READER'S BENCH magazine - marzo 2014

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23 marzo 2014

IL MAGAZINE DI RB CAMBIA VESTE, DICCI LA TUA! http://www.readers-bench.com/

READER’S BENCH magazine



SOMMARIO marzo 2014

5 Neuroscienza:

Cosa accade nel cervello di un Reader? di Diego Rosato

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Tra scienza e arte: il mondo di Mattia Farinella di Clara Raimondi

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Intervista a Eleonora Mazzoni di Vittoria Coppola

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Luci di Marzo

di Rocco Alessandro Mattei

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Il canone del tè di Nicoletta Tul

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Noragami

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Solo l’amore può più della guerra + Intervista a Marco Magini di Diego Rosato - italiani in Vietnam - inviati al fronte - più che il nemico, potè il freddo - se un solo uomo compie una strage

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Vergogna di Chiara Silva

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‘Zombie’ Palahniuk

traduzione di Rocco Alessandro Mattei

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Intervista a Gabriele Brocani di Daniele Campanari

di Jessica Marchionne

E su http://www.readersbench.com/

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Carofiglio: I fratelli per la penna dal 19 marzo in libreria “La casa nel bosco” di Daniele Campanari

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Reader’s kitchen di Clara Raimondi

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Alla scoperta di Reality Project di Claudio Turetta

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Top 10 mostre in Italia di Emanuela Ciacci

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Intervista a Luigia Sorrentino «Per fortuna la poesia

READER' BENCH: TUTTO IL MONDO DEI LIBRI SU UNA PANCHINA


non è in autogrill» di Simone di Biasio

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Young writers di Clara Raimondi

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Nelle sale a primavera di Francesca Cerutti

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Doppiatore è... di Daniele Campanari

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Dell’amore e altri demoni di Danylù Louliette Kazham

Direttore editoriale: Clara Raimondi Direttore responsabile: Simone di Biasio Vicedirettore: Diego Rosato Editorial designer: Veronica di Biasio Ufficio Stampa: Sara e Elena ufficiostampa@readers-bench.com Segretaria di redazione: Cristina Monteleone Cover Artist: Matteo Farinella Redazione: Emanuela Ciacci Marcello D’Onofrio Claudio Turetta Rocco Alessandro Mattei Nicoletta Tul Daniele Campanari Claudio Volpe Alessia Spinella Mattia Galliani Danylù Louliette Kazham Valentina Di Martino Jessica Marchionne Claudia Peduzzi Chiara Silva Si ringraziano: Vittoria Coppola Eleonora Mazzoni Francesco Carofiglio Gianrico Carofiglio Gabriele Brocani Marco Magini Luigia Sorrentino Alessandro Viganò Matteo Scarpellini READER’S BENCH: TUTTO IL MONDO DEI LIBRI SU UNA PANCHINA - Blog Letterario

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dicono della cover marzo 2014

NEUROSCIENZA:

cosa accade nel cervello di un Reader? a cura di Diego Rosato

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n cervello in un’unità di trasporto... no, non sto parlando di Crank dei Turtles, ma di come sono solito pensare a me stesso. Il cervello è senza dubbio la parte del mio corpo che mi dà più soddisfazioni... e non fate battute! Il cervello è come un muscolo e deve essere allenato, come facciamo in continuazione noi Readers, macinando libri a profusione. Ma cosa accade nel nostro cervello quando leggiamo? Come apprendiamo? Come ricordiamo? Saperlo può aiutarci a rendere più efficiente la nostra unità di elaborazione principale? Per saperlo esiste non una sola scienza, ma un’intera branca delle scienze, un insieme di studi sul sistema nervoso detto neuroscienze.

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Uno dei padri delle neuroscienze è stato quel pacato vecchietto accomodato sulla panchina della nostra copertina, Santiago Ramón y Cajal, premio Nobel per la medicina nel 1906 per aver teorizzato per primo la cosiddetta Teoria del Neurone, secondo cui i neuroni sono cellule contigue, ma non continue e che trasmettono gli impulsi elettrici per induzione e non per conduzione. Potrei citare almeno una decina di scritti di Ramón y Cajal, ma immagino che non siano esattamente best-seller, così, oltre a ricordarvi che il nostro cover artist è anche autore di un lavoro sul terribile vecchietto di cui sopra, sono lieto di annunciarvi che, se vi interessa conoscere un po’ di più la vostra materia grigia, potete cominciare da qualcosa di decisamente meno ostico come...

“Essere intelligenti è una malattia” di François-Xavier Alario, Einaudi, 352 pagg, 18,50 euro

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Iniziamo da

MARZO Clara Raimondi

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eaders, ci siamo! Oggi è il 24 marzo ed è il giorno in cui esce un nuovo numero della vostra rivista. Come promesso abbiamo completamente rinnovato la grafica, davvero un bel cambiamento, che cosa ne dite? Linee pulite, semplicità ed eleganza dell’impaginato il tutto grazie allo straordinario lavoro della nostra Veronica di Biasio, la nostra editorial designer: “Quando Clara mi disse che in un giorno RB ha più di 5000 lettori, capii che ci voleva un cambiamento anche nel magazine. Una cosa innovativa, ma non tale da spaventare i lettori. Nel giro di una settimana le presentai un nuovo layout. Testata ad impatto, colori in continuo cambiamento (per il numero di Marzo, in sintonia con la cover di Farinella, abbiamo scelto il verde come main colour e il rosso, colore complementare), maggiore chiarezza e leggibilità: abbiamo deciso di puntare su questo”. Ci siamo riusciti? Trovate RB migliorato rispetto agli scorsi numeri? Aspettiamo i vostri commenti su www.readersbench.com Un nuovo progetto grafico che tuttavia nulla toglie ai contenuti che da sempre caratterizzano Reader’s Bench Magazine. Dalle rubriche, agli speciali, dal-

le interviste, agli approfondimenti, RB è rimasto, da tre anni a questa parte, sempre lo stesso. E anche in questo numero ospiti straordinari: Luigia Sorrentino, Eleonora Mazzoni, Francesco e Gianrico Carofiglio, Marco Magini e tanti altri. Due speciali: uno interamente dedicato alle mostre più interessanti del momento ed un altro dedicato alla guerra che non smette mai di insanguinare le pagine della mostra attualità. Ma Reader’s Bench è, come al solito, sempre qualcosa di più e vi porta nel mondo della musica, della fotografia, dei videomaker e persino nel mondo doppiatori. Incursioni fuori dal mondo dei libri che ci permettono di allargare i nostri orizzonti. Non mancheranno le recensioni, gli approfondimenti e le news più interessanti dal mondo dell’editoria. Vi ho messo l’acquolina? Questo è RB! Questo è il magazine per tutti i Readers! Seguiteci sui nostri social con l’hashtag #RBMag Io sono Clara Raimondi, vi aspetto sulla panchina e su readersbench@gmail.com e su clararaimondi@raeders-bench.com


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Tra scienza e arte, il mondo di

MATTEO FARINELLA a cura di Clara Raimondi

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atteo sei il cover artist di questo numero di Reader’s Bench Magazine e, a questo punto, si rende necessaria una tua presentazione. Chi sei? Che cosa ci fai a Londra e, soprattuto, sei ancora diviso tra fumetto e scienza? Chi sono. Domanda sempre più difficile di questi tempi. Fino a un paio di anni fa ti avrei detto senza esitazione che ero un aspirante scienziato. Mi sono laureato in biologia a Bologna, specializzato in neurobiologia, e nel 2008 mi sono trasferito a Londra per un dottorato in neuroscienze. A fine 2013 sono finalmente diventato ‘dottore’, ma nel frattempo ho deciso di abbandonare la ricerca per dedicarmi al fumetto. Però amo ancora la scienza, credo che rimarrò sempre un po’ diviso.

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intervista

a tu per tu

to attratto dalle materie scientifiche, ma è anche lo spirito con cui ho approcciato il disegno. Per me disegnare è un modo di pensare: ti obbliga a fare attenzione ai dettagli e studiare le relazioni tra le cose. Il fumetto poi è un disegno ‘analitico’ per ecCi spieghi il progetto di Neurocomic? E come cellenza: la composizione della pagina, la sequenza è nata la collaborazione con Rizzoli Lizard? delle vignette, le inquadrature… non è poi tanto diDacci tutte le informazioni possibili su quanto verso da un diagramma scientifico. vedremo in libreria il prossimo autunno. Neurocomic nasce appunto dall’unione di neuro- Come è stato il passaggio dal fumetto underscienze e fumetti, le mie due grandi passioni. Il ground alla pubblicazione, prima per Bel Ami cervello è un organo affascinante, che ci interes- Edizioni, e poi per un’altra casa editrice? sa tutti da vicino, ma è anche un argomento mol- Beh, ad essere sincero il passaggio è stato piutto complesso, che spesso non è facile spiegare a tosto improvviso ed inaspettato. A volte ancora parole. L’idea quindi è stata quella di sfruttare la non mi sembra vero. Come ho detto ho sempre semplicità e la popolarità del fumetto per spiega- studiato materie scientifiche e anche se partecire il funzionamento del cervello. Non come in un pavo a concorsi e collaboravo con piccole autolibro di testo, ma tramite una vera e propria avven- produzioni consideravo i miei fumetti poco più di tura, in cui scienziati, cellule e neurotrasmettitori un hobby. E’ stato il mio amico Simone Angelini diventano personaggi di una storia. a mettermi in contatto con la Bel-Ami Edizioni In realtà il progetto sarebbe rimasto poco più di un nel 2012, che ha poi deciso di pubblicare il mio sogno se non avessi deciso di collaborare con la mia primo libro, 6 Gradi di separazione. Subito dopo amica Hana Ros (coautrice di Neurocomic) che riu- ho cominciato a lavorare a Neurocomic, e anche scì ad ottenere un finanziamento dal Wellcome Trust, a Londra ho trovato presto un editore. Credo che una fondazione Inglese per la divulgazione scientifi- mi abbia incoraggiato molto a dedicarmi al fuca. Questo mi ha dato la fiducia necessaria per imbar- metto in modo più professionale. carmi in questo esperimento fumettistico e contattare la Nobrow Press, una giovane ma intraprendente Ed ora è il momento di 6 Gradi di separaziocasa editrice di Londra. Grazie a loro il libro è stato ne (Bel Ami Edizioni), una storia non propriapubblicato in Inghilterra a fine 2013 e sono già in mente autobiografica ma, diciamo, fortemente programma edizioni in molti altri paesi, tra cui anche ispirata da fatti reali. Come è nato e poi come – con mia grande soddisfazione – quella italiana, a cui definirlo? Un’idagine scientifica, sociologica/ stiamo lavorando con la Rizzoli Lizard. antropologica? Come è nata la tua passione per la scienza e per il fumetto? Sono nate entrambe durante l’infanzia e, anche se a prima vista possono sembrare molto diverse, sono sempre più convinto che siano due facce della stessa medaglia. Da bambino (e non solo) ero molto introverso, più che agli altri bambini ero interessato al mondo intorno a me, mi divertivo ad analizzarlo, smontarlo e rimontarlo a mio piacimento. Questo è il motivo per cui probabilmente sono sempre sta10

6 Gradi di Separazione è il mio primo libro, appunto, pubblicato un anno fa dalla Bel-Ami Edizioni. La definizione mi è sempre risultata difficile. Certamente è una storia ispirata dalle mie esperienze personali ma è ben lontana da un’autobiografia

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oggigiorno possiamo ritrovarci a vivere in mezzo a milioni di persone ma allo stesso tempo lontani dalle nostre famiglie e le persone a noi più care, con cui rimaniamo però connessi nel mondo virtuale. E’ una specie di paradosso. Credo che l’unica soluzione per il momento sia parlarne (o scrivere fumetti) e capire che non siamo soli in questa solitudine. Incontrare persone nella mia stessa situazione mi ha aiutato molto e anche per questo ho deciso di scrivere 6 Gradi di separazione, perché non trovavo molti riferimenti culturali (libri, film o canzoni) che parlassero di relazioni a distanza. Probabilmente perché è un problema molto contemporaneo.

(la mia vita non è sufficientemente interessante). D’altra parte faccio fatica a definirlo un romanzo in quanto non c’è una trama o dei personaggi ben definiti. Come hai detto forse’ è proprio un “indagine” a fumetti. L’idea era semplicemente quella di parlare di relazioni a distanza. Era una situazione in cui io e molti miei amici ci eravamo trovati a Londra, quindi passavo molto tempo a parlare di come il nostro stile di vita stia rivoluzionando le relazioni umane. Come ho detto per me il fumetto è un modo di pensare e nel corso degli anni ho E dopo questa botta di ottimismo, lasciamoci raccolto così tante pagine di situazioni e riflessioni con un augurio. Che cosa ti auguri per il futuro sull’argomento che ho deciso di farci un libro. e per la tua vita? Oh no, non era mia intenzione deprimere i lettori! Dalla lettura mi sembra di capire che esce fuori Forse dovrei mettere in chiaro che sono un inguaun’analisi un po’ spietata della nostra società e ribile ottimista e amo Londra. Questa città offre delle relazioni. Siamo poi messi così male? Ed grandi sfide ma anche grosse soddisfazioni: nel è possibile che tutto si sia inevitabilmente com- mio caso mi ha permesso di combinare scienza e plicato a causa della rete e della possibilità di fumetto, cosa che non avrei mai pensato possibile. viaggiare molto più facilmente? Mi ritengo molto fortunato. Spero solo che la mia In molti mi hanno detto che è un fumetto “spieta- esperienza non rimanga un’eccezione. Vorrei veto” ma in realtà la mia intenzione era soprattutto dere più collaborazioni tra scienza e arte in genequella di offrire spunti di riflessione, non condan- rale, due mondi che troppo a lungo abbiamo tenuto nare le relazioni a distanza. La mia chiaramente separati e secondo me hanno solo da guadagnare non è finita bene, quindi certamente c’è una certa uno dall’altro. Recentemente mi sto interessando dose di sano cinismo ed autoironia, ma nonostan- molto di educazione, innovazione e creatività e te tutto credo che siano una sfida interessante per sono convinto che ora più che mai ci sia bisogno la nostra generazione. Le nuove tecnologie ci per- di un nuovo rinascimento. mettono sempre più di formare relazioni con persone virtualmente in ogni parte del mondo. E’ una cosa bellissima, roba da fantascienza, ma inevitabilmente sta creando anche nuovi problemi. 6 Gradi di separazione è anche la storia di una solitudine e delle riflessioni che essa ti spinge a fare sulla tua vita. Come si può sconfiggere e come si sopravvive in un grande metropoli? Sì, nella mia esperienza il senso di alienazione nelle grandi metropoli è parte dello stesso problema:

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Alique dolupta poriatentest fugitatur? Uciurem tendipiet Pellore omnim ne voloribus del iumquunt eariat volore si consequis alitatias explam et dit auditatia ipis alic te etus. laboreprovid quiam si Em dolore nislab sunt. Me pro odis alias sapid magnisq uiatio ipicimaion rerum dolor is adit aaceaquodior sam ut landam dus maximag natur? Qui-

bus re doluptur? Quis aut quam, consequi omnia apiet arum hilles in conse debit qui into blataqui nus estibus nimus es autest et dunt am exceatiorro expliquunt litius exerore perumquunt volor aut volupist audia es quatiaectus esed maionsenist, untium fugitem etur se sollam, eost reculpa quatur, consequam quas exceaqui autatur mod quis eriti aciisquat volorep udissum autassi nverspelis porerrunt molupta tinvenimusam fugiatur, to int hitius aut estis debis dit earum duntumque officae vent que re omnis rehendi ossequo tet dolupta tempori sus que sit laborporite sunditiatem. Nam destium ilibus dolorpore provid quosto commolorest ex et alicien imincta testiatem que nit pro odipsum eni as ea eatisi qui aut occat lam doluptae es eserchi liciis est molupta tiiscipsa vel id quam eum derum volupit aerumquati atibusciis arum quis ratia diciunt. Omnisci enducimus, eat magnimo quossimus ex eium atis aliquis dolum hillici denias volorepta conse aut ex excepro et aut omnis quos ex endit illit, quat volupic ianderia culpa ditae velestibus sam, non ressita ssinvel iquunturit liatur, id quidenis audant. Aliquodit exerum quis et veleniae inctur, ommossimet etur am aut que nulparci totat ad quis dolorporum re, nimus, quia de cullupturi dolessi quaturis alit labo. Et ut excerit moluptatiis cus inullupiti blab id quia iuscipsundi adi con nusda nosserum sedi si ut vitium ut quam que volorep taquaecto blaboribus id quod quam ni nos est ut lacea a voluptatio. Ut etum voloremquiat in prerciis que eria eatus, sit unte esto cus, sum re sunt quodi nonsers pidundam eum qui od ut quo corenim fugiatibus aut reped ut pa dende remquam eatem ut ratectu rehent et quam sed ut et quisint harchil maio dolupta tempore hentiatus, ommo ellectio. Ut ea quam alicime quo tem in comnihi lignien digenim olorem harumquae nusam quosserum rerist que conest plaborr ovitem rerchilit que occust voloritatio. Cest, sam core dolorum aperument optiur, quo maio. Et ulla dolorrum fuga. Nem laudi cusdae vendipsam, temque ad quo in earibus nim fugit harciumqui te ipsa aut volupisquas pore cuptatium, eatetur asperfera solupis ea serfero vidipsam qui qui suntur, comnias persper umquisq uundus simus mincto eaque consequ ianist, ut fugia aut labor si asita doluptatior arum repudae ratur magnimil iliquod eum es dolo molupit is dolupitatia dicium fugiati andant. Ihit quam sim eiunt est essitat. Dam que necto opturit doloribus, exerisi ipsam esto te parciliquat de ant andia volluptamusa que pero et esciatectem ute illupit lam que as essi odic tempell itendae ctaerum sit ipit in repernatem ad et mo inctia solupta tquatatiunt, te ipsunt, sume pra dolorat emporio dicatisto volor sitis que core voloriberis id quiant ipiducias et quidundi offic totae. Oluptatem

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intervista

a tu per tu

La capacità generativa delle donne Intervista all’autrice: Eleonora Mazzoni e “Le difettose”

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a cura di Vittoria Coppola

o e Eleonora siamo sedute vicine, su una panchina che accoglierà molto più di una semplice chiacchierata. Il suo cognome è Mazzoni. La sua professione è la scrittura (tra l’altro). Il suo romanzo – Le difettose (Einaudi) - è scritto per me come per ognuna di voi. Ne sono sicura. Benvenuta Eleonora…

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intervista

a tu per tu

LA CAPACITÀ GENERATIVA DI UNA DONNA NON SI ESAURISCE CON IL “FARE FIGLI”. E’ UNA FORZA, UNA POTENZA, UNA CONSAPEVOLEZZA...

