Beppe Forti
Il sogno di Federico Ogni montagna da scalare è un’opportunità da vivere
Collana di narrativa per ragazzi
Editor: Paola Valente Coordinamento di redazione: Emanuele Ramini Impaginazione: AtosCrea Illustrazione di copertina: Elena Mellano Approfondimenti: Paola Valente Schede didattiche: Alessia Racci Chini Ufficio stampa: Francesca Vici
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Beppe Forti
Il sogno di Federico
Capitolo
1
Un nuovo compagno in II C
“Epifania tutte le feste porta via” dice il proverbio
e anche il 7 gennaio di quell’anno la II C della scuola secondaria di primo grado Peter Pan dovette dare l’addio a quindici giorni di pranzi in famiglia, interminabili sedute di tombola, abbuffate di torrone, panettone e pandoro, distribuzione di regali, mance degli zii, grandi dormite e PlayStation senza limiti di orari con amici e cugini. I caloriferi erano bollenti, ma quella mattina in classe c’era lo stesso un gran gelo. Durante le vacanze di Natale il riscaldamento della scuola era stato spento, le pareti stentavano a riscaldarsi e ci sarebbe voluto qualche giorno per far tornare confortevole la temperatura. Erano parecchi, tuttavia, a sudare freddo lo stesso. Una buona parte della II C, infatti, aveva rinviato di giorno in giorno l’esecuzione dei compiti, illudendosi di avere a disposizione un sacco di tempo ma, a forza di prendersela comoda, l’ultimo giorno di vacanza era arrivato a tradimento e gran parte dei compiti era rimasta incompiuta. Chi l’avrebbe sentita la professoressa Grisetti, insegnante di Lettere? Per non parlare del professor Rizzetto, docente di Matematica, della Luciani, di Inglese, e di tutti gli altri prof? Quella del 7 gennaio avrebbe potuto essere davvero per molti una mattinata di terrore. 5
Capitolo 1
– Ciao ragazzi, come sono andate le vacanze? Che avete fatto di interessante? – chiese la Grisetti dopo l’appello. Venti mani si alzarono con un sincronismo perfetto. “Se riusciamo a distrarla con le chiacchiere sulle feste, forse si dimentica dei compiti” pensarono tutti quelli che non avevano la coscienza a posto. – Bene, e ora passiamo ai lavori per casa – dichiarò invece la prof alla fine della chiacchierata. Panico in classe. Ma proprio in quel momento si verificò qualcosa che distolse l’insegnante dal dispensare rimproveri, note e brutti voti. Qualcuno, infatti, bussò alla porta e furono in molti a illudersi di veder comparire la bidella Odilla con una circolare ministeriale che decretava l’abolizione perpetua e retroattiva dei compiti per casa. Non si trattava, però, di quell’armadio di donna, spauracchio di tutti i ragazzi della scuola, forse dei professori e perfino del preside. No, ad affacciarsi sull’uscio dell’aula fu un ragazzo biondo e gracile, pallido in viso e con gli occhi di un blu intenso. Era seduto su una sedia a rotelle spinta da una signora sui quarant’anni. – Mi scusi per il ritardo – si giustificò la donna. – Siamo stati trattenuti in segreteria perché mancavano dei documenti. Lui è Federico De Bortoli – concluse, accennando al ragazzo. Ecco a chi apparteneva il nome dello sconosciuto iscritto sulla lista della classe. – Oh, finalmente abbiamo il piacere di conoscerti! – esclamò la Grisetti scendendo dalla pedana della cattedra e tendendogli la mano. 6
Un nuovo compagno in II C
Il ragazzo la ignorò del tutto e lei rimase con la mano sospesa nel vuoto. Per qualche istante in II C calò un tale imbarazzo che si poteva quasi tagliarlo con un coltello. – Federico… – mormorò la madre mortificata. L’insegnante risolse la situazione tendendole la mano. – Piacere, signora, io sono Lucia Grisetti, insegnante di lettere – si presentò. – Piacere mio, Elena Somenzi. Lo scusi, sa… è un po’ spaesato. – Non si preoccupi, è comprensibile – la tranquillizzò la Grisetti. Tutti gli alunni della II C si chiesero quale malattia costringesse il nuovo ragazzo a starsene su una sedia a rotelle e se lo domandò anche Francesca Ferrari, una ragazza minuta, con i capelli neri a caschetto e gli occhi scuri come il carbone, tanto che a stento si riusciva a distinguere l’iride dalla pupilla. Federico De Bortoli non era certo il ritratto della salute, eppure Francesca lo trovò carino. Aveva sempre pensato ai maschi come a dei bisonti rozzi e informi, capaci di esprimersi solo a rutti e spintoni. Rimaneva un mistero per lei come facessero le compagne a prendersi delle cotte bestiali per quei discendenti diretti dell’Uomo di Neanderthal, ed era la prima volta che considerava dal punto di vista estetico un rappresentante di quella sottospecie primitiva. Sì, a malincuore doveva ammetterlo: nonostante il pallore del viso, con quegli occhi blu Federico era proprio carino. Lui, invece, sembrava infastidito da tanta attenzione e mentre la madre e la Grisetti parlavano, fissava corrucciato il pavimento dell’aula senza degnare il resto della classe di un solo sguardo. 7
