Urban Hyper-Metabolism

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URBAN HYPER-METABOLISM

A CURA DI MAURIZIO CARTA BARBARA LINO

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Progetto grafico di Sara Marini e Vincenza Santangelo Copyright © MMXV ARACNE editrice int.le S.r.l. www.aracneeditrice.it info@aracneeditrice.it via Quarto Negroni, 15 00040 Ariccia (06) 93781065 ISBN 978-88-548-8654-4 I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’Editore.

Il volume contiene ricerche condotte nell’ambito del PRIN 2011 “Re-cycle Italy. Nuovi cicli di vita per architetture e infrastrutture della città e del paesaggio” e del progetto di Ateneo finanziato dal FFR 2012 dell’Università degli Studi di Palermo. I edizione: luglio 2015

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PRIN 2013/2016 PROGETTI DI RICERCA DI INTERESSE NAZIONALE

Unità di Ricerca Università IUAV di Venezia Università degli Studi di Trento Politecnico di Milano Politecnico di Torino Università degli Studi di Genova Università degli Studi di Roma “La Sapienza” Università degli Studi di Napoli “Federico II” Università degli Studi di Palermo Università degli Studi “Mediterranea” di Reggio Calabria Università degli Studi “G. d’Annunzio” Chieti-Pescara Università degli Studi di Camerino

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INDICE

INTRODUZIONE Urban Hyper-Metabolism: un paradigma dirompente Maurizio Carta

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Oltre Oreto Leoluca Orlando

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Cultura del progetto e responsabilità Francesco Miceli

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PMO/Re-verse. Un’occasione di riflessione sullo sviluppo urbano ed economico Fabio Sanfratello

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NUOVI METABOLISMI URBANI Re-cycling Urbanism nell’era circolare Maurizio Carta

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Il futuro delle città: fra rammendo, innesto e riciclo Renato Bocchi

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Storie dall’Heritage. Il tempo della lumaca Sara Marini

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A new metabolism of cities Carlo Gasparrini

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Re-Cost Coast Manuel Gausa

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Oltre la metropoli del Novecento? Mosè Ricci

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Metabolismo urbano per progettare il futuro della città Michelangelo Russo

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RE-ACTIVATING CITIES La città dei cassonetti Rosario Pavia

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ReActionCity. Un progetto di innovazione sociale urbana per la città metropolitana di Reggio Calabria Consuelo Nava

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Dialogo su Farm Cultural Park Annalisa Contato e Andrea Bartoli

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Libellula vs Tirannosauro? Activating city: non è la specie più forte a sopravvivere Carmelo Zappulla

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Rosalio e la comunità palermitana, un caso di multiblog locale a Palermo Tony Siino

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Sharing economy e innovazione territoriale Michelangelo Pavia

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PALERMO COSTA SUD Riflessioni a margine del lungomare di Palermo Marcella Aprile

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“Non c’è forma che non si trasformi”. Palermo, città come esperimento Vincenzo Melluso

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Palermo Costa Sud: futuri prossimi a coordinata 0,0,0 Daniele Ronsivalle

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Palermo Costa Sud. Metamorfosi urbane del patrimonio culturale Alessandra Badami

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Letture per Palermo Costa Sud: contesto e complessità Giuseppina Farina

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Il luogo della sfida Mario Chiavetta

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HYPER-CYCLING COSTA SUD Iper-strategie del riciclo: Cityforming © Protocol Maurizio Carta

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Vecchie e nuove visioni per Palermo. Uno sguardo rivolto a Sud Barbara Lino

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GREEN GATEWAY/AGRIFAB CITY

Costa Sud Palermo. Processi di riciclo territoriale Massimo Angrilli

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PMO/Re-verse, Disassembling “Costa Sud” Enrico Formato

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Dalla città al territorio Luigi Pintacuda

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Come together Antonio Biancucci

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Re-green, la Costa Sud come parco lineare urbano Sebastiano Provenzano

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BLUE GATEWAY/FLUID CITY

Palermo Blue/Green Gateway. Nove porte per la Knowledge City Giuseppe Marsala

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Riflessioni-opportunità-progetti-città Oriol Capdevila

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Tattiche di agopuntura adattiva Annalisa Contato

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Blue Cycle + Green Cycle = Palermo Fluid City Marco Scarpinato

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Un episodio urbano di transito Claudio Schifani

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BROWN INFRASTRUCTURE/ADAPTIVE CITY

Il capitale del riciclo Andrea Gritti

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Il riciclo come strategia etica per il paesaggio: alcune brevi riflessioni Vincenzo Bagnato

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Re-siedère: ricucire la città per tornare ad abitare Gioacchino De Simone

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Re-cycle Community Marco Ingrassia

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Risvegli Carmelo Galati Tardanico

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Gli autori

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INTRODUZIONE

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Palermo. Costa Sud. (Foto di Jessica Smeralda Oliva).

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URBAN HYPERMETABOLISM: UN PARADIGMA DIROMPENTE Maurizio Carta >UNIPA

L’Urban Metabolism, dopo anni di oblio causati da una ipertrofia dello sviluppo che ha separato le componenti della città (suolo, acqua, energia, mobilità) per impacchettarle in progetti di riqualificazione simili ai “titoli tossici” di una urbanistica subprime, torna oggi protagonista di una dimensione ecosofica dello sviluppo, strumento proattivo per ripensare la città contemporanea, per reimmaginare l’urbanistica e per riattivare la qualità della vita entro un nuovo progetto di futuro. Come ogni riscoperta, tuttavia, il metabolismo urbano si carica di retoriche che rischiano di anestetizzarne il valore generativo, confinandolo spesso tra le vuote retoriche del linguaggio disciplinare. Serve quindi un’azione rigeneratrice del concetto, che lo liberi dalla dimensione puramente funzionale, per consegnarlo alla più adeguata dimensione ecosistemica: un “iper-metabolismo” multiplo, fisico e sociale, culturale ed economico, insediativo e produttivo, locale e metropolitano, urbano e rurale. L’Urban Hyper-Metabolism, a cui è dedicato questo volume, è capace di generare nuova energia a partire dai cicli territoriali ancora attivi e da quelli latenti, di riattivare quelli interrotti e di farne nascere di nuovi dalla metamorfosi metropolitana che stiamo vivendo, in cui i cicli urbani si fondono con quelli rurali, i flussi di servizi

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sono supportati dalle reti di cittadinanza attiva, i cicli produttivi tornano ad alimentare la vitalità delle città, lo spazio fisico si illumina della intelligenza digitale. E di metabolismi si parla molto in questo libro: funzionali, energetici, ecologici, produttivi, sociali e culturali. Se ne parla come metodo e come metafora, se ne propongono visioni olistiche e tattiche locali, si immaginano e progettano nuovi cicli vitali. Ma l’iper-metabolismo di cui parliamo non è la sua versione “ipertrofica”, tutt’altro! L’iper-metabolismo è un paradigma dirompente per l’urbanistica e la pianificazione, è un potente selettore di strategie e di progetti, agisce scegliendo i cicli da riattivare prima di altri perché capaci di alimentarne di nuovi, quelli da connettere per amplificarne gli effetti rigenerativi e quelli da recuperare dalle aporie dello sviluppo che ne hanno dimenticato il valore. L’iper-metabolismo urbano è quindi incrementale, strategico, reticolare, opensource, fondato sul riciclo e sulla resilienza, come dimostreremo nelle pagine seguenti. Agisce sui fattori vitali delle aree in declino, non per ricucire i rammendi di tessuti ormai in necrosi, ma rigenerando il tessuto come nuove e potenti cellule staminali coltivate in una soluzione di qualità, di identità, di sensibilità e di etica dello sviluppo. L’iper-metabolismo urbano è un progetto di città che ricompone e rende collaborativi i cicli dell’edilizia, dell’acqua, dell’energia, dei rifiuti, della mobilità, dei servizi, dell’ambiente e della produzione. Il nuovo iper-metabolismo urbano ha bisogno prima di tutto di nuovi sguardi che facciano emergere le preziose riserve di resilienza dal palinsesto delle città che si trovano ad affrontare le proteiche crisi in cui siamo immersi. Ha bisogno di nuovi urbanisti che progettino le città come organismi in metamorfosi, piuttosto che come cadaveri da resuscitare, agendo attraverso progetti acceleratori sui frammenti di paesaggio agrario, sui lacerti infrastrutturali, sui quartieri in riciclo funzionale, sulle armature di drosscapes, sugli arcipelaghi sociali in ebollizione partecipativa e sui microcosmi manifatturieri in fermento produttivo. Ha bisogno di nuovi amministratori che agiscano sui luoghi della città inversa: sulle periferie in transizione, sui quartieri industriali in ristrutturazione, sulle aree portuali e ferroviarie in fase di riciclo infrastrutturale. Luoghi lontani dai centri propulsori del modello urbano compulsivo, consumatore di suolo e di risorse, in cui sono stati preservati valori comunitari, paesaggistici e identitari. È soprattutto nei nuovi quartieri della marginalità stigmatizzata che può ripartire una città che sappia rimettere in gioco i suoi capitali dopo essere guarita dalla drammatica tossicodipendenza, da un’urbani-

