccio la piccola che, appena addormentatasi dopo la poppata, ora piangeva per gli schizzi che le giungevano in faccia.
8
1–Abluzioni: Lavaggio del corpo.
Capitolo
2
La prima battuta di caccia
N
ei giorni seguenti l’inquietudine che regnava sul villaggio crebbe in maniera impercettibile ma costante. Era chiaro che si attendeva qualcuno, o qualcosa, che doveva arrivare dal mare. Ma chi? O che cosa? A noi ragazzini gli adulti non dicevano nulla e questo, oltre che indispettirci, non faceva che aumentare la nostra curiosità. Venne il giorno in cui dovevo accompagnare mio padre a caccia di uccelli nella boscaglia. Ero felice ed emozionato perché per la prima volta in vita mia avrei finalmente tirato con l’arco a una preda vivente. Mi resi maggiormente conto che si trattava di un’occasione importante quando vidi mio padre, uscito di casa con il necessario per la caccia, dirigersi verso la capanna di Mariondu, il sacerdote. Capii che stavamo andando a chiedere la benedizione per la nostra impresa: sentii un brivido corrermi lungo la schiena. Mariondu era sull’uscio della sua capanna, in attesa. Mio padre lo salutò ed estrasse dalla bisaccia una manciata di pesce secco, che gli consegnò. Il sacerdote ringraziò per il regalo e diede inizio alla cerimonia. Tutto sommato fu una cosa abbastanza semplice: Mariondu strappò un ciuffo di fili d’erba dal terreno e me li fece tenere in mano, poi mi chiese cosa avessi sognato la notte 9
Capitolo 2
precedente. Mi ascoltò in silenzio, mostrando la sua attenzione con brevi oscillazioni del capo. Mentre parlavo, alcuni ragazzini della mia età, già svegli a quell’ora perché evidentemente avevano saputo della mia partita di caccia, si avvicinarono pieni di curiosità, ma si mantennero comunque a rispettosa distanza da noi. Non saprei dire se mi sentii più orgoglioso o più imbarazzato in quel momento. A sua volta il sacerdote prese a parlare in fretta e a voce bassa, al punto che non riuscii a capire tutte le sue parole. Però sentii che si rivolgeva alla maggiore delle nostre divinità in questo modo: O Serankua, dio primigenio, reggitore dell’universo, signore dei nove mondi, assisti questo giovane dal cuore puro e dallo sguardo sincero per dargli occhio e mano sicuri in questo suo grande passo nella vita. Porta tu ai guardiani dei boschi e allo spirito degli animali che noi veneriamo la nostra voce per chiedere umilmente permesso… Così dicendo si alzò, entrò nella sua capanna e ne uscì con una lunga piuma di pappagallo in mano, che prese a carezzare mentre continuava a parlare: … per chiedere umilmente permesso affinché nessuna creatura se ne abbia a male se la sua vita oggi sarà interrotta, poiché di questo noi tutti, 10
La prima battuta di caccia
con questo giovane e la sua famiglia, abbiamo bisogno per vivere in salute e serenità. Ciò nondimeno noi chiediamo perdono e piangiamo calde lacrime invocando la tua comprensione e il tuo appoggio. Mi sembrò a questo punto che gli si incrinasse la voce e vidi spuntare una vera lacrima sul suo volto raggrinzito. Poi mi soffiò in faccia varie volte e altrettanto fece con mio padre. Dopodiché mi chiese di consegnargli il mazzo d’erba che ancora reggevo in mano, scelse con cura il filo più lungo e robusto e me lo annodò intorno al polso, pronunciando altre parole rituali. Quando si alzò in piedi, capii che la cerimonia era finita. Mio padre ringraziò a lungo e con molta enfasi. A quel punto eravamo pronti per partire. Mio padre mi consegnò un arco che teneva in mano, lungo e grande come il suo, e con un gesto carico di solennità mi fece dono di quattro frecce. Frecce vere, non di quelle per bambini, ma con la cocca2, le piume e la punta di pietra! Non stavo in me dall’emozione e potevo sentire addosso gli sguardi carichi di invidia e di ammirazione dei ragazzi più giovani. Mi avviai fieramente dietro mio padre. *** Camminammo per un tratto lungo la riva del Lago di Mezzo, sulle cui acque l’aurora gettava riflessi gialli e vermigli. – Come puoi vedere – mi spiegò mio padre, – la nostra isola è cosparsa di laghi; ce ne sono di tutti i tipi: grandi, piccoli, lunghi, stretti, larghi, di acqua dolce, di acqua salmastra e persino di acqua salata. Il nome stesso, Guanahani, vuol dire Nostra Terra dei Laghi. 2– Cocca: Incisione all’estremità della fre cia in cui si inserisce la corda dell’arco.
11
Capitolo 2
Ci facemmo strada in mezzo a un folto canneto e, lasciato il lago alle nostre spalle, ci rivolgemmo in direzione opposta al sole nascente, per addentrarci in una fitta foresta di mogani e tamarindi. Immediatamente, dalla cima degli alberi si levò, immenso e schiamazzante, un volo di parrocchetti3: erano così tanti che sembravano oscurare il cielo. Camminammo ancora per un po’ tra la vegetazione che rilasciava una deliziosa frescura e ci fermammo solo quando raggiungemmo una radura quasi al centro della foresta. Ci sedemmo e mio padre mi fece cenno di tacere. Intanto, lui, con gesti silenziosi e precisi, incoccava la prima freccia. Feci per imitarlo, ma con uno sguardo mi ordinò di attendere: non era ancora il mio turno. Rimanemmo così in silenzio per un tempo che mi parve infinito. Finalmente, vedemmo giungere uno stormo di parrocchetti, probabilmente gli stessi che erano prima fuggiti al nostro arrivo. Guardai ammirato mio padre mentre tendeva fino allo spasimo la corda dell’arco, puntando la freccia verso un grosso pappagallo verde e rosso che si era posato su un ramo poco distante da noi: con i suoi grandi occhi a palla l’animale ci guardava in tralice4, quasi avesse capito di essere in pericolo. Con un guizzo sibilante il dardo partì, ma, giusto un istante prima, l’uccello, stridendo, spiccò il volo verso l’alto. Non feci in tempo a provare un moto di disappunto che vidi la freccia fermarsi pochi metri più avanti, infilzata tra le piume di un parrocchetto più piccolo: era un altro, il bersaglio che mio padre aveva puntato! E lo aveva centrato! Andammo a raccogliere la preda, mentre tutt’intorno lo stormo si levava di nuovo verso il cielo con grandi grida. Mio padre notò il mio stupore e mi disse: 12
3–Parrocchetto: Pappagallo esotico.
4–Guardare qualcuno in tralice: Guardare sospettoso, diffidare.
La prima battuta di caccia
– Vedi, Oxe, i parrocchetti adulti sono in genere più furbi e veloci. Punta sempre un animale piccolo, più giovane e inesperto, se vuoi essere sicuro di catturarlo! Mentre sfilava la freccia dal corpo dell’uccello, aggiunse: – Non credere che questa non sia anche la volontà di Serankua: gli animali più piccoli devono essere sacrificati a vantaggio degli adulti, che hanno il compito di procreare e di guidare gli altri animali del branco verso il cibo. – Ma se noi uccidiamo tutti gli uccelli giovani – non potei fare a meno di osservare – questi non potranno mai diventare grandi per svolgere il loro compito... Mio padre mi rivolse un’occhiata accompagnata da uno strano sorriso, che io interpretai come se volesse dire: “Ma guarda che ragazzo intelligente!”. Perciò mi sentii incoraggiato a completare il mio ragionamento: – … Invece gli animali adulti in qualche modo hanno già fatto la loro parte e potrebbero, se catturati, lasciare una possibilità agli esemplari più giovani. Inoltre i pappagalli grandi offrono più carne da mangiare! – Sì, ma i pappagalli grandi non si lasciano prendere facilmente! Ridemmo entrambi e ci predisponemmo alle fasi seguenti della caccia. Quando, dopo un’altra eternità passata in attesa, vedemmo di nuovo giungere il branco di parrocchetti, capii che stavolta toccava a me. Ero già in posizione con l’arco e la freccia. Non dovevo far altro che adocchiare la preda e orientare il tiro. Memore dei consigli di mio padre, individuai un uccello non troppo grosso poco discosto da un esemplare più grande e vivace, forse la madre, che affiancava con sottomessa fiducia. 13
Capitolo 2
Mi concentrai e, ricordando le parole del sacerdote per darmi forza, mirai con il massimo dell’accuratezza possibile: i due uccelli, il grande e il piccolo, erano sulla stessa linea di tiro. Forse fu un attimo di incertezza da parte mia, o non so che cosa, ma, mentre scagliavo la freccia con tutte le mie energie, i due uccelli si erano già levati in volo contemporaneamente. Avevo fatto cilecca. Non potendo trattenere un moto di stizza, scagliai con veemenza l’arco al suolo. Mi aspettavo da mio padre un gesto di comprensione, ma questi, invece, con uno sbruffo sonoro, esplose in una risata che ebbe il potere di risvegliare dal loro torpore centinaia di altri parrocchetti, che si levarono in volo terrorizzati. Raramente avevo visto mio padre ridere così. Si dimenava battendo vigorose manate sul terreno e sembrava non dovesse più riprendere fiato per i singulti. Cinque minuti dopo eravamo già in posizione e in attesa. Ecco che mio padre, non riuscendo a contenersi, sbruffò di nuovo e giù un’altra scarica di risate! Poi si trattenne… per riprendere a sghignazzare pochi istanti più tardi. Credo che per un istante arrivai a odiarlo. Ero talmente avvilito che già vedevo la mia battuta di caccia ormai definitivamente avviata verso il fallimento. “Ecco, il giorno più importante della mia vita andato in fumo per gli isterici attacchi di risate di mio padre!” pensai. E dire che questo doveva essere in qualche modo il preludio alla mia vita di adulto! Mi stavo rassegnando con rabbia a questa prospettiva quando, spuntato da non so dove, un grosso tucano dal becco nero fece capolino dal ramo di un albero di mogano non lontano da noi. 14
La prima battuta di caccia
Mouchi divenne improvvisamente serio e mi indicò chiaramente di mirare verso il nuovo arrivato. Puntai l’arco, tesi la corda e, con tutta la grinta del mondo, scoccai la freccia. L’uccello dal becco nero si accasciò al suolo senza un grido: centrato in pieno! Preso! Preso! L’avevo preso! Colmo di entusiasmo, cominciai a saltare e a ballare dalla felicità, mentre mio padre mi dava dei colpetti d’approvazione sulla spalla. – E vai! Ce l’ho fatta, l’ho preso in pieno! Hai visto che tiro?! – Bravo! Bravo! Ce l’hai fatta! Bravo! – mi ripeteva mio padre. Sollevai la preda trionfante, emettendo delle grida di gioia che fecero fuggire gli ultimi parrocchetti rintanati in chissà quali reconditi angoli della foresta. C’ero riuscito! La mia prima giornata di caccia si era conclusa felicemente! Gli dei mi erano propizi! *** Sulla strada del ritorno, ormai liberati dalla tensione della caccia, io e Mouchi eravamo incredibilmente loquaci. Parlammo quasi solo di uccelli, di parrocchetti, di tucani, di archi, frecce e tecniche di caccia. Poi, esauriti questi argomenti, in vista del Lago di Sale e in prossimità quindi delle nostre case, non potei fare a meno di pensare alla strana atmosfera regnante nel villaggio in quei giorni. – Padre, ma cosa sta succedendo? – gli chiesi. – Cosa vuoi dire? – fu la prevedibile risposta. – Sembra che tutti stiano aspettando qualcosa che deve venire dal mare. Non è così? 15
Capitolo 2
– Se ti riferisci alla gente che ieri mattina era sulla spiaggia, il fatto è che un pescatore di ritorno dall’isola di Caat aveva avvistato un grosso branco di corvine5. Per questo i nostri pescatori sono poi usciti in mare. – Mouchi, Mouchi – mi rivolsi a lui in tono quasi paterno, come se i ruoli si fossero improvvisamente ribaltati, – tu non vuoi dirmi la verità! Lui rimase in silenzio. Quando si decise a parlare, mi disse: – Non avere fretta, Terribile Iguana. Se qualcosa deve arrivare dal mare, quando sarà il momento la vedrai anche tu, come tutti gli altri. Finsi di ignorare che si era rivolto a me con l’appellativo che odiavo, e proseguii: – Ma perché non posso saperlo subito? Non sono più un bambino, oggi l’ho dimostrato. Mio padre sorrise, ma dietro il suo sorriso intravidi che era diventato improvvisamente serio, quasi cupo in volto. – Oggi hai dimostrato che sei un bravo cacciatore. Ma non basta: c’è un’età per ogni cosa e mancano ancora molti anni perché tu divenga definitivamente adulto. Quando avrai la tua sposa e i tuoi figli, allora ti potrò parlare come si parla a un adulto e… “Quindi” pensai tra me “dovrò aspettare ancora quattro o cinque anni per essere trattato come una persona adulta. Figurarsi!” – … e da quel giorno – proseguì inopinatamente mio padre – nessuno ti chiamerà più Terribile Iguana. – Ma perché tutti mi chiamano così, padre? Non ne posso più di questo soprannome! Mouchi mi spiegò: – Non te la prendere. Tutto è iniziato quando eri ancora molto piccolo: avevi da poco imparato a camminare ed eri 16
5–Corvine: Pesce caratterizzato dal colore scuro del dorso e delle pinne.