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quando emerge, si riesce con fatica a governare. Difficilmente ho riscontrato qualcosa di analogo nei maschi. Che in genere tendono a “rifiutare” l’ossessione, cioè quel momento tutto femminile in cui il desiderio di un bambino si trasforma in In un’intervista rilasciata alla rivista Panomara, un chiodo fisso che svuota il resto. E che a volte Lei ha dichiarato: la maternità è una categoria è capace di mettere in secondo piano persino il dello spirito. Cominciamo a parlare partendo legame amoroso. La scena in cui Carla tradisce il compagno con un ragazzo più giovane, so che esattamente da qui? La capacità generativa di una donna non si può infastidire gli uomini. Perché anche in quella situazione lei paradossalmente pensa agli esaurisce con il “fare figli”. spermatozoi freschi e performanti che E’ una categoria, appunto, potrebbero metterla incinta. Insomma gli più ampia. Più complessa. E’ uomini temono questo passare in secondo una forza, una potenza, una piano rispetto al figlio e di ridursi così consapevolezza che si esprime a una funzione puramente riproduttiva. in molteplici modi. Anna Maria Ma tutto l’argomento fecondazione, Ortese, che di bambini non ne soprattutto per chi non ne ha avuto aveva avuti, diceva ad esempio direttamente esperienza, è un po’ ostico. che “creare è una forma di Il maschio in fondo è estromesso dall’iter maternità, educa, rende felici e . Tecnicamente entra in scena solo per la adulti in senso buono”. Carla, la raccolta del seme. Nel romanzo ho solo protagonista del mio romanzo, lievissimamente sfiorato la questione scoprirà nel suo percorso ma in tanti paesi del mondo alle single è doloroso di persona infertile ormai data la possibilità di accedere alla che è in grado di diventare procreazione assistita con donazione di madre anche senza generare gameti maschili. Al giorno d’oggi una biologicamente. donna può fare un figlio da sola. Fino a poco tempo fa era impensabile. E ci sono Ho letto il Suo libro spinta da donne, una minoranza, certo, eppure una curiosità quasi febbrile. ci sono, che optano per un donatore Si rivolge solamente alle sconosciuto invece che per un compagno donne? Cosa può percepire magari sfuggente, infantile o in crisi. e/o “rifiutare” un uomo da Le difettose? Scrivendolo non ho pensato solo alle donne. Com’è possibile – secondo lei – che alcune Innanzitutto perché il rapporto che stabiliamo donne vedano nella maternità la realizzazione, con i nostri desideri (non solo quello di un figlio, mentre altre un ostacolo da evitare? quindi) e con la loro mancata realizzazione è C’è stato un preciso periodo storico in cui le donne un tema universale. E questo mi sembra il tema si sono cominciate a fare delle domande più aperte fondante del romanzo, oltre al suo argomento e dirette nei confronti della maternità. E’ naturale. esplicito. E poi perché la (non) maternità/paternità Per millenni quello era stato lo strumento per riguarda la coppia. Certo. Con le dovute differenze. tenerle a casa e sottometterle. In quel momento, Il figlio tocca l’identità profonda di una donna. quando cioè si sono sentite libere di poter decidere C’è un aspetto viscerale, quasi primitivo che, se e quando procreare (prima degli anni 60-70 era 14

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impensabile, una donna era generalmente destinata a sposarsi presto e fare figli), hanno capito di quanto la scelta “mamma-non mamma” fosse complicata. Siccome la realizzazione personale è la motivazione dominante del nostro tempo, si sono rese conto di trovarsi al centro di alcune contraddizioni. La prima è sociale. Il mondo del lavoro rimprovera chi vuole diventare madre. Se sei madre fai fatica a lavorare, diventi invisibile ma nello stesso tempo se non lavori vieni giudicato senza interessi e mediocre. La seconda è all’interno della coppia. Spesso i figli mettono a dura prova il rapporto. E infatti aumentano le separazioni entro i primi 3 anni di vita del bambino. Prima no. Un tempo il matrimonio era religioso e procreativo. E i figli cementavano quel legame. La passione era extraconiugale. Oggi che abbiamo cercato di unire 2 modelli contrastanti e vorremmo fare figli con l’uomo che amiamo è tutto più difficile. L’ultima contraddizione è personale. E’ la lotta tra l’amore per il figlio e i propri desideri personali. Mettendo sul piatto della bilancia tutte queste contraddizione, tutti i pro e tutti i contro che un’esperienza così enorme, complessa, ambivalente e irreversibile come è la maternità, alcune donne ritengono che comunque valga la pena farla, altre se ne vogliono liberare (sono appunto le “childfree”: libere dai figli). Cosa ci dice dell’adozione? Tutte le donne che hanno avuto un percors tortuoso

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prima di diventare madri, si sono sentite ripetere migliaia di volte “ma perché non adotti?” con un semplicismo che dà sui nervi. L’adozione è una strada ancora più impervia (e costosa!) della procreazione assistita. E anche in questo caso bisogna essere pronti in due. Molte volte bisogna arrivarci. Cioè. Occorre comunque elaborare il lutto della mancata generazione biologica. Sennò si rischia di diventare delle insoddisfatte, insofferenti e magari depresse madri adottive. E comunque le strade non sono contrastanti. Nel senso che ci sono tante coppie che adottano dopo aver fallito uno o più tentativi di Fivet. E tante ci arrivano bypassando addirittura la fecondazione. Ogni forum di coppie infertili (che ho spesso citato nel romanzo, visto che Carla ha l’abitudine di chattare) prevede la sezione Pma e quella Adozione. Sono insomma strade diverse ma “compagne” e degne di rispetto. Ed entrambe ci insegnano che madri si diventa. E’ frutto, cioè, di un impegno. Di una costruzione. 5. Come possono convivere la voglia ossessiva di diventare madre con la serenità di coppia? Nel mio romanzo Carla e Marco, grazie alle difficoltà nel diventare genitori, approfondiscono il loro rapporto. Lo migliorano, direi. Perché Carla riesce ad attraversare l’ossessione, a viverla ma anche superarla. A non sentirsi più difettosa. Occorre essere disposti a fare un salto. Sfidare l’ostacolo e intravvederci l’opportunità di un cambiamento positivo. Come si spiega ad un bambino la nascita in provetta? Che quella provetta è fatta di vetro e amore.

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poesia unico verso

Luci di Marzo Rocco Alessandro Mattei


Corrono voci Dal basso dei cortili Seguite da respiri brevi, Chiusi, Infranti sulle soglie Di una prigione d’ossa. Dell’aurora il profumo e le luci, Ma mancano le labbra, Schiuse tra le rose del giardino di fronte, Coperte dalla lieve rugiada color argento E protruse in un gesto di speranza Che ci culla In un limbo di piacere e violenza. Impossibile sperare Che ancora una volta La notte scendesse prima Celando il mio viso Rosso di quel bagliore senza fiamma Che smarrito assedia la mente. Così rimango qui, Seduto in quest’angolo Al crepuscolo delle ore mie più amare, Quando sola La mia anima Si incammina Verso un dove ai margini lievi Di una pioggia di Marzo, Coricata su un velo Di fiori e lanterne, Vagando alla ricerca Di un focolare di canti e sogni Che non abbia prezzo alcuno Se non quello del cuore.

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news il mondo del tè

IL CANONE DEL TÈ La perfezione va ricercata negli elementi essenziali-l’acqua, il fuoco, il legno, il metallo e la terra a cura di Nicoletta Tul

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u Yu è diventato il Dio del tè per tutti noi amanti, intenditori o curiosi di quella che è una delle bevande più antiche del Mondo. Mi ricordo che usai una vecchia edizione di questo libro, la prima traduzione di Marco Ceresa del Canone del tè del 1990, come fonte fondamentale per completare la mia tesi di laurea sul tè. Da allora sperai fortemente che qualche editore decidesse di ristampare questo capolavoro e renderlo così disponibile a tutti noi “teomani”, e così è stato, nell’autunno del 2013 finalmente la Quodlibet ha deciso di stampare il Chajing, il Canone

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news il mondo del tè

E’ IL TESTO PIÙ ANTICO IN ASSOLUTO DEDICATO ALLA PIANTA DEL TÈ E FU IL CAPOSTIPITE DI NUMEROSI CHA-SHU, OSSIA LIBRI SUL TÈ MA NESSUNO HA MAI EGUAGLIATO LU YU IN COMPLETEZZA, CHIAREZZA E SEMPLICITÀ ESPOSITIVA.

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del tè del grande Lu Yu. Siete curiosi? E’ il testo più antico in assoluto dedicato alla pianta del tè e fu il capostipite di numerosi cha-shu, ossia libri sul tè ma nessuno ha mai eguagliato Lu Yu in completezza, chiarezza e semplicità espositiva. Il Chajing è un trattato in tre capitoli e dieci sezioni sulle origini del tè, la coltivazione, la raccolta, la degustazione del tè, oltre ad aneddoti che riguardano saggi, poeti e regine. Ma la cosa davvero unica di questo testo è la sua incredibile attualità; il modo di preparre e bere il tè è drasticamente cambiato, non lo si beve come in epoca Tang questo è certo, però i consigli di Lu Yu sono ancora validi e la sua prosa pratica e chiara non manca di poesia e di profonda venerazione. Grazie a Lu Yu nasce la cultura del tè, che poi viaggerà in tutto il mondo creando rituali e cerimonie quasi religiose, chissà cosa direbbe se potesse osservarle oggi queste cerimonie.

“Non faceva cerimonie, Lu Yu. Si vestiva semplicemente, come un contadino. Abitava nei boschi ed era un tipo originale. Eppure è diventato un dio: il dio del tè. La sua ricerca della perfezione non è rivolta alla decorazione, al gesto, all’abito o all’ambiente: queste sono cose superficiali e facili da conseguire. La perfezione va ricercata negli elementi essenziali-l’acqua, il fuoco, il legno, il metallo e la terra (ovvero gli ingredienti e gli strumenti)- e nel loro equilibrio (i procedimenti). Solo così è possibile riprodurre nel piccolo universo di una tazza di tè l’ordine che governa il cosmo.”

Ma non voglio spiegarvi cosa racconta il testo, perché la sua lettura merita attenzione e tempo, è un testo da tenere sempre a portata di mano per brevi consultazioni, preferisco invece lasciarvi con queste parole di Marco Ceresa, che credo vi faranno capire la grandezza di questo saggio amante del tè.

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recensione news

NORAGAMI di Jessica Marchionne

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anime di Noragami è una delle novità della stagione invernale del 2014. L’ottimo design, gli accurati personaggi e il giusto dosaggio tra scene umoristiche e serie lo rendono uno dei nuovi anime di successo. L’anime è formato da 12 puntate ed è ancora in corso. Per tale motiva è prevista una seconda serie. Noragami è già conosciuto grazie al manga uscito nel 2010 e edito in Italia dalla GP. Adoro lo stile di disegno e l’ottima caratterizzazione dei personaggi, motivi che mi hanno fatta avvicinare a questa produzione. Di cosa parla Noragami? Innanzitutto è uno shonen di genere soprannaturale e azione. La storia è incentrata su Yato, un dio che a soli 5 yen è in grado di avverare qualsiasi desiderio. Il problema è che Yato sembra essere un dio poco conosciuto che non ha nemmeno un santuario a lui dedicato. Quindi fa di tutto per farsi pubblicità e riuscire finalmente a ricevere una chiamata da chi ha bisogno del suo aiuto. Ogni dio ha con sé un Tesoro Sacro, ovvero una persona che all’occorrenza è in grado di trasformarsi nell’arma che il dio userà nel caso fosse costretto

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a combattere o a sconfiggere gli Ayakashi, creature pericolose che si aggirano nel mondo e invisibili agli occhi degli esseri umani. Yato, insieme al suo Tesoro Sacro Yukine, cambierà nel corso degli episodi. Se inizialmente sembrava un anime decisamente umoristico si verrà poi a scoprire anche un lato drammatico legato al passato di Yato. Così come sarà toccante la trasformazione di Yukine che, grazie al supporto degli amici, riesce a superare un momento di abbattimento che lo aveva portato al limite dell’esasperazione. Le loro storie si intrecceranno a quella di una comune ragazza, Hyorin, che incontra il dio Yato casualmente e a cui chiederà aiuto dato. Consiglio quindi a tutti gli amanti del genere shonen di dare un’occhiata a Noragami. Trovo che sia uno degli anime migliori di questa stagione. Quindi, non perdetelo!

Se vi dicessimo che esiste un servizio che, con soli cinque yen, vi mette a disposizione un dio guerriero, pronto a combattere per voi i mostruosi Ayakashi, abitanti della fenditura che divide il mondo dei vivi da quello dei morti e causa dei mali che imperversano sulla Terra, voi ci credereste? No? Male, perché Yato è davvero un ‘god on delivery’, ed è pronto a tutto per accontentare le richieste dei suoi nuovi fedeli!

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sommario

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SOLO L’AMORE PIÙ DELLA GU a cura di Diego Rosato


dossier

speciale guerra

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UERRA

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altro giorno stavo rimettendo in ordine i miei libri nuovi, la pila di libri che ho comprato e ancora non ho avuto tempo di leggere. Volevo dividerli per tipologia o per argomento e ho notato che tra i romanzi l’argomento principale (tolto l’amore, perché quello salta sempre fuori in letteratura) è la guerra. Si combatte nei romanzi storici, perché, ahimè, si combatte nella storia, ma anche, a esempio, nella fantascienza e non sto parlando solo di libri, ma anche di televisione e cinema, giornalismo e fotografia. Spiegare il perché dell’interesse di scrittori e lettori a qualcosa di così terribile come le guerre non spetta a me, stabilire perché il lato oscuro occupi così tanto spazio nella finzione letteraria e cinematografica meriterebbe un saggio. Per alcuni è bisogno di adrenalina, suppongo, ma a me piace pensare che almeno in parte sia bisogno di sapere, di capire: vero è che spesso ad iniziare le guerre non sono quelli che poi le devono combattere, ma quale cavolo di motivo può spingere delle persone a cercare di annientarne altre? Cosa ha scatenato eventi simili? E soprattutto, come evitare che riaccada? Forse è inutile, forse io non potrei mai evitare una guerra sapendo tutto questo, ma se più persone spendessero qualche ora del loro tempo libero a documentarsi, se tutti fossimo più

consapevoli di ciò che vuol dire davvero trovarsi in una guerra, forse non mi capiterebbe più di sentire sull’autobus frasi come “ti ci vorrebbe una bella guerra, per imparare davvero a essere uomo” (mi è successo davvero!). D’altro canto mi rendo conto che dopo una giornata di lavoro, qualche grattacapo familiare e i conti da pagare, forse leggere di guerre e altre catastrofi non è il massimo (e non provate a spacciarmi roba come il film “I mercenari” con Stallone fiction di guerra). Tuttavia, esistono dei compromessi: ci sono degli autori capaci di raccontare la storia e di conseguenza la guerra in modo egregio. Per questo speciale ho scelto quattro romanzi, quattro pezzi di storia che narrano altrettante guerre strettamente connesse alle tecniche di narrazione e, per la precisione: • “In guerra per un paese straniero”, guerra del Vietnam, la prima guerra televisiva • “L’odore della guerra”, guerra civili libica, raccontata da due fotoreporter • “Centomila gavette di ghiaccio”, seconda guerra mondiale, la prima guerra “cinematografica” • “Come fossi solo”, guerra civile in ex-Jugoslavia Tutte queste guerre in qualche modo ci riguardano da vicino, ma probabilmente sarebbe più corretto dire che tutte le guerre ci riguardano da vicino. A patto di non decidere di dimenticarle.

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ITALIANI IN VIETNAM Wu Ming ha raccontato la straordinaria storia di un volontario italiano che ha combattuto con i Viet-cong, ma questa è solo una delle storie raccontate in questo speciale dedicato alla guerra. a cura di Diego Rosato

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a Guerra nel Vietnam è molto presente nel nostro immaginario, un po’ perché è stata la prima guerra “televisiva”, un po’ perché è stato uno scontro molto poco freddo in ambito della Guerra Fredda, un po’ perché il cinema ne ha dette di tutti i colori su quel conflitto. Eppure è stata una guerra che non ci ha interessato direttamente... forse. In realtà a suo tempo il collettivo Wu Ming ha scritto un meraviglioso libro che racconta la storia di un volontario italiano che ha combattutto con i Viet-cong. E ce ne sono stati parecchi che hanno combattuto dall’altra parte

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dello schieramento (in fondo facevamo parte del blocco occidentale). Uno di questi usava il nome di battaglia di Giò Tanner e ha raccontato la sua storia in un’autobiografia (che in alcuni passi sembra un po’ romanzata) pubblicata dalla Historica Edizioni. Un uomo giunto ormai alla pensione scopre che un suo vecchio amico è morto e coglie l’occasione per scrivere quel libro che avrebbero sempre voluto realizzare, un libro sulla loro storia, fatta di una gioventù priva di soddisfazioni, una fuga nella legione straniera e poi un arruolamento come mercenario nella guerra del Vietnam. Una storia così fuori dal comune potrebbe certo dar vita a un buon libro e quella di Giò Tanner non tradisce le aspettative. A parte alcuni cliché (l’infanzia difficile, la perdita del grande amore, il pessimo rapporto col padre, ecc.), non sono molti gli italiani che possono dire di essere sopravvissuti a cinque anni nei paracadutisti della Legione Straniera Francese e alla guerra del Vietnam. Quello che mi lascia un po’ perplesso è che alcune vicende narrate sembrano un po’ romanzate (è davvero difficile capire come il protagonista possa averne passate tante insieme al suo amico prima dell’arruolamento, se non faceva altro che cambiare città), 26

ma Pirandello diceva che la vita è piena di episodi inverosimili, che non hanno bisogno di essere verosimili, perché sono veri e io per questa volta me lo faccio bastare. Quello che non mi è andato proprio giù riguarda la scrittura, in alcuni punti sciatta e sgrammaticata. Ci sono diversi episodi raccontati due volte e spesso mi sono chiesto se stessi leggendo un libro pubblicato o una bozza da revisionare: insomma, vorrei sapere che fine ha fatto l’editor che aveva in cura questo libro, ammesso che ce ne sia stato uno. Se fosse stato scritto a quattro mani, con l’aiuto di un esperto di biografie o comunque uno scrittore professionista, sarebbe potuto essere un gran bel libro. Quello che ne è uscito fuori, invece, è una buona prima stesura.