Capitolo 1
– Chi si crede di essere? – mormorò Giacomo Ferlini, il cui più grande divertimento era tormentare i compagni più deboli. Francesca lo incenerì con un’occhiata e lui le mostrò la lingua. Tra loro non c’era mai stata una gran simpatia e in quarta elementare si erano addirittura accapigliati perché lei era corsa in difesa di Samir, un ragazzino di origine marocchina che il bulletto aveva preso di mira con i suoi scherzi pesanti. Francesca era impulsiva, impertinente con gli adulti e non esitava a protestare per ogni cosa, ma era anche generosa e sempre pronta a prendere le difese dei più deboli. Non era tipo da farsi mettere sotto da qualcuno e quella volta la maestra fu costretta a chiamare in aiuto la bidella, perché la ragazzina si era trasformata in una furia e si era attaccata ai capelli di Giacomo. Non era mai successo che il compagno scoppiasse in lacrime. Solo Francesca era riuscita a farlo piangere e da allora lui si era sempre guardato bene dal provocarla. Anche adesso che, crescendo, era diventato molto più alto e robusto di lei, continuava a tenersene accuratamente alla larga. Prima di andarsene, la madre di Federico si avvicinò al figlio e gli fece una carezza. – Mi raccomando… – lo esortò sottovoce. Lui alzò le spalle ed evitò di guardarla negli occhi. Lei si lasciò sfuggire un sospiro, salutò l’insegnante con un’altra stretta di mano e uscì dall’aula. – Bene – esordì la Grisetti – e adesso, prima di metterci al lavoro, ognuno di voi si alzerà in piedi e si presenterà a Federico, così farete conoscenza. Cominciò Carlotta che era la più vicina. Pronunciò il proprio nome aspettandosi un cenno di saluto dal 8
Un nuovo compagno in II C
ragazzo che, invece, rimase muto e indifferente. Carlotta tornò a sedersi mortificata. Dopo di lei, uno alla volta, si presentarono tutti gli altri; Federico, tuttavia, continuò a comportarsi come se nemmeno esistessero. – Forse è solo un po’ timido… – sussurrò Francesca, rispondendo allo sguardo interrogativo di Martina, la sua amica del cuore fin dalla scuola dell’infanzia. – Oppure, oltre alle gambe che non funzionano, ha anche qualche rotella che gli gira male! – osservò Giacomo Ferlini, senza nemmeno preoccuparsi di parlare a bassa voce.
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Capitolo
2 Il piede sbagliato
Oltre a Federico, quella mattina in classe ci fu
un’altra nuova presenza. Si trattava di Anna, una giovane operatrice mandata dal Distretto Socio-sanitario, che aveva il compito di assistere il ragazzo. Troppe novità in una sola mattina! Gli alunni, infatti, erano irrequieti e non toglievano gli occhi di dosso al nuovo arrivato, che continuava a tenere lo sguardo basso senza nemmeno far caso ai tentativi della Grisetti di coinvolgerlo nelle attività di classe. Anche l’insegnante era a disagio. Se uno qualsiasi degli altri suoi allievi si fosse comportato allo stesso modo, non avrebbe esitato un solo istante a metterlo in riga, ma con Federico nemmeno ci provò, come se non avesse cuore di rimbrottare un ragazzo costretto sulla sedia a rotelle. L’effetto di quel nuovo ingresso in II C fu che la Grisetti si dimenticò dei compiti per casa, oppure lo fece apposta: se non se l’era sentita di rimproverare Federico, forse aveva deciso di perdonare anche tutti gli altri e si limitò ad annunciare che avrebbe spiegato un nuovo capitolo di storia. Una buona metà della II C trasse un profondo sospiro di sollievo. Tre ore di fila con la Grisetti erano lunghe da passare, con il pericolo sempre incombente che la professoressa si ricordasse dei compiti per casa. Fu così che la campanella 10
Il piede sbagliato
dell’intervallo fu accolta come una liberazione e anche chi sembrava sprofondato nel coma più profondo riprese coscienza all’improvviso e schizzò in piedi come una cavalletta per precipitarsi in cortile. – Fermi! – tuonò la Grisetti. – Se non vi mettete in fila per due, di qui non uscite! Erano in molti in II C a sostenere che la vera aspirazione di quella donna fosse diventare sergente maggiore dei marines e solo per ripiego avesse optato per l’insegnamento. Fosse o non fosse vero, fatto sta che a quell’urlo si congelarono tutti all’istante. – Vestitevi che fuori fa freddo! – raccomandò la docente, rivelando che dietro al cipiglio da sottufficiale istruttore dei marines nascondeva insospettabili istinti materni. – E soprattutto ricordatevi che non si corre in corridoio! – intimò a Francesca che era in testa alla fila e aveva già cercato di accelerare l’uscita, perché il tempo passava e la ricreazione non sarebbe durata in eterno. – E allora perché si chiama corridoio se non si può correre? Potevano chiamarlo camminatoio o vapianitoio! – replicò la ragazza. Francesca non era solo la più vivace tra gli alunni di II C; era anche la più sveglia e le bastava leggere una sola volta una lezione per riuscire a ripeterla come se avesse passato sui libri ore e ore, tanto che, se spesso riusciva a far disperare gli insegnanti, allo stesso tempo dava loro grandissime soddisfazioni, specialmente alla Grisetti. La docente, tuttavia, non poteva esprimere apertamente la propria simpatia per l’allieva e la incenerì con un’occhiata delle sue. – Hai perso un’ottima occasione per startene zitta – la rimproverò l’insegnante. 11