La prima battuta di caccia
sempre attaccato alle gonne di tua madre. Un giorno, però, ti allontanasti e non riuscimmo a trovarti: eri scomparso. Ti cercammo dappertutto, ti chiamammo, ma… niente! Si mobilitò tutto il villaggio. Ad un tratto ti sentimmo piagnucolare: la tua voce proveniva dalla laguna delle mangrovie6. Quando finalmente ti scorgemmo, scoppiammo a ridere tutti quanti: eri salito in cima a un albero di mangrovia e sotto di te una grossa iguana, una femmina che evidentemente temeva per la sua covata, ti stava osservando minacciosa. Ti aveva inseguito e tu, per la paura, ti eri arrampicato fin là sopra. Ti eri dimostrato agile quanto quel rettile. E a malapena sapevi camminare! – Io spaventato da un’iguana, che è l’animale più timido e indifeso che esista? Non ci posso credere! Mio padre, ripensando alla scena, sorrise. – Per fuggire ti eri messo in trappola da solo – aggiunse – e non sapevi più che pesci pigliare. Nel villaggio, per giorni interi, non facemmo che commentare l’episodio e scherzarci su. E da quella volta ti chiamiamo, appunto, Terribile Iguana. Arrossii al pensiero della figuraccia fatta e dissi a mo’ di compensazione: – Non tutti, per fortuna, mi chiamano così. I miei amici non lo fanno. Mio padre continuava a sorridere. Ma persisteva, dietro la sua vaga espressione ilare, quella cupa serietà che mai prima d’allora gli avevo visto in volto.
6–Mangrovia : Vegetazione tipica delle zone tropicali.
17
Capitolo
3 La profezia
Io ammiravo molto mio padre.
Anche se non era, obiettivamente, né il più alto né il più muscoloso degli uomini del villaggio, era sicuramente il più valoroso e il più forte di tutti. Avrebbero dovuto eleggere lui capo–villaggio, e non quell’Arzacay là. Oltretutto mio padre era sempre buono con me, severo quando occorreva, gentile con mia madre, spiritoso con i suoi amici, rispettoso con gli anziani. Non so quanti anni avesse in quell’epoca, penso una trentina, ma non mi sembrava vecchio. Quello che diceva, per me era legge, e guai se qualcuno dei miei amici osava mettere in dubbio le sue affermazioni. Ci provò, in uno di quei giorni, Ussay, mio cugino da parte di madre. – Tuo padre non te la racconta giusta – sentenziò una mattina, mentre eravamo intenti a raccogliere, assieme ad altri quattro o cinque della nostra età, noci di cocco per il villaggio. Dopo una breve pausa, proseguì con una certa alterigia: – Mio padre, invece, mi dice tutto. – Figuriamoci! – lo rimbeccai. – Proprio così: non mi nasconde niente. – E cosa ti avrebbe raccontato? Sentiamo un po’… Ussay ci pensò un po’ su, poi, abbassando la voce e guardandoci tutti con aria misteriosa, profetizzò, scandendo bene le parole: 18
La profezia
– Arriveranno degli uomini da un altro mondo! La frase fu accolta da un coro di risate incredule e di motteggi all’indirizzo del suo autore. – Vatti a fare un bagno in mare, Ussay! – sintetizzò per tutti noi Garaisha, il più grandicello. – Non mi credete? Peggio per voi, non vi racconterò il resto. Alzammo le spalle con indifferenza e continuammo nel nostro lavoro, mentre una scia di risatine accompagnava le ultime parole dello sbruffone. – Cocco! – gridò in quel momento dall’alto di una palma un nostro compagno, incaricato di arrampicarsi fin lassù per staccare e lanciarci i frutti. – Questa è mia! – gridò Garaisha. Si mise in posizione, mentre una grossa noce piombava come un proiettile dal cielo per finirgli giusto tra le braccia. – Cocco! – gridò di nuovo l’altro. – La prendo io! La prendo io! – mi feci avanti. Un’altra noce altrettanto pesante mi cadde tra le braccia. Ma non fui tanto pronto quanto Garaisha: la grossa sfera, per l’impatto, mi sfuggì di mano e io persi l’equilibrio, finendo a terra tra le risate degli altri ragazzi. Mi rialzai prontamente e, facendo finta di niente, risi anch’io. Non c’era nessun bisogno di prendere al volo le noci di cocco che si staccavano dalle palme, le si poteva tranquillamente far cadere al suolo e poi raccoglierle senza sforzo. Ma afferrarle in caduta libera era per noi una prova d’abilità e una maniera per passare il tempo. Mentre tornavamo verso le nostre case, comunque, le parole del fanfarone Ussay ci ronzavano ancora nella testa. Avevano incuriosito un po’ tutti. Lui adesso camminava un po’ discosto dal gruppo giocando a fare l’offeso. 19
Capitolo 3
I compagni mi chiesero i particolari della mia partita di caccia del giorno prima, risero quando raccontai del mio insuccesso iniziale e mi fecero i complimenti per la bella preda che alla fine avevo riportato a casa e che già tutti, nel villaggio, avevano potuto ammirare. Dopodiché Garaisha si rivolse a mio cugino. – Forza, Ussay, dicci una buona volta cos’altro ti ha raccontato tuo padre. Ussay fece spallucce e una smorfia come a sminuire l’importanza della cosa. Era chiaro che voleva essere pregato. Alla fine, lui si degnò e tutti ci mettemmo comodi, seduti ai bordi del sentiero, ad ascoltare attenti il seguito della narrazione. – Verranno uomini da un altro mondo… – riprese da dove aveva lasciato. – Ma un altro mondo dove? – interruppe subito uno dei più piccolini del gruppo, che fu immediatamente zittito da tutti gli altri. – … Verranno uomini da un altro mondo – continuò paziente Ussay. – Giungeranno su enormi imbarcazioni, capaci di contenere un intero villaggio, con vele bianche e quadrate e alte fino al cielo… Un silenzio di tomba accompagnava le parole del narratore. – Essi non sono come noi: hanno la pelle bianca come i morti, i capelli gialli e marroni come la paglia sui tetti delle case e hanno peli su tutto il corpo, anche sulla faccia! Un coro pieno di stupore seguì la descrizione. – Ma essi non sono nudi – proseguì Ussay. – Vestono abiti di strana foggia e sono anche coperti di un metallo così lucente che riflette la luce del sole e abbaglia gli occhi… Ora il silenzio era tale che si sarebbe potuta sentire volare una mosca lontana cento passi. 20
La profezia
– E questo non è tutto – seguitò il ragazzo. – La cosa più incredibile è che… E qui si interruppe. – È che…? – chiedemmo all’unisono. Ussay aggrottò le ciglia, e il suo tono di voce, già serissimo, si fece sepolcrale. – La cosa più incredibile è che essi sono metà uomo e metà bestia! Il più piccolino del gruppo, a quel punto, non resse più e si tappò le orecchie con le mani per non sentire oltre. Noi lo ignorammo. – Proprio così! Camminano su quattro zampe, ma dalla vita in su hanno braccia e testa di uomo! E la loro voce… oh, la loro voce! Emettono dei grugniti incomprensibili, con suoni rochi e spaventevoli… Rimanemmo tutti in silenzio, fino a quando un richiamo di donna ci distolse dalle nostre paure e ci fece trasalire. – Ragazzi, che aspettate a portare le noci di cocco? Come colti in fallo, ci alzammo di scatto e, raccolto il carico di frutta, senza dire una parola, ci incamminammo a passo svelto verso il villaggio.
21
Capitolo
4 Nella casa cerimoniale
Non ci dormii.