Data 1960 – 30 aprile 1975 Luogo Indocina Esito Vittoria nordvietnamita e della coalizione comunista Perdite Vietnam del Sud 266.000 morti, 1.170.000 feriti Corea del Sud 5.099 morti, 11.232 feriti Australia 520 morti, 2.949 feriti Nuova Zelanda 55 morti, 212 feriti Thailandia 351 morti e 1.358 feriti Stati Uniti 58.272 morti, 303.644 feriti, 1.719 dispersi Vietnam del Nord e Viet Cong 1.100.000 morti

“In guerra per un paese straniero” di Giò Tanner, Historica Edizioni, 375 pagg, 18,00 euro

VOTO

6.5 / 10 MARZO 2014


L

a prima fotografia di guerra risale al conflitto tra Stati Uniti e Messico negli anni Quaranta del 1800, sebbene sia la guerra di Crimea la prima guerra considerata “fotografica”, in quanto vi presero parte reporter ufficialmente arruolati nelle fila dei soldati. Da allora siamo talmente usi alla fotografia di guerra da non farci neanche più molto caso, eppure ancora oggi c’è chi rischia la vita per documentare guerre, calamità naturali e altri disastri. Dopo una prefazione di Mimmo Candito, gli autori ci descrivono la recente guerra civile libica, attraverso una suddivisione in fasi logiche, scandite dai titoli dei capitoli “Battaglia”, “Vittorie: da Bengasi a Tripoli”, “Cadaveri e sopravvissuti”, “Morti, prigionieri veri e faide”, “L’Inferno di Sirte” e “La Fine del Regime”, che in realtà seguono la sequenza temporale degli eventi. La cronaca degli eventi, certo. Del resto il volume è scritto da reporter, ma, proprio per questo, gli autori hanno raccontato in prima persona la loro esperienza, le loro sensazioni, le loro azioni: ad esempio la decisione di tornare dopo l’incarico ufficiale per seguire gli eventi come free-lance o la possibilità di fotografare il cadavere del Rais. Lo stile è più introspettivo e articolato di quello che ci si aspetterebbe da una cronaca di guerra, ma questa non è una cronaca di guerra, quanto piuttosto un diario di un reporter in zona bellica: qui non sono gli eventi a essere protagonisti, ma la vita del fotoreporter. Una pubblicazione interessante per appassionati di fotogiornalismo e per chi vuole qualche informazione in più sul recente conflitto libico.

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INVIATI AL FRONTE a cura di Diego Rosato “L’odore della guerra – Inviati al fronte” di Fabio Bucciarelli e Stefano Citati, Aliberti editore, 167 pagg, 17,00 euro

VOTO

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sommario

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O

rmai settanta anni fa è finita quella che ancora oggi in Italia è la guerra per antonomasia, quella che per tutti, qui da noi, non ha bisogno di essere chiamata Seconda Guerra Mondiale: basta dire “la guerra” e subito si capisce di quale si sta parlando. Una guerra terribile, con milioni di morti e diversi nuovi metodi di distruzione (bombe nucleari, tempeste di fuoco, ecc) e anche la prima guerra cinematografica, quella su cui sono stati girati e ancora si girano numerosi film, non di rado tratto da libri, come quelli di Cornelius Ryan. Quello che manca all’appello, forse perché è un testo di respiro un po’ meno internazionale, un film tratto da “Centomila gavette di ghiaccio” di Giulio Badeschi. Un giovane ufficiale medico, fresco di accademia, è inviato sul fronte italiano nei Balcani e in seguito aggregato al contingente per la campagna di Russia, oltre alle atrocità della guerra, dovrà lottare contro il freddo e gli stenti, per tornare a casa sano e salvo. In questo romanzo, un classico della letteratura di guerra italiana, l’autore, sotto lo pseudonimo di Italo Serri, racconta le sue vicende personali come ufficiale medico italiano, descrivendo le sue ansie, le sue paure e le sue difficoltà di soldato, di uomo e di medico: le pallottole, le granate, il freddo e la fame sono solo alcuni dei rischi di chi ha il compito di curare i commilitoni feriti, spesso senza mezzi adeguati. L’autore realizzò questo manoscritto appena tornato dal fronte, ma negli anni Quaranta, quando tutto ciò che le persone volevano era dimenticarne gli orrori. Il risultato fu che nessun editore volle pubblicare il manoscritto fino al 1963, quando fu un successo tale da meritare l’anno successivo il premio Bancarella. In effetti questo romanzo ricorda molto il rapporto di un ufficiale medico, più che un romanzo: de-

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PIÙ CHE IL NEMICO,

POTÉ IL FREDDO a cura di Diego Rosato

scrizioni secche e dirette, racconti al presente e in prima persona, resoconti dettagliati delle cure prestate. Il linguaggio talvolta altisonante tende a rallentare la lettura, ma ciò che conta di questo libro è la straordinaria testimonianza di chi è tornato da una missione suicida, talmente segnato dal freddo da specializzarsi in reumatologia: se non fosse drammatico, sarebbe quasi da ridere. Non certo una lettura divertente: quello che ci vuole per raccontare una guerra.

“Centomila Gavette di ghiaccio” di Giulio Bdeschi, Mursia, 436 pagg, 20.00 euro

VOTO

8 / 10 MARZO 2014


recensione news

C

apita che ogni tanto un editore ci invii un libro, chiedendoci una recensione. Il più delle volte sono giovani autori, al loro primo libro. Non di rado il libro è un’opera prima che necessità di un pizzico di maturità che non c’è, ma si intravede. Oppure c’è già, come nel caso di “Come fossi solo” di Marco Magini. Nel 1995 nella cittadina di Srebrenica al culmine del conflitto nella ex-Jugoslavia, un numero che va da ottomila a diecimila bosniaci è stato passato per le armi e sepolto nelle fosse comuni. Ad oggi lunico processato e condannato per quella strage è un soldato semplice serbo reo confesso. Il romanzo di Magini descrive gli eventi che hanno portato a quel verdetto, eventi visti attraverso gli occhi dello stesso soldato, di un casco blu dell’ONU e di un giudice della corte internazionale. Inizialmente ho scelto di occuparmi personalmente di questo volume perché da un po’ avevo in mente uno speciale sulla letteratura di guerra e il romanzo di Magini capitava a proposito. Poi, dopo poche pagine, ho capito che probabilmente ne sarebbe stato il pezzo forte. Il romanzo di Magini, finalista al premio Calvino, con menzione speciale della giuria, è un piccolo capolavoro del suo genere. La scrittura lineare, diretta, curata e la narrazione su tre livelli ben intrecciati tra di loro, rendono il lettura scorrevole e incalzante, ma non frenetica. Gli eventi narrati sono tristemente, anche se non diffusamente noti e ciò che più conta per l’autore sembra essere come si sia giunti al loro verificarsi e allo stato d’animo che ha portava nei protagonisti della vicenda. Raramente mi è capitato di assegnare una dieci a un esordiente: sono ben felice di annunciare che questa volta non ho esitato un istante.

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SE UN SOLO

UOMO COMPIE

UNA STRAGE

a cura di Diego Rosato

“Come fossi solo” di Marco Magini, Giunti, 224 pagg, 14,00 euro (8,99 euro in eBook)

VOTO

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intervista

a tu per tu

INTERVISTA A

MARCO MAGINI a cura di Diego Rosato


O

ggi sulla nostra panchina si è accomodato Marco Magini, giovane autore di “Come fossi solo”, di cui potete leggere la recensione in queste pagine. Buongiorno, Marco, e benvenuto sulla nostra panchina. Potresti parlarci un po’ di te? Ho 29 anni e da sei anni vivo all’estero: Canada, Stati Uniti, India, Inghilterra, Belgio, Turchia e adesso Svizzera, inizialmente studiando e adesso lavorando nel settore delle energie rinnovabili e del cambiamento climatico. Passiamo al motivo di questa intervista, il tuo libro. Hai scelto un argomento molto controverso e poco affrontato, soprattutto dopo che si sono spenti i riflettori dei media sulla vicenda. Come nasce il tuo interesse per questa vicenda? L’interesse è nato nei confronti della storia di Drazen Erdemovic: mi ha colpito il suo essere uomo, il suo riuscire a mantenere intatte le capacità di giudizio in un momento in cui la scala di valori del mondo intorno a lui era capovolta. Un eroe tragico, una sorta di Medea moderna, che esce sconfitto dal suo scontro con la legge e lo spirito del tempo. Possiamo dire che le vicende di cui parli sembrano infine un vero black-out della comunità internazionale: insomma, è andato tutto storto. L’eccezionalità del genocidio di Srebrenica sta nella presenza fisica della comunità internazionale nell’enclave nei giorni del massacro. I caschi blu olandesi, che erano stati mandati per proteggere i civili, hanno preferito chiudere gli occhi fingendo di non capire quello che stava succedendo intorno

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a loro. “Mai più” era stato affermato dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale e invece un altro genocidio è avvenuto in Europa vent’anni fa, a poche centinaia di chilometri dalle nostre case e per di più davanti ai nostri occhi. Il tuo libro racconta la vicenda da tre diversi punti di vista e vorrei chiederti alcune cose sulla scelta dei personaggi. Cominciamo da Dražen Erdemovic: come ti sei imbattuto nella sua storia, ormai risalente a venti anni fa? È una storia che mi è stata raccontata da un’amica nel periodo nel quale stavo terminando la tesi di laurea, e mi è sembrato importante raccontarla. Quella storia mi ha colpito al punto da dedicarle quasi quattro anni della mia vita, tra ricerche e stesura del testo. Poi c’è Dirk, il casco blu dell’ONU. La presenza del suo contingente non ha aiutato molto la popolazione bosniaca. Ritieni che questo genere di operazioni siano inefficaci o che il caso della ex-Jugoslavia sia fuori dal comune? Ha senso mandare degli uomini in zone di guerra senza che possano fare alcunché? Credo sia importante che la comunità internazionale agisca per prevenire fatti come quello di Srebrenica. Dico di più, ritengo che sia indecente chiudere gli occhi davanti a quello che sta succedendo in Siria. Quello che è successo in Bosnia è senza dubbio un fallimento del contingente ONU presente in quei giorni, ma è soprattutto un fallimento a livello politico dato che si è preferito non scegliere a mandare così migliaia di civili al massacro. Infine il giudice Gonzalez, quello che mi ha più colpito. Mi sembra che tu abbia voluto dare molta importanza al verdetto e alle motivazioni da cui è scaturito.

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intervista

a tu per tu

Il processo mi ha colpito su due piani differenti: da un lato il giudizio su un uomo costretto a scegliere tra uccidere e morire; dall’altro la storia di un processo importante tanto per i giudizi sul passato quanto per quello che può dire sul futuro della Bosnia. Cambiando argomento, parliamo di editoria. Cosa pensi del fatto che in Italia, in base alle statistiche, si legga poco? Cosa pensi si possa fare per riportare i lettori in libreria? Pubblicando per una casa editrice come la Giunti, rimango ogni settimana impressionato dal constatare le cifre delle vendite di libri per bambini e per ragazzi. Questi numeri dimostrano un potenziale importante che viene disperso negli anni. Mi pare quindi manchi la volontà a livello istituzionale nel supportare la lettura, passione troppo spesso tramandata solo in ambito familiare. Le scuole dovrebbero essere una palestra da questo punto di vista per allenare la lettura appunto come “passione”, magari aggiungendo ai programmi libri che riescano a parlare ai lettori sedicenni più di quanto lo facciano i Promessi Sposi. Nelle tue esperienze in giro per il mondo, hai avuto modo di verificare com’è la situazione in merito negli altri paesi? Ho vissuto in paesi molto diversi: da questo punto di vista mi colpisce sempre la Francia, dove lo stato pone la cultura al centro della propria identità nazionale, supportandola in molti punti di vista. L’identità è così forte che nessuno

mostrato a pochissimi. Invece è arrivata la finale e la menzione d’onore e il successivo contratto con la Giunti. Diciamo che mi sto ancora riprendendo dall’ultimo anno, poi mi metterò con calma a pensare a un eventuale prossimo romanzo. Ci consiglieresti qualche buona lettura? Operazione Massacro di Rodolfo Walsh dove il giornalismo incontra la letteratura e l’impegno civile in maniera magistrale. Grazie e buona giornata.

L’autore Nome Marco Magini Nato il 1985 Nato a Arezzo Vive a Zurigo Studi Laureato in Politica Economica Internazionale alla London School of Economics Lavoro Si occupa di cambiamento climatico ed economia sostenibile Opere Come fossi solo, edizione Giunti, 2014

Puoi dirci qualcosa sui tuoi prossimi progetti letterari? È successo tutto in fretta: ho mandato il manoscritto al premio Calvino all’ultimo momento in modo da avere un giudizio su quelle pagine che allora avevo 32

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VERGOGNA di Chiara Silvia

È

ormai in libreria la corrispondenza tra i due scrittori Paul Auster e John Maxwell Coetzee Qui e ora. Lettere 2008-2011, per questo motivo vorrei presentare uno dei due autori attraverso uno dei suoi libri più importanti. Mi sto riferendo a Vergogna (titolo originale Disgrace) con cui J. M. Coetzee vinse per la seconda volta il Booker Prize nel 1999. J. M. Coetzee è uno scrittore sudafricano naturalizzato australiano nato nel 1940 a Città del Capo. Sebbene la sua famiglia non fosse di discendenza britannica, la lingua parlata in casa era l’inglese. Pur non appartenendo alla comunità nera, Coetzee conosce fin dall’infanzia le ingiustizie e le iniquità dell’apartheid, in quanto la sua famiglia non condivide le leggi sulla segregazione razziale. Questa tematica è così importante per Coetzee da diventare uno dei temi centrali della sua futura produzione letteraria. Dal 1957 al 1961, Coetzee frequenta l’Università di Città del Capo, laureandosi in Anglistica e Matematica. Nel 1965 si iscrive alla scuola di dottorato dell’Università di Austin in Texas e nel 1968 consegue il dottorato in Anglistica, Linguistica e Germanistica con una tesi sulla prima produzione letteraria di Samuel Beckett. Dal 1968 al

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2003 Coetzee ha insegnato in diverse Università degli Stati Uniti e nell’Università di Città del Capo, dove ha ricoperto diversi incarichi fino al pensionamento. Coetzee scrive romanzi dal 1969. Il suo debutto letterario è stato nel 1974 con Terre al crepuscolo (titolo originale Dusklands); un libro diviso in due racconti autonomi che toccano i temi della colonizzazione, della pazzia e della violenza. Nel 1980, con il suo terzo romanzo, Aspettando i barbari (titolo originale Waiting for the Barbarians), Coetzee raggiunge fama internazionale. Il suo successo è stato confermato tre anni dopo con il romanzo La vita e il tempo di Michael K (titolo originale Life & Times of Michael K) con cui vince per la J. M. Coetzee prima volta il Booker Prize. Seè uno scrittore estremamente guono poi altri romanzi e il seeterogeneo, condo Booker Prize vinto grazie celebre per le sue a Vergogna nel 1999. L’Accaopere di narrativa, demia Svedese conferisce a Cocritica e per le numerose attività etzee nel 2003 il Premio Nobel accademiche per la Letteratura per premiare la che lo hanno sua poetica “che in innumerevoli visto impegnato maschere ritrae il sorprendente come professore, coinvolgimento dello straniero”. linguista e L’ultimo romanzo in ordine di traduttore. È uno dei maggiori tempo è L’infanzia di Gesù del esponenti del 2013. Accanto alla notevole propostmodernismo e duzione narrativa, Coetzee vanta postcolonialismo numerosi articoli e saggi legati a del XX secolo. tematiche letterarie e traduzioni dal nederlandese e dall’afrika-

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sommario

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ans. È uno scrittore molto schivo e riservato che non ama apparire in pubblico e parlare della propria vita privata Oltre alle tematiche legate all’apartheid, alla colonizzazione e alla violenza, l’etica animalista gioca un ruolo rilevante nella scrittura di Coetzee. In Vergogna sono riuniti tutti questi elementi. Il romanzo si apre presentando la figura del protagonista, David Lurie: 52 anni, divorziato due volte, una figlia con cui non ha legami, professore demotivato e disincantato di Scienze della Comunicazione (obbligato ad abbandonare l’insegnamento di Lingue Moderne) con il solo interesse di soddisfare il suo eros. La vita di David, in cui dominano superficialità, vanità e frivolezza è sconvolta e subisce un radicale cambiamento quando un tribunale di professori suoi colleghi dell’Università di Città del Capo lo costringe a dimettersi perché rifiuta di scusarsi di aver avuto rapporti con una studentessa di colore del suo corso. Davide decide così di raggiungere Lucy, la figlia, che dirige una fattoria nell’inospitale campagna dell’Eastern Cape. Lucy è una persona totalmente diversa dal padre e conduce una vita più essenziale legata ai lenti ritmi della natura e al suo amore per i cani. Fin da subito la vita 34

rurale giova molto a David che inizia a prendere consapevolezza del suo passato e a considerare i suoi comportamenti sotto un’ottica diversa. Questo idillio si rivela ben presto instabile e pregno di violenza. Lucy, David e i cani sono infatti vittime di una feroce aggressione da parte di uomini di colore, in cui emergono in tutta la loro brutalità le problematiche, le asprezze e i contrasti del Sud Africa post-apartheid. Padre e figlia si ritrovano quindi non solo a convivere ma ad accettare la legge del più forte senza la consolazione della giustizia ma con la sola certezza che unicamente la propria forza interiore e la volontà di resistere sia il solo modo per sopravvivere in Sud Africa.

“Vergogna” COETZEE, J. M.: Einaudi, 2012, 278 pagine, 15€.