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stica della rendita che ne ha anestetizzato la capacità di immaginare, di progettare, di radicare e di guidare. Nelle aree urbane in crisi, in declino o ritardo evolutivo l’iper-metabolismo genera l’impulso per un riavvio endogeno, autosufficiente, a bassa intensità di costi, incrementale e ricorsivo, utilizzando i processi urbanistici e i dispositivi progettuali del Cityforming© Protocol, di cui descriveremo i principi, le procedure e i dispositivi. Tutto questo è stato il Workshop PMO/Re-verse Hyper-cycling “Costa Sud”, svoltosi a Palermo nel settembre 2014, di cui questo volume raccoglie le premesse metodologiche e gli esiti progettuali. Una sfida collettiva per ripartire dalla geografia inversa della città, per riattivare i numerosi cicli interrotti, latenti, impliciti o dimenticati che strutturano la Costa Sud di Palermo. In un’ottica metropolitana e rur-urbana, sulla Costa Sud abbiamo sperimentato un’azione strategica di hyper-cycling, una successione di riavvii di cicli vitali capaci di attivare progressivamente tutte le risorse, materiali e immateriali, generando un potente urban bootstrapping capace di far partire un processo auto-sostenibile ricorsivo. Il workshop è stata una iniziativa di progettazione urbanistica ma anche di politica urbana e di innovazione sociale prodotta nell’ambito del PRIN “Re-cycle Italy”, coordinato da Renato Bocchi, e promossa dall’UdR di Palermo insieme al Comune di Palermo, l’ANCE Palermo e l’Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti, Conservatori della Provincia di Palermo. Insieme a Barbara Lino, che ha curato con me questo volume, componendone il senso e i percorsi narrativi degli esiti, ringraziamo tutti coloro che hanno arricchito i lavori, e questo libro, della loro competenza, esperienza e passione. L’occasione è preziosa e non va sprecata, perché la Costa Sud è oggetto di tensioni e trasformazioni, di attenzioni e infrastrutturazioni e potrebbe fungere da progetto-pilota per l’intera città, anche in un’ottica metropolitana. Il piano strategico e il nuovo piano regolatore generale, il tram e la zona franca urbana, il piano d’uso del demanio marittimo e la spiaggia urbana, le pedonalizzazioni e l’iscrizione nella WHL dell’Unesco, il social housing e il riuso delle aree dismesse, nonché i nuovi rapporti metropolitani con gli altri comuni sono temi che qui trovano concentrazione, ma sono altrettanto paradigmatici della Palermo Metropoli. I nuovi iper-metabolismi che emergeranno tra Sant’Erasmo e Acqua dei Corsari, Brancaccio e Ciaculli non saranno solo funzionali, infrastrutturali o urbanistici, ma interverranno sugli stili di vita, sui modi d’uso del territorio e sulle forme di comunità per uno sviluppo che torni a guardare a Sud.

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Palermo. Costa Sud. (Foto di Jessica Smeralda Oliva).

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OLTRE ORETO Leoluca Orlando >SINDACO DI PALERMO

Per troppi anni Palermo ha registrato la condizione di marginalità dell’Oltre Oreto così come dell’oltre Circonvallazione. Un fiume e una strada hanno, per troppi anni, costituito linea di demarcazione e indicazione di emarginazione nella vita cittadina. Dedicare attenzione a queste porzioni del tessuto urbano è strategia della Amministrazione Comunale, insediatasi nel 2012, la quale ha scelto con chiarezza la strada di agire contemporaneamente sulla cornice e sui tasselli del “mosaico” Palermo. La Costa Sud, con i suoi 7 chilometri, è parte significativa dell’Oltre Oreto, con straordinarie ma inespresse potenzialità, tassello significativo che potrà fornire indicazioni preziose ad altre parti di città. Il completamento della rete fognaria (ormai tutto approvato, finanziato e con relativi lavori in corso di realizzazione o aggiudicazione) costituisce la precondizione della riqualificazione, realizzando, di intesa con le Amministrazioni di Monreale ed Altofonte, la bonifica della Valle e del fiume Oreto, e in definitiva la corretta fruibilità e la piena balneabilità della intera Costa Sud. La riqualificazione è già stata, in questi ultimi due anni, avviata in parallelo con l’inaugurazione dell’Ecomuseo del Mare, nell’antico deposito locomotive di Sant’Erasmo, e con la realizzazione di una delle

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tre linee di tram della città (con la costruzione di un nuovo ponte di attraversamento del fiume), collocando nell’area di Roccella, accanto a grandi strutture commerciali, un Hub strategico a servizio del sistema di trasporti di ingresso e dentro la città (sistema definito con il completamento, in fase assai avanzata, del c.d. Passante Ferroviario Punta Raisi/Cefalù e i collegamenti al c.d. Anello Ferroviario nella restante parte del territorio comunale). Nella riqualificazione della intera area, sia pure in prospettiva medio-lunga, si dovrà tener conto del progetto di Metropolitana Automatica Leggera (Oreto/Notarbartolo e poi Notarbartolo/Mondello), il cui progetto – negli ultimi due anni – ha superato positivamente valutazioni tecniche e finanziarie, con conferma di intervento statale e regionale. La massiccia revisione – nel già recentemente approvato Piano Urbano Traffico – di piste ciclabili darà un ulteriore contributo alla vivibilità e al più vasto programma cittadino di mobilità sostenibile. La individuazione, e ormai concreta operatività, nella stessa area urbana, di una Zona Franca Urbana costituisce un significativo impulso alle attività economiche, servite dal completamento entro i primi mesi del 2015 della bretella di collegamento alla Circonvallazione. La localizzazione, proprio nella Costa Sud, di un Acquario, oggetto di un intervento previsto in finanza di progetto, potrà fornire ulteriori ragioni di attrattività della intera più vasta area urbana tra Costa, Oreto e Circonvallazione. Nel Piano Utilizzo Demanio Marittimo circa quattro (su sette) chilometri di Costa Sud sono destinati a concessioni a privati per attività economiche legate alla fruizione di mare e costa; così ancora riveste grande importanza la presenza di un grande e moderno albergo che svolge in atto e potrebbe continuare parimenti a svolgere in futuro un significativo contributo e impulso di riqualificazione urbana e sviluppo economico, anche a seguito della trasformazione in Residenza per studenti universitari. Nella stessa area è prevista la riqualificazione dell’ex Mattatoio Comunale, per il quale si ipotizza, tra l’altro, la realizzazione di un grande Centro Culturale Islamico attorno ad una Moschea. La valorizzazione del c.d. Solarium proprio sulla Costa Sud del quale l’Amministrazione Comunale intende riprendere competenza e responsabilità e il pieno recupero, ad opera anche della Amministrazione Regionale, dell’area del Castello di Maredolce possono essere occasione ulteriore di corretto utilizzo del patrimonio culturale dell’Oltre Oreto. La riqualificazione punta, altresì, su circa 130 milioni di euro di progetti, tutti già conformi a

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previsioni approvate dal Consiglio Comunale, inseriti del programma PON Metro (Programmazione Europea 2014/2020), e relativi per una metà circa a innovazione tecnologica di edificazione e urbanizzazioni esistenti e per l’altra metà ad inclusione sociale. Sono questi alcuni tra i tanti interventi che confermano la scelta strategica della attuale Amministrazione Comunale e che sono stati oggetto di analisi e di riferimento per ulteriori integrazioni e suggerimenti nel corso del workshop PMO/Re-verse.