Poteva anche essere che Ussay avesse, non dico raccontato delle balle, perché gli adulti su questo sono molto rigidi, ma che avesse esagerato sì, era probabile. In ogni caso non riuscivo a togliermi dalla testa questi strani esseri da lui vagheggiati. Sdraiato sull’amaca cercavo di immaginarmeli nell’aspetto, con le loro strane fogge come li aveva descritti Ussay: gialli di capelli, i volti pallidi e pelosi, ricoperti di strane armature che scendevano dal collo fino alle zampe di animale. Accanto ad essi vedevo la mia gente: uomini e donne normali, glabri sia i maschi che le femmine, i capelli lunghi, lisci e neri, la pelle leggermente scura, e con addosso nient’altro che un gonnellino o un perizoma. Un brivido mi corse lungo la schiena. Non ce la facevo più a stare nell’amaca, così mi avviai a fare un giro per il villaggio. Passeggiando, vidi che il nunjué, la casa cerimoniale riservata ai maschi adulti, brillava al suo interno di una tenue luce emessa dai fuochi accesi per una riunione. Negli ultimi giorni, alla sera, i grandi non avevano fatto altro che riunirsi a discutere. Quindi c’era veramente qualcosa nell’aria! Girai intorno al nunjué varie volte, poi, non visto, mi avvicinai alla parete circolare del tempio per origliare. Tremavo dalla paura: se mi avessero scoperto, sarei stato punito severamente. 22
Nella casa cerimoniale
Ma era più forte di me. Spiai dentro e, da una spaccatura sulla parete di argilla, riuscii ad avere un buon colpo d’occhio su gran parte dell’interno: i maschi adulti c’erano praticamente tutti. Vidi mio padre, il padre di Garaisha, il capo Arzacay, lo sciamano Mariondu, gli altri capifamiglia, dai più giovani con i muscoli lucidi e tesi ai più vecchi con la pelle raggrinzita. Insomma… c’erano proprio tutti. Si capiva che l’atmosfera era grave. Stava parlando Shedarze, uno dei più vecchi del villaggio, e quello che disse mi fece raggelare le ossa. – Ormai è chiaro, i segni sono troppi – diceva con espressione grave. – Io non ricordo, in tutta la mia lunga vita, un caldo come quello di questi giorni. E il mare? Non si muove affatto, come se una mano invisibile voglia tenere a freno anche la più piccola onda. I pesci escono dall’acqua come se un pericolo misterioso li ricacciasse fuori, ed essi strisciano tra la sabbia al pari dei serpenti e vengono a morire boccheggiando all’ombra delle palme… Ve ne siete accorti, spero. Vari cenni di consenso giungevano da ogni parte. – E che dire – continuò allora il padre di Garaisha – delle iguane che entrano nelle nostre case senza ombra di timore, come se un’inspiegabile paura originata dall’esterno le spingesse a cercare rifugio nelle nostre abitazioni? Quando mai si sono visti degli animali comportarsi in questo modo? Per non parlare degli uccelli che volano nel cielo come impazziti, dei piccoli gamberi che non vogliono più abitare nelle mangrovie… Ad un tratto si interruppe bruscamente girandosi verso lo sciamano. – Allora mi rivolgo a te, Mariondu, a te che sai di queste cose più di tutti noi. Qual è il tuo pensiero al riguardo? Illuminaci. 23
Capitolo 4
Mariondu, prima di parlare, si accarezzò ruvidamente la faccia e si grattò a lungo la testa, come per riflettere. Quando prese a parlare, la sua voce squittì. – Io penso che Serankua e tutti gli dei ci hanno dato ogni possibile indizio: io ho letto nelle conchiglie disposte sul fondo di una ciotola ricolma d’acqua, ho studiato le volute di fumo dal fuoco acceso con il legno del mogano, ho ascoltato i miei sogni e sono andato nel profondo della foresta per interpellare le divinità. Il silenzio all’interno del nunjué era assoluto. Mariondu trasse un profondo respiro e proseguì: – … Ebbene, il responso è chiaro: il pericolo c’è e viene da lontano, viene da oltre l’orizzonte del mare. Da dove nasce il sole! Nessuno osò parlare. Io osservavo mio padre e cercavo di studiarne le reazioni sul volto, ma la sua espressione era grave e impenetrabile al pari di quella degli altri. Fu Alshaia, uno dei capifamiglia più giovani e noto per la sua irruenza, a rompere il silenzio. – Ma chi ci dice che questo pericolo sia rappresentato da altri uomini, esseri che verrebbero addirittura da un altro mondo? Fu ancora il vecchio Shedarze a prendere la parola. – Non sarebbe la prima volta che succede… Si guardò intorno, come a catturare l’attenzione dei presenti, e cominciò a raccontare: – Noi, popolo di Guanahani, siamo Lacai, come gli abitanti delle isole vicine e di tutte le altre isole posate sul Mare dell’Acqua Bassa. Siamo tutti Lacai, il Popolo delle Isole. Ma non abbiamo sempre vissuto qui: i padri dei padri dei nostri padri, fino a sette generazioni addietro e forse anche più, abitavano nelle isole meridionali e vivevano una vita felice, 24
Nella casa cerimoniale
in pace gli uni con gli altri. Poi sopraggiunse un popolo dalla terraferma ancora più a sud: erano i Caribe, che invasero le nostre terre perché nelle loro non c’era più di che alimentarsi a sufficienza. Da noi c’era posto per tutti e il cibo era abbondante per chiunque volesse, con l’aiuto degli dei, cacciare, pescare e raccogliere i frutti degli alberi. Ma i Caribe erano guerrieri e amavano l’arte della guerra: erano feroci, rubarono le nostre provviste, rubarono persino le nostre donne e ci cacciarono dalle nostre case. A chi volle resistere mossero guerra. Feroci erano, molto feroci. Narravano i vecchi che costoro dopo ogni battaglia si nutrissero delle carni del nemico vinto e ucciso. Erano uomini questi? Erano esseri umani come voi e me, mandati da Serankua a popolare la terra? Dell’uomo avevano l’aspetto e il parlare, ma uccidevano il proprio simile e se ne nutrivano!... L’eloquio di Shedarze era ripetitivo, com’è abitudine tra i vecchi. Proseguì, avviandosi alla conclusione: – ... Per questo i nostri antenati decisero di abbandonare le terre che tanto avevano amato e sulle quali avevano vissuto dalla notte dei tempi. S’imbarcarono sulle canoe e remarono fino a che non giunsero su queste isole, sul Mare delle Acque Basse. Qui ritrovammo la pace perduta, e la natura ci premiò con frutti abbondanti e generosi. Ma ora… – fece una pausa – … ora siamo di nuovo in pericolo. Se è successo una volta, può succedere di nuovo! Fu infine Arzacay, il capo, a prendere la parola. – Io dico che non possiamo sottovalutare i segni che gli dei ci hanno mandato. Qui non si tratta di un ciclone in arrivo o di un’improvvisa furia del mare. Altri, meno numerosi e meno temibili, sarebbero i segnali. In ogni caso voi sapete che domani giungeranno i capi e gli sciamani degli altri tre villaggi di Guanahani: da Mangrovia Azzurra, da Ombra di Sabbia e da Vento tra le Palme verranno qui, a Spiaggia di 25
Capitolo 4
Sale, perché è intorno al nostro villaggio che si sono manifestati tali e tanti segni. Vogliamo discutere con loro per sapere se anch’essi hanno ricevuto le stesse avvisaglie e per decidere cosa fare… – Ci riuniremo sulle rive del Lago di Mezzo – lo interruppe Mariondu – e lì interpelleremo di nuovo gli dei per capire se veramente ci minaccia qualcuno o qualcosa. Se veramente di là dal mare o da qualunque altra parte stanno sopraggiungendo fatali sorprese, se si tratta di uomini o divinità, e cosa possiamo fare per placare, eventualmente, la collera di Serankua… A questo punto sentii un fruscio alle mie spalle. Mi voltai e intravidi un’ombra che si dileguava nel buio. Mi allontanai in fretta in direzione di casa mia e quasi mi scontrai, nell’oscurità, con il corpo di un ragazzo un po’ più grande di me: era Garaisha. – Cosa fai, sei impazzito? – mi rimproverò. – Ti ho visto, sai, mentre spiavi dentro il nunjué. Era lui la sagoma che spariva nel buio. Non seppi trattenermi: – È tutto vero, Garaisha, è tutto vero! – Tutto vero cosa? – Quello che ci ha raccontato oggi pomeriggio Ussay. È tutto vero: gli esseri che verranno dal mare, il pericolo... Mi squadrò con un’espressione indecifrabile, seguita da un mezzo sorriso malandrino. – Lo so! Caro il mio Oxe, cosa credi? Lo so benissimo. Rimasi perplesso. – E come fai a saperlo? – Beh… – si guardò attorno furtivamente – anch’io stavo spiando dentro il nunjué.
26
Capitolo
5
Verso Occidente
Acque dell’Oceano Atlantico, a bordo della nave ammiraglia Santa Maria. Seconda settimana di ottobre del 1492
U
na brezza leggera ma costante spirava dalla mattina presto sulle acque del vasto Mare Oceano. Cupi nuvoloni, dalle volute bianche e brune, accompagnavano da giorni, occhieggiando all’orizzonte, il procedere incerto di tre imbarcazioni solitarie che si dirigevano verso ovest. – Mare e cielo, mare e cielo! Solo un avanzo di galera come te, Roderigo, poteva accettare di farsi imbarcare su questa carcassa per un viaggio senza scopo e, Dio non voglia, senza ritorno! Così dicendo, sdraiato sul pavimento del ponte di prua, la testa appoggiata su un voluminoso rotolo di funi, Manuel dette un’occhiata al fondo ormai prosciugato della brocca di legno che reggeva in mano da una buona mezz’ora. Poi, senza pensarci oltre, la scaraventò in mare. Roderigo, a pochi passi da lui, appoggiato al parapetto della nave ondeggiante, scrutava la distesa delle acque e sembrava non voler badare per niente alle invettive del compagno. – Ma il peggio è che solo un fesso come me poteva darti retta – proseguì Manuel, con la bocca ormai asciutta. 27
Capitolo 5
– “Imbarcati, dai”, non facevi che ripetermi, “questa è un’occasione di quelle che non si ripetono, venti reali7 solo il contratto d’ingaggio, per non parlare di tutto l’oro con cui torneremo a casa… Vedrai, non ci sono al mondo né sacchi né bisacce tanto grandi da contenere tutto quell’oro”. Io non ti volevo ascoltare, perché so che spari più balle tu in un giorno di quanto sputi io in una settimana. Alla fine, però, mi sono lasciato convincere, stupido che non sono altro! Roderigo si voltò un attimo per lanciare un’occhiata torva al marinaio ubriaco, poi riprese a scrutare il mare e l’orizzonte. – Mare e cielo, mare e cielo da otto settimane! Almeno ci avessero dato delle navi degne di questo nome per fare la traversata di questo schifo di oceano. Invece no, tre carcasse rabberciate ci hanno rifilato, buone a malapena per attraversare lo stretto di Gibilterra. Sempre che ci sia il vento favorevole, s’intende! – Mi rallegro solo che il Porto sta finendo, così te la smetterai di bere continuamente – si decise alla fine a replicare Roderigo, senza distogliere lo sguardo dall’orizzonte lontano. Manuel continuò a biascicare i suoi improperi come se non l’avesse neppure sentito. – La Bambina, la Dipinta e la Santa Maria!8 Ah! – gridò con voce rauca. – Mi sembrano i nomi di tre donnacce di Palos! E ci hanno voluto battezzare questi tre gusci di noce! Dicevano che le navi sono femmine e devono avere nomi femminili... E che i nomi portano fortuna… Pensa un po’ te, che fortuna! Vaya suerte! Roderigo dette un’occhiata in giro, osservò il movimento discreto e indolente di alcuni membri dell’equipaggio a poppa e gettò uno sguardo alle altre due caravelle che seguivano in coda e che avanzavano disciplinatamente, come trainate dalla scia stessa della nave ammiraglia. 28
7–Reale: Moneta d’oro e d’argento del tempo. 8–La Bambina, la Dipinta e la Santa Maria : Nome italianizzato delle tre caravelle Niña, Pinta e Santa Maria.