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Traduzione di Rocco Alessandro Mattei

“Zombie” è un racconto breve inedito dell’autore di Portland pubblicato sul Playboy di novembre. In Italia è prevista per la seconda metà dell’anno l’uscita di ‘Doomed’, secondo romanzo della trilogia dantesca inaugurata da ‘Dannazione’.


racconto

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È

stato Griffin Wilson a proporre la teoria della ‘de-evoluzione’. Sedeva due banchi dietro me a Chimica Organica, l’esatta definizione di un genio del male. E’ stato il primo a fare il ‘grande salto all’indietro’. Tutti lo sanno perché Tricia Gedding si trovava con lui in infermeria. Lei era sull’altro lettino, dietro il separè di carta, fingendo di avere le mestruazioni per scampare ad un quiz sulle civiltà orientali. Disse di aver sentito un sonoro ‘beep!’ ma senza prestarci troppa attenzione. Quando Tricia Gedding e l’infermiera della scuola lo trovarono sul suo lettino, pensarono che Griffin Wilson fosse la bambola che tutti usavano per praticare il CPR. Respirava pesantemente, muovendosi appena. Pensavano fosse uno scherzo perché stringeva ancora tra i denti il suo portafogli ed aveva gli elettrodi incollati sulle tempie. Le sue mani stringevano ancora una oggetto delle dimensioni di un dizionario, ancora paralizzate, premendo una grande bottone rosso. Tutti avevano visto questa scatola con una frequenza tale da ricordarla a malapena, ma stava appesa sul muro dell’ufficio: era il defibrillatore. Quello d’emergenza per gli attacchi cardiaci. Deve averlo tirato giù e letto le istruzioni. Ha semplicemente tolto via la carta cerata dalla parte appiccicosa ed ha attaccato gli elettrodi sui suoi lobi temporali. E’ una semplice lobotomia ‘peel-and-stick’. E’ così semplice che un ragazzo di 16 anni può farlo. Nella classe d’inglese di Miss Chen, avevamo imparato “Essere o non essere”, ma c’è una grande zona grigia nel mezzo. Forse ai tempi di Shakespeare le persone avevano solo due possibilità. Griffin Wilson, lui sapeva che il SAT era solo il punto di partenza per una vita piena di stronzate. Sposarsi e andare al college. Pagare le tasse e provare a tirare su un figlio che non diventi uno di quelli che un bel giorno decide di entrare a scuola con una pistola 36

per far fuori tutti. E Griffin Wilson sapeva che le droghe sono solo una toppa. Dopo le droghe, ne hai bisogno sempre di più. Il problema con il diventare talentuosi e dotati è che qualche volta diventi troppo intelligente. Mio zio Henry diceva che è importante fare una buona colazione perché il tuo cervello sta ancora crescendo. Ma nessuno parla di come, qualche volta, il tuo cervello possa diventare troppo grande. Fondamentalmente siamo dei grandi animali, evoluti per rompere gusci aperti e divorare ostriche crude, ma adesso siamo impegnati a memorizzare tutte le 300 sorelle Kardashian e gli 800 fratelli Baldwin. Seriamente, alla velocità con cui si riproducono, le Kardashian e i Baldwin stanno cancellando tutte le altre specie umane. Il resto di noi, tu ed io, è solo una serie di vicoli ciechi che aspettano di poter buttare un occhi fuori. Potresti chiedere a Griffin Wilson qualsiasi cosa. Chiedigli chi ha firmato il trattato di Ghent. Sarebbe stato come quel mago dei cartoni in tv che dice, “guarda come tiro fuori un coniglio dal mio cappello”. Abracadabra, e lui avrebbe saputo la risposta. A chimica organica, avrebbe potuto parlare della teoria delle stringhe fino a rimanere senza ossigeno, ma quello che davvero voleva era essere felice. Non semplicemente non triste, voleva essere felice così come è felice un cane. Non costantemente strattonato da questa e quella parte da fiammeggianti messaggi istantanei e cambiamenti nel codice fiscale federale. Non voleva morire in nessuno dei due modi. Lui voleva essere – e non essere- ma allo stesso tempo. Ecco il genio pioneristico che era. Il preside fece giurare a Tricia Gedding di non raccontare ad anima viva nulla, ma si sa come vanno queste cose. Il distretto scolastico temeva emulazioni. Oggi giorno quei defibrillatori sono ovunque. Fino a quel giorno in infermeria, Griffin Wilson

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non era mai apparso così felice. Ridacchia sempre fragorosamente e si asciuga la bava che gli scende sul mento con la manica. Gli insegnanti di sostegno gli battono le mani e lo lodano per il semplice fatto di saper usare il bagno. Si parla di un doppio standard. Il resto di noi sta combattendo con i denti e con le unghie per una carriera di merda qualunque che possiamo ottenere, mentre Griffin Wilson si ecciterà per caramelle da pochi penny e repliche di ‘Fraggle Rock’ per il resto della sua vita. Prima era un miserabile, salvo aver vinto ogni torneo di scacchi. Per com’è ora, solo ieri ha tirato fuori il suo pene e si è sparato una sega sul bus della scuola. E quando la signora Ramirez si alzò di scatto, lasciò il posto del guidatore per inseguirlo lungo il corridoio, lui gridò, “guarda come tiro fuori un coniglio dai miei pantaloni”, e venne sulla uniforma della signora. Rise per tutto il tempo. Lobotomizzato o meno, ancora comprende il valore di uno slogan. Invece di essere solo un altro secchione, ora è l’anima della festa. La scarica gli aveva anche fatto passare l’acne. E’ difficile discutere con risultati del genere. Non era passata nemmeno una settimana dalla sua trasformazione in uno zombie che Tricia Gedding andò nella palestra dove praticava Zumba e tirò giù dal muro dello spogliatoio delle donne il defibrillatore. Dopo la lobotomia ‘peel-and-steek’, non le importava più dove e quando potesse venirle il ciclo. La sua migliore amica, Brie Phillips, prese il defibrillatore che tengono nei bagni vicino ‘Home Depot’, ed ora cammina per la strada, con la pioggia o con il sole, senza pantaloni. Non stiamo parlando della feccia della scuola. Stiamo parlando di rappresentanti di classe e capi cheerleader. Il meglio del meglio. Tutte le prime linee delle squadre sportive. Ci sono voluti tutti i defibrillatori da qui al Canada, ma da allora, quando giocano a football nessuno segue le regole. Ed anche quando

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vengono squalificati, continuano a sorridere e a darsi il cinque. Continuano ad essere giovani e belli, ma non si preoccupano del giorno in cui non lo saranno più. È un suicidio, ma non lo è. Il giornale non riporterà i numeri reali. I giornali adulano sé stessi. In ogni caso, il profilo Facebook di Tricia Gedding ha un pubblico più vasto del nostro quotidiano locale. Mass media dei miei stivali (mass media un cazzo). Riempiono la prima pagina con disoccupazione e guerra, e non pensano che abbia un effetto negativo? Mio zio Henry mi ha letto un articolo su una proposta di modifica di legge dello Stato. I funzionari vogliono un periodo di attesa di dieci giorni per la vendita di defibrillatori. Parlano di controlli obbligatori per i richiedenti e accertamenti sulla salute mentale. Ma non è la legge, non ancora. Mio zio Henry alza gli occhi dall’articolo di giornale e mi squadra per bene. Mi scruta con attenzione e mi chiede, “Se tutti i tuoi amici si gettassero da una scogliera, tu li seguiresti?”. Mio zio è ciò che ho al posto di una madre ed un padre. Non voleva riconoscerlo, ma c’è una buona vita oltre il bordo della scogliera. Un vita piena di permessi di parcheggio per disabili. Zio Henry non capiva che tutti i miei amici avevano già saltato. Potranno anche essere ‘diversamente abili’, ma i miei amici ci sono ancora. Più che mai, in questi giorni. Hanno corpi sexy e cervelli da neonati. Hanno il meglio di entrambi i mondi. LeQuisha Jefferson infilò la sua lingua dentro Hannah Finermann durante l’ora di fai da te, facendola urlare di piacere e contorcere proprio lì, contro il piano su cui si trovava il trapano. E Laura Lynn Marshall? Spompinò Frank Randall nell’aula di cucina internazionale mentre tutti guardavano. I loro falafels si bruciarono, e nessuno ne fece un caso federale. Dopo aver premuto il pulsante rosso del defibrillatore, ci sono delle conseguenze, ma la persona non

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racconto

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se ne accorge. Una volta subita la lobotomia un bambino può farla franca anche dopo un omicidio. Durante le ore di studio, chiesi a Boris Declan se facesse male. Stava seduto lì in sala mensa con i segni ancora freschi delle bruciatore sulle tempie. Aveva i pantaloni calati fino alle ginocchia. Gli chiesi se la scossa fosse stata dolorosa, e non rispose, non immediatamente. Si limitò a tirarsi le dita fuori dal culo e annusarle, pensieroso. Era stato il giovane re del ballo dello scorso anno. In molti modi è più freddo ora di quanto lo fosse stato in passato. Col suo culo di fuori nel bel mezzo della sala mensa, mi offre un annusata e gli rispondo, “No, grazie”. Dice di non ricordare nulla. Boris Declan sorride come un ebete. Picchietta il suo sudicio dito sulla tempia ancora arrossata. Con lo stesso dito indica dall’altra parte della sala. Sul muro che sta puntando c’è questo poster che mostra degli uccelli bianchi che battono le loro ali contro il cielo blu. Subito sotto, scritte in carattere sognante, le parole ‘la vera felicità arriva solo per caso’. La scuola appese quel poster per nascondere l’ombra di uno di quei defibrillatori. È chiaro che ovunque Boris Declan fosse andato a finire, sarebbe stato il posto giusto. Sta già vivendo in un nirvana trauma cerebrale. Il distretto scolastico aveva ragione riguardo alle emulazioni. Non per offendere Gesù, ma i miti non erediteranno la terra. A giudicare dai reality in tv gli spacconi metteranno le loro mani su tutto. Ed io dico, lasciateli fare. Le Kardashians ed i Baldwins sono razze di invasori. Come kudzu e cozze zebra. Che si scannino pure per questo mondo di merda. Per molto tempo ho dato ascolto a mio zio. Però, non so. Il giornale ci avverte di attacchi terroristici con bombe all’antrace e nuovi ceppi di meningite virulenta, e l’unica gioia che i giornali erano capaci di dare era un buono sconto di 20 centesimi per un deodorante ascellare. 38

Per non avere preoccupazioni, per non avere rimpianti-è accattivante. Tanti tra i ragazzi più popolari della scuola hanno optato per l’auto-frittura, restano solo gli sfigati. Gli sfigati ed ovviamente le teste di spillo. La situazione è così disastrosa che sarò di certo io a dover pronunciare il discorso di commiato per la cerimonia dei diplomi. Ecco perché mio zio Henry mi sta spedendo fuori. Pensa di ritardare l’inevitabile spedendomi a Twin Falls. Siamo seduti in aeroporto, in attesa al cancello d’imbarco, e chiedo di andare in bagno. Nel bagno degli uomini fingo di lavarmi le mani per guardarmi allo specchio. Mio zio una volta mi chiese perché mi guardassi così tanto allo specchio, ed io gli dissi che non era tanto per vanità quanto per nostalgia. Ogni specchio mi mostra quel poco che è rimasto dei miei genitori. Cerco di imitare il sorriso di mia madre. Le persone non si applicano abbastanza, così quando hanno bisogno di sembrare felici non ingannano nessuno. Sto provando il mio sorriso quando-eccolo lì: il mio biglietto per un felice e glorioso futuro come lavoratore in un fast food. L’opposto rispetto ad una miserabile vita come architetto più famoso del mondo o cardiologo. Oltre le mie spalle e ad uno sputo da me, lo vedo riflesso nello specchio. Come una nuvoletta dei fumetti con i miei pensieri dentro, un defibrillatore. E’ montato sul muro proprio dietro di me, chiuso in una gabbia di metallo con una porta di vetro che potresti aprire per disattivare sirene e luci d’allarme. C’è sopra la scritta ‘AED’ ed un disegno con un fulmine che colpisce un cuore tipo quelli di San Valentino. La gabbia di ferro sembra una di quelle vetrinette contenenti i gioielli della corona in un film di Hollywood. Aprendo la gabbia, automaticamente disattivo le sirene e le luci d’allarme. Rapido, prima che qualche eroe arrivi di corsa, mi precipito in un bagno

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per disabili con il defibrillatore. Seduto sul cesso, lo apro. Le istruzioni sono stampate sul coperchio in inglese, spagnolo, francese e in versione fumetto. Risultato garantito, più o meno. Se aspettassi troppo, non avrei questa possibilità. I defibrillatori saranno presto messi sotto chiave, e una volta divenuti illegali solo i paramedici potranno usarli. Ho in pugno la mia eterna fanciullezza. La mia personale macchina del piacere. Le mie mani sono più rapide ed intelligenti del resto del mio corpo. Le mie dita sanno come togliere la carta cerata ed attaccare gli elettrodi alle mie tempie. Le mie orecchie riconoscono il sonoro ‘beep’ che sta ad indicare la piena carica dell’aggeggio. I miei pollici sanno cos’è meglio per me. Passano sul grande bottone rosso. Come fosse un videogioco. Come il bottone che il presidente preme per dare inizio ad una guerra nucleare. Un gesto, ed il mondo così come lo conosco finisce. Una nuova realtà ha inizio. Essere o non essere. Il dono di Dio agli animali è la facoltà di non scegliere. Tutte le volte che apro un giornale voglio vomitare. In altri dieci secondi non saprò più leggere. Meglio ancora, voglio dimenticare come si fa. Voglio dimenticare il riscaldamento globale. Voglio dimenticare il cancro e i genocidi e la SARS e il degrado ambientale e i conflitti religiosi. L’impianto d’informazione pubblica sta localizzando il mio nome. Non voglio nemmeno sapere il mio nome. Prima di farlo, immagino lo zio Henry al cancello, con la carta d’imbarco in mano. Merita più di questo. Deve sapere che non è colpa sua. Con gli elettrodi incollati alle tempie, porto il defibrillatore fuori dal bagno e cammino per il corridoio che porta al cancello. I fili elettrici, come sottili trecce bianche, incorniciano il mio volto. Con le mani tengo la batteria davanti a me come

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un terrorista suicida con la semplice intenzione di far saltare in aria tutti i suoi punti di quoziente intellettivo. Appena mi vedono, gli uomini d’affari abbandonando i loro trolley. Le persone in vacanza con le famiglie, spalancano le braccia, fanno largo, allontanano i figli. Qualcuno crede di essere un eroe. Urla, “Andrà tutto bene”. Mi dice, “Hai tutto per cui vivere”. Entrambi sappiamo che mente. La mia faccia sta sudando al punto che gli elettrodi potrebbero staccarsi. È la mia ultima occasione per dire tutto ciò che ho nella testa, quindi confesserò davanti a tutti: non so cosa sia un lieto fine. E non so come risolvere i problemi. Le porte dell’atrio si aprono ed ecco precipitarsi dentro le guardie della sicurezza interna, e mi sento come uno di quei monaci buddisti in Tibet o altrove che si irrorano di benzina prima di essersi assicurati del funzionamento dell’accendino. Come sarebbe imbarazzante, essere zuppi di benzina e dover chiedere a qualcuno un accendino, specialmente da quando il numero dei fumatori è sceso. Io, nell’atrio dell’aeroporto, grondo sudore al posto della benzina, ma è tutto così fuori controllo che i miei pensieri corrono. Dal nulla mio zio afferra il mi braccio, e dice, “Se ti farai del male, Trevor, farai del male anche a me”. Stringe il mio braccio, ed io stringo il bottone rosso. Gli dico che non è così tragico. Dico, “Ti amerò sempre, zio Henry… solo non saprò chi sei”. Nella mia testa, gli ultimi pensieri sono preghiere. Sto pregando che la batteria sia davvero completamente carica. Che la scossa sia sufficiente a farmi dimenticare che ho appena pronunciato la parola ‘amore’ davanti a centinaia di persone. Ancora peggio, che era indirizzata a mio zio. Non sarei capace di sopravvivere. Molte persone, invece di tentare di salvarmi, tirarono fuori i loro cellulari e cominciarono a filmar-

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racconto

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mi. Ognuno cerca l’inquadratura migliore. Questo mi ricorda qualcosa. Questo mi ricorda le feste di compleanno ed il Natale. Migliaia di ricordi mi cascano addosso per l’ultima volta, e questo è qualcos’altro che non avevo previsto. Non mi importa perdere l’istruzione. Non mi importa dimenticare il mio nome. Ma mi mancheranno quei pochissimi ricordi che conservo dei miei genitori. Gli occhi di mia madre ed il naso e la fronte di mio padre, sono morti ma non sul mio volto. L’idea fa male, sapere che non li ricorderò mai più. Una volta premuto il pulsante, nello specchio non vedrò altro che me. Mio zio Henry ripete, “Se ti farai del male, farai del male anche a me”. Io dico, “Sarò ancora tuo nipote, solamente non mi ricorderò di te”. Senza un motivo, una donna si avvicina e stringe l’altro braccio dello zio Henry. Questa nuova persona dice, “Se ti farai del male, farai del male anche a me…”. Qualcun altro stringe la donna, e qualcuno quest’ultimo, dicendo, “Se ti farai del male, farai del male anche a me”. Estranei continuano ad unirsi a catena, fino a trovarci tutti insieme. Sembravamo delle molecole cristallizzate in una soluzione di chimica organica. Ognuno unito all’altro, a sua volta unito ad un altro ancora, e le loro voci ripetono la stessa frase: “Se ti farai del male, farai del male anche a me… Se ti farai del male, farai del male anche a me”. Queste parole formano una lenta onda. Come un’eco a rallentatore, li vedo dietro di me, che fanno su e giù in entrambe le direzioni. Ogni persona è legata ad un’altra che è legata a un’altra che è legata a un’altra che stringe mio zio che stringe me. Questo sta accadendo. Può sembrare banale, ma solo perché le parole fanno suonare tutto banale. Perché le parole mandano sempre all’aria ciò che stai cercando di dire. 40

Voci da altre persone in altri luoghi, estranei totali, dicono per telefono, guardano dalle cam, le loro voci lontane dicono, “Se ti farai del male, farai del male anche a me”. E un ragazzino esce fuori da dietro la cassa di un ‘Der Wienerschnitzel’, passa davanti gli espositori del cibo, afferra stretto qualcuno ed urla, “Se ti farai del male, farai del male anche a me”. Ed i ragazzi di ‘Taco Bell’ e quelli di ‘Starbucks’, si fermano, si prendono per mano e si uniscono, e lo ripetono. E proprio quando penso che tutto stia per finire e che tutti stiano per staccarsi ed andare via, perché sono tutti fermi mano nella mano, perfino attraverso il metal detector, l’anchorman della CNN, sui televisori montati sul soffitto, porta la mano all’orecchio, come per sentire meglio, e subito dice, “Ultime notizie”. Guarda confusamente, tentando sicuramente di leggere un qualche cartello, e dice, “Se ti farai del male, farai del male anche a me”. E alla sua voce si uniscono quelle degli esperti di politica di ‘Fox News’ e dei commentatori di colore di ‘ESPN’. Le televisioni mostrano persone fuori nel parcheggio e nella zona di autosoccorso, tutti per mano. Formano una catena. Tutti caricano un video, anche persone lontane chilometri sono dietro di me. Voci gracchianti provengono dai walkie-talkie delle guardie della sicurezza interna, che dicono “Se ti farai del male, farai del male anche a me-vuoi imitarli?”. A questo punto non c’è nel mondo un defibrillatore grande abbastanza da strapazzare tutti i loro cervelli. E poi tutti dovremo andare via prima o poi, ma per un momento ancora ognuno si tiene stretto, quasi a voler rendere eterna questa unione. E se è possibile che accada una cosa del genere, cos’altro è possibile? E una ragazza del ‘Burger King’ grida, “Anche io ho paura”. Ed un ragazzo al ‘Cinnabon’ urla, “Io ho paura tutto il tempo”. Tutti annuiscono, anche io. Alla fine, una grande voce annuncia, “Attenzione!”.