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Palermo. (Foto di Barbara Lino).

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CULTURA DEL PROGETTO E RESPONSABILITÀ Francesco Miceli >PRESIDENTE ORDINE APPC PALERMO

È del tutto normale che le città riflettano su se stesse, sulla loro capacità di soddisfare i nuovi bisogni sociali e sulla loro ricerca di vivere in spazi urbani in grado di cogliere le innovazioni e nuovi modelli di aggregazione. La città è il luogo, oserei dire il segno tangibile, della capacità espressa, da una società in divenire, di governare la trasformazione/transizione. Il segno della trasformazione è dato dalla peculiare virtù di comprendere ciò che occorre cambiare per rispondere alle nuove domande di organizzazione della vita urbana, già perché le città sono un concentrato di azioni vitali, luoghi eminentemente destinati allo scambio delle relazioni ed alla costruzione di una condizione identitaria. Il percorso delle trasformazioni, ancorché giunto ad un processo di transizione, è quasi sempre denso di conflitti e contraddizioni. Nel senso che un progetto di trasformazione urbana, più o meno esteso, deve fare i conti con la realtà effettiva delle cose, con le sedimentazioni, frutto di processi sviluppati in un lungo tempo, che hanno di fatto bloccato l’innovazione, cioè l’apertura verso processi di rigenerazione. La città, così come ogni organismo vivente, non può fare a meno di rigenerarsi, di prendere in considerazione, in particolari momenti della sua vita, un diverso punto di vista del modello urbano. Le dinamiche

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sociali, le scelte politiche ed urbanistiche devono essere ricondotte alla costruzione di un diverso rapporto tra città e cittadini attraverso la costruzione di elementi di coesione. Il binomio città-cittadini è un binomio indissolubile da cui non si può prescindere. In buona sostanza la moderna vita urbana, frutto di trasformazioni intelligenti, non può fare a meno della coesione sociale: concetto che esprime la cifra della contemporaneità. Ne derivano da queste premesse alcune fondamentali considerazioni. La prima: un progetto di trasformazione urbana non può aversi senza una consapevole partecipazione da parte degli attori urbani ed in primo luogo dei cittadini. Qualunque scelta non condivisa mostrerà, prima o poi, effetti collaterali e segni inequivocabili di fallimento. Per cui s’impone la necessità oggettiva che la trasformazione e la rigenerazione urbana siano accompagnate da un reale processo partecipativo (urbanistica partecipata) e che tale processo debba essere supportato da una adeguata strategia di informazione e comunicazione. Per cui si può affermare, senza tema di smentita, che prima di progettare le trasformazioni urbane occorre progettare i luoghi della partecipazione e la strategia della condivisione delle scelte. Progettare e rinnovare la città è, in buona sostanza, un esercizio dialettico collettivo volto a ricercare un equilibrio tra i sistemi generali e gli effetti che si producono in ambito locale. E per il rispetto dei criteri di partecipazione svolge un ruolo insostituibile la governance. La seconda considerazione: un progetto di trasformazione urbana deve essere parte di una strategia più generale; è finita la fase populista imperniata su scelte occasionali in funzione della costruzione di un vacuo consenso. Una fase questa che impiegava risorse sulla base di criteri discrezionali o volti a soddisfare interessi particolari non sempre coincidenti con gli interessi della collettività. Quella stagione è finita da tempo, la contemporaneità richiede strategie vere e soluzioni non abborracciate ma coerenti e condivise. Dovremmo avviare un progetto di rinnovamento urbano secondo una visione strategica in grado di prefigurare obiettivi concreti e fondata sulla “misura”, in quanto solo ciò che è misurabile si può cambiare e/o rigenerare. Strategia e progetto di conoscenza sono i due fattori portanti di ogni progetto di trasformazione urbana. Terza considerazione: partecipazione e strategia devono coniugarsi con la cultura del progetto, la cui assenza è generatrice di guasti a volte irreparabili. La cultura del progetto è l’altra faccia della strategia, insieme costituiscono le basi principali su cui fondare la trasformazione urbana.

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Mettere al centro la cultura di progetto vuol dire produrre effetti di profondo cambiamento culturale, significa cambiare il punto di vista da cui, fino adesso, abbiamo guardato il mondo. Le tre considerazioni esposte rappresentano un contributo sul “metodo”, le avvertenze necessarie per procedere secondo una visione unitaria indirizzata verso lo sviluppo qualitativo della città, ed in grado di migliorare sostanzialmente il metabolismo che la caratterizza. Palermo ha bisogno di procedure nella riscoperta delle sue risorse affinchè possano essere comprese in un disegno unitario, l’esclusione di nuove forme di espansione urbana, ipotesi di lavoro questa irrinunciabile, porta a privilegiare gli interventi nella città attraverso operazioni di trasformazione finalizzate alla riorganizzazione ecologica, ambientale ed urbanistica sia delle aree libere che di quelle dismesse e sottoutilizzate. Il fronte a mare, la Costa Sud e più in generale il rapporto tra la città ed il suo mare, sono temi centrali per un progetto innovativo di rigenerazione urbana che tiene conto delle criticità. Le contraddizioni del rapporto tra il mare e la città si ripercuotono sull’intero sistema urbano. Il margine tra città e mare, indipendentemente dalla sua configurazione morfologica e territoriale, rappresenta la sua condizione di eterna periferia: degrado, abbandono ed usi impropri determinano l’urgenza di provvedere, la presenza di pulsioni sia sociali che economiche richiede, ormai da tempo, una corretta ed efficace terapia. Gli interventi devono essere calibrati alla scala del progetto, una città vista da terra e non dall’alto, una scala in cui è possibile misurare la qualità degli interventi ed il rapporto con il contesto urbano e territoriale. Ambiente e paesaggi costituiscono il capitale naturale di cui disponiamo, un capitale misurabile, che deve essere posto al centro di qualunque proposta progettuale in quanto parte essenziale delle dinamiche urbane, oggi atrofizzate per assenza di valore, incongrue funzioni ed effetti di occlusione e abbandono. Non possiamo permetterci il lusso di affidarci ad improvvisazioni compulsive. Palermo ha bisogno di cura e di attenzione, non può aspettare e rimanere relegata in un limbo senza uscita. È il momento di fare le scelte e di utilizzare le risorse finanziarie europee con sapienza e responsabilità. Rimuovere l’attuale stato di insipienza comporta, sia una rinnovata cultura di progetto, sia una buona dose di creatività e le condizioni in atto presenti ci fanno sperare nella possibilità di aprire una nuova fase, di scrivere una nuova pagina della storia urbana della città mettendo in campo uno sforzo collettivo e impegnando le intelligenze e i saperi innovativi di cui disponiamo.

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Palermo. Palazzo Forcella de Seta. Sede ANCE Palermo e sede delle attivitĂ del workshop. (Foto di Annalisa Contato).

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PMO/RE-VERSE. UN’OCCASIONE DI RIFLESSIONE SULLO SVILUPPO URBANO ED ECONOMICO Fabio Sanfratello >PRESIDENTE ANCE PALERMO

Che la riqualificazione organica e strutturata del patrimonio immobiliare del nostro Paese rappresenti una priorità per garantire ambienti urbani più vivibili, con minori consumi energetici e più adeguati alle esigenze dei cittadini è argomento ampiamente condiviso. Che occorre mettere un serio freno al consumo di suolo, legando lo sviluppo alla necessità di preservare il territorio, anch’essa, è opinione ormai penetrata anche in settori tradizionalmente restii. Che tutto ciò può costituire un importante volano economico per il settore delle costruzioni, in grado di attivare realmente il credito e le partnership con i privati, è un ragionamento che, da un po’ di tempo, ormai, la nostra Associazione va sostenendo in tutte le sedi. Ripetere, pertanto, tali considerazioni in questa sede, soprattutto di fronte ad interlocutori così qualificati, sarebbe inutile, oltre che presuntuoso. La manifestazione PMO/Re-verse Hyper-cycling “Costa Sud” ci offre, invece, l’occasione di fare un passo avanti in questo ragionamento e di mettere un tassello fondamentale verso l’affermazione di una diversa visione. Essa costituisce occasione pubblica di riflessione in un momento di rielaborazione del PRG e propone progetti e scenari di mutamento compatibili