Verso Occidente
Si fermò a fissare un istante il sole, che pochi istanti prima era molto più alto nel cielo ed ora era già basso sull’orizzonte. Si chiese a quali latitudini fossero ormai giunti per vedere l’alba e il tramonto accendersi e spegnersi così rapidamente, come aveva notato da alcuni giorni. Poi rivolse lo sguardo verso l’alto, alla sommità dell’albero maestro, dove, da dentro il gabbiotto di vedetta, si intravedeva la capigliatura rossiccia e immobile di un marinaio. Roderigo pensò che si fosse addormentato. – Ehi, Pinzòn! Todo bien? – gli gridò a gran voce. L’altro si sporse e rispose alla chiamata. – Todo bien! – urlò a sua volta, accennando da lassù a un ghigno che voleva essere un sorriso. Roderigo sentì presso di sé l’alito pesante e pregno di alcool del marinaio ubriaco, Manuel, che, con grande sforzo, si era rialzato dalla sua postazione di riposo e gli si stava avvicinando barcollando. – Il giro del mondo, eh? – blaterò Manuel, mentre si sorreggeva alla spalla dell’altro e gli puntava lo sguardo addosso con gli occhi appannati dall’alcool. – Cos’è che vorrebbe fare il grande ammi… ammiraglio Colòn? Arrivare nel Catai9? Con queste tre bagnarole? Ah! Ah! Ah! – sbuffò sarcastico in una gran risata, soffiando una zaffata di pessimo Porto diritto in faccia a Roderigo. – Stai esagerando, compañero! Vedi di farla finita – lo rimproverò questi. – Esagerando che? Manuel sembrava proprio che non volesse farla finita. – Se lo avessi qui d… davanti gli direi il fatto suo, al grande ammiraglio. A lui e agli avanzi di ga… galera come te! Roderigo stava perdendo la pazienza. Guardò l’ubriaco con sguardo gelido. – Non sono più avanzo di galera di te, razza di canaglia, fallito e mantenuto dalle donne! – sibilò. 9–Catai: L’attuale Cina.
29
Capitolo 5
L’altro ciondolò la testa, incerta sul collo, cercando di raccogliere le idee e le parole per replicare con una controbattuta. Riuscì solo a pronunciare qualche parola disarticolata: – C… c… che, che dia... diavolo vuoi dire? – Quello che ho detto: che i soldi per campare te li dà tua madre, povera vecchia che non ha più neanche gli occhi per piangere! E forse anche qualche donna di malaffare, così stupida da farsi mettere i piedi in testa da uno come te! – Io non ho… io non faccio… – farfugliò Manuel. – Tu sei solo capace di bere e lamentarti! Le voci dei due marinai si stavano sovrapponendo. – Non hai… non hai… diri.. il diritto! – gridava uno. – Sta’ attento a come parli! – urlava l’altro. Il battibecco degenerò in rissa aperta: i due si ritrovarono a rotolare avvinghiati per terra, mentre si afferravano rabbiosamente ora il colletto e i lembi della camicia, ora i pantaloni di tela genovese o i capelli unti e luridi. S’erano aggrappati così strettamente l’uno all’altro che il risultato fu che si immobilizzarono senza potersi sferrare un solo pugno, finendo col rotolare come un sol corpo da una sponda all’altra del ponte e producendo l’effetto di un barile vuoto sulla chiglia di una nave alla deriva. Benché ubriaco fradicio, Manuel dimostrava una forza pari quasi a quella del suo compagno, peraltro spossato da ore di attesa e di tensione nello scrutare l’orizzonte. – Ti rompo la faccia! Ti stacco tutti i denti! – si gridavano “graziosamente” l’un l’altro. La lite continuò finché un paio di braccia possenti, più vigorose dei due messi insieme, li separò e li rimise bruscamente in piedi, afferrandoli per il collo come si fa con due bambini indisciplinati. Tutti e tre, Manuel, Roderigo e il nostromo Barbadeus, che era sopraggiunto richiamato dal rumore della lite e 30
Verso Occidente
aveva ancora il fiatone per lo sforzo fatto nel separare i due energumeni, si ritrovarono di fronte, a guardarsi ansimanti e in cagnesco. – Cosa andate cercando voi due, eh? – li rimproverò Barbadeus, quando riuscì a riprendere fiato. – Volete che vi faccia rapporto? Ma guardatevi! E vergognatevi! Come se non avessimo già abbastanza problemi! Cosa credete, che solo voi due su questa nave siete stanchi e nervosi? Li liberò con uno strattone dalla sua presa e procedette immediatamente alla punizione. – Manuel, sali sulla torretta e va’ a dare il cambio a Pinzòn. L’aria fresca ti farà passare la sbornia. Anzi no: ubriaco come sei, saresti capace di cadere di sotto. Vacci tu, invece, Roderigo, che hai una buona vista e non fai altro che guardare l’orizzonte. Vorrei sapere cosa cerchi: le sirene? Almeno lassù saprai come passare il tempo. Tu, Manuel, prendi la ramazza e da’ una strigliata al ponte da cima a fondo! Da poppa a prua e da una sponda all’altra! Non dimenticare neanche un angolo. Ti giuro, com’è vero che mi chiamo Barbadeus, che non conosco metodo migliore per far passare anche la peggiore delle sbronze del peggior Porto. Al lavoro, via, tutti e due. E ringraziate se per questa volta non dico neanche una parola al señor Arcibal di quanto è successo! I due litiganti si allontanarono: Manuel brontolando tra sé e sé che il nostromo non aveva nessuna autorità, a bordo, per comminare punizioni del genere e Roderigo arrampicandosi come uno scoiattolo su per la scaletta dell’albero maestro. Mentre si arrampicava, si ricordò dei venti dobloni10 d’oro promessi dall’ammiraglio a chi avesse avvistato per primo la terra.
10–Dobloni: Moneta d’oro del tempo coniata in Spagna e in Italia.
31
Capitolo
6 Aria di rivolta
La luce tenue di un candelabro a quattro braccia illu-
minava l’interno della cabina dell’ammiraglio, arredata con pochi mobili essenziali: un unico tavolo al centro, una scrivania addossata a una parete, il letto, un divanetto, una cassapanca, alcune sedie e una grande biblioteca ricolma di libri e carte geografiche arrotolate, che da sola copriva metà dello spazio. Un vago odore di chiuso e di stantio pervadeva l’ambiente. Il fumo delle candele, accese da poco, faceva il resto. Quattro uomini sedevano in silenzio attorno al tavolo al cui centro troneggiava un massiccio diario di bordo. Tutt’intorno giacevano sparsi un calamaio con la penna intinta, alcuni fogli scarabocchiati e un torsolo di mela mangiata a metà e con la buccia raggrinzita. Il più anziano dei quattro, colorito pallido, pelle liscia e ancora giovanile, capigliatura grigia tagliata a caschetto in una maniera che ricordava curiosamente i paggi dei castelli, tamburellava nervosamente con le dita sul poco spazio sgombro del ripiano del tavolo. Gli altri tre, un monaco grasso, pelato e dalla pelle floscia, un giovane con una cintura militare di traverso sul petto e un tipo magro e allampanato con gli occhi spiritati, lo osservavano perplessi. – Siamo a questo punto, dunque? – ruppe il silenzio il più anziano. Gli altri tacquero, limitandosi a oscillare la testa in segno di assenso. 32
Aria di rivolta
– ... Perciò – riprese l’uomo dalla capigliatura grigia, – voi mi consigliate di ascoltare le lamentele degli uomini per poi prendere una decisione, se necessario, anche radicale. Ho capito bene? – È così, ammiraglio – disse il giovane militare, con voce bassa e improntata al rispetto. Cristoforo Colombo si alzò in piedi e, con le braccia raccolte dietro la schiena, cominciò a passeggiare nervosamente per la cabina. Lo spazio era così ristretto che, camminando, sfiorava ora l’uno ora l’altro dei tre uomini seduti, i quali se ne sentivano vagamente infastiditi. La cosa durò alcuni minuti, alla fine dei quali l’ammiraglio, fermatosi, prese a massaggiarsi vigorosamente il mento per aiutare il fluire dei pensieri. La stanza era ripiombata in un silenzio spesso e pieno di tensione. – Non ascolterò i reclami dell’equipaggio! – disse infine Colombo. – Questa è la mia decisione! Guardò fisso negli occhi uno per uno i tre uomini. – Sono marinai, ben pagati e consapevoli dei rischi cui vanno incontro – proseguì. – Il loro compito è solo obbedire, come è giusto che sia e come ci si attende da gente di mare. E mia è la responsabilità. Al punto in cui siamo, oltretutto, tornare indietro vorrebbe dire esporci al ridicolo agli occhi del mondo. Specialmente ora che la meta è così vicina. Ne sono sicuro: siamo quasi al traguardo. Così dicendo si avvicinò deciso all’oblò e gettò un’occhiata fuori, sul mare e sul cielo, entrambi di un turchino intenso. – Piuttosto – riprese tornando a guardare fisso i suoi sottoposti, – vorrei sapere qual è la vostra posizione in tutto questo. E gradirei da lor signori il massimo della sincerità. 33
Capitolo 6
Nessuno fiatò. Anzi, i tre presero a guardarsi l’un l’altro con espressione che tradiva un forte imbarazzo. – Cominciamo da lei, don Arcibal de La Roca. Il tono dell’ammiraglio si era fatto alquanto severo. – Che opinione nutre dei fatti? Il giovane ufficiale si schiarì la voce. – Chiedo scusa, don Cristobal: a quali fatti si riferisce in particolare? – A quelli di cui abbiamo parlato finora – rispose Colombo con impazienza. – Non mi avete riferito che… che c’è… Che termine avete usato? Del “fermento a bordo”? Allora: voi siete dalla parte di quelli che vorrebbero invertire la rotta e tornare subito in Spagna o siete d’accordo con me quando dico che bisogna proseguire? Arcibal de La Roca sospirò pesantemente. – Francamente, ammiraglio – disse quando si decise a rispondere, – al punto in cui siamo ho delle forti perplessità sull’utilità di proseguire verso ovest. Ciò detto, chinò il capo quasi si attendesse un’immediata punizione. Ma Colombo non si scompose. Proseguì anzi nel suo giro d’opinioni. – E lei, padre? Il frate si dimostrò meno timoroso e più loquace. – Ammiraglio, con tutto il rispetto, lei sa che io ho sempre nutrito molti dubbi sugli esiti favorevoli di questa impresa. Giungere a oriente da occidente… Mah! Che poi, si badi bene: se solo si trattasse dell’opinione di questo umile servo di Dio, non varrebbe neanche la pena di prestargli attenzione. Ma è il dettato stesso di Santa Madre Chiesa che in questo modo si vuole mettere in discussione. E noi non possiamo non attenerci a ciò che ci è stato tramandato dalla Bibbia in fatto di… 34
Aria di rivolta
– Per favore! – interruppe, brusco, l’ammiraglio. – Direi che la Bibbia, in questo caso, può essere lasciata tranquillamente in pace! Non mi risulta che nelle Sacre Scritture si affermi che la terra è piatta come un disco piuttosto che rotonda come una palla. D’altronde, è dal tempo degli antichi Greci, è dai tempi di Eratostene che è dimostrata la forma sferica del mondo. Almeno nella coscienza delle persone di cultura. Colombo tacque un attimo, poi si rivolse al tipo magro e allampanato. – E il nostro scrivano, cosa ne pensa? – Ammiraglio – disse questi servilmente, – io mi rimetto alla sua autorità. – Bene – concluse Colombo – mi sembra che non ci sia altro da dire. Anzi, sì, c’è qualcos’altro: sono disposto a parlare agli uomini! Questo sì. Certo, non intendo ascoltare patetiche lamentele o isteriche manifestazioni di paura, però voglio rivolgermi con parole franche e chiare a tutti loro, nella speranza che questo serva a placare gli animi. È l’unica concessione che intendo fare. Ufficiale de La Roca, dia disposizione affinché l’equipaggio al completo della Santa Maria, esclusi naturalmente i soli mozzi e il personale di pilotaggio e di vedetta, e una delegazione pari a un terzo degli uomini della Niña e della Pinta, siano riuniti al massimo entro un’ora sul ponte di poppa della nave ammiraglia. C’è ancora luce, e voglio che i nostri uomini vadano a dormire tranquilli. È tutto, potete andare. I tre si alzarono e si accingevano ad accomiatarsi, quando Colombo li richiamò. – Signori, quali che siano le vostre opinioni sul merito dell’impresa che stiamo conducendo, vi ricordo che voi costituite a tutti gli effetti il corpo di comando di questa flotta. Dopo di me, è a voi che i membri dell’equipaggio guar35