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Dall’alto dice, “Posso avere la vostra attenzione, per cortesia?”. E’ una donna. E’ la voce di una donna che chiama la gente e fa gli annunci via altoparlante. Con tutti che ascoltano, l’intero aeroporto è in silenzio. “Chiunque tu sia, ho bisogno di sapere…” dice la voce della donna degli annunci. Tutti ascoltano, perché sono tutti convinti stia parlando solo loro. Da un migliaio di altoparlanti comincia a cantare. Con quella voce, canta come lo farebbe un usignolo. Non come un pappagallo o un uccello di Edgar Allan Poe che parla inglese. Ci sono trilli e scale proprio come quando canta un usignolo, note impossibili che nessuna bocca potrebbe trasformare in nomi e verbi. Possiamo godercele anche senza capire il significato delle parole. Possiamo amare tutto ciò senza capire cosa voglia dire. Dai telefoni e dai televisori, tutto il mondo è in ascolto. Quella voce perfetta che casca su di noi. Meglio di qualsiasi altra cosa… La sua voce penetra ogni dove, non lasciando spazio alla paura. La sua canzone trasforma le nostre orecchie in un solo ed unico apparato uditivo. Questa non è esattamente la fine. Su tutte le tv ci sono io che sudo così tanto che piano piano gli elettrodi si scollano dalle mie tempie, scivolando giù. Non è di certo il lieto fine che avevo in mente, ma se paragonato all’avvio di questa storia- con Griffin Wilson in infermeria che stringe tra i denti il suo portafoglio, come fosse una pistola- beh, forse questo non è un così pessimo punto di partenza.

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Il suo nome, Palahniuk, nasce in seguito ad una visita alla tomba dei suoi due nonni di cui utilizza i nomi, Paul e Nick, da cui Paul-ha-nick, Paulhaniuck. Chuck intraprende la scrittura all’età di 6 anni. A vent’anni frequenta il corso di giornalismo all’Università pubblica dell’Oregon, e si laurea nel 1986. Durante gli studi lavora alla National Public Radio in Oregon. Si trasferisce a Portland dove lavora per un giornale locale per un breve periodo e, subito dopo, comincia a lavorare come meccanico. Durante questo periodo scriverà manuali di meccanica e collaborerà saltuariamente con dei giornali. Abbandona la carriera di giornalista nel 1988. Verso i trent’anni scrive il suo primo romanzo Invisible Monsters, una storia di apparenze, di cambiamenti d’identità, nel quale l’immagine edonistica domina la realtà, ma viene respinto dalle case editrici. Nel 1996, dopo diversi rifiuti, pubblica il suo secondo romanzo, Fight Club, dal quale David Fincher ha tratto il film che lo ha trasformato in un autore di culto. Dice di non possedere un televisore dal 1990. In Italia le sue opere sono pubblicate da Mondadori.


sommario

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INTERVISTA A Gabriele Bròcani è autore, conduttore e regista di programmi radiofonici e TV (RadioRai, RadioLuna, ExtraTV). Scrittore, sceneggiatore e videomaker con all’attivo diversi cortometraggi e audiovisivi tra cui opere di fiction e divulgazione.

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GABRIELE BROCANI a cura di Daniele Campanari

Prima dell’attentato alle torri, la data dell’11 settembre era per tutti quella del ’73, del Golpe in Cile”. Omar è sparito. E la storia è una di quelle che mette a soqquadro le emozioni degli uomini naturali. Ho dialogato con Gabriele Bròcani per capire cosa è successo al prete italo-cileno. Per capire da dove comincia la narrazione reale della lotta dell’umanità contro il Governo di sangue e oppressione. Per capire cosa possono restituire le immagini di un documentario.

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intervista

a tu per tu

È la storia del desaparecido italo-cileno Omar Venturelli, prete sospeso a divinis per il suo impegno contro il latifondismo e scomparso a Temuco il 4 ottobre 1973 a pochi giorni dal golpe di Pinochet. È la storia del processo, 40 anni dopo il colpo di Stato, contro uno dei procuratori del regime. La realizzazione del documentario porta la firma di Gabriele Bròcani e Laura Bastianetto con le musiche originali di Luca Di Maio. Chi è Omar? Omar Venturelli Lionelli è un prete italo-cileno impegnato nella difesa dei poveri e delle minoranze etniche da sempre oggetto di oppressione ed emarginazione da parte di quasi tutti i governi di quel Paese. Perché raccontare proprio la sua storia? Semplicemente perché attraverso la storia di un singolo uomo se ne possono raccontarne tante e far riemergere pezzi di storia che troppo spesso e troppo facilmente vengono dimenticati. Spesso gli aspetti politici e sociali si confondono Purtroppo chi si impegna nel sociale in aree a rischio molto spesso viene considerato un sovversivo o, come in questo caso, un terrorista. Le vicende legate alla lotta degli indios per l’affermazione della propria identità sono un argomento tabù ancora oggi e la forte repressione messa in atto quotidianamente dalle autorità militari testimonia quanto si è ancora lontani da una forma accettabile di democrazia in quei luoghi.

puche, che potesse raccontare la storia della sua gente e della sua terra. Sono un appassionato di letteratura di viaggio, mi piacciono molto Melville, Conrad, London e gli scrittori sudamericani e Francisco Coloane in modo particolare. Figlio del capitano di una beleniera cilena ha girato in lungo e in largo la parte australe del globo, spingendosi fino in Antartide e nei suoi romanzi epici (che hanno influenzato fortemente anche Chatwin) si racconta un’umanità immersa in paesaggi di una bellezza surreale e impegnata in infinite lotte tra reale e mistico. Spesso i protagonisti di queste storie sono proprio Mapuche. Un capo-tribù che ho incontrato per le mie prime ricerche mi ha parlato per la prima volta di questo prete italiano che negli anni 70 si batteva per i loro diritti. Di lui non si seppe più nulla dopo il golpe ma sua moglie e sua figlia scapparono in Italia e mi mise in contatto con loro. E’ bastato guardarci negli occhi e poche parole con loro per cambiare tutti i piani. Quanto tempo e come è stato impiegato per la realizzazione del progetto? La fortuna ha voluto che in quel periodo fu arrestato ed estradato in Italia uno dei carnefici del regime di Pinochet e proprio colui che ordinò l’arresto (e la successiva sparizione) di Omar. Il processo si è tenuto a Roma ed è durato più di due anni. Abbiamo seguito tutte le udienze, registrato le testimonianze di tantissimi cileni, le arringhe di tutti gli avvocati, fino alla sentenza. La realizzazione essendo legata ai tempi processuali ha avuto una lunga gestazione anche per l’importanza storica del processo che non ha mancato di riservarci anche qualche colpo di scena.

Tra i protagonisti del documentario c’è Maria Paz, la figlia di Omar. Qual è stato l’approccio C’è stato un momento che t’ha portato a deci- di conoscenza? Quale peso emozionale hanno dere di realizzare questo documentario? Avevo l’idea di realizzare un road-movie che partisse dal Cile, attraversasse la Terra del Fuoco fino ad arrivare ad Ushuaia, la città alla fine del mondo. Per questo volevo che il protagonista fosse un Ma-

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intervista

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avuto le sue parole legate alla conseguente riabilitazione della storia? Con Pacita (Maria Paz) è nata subito una forte complicità. Attraverso i suoi racconti ci siamo commossi e indignati, quindi volevamo che fosse lei la voce di questa storia, con la sua umanità, la sua forza ma anche con tutta la fragilità di una ragazza resa orfana da una vicenda che troppo spesso viene dimenticata. Prima dell’attentato alle torri, la data dell’11 settembre era per tutti quella del ’73, del Golpe in Cile. Abbiamo voluto riportare alla memoria quelle migliaia di persone uccise solo perché credevano in un ideale diverso. Speaker radiofonico, autore, regista: da che parte vuoi stare? Mi piace stare soprattutto “dietro” al mezzo di comunicazione. Che sia un microfono, una macchina da presa o un foglio bianco non ha molta importanza. Quello che conta è principalmente avere la libertà di muovermi in modo multi-mediale per raccontare delle cose. Mi piacciono le storie di finzione ma anche quelle crude e reali. Dopo questo documentario ho bisogno di un momento di decompressione quindi credo che presto girerò un cortometraggio di fantascienza o una commediola erotica.

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CAROFIGLIO: I FRATELLI PER LA PENNA. DAL 19 MARZO IN LIBRERIA “LA CASA NEL BOSCO” a cura di Daniele Campanari

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ualcuno non separi i due fratelli, semmai si corra il pericolo: i fratelli Carofiglio, per somma Informazione. I “fratelli per la penna”, non Pulici e Graziani che per il gol erano siamesi, stanno tornando. Dove? In libreria, ovvio. Gianrico è il più noto: il suo ultimo romanzo è Il bordo vertiginoso delle cose. Non il “brodo”, come indicò il mio piccolo vicino un pomeriggio di inverno davanti al suo piatto caldo. Ma prima sono arrivati Il silenzio dell’onda (Rizzoli), Non esiste Saggezza (Rizzoli), Il passato è una terra straniera (Rizzoli). L’altro, il meno noto, è Francesco e pure lui di cognome fa Carofiglio: tuttoattaccato, non come la mamma che saluterebbe così il figlio pronto per la battaglia scolastica:

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caro-figlio. L’ultimo romanzo di Frank è Wok (Piemme). Ma prima e per la prima volta nel 2007 i “gemelli della penna” avevano pubblicato Cacciatori delle tenebre (Rizzoli), graphic novel adatta agli amanti dell’oscurità. Ora è tempo di La casa nel bosco, debutto romanzato. Il calendario cerchierà la data del 19 marzo prossimo quando i carofigli si ritroveranno di nuovo insieme nelle stesse pagine e sugli scaffali delle librerie. Il romanzo si presenta come “un racconto dell’infanzia, dell’adolescenza e di un’età adulta ancora ricca di sorprese. Una storia di amicizie perdute, di amori rubati, vecchi fumetti, torte di ricotta e altre ricette di famiglia”: insomma, per la parte finale si pensi che fatti non foste per vivere come Benedetta Parodi. I protagonisti della

storia sono due fratelli (manco a dirlo) che non si frequentano da molto e che improvvisamente si ritrovano in una convivenza forzata. Forse questi sono proprio quell’altri due, quelli che l’hanno scritto. Ma il dato non è voluto a sapersi. La casa nel bosco porterà ancora il timbro di Rizzoli. Per tutto il resto c’è la lettura.

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intervista

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Da pochi giorni* è uscito “La casa nel bosco”(Rizzoli), il vostro debutto romanzato che racconta la storia di due fratelli con caratteri diversi e che quasi non si sopportano. I fratelli raccontati siete voi? Francesco: Beh, direi proprio di si. Detto questo, non tutto quello che è scritto nel libro è rigorosamente vero. Ma sicuramente verosimile. Gianrico: È un gioco letterario e una piccola sfida ai lettori. Ci è piaciuto creare una sovrapposizione fra autori e protagonisti. In un certo senso siamo noi, anche se la storia è solo parzialmente autobiografica. Ci piace l’idea che non siano chiari i confini fra verità e finzione.

Se i fratelli Carofiglio non avessero fatto gli scrittori, cosa farebbero oggi? F: Probabilmente mio fratello farebbe il magistrato, mestiere per il quale aveva molto talento (dico sempre che è un peccato che abbia smesso). Io farei altre cose, quelle di cui comunque continuo a occuparmi: architettura, illustrazione e teatro. G: Non lo so e la domanda mi crea una certa inquietudine (ride)

A proposito di debutto, l’esperimento con “Cacciatori nelle tenebre” deve essere riuscito F: Fu un’esperienza nuova, complessa, e divertente. Decisamente molto più faticosa per chi fa i disegni, ci tengo a precisarlo. Ma fu un esperimento riuscito, sì. G: Era una cosa diversa - un graphic novel, Francesco lo ha disegnato, io l’ho scritto - e ci siamo divertiti parecchio, anche per la separazione dei compiti. In questo caso il lavoro è stato più impegnativo, trattandosi di una vera e propria scrittura a quattro mani.

Pensando agli studi scolastici e poi professionali degli scrittori, mi è capitato di vedere che diversi di questi nascono dall’istruzione giuridica o medica. Poche volte da quella direttamente comunicativa. Si può dire che la scrittura riconosca livelli soggettivi al di là della formazione e il lavoro? F: Io dico che non esiste una regola. Senza ovC’è un romanzo dell’uno o dell’altro che avre- viamente voler fare paragoni non proponibili mi ste voluto scrivere? piace ricordare che Gadda era un ingegnere e John F: Direi di no. Credo che per lui valga la stessa Fante lavorava in una lavanderia. Più in generale cosa. Ognuno di noi vuole scrivere le storie che ha l’esperienza acquisita in altre professioni arricchiin testa. Posso dire invece quali tra i suoi romanzi sono i miei preferiti: “il passato è una terra straniera” (dal quale abbiamo tratto insieme la sceneggiatura del film omonimo) e “Ad occhi chiusi”. G: Il suo primo, With or without you.

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G: È una frase banale che non vale nemmeno la pena di commentare. Quindi, per effetto della domanda di cui sopra, chiedo: si può vivere di scrittura? sce il bagaglio dello scrittore, segnandone a volte F: Sì, è possibile. un tratto della personalità. G: Non è facile. Salvo casi rari conviene sempre G: Non saprei. Non credo ci sia una relazione fra avere un lavoro di riserva. gli studi fatti, le esperienze professionali e l’attitudine alla scrittura. Certo non esiste alcun rapporto fra gli studi di comunicazione o simile e l’apprendimento della capacità narrativa. Questa può (e deve) essere affinata, ma certamente una qualche misura di talento naturale – come tale, ripeto, indipendente dagli studi – è indispensabile. Quanto conta partecipare ai premi letterari? F: Non lo so. Ne ho vinti diversi, ma non lo so. Davvero. G: Quelli che contano davvero, nel senso di influenzare realmente le vendite sono pochissimi. Tutti gli altri possono essere più o meno gratificanti, ma nessuno si accorge se li vinci o meno. In genere comunque è una buona idea partecipare ai premi con leggerezza e distacco. Quali consigli dareste a un aspirante scrittore che vorrebbe emergere col suo romanzo? F: Io gli direi che è salutare andare per gradi: scrivere, possibilmente scrivere un buon romanzo, poi trovare un editore, e finalmente uscire in libreria. Aver superato queste prove è già un ottimo risultato. Poi può accadere qualsiasi cosa. Che ti leggano in cinque oppure che il tuo romanzo abbia un enorme successo. G: In questo campo – molto più che in altri – i consigli sono del tutto inutili. Il successo di un libro, soprattutto di un esordiente, è un evento non prevedibile. Dipende da troppi fattori imponderabili. Qualcuno ha detto che “Con la cultura non si mangia”. È vero? F: È una grande sciocchezza, oltre che un’espressione grossolana.

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ReADER'S Kitchen Le novitĂ piĂš gustose ci aspettano in libreria a cura di Clara Raimondi


rubrica

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dua impresa dei giorni nostro, ma non tutto sembra perduto! Rose ha 105 anni, in bocca le rimangono pochissimi denti, ha una faccia da gufo ma nel suo empo di primavera e di cuore batte il cuore intrepido una nuova puntata di e coraggioso di una ventenne. Reader’s Kitchen che Nonostante gli acciacchi e l’età questa volta porterà sui è ancora la regina incontrastata vostri scaffali non solo madel suo ristorante a Marsiglia nuali e ricettari ma libri in cui e proprio tra i tavoli del suo la cucina è solo il pretesto per locale si metterà a ricordare il raccontare storie e miscelare ai suo straordinario passato. Rose sapori della tavola i ricordi di un è la protagonista de La cuoca passato non molto lontano. di Himmler di Franz Olivier Iniziamo la nostra carrellata con Giesbert (Rizzoli, 326 pagg, 18 La cucina napoletana di mare euro) e di una storia unica che (Newton Compton Editori, 472 ci porterà ad attraversare tutto il pagg, 4,90 euro). Luciano Pata- ‘900. Cuoca sopraffina, capace gnaro torna in libreria con una di servire anche funghi velenuova edizione della sua guida nosissimi, Rose ci porterà alla che raccoglie il meglio della cu- scoperta della sua straordinaria cina partenopea e le ricette più carriera. importanti della ristorazione che Esseri vegani è una moda o uno da Gaeta, passando per Napoli, stile di vita sano e rispettoso le isole e il Cilento non può non dell’ambiente? Paola Maugeri, arrivare fino a casa nostra. Una vj e presentatrice televisiva, ricerca antropologica realizzata non ha dubbi. La sua è stata una grazie all’aiuto di chef che non scelta ponderata e vissuta negli si sono risparmiati rivelando anni e questo ricettario ne è una tutti i loro segreti. Quello che è prova. Lasavegans (Mondadori, venuto fuori è un manuale mo254 pagg, 18 euro) raccoglie derno, ricco di spunti e di piatti ricette gustose, rock, divertenti che fotografano un territorio e originali per trasformare uno straordinario. stile di vita in puro e semplice Io mangio come voi (Terre di divertimento. Mezzo, 78 pagg, 9,90 euro) è La miscela segreta di casa Olila raccolta di ricette, dritte e vares di Giuseppina Torregrossa suggerimenti che alcuni nutri(Mondadori, 228 pagg, 15,30 zionisti hanno raccolto dai genitori impegnati nella quotidiana battaglia per l’alimentazioni dei loro bambini. Proporre in modo originale e gustoso sembra l’ar-

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euro) è un romanzo profumato, gustoso e pieno di aromi come un buon caffè. In esso si racconta la storia di Genziana e della torrefazione di famiglia, la Olivares ai Quattro Mandamenti di Palermo. Ma il libro è anche e soprattutto un romanzo di formazione e Genziana, nel corso delle pagine, sarà costretta ad affrontare il dolore della guerra e ritrovare se stessa nell’incontro con altri straordinari personaggi che la faranno crescere e maturare. Un libro tutto da assaporare.