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con le nuove esigenze e sensibilità, verso una riqualificazione urbana capace di integrare la dimensione della sostenibilità economica e del partenariato pubblico/privato con le sfide di una città più creativa, ecologica e intelligente. Questa riflessione sul PRG mi sembra un’occasione da non sprecare: il PRG è uno strumento vecchio, che nasce 70 anni fa per regolare l’espansione urbana e per dotare le città dei servizi e delle infrastrutture, e che, nei casi in cui è stato correttamente utilizzato, ha prodotto città ordinate e vivibili. Esso però è uno strumento i cui contenuti e le cui procedure sono rigidamente stabilite dalla legge, ragion per cui, per esempio, abbiamo letto che il Comune di Palermo sta costituendo un apposito ufficio dotato delle competenze di urbanisti, agronomi, geologi, giuristi, economisti, ecc., in modo da rispondere alle varie prescrizioni dettate dalle norme. Ma tutto ciò potrebbe rivelarsi inutile e andare nella direzione opposta ai ragionamenti che stiamo facendo in questa sede. Vorrei fare due esempi. Lo studio agronomico-forestale e lo studio geologico, propedeutici all’elaborazione del PRG, servono, rispettivamente, ad individuare le aree interessate da colture pregiate e le aree geologicamente instabili, in modo da evitare che vengano interessate da nuova edificazione. Ora, se l’obiettivo è quello di ridurre drasticamente il consumo di suolo e non intaccare le aree inedificate, che utilità avranno questi studi? Analogamente, il nuovo PRG dovrà verificare se le quantità delle aree per scuole, edifici pubblici, parcheggi, ecc. (i cosiddetti standard fissati dalle norme) siano sufficienti e, in caso contrario, individuarle e vincolarle. Dovranno, inoltre, essere riapposti i vincoli sulle aree, attualmente inedificate, ma già destinate ad attrezzature. Anche in questo caso, a che serve continuare nella finzione di avere aree disponibili per servizi e attrezzature, dal momento che non verranno mai utilizzate (e che faremo di tutto affinché non vengano utilizzate)? Al superamento dello strumento PRG dovrà, però, corrispondere l’individuazione di strumenti nuovi e di nuove modalità di intervento. Tutto ciò, ovviamente, necessita, anche, di una nuova legge urbanistica nazionale, della quale si sta in questo momento discorrendo, e di una nuova legge urbanistica regionale, possibilmente coerente con la prima, e della quale, purtroppo, non si vede ancora nulla. Occorrerà, in ogni caso, superare alcuni tabù, a cominciare da quello del-

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la demolizione e ricostruzione: molto spesso capiterà di dover abbattere qualche edificio e realizzare contestualmente scuole, asili, negozi e centri culturali, magari con volumetrie superiori. Di ciò dovrà farsi una ragione certo ambientalismo “romantico” nostrano, il quale tollera (o si compiace) della realizzazione di un quartiere con decine di villette con la buganvillea ed i gerani alle finestre, ma inorridisce se la stessa volumetria, per esempio, viene concentrata in un edificio a torre, che lascia a verde la equivalente superficie. Credo che questa riflessione possa essere molto utile, anche per evitare che il PRG diventi l’alibi per rinviare alcune iniziative di rigenerazione urbana che potrebbero, invece, essere avviate subito e che potrebbero essere l’occasione per dare un po’ di respiro al nostro comparto.

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NUOVI METABOLISMI URBANI

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Palermo. Costa Sud. (Foto di Jessica Smeralda Oliva).

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RE-CYCLING URBANISM NELL’ERA CIRCOLARE Maurizio Carta >UNIPA

Re-immaginare l’urbanistica L’Occidente industrializzato, da un trentennio, vive affetto da una vera e propria seduzione – quasi una perversa Sindrome di Stendhal – nei confronti di un modello di sviluppo dopato dalla finanza pubblica, anestetizzato dalle aporie sulla crescita infinita e consolato dall'illusione della crescita in debito. Chi prima di altri ne ha intravisto le distorsioni e ne ha criticato gli effetti è stato relegato ai margini del dibattito pubblico fino a che la Grande Crisi del 2007 non ne ha rivelato l’accuratezza della visione e l’attualità delle proposte. Negli Stati Uniti il modello espansivo ha prodotto lo sprawl suburbano e la drammatica polarizzazione tra metropoli e città rurali con la conseguenza della desertificazione urbana nella sempre più ampia fascia della Rust Belt della dismissione industriale e la drammatica contrazione di città come Detroit, Philadelphia, Cleveland e Baltimora1. In Europa il modello ha prodotto un sistema insediativo caratterizzato da una costante erosione di risorse urbane, di cui quella del suolo è la sineddoche più evidente: dalla metà degli anni Cinquanta la superficie totale delle aree urbane è aumentata del 78% mentre la crescita demografica

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PARADIGMS

CREATIVE RE-CYCLE

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Re-cycle Urbanism Paradigms.

[© M. Carta, 2015]

RE-NOWN RE-TICULAR RE-THINK RE-SILIENCE RE-SPONSIBLE RE-MOTE RE-MAKE

LANDSCAPE

drosscapes

SHUKÄSS reuse

interpretation

ecological network

branding upcycling

CITY

reversing city

opensource city

crowdsourcing

urban metabolism

cloud governance

retrVÄ[[PUN

urban centers

adaptive spaces

living lab

hub spaces

INFRASTRUCTURES DISTRICTS

waterfront regeneration

energy district

ZLSM Z\MÄJPLU[ ISVJR

urban acupuncture

smart grid

cultural districts

gateway city

metropolitan archipelago

creative ecosystem

SOCIAL INNOVATION

sharing economy

cyber-physical spaces

co-working/co-housing

social innovation centers

city apps

talents

MAKERS

urban DIY/DIT

fablab

social streets

urban farms


è stata di appena il 33%, con un’accelerazione del 9% fra il 1990 e il 2006. Abbiamo tradito la nostra tradizione insediativa urbano-rurale, erodendo la capacità degli insediamenti urbani di intrattenere una relazione osmotica con il territorio rurale, sedando la capacità produttiva e generativa della manifattura. Abbiamo dimenticato il valore rigenerativo della manutenzione edilizia e sottovalutato la qualità del palinsesto storico della nostra armatura urbana2. Per contrastare il modello erosivo e dissipativo, da quasi un decennio la Commissione Europea è impegnata a favorire un uso più sostenibile del suolo3, attuando azioni concrete per mitigare gli effetti negativi dell’impermeabilizzazione e per riattivare i cicli osmotici delle acque e della vegetazione, nuove blue and green infrastructures dello sviluppo. Ma nel 2010 l’obiettivo generale di revisione dello sviluppo è diventato, grazie anche all’impulso della European Climate Foundation, una precisa Roadmap verso un’Europa efficiente nell’impiego delle risorse, nella quale si propone il traguardo di un incremento dell’occupazione netta di suolo pari a zero da raggiungere entro il 20504. Se vogliamo cogliere le opportunità della metamorfosi che la crisi ci richiede e le politiche europee ci offrono, l’urbanistica e la pianificazione territoriale – ma anche l’architettura e il design – devono saper affrontare la sfida della revisione di paradigmi, protocolli e strumenti per progettare città non consumatrici, per riattivare i capitali geografici, culturali e umani, per garantire nuove forme di convergenza tra sostenibilità culturale, economica, ambientale e sociale. Pianificare nell’era della metamorfosi ci impone di capire che siamo di fronte ad un salto di innovazione che deve ampliare il campo d’azione dell’urbanistica, che ne deve rivedere i paradigmi cognitivi e interpretativi, ma soprattutto che deve ristrutturare gli strumenti di azione, progettuali e normativi. Ho già scritto che siamo di fronte alla nascita di un Re-cycling Urbanism di cui ho iniziato a indagare le genealogie, a riconoscere le epistemologie e a definire i protocolli in Reimagining Urbanism5. La Commissione Europea indica chiaramente che uno sviluppo più intelligente, sostenibile e competitivo richiede un salto di paradigma in cui il territorio venga inteso quale risorsa primaria, considerandolo un detentore di “cellule di sviluppo” troppo spesso sottoutilizzate o mistificate rispetto alle reali potenzialità d’uso6. Alle città progettate e costruite sulla rendita fondiaria – su cui l’Italia ha fatto scuola – occorre sostituire le città della redditività sociale e culturale, della generazione di valore e della produzione di lavoro. Città che riciclano il suolo già utilizzato per evitare di