Capitolo 6
dano per trarre fiducia e certezze, soprattutto in frangenti difficili come l’attuale. Sappiate far valere la vostra autorità: il vostro compito è quello di mantenere l’ordine. Sono sicuro che, come sempre, saprete assolverlo al meglio delle vostre capacità. *** – Chi è, lassù, l’uomo di vedetta? – È Roderigo de Triana, ammiraglio. È lì per… ehm, deve scontare una punizione – rispose il nostromo Barbadeus. – Inflitta da lei, ufficiale? – chiese Colombo rivolto a de La Roca. Questi negò con la testa. – Con il suo permesso, ammiraglio – intervenne Barbadeus, cercando di fare sfoggio del suo linguaggio più forbito – mi sono preso io la licenza: l’ho sorpreso mentre si azzuffava con Manuel Bizcaña per futili motivi. L’altro l’ho messo di ramazza. Chiedo scusa per l’ardire. Colombo scosse il capo. Allora era vero che c’era del nervosismo in giro. – Sta bene, nostromo. È stato giusto castigarli. Ma domani a mezzogiorno faccia cessare la punizione per entrambi. Si avviò verso la poppa, accompagnato dall’ufficiale di seconda. – Quel lestofante lassù sarà ben felice di tale punizione, se si è ricordato dei venti dobloni d’oro che ho promesso a chi avvista per primo la terra. E dato che ora siamo vicini alla meta… – … Sarà un po’ difficile tirarlo giù di lì! – concluse ironicamente, ma senza molta convinzione, Arcibal de La Roca. Colombo sorrise. Era più rilassato, ora, rispetto a mezz’ora prima. Salì sul tetto della bocca di scafo, dove i marinai 36
Aria di rivolta
avevano sistemato e legato all’albero maestro una poltroncina con schienale e braccioli a corpo unico. Era il segno delle occasioni speciali. Il comandante delle tre caravelle indossava la giubba di ammiraglio della flotta reale. Per il resto, nessun’altra mostra di distinzione appariva sulla sua persona. Si sedette sulla poltrona. Ai piedi della cabina della bocca di scafo, a destra rispetto a Colombo, si erano allineati l’ufficiale di seconda, il frate, lo scrivano e i comandanti delle altre due navi. Di fronte a loro si erano già radunati gli uomini dell’equipaggio. Nella luce pallida del tramonto incipiente, Colombo li osservò uno per uno. Sui loro volti rudi, dalle barbe ispide e le chiome in disordine, affioravano espressioni nelle quali si poteva leggere di tutto: dalla stanchezza alla diffidenza, dalla rabbia muta allo sconforto. Una volta di più l’ammiraglio si convinse che la situazione era grave e rischiava di precipitare. Se avesse potuto ascoltare i bisbigli irritati degli uomini delle ultime file, ne avrebbe avuto ulteriore conferma. – È quasi notte. Perché diavolo ci convoca a quest’ora? – protestava uno. – È che teme un ammutinamento. Per questo vuole fare in fretta – azzardava un altro. – Già. Ha paura che lo ammazziamo nel sonno, il genovese! – faceva eco un terzo. Alcuni ridacchiarono beffardi, ma la brezza marina trascinò via il suono delle loro burle. Lo scrivano cominciò a battere ritmicamente con una grossa mazza sul pavimento del ponte: era il segno che imponeva il silenzio assoluto. – Udite! – gridò pomposamente. – È la parola dell’eccellentissimo Señor don Cristobal Colòn, per volontà delle Loro 37
Capitolo 6
Maestà i Sovrani di Castiglia e Aragona e per grazia di Dio Signore Onnipotente, Ammiraglio nostro e Comandante in capo della flotta del Mare Oceano! Colombo, dalla posizione rialzata di cui godeva, assunse il massimo della solennità e della severità di cui era capace. Ma prima di parlare si alzò, ergendosi in tutta la sua persona, sicuro che ciò avrebbe avuto maggiore effetto sulla ciurma. – Uomini! – disse con voce chiara nel suo spagnolo venato di tonalità liguri. – Mi è giunta notizia che, tra alcuni di voi, serpeggia un certo malcontento. Si interruppe, cercando di capire dai volti dei marinai l’effetto di ogni sua parola. Le espressioni erano immutate. Inoltre, stava veramente calando il sole con la rapidità che gli è propria alle latitudini tropicali e non si riusciva quasi più a distinguere con chiarezza i volti oltre una certa distanza. – C’è chi va dicendo in giro che è troppo tempo che stiamo navigando, qualcuno che probabilmente sente la nostalgia delle calde lenzuola di casa più di quanto è lecito per un marinaio. Un vecchio cambusiere sorrise con una smorfia in segno di approvazione. Ma fu l’unico. – Uomini! – ripeté Colombo. – So anche che c’è addirittura chi insinua che questa impresa è destinata al fallimento… Che abbiamo sbagliato rotta, o diavolerie del genere! Si fermò in una pausa deliberata. Ancora nessuna reazione sul volto dei presenti. – Voi mi conoscete, io navigo i mari da quando avevo cinque anni. Ho tanta esperienza quanto i più vecchi di voi. E non vi ho mai mentito! Perciò, se vi dico che siamo sulla rotta giusta, che alla data di oggi abbiamo raggiunto il punto 38
Aria di rivolta
esatto previsto dai nostri calcoli e che tra due, massimo tre giorni, saremo a destinazione, potete credermi. E dovete credermi! L’ufficiale di seconda e i due comandanti di caravella si lanciarono uno sguardo fugace: questa era palesemente una menzogna da parte dell’ammiraglio, poiché era noto che, in base al piano di navigazione, sarebbero già dovuti arrivare da almeno due settimane. Come poteva tentare di darla a bere a gente così? Colombo parlava con sempre maggior foga. – Ma voi siete gente pratica, abituata al lavoro duro. Voi potete non saperne di tracciati di rotta, di sestanti11, di calcolo di longitudini e latitudini. Voi volete delle risposte chiare e semplici. Ebbene… Dall’alto della sua postazione Roderigo de Triana guardava con immensa curiosità la piccola folla radunata sul ponte di poppa. Vedeva l’ammiraglio, la chioma grigia sotto il cappelletto nero, che si sbracciava davanti ad essa. Avrebbe pagato per essere lì, ora, ad ascoltare il suo discorso, di cui il vento ascensionale gli riportava solo qualche brandello di parola. Aveva pure la visione completa delle tre caravelle che, per l’occasione agganciate tra di loro con assi di abbordaggio, procedevano parallele e con apparente sicurezza verso il tramonto rosso fuoco. – … Ebbene – proseguì imperterrito Colombo, – non si sono visti forse, già ieri e il giorno prima, rami d’albero con foglie ancora fresche sul pelo dell’acqua? Non è forse questo un chiaro indizio che la terra è vicina? Non sono stati forse avvistati, poche ore fa, stormi d’uccelli in cielo? Forse, se guardiamo all’orizzonte, siamo in grado di scorgerli persino adesso. Qualcuno guardò scettico fuori bordo: non c’era traccia di uccelli in cielo. 11–Sestante: Strumento usato per stabilire la posizione di una nave sul mare tramite lo studio degli astri.
39
Capitolo 6
– Ebbene, non è anche questo un sicuro indizio che la terra non è lontana? Queste ultime parole Roderigo le percepì in maniera più distinta. D’impulso si voltò allora a guardare verso ovest e fu in quel momento che gli sembrò di scorgere, diritto sull’orizzonte, una piccola luce rossa, come una favilla lontana che si confondeva con i bagliori del tramonto. Aguzzò la vista, mentre il vento gli batteva sulla faccia, ma, per quanto si sforzasse, non riuscì a vedere più nulla e si convinse che ciò che aveva scorto era solo effetto del riverbero prodotto dal sole che scompariva tra le acque dell’oceano. Volse di nuovo lo sguardo verso il basso, giusto in tempo per vedere che la piccola folla si scioglieva e gli uomini attraversavano le passerelle di collegamento per riprendere ciascuno il proprio posto. Dopo pochi minuti gli assi di abbordaggio furono sganciati e le tre caravelle ripresero a fluttuare ognuna per proprio conto. Il buio era sceso sull’oceano. *** Congedatosi dal personale del corpo di comando, Colombo rientrò senza indugi nella sua cabina. Si svestì rapidamente, ripiegò con cura la giubba da ammiraglio nella cassapanca e gettò alla rinfusa sul divanetto e sul pavimento camicia, pantaloni e scarpe. Infilò un camicione per la notte e si coricò, avendo deciso di non cenare. Ora quello che sentiva era uno scoramento tremendo: aveva ricavato la netta sensazione che il discorso appena concluso, anziché convincere l’equipaggio, ne aveva invece rafforzato l’opinione di inutilità riguardo all’impresa in corso. Attanagliato da pensieri tremendi, per la prima volta 40
Aria di rivolta
ebbe paura: non era il timore della reazione della ciurma che lo spaventava, ma il sospetto che l’impresa potesse non andare in porto. Raggiungere le Indie facendo il giro del mondo! E se davvero tutti i calcoli fatti finora da geografi, astronomi e navigatori fossero risultati sbagliati? Se davvero, come asserivano gli antichi matematici greci, la terra fosse stata molto più grande di quanto correntemente era ritenuto? Se davvero il pianeta fosse stato qualcosa di più che una grande piattaforma terrestre, formata da Africa, Asia ed Europa, circondata da uno stretto braccio di Mare Oceano? Ora, poi, bisognava fare i conti con le provviste rimaste: viveri e acqua, anche se strettamente razionati, non sarebbero potuti durare più di poche settimane. Non sarebbe stato allora più saggio invertire la rotta e intraprendere il viaggio di ritorno verso la Spagna, finché si era ancora in tempo, piuttosto che rischiare di morire di fame e di sete su mari sconosciuti, al largo di coste irraggiungibili? Forse doveva cedere alle richieste dei suoi sottoposti, la maggior parte dei quali, nonostante il suo discorso sul ponte, era sicuramente rimasta dell’idea che fosse meglio tornarsene subito a casa. Forse egli era preda di uno smisurato e cieco orgoglio che gli impediva di ammettere la sconfitta. Forse avrebbe dovuto prendere la decisione immediata di invertire la rotta. Forse, forse… Tali pensieri non gli conciliavano certo il sonno. In preda a una crescente agitazione, si alzò dal letto e, come una volpe in gabbia, prese a camminare nervosamente in circolo dentro la stanza. Poi si sedette sul divanetto vicino all’oblò, 41
Capitolo 6
si rialzò e ricominciò a camminare. Si sedette di nuovo e appoggiò la testa al vetro dell’oblò, cercando nella visione notturna del placido mare la pace interiore che tardava a venire. Scorrendo con gli occhi le acque scure dell’oceano, e cercando di indovinare la linea dell’orizzonte confusa tra mare e cielo, vide, o credette di vedere, una piccola luce lontana che, tremula e indistinta, si accendeva e spegneva come un segnale muto nella notte.