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Alla scoperta di

REALITY PROJECT a cura di Claudio Turetta

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intervista

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lessandro Viganò e Matteo Scarpellini incrociano le loro reflex per il progetto Terza Tendina: da quel momento lavorano insieme in vari progetti fotografici, la loro collaborazione sfocia in AlmaPhotos e in questi giorni stanno promuovendo il loro progetto “Reality project”. Andiamo a scambiare quattro chiacchere con Alessandro per conoscerli meglio. Ragazzi, siete i miei miti! Apprezzo molto l’idea del progetto, sto provando anche io a fare alcuni esperimenti di nudo e credo nelle imperfezioni come punto di forza dell’immagine. Come è nata l’idea dil Reality Project? L’idea del progetto è nata per contrastare questo falso ideale di bellezza patinata che ci viene imposto dai media, dove tutti devono essere alti, magri, con la pelle perfetta, gli addominali scolpiti, il seno grosso e sodo e così via… Con il nostro lavoro vogliamo dimostrare che la vera bellezza la si trova in ogni corpo. indipendentemente dalla forma e dimensioni. È mai successo che qualche modella vi abbia frainteso o si sia vergognata all’ultimo momento di posare senza veli? Fino ad oggi non è mai successo. Per essere credibili bisogna dimostrare di fare un bel lavoro. Non basta dire: “posso fotografarti nuda?”. Non funziona così.
Essendo il progetto su base volontaria, tutti i soggetti erano pienamente consapevoli di doversi spogliare davanti a una macchina fotografica… anzi due. E tutti lo hanno fatto con estrema serenità e naturalezza.

maggiorenni.
In realtà un uomo ha partecipato recentemente. Ne vedrete gli scatti presto.
 Gli uomini comunque risultano essere molto più timidi delle donne. Se ragioniamo in percentuale, gli uomini candidati fino ad oggi sono meno del 5%. Il nudo viene considerato volgare e quasi mai forma d’arte (spesso viene usato per fare clamore e attirare l’attenzione), eppure tra le opere più famose della storia ci sono due nudi non da poco (La Venere di Botticelli e Paolina Bonaparte) : cosa ne pensate a riguardo? Tutto sta negli occhi di chi guarda. Immagino che a qualcuno possa dare fastidio anche il seno della Venere di Botticelli. E’ molto difficile stabilire una linea di separazione tra cosa è volgare e cosa no. E’ un confine molto labile e soggettivo. Noi cerchiamo, per quanto sia possibile, di non oltrepassarlo (almeno dal nostro punto di vista). Facciamo un gioco: c’è una donna famosa che vorreste avere nel Reality Project? Magari anche del passato. Direi Kate Winslet, la quale recentemente si è ribellata al risultato di una copertina di un magazine che la ritraeva - evidentemente un po’ troppo ritoccata - dichiarando: “I don’t look like that, and I don’t desire to look like that.”

Finora al vostro progetto hanno partecipato solo donne; e se venisse un uomo? Avrebbe po- Una grande. sto anche lui? Il vostro progetto potrebbe sfociare in un libro Certamente. Il progetto è aperto a tutti, purché fotografico? 52

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cosa non facciamo: lo still life. Ecco, quello forse è il genere di fotografia che ci attrae meno. Sicuramente si, ci stiamo già lavorando. Probabilmente lanceremo una campagna di crowdfunding per poterlo realizzare, che altrimenti l’investimento sarebbe troppo alto. Già adesso stiamo raccogliendo donazioni volontarie (nella homepage del sito c’è un tasto DONATE) per poter affrontare le trasferte necessarie per fotografare il maggior numero di candidati possibile. Abbiamo già più di 100 aspiranti modelli in “lista d’attesa” provenienti da tutta Italia e non solo. C’è anche qualcuno dall’Inghilterra, dalla Francia, dal Belgio e persino dagli USA. Parliamo di voi, come è nata la passione per la fotografia? Oltre alla fotografia di ritratto, c’è qualche altro genere che preferite e vi esalta?
 Il ritratto è il genere che preferiamo, ma in passato ci siamo occupati anche di reportage e storytelling. Faccio prima a dirti che

C’è un fotografo che assumereste come vostra guida spirituale sul tortuoso sentiero dell’arte fotografica? Oltre Reality Project, che va a gonfie vele, avete altri progetti in cantiere? Si, certo. Stiamo lavorando a un progetto che coinvolgerà donne che soffrono di alopecia. Poi uno top secret nel mondo della cucina. Ma per il momento siamo concentrati su Realyty Project, che speriamo di riuscire a presentare durante il Festival della Fotografia Europea che si terrà a Reggio Emilia il prossimo Maggio. A me sembra che la fotografia stia perdendo la sua aurea di arte e stia diventando una gara a chi possiede il sistema migliore: nei forum o sui social le discussioni vertono spesso sull’attrezzattura invece che sul contenuto. Qual è il vostro parere? Più che un parere il nostro è un consiglio. Dimenticatevi dell’attrezzatura. Noi l’abbiamo fatto e ne abbiamo tratto giovamento. Ovviamente, soprattutto a livello professionale è fondamentale avere un’attrezzatura di qualità e affidabile, ma non per questo bisogna assolutamente comprare sempre l’ultimo modello di tutto! Altrimenti, oltre a spendere una fortuna, rischiereste di sprecare anche un sacco di tempo nella ricerca di cosa sia meglio comprare. Per fare un esempio, tutte le foto di Reality Project sono scattate (escluse le polaroid) con un 50mm ƒ1.8 di vera plastica che non supera i 120€. Poi ci vuole l’occhio. Ovvio. E quello non si compra… ma lo si può allenare. Sembra che la professionalità stia scomparendo per colpa del digitale, si abusa in maniera

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intervista

a tu per tu

eccessiva di software di postproduzione e i neofiti abusano di automatismi. Anche chi usufruisce del lavoro fotografico predilige avere una quantità esagerata di foto, anche se di qualità minore. Cosa ne pensate? In pochissime parole, citerei il celebre architetto Mies van der Rohe che con il suo aforisma “less is more” è stato di ispirazione a molti. Sulla nostra “panchina” si parla di libri, voi cosa state leggendo di recente? Ci consigliate qualche libro? Non per forza fotografico ovviamente! In questi giorni sono stato in viaggio e ho riletto con molto piacere “Le Città Invisibili” di Italo Calvino. Che in realtà è un bellissimo modo per viaggiare anche senza muoversi. Vi ringrazio per la vostra disponibilità e vi faccio un grosso in bocca al lupo per tutti i vostri progetti futuri. Buona luce. Grazie a te, è stato un piacere.

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Reader’s Bench è sempre più social

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TOP 10 DI MOSTRE IN I

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news

arte

ITALIA...

a cura di Emanuela Ciacci

Ăˆ iniziato il nuovo anno e per nostra fortuna anche questo sarĂ ricco di eventi imperdibili per i tanti capolavori che verranno esposti nelle sale dei nostri musei e nei nostri

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oglio iniziare con quella che, forse, è la mostra che ha creato più “rumore” in questi giorni: La ragazza con l’orecchino di perla, in esposizione, per la prima volta in Italia, nelle sale bolognesi di Palazzo Fava fino al 25 maggio. Attrazione principale del tour mondiale inaugurato nel 2012, si è fermata a Tokyo e Kobe prima, San Francisco, Atlanta e New York poi. Questa di Bologna è l’unica tappa europea: il quadro, infatti, tornerà in Olanda per la riapertura del Museo Mauritshuis prevista per il prossimo giugno. Capolavoro di Vermeer, questa splendida ragazza dagli occhi languidi e con un orecchino di perla che, riflettendo la luce, si staglia sullo sfondo nero illuminandolo, ben

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sintetizza le caratteristiche di questo artista: la resa della tranquilla atmosfera con figure singole intente nella lettura, nella contemplazione o in qualche occupazione casalinga. Dalla tradizione dei Paesi Bassi egli trae l’uso di rappresentare con assoluta precisione la realtà in tutti i suoi dettagli. Ma Vermeer non è un piatto imitatore di oggetti poiché le pitture sono attraversate da uno spirito vibrante che rende vivo l’ambiente pacato e silenzioso in cui si stagliano le figure: è la luce morbida che penetra da una finestra, quasi sempre fuori inquadratura, resa con piccole pennellate. I suoi quadri, perlopiù di piccole dimensioni, emanano una lirica intimità che viene percepita attraverso la cromía, la lucentezza delle stoffe

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e l’espressione pacata dei volti. Ma questa è solo una delle opere presenti nella mostra dedicata alla Golden Age della pittura olandese: si possono ammirare molti altri capolavori, da Rembrandt a Hals, da Steen a Ter Borch. Per entrare nel loro mondo e, soprattutto, per comprenderlo vi consiglio la lettura e consultazione della monografia intitolata Vermeer. Il secolo d’oro dell’arte olandese, edito da Skira, a cura di Weelhock, Loedtke e Barbera. Il volume è nato come catalogo della prima grande esposizione realizzata in Italia, alle Scuderie del Quirinale a Roma, e dedicata al massimo esponente della pittura olandese del XVII secolo.

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Ferrara è di scena a Palazzo Diamanti fino al 15 giugno Matisse, la figura. La forza della linea, l’emozione del colore. La mostra verte sul tema che a Matisse era tanto caro: la figura. È lo stesso artista a dircelo nel 1908: «Quel che più mi interessa non è né la natura morta, né il paesaggio, ma la figura. La figura mi permette ben più di altri temi di esprimere il sentimento, diciamo religioso, che ho della vita». Si tratta di un appuntamento significativo poiché sarà possibile osservare da vicino il lavoro del maestro francese, ripercorrendo l’intera sua carriera dal periodo in cui è stato capofila del fauvisme fino ai dipinti, le sculture, i disegni della tarda maturità. Gli ideatori dell’evento raccontano come Matisse abbia dato forma di volta in volta alle proprie emozioni: in lui non c’è la volontà di

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imitare la natura ma quella di esprimere ciò che vede e sente, per mezzo dell’arte. Giunge alla pittura casualmente (durante la convalescenza da una malattia) e relativamente tardi (all’età di circa 21 anni): ma la vocazione è inequivocabile e la sua visione pittorica dominerà per oltre mezzo secolo la scia dell’arte mondiale. Gli insegnamenti di Moreau lo hanno accompagnato nella ricerca della semplificazione della linea per tutta la vita, raggiungendo l’espressione attraverso la sintesi della forma campita dal disegno e rivestita di colori puri. Dopo la morte del suo maestro si avvicina a Cézanne, prima, dal quale apprende il senso della costruzione compositiva ed a Signac, poi, da cui interpreta il luminismo derivante dall’accostamento di colori puri per poi usare il pointillisme come passaggio necessario per arrivare all’uso

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dei colori giustapposti. Fallita la corrente fauve, Matisse continua il suo percorso di sperimentazione ottenendo la sintesi tanto ricercata ed esprimendo al contempo gioia e bellezza: ha sovvertito la rappresentazione tradizionale, componendo sinfonie di forme astratte che si espandono in uno spazio infinito, con pochi segni capaci di infondere un sentimento di perfetta armonia. Per avvicinarsi a questo grande artista, vi consiglio di leggere il saggio di Marta Chirico, Matisse nei musei italiani. Principi estetici, influenze e collezioni, edito da Cartman (collana Le muse). L’autrice, partendo da una panoramica generale sulla personalità dell’artista francese ed il contesto storico-culturale in cui si è formato, arriva ad esaminare la raccolta di pensieri e di interviste rilasciate dall’artista stesso.

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n’altra mostra da non perdere è nelle belle stanze della Galleria Borghese, a Roma, fino al 25 maggio dal titolo Giacometti. La scultura. La scelta del luogo non è una casualità: la Villa è da considerarsi come un “incubatore” il cui compito è quello di esaltare la scultura attraverso la collezione e l’esposizione di importanti capolavori che partono dall’età greco-romana fino all’epoca neoclassica. In questo ambiente, dove la statuaria umana è preponderante, si è ben pensato di proseguire il viaggio attraverso i secoli inserendo le opere di Giacometti - scultore e artista visionario

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e surrealista - come esempio di concezione ed interpretazione della figura umana nel XX secolo. Saranno esposti quaranta lavori tra disegni, bronzi e gessi a testimonianza di una ricerca accurata finalizzata a rivelare le basi dell’umano, arrivando anche alla “scarnificazione” della silhouette. Emerge così l’intento di Giacometti di far trasparire la netta tragicità della scultura contemporanea in contrasto con la classicità passata: è una poetica straziante che nasce in un secolo che vede grandi sconvolgimenti politici e storico-culturali. L’esposizione nasce dalla voglia dei curatori di evidenziare il mutamento della visione degli artisti

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che si accingono a confrontarsi con la raffigurazione dell’essere umano a seconda del periodo storico di appartenenza: ecco allora venire paragonati l’Homme qui chavire (1950) con il David del Bernini (1623) o l’Homme qui marche (1947) con Enea ed Anchise sempre berniniano (1619). Sono opere di non facile lettura ma molto interessanti, quindi vi consiglio anche in questo caso una monografia che ha accompagnato la mostra al museo MAGA di Gallarate, edita da Mondadori Electa: Alberto Giacometti. L’anima del Novecento – Nello studio di Giacometti, a cura di Peppiatt Michael

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na doppia temporanea porterà in Italia, alle Scuderie del Quirinale a Roma dal 20 marzo fino al 31 agosto e al Palazzo Ducale a Genova dal 20 settembre al 15 febbraio del prossimo anno, le opere della messicana Frida Kahlo, esponente di spicco dell’avanguardia artistica messicana del Novecento e, a tutt’oggi, considerata l’icona del movimento femminista. I suoi dipinti sono senza alcun dubbio ispirati alla sua vita segnata drammaticamente dall’incidente avuto da giovanissima e caratterizzata dalle importanti trasformazioni culturali che portarono il Messico alla rivoluzione. La mostra romana indaga sul rapporto che Frida ebbe con i movimenti artistici dell’epoca, partendo dal Modernismo messicano per ap-

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prodare al Surrealismo internazionale, cogliendone le influenze nelle sue opere. Frida Kahlo si offre alla cultura contemporanea mediante un legame arte-vita tra i più affascinanti della storia del XX secolo. Ma i suoi dipinti, molti dei quali sono autoritratti, non sono solamente lo specchio della sua vicenda biografica: la sua arte è diventata un’unica cosa con lo spirito del mondo in cui è vissuta. È lo spirito rivoluzionario che aleggia nell’aria che la portò alla rivalutazione del passato indigeno e del folklore nel suo senso più intrinseco: l’espressione di sé, il linguaggio, l’immaginario, i colori, il simbolismo. Al contempo lei è espressione dell’avanguardia artistica e dell’esuberanza culturale tipiche di quel periodo storico. La mostra romana riunisce i capolavo-

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ri assoluti proveniente dai vari nuclei collezionistici completati da una serie di ritratti fotografici dell’artista stessa. È proprio il tema dell’auto-rappresentazione a prevalere in questo progetto: il genere “autoritratto” ha un peso importante nella produzione complessiva dell’artista anche per il significato che questo ha rappresentato nella trasmissione dei valori iconografici e psicologici propri del cosiddetto “mito Frida”. Vi consiglio Il diario perduto di Frida Kahlo, edito da Rizzoli e scritto da A. Sheiman. L’autrice prende spunto da un episodio realmente accaduto (la sparizione di un taccuino nero) per costruire il racconto coinvolgente di una vita avventurosa ed il ritratto di una donna-artista dal fascino intramontabile.

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Genova, fino al 27 aprile, presso il Palazzo Ducale potrete trovare la mostra dedicata ad Edvard Munch. Inaugurata lo scorso anno per il 150° anniversario della nascita dell’artista, raggruppa 150 opere provenienti da ogni angolo del mondo (di cui 100 sono dipinti) realizzate fra il 1880 e il 1944. Unica nota negativa: la mancanza del suo più celebre capolavoro, L’urlo. Artista poliedrico, mette al centro del suo interesse l’uomo con il suo dramma esistenziale, i suoi conflitti psichici e le sue interminabili paure. Per questo è stato “accusato” di non essere un vero e proprio artista ma bensì un “pensatore” che trascrive le proprie idee in immagini. Munch, oltre alle proprie paure, dipinge ciò che vede: una nuova visione

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dell’arte che è pura avanguardia. Si può vedere, quindi, un Munch rivoluzionario sia nelle linee accademiche che nel pensiero artistico, dissociato dai suoi colleghi contemporanei. Anche la sua personalità era in conflitto con il suo aspetto: si presentava come un uomo elegante e sicuro di sé ma era, in realtà, attraversato da una sensibilità straziante ed al contempo nevrotica che cercava di ammaestrare con l’alcool e l’ascesi artistica. Il percorso espositivo ha come intento quello di ripercorrere l’evoluzione della produzione di Munch dalla fase di passaggio di stampo impressionistico ad una pittura audace che ha contribuito a sconvolgere in maniera profonda l’intera arte del XX secolo. È un artista che potremmo tranquillamente considerare come l’antitesi di

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quello che era lo spirito di quel momento: si mette in contrasto contemporaneamente con l’impressionismo, il simbolismo ed il naturalismo, inventando una nuova forma artistica opposta a tutto ciò che gli è stato presentato come regola. Per capire meglio le sue opere, come sono nati suoi capolavori, da quali idee, sentimenti ed interrogativi hanno preso spunto, vi consiglio il libro Frammenti sull’arte (edito da Abscondita) un vasto insieme di aforismi, pensieri scritti dallo stesso Munch, che consentono di conoscere meglio il laboratorio di idee e artifici tecnici nonché le drammatiche esperienze interiori dell’artista.

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chi è di passaggio a Venezia, invece, consiglio di andare a vedere Fernand Léger e la visione della città contemporanea in mostra fino al 2 giugno al Museo Correr. Saranno esposte cento opere di cui sessanta di Fernand Léger, da cui il nome dell’evento. Ma a fargli compagnia ci saranno artisti del calibro di Duchamp, Picabia, Mondrian, Le Corbusier, Delaunay ed El Lissitsky, i quali, con le loro opere, hanno rinnovato la concezione della rappresentazione urbana dell’arte. Il percorso ci concentra sulla visione di una città mutevole, vissuta in prima persona dagli artisti, in cui avvengono radicali trasformazioni in tutti i campi del quotidiano con l’avvento della seconda rivoluzione industriale. La città, in cui il ritmo di vita

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diviene sempre più frenetico, è rappresentata in una vertigine di colori e ritmi, con paesaggi frammentati e con contrasti fra linee morbide che danno profondità alle opere. Protagonista assoluto è il dipinto “La ville” in Italia per gentile concessione del museo di Philadelphia, con altri venticinque capolavori, da cui questa mostra è partita. Questo dipinto ha influenzato intere generazioni di artisti ed è diventato il manifesto della pittura della città contemporanea: essa ne è il soggetto con le sue attività frenetiche, le sue architetture composte di assemblaggi cubici ed i suoi abitanti visti come robot integrati in maniera armonica nel dinamismo di quella che può essere considerata una vera e propria “macchina urbana”. Per meglio spiegarvi cosa c’è alla

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base della concezione di Léger, e della sua cerchia di amici, vi voglio riportare cosa ha detto lui stesso nel 1914: «Se l’espressione pittorica è cambiata, è perché la vita moderna lo ha richiesto. La vista dal finestrino della carrozza ferroviaria e dell’automobile, unita alla velocità, ha alterato l’aspetto abituale delle cose. Un uomo moderno registra cento volte più impressioni sensoriali rispetto a un artista del diciottesimo secolo. La compressione del quadro moderno, la sua varietà, la sua scomposizione delle forme, sono il risultato di tutto questo». Vi consiglio la monografia dal titolo Fernand Léger. Lo spirito del moderno, edito da Skira e curato da Parmiggiani, per conoscere le più importanti opere di questo artista create fra il 1905 ed il 1955.