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disperderne l’energia, città più intelligenti, non solo in senso tecnologico, ma nel senso di città più sapienti e capaci di attivare intelligenze collettive, città più dialogiche e condivise e quindi più responsabili. La strategia europea contenuta in Horizon 2020 – riprendendo analoghi indirizzi statunitensi – indica chiaramente la necessità di utilizzare il potenziale delle “miniere delle città” (le aree, le infrastrutture e gli edifici dismessi), adattando le nuove politiche urbane all’approccio del ciclo di vita (Life Cycle Assessment): dall’approvvigionamento delle materie prime (il suolo e i contenitori dismessi) alla fine del ciclo (i nuovi usi e funzioni), utilizzando il minimo di energia e risorse, anzi riattivando l’energia latente. La questione non riguarda solo il riutilizzo dei materiali, degli spazi, degli edifici o dei rottami urbani, quanto invece la necessità di definire un paradigma del rinnovo dei cicli, cioè il re-cycle come rigenerazione – architettonica, culturale, sociale ed economica – degli insediamenti urbani attraverso una immissione in nuovi cicli di vita dei complessi urbani, dei tessuti insediativi e delle reti infrastrutturali in dismissione, in mutamento o in riduzione funzionale. Re-ciclare le città, per sperimentare una crescita senza espansione e uno sviluppo senza consumo, vuol dire non solo utilizzare le macerie/materie delle miniere delle città in metamorfosi di sviluppo, ma vuol dire agire sulla innovazione degli stili/cicli di vita, sui comportamenti/valori e soprattutto sulla regolazione/progettazione dei re-insediamenti. Nel Re-cycling Urbanism le risorse dello scarto, i residui di sviluppo e le dismissioni funzionali possono concorrere in maniera più creativa e meno erosiva a ridisegnare il modo con cui ci muoviamo, per chiudere i cicli energetici, per ritessere rapporti creativi con l’ambiente, per produrre nuovo paesaggio e per alimentare culture insediative capaci non solo di attivare nuovi metabolismi urbani, ma anche di reagire proattivamente agli scenari di declino. Le città come motori ecologici dell’economia circolare Le città dovranno agire entro un nuovo capitalismo frutto della innovazione della terza rivoluzione industriale e delle start-up, dell’azione dei makers e della metamorfosi della circular economy, un capitalismo più responsabile e capace di rimodellare gli obiettivi della produzione dei beni materiali e immateriali, ma soprattutto capace di ripensare il modello insediativo: un nuovo pensiero olistico che produca riusi, ricicli ed evoluzioni

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creative7. L’impegno degli amministratori, degli urbanisti, degli architetti, dei cittadini e delle imprese sarà quello di lavorare su insediamenti urbani caratterizzati dalla eccedenza e sovrapproduzione di complessi urbani in mutamento, tessuti insediativi in dismissione e reti infrastrutturali in trasformazione, i quali dovranno essere affrontati attraverso azioni di modifica, di rimozione o di reinvenzione grazie a cui le componenti vengono ricreate, senza distruggerle ma mutandone le funzioni perseguendo un’ottica generativa e aumentando la loro resilienza creativa. Riciclo non è solo una delle principali parole chiave dell’azione progettuale dell’urbanistica, dell’architettura e del design, ma è uno dei più potenti pensieri-guida per la trasformazione da una economia lineare dissipativa ad una “economia circolare” rigenerativa per città e paesaggi che vogliano percorrere la strada della sostenibilità, della qualità e della creatività. In un’economia circolare i flussi di materiali sono di due tipi: quelli biologici, in grado di essere reintegrati nella biosfera, e quelli tecnici, destinati ad essere valorizzati entro un sistema in cui tutte le attività, a partire dall’estrazione e dalla produzione, sono organizzate in modo che i rifiuti di una fase diventino risorse per la successiva. Secondo i principi dell’economia circolare nulla è un rifiuto, e tutto quello che viene scartato da un processo di produzione è la materia prima per un altro processo produttivo. La stessa progettazione del prodotto dovrebbe essere basata sulle sue possibilità di smontarne le parti e riutilizzarle attraverso successivi cicli produttivi basati sulla cooperazione di filiera e su nuove reti produttive: un più creativo “riciclo programmato” al posto della consumistica “obsolescenza programmata”. Infine, l’economia circolare postula il passaggio dalla proprietà del prodotto al suo utilizzo, con il minor impatto ambientale possibile. Questi principi sollevano la questione fondamentale di quanto il riciclo dei materiali, dei prodotti semilavorati, degli scarti, dei prodotti alla fine del ciclo di utilizzo e della biomassa potrebbe contribuire all’incremento di un PIL più responsabile e meno erosivo, perché il valore della produzione verrebbe mantenuto più a lungo attraverso il riutilizzo e, ove possibile, l’up-cycling, innescando un nuovo ciclo di prosperità sostenibile (nuovi servizi, combinazione di nuovi prodotti, minore impatto ambientale e tossicità). Il movimento della Circular Growth ambisce a cambiare il sistema lineare corrente su cui si basa la nostra società industriale in un sistema ciclico, sostituendo al processo “produrre, usare e gettare”, un più fertile “produrre, utilizzare e riutiliz-

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zare”8. Nell’economia circolare la responsabilità urbanistica per città che tornino a essere accoglienti per le persone, attrattive per le idee, generative per le imprese e solidali per gli arcipelaghi di comunità impone di attuare azioni concrete per garantire un nuovo equilibrio tra rurale, urbano e urbanizzabile, tra trame paesaggistiche e orditi infrastrutturali, non solo ponendo limiti al consumo di suolo ma soprattutto stimolando, incentivando e premiando il riutilizzo delle zone già urbanizzate e la densificazione delle funzioni. Pianificare città nell’era del re-ciclo urbano significa rifiutare la consolazione di un approccio molecolare e accettare la sfida dell’approccio ecosistemico, organico, e farsi guidare da una nuova visione che sia lungimirante per guardare lontano nell’orizzonte dell’innovazione, ma anche capace di riguardare indietro recuperando sapienze, rituali e pratiche. Servono anche paradigmi efficaci e progetti concreti intesi come impegni che devono agire per un’urbanistica che sappia influire sul metabolismo urbano, ricombinando il codice genetico contenuto nelle aree da riciclare, spesso frammentato o indebolito, ma ancora in grado di generare nuovo tessuto urbano se riattivato da nuova energia vitale. Non basta quindi immettere la sensibilità al riciclo nei tradizionali processi di progettazione urbana e territoriale, ma serve una innovazione dirompente dei paradigmi, dei processi e degli strumenti urbanistici: serve quindi il Re-cycling Urbanism come approccio progettuale ecosistemico basato su un salto di paradigma, poiché deve agire contemporaneamente sia sui materiali produttivi in disuso e in dismissione (le aree in deindustrializzazione o le manifatture erose dalla crisi), sia su quelli logistici (le aree ferroviarie e portuali in contrazione o in ristrutturazione funzionale) o militari (le grandi caserme urbane o gli aeroporti militari), e sugli spazi abitativi nelle aree marginali della città dispersa o su quelli lasciati vuoti dalla città in contrazione. Il Re-cycling Urbanism lavora non solo sulle loro potenzialità materiali (aree, cubature, infrastrutture) ma soprattutto su quelle legate alle memorie e alle identità contenute nelle aree da riciclare. È da queste aree che le città del nuovo secolo dovranno produrre nuova “intelligenza urbana”, a partire dalla riscrittura di “righe di codice” dismesse (le funzioni), “banchi di memoria” non utilizzati (le aree), routine urbane ancora efficienti (le infrastrutture). Tutti materiali urbani ancora con tracce di vitalità, che già oggi in molte pratiche si offrono come risorse per la progettazione ecologica e il guerrilla gardening, infrastrutture per la slow mobility, impegni per il crowdsourcing e spazi per la smart citizenship.