42
Capitolo
7
In vista della costa
-A
ndiamo, Manuel, tu sei un uomo che ha del fegato. Mi fa specie che ti voglia tirare indietro proprio adesso che c’è bisogno di gente come te! – Queste sono storie vostre, don Arcibal. Non mi ci mettete in mezzo! Il galiziano guardò il secondo ufficiale con aria decisamente torva e si rimise a strofinare con vigore lo straccio sul ponte. De La Roca si guardò intorno circospetto e, assumendo un’aria complice, si fece più vicino al marinaio. – Quanto ti hanno dato di ingaggio, Bizcaña, per questa missione? – Sono affari miei! – replicò brusco l’altro, per poi riprendersi prontamente. – Oh, mi scusi, signore, non volevo mancare di rispetto. L’ufficiale non se ne dette per inteso. – Cinquanta reali? Settanta? Al tuo ritorno in Spagna, se mi dai retta, ce ne saranno duecento tutti per te! Per alcuni istanti Manuel Bizcaña fece finta di non sentire, poi appoggiò lo spazzolone sulla china della sponda e fissò l’ufficiale con attenzione. – Duecento reali sono una bella somma – esclamò, guardandosi a sua volta intorno con aria circospetta. – Più di quanto io abbia mai guadagnato in tutta la mia vita. E chi mi assicura che, una volta arrivati in Spagna, mi verranno pagati? 43
Capitolo 7
L’ufficiale si fece serio, ma dentro di sé gongolava. Sentiva di aver toccato la corda giusta: quella della cupidigia. – Se è un acconto che vuoi, stasera stessa, a operazione compiuta, ti darò di tasca mia quaranta dobloni d’oro. Bizcaña si soffermò a riflettere. – Don Arcibal, siamo franchi: voi mi chiedete di buttare in acqua l’ammiraglio… L’ufficiale zittì il marinaio con un gesto impetuoso, guardandosi intorno nervosissimo. – ...Va bene – proseguì Manuel, abbassando la voce, – voi mi chiedete di fare una cosa del genere, per cui io rischio la forca, e solo dopo acconsentirete a pagarmi? De La Roca sbuffò impaziente. – E va bene, i quaranta reali sono disposto a pagarteli subito. Qual è la tua risposta? Bizcaña guardò torvamente l’ufficiale negli occhi, cercando di carpirne chissà quali segreti, e non profferì parola. – Quali altre garanzie vuoi – proseguì de La Roca, abbassando la voce – oltre alla parola di un ufficiale? Sai che sono tutti d’accordo. Nessuno ne può più: se non si torna in Spagna subito non ci saranno più né viveri né acqua, né per andare avanti né per tornare indietro. Non possiamo abbandonarci nelle mani di un pazzo! L’equipaggio attende solo la prima mossa, poi saranno tutti con noi. Morto l’ammiraglio, io assumerò il comando della flotta e intraprenderemo la rotta verso la Spagna. Ma la prima mossa la devi fare tu! Devi darmi la tua risposta subito! Bizcaña non esitò oltre. – Portatemi qua i quaranta dobloni d’oro e io farò quello che c’è da fare. ***
44
In vista della costa
– Come ha dormito, ammiraglio? – Poco e male – rispose Colombo al cambusiere12 che gli portava la colazione nella cabina. – Ma sono già le otto! È ora di alzarsi. – Da un pezzo, direi – replicò Colombo, sbadigliando. – Che aria tira, là fuori? – Alisei13 da nord–est, come gli altri giorni. – No, mi riferivo all’umore degli uomini, cambusiere. Ci sono novità? Il vecchio marinaio fece un gesto enigmatico come a dire “chi lo sa” e, srotolato un fazzolettone di tela ruvida, servì sul tavolo gli alimenti della mattinata: pane, formaggio, una striscia di lardo, fichi secchi d’Arabia, noci, latte acido e una ciotolina con del miele e una brocca d’acqua. – Le porto anche del vino, ammiraglio? – No, figurarsi, a quest’ora! Il cambusiere salutò e uscì dalla cabina. Colombo impiegò una buona mezz’ora a consumare la colazione: nonostante il nervosismo che si portava dietro dalla sera prima, si era alzato con appetito e consumò tutto il cibo che gli era stato servito. Alla fine ebbe persino voglia di vino, ma vi rinunciò, pensando che si sarebbe dovuto mantenere lucido per quella giornata, che sentiva sarebbe stata decisiva. Uscì sul ponte, evitando deliberatamente gli sguardi dei marinai al lavoro e limitandosi a rispondere sbrigativamente ai loro saluti rispettosi ma freddi. – Buenos dias, mi Almirante! – Buenos dias. – Buenos dias, don Cristobal! – Buenos dias a usted. Buenos dias a todos. Si posizionò immediatamente sulla punta di prora, gettando appena uno sguardo fugace alle altre due imbarcazioni che, a poca distanza, seguivano fedeli. 12–Cambusiere: Colui che sulle navi distribuisce i viveri. 13–Aliseo: Vento che spira dai tropici verso l’equatore.
45
Capitolo 7
Nel frattempo, Manuel Bizcaña, marinaio di ventura e mozzo d’occasione, figlio impetuoso e vagamente ottuso della terra di Galizia, ex ospite delle patrie galere per questioni di debiti nonché condannato al pubblico ludibrio per aver disertato in battaglia nella guerra contro i Mori, stava provando tra le mani la tenuta di una fune che normalmente serviva ad annodare i sacchi di farina e di granaglie. Quella fune avrebbe dovuto “dare il benservito” all’illustrissimo Cristobal Colòn, ammiraglio degli oceani. Manuel scorse la vittima designata a una trentina di piedi di distanza, l’ideale per compiere in fretta e senza traumi l’operazione che gli era stata assegnata. Gli altri marinai sul ponte, apparentemente assorti a sbrigare ciascuno le proprie faccende, in realtà lo osservavano in tralice con sguardi complici e pieni d’apprensione. Senza pensare a niente, Manuel si diresse a passi rapidi e decisi verso l’ammiraglio, che gli stava dando le spalle. Era giunto a un paio di metri da lui e già sollevava il cappio pronto a scendere sul collo del genovese quando, nella bruma del mattino tropicale, un grido lacerò l’aria: – Terraaaaaa! Cristoforo Colombo volse di scatto lo sguardo verso l’alto, in direzione della vedetta dalla quale prorompeva, esultante e feroce, il grido appena lanciato, e neanche si accorse di Manuel Bizcaña che, visto svanire l’effetto sorpresa nella sua tragica missione, frettolosamente aveva gettato la corda al suolo e con un calcio l’aveva sospinta dietro un secchio di pece a poca distanza. – Che c’è, marinaio? Cosa vedi? – gridò Cristoforo Colombo a sua volta. – È la terra, ammiraglio! Vedo la terra! È la terra, è la terra, è la terra! Terraaaaaaa!!! Cristoforo Colombo aveva salva la vita e Roderigo de Triana si era guadagnato i venti dobloni d’oro. 46
Capitolo
Gli esseri venuti da lontano
8
Guanahani, 12 ottobre 1492
Era stata una giornata intensa e sentivo di meritarmi un
lungo e sano riposo. Sempre che il caldo atroce di quelle ore me lo avesse permesso! In effetti, dormii un sonno agitato e pieno di sogni strani, inframezzato da bruschi risvegli e da altrettante repentine ricadute nel dormiveglia. Il sole si era già levato da un pezzo quando un rumore ritmico mi destò completamente: era mia madre che pestava del mais in una ciotola d’argilla, a pochi passi dalla mia amaca. Mi fissò con sguardo burbero. – Non è ora di alzarsi, dormiglione? Alla tua età ancora poltrisci come un poppante. Va’, va’, corri al mare, fatti un bel bagno e poi torna qui per la colazione. Sbrigati, la giornata è ancora lunga! Mi stirai pigramente e senza fretta, poi saltai giù dall’amaca e presi a trotterellare verso la spiaggia. Passai vicino al nunjuè, dal quale, ancor più che la sera precedente, provenivano voci numerose e preoccupate. Alcuni uomini sedevano fuori della porta della casa cerimoniale e altri passeggiavano tra le altre case: erano i rappresentanti dei villaggi dell’isola. Capi o sciamani o titolari di qualche carica importante nel loro villaggio, erano per lo più 47
Capitolo 8
anziani o comunque avanti negli anni. Erano giunti fin dalla mattina presto da Vento tra le Palme, da Mangrovia Azzurra e da Ombra di Sabbia, in delegazioni così numerose che il nunjuè non poteva contenerli tutti. Si aveva la netta sensazione che la discussione, intensa e animata, sarebbe continuata per molte ore ancora. Decisamente, molti maschi adulti non avrebbero dormito quella notte o, tra una discussione e l’altra, si sarebbero limitati a sonnecchiare sul suolo, all’interno del nunjuè o dove capitava. Uscito dal villaggio, ebbi la tentazione di ripetere l’impresa della sera precedente e di nascondermi dietro qualche arbusto per origliare i discorsi degli adulti. Avrei potuto farla franca anche stavolta. Ma in quel momento, a farmi desistere dal mio proposito, vidi Garaisha e gli altri miei amici venire avanti a passo svelto lungo il sentiero, in direzione opposta alla mia. – Il principino si è alzato! Buongiorno, principino! – mi apostrofò, con il suo solito fare odioso, mio cugino Ussay. – Venite con me al mare? Dai, ragazzi, andiamo! – replicai, senza scompormi. – Ci siamo appena stati – rispose Garaisha, mostrando i capelli ancora gocciolanti. – Beh, e che male c’è se ci facciamo un altro bagno? – Va’ tu, noi ti aspettiamo al villaggio. Dobbiamo aiutare le nostre madri: c’è parecchio da fare oggi, con i capifamiglia impegnati in altre cose. Anzi, sbrigati – aggiunse Garaisha, – non c’è più nessuno in spiaggia: sei l’ultimo oggi a fare il bagno. Salutai gli amici e, senza far caso al loro consiglio, persi tempo a seguirli con lo sguardo mentre proseguivano verso il villaggio. Oltre le loro sagome che si allontanavano, intravidi in lontananza gli uomini del nostro villaggio e i rappresentan48
Gli esseri venuti da lontano
ti delle altre comunità di Guanahani che uscivano sempre più numerosi dal nunjuè. La casa cerimoniale, quasi satura ormai di tanto affollamento, vomitava fuori i membri autorevoli dell’isola che, pacatamente, con il fare indolente proprio della nostra gente, dirigevano il passo a ovest, verso il Lago di Mezzo, là dove si sarebbe realizzata la riunione di cui avevo avuto notizia, origliando, la sera prima. Finalmente, ripresi il cammino verso la riva del mare, risoluto a tornare al villaggio quanto prima: ero ansioso di carpire le conclusioni degli adulti sugli strani segni di quei giorni. Si prospettava una giornata piena di emozioni! *** Emozioni? Non avevo la più pallida idea, correndo lungo il sentiero, di quali emozioni ci stessero realmente attendendo. Me ne sarei reso conto di lì a poco. Appena svoltato per l’ultima curva del sentiero prima della spiaggia, trasalii e mi fermai impietrito: di là dal bianco salino e accecante della sabbia, oltre la linea irregolare degli scogli bassi sull’acqua, tra le ultime folate della bruma mattutina, lontano sul mare, si stagliavano tre grosse macchie scure. Pensai che il mio cuore si volesse fermare: una irrefrenabile agitazione, mista a un oscuro presentimento, si impadronì di me. Rimasi impalato a guardare: le tre strane cose si muovevano impercettibilmente verso la costa. Si avvicinavano sempre più, fino a quando, in un tempo che mi sembrò infinito, riuscii a distinguere la loro sagoma alta, le grandi vele bianche e quadrate e persino lo spumeggiare delle onde contro lo scafo che luccicava umido al sole. 49