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e poi nella laguna veneziana sarete anche a partire dalla Festa della Donna, nelle sale di Palazzo Fortuny fino al 14 luglio potete conoscere anche le opere della musa ed amante di uno dei più importanti artisti del Novecento spagnolo, Picasso. Nella mostra Dora Maar nonostante Picasso troverete esposti ritratti; foto di nudi, di pubblicità e di moda; fotomontaggi e tante fotografie di strada realizzata da Henriette Theodora Marković: queste ultime hanno suscitato grande interesse nell’opinione pubblica grazie alla particolare attenzione che l’artista ha sempre riposto nei confronti dei soggetti posti al margine della società, ritraendo scene in cui protagonista è la miseria. Dedica attenzioni anche al mondo dell’infanzia, alla vita quotidiana che si svolge nella parte popolare della città con i suoi mercatini e le sue fiere, fino a arrivare all’eccentrico come la vetrina del mago o il canguro di paglia in esposizione, fino a quello che per noi oggi è “normale”: un negozio di tatuaggi. Parigina, nata da madre fran-

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cese e padre croato, si trasferisce per molti anni a Buenos Aires, torna in patria dove inizia gli studi di fotografia e stringe amicizia con Cartier-Bresson. Ma sarà Sougez a formarla negli aspetti tecnici del mestiere. Divide lo studio con altri artisti ed in poco tempo diventa una fotografa di grande talento: utilizza tecniche diverse ed all’avanguardia come le deformazioni, i tagli prospettici, le doppie esposizioni ed i collages. Conosce Picasso nel caffè dei Deux-Magots dove lei lo attrae con uno strano gioco: con un coltello affilato colpiva sempre più velocemente lo spazio che intercorre fra un dito ed un altro, senza fermarsi quando si feriva. In quel gioco sadomasochista si riassume alla perfezione l’orientamento di questa donna geniale ed intima dei surrealisti. Si arrese senza troppe resistenze al fascinoso Picasso per il quale le donne si dividevano in due tipi, dee e pezze da piedi, e provava un gusto quasi sadico nel vederle scaraventate da una categoria all’altra. Gli piaceva umiliare Dora con continui motivi di gelosia e per inde-

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bolirla ulteriormente la convinse ad abbandonare la fotografia per la pittura, in cui era lui a dominare il campo internazionale. La picchiò più volte fino a farla svenire: Dora divenne la celebre figura piangente di tante tele del suo amante. La fine della relazione portò la fotografa in una profonda depressione alimentata anche dell’abituale crudeltà di Picasso che continuava a sottoporla a umiliazioni e maltrattamenti psicologici. Sottoposta ad elettroshock, non guarì ma iniziò a convivere con la malattia, vestendosi solo di nero e convertendosi al cattolicesimo. Picasso dava la colpa di quegli sfoghi alle spinte surrealiste che, secondo lui, l’avevano spinta alla follia. Dopo la morte di Picasso, tutte le sue amanti morirono poco dopo suicide. Lei fu l’unica a sopravvivergli. Se volete scoprire qualcosa in più di questa donna, i suoi drammi interiori ed il suo dipendere da un uomo opprimente, consiglio di leggere Io, Dora Maar. La mia passione per Picasso, edito da Colla Editore e scritto da Avril Nicole.

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Milano, presso il Palazzo Reale, potete imbattervi, fino al 27 aprile, nella mostra Vassilij Kandisnskij. La collezione dal Centre Pompidou di Parigi. In esposizione oltre 100 opere dell’artista che coprono l’intero arco temporale della sua carriera, dalle prime tele russe caratterizzate da ritratti e soggetti tradizionali, passando per la progressiva semplificazione e stilizzazione delle forme per arrivare alla partecipazione al movimento Bauhaus. Kandisnskij è personalità centrale e determinante per lo sviluppo dell’arte moderna: è autore di una nuova teoria (esemplificata in un trattato del 1912) all’interno della quale il processo astrattivo trova le sue prime formulazioni affrontando i problemi del rapporto fra musica e pittura, forma e colore, colmando in questo modo le tradizionali divisioni artistiche di periodi e di scuole di pensiero diverse. La carriera di questo pittore iniziò dipingendo a spazzola paesaggi fino ad arrivare a creare

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l’arte astratta in senso novecentesco, servendosi in particolar modo di due colori: il blu ed il rosso. Leggendo i passi dei sui scritti si percepisce qual è il potere di suscitare reazioni psicologiche che egli attribuisce a tutti colori ed alle relative forme geometriche : l’azzurro, quanto più diventa intenso e profondo tanto più invita l’uomo verso l’infinito destando il lui il desiderio del puro e quindi del sovrasensibile; il giallo è caldo ed al contempo irrazionale, folle ed eccitante; il rosso è ardente; il verde da la sensazione di quiete e di indifferenza. All’artista spetta l’arduo compito di esprimere l’arte pittorica seguendo la propria interiorità e svincolandosi dai canoni estetici tradizionali. Non parliamo di una semplice astrazione formale ma una nuova, graduale ed intensa ricerca di una dimensione spirituale dell’arte pittorica: l’astrattismo puro, la totale abolizione della riconoscibilità degli oggetti esteriori. Questa di Milano non è solamente un’esposizione delle opere del cele-

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bre artista, condannate da Adolf Hitler ed esposte in una mostra “sull’arte degenerata” nel 1937: è un’importante retrospettiva che si presta a far luce sull’unicità di quest’uomo e sulle chiavi di lettura delle sue opere, concettualmente complesse ma colme di cariche emotive. Le opere di Kandisnskij non mancano ancor oggi di esprimere sensazioni di equilibrio interiore e pace dell’anima, riflesse in composizioni e colori studiati. È un’arte solo apparentemente leggera: in realtà si tratta di un intricato gioco di partiture in cui ad ogni forma e ad ogni colore corrisponde ad un suono preciso (il giallo, per esempio, è paragonato al suono squillante di una tromba) che accompagna l’osservatore, facendolo quasi danzare fra un’opera ed un’altra. Il problema delle forme, testo dello stesso Kandisnskij ed edito da Abscondita, è ciò che vi consiglio per farvi trascinare nel suo mondo teso alla ricerca della creatività.

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ella Galleria dell’Accademia a Firenze, invece, ha vita una mostra dedicata ad un genio nostrano: Ri-conoscere Michelangelo. La scultura del Buonarroti nella fotografia e nella pittura dall’Ottocento ad oggi. Scultore, pittore, architetto e poeta: fu un artista eclettico tanto geniale quanto irrequieto, riconosciuto già al suo tempo come uno dei più grandi artisti in grado di segnare le generazioni di artisti successivi con le sue opere. Proprio per questo motivo, fino al 18 maggio, in onore del 450° anniversario della sua morte, viene presentato il tema del rinnovato interesse e dell’ammirazione per quest’artista rinascimentale a partire dall’Ottocento fino ai giorni nostri, mediante l’opera di scultori, pittori e fotografi

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che hanno visto nelle sue opere il punto di riferimento per le loro realizzazioni. In particolar modo viene analizzata la produzione fotografica di alcuni tra i più noti professionisti del XIX e del XX secolo evidenziando il ruolo determinante che la fotografia ha svolto nel consolidare la fortuna iconografica di Michelangelo. È una lettura trasversale che mette al centro il ruolo svolto dalla fotografia nell’eleggere un numero ristretto di immagini di sue sculture a veri e propri monumenti della memoria collettiva, partendo dalle opere di Delacroix e Rodin, per ricordarne due: dalla fotografia come oggetto di documentazione alla sua totale autonomia autoriale del Novecento, creatrice di nuovi punti di vista e di analisi delle opere d’arte. La presenza michelangiolesca si ri-

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conosce nei lavori di artisti come Medardo Rosso e Matisse, nella ricerca fotografica di Herbet List fino a raggiungere le espressioni della contemporaneità con Gerard Rondeau, Gabriele Basilico e Gianni Berengo Gardin. Michelangelo Buonarroti. Storia di una passione eretica, edito da Einaudi e scritto da Forcellino, racchiude l’appassionante ricostruzione del periodo fra il 1541 ed il 1549, quando la risposta della Chiesa alla Riforma Protestante lasciò profondi segni su un Michelangelo animato da un sofferto sentimento religioso. Lo consiglio a tutti coloro che vogliono conoscere approfonditamente la personalità del nostro artista pervasa da un profondo tormento interiore che si è poi manifestato largamente nella sua arte.

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hiudo la rassegna di questa “top-ten” con La grande stagione del Liberty, ospitata nei Musei di San Domenico, a Forlì fino al 15 giugno. Come precedenti mostre che hanno avuto luogo qui, anche questa parte dalle officine artistiche emiliane e romagnole del Liberty per estendersi poi a livello nazionale. Per l’Italia, infatti, questa corrente artistica ha rappresentato un movimento di rinnovamento e l’affermazione di una nuova tendenza estetica che ha superato lo storicismo ed il naturalismo, dominatori per gran parte del secolo. In un’Italia da poco unificata, il Liberty si fa interprete dell’a-

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spirazione al raggiungimento di un linguaggio artistico comune, adeguato a rappresentare il progresso e la modernità, facendo rivivere l’antico splendore culturale di un Rinascimento identificato nella linearità femminile di Botticelli e la tensione eroica di Michelangelo. Per la prima volta, si identificano in una mostra le specificità di uno stile attraverso una serie di capolavori di diversa natura (pitture, sculture, arti decorative, vetrate, ferri battuti, mobili, oggetti d’arredo, gioielli… ) che, dialogando, rivelano contenuti e messaggi comuni: il mito, il paesaggio e l’allegoria. Una mostra originale atta a raccontare l’idea di un’arte totale

che ha trionfato nella stagione dell’ottimismo e della fiducia nel progresso: ma come confermano le relazioni con la letteratura, la musica ed il teatro, un’epoca in cui serpeggiano anche inquietudine e malessere sociale che si sarebbero manifestati da lì a poco nella Grande Guerra. Il Liberty in Italia, scritto da Rossana Bossaglia ed edito da Charta, è il saggio che vi consiglio per la completezza di informazioni ed il rigore scientifico con cui queste sono state raccolte.

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Non mi resta che augurarvi … Buona mostra a tutti!

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«PER FORTUNA LA POE NON È IN AUTOGRILL»

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uigia Sorrentino l’ho incontrata per la prima volta a Roma allo scorso “Ritratti di Poesia”. Stretta di mano, sigaretta fuori dal tempio di Adriano con pioggia battente mista a vento. L’avevo sempre seguita sul blog dedicato ai versi che cura per Rai News, ma non conoscevo abbastanza i suoi scritti e il biondo dei suoi capelli. Poi è venuta la voce, la napoletanità, la persona, ancora la lettura. Per “Reader’s Bench” ci rilascia questa intervista in cui si confessa nel pieno di un percorso che l’ha portata a far conoscere grandi poeti al grande pubblico, persino a pubblicare per prima un grande autore turco in “odore” di Nobel. Luigia, è nato prima l’uomo o Olimpia? Chi, cosa è Olimpia? La voce di una donna che ritorna in un luogo d’origine. Si parte dalla cavità oscura di un antro, da un luogo di creazione, e da lì inizia un percorso che si snoda nelle varie sezioni del libro. In “Olimpia” tutti i segni sono percepiti alla luce di un’origine, nella luce di un’essenza primaria. In questo senso potrei risponderti che lo stadio della poesia, l’universo della poesia, precede la nascita dell’essere umano. A quale tua raccolta poetica sei più legata? Sicuramente a “Olimpia”. Credo sia la mia opera più unitaria, e, a quanto pare, chiede di essere ascoltata perché raduna intorno a sé l’ascolto. Come ha scritto Milo De Angelis nella prefazione, esprime un tempo assoluto. Ti domanderai: quando il tempo è assoluto? Quando contiene ogni tempo. Cioè quando la narrazione non sta più nel tempo che viviamo oggi, ma fuori o sopra il tempo, e quindi, in una dimensione che ha superato il limite del poprio tempo. In “Olimpia” tutto è già accaduto. Il passato, il presente e il futuro sono rinchiusi nel piccolo spazio di queste poesie.

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Cos’è per te poesia? Quando è entrata nella tua vita? Quando ho iniziato a percepire il mondo attraverso l’utero di mia madre. Sentivo le voci, i rumori della casa, mi cullavo nel liquido amniotico del ventre materno, mi sedevo, mi alzavo, mi stendevo, insieme a lei. Il mondo esterno era sotto o sopra di noi, e questo riparo mi dava una sensazione di piacere assoluto. Sentivo il battito del cuore di mia madre, fortissimo, mi piaceva sentirla ridere, interagire con le persone. Mi trovavo in uno spazio ideale, luminoso, iridescente, dal quale non avrei mai voluto uscire.

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ESIA »

a cura di Simone di Biasio

Luigia Sorrentino è nata a Napoli dove ha studiato laureandosi in Giurisprudenza. Attrice della Bottega Teatrale di Firenze di Vittorio Gassman, ha preso parte a diversi spettacoli di prosa, a film per la televisione e a cortometraggi.

altri e lo fa suo. Il poeta mai: scrive il testo e sa che non dovrà mai interpretarlo, perché nelle parole scritte c’è già tutto.

So che sei stata per diverso tempo attrice: quanto il teatro, la recitazione apportano alla scrittura, specie se in versi? Non c’è un vero legame. Anzi, direi che un buon attore deve essere una persona duttile, capace di misurarsi con diversi aspetti del carattere dei protagonisti che interpreta. Io, in questo, non ero brava. Non riuscivo a uscire dalla dimensione poetica. Tant’è che Claudio Puglisi, insegnante alla Bottega di Vittorio Gassman, mi diceva che avevo un’indole già molto definita che non si confaceva al mestiere dell’attrice. Mi diceva che ero più poeta che attrice. L’attrice legge un copione scritto da

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Hai ideato per la Rai il primo blog in assoluto dedicato completamente alla poesia. È un’idea felice? Che risultati avete oggi, dopo 3 anni di esperienza? I risultati del blog sono ottimi, come potrai capire, anche perché altrimenti la Rai non me lo avrebbe lasciato per così tanto tempo. Credo che in qualche misura il primo blog di poesia della Rai abbia cambiato, in una minima percentuale, anche l’orientamento “culturale” dell’azienda. È stato un privilegio per me aver potuto realizzare per la televisione italiana e per il sito web di Rainews24 interviste con poeti sconosciuti alla massa, qui in Italia, come Seamous Heaney, Adam Zagajewskij, Mark Strand, Julia Hartwig, Derek Walcott, Orhan Pamuk, quest’ultimo intervistato prima che vincesse il Nobel, esattamente diciannove giorni prima, a Napoli. Nessuno poteva immaginare che uno scrittore turco potesse vincere il Nobel. Ebbene, grazie alla mia perspicacia, la Rai è stata l’unica televisione italiana ad avere l’intervista televisiva esclusiva a Orhan Pamuk il giorno nel quale gli veniva consegnato il Nobel per la Letteratura. L’intervista è stata trasmessa da tutti i telegiornali della Rai. Mi sento di dire, inoltre, che il blog ha “aiutato” la vera poesia a ritornare sul grande schermo. Operazione che poi ho continuato alla Radio, luogo perfetto d’ascolto. Hai ideato e condotto due programmi su Radio Uno, prima “Per il verso giusto”, poi “Notti d’autore”. Il primo andava in onda all’alba, il secondo dopo le 23. Perché i programmi sono stati collocati in orari così difficili per l’ascolto? C’è qualcosa della crisi dell’editoria e della lettura?

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intervista

a tu per tu

Gli orari scelti dalla Rai per mandare in onda un determinato programma non sono un ostacolo, anche perché nell’era di Internet, con il podcast, tutto è riascoltabile sempre. Credo che oggi in Italia si legga poco perché c’è troppo protagonismo. Tutti vogliono ‘partecipare’, anche quando non si hanno gli strumenti. Credo che si pubblichi troppo e, spesso, libri di scarsa qualità. Il fatto che negli autogrill si trovino certi libri e non altri, ti fa capire il mercato com’è orientato: verso ‘robetta’. La poesia, per fortuna, non c’è negli autogrill. Se vuoi leggerla devi cercarla. La crisi dell’editoria comunque è stata investita dalla crisi economica europea, e, io aggiungerei, dalla caduta dell’occidente. Il discorso, però, si fa complesso… Di quale autore conservi il ricordo più nitido? Chi ti ha lasciato l’insegnamento migliore? Eugenio Montale. Mi aiutava molto leggere le sue poesie quando studiavo Giurisprudenza all’Università. Senza le sue poesie sarei impazzita. Ho amato anche la foga di Breton, i suoi primi (per me) segni d’amore. È stato lui a farmi capire da giovanissima il rapporto tra l’arte visiva e la poesia. Sei napoletana come Paolo Sorrentino (omonimia), che ha appena vinto l’Oscar come migliore film straniero per “La grande bellezza”. Una pellicola con tanta poesia, a mio umile giudizio. Un riscatto per l’Italia oppure una occasione per mostrare ancora 70

al mondo la bellezza e la poesia sprecate da noi stessi? È un film dal linguaggio semplice per chi conosce il mondo dei segni. E poi anche divertente, ironico. Eppure dalla metà degli italiani non è stato compreso. Gli italiani non amano i propri difetti, non amano guard a r s i , riconoscersi. Il Pudae omnihil iquostiatium aute male pegdebitis rae et giore degli inverrumqui isinum, quos quaecta quamus, italiani, optae cuptam, arum per me, è sa dolori re laci assequatem. Nam lat non esseoptatur, ulla verum re più in fugit oditia Archictiis ni ratus quiscia quam grado di veliquis volorem leggere ‘i poriasincta quamus adit rem et et de niet segni’ che voluptatur? ti arrivano Reperitiur remquate pero maximin dall’estervendundandi ulluptate no così qui ium ditiis arcilitae come facevano le antiche popolazioni che ci hanno preceduto. Non siamo più intuitivi. Abbiamo dimenticato la lezione dei padri, degli antichi maestri. Il film di Sorrentino dice una cosa fondamentale: non si può sprecare la propria vita, il proprio tempo, senza accorgersi della Bellezza, perché il proprio tempo è sacro, proprio come la Bellezza, ed è brevissimo. La Bellezza, quindi, coincide con il sacro, con il piccolo luogo che ci è stato affidato. È in quel luogo sacro sul quale cammini che devi cercare la Bellezza. Chi non la vede, o finge di non vederla come qualcosa che gli appartiene, trascura la propria vita. La Bellezza è come la poesia: è compito e vigilia.