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Riciclare la città significa quindi abbandonare la tradizionale logica erosiva per adottare un nuovo “sistema operativo dello sviluppo” – non più chiuso ma opensource – capace di generare una città più sostenibile, più responsabile ma anche più creativa, capace di ripensare modelli di comunità urbana per reinventare le forme dell’insediamento, a partire dalla ri-attivazione dei capitali urbani in dismissione, in mutamento, in crisi. Una città intelligente capace di ridisegnare il modo con cui ci muoviamo, di ritessere rapporti creativi con l’ambiente e il paesaggio e di alimentare la produzione di culture insediative urbane, in grado di riattivare gli organi vitali della città e i suoi cicli di vita, ma anche di reagire agli scenari di declino. Le città del futuro, soprattutto le città medie mediterranee – vero antidoto alle megalopoli mondiali – dovranno agire entro un nuovo capitalismo che operi non più come un set lineare di istruzioni finanziarie ma come un sistema evolutivo e circolare che si reinventa e si rinvigorisce attraverso la crisi, e capace di fornire una guida dei processi insediativi attraverso una forte integrazione con la sostenibilità ecologica, con la pianificazione territoriale, con la gestione dell’uso dei suoli, con l’efficienza energetica, con la progettazione di morfologie senza sottrarsi dalla produzione di valore. Il nuovo sistema operativo urbano abbandonerà il codice lineare delle obsolete 3R (risorse pubbliche, rendita, regolazione) per adottare quello circolare delle nuove 3R: riciclo, resilienza, riattivazione. Ma perché non rimangano un inefficace mantra e siano capaci di generare nuove pratiche progettuali e dispositivi urbani, esse dovranno essere inserite entro un rinnovato “ecosistema urbanistico”. Sette paradigmi del Re-cycling Urbanism Per chi si occupa della ricerca di un nuovo ecosistema urbanistico, sono ormai numerose le evidenze empiriche che fanno riconoscere la presenza di una urbanistica del riciclo creativo (Creative Re-cycling Urbanism), e per ordinarle ho elaborato una mappa concettuale (ancora una beta version) come un diagramma di flussi che rappresenti le ramificazioni e le evidenze di ognuno dei sette principali rami paradigmatici (Figura pag. 30): il paradigma dell’identità (RE-NOWN), il paradigma del policentrismo (RETICULAR), il paradigma della conoscenza (RE-THINK), il paradigma della resilienza (RE-SILIENCE), il paradigma della democrazia (RE-SPONSIBLE), il paradigma della condivisione (RE-MOTE), il paradigma della rigenerazione (RE-MAKE). Per definirne le tracce, gli indizi latenti e le sperimentazioni

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in atto, per ognuno dei paradigmi ho definito in che modo, con quali azioni concrete e attraverso quali progetti si intercettino le domande di re-ciclo ai diversi livelli del paesaggio e delle aree periurbane (landscape), delle città e dei sistemi urbani (city), delle infrastrutture e delle reti (infrastructures), dei quartieri, degli edifici e degli spazi pubblici (districts), dell’innovazione sociale (social innovation) e degli artigiani digitali (makers), identificando le ramificazioni, le ascendenze e le discendenze utili a tracciare una mappa per orientarci e per guidare le successive sperimentazioni. RE-NOWN è il paradigma dell’identità, capace di aumentare la “reputazione” urbana attraverso una maggiore identificazione degli abitanti e users. Il primo livello a cui agisce è la città, la quale attraverso gli ecosistemi creativi torna a essere un fattore educativo della comunità e occasione di conoscenza e formazione (Marseille, Euroméditerranée). Al livello infrastrutturale assistiamo ad interventi di branding up-cycling di viadotti o di ferrovie dismesse che si arricchiscono di azioni di marketing urbano per potenziarne l’azione rigenerativa (New York, Lowline Park; Zurich, IM Viadukt; Atlanta, Beltline). Al livello dell’architettura e dello spazio pubblico sono i distretti culturali che sempre più spesso rielaborano nuove forme, luoghi e relazioni che contengano e connettano i flussi di informazione e comunicazione che la città genera con sempre maggiore frequenza, portata e velocità, soprattutto a partire dalle sue risorse culturali latenti (Favara, Farm Cultural Park). Infine, l’innovazione sociale è implementata e accelerata dal ruolo dei talenti nella riattivazione delle città, sia nella riqualificazione degli spazi che nella notorietà e reputazione delle città (Barcelona, Mapa del Talent; Palermo, Mappa dei Talenti). RE-TICULAR è il paradigma del policentrismo, proteso verso l’impegno di creare nuovi nodi di aggregazione sociale che fluidifichino gli insediamenti, utilizzando luoghi in mutamento e riutilizzati per occasioni di socialità come nuovi attivatori. Agisce in primo luogo sul paesaggio, ripristinando le reti ecologiche in un’ottica progettuale che ridefinisce funzioni e modi d’uso delle componenti naturali e antropiche, ripristinando i reticoli della produzione agricola che hanno strutturato nei secoli il paesaggio, recuperando vecchie tratte ferroviarie, rinaturalizzando infrastrutture in disuso e riattivando funzioni agricole (Netherlands, Natuurbrug Zanderij Crailo Ecoduct). Al livello delle città e delle infrastrutture, sono gli arcipelaghi metropolitani che accelerano l’affermazione di nuovi valori sovralocali che permettano di attivare nuovi cicli semantici sulle aree in trasformazione

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e in dismissione delle città in transizione dall’egoismo locale ad una dimensione reticolare e policentrica (Randstadt Holland; Poland Reticular Strategy). In particolare al livello infrastrutturale appartengono le gateway cities, le città-porta del sistema globale che fungono da hub nella riattivazione di cicli locali attingendo alle energie prodotte dai flussi globali (Amsterdam, Rotterdam, Barcelona). La conseguenza al livello del quartiere è la proliferazione di hub spaces che agevolano la localizzazione di ambienti urbani strutturati in arcipelaghi di poli competitivi nei diversi campi dello sviluppo, con l’impegno di aiutare le nuove imprese del terziario avanzato o del manifatturiero urbano a rivitalizzare i nodi urbani agevolandone la localizzazione in aree di riciclo a più basso costo insediativo (Impact Hub Global Network; Bari, The Hub; Nantes, Hub Créatic). RE-THINK è il paradigma delle nuove forme di conoscenza, in grado di agire sulla comunicazione urbana, pianificando occasioni e progettando luoghi in cui le conoscenze del sistema urbano escano dagli specialismi e diventino conoscenza diffusa, competenza intersoggettiva e nuovo pensiero collettivo, diventando materiale concreto per il patto di convivenza delle popolazioni urbane e per il conseguente patto di sviluppo. Appartengono a questo paradigma le ormai consolidate esperienze statunitensi e francesi di interpretation, le quali hanno generato una diffusione di piani di interpretazione dei paesaggi naturali e culturali per guidare la fruizione dell’armatura culturale riattivandone i cicli della conoscenza, dell’educazione e del turismo sostenibile (Site Unesco du Pont du Garde nella Région Languedoc-Roussillon). A livello urbano le politiche di sviluppo sostenibile stanno definendo e consolidando una vera e propria cloud governance che mette a sistema la conoscenza diffusa e prodotta costantemente dalla popolazione e dagli attori locali per produrre un nuovo sistema integrato di sensori e attuatori che renda più efficaci e meno dissipative le politiche urbane (Office for Civic Innovation a San Francisco). Un prodotto a livello di quartiere sono i living labs che sempre più spesso animano le città offrendo luoghi per stimolare l’innovazione aperta e condivisa, integrando il sapere tecnico, i processi innovativi e la domanda sociale con il partenariato pubblico-privato (Barcelona, Sant Cugat LOW3; Paris, Centquatre). L’innovazione sociale viene stimolata dalla continua produzione di city apps per smartphone e per dispositivi mobili e indossabili che stanno rivoluzionando il rapporto tra domanda e risposta, tra sensori e attuatori, tra cittadinanza attiva e amministrazioni proattive (Renurban; Boskoi per

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Palermo è una delle prime città su cui si stanno sperimentando i paradigmi e i dispositivi progettuali dell’urbanistica per il riciclo, agendo in maniera proattiva sulle risorse dello scarto, sui residui di sviluppo e sulle dismissioni infrastrutturali. La mappa “inversa”di Palermo restituisce una geografia dei cicli di vita urbani interrotti da ablazioni e cesure, dei cicli idrici e vegetali frammentati dai sogni malsani di una urbanistica della crescita indifferente, dei cicli infrastrutturali e produttivi abbandonati dalla fuga precipitosa da traiettorie di sviluppo troppo fragili per consolidarsi. I drosscapes e i brownfields, il palinsesto dei cicli blu e verdi ci restituiscono una geografia inversa della città, disegnando una armatura di possibilità e offrendo riserve di resilienza, di permeabilità, di laminazione e di energia rinnovabile. Le piccole e numerose aree di riciclo e le più grandi aree pilota di hyper-cycling del Mercato Ortofrutticolo, del Molo Trapezoidale, del Gasometro e del Macello possono concorrere in maniera più creativa e meno erosiva a ridisegnare il modo con cui abitiamo e produciamo, nelle nuove forme condivise, e ci muoviamo. Sono i connettori indispensabili per chiudere i cicli energetici e per ritessere rapporti creativi con l’ambiente. Sono le cellule naturali per produrre nuovo paesaggio e per alimentare culture insediative capaci non solo di attivare nuovi metabolismi urbani, ma soprattutto di reagire proattivamente agli scenari di declino proponendo un salto evolutivo da Sud. (Elaborazione grafica di Barbara Lino).