Capitolo 8
Mi ritrovai a correre a ritroso verso il villaggio, quasi che le mie gambe avessero preso la decisone per me, il cuore in gola e un pensiero che mi martellava nella testa dicendomi: “Non è possibile! Non è possibile! Non è possibile!” Piombai tra le case del villaggio rimasto semivuoto gridando come un forsennato: – Sono arrivati! Sono qui! Sono qui! Li ho visti: tre enormi barche stanno approdando sulla Spiaggia di Sale! Li ho visti! Li ho visti! Sono qui! Probabilmente stavo solo pronunciando delle frasi senza senso, perché mi accorsi che le donne, i ragazzini e i bambini avevano sospeso le loro attività e i loro giochi e mi osservavano perplessi. Mia madre mi venne incontro guardandomi come se fossi matto e, con espressione preoccupatissima, mi chiese: – Chi è qui? Chi è arrivato? Presi fiato e, calmatomi un po’, descrissi esattamente quello che avevo visto. Il giovane Alshaia, che per qualche motivo era rimasto al villaggio, si avvicinò e mi fece ripetere il racconto più volte di seguito, ponendomi in maniera serrata domande precise su ciò che avevo visto. Poi, senza una parola, si lanciò di corsa fuori del villaggio, diretto al centro dell’isola: andava ad avvisare i capi in procinto di riunirsi sul Lago di Mezzo. Fu in quel momento che, alla perplessità generale, subentrò tra la gente un’agitazione vociante e scomposta. I pochi rimasti in casa uscirono guizzando dagli usci, quelli che lavoravano nelle vicinanze si precipitarono attoniti nella spianata al centro del villaggio: tutti parlavano e agitavano freneticamente le mani. Chi andava e chi veniva, chi chiedeva, chi si guardava intorno smarrito. Qualche bambino più piccolo iniziò addirittura a frignare. 50
Gli esseri venuti da lontano
Il villaggio sembrava un formicaio impazzito, sconvolto da un getto di acqua bollente. Dopo pochissimo tempo, costretti a un repentino dietro– front, già si vedevano arrivare a frotte i capi e gli sciamani del nostro e degli altri villaggi. I più vecchi, arrancando faticosamente, gli altri, incollati ad Alshaia che precedeva tutti e che mi indicava platealmente, come a dire: “È lui, è lui che ha portato la notizia!” Dovevano aver preso molto sul serio il mio racconto per abbandonare così precipitosamente la riunione. Mi sentii investito di una tremenda responsabilità: e se quello che avevo raccontato si fosse rivelato non corrispondente al vero? Se fossi semplicemente rimasto vittima della mia immaginazione? Ma ormai mi ero calmato del tutto. Ripensai lucidamente a quello che avevo visto e compresi che non mi ero sognato un bel niente. Così potei rispondere pacatamente agli adulti che già mi stavano subissando di domande. Arzacay, il capo, sembrava non sapere che pesci prendere: era evidente che la questione era troppo grossa per lui. Si fece avanti Mariondu, il nostro sciamano. – Bene, ragazzo, andiamo a vedere. Facci strada – disse con molta calma. C’era poco da mostrare la strada: la conoscevamo tutti a memoria. Un istante prima di svoltare per quella fatidica ultima curva, mi riprese di nuovo la trepidazione. Quando superammo il palmeto che chiudeva la vista alla Spiaggia di Sale, le vedemmo: le tre grosse imbarcazioni erano lì, a poche centinaia di metri dalla riva, ora immobili sull’acqua spumeggiante che invano tentava ancora di ostacolarne il cammino, di ricacciarle indietro. Un silenzio glaciale scese sulla folla: tutti guardavano, con gli occhi sbarrati, ciò che io avevo già visto. 51
Capitolo 8
Per un istante, Arzacay riprese il controllo della situazione e dimostrò di essere il capo che era: con rapidi cenni, e nel più assoluto silenzio, ordinò alle donne con i bambini di allontanarsi e di disporsi dietro una fila di cespugli e di arbusti a poca distanza, quindi fece cenno agli altri, me compreso, di seguirlo. Ci acquattammo a ridosso di alcune piccole dune di sabbia, da cui potevamo osservare tutto senza essere visti. Dalla mia posizione volsi lo sguardo verso mia madre che, terrea in volto e con la piccola Zeon stretta al petto, si rannicchiava tra la vegetazione. Accanto a lei c’era l’altra Zeon, la vedova del capo, pallida anche lei, al pari delle altre donne del gruppo. Notai che Garaisha, Ussay e tutti gli altri miei amici si erano fatti intorno a me: mi sentii orgoglioso, forse più di quando ero tornato vittorioso dalla mia prima battuta di caccia. Sulle tre imbarcazioni sembrava non ci fosse nessuno, come se, prive di guida, il vento le avesse spinte ciecamente alla deriva. Ma ecco che dal bordo di una delle tre navi, la più grossa, si sporse una testa, poi un’altra, poi un’altra ancora: teste umane, almeno così sembrava, che guardavano diritto verso di noi. Ci avevano visti? Non poteva essere, eravamo troppo ben nascosti. Notammo del movimento. La brezza ci portò il suono di un certo tramestio a bordo. Erano suoni striduli, metallici, e voci, sicuramente voci umane, ma da lontano non si riusciva a capire cosa stessero dicendo. Ammesso che parlassero la nostra lingua. Vidi che qualcosa, un grosso oggetto, veniva fatto calare lungo il fianco dell’imbarcazione maggiore: era una barca, una specie di canoa, con a bordo alcuni uomini. 52
Gli esseri venuti da lontano
“Ma che stranezza” non potei fare a meno di pensare. “Una barca che contiene un’altra barca!” E non era finita lì: dopo un po’, un’altra piccola canoa fu fatta scendere dalla stessa nave, e poi, di seguito, altre due, tutte e quattro ricolme di uomini che si misero a remare vigorosamente verso la riva. Eccoli che si avvicinavano! Ero curiosissimo di vedere da vicino i nuovi arrivati: erano davvero gli esseri di un altro mondo di cui si favoleggiava? A mano a mano che si avvicinavano li vedevo sempre più distintamente, ma il movimento delle onde, scuotendo le barche, impediva di avere una visione netta delle loro fattezze. Quando, alla fine, toccarono riva e l’equipaggio scese a terra, potemmo contemplare la figura intera dei nuovi venuti. Erano lì, a poche decine di metri da noi, sentivamo persino il loro odore portato dal vento, un odore acre, forte, sicuramente non gradevole: questa fu la prima impressione che ebbi degli stranieri venuti dal mare. E il loro corpo, incredibile a dirsi, era proprio come me lo ero immaginato sulla base dei racconti di Ussay e dei vecchi del villaggio: sembravano alti più o meno come noi, ma erano avvolti, dal collo alle caviglie, da strane bende che fasciavano le loro braccia e le gambe e da cui emergevano teste con delle chiome ricciute e arruffate. Sui volti bianchi e rossastri, bruciati dal sole, crescevano veramente lunghi peli ripugnanti, la cui visione mi costrinse a distogliere lo sguardo. Anche mio padre, i miei amici, Alshaya, il capo Arzacay e lo sciamano Mariondu osservavano muti e stupefatti la scena che si svolgeva davanti ai loro occhi. Dal gruppo degli stranieri si fece avanti un uomo con i capelli grigi: pensai fosse il loro capo e che fosse anche molto vecchio, ma non potei fare a meno di notare che si muoveva con una certa agilità e che trasmetteva un’indiscutibile sensazione di vigore. 53
Capitolo 8
L’uomo stringeva al petto due legni, di lunghezza diversa, saldati tra loro a formare una croce. Dopo essersi guardato attorno con circospezione, conficcò con forza l’asta nel terreno, poi si inginocchiò e si chinò sulla sabbia fino a baciarla. Fece proprio così: baciò la terra! Se avessi visto qualcuno del mio popolo fare una cosa del genere mi sarei sbellicato dalle risate, ma in quel momento era il terrore il solo sentimento che prevaleva su tutti noi. Dopo quel gesto l’anziano si alzò e, a questo punto, sentii, tutti sentimmo, nitidamente la sua voce: nell’aria si propagò una lunga serie di parole incomprensibili, un cumulo di suoni aspri e tuonanti che mi fece letteralmente accapponare la pelle. Cominciai ad avere paura, volevo andarmene e scappare il più lontano possibile. Capii che tutti provavano, in quel momento, il medesimo impulso, a cominciare da Arzacay, il quale, infatti, interpretando il desiderio comune, scivolò lentamente, silenzioso come una biscia, lungo il dosso della piccola duna che lo riparava e fece ripetuti e taciti segni a tutti affinché lo seguissimo e ci allontanassimo da lì. Eravamo sottovento, quindi potemmo andarcene senza essere notati. Dopo pochi minuti eravamo nello spiazzo centrale del villaggio, all’ombra confortante delle nostre case. Ci sentivamo al sicuro, ma sui volti di tutti era dipinto lo sgomento. I capi e gli sciamani dei quattro villaggi presero a discutere animatamente tra di loro. Io, declassato dal rango di vedetta storica a quello di semplice giovane membro della tribù, me ne stavo seduto in un cantuccio assieme ai miei amici, ma echi della loro conversazione giungevano fino a noi. 54
Gli esseri venuti da lontano
Le opinioni erano discordi: alcuni sostenevano che i nuovi arrivati erano dei, altri che fossero semplicemente degli stranieri venuti da così lontano che mai se n’era sentito parlare prima d’ora, altri ancora li ritenevano disgustosi e malvagi, e qualcun altro tutto il contrario. La discussione andò avanti per un po’, seguita da vicino dagli altri membri adulti della tribù, donne comprese, i quali non mancavano di prendervi parte con la dovuta vivacità. Le voci si sovrapponevano e ben presto fu il caos totale. Mariondu, il nostro sciamano, ebbe alla fine la meglio e, con la sua voce stridula, s’impose su tutti. Facendo una sintesi della situazione, concluse che i nuovi arrivati erano quasi sicuramente degli dei, che andavano perciò trattati con il dovuto riguardo e che, anzi, si era già perso troppo tempo. I maschi adulti dovevano affrettarsi verso la spiaggia per ricevere i nuovi arrivati con tutti gli onori, mentre le donne e i ragazzi, al villaggio, avrebbero preparato le cibarie e organizzato i festeggiamenti. Così facemmo: tutta la comunità si mise subito in movimento. I quattro sciamani officiarono una cerimonia propiziatoria, i capi si agghindarono con piume d’uccello e tutti i maschi adulti si rassettarono e si pettinarono. Poi si diressero in pompa magna verso la spiaggia. Le donne accesero i fuochi per il cibo, prepararono la cacciagione, pestarono il mais e dissalarono il pesce, mentre noi ragazzini correvamo di qua e di là, sbrigando tutte le incombenze che freneticamente ci venivano comandate: spazzare il villaggio, portare l’acqua, portare la legna, raccogliere frutti nel bosco... Nel villaggio era tutto un fervore di attività, in un’atmosfera di sovrumana eccitazione. 55