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YOUNG WRITERS fantastica con l’arrivo ad aprile di Campania Mortis di Ivan Zippo. Per la saggistica un’attenzione particolare alla he cos’è Young musica con Nessuna Speranza, Writers? Il blog nessuna paura di Dario torre targato Reader’s e Emozioni vestite di rosa di Bench dedicato Giada de Lillo, che analizza il agli scrittori emergenti, un successo del genere chick lit. piccolo punto di riferimento E proprio alle giovani autrici di per gli autori alle prime armi. romanzi rosa si rivolge l’appello Nell’attesa che l’attività del blog della casa editrice, alla ricerca riprenda, ci prendiamo lo spazio della sua prossima autrice. offerto dal magazine per parlarvi Inviare la propria proposta di una casa editrice No Eap. editoriale è facile ed è possibile Milena Edizioni, casa editrice attraverso la mail: selezione. partenopea, nasce a gennaio milenaedizioni@gmail.com. 2013 e subito si presenta La distribuzione, come per attraverso il suo sito (www. qualsiasi piccola casa editrice, è milenaedizioni.it) con un’idea a macchia di leopardo ma copre ben chiara in testa: fare libri quasi tutto il territorio nazionale. di qualità senza chiedere alcun I libri Milena Edizioni possono compenso agli scrittori. essere facilmente ordinabili ed Si specializza immediatamente acquistabili anche sul sito della nella saggistica e nella narrativa, casa editrice. con un occhio particolare a quella Il cuore centrale della giovane femminile, reclutando scrittori casa editrice è sicuramente anche alle prime armi. la narrativa. Abbiamo avuto Con l’approvazione di Writer’s la possibilità di leggere e Dream (il sito numero uno in presentare a Roma, Gabbiani Italia dove troverete pareri Luminosi di Manola Aramini. ed opinioni sulle case editrici Un libro interessante e italiane), Milena Edizioni originale, in alcuni tratti fin si presenta come una buona troppo didascalico, che tenta opportunità per chi vorrebbe di raccontare la vita della vedere pubblicato il proprio romanzo. Nel suo catalogo: narrativa contemporanea, letteratura erotica, letteratura

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protagonista, Costanza, donna anziana sul finire della sua vita, i fatti e gli incontri della sua esistenza sullo sfondo degli ultimi 70 anni di storia italiana. Un romanzo ambizioso in cui si ritrova anche un pizzico di realismo magico all’Allende che di certo non deluderà le ammiratrici del genere. Stiamo leggenda per voi Isole di Teresa Gammauta, l’ultima pubblicazione per la narrativa, che racconta la storia di Paola, in fuga da un passato solo all’apparenza perfetto e del suo incontro con Andrea su di un’isola che sembra proprio quella di Salina nelle Eolie. Il tutto si arricchisce dalle illustrazioni di Pippo Madè. Ennesimo tentativo italiano d’imitazione del genere anglosassone del romanzo rosa o vera reinterpretazione in salsa italiana? Vi sapremo dire, intanto se siete alla ricerca di una casa editrice che via dia la giusta attenzione non potete perdere l’occasione di conoscere il mondo Milena Edizioni. Intervisteremo al più presto i direttori editoriali, restate incollati anche alla panchina di Young Writers!

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Nelle sale a

PRIMAVERA a cura di Francesca Cerutti

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os’hanno in serbo per noi le sale cinematografiche durante i mesi di aprile e maggio? Ecco a voi la lista di quello che attendiamo e che ci incuriosisce. Aprile sarà al sapore di The Special Need di Carlo Zoratti, un film drammatico che racconterà la vicenda di un ragazzo autistico, Mister Morgan di Sandra Nettelbeck, regista di Ricette d’amore, vedrà sul grande schermo il meraviglioso Michael Caine nel ruolo di un anziano professore americano che si trasferisce a Parigi dopo la morte della moglie e proprio in questa città conoscerà un’altra donna sola, Pauline, un incontro fondamentale per la vita dell’anziano docente. Oculus di Mike Flanagan, film horror, ci racconterà la vicenda di due fratelli orfani che saranno testimoni di un omicidio tramite uno specchio maledetto, pellicola interessante per il titolo e la locandina provocanti sarà Gigolò per caso, diretto da John Turturro, nel suo cast brillano i nomi dello stesso Turturro, Woody Allen e Sharon Stone. Per il genere fantascienza potremo

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vedere Trascendence di Wally Pisfter, tra i protagonisti Johnny Deep e l’intramontabile Morgan Freeman, un film che racconterà la storia di un ricercatore alle prese con la creazione dell’intelligenza artificiale. Proseguiamo la lista dei film attesi questa primavera citando anche il curioso Onirica – Field of Dogs, film polacco diretto da Lech Majewski, una storia d’amore basata su una rilettura in chiave contemporanea dell’opera letteraria chiave della nostra letteratura: La Divina Commedia. Dante apprezzerà l’ennesima creazione ispirata al suo capolavoro? Tra i film più attesi di aprile è inevitabile ricordare The Amazing Spider-Man 2, secondo capitolo del nuovo Uomo Ragno di Marc Webb. Confermato nel ruolo di Peter Parker il bravissimo, e le fanciulle potrebbero aggiungere bellissimo, Andrew Garfield e per la gioia dei fanciulli al suo fianco ci sarà nuovamente Emma Stone nei panni di Gwen. Aprile verrà ricordato però per un film a lungo chiacchierato, la nuova creazione di Lars von

Trier, Nymphomaniac che uscirà in due volumi, il primo suddiviso in 5 capitoli e il secondo in 3. Ancora prima della sua uscita, già in molti gridavano allo scandalo e in Italia sembrava non avere possibilità di essere distribuito, invece arriverà nelle nostre sale: sarà apprezzato? Al pubblico l’ardua sentenza! Dopo un excursus sui film di aprile, passiamo a maggio e tutte le sue proposte per il grande schermo. Nicole Holofcener, una delle registe della fortunata serie Sex and the City, sarà al cinema con Non dico altro, un film drammatico dalle tinte rosa. Per il genere biografico e soprattutto per gli amanti di Grace Kelly, in sala ci sarà Grace di Monaco, che promette di essere strutturato sulla falsa riga del Discorso del Re, riuscirà ad eguagliarlo? Certo, non sarà semplice. Fumetti anche a maggio con una nuova avventura della serie degli X Men dal titolo X-Men: Giorni di un futuro passato, diretta da Bryan Singer, presenti nel cast Jennifer Lawrence, Michael Fassbender, James McAvoy e Ian

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news

cinema

McKellen. Attesissimo poi è il nuovo film di casa Disney, Maleficent di Robert Stromberg, la storia della strega Malefica, antagonista della Bella Addormentata, uno dei più cattivi personaggi della Disney, ancora più spaventosa e malefica di Crudelia Demon, a interpretarla sarà una irriconoscibile Angelina Jolie. Riuscirà la terribile strega a giustificare la sua malvagità, come fatto Gregory Maguire con il libro Strega: cronache dal mondo di Oz in rivolta, evidente tentativo di riscattare la terribile strega dell’ovest del Mago di Oz? Promette una storia toccante il

film cinese di Chen Zhuo, Song of Silence, che narrerà la vicenda di un’adolescente sordomuta affidata alla madre dopo il divorzio dei genitori. Per concludere anche maggio avrà il suo film di fantascienza, si tratta di Edge of Tomorrow di Doug Liman con Tom Cruise, Emili Blunt e Bill Paxton, un live action dell’omonimo romanzo scritto da Hiroshi Sakurazaka. Avete preparato i pop corn? Non vi resta che correre in sala!

Disney ha reso disponibili un nuovo full trailer, una nuova locandina e un set di foto del fantasy live-action Maleficent, esordio alla regia dello scenografo Robert Stromberg con protagonista una fascinosa Angelina Jolie

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sommario

Il doppiatore è… marzo 2014

Doppiatore è l’attore che esegue il doppiaggio interpretando, nel rispetto del contenuto artistico originale e del sincronismo ritmico labiale, i personaggi di opere cinematografiche assimilate straniere ovvero di produzioni nazionali da postsincronizzare al fine di indurre nella lingua di destinazione lo spirito dell’opera. Inoltre realizza i testi per le lavorazioni in oversound. Questa è la definizione del “doppiatore” secondo il Contratto Collettivo del Doppiaggio. Niente di strano. Strano, forse, è il pensiero della gente comune. Quale? “Er doppiaggio nun ce piace, mejo l’origginale”. Giuro che è questo il pensiero di diverse persone interpellate per riflesso. Dice: “Il doppiaggio è un’arte”. E so’ d’accordo. E aggiungo: una gran bella arte italiana. 74

Non perché sia nata nella nostra penisola. Ma perché i doppiatori tricolori sono i più bravi. “Doppiami! L’altra voce degli attori” raccoglie tutto il lavoro che sta dietro, davanti e ai lati del doppiaggio. Uomini compresi. Strano? No, niente di strano manco qua. I doppiatori sono uomini. I doppiatori sono esseri umani. Un po’ chiusi nel loro essere personaggi vocali e restii nell’accogliere alla professione nuove giovani anime. Ma pur sempre umani. Il lavoro raccolto nelle 136 pagine viene diviso per parti definite: l’arte del doppiaggio compresa del passaggio ierioggi; l’adattamento; il direttore del doppiaggio; la segretaria di doppiaggio (o assistente); il fonico; i doppiatori (brusio, righe, colonna separata); amici e nemici del doppiaggio; come diventare doppiatori. Tutto raccolto e descritto in modalità dettagliata con tanto di apparizioni grafiche dell’autore, tale Giuseppe Ferrara, professione regista e esperto cinematografico. In questa breve “recensione” (NB. Il virgolettato sta per

dire che recensire un libro sul doppiaggio è come fare lo radiografia a una pannocchia) voglio evidenziare qualche riga di scrittura al punto “come diventare doppiatori”. E Ferrara dice: “Come in tutti gli ambienti italiani (ma anche nel mondo) di lavoro, la “raccomandazione” e la conoscenza diretta dei principali “responsabili” sono alla base del successo, dando tuttavia per scontato che la voce del doppiatore sia eufonica, non abbia cadenze dialettali, sia rapida, trovi il sinc con facilità, e abbia indubbie qualità recitative.”. Alt: per fare il doppiatore pare che tu debba essere raccomandato. Di nuovo: alt: non è così. Per fare il doppiatore devi sapere fare il doppiatore. Dice: “Grazie al razzo!”. Il punto è che per fare il doppiatore qualcuno deve darti la possibilità di farlo. E chi se non il direttore del doppiaggio? Ma questo rischia il posto se tu, giovane provetto, non ricavi il risultato buono voluto. E allora ci sono i provini. Ma il tempo è tiranno. E pure la produzione che ha acquistato il prodotto da doppiare. Dice: “Come funziona

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il provino?”. “Vai in sala di doppiaggio, bussi alla porta e chiedi, con educazione, sei puoi essere provinato. E assisti ai turni dei professionisti” (NB. Il virgolettato sta per dire che a me i doppiatori veri, quelli fatti di carne e ossa, hanno sempre detto così). E allora vai in sala di doppiaggio. E ti butti e ti fiondi e metti da parte la paura di sbagliare, di “non essere all’altezza” (NB. Come sopra e sopra). E ecco che se hai studiato, hai qualità e pure un santo in paradiso terrestre forse potrai diventare un doppiatore. Dice: “E il libro, il libro?”. Caro mio, hai letto ciò che ho scritto? È tutto (quasi) riportato tra le pagine. Ma dovrai perdonarmi se c’ho messo pure un pensiero mio. Un pensiero in divenire. Oggi, domani; non si sa: lo sto doppiando.

Daniele Campanari

“aspirante doppiatore da provinare” (NB. Ti sia concesso il senso soggettivo delle virgolette) Scheda libro Doppiami! L’altra voce degli attori pagg 136 – effequ editore – 12 euro

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DELL’AMORE E ALTRI DEMONI...DEL LATO OSCURO. a cuira di Danylù Louliette Kazham

verso Padmè, mentre la ferita per la mancanza della madre diventa preoccupazione e ossessione. Sogni premonitori disturbano la quiete del Padawan che rivela di non aver mai realmente superato la prima prova reale del cammino, che conduce verso la piena padronanza d e l l a Forza. La paura invade i pensieri di Anakin. L’incontro con Padmè rivela i sentimenti che il ragazzo ha coltivato negli anni, li dichiara alla Senatrice Amidala e va contro una delle regole del codice Jedi. Allo stesso tempo decide di dare ascolto ai suoi presentimenti, si reca su Tatooine, cerca la madre e la trova morente in un campo di Sabipodi che stermina senza pietà, comprese donne e bambini. Il seme del lato oscuro inizia a germogliare, annebbiando la

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“LA PAURA È LA VIA PER IL LATO OSCURO. LA PAURA PORTA ALLA RABBIA, LA RABBIA PORTA ALL’ODIO, L’ODIO ALLA SOFFERENZA.”

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Conosciamo tutti o quasi, la storia d’amore tra Anakin Skywalker e Padmè Amidala. Una delle storie amorose più romantiche e intense della galassia. L’affetto di Anakin nasce in tenera età, quando ancora bambino incontra Padmè su Tatooine, credendola la giovane ancella della regina di Naboo. Riconosciute nel giovane Skywalker, spiccate doti nell’uso della forza, il maestro Qui-Gon Jinn decide di portarlo con se presso il Consiglio Jedi su Coruscant. Anakin deve però rinunciare all’affetto della madre, che rimane su Tatooine. Questo evento procura una grossa frattura nel ragazzo che compie il suo primo passo da Jedi: la rinuncia agli affetti. In questo contesto c’è sempre la figura della giovane Padmè, che con dolcezza consola il bambino dalla sofferenza per la rinuncia della genitrice. Agli occhi di Anakin, Padmè è madre e donna. Per lei costruisce un monile (che lei terrà sempre fino alla morte). Con queste premesse è facile capire l’attaccamento che il Padawan nutre verso la Regina di Naboo in seguito Senatrice. Passano gli anni e l’affetto e l’ammirazione di bambino si trasformano in attrazione e amore

sua vista e mescolandosi nel suo cuore, all’amore per Padmè. Una frase celebre che Anakin dice a Padmè: “Tu mi sei entrata nell’anima che si tortura per te. Che devo fare?”,dimostra ancora una volta come l’amore di Anakin non sia libero e scevro da emozioni negative. L’anima del ragazzo è in pena. Si tortura. La sua vita è costellata da eventi che dimostrano quanto la lotta tra lato chiaro e lato oscuro imperversa nel suo intimo. Una delle sue frasi celebri: “La vita sembra più facile quando riesci ad aggiustare qualcosa” fa intravedere lo stato interiore di Anakin, il suo bisogno di riparare, la paura verso le difficoltà e gli eventi che non riesce a controllare. E nello stesso tempo la sua grande arroganza lo porta a sentirsi onnipotente come si palesa in questo dialogo con il suo maestro: Obi-Wan: “Se tu ti esercitassi di più con la spada invece di fare lo spiritoso eguaglieresti il maestro Yoda in bravura!” Anakin: “Pensavo di averlo già eguagliato…!” Obi-Wan: “Nella tua fantasia mio giovane apprendista…!” Dunque troviamo un uomo spaventato le cui manie di grandezza cercano forse di colmare le sue insicurezze. E poi l’amore verso questa gran-

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star wars

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de donna: regina, guerriera e senatrice, che cede al suo amore mantenendo sempre saldi i suoi ideali. Padmè è l’esempio della retta via, anche se nel gioco di Palpatine è stata cieca ogni altro dire, la sua condotta è sempre stata impeccabile e prima di ogni cosa ha sempre pensato al bene della galassia. Se ne deduce che il suo amore è puro, scevro da possessione, paura e insicurezze. L’amore di Anakin invece, è carico di terrore di perdere la sua amata, presentimenti, sogni premonitori. Proprio mentre la sua vita con la Senatrice Amidala sembra serena e addirittura in attesa di un figlio, ecco che le premonizioni diventano sempre più allarmanti, la paura di Anakin cresce a dismisura e il lato Oscuro rinasce con più forza e vigore. Inutili sono le rassicurazioni di Padmè, Anakin sembra cieco dinnanzi a tutto, e dimentica la sua missione, la galassia, l’Ordine Jedi, i suoi ideali. E’ proprio in questa fase che lui segna l’inizio della fine. Tradisce Padmè alleandosi con Palpatine, credendo scioccamente alle sue promesse. Accetta di passare al lato oscuro pur di salvare la vita della sua donna e del figlio che porta in grembo. Non comprende affatto le sue visioni, non riesce a interpretare le

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sue premonizioni. Segna lui stesso la fine del suo amore, la morte della sua donna, della Repubblica e con lui e il dolore inizia un’epoca di oscurantismo chiamata Impero. In uno degli ultimi dialoghi è chiara la follia di Skywalker: Padmè: all I want is your love.(tutto quello che voglio è il tuo amore) Anakin Skywalker: Love won’t save you, Padmè. Only my new powers can do that!(L’amore non ti salverà Padmè. Solo i miei nuovi poteri possono farlo!) Padmé: But at what cost? You’re a good person, don’t do this!(Ma a quale costo? Tu eri una brava persona, non farlo!) Anakin Skywalker: I won’t lose you the way I lost my mother. I am becoming more powerful than any Jedi has ever dreamed of, and I’m doing it for you. To protect you.(Non voglio perderti allo stesso modo in cui persi mia madre. inizio a sentirmi più potente, molto più di quanto qualsiasi Jedi abbia mai sognato. E lo sto facendo per te. Per proteggerti.) La viltà e l’egoismo di Anakin raggiungono l’apice, nel momento in cui tenta di soffocare Padmè con le sue mani e rifiutando le parole di lei. Questa tragica storia d’amore ha segnato profondamente la storia della galassia che ha subito in

seguito, vent’anni di tirannia da parte di un Imperatore (signore dei Sith). Alla fine le premonizionie le paure di Skywalker erano esatte, il problema reale è stato il non riuscire a capire che il pericolo da cui proteggere la sua amata era egli stesso. Padmè infine si lascia morire di tristezza, stringendo tra le mani il monile che il piccolo Anakin le aveva donato. Entrambi dimostrano di non essere all’altezza degli ideali e delle mete che si erano prefissi. Se davanti alla follia di suo marito, Padmè resiste e asserisce di non voler tradire la Galassia, di fatti poi non riesce a mantenere salda la sua parola poichè non solo priva il consiglio di una Senatrice, ma rinuncia persino a crescere il frutto del suo amore con Anakin: Leia e Luke. Anakin - Darth Vader dimostra inoltre quanto il suo amore fosse offuscato e diluito da sentimenti che sono all’opposto sia dell’amore stesso che della compassione e delle leggi del cammino Jedi. Se letta nella maniera corretta questa storia potrebbe essere da monito e insegnamento per molti. Che la Forza sia con Voi.

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