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la mappatura dei paesaggi commestibili; Twitter Mapping di Eric Fischer). RE-SILIENCE è il paradigma della resilienza e della sostenibilità ambientale che ci spinge ad adottare un atteggiamento elastico e dialogico in cui la flessibilità delle funzioni, la permeabilità degli spazi e l’adattabilità degli insediamenti non vengano più affrontati come problemi puramente concettuali e spaziali, ma vengano messi in relazione con il portato sociale, economico e tecnologico che oggi entra a far parte della costruzione della città, diventando temi/strumenti/norme del progetto della “resilienza” urbana. Sono sempre più frequenti i nuovi paesaggi peri-urbani prodotti dal riciclo delle discariche come nuovi sistemi vitali capaci di produrre luoghi del loisir e generatori di energia proveniente dal ciclo dei rifiuti (New York, Freshkills Park). Il paradigma della resilienza produce pratiche, genera quartieri o intere città con un nuovo metabolismo urbano, capaci di gestire meglio i cambiamenti climatici o mutamenti idrogeologici, capaci di assorbire le inondazioni producendo nuove forme urbane liquide, soprattutto degli spazi pubblici. L’acqua, ad esempio, anche quando alluvionale o inondante, diventa materia di progetto per essere assorbita da parchi, strade e piazze permeabili, sia per alleviare il sistema fognario sia per creare nuovi spazi collettivi legati all’acqua e che respirano con essa (Rotterdam Urban Metabolism; Copenaghen, Saint-Kjelds Climate Adaptation District; New York, BIG U project). Il livello infrastrutturale è oggetto di pratiche di resilienza puntuale attraverso il UHWUR±WWLQJ delle strade, delle aree ferroviarie, dei sistemi fognari e delle acque per renderle più adeguate alle esigenze di efficienza energetica e alle sfide dei cambiamenti climatici. Al medesimo livello appartengono le sperimentazioni di agopuntura urbana per riattivare i cicli vitali dei quartieri in declino o in stasi. La riattivazione dei capitali urbani può avvenire facendo leva su piccoli punti di pressione nelle città, dando luogo a un riverbero positivo in grado di investire ampie aree, percorrendo i reticoli funzionali, infrastrutturali, culturali e sociali delle città (Curitiba: le strategie di agopuntura applicate alla città sono state utilizzate come la soluzione ottimale per risolvere le criticità della città contemporanea e le hanno consentito di vincere nel 2010 il Globe Sustainable City Award). I nuovi spazi urbani adattivi sono l’esito sempre più frequente dell’evoluzione del tactical urbanism in cui la riattivazione alla micro-scala e attraverso micro-attori delle risorse urbane viene privilegiata rispetto a programmi di larga scala che prevedono l’utilizzo di ingenti capitali. I nuovi spazi che riadattano le aree e gli edifici

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dismessi della città in transizione concorrono anche a fornire risposte a una potente domanda di resilienza sociale che produce la realizzazione nei quartieri, nelle comunità di veri e propri centri di innovazione sociale che agevolano la condivisione di spazi e competenze per incrementare la responsabilizzazione nei confronti delle nuove sfide del futuro (New York, Centre for Social Innovation), nonché la nascita di vere e proprie fattorie urbane che riportano l’agricoltura in città oltre la retorica degli orti urbani facendone un poderoso motore di nuova socialità e un alimentatore di rinnovate economie urbane (Valencia, Sociopolis; Munich, Agropolis; Greening Detroit; Hackney City Farm). RE-SPONSIBLE è il paradigma della democrazia partecipativa, la quale richiede che la comunicazione alimenti il miglioramento dei caratteri di partecipazione ed efficienza dei piani stessi, promuovendo ambienti diffusi di cognizione/azione più adeguati ai bisogni sociali e ambientali contemporanei. Il primo effetto è l’estensione del crowdsourcing alle politiche urbane, attraverso un nuovo uso proattivo della cittadinanza come sistema permanente di sensori/attuatori. Una nuova etica argomentativa della pianificazione deve diventare veicolo di relazioni interpersonali, generatore di responsabilità e attivatore di mobilitazione delle intelligenze collettive attorno al progetto urbano attraverso la diffusione di network di urban center sempre meno luoghi fisici e istituzionali e sempre più aperti e condivisi, generando innovazione sociale attorno a sé attraverso un sistema sempre più diffuso di co-working e co-housing che superano la logica iniziale della necessità della condivisione dei costi per aderire ad una potente etica ed estetica della condivisione dello spazio urbano (The Embassy Network: case condivise per i creativi digitali). Entro tale paradigma i makers stanno progressivamente uscendo dai loro laboratori digitali e i cittadini dalle loro associazioni per generare le social streets con l’obiettivo di mettere a disposizione della comunità di prossimità le loro sensibilità, competenze e professionalità al fine di instaurare un legame, condividere necessità e scambiarsi conoscenze per portare avanti progetti collettivi di interesse comune e trarre quindi tutti i benefici derivanti da una maggiore interazione sociale (via Fondazza a Bologna e i suoi oltre 300 epigoni). RE-MOTE è il paradigma della condivisione che ha prodotto la opensource city in cui viviamo, la quale ci richiede un’elevata sinergia tra la nuova policentralità dei servizi, la struttura edilizia molecolare e l’offerta costante di servizi tecnologici sempre più wireless e cloud based. I nuovi tessuti urbani

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Palemo. Aree pilota di riciclo. (Elaborazione grafica di Jessica Smeralda Oliva).

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derivanti dal riuso sono sempre più permeati da componenti digitali che si compongono e ricompongono tra producer e consumer intercettando le domande dei cittadini, le loro percezioni e le loro esigenze di funzionalità e di comfort, e arricchendole con le loro richieste di conoscenza ed esperienza e di democrazia (Smart Citizen Initiative per il monitoraggio condiviso della qualità dell’ambiente; Place Pulse, esperimento di mappatura opensource della percezione urbana). Al livello delle infrastrutture e del quartiere, le sperimentazioni sempre più consolidate ed efficaci di smart grid per la gestione intelligente dell’energia stanno modificando il modello tradizionale di produzione energetica delocalizzata e distribuzione inefficiente e onerosa verso un modello che non solo avvicina la produzione al consumo, ma sincronizza in maniera sostenibile la domanda e l’offerta. Molto interessanti sono le sperimentazioni di isolati energeticamente autosufficienti, i quali rimodellano lo spazio insediativo dell’isolato attraverso una polifunzionalità che prevede la interazione dello spazio residenziale, di quello produttivo legato alle nuove manifatture urbane, di quello legato al ritorno dell’agricoltura urbana, connessi con i nuovi cicli della raccolta differenziata e dell’autoriciclo, con l’autoproduzione di energia fotovoltaica, microeolica o addirittura dalla fotosintesi delle alghe (London, Bed Zed Pavillion; Hamburg, Algae-Powered Building). Tutto questo contribuisce ad una profonda innovazione sociale prodotta dall’unione fra lo spazio digitale e fisico creando le condizioni per riattivare la nuova città pubblica attraverso nuove forme e modi di utilizzo dello spazio pubblico. I Fablab sono sempre di più i nuovi protagonisti della città contemporanea che torna ad essere produttiva, si configurano come un arcipelago di micro-attori dell’economia – ma anche della politica e della società – nella terza rivoluzione industriale, contribuendo al ritorno della manifattura nei capannoni dismessi, alla riattivazione dell’artigianato e alla costituzione di reti cooperative con la ricerca e l’industria, spesso costituendo veri e propri makers quarters. Oggi sono più di 350 i Fablab nel mondo e l’Italia è il terzo paese al mondo dopo Stati Uniti e Francia (il FabLab del MIT a Cambridge, il progetto Fab City di Barcelona o la nuova Manifattura a Trento ci restituiscono tre diverse declinazioni del ruolo urbano dei makers). RE-MAKE, infine, è il paradigma della rigenerazione dello spazio pubblico, la quale attiva non solo luoghi della socialità, ma incentiva la rinascita di nuovi mestieri, rinate manifatture urbane che affiancano quelle tradizio-