Capitolo 8
Ero già stanco per il gran daffare quando, finalmente, preceduti al solito dai capi e dagli sciamani, il gruppo degli uomini fece ritorno dalla spiaggia. Gli stranieri erano con loro. Tutti entrarono nel villaggio a passo spedito. Espressioni rilassate e sorridenti erano dipinte sui volti di ognuno, anche degli stranieri, o forse dovrei dire degli dei, come ormai sembrava appurato che fossero. Le donne, i ragazzini, tutti noi rimanemmo impalati e colmi d’imbarazzo di fronte agli ospiti, non sapendo né che fare né dove mettere le mani. Riuscivamo solo a guardarci l’un l’altro prorompendo di tanto in tanto in risatine nervose. Beh, l’arrivo degli dei non è cosa di tutti i giorni… I maschi adulti, molto affabili e cerimoniosi, condussero gli stranieri–divinità di qua e di là per il villaggio, presentando loro chi la propria moglie, chi i propri genitori o i figli, chi la casa o le barche. Francamente c’era un po’ di confusione. Gli stranieri–dei ascoltavano rispettosamente, guardavano e annuivano continuamente, sembravano compiaciuti e incuriositi. Ogni tanto commentavano qualcosa tra loro e ridacchiavano. L’uomo con i capelli grigi sembrava il più incuriosito: guardava con occhi spalancati le nostre amache, come se non avesse mai visto prima cose del genere, o indicava con enfasi, emettendo degli “ooh” di meraviglia, i parrocchetti che a decine volavano sopra le nostre teste. C’era un altro uomo, o dio, magro e asciutto, che seguiva il capo abbastanza da vicino e recava sotto braccio un fascio di foglie bianche e squadrate. Di tanto in tanto questi si fermava, estraeva dalla bisaccia una lunga piuma d’uccello e una boccettina, si sedeva e, intinta la piuma nella boccetta, vergava qualcosa su una delle foglie. Io e i miei amici ci avvicinammo per sbirciare e vedemmo 56
Gli esseri venuti da lontano
che l’uomo tracciava dei segni disposti in linee orizzontali, una sotto l’altra. Procedeva così, disegnando da sinistra a destra e dall’alto in basso lunghe file di incomprensibili ghirigori. Anche un altro uomo, o dio, richiamò particolarmente la nostra attenzione. Era diverso da tutti: grande e grosso, aveva una gran pancia, una massa di orridi peli riccioluti sulla faccia e neanche un capello in testa. Chi mai poteva immaginare che un essere umano, o divino che fosse, non avesse capelli? Costui, peraltro, era vestito persino più stranamente dei suoi compagni: aveva una lunga tunica marrone che lo copriva da sopra le spalle a sotto le ginocchia e portava ai piedi dei sandali dello stesso colore della tunica. Come facesse a non sentire caldo, lo sapeva solo lui. Misteri divini! Di tutti, era l’unico che mostrasse continuamente un’espressione severa e accigliata: sembrava non trovarsi a suo agio nel posto in cui era capitato. Ad un certo momento incontrai il suo sguardo, e l’occhiata che mi rivolse mi fece gelare il sangue nelle vene. Quando le donne ebbero terminato di cucinare, ci sedemmo tutti nello spiazzo centrale del villaggio e cominciammo a mangiare. Gli stranieri–dei si mostrarono all’inizio un po’ diffidenti, annusavano ogni cosa prima di portarla alla bocca e se la rigiravano tra le mani osservandola da ogni lato. Ma alla fine si lasciarono andare e mangiarono con soddisfazione. Qualcuno di loro, estratti dalle bisacce dei dischetti di cibo schiacciato, li mangiava o li passava agli altri. Ne volli provare uno: si sarebbe detto un impasto di mais e yuca14, ma era secco e duro e non sapeva di nulla. Si bevve anche molto, acqua soprattutto, ma, verso la fine del pranzo, venne servito del chirrinche, il nostro liquore 14–Yuca : Pianta arborea tipica delle regioni tropicali.
57
Capitolo 8
ricavato dalla fermentazione delle bucce di banana matura. Gli dei, a loro volta, offrirono una bevanda forte e aspra quanto la nostra e che era contenuta in strani recipienti trasparenti. “Roba da dei, non c’è che dire!” fu il pensiero di noi tutti. Tra una bevuta e l’altra l’atmosfera si rilassò ulteriormente e una vena di sottile allegria pervase il villaggio. Rullarono i tamburi e cominciarono le danze. Anche i nuovi arrivati ballarono. Solo l’uomo delle foglie squadrate e quello della tunica marrone rimasero in disparte, ciascuno intento nelle proprie faccende: il primo manovrando la piuma d’uccello e l’altro, con le mani stranamente congiunte, pronunciando frasi sottovoce come se parlasse da solo. Ricordava un po’ Mariondu quando recitava le sue formule rituali. Io e i ragazzi pensammo che doveva trattarsi di un uomo di medicina e religione, per l’appunto come un nostro sciamano. Ma c’era qualcosa in quell’essere che ci respingeva. Con Garaisha e gli altri, decidemmo di non badare più a lui e di preferirgli il suo compagno, quello della penna che tracciava segni, al quale ci avvicinammo di nuovo. In quel momento stava disegnando un paio di amache affiancate, con i ballerini e le case del villaggio sullo sfondo. Noi ragazzi rimanemmo a bocca aperta: mai avevamo visto un disegno fatto con tanta precisione e con tanto realismo! Le amache parevano così morbide e molli che veniva voglia di toccarle, i danzatori sembrava si stessero davvero animando al suono dei tamburi e dei flauti e persino le abitazioni davano l’idea di essere più reali di quelle vere. ***
58
Gli esseri venuti da lontano
La festa andò avanti per parecchie ore e tutti si divertirono un sacco. Chi ballava, chi beveva, chi cantava, chi continuava a mangiare. Persino i più piccoli saltavano e ridevano, partecipi dell’euforia generale. Ci furono anche degli scambi e noi ragazzi, neanche a dirlo, giravamo da un posto all’altro per osservare da vicino i baratti e gli straordinari oggetti portati dagli dei. Ce n’erano per tutti i gusti: anelli e collane di pietre colorate, copricapi flosci e grandi, pugnali di pietra nera le cui lame lanciavano bagliori come lampi nel cielo, ma, soprattutto, delle incredibili pietre lucide che se uno ci guardava dentro vedeva la propria faccia più nitida e chiara che se si specchiasse in un ruscello. Queste, naturalmente, andarono a ruba tra noi: tutti volevano averne una ed erano disposti a dare in cambio le pietre preziose e gli amuleti richiesti pur di entrarne in possesso. La quantità era però limitata e chi già era riuscito a comprarne, per nulla al mondo era disposto a cederle. Mio padre ottenne uno specchio, così si chiamava la pietra lucida, in cambio di alcuni monili e oggetti che fino a un attimo prima decoravano la nostra casa. Io mi ci guardai dentro e mi vidi come non mi ero mai visto, con tutti i particolari del mio volto ben definiti, dal colore dello smalto dei denti alle più piccole increspature della pelle. Qualcosa di assolutamente incredibile! Mi sembrò di capire che gli dei–stranieri erano molto interessati a un metallo luccicante che alcuni di loro portavano addosso in forma di anello o braccialetto, un metallo giallo e brillante che io non avevo mai visto prima e che gli stranieri a grandi gesti chiedevano a noi. Ma perché ne volevano dell’altro se già lo possedevano? 59
Capitolo 8
Comunque c’era poco da fare perché quel materiale era per noi una cosa del tutto sconosciuta. Stavo esprimendo queste perplessità ai miei amici quando Ussay, con aria saputa, volle chiarirmi le idee al riguardo. – Quel metallo è un materiale molto pregiato, assai diffuso tra i nostri fratelli Lacai delle isole del nord – disse. – È vero – confermò Garaisha. – Si chiama oro. Alla gente piace perché brilla e, con il passare del tempo, non accenna a deteriorarsi. Beh, i miei amici ne sapevano più di me. Dopo tante ore di festa e di vicinanza con i nuovi arrivati, questi sembravano più umani che all’inizio, le loro movenze più simili alle nostre di quanto non fosse parso a un primo impatto e persino il loro odore, così bestiale e pestifero, si perdeva ora tra gli odori del chirrinche e le esalazioni del tabacco. Ah, il tabacco! Evidentemente neanche questo conoscevano i nostri ospiti, poiché quando gli anziani del villaggio fecero portare dalle mogli quella preziosa erba disseccata, che noi abbiamo comprato dai popoli nostri fratelli, e la infilarono nelle loro lunghe pipe per poi accenderla e aspirare a profonde boccate, gli dei–stranieri osservavano tutto il procedimento con molta curiosità. Quando poi toccò a loro fumare, presero a tossire e a sputare come cani ammalati. Fu un grande divertimento! Noi ragazzi ci buttammo a terra, sbellicandoci dalle risate.
60
Luciano Marasca
Da un altro mondo
STORIA E STORIE
La storia raccontata da grandi storie per ragazzi
Luciano Marasca
STORIA E STORIE
Un racconto ai tempi di Cristoforo Colombo
Luciano Marasca
BN IS
9
do 0 on a 4m asc 96 r o 0 tr a al o M 72 un ian 8-4 a 8 D Luc 87
È nato a Filottrano, in provincia di Ancona. Dopo aver esercitato per alcuni anni la professione di sociologo a Roma, ha lavorato nella cooperazione internazionale per gli aiuti allo sviluppo in Ecuador, Argentina, Colombia e, recentemente, in Perù. Ha viaggiato a lungo in Brasile e in America centrale. Dal 1991 è insegnante di scuola primaria e segue con particolare interesse l’accoglienza e il successo scolastico dei bambini stranieri.
Ai primi di ottobre del 1492, sull’isola di Guanahani, nell’oceano Atlantico, il giovane Oxe e i membri della sua tribù vivono ancora una vita tranquilla. Immersi in una natura rigogliosa, le loro giornate sono scandite dalle attività abituali: la caccia, la pesca, i divertimenti. Ma alcuni segni inquietanti fanno presagire l’irrompere di una sconvolgente novità: l’arrivo di Cristoforo Colombo in America. È il primo e fugace incontro tra due civiltà lontane, visto dagli occhi colmi di stupore di un ragazzino indigeno. Tre anni dopo, il navigatore genovese farà ritorno sull’isola, ma gli uomini bianchi, da lui capitanati, non mostreranno verso la popolazione locale lo stesso atteggiamento amichevole dell’inizio.
Un racconto ai tempi di Cristoforo Colombo
Completano la lettura: Approfondimenti finali F ascicolo di comprensione del testo S chede interattive su www.raffaellodigitale.it
I S B N 978-88-472-2503-9
Online: approfondimenti e schede didattiche www.raffaellodigitale.it Questo volume sprovvisto del talloncino a fronte è da considerarsi copia di SAGGIO-CAMPIONE GRATUITO, fuori commercio. Esente da I.V.A. (D.P.R. 26-10-1972, n°633, art. 2 lett. d).
Da un altro mondo
Guanahani, 1492.
€ 9,00
9
788847 225039