Capitolo 2
Per una volta, la ragazza non replicò e si limitò a rallentare, impedendo ai compagni che la seguivano di trasformarsi in una mandria di bisonti imbizzarriti che niente e nessuno sarebbe riuscito a fermare. La Grisetti non sospettava minimamente di essere l’insegnante preferita di Francesca. La ragazza, infatti, da adulta avrebbe voluto essere proprio come lei che con gli alunni era severa ma giusta e, quando un allievo dimostrava buona volontà, diventava paziente, bendisposta e perfino simpatica. Anche il suo aspetto le piaceva: alta ma non troppo, bruna e con i capelli corti, di mezza età e con il viso acqua e sapone. E poi vestiva sempre in modo pratico e sportivo, non come la Luciani, l’insegnante di inglese, sempre truccatissima ed elegante. Era una giornata fredda ma luminosa. In cielo non c’era una nuvola e il sole splendeva come di rado accadeva in quella graziosa cittadina ai confini tra la Pianura Padana e i primi rilievi delle Prealpi, che si scorgevano non molto lontano e le cui cime erano ricoperte di un candido strato di neve. La II C scorrazzava per il cortile mischiandosi alle altre classi e gli insegnanti in turno di sorveglianza avevano il loro da fare per richiamare all’ordine i più scalmanati. C’era pure Federico, seduto sulla carrozzina spinta da Anna, che ogni tanto tentava, senza successo, di fargli dire qualche parola. – Chissà perché non è venuto a scuola a settembre – osservò Martina additandolo all’amica Francesca. – Sarà stato ammalato. – Un’influenza di quasi quattro mesi? 12
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– Probabilmente era qualcosa di più di una semplice influenza. – E magari ha a che vedere con quella carrozzina. – Già. Se gli parliamo forse ce lo racconta. – Ma sì, andiamo a salutarlo. Nessuno lo considera, poveretto – propose Martina. – Ciao – lo salutarono avvicinandosi. Federico si limitò ad alzare lo sguardo per un istante e ad abbassarlo infastidito, senza nemmeno ricambiare il saluto. – Io mi chiamo Francesca… – … e io Martina – si presentarono le due ragazze, ma lui non rispose. – Almeno dì il tuo nome – lo esortò Anna. – Lo sapete già – replicò lui stizzito. – Ah, allora sai parlare. Credevo fossi muto! – lo provocò Francesca. – Sono sulla sedia a rotelle, non ti basta? – replicò lui sprezzante. – Scusami, volevamo solo parlare un po’ – si rammaricò la ragazza. – Io però non ne ho nessuna voglia – fu la risposta di Federico. “Mamma mia che scorbutico” pensò Francesca. Evidentemente dietro a quel viso d’angelo si nascondeva l’ennesimo discendente diretto dell’Uomo di Neanderthal, con buona pace degli antropologi, convinti che si fosse estinto quarantamila anni prima di Cristo. La ragazza fu tentata di piantarlo lì, tornando a scherzare con Martina e le altre compagne, ma le sfide le piacevano e difficilmente si lasciava sfuggire la possibilità di avere l’ultima parola. 13
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– Ma a noi interessa conoscerti meglio, visto che siamo nella stessa classe – obiettò. – E a me non importa un bel niente. – Ma cosa stai dicendo, Federico? – intervenne Anna. – Le tue compagne vogliono solo essere gentili! – Non ne ho bisogno e non gliel’ho chiesto io – tagliò corto lui. – Mi dispiace, Federico, ma sei partito con il piede sbagliato – lo rimbeccò Francesca. – Forse non ti sei accorta che i miei piedi non possono “partire” – osservò lui accentuando l’ultima parola con un sorrisetto malizioso. Solo allora la ragazza si rese conto della terribile gaffe e si morse le labbra. – Scusa, non volevo – mormorò, arrossendo mortificata. – Non importa. Vi posso chiedere un favore? – Sì, quello che vuoi. – Lasciatemi in pace. Così dicendo girò appena la testa verso Anna e le fece cenno di spingerlo avanti. L’assistente lasciò sfuggire un sospiro e si mosse scuotendo il capo. Le compagne restarono a guardarlo avvilite mentre si allontanava. “Sono io quella che è partita con il piede sbagliato” si rimproverò Francesca.
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