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La dimensione territoriale dell’impronta ecologica delle aree di riciclo a Palermo articolata nei vari cicli interrotti generati dalla dismissione produttiva (brown), dalla mutazione funzionale (red), dalla variazione infrastrutturale (grey), dal declino agricolo (green) e dalla trasformazione idrica (blue). Le dimensioni superficiali o lineari dei singoli cicli sono rapportate alla dimensione comunale di Palermo. (Elaborazione grafica di Jessica Smeralda Oliva).

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nali sopravvissute alla industrializzazione estensiva, rivitalizzandole, modificando antiche sapienze artigianali e adeguandole alle mutate domande dei nuovi consumatori più consapevoli. La città delle professioni innovative e la città produttiva del rinascimento manifatturiero richiederanno sempre più spesso non solo l’esercizio della creatività, della visione strategica, del sostegno economico e fiscale e della gestione innovativa, ma anche progetti integrati e tattiche urbanistiche dello spazio collettivo accompagnati da una costante valutazione degli effetti delle scelte e dal controllo delle performances. Il nuovo ecosistema creativo e innovativo delle città nasce sempre più spesso a partire dai nuovi spazi pubblici, dagli iper-paesaggi della trasformazione agricola e da architetture parassite che colonizzano sempre più spesso le aree urbane abbandonate, in attesa o sottoutilizzate, producendo nuovi e più seducenti reticoli urbani molteplicemente percorribili e che connettono alla produzione le nuove funzioni culturali, educative ed ecologiche. Sono i drosscapes, formati dagli scarti prodotti dall’evoluzione delle città, considerati come interstizi, spazi in-between, nel tessuto urbano, fasce libere lungo le strade, arcipelaghi di parcheggi, terreni non usati, aree in attesa di sviluppo, zone di scarico rifiuti, distretti di stoccaggio merci: una distesa infinita e pervasiva di interruzioni e perimetri che incorniciano i quartieri abitativi. Sono aree che si accumulano nel processo di deindustrializzazione post-fordista e di innovazione tecnologica e che possono tornare ad accogliere le nuove manifatture urbane. Sono i luoghi della reversing city, la “città inversa”9 costituita dai luoghi in transizione, sempre meno spazi residuali e sempre più nuovi protagonisti del progetto re-cycle oriented. Tra le infrastrutture oggetto di revisione e di riciclo sono sempre più diffuse quelle portuali e periportuali, i waterfront urbani come attivatori della città fluida, come rigeneratori urbani attraverso l’energia dei flussi che li attraversa (esemplare è Hafencity ad Hamburg). Protagonisti del paradigma della rigenerazione sono i nuovi distretti energetici, capaci di integrare e valorizzare la domanda pubblica, la riduzione del consumo, gli incentivi energetici e fiscali e l’esigenza privata di interventi di riqualificazione. La loro fattibilità dovrà essere sostanziata dalla stipula di patti energetici a sostegno dei distretti, a fronte di progetti di sostenibilità ambientale e sociale, valutati sulla base di parametri di riciclo riguardanti gli edifici, gli spazi pubblici, la mobilità, il ciclo dei rifiuti e l’infrastrutturazione digitale (Grenoble, EcoQuartier de Bonne; Rouen, Eco-quartiers Flaubert e Luciline). L’innovazione sociale è incentivata at-

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traverso la pervasività della sharing economy, che sta raggiungendo risultati e dimensioni di tutto rispetto, sia che si tratti di condivisione di beni, servizi, informazioni, spazi, tempo o competenze, o di bartering, ovvero il baratto tra privati ma anche tra aziende, o di crowding, ma anche di making cioè di autoproduzione dall’hobbismo alla fabbricazione digitale, trasformando radicalmente gli ambiti del turismo (Airbnb), dei trasporti (car e bike sharing; Uber), delle energie, dell’alimentazione (Food sharing initiatives) e del design. Anche l’urban making sta ricevendo un forte impulso dalle pratiche di urbanistica DIY (Do It Yourself) e DIT (Do It Together) attraverso cui gruppi di cittadini, di residenti, ma anche di temporary users, di travellers, di hacker urbani e di guerrilla gardeners riattivano spazi, gestiscono luoghi dismessi, si prendono cura di spazi pubblici, mantengono o cogestiscono servizi collettivi (tactical urbanism; pop-up city). La sfida del reverse urbanism per la città del riciclo Concludendo questa prima descrizione concettuale – che richiederà ulteriori approfondimenti, prove sul campo e revisioni – possiamo affermare che il Re-cycling Urbanism non si accontenta di essere un’efficace parolachiave o un potente totem, ma chiama gli urbanisti, i decisori e gli attori locali all’impegno di una nuova responsabilità e una nuova ermeneutica del piano e del progetto che non si limiti ad una feconda disruptive innovation ma persegua una creatività generatrice fatta di attenzione per i luoghi, di condivisioni di conoscenze, di cura delle identità, di recuperi di relazioni e di riattivazioni di produzioni che tornino ad alimentare cicli di vita, a coltivare i talenti degli abitanti, a rafforzare gli ecosistemi sociali, ad attrarre idee, a generare innovazione, a produrre nuove economie e a rafforzare reti di solidarietà. Davanti all’emergere di numerose pratiche informali e tattiche, davanti al magma eruttivo dell’innovazione sociale applicata alla città, dobbiamo avere il coraggio di attuare un vero e proprio reverse urbanism, un processo di estrazione di conoscenza, progettazione e pianificazione dalle risorse urbane per il loro riutilizzo, riattivazione e riciclo in base alle informazioni estratte da un processo abduttivo che ricostruisce strategie, norme, regole e progetto a partire, non solo da una conoscenza profonda della città, ma anche dalle pratiche avviate, dagli esperimenti in corso, dalle esperienze di successo, anche quando parziali. Il processo di reverse urbanism non si applica solo alle soluzioni positive, ma richiede anche lo smontaggio e lo studio dei junkspaces urbani e rurali, dei cicli

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delle acque, dei EURZQ±HOGs e delle infrastrutture dismesse, per comprenderne la ricchezza generativa, per analizzarne le componenti ancora attive, per estrarne nuovi paradigmi o sapienze perdute. L’azione di una urbanistica del riciclo – materiale e semantico – non si limita a ricostruire metodi o processi, ma deve essere soprattutto orientata ad estrarre nuovi strumenti di azione capaci di agire su risorse urbane e territoriali prima non considerate o sottovalutate. Alla riscoperta della ricchezza della città inversa che ha i vuoti come elementi centrali e che si struttura a partire dagli spazi intermedi e in attesa e dai grandi spazi aperti e dagli scenari naturali, deve corrispondere un reverse urbanism che sappia agire con nuovi protocolli cognitivi, con adeguati dispositivi progettuali e con innovative configurazioni spaziali e sociali: nuovi “socioritmi” aperti, dialogici e circolari devono nascere dagli scarti prodotti dai precedenti idioritmi – per dirla à la Barthes – chiusi, separati e lineari.

1. Sugli effetti della desertificazione urbana generati dal declino industriale delle città americane si veda Ryan B.D. (2014), Design After Decline: How America Rebuilds Shrinking Cities, University of Pennsylvania Press, Philadelphia. 2. Il patrimonio culturale urbano deve tornare un attivatore di sviluppo sostenibile fondato sulla matrice identitaria dei luoghi. Cfr. Carta M. (2002), L’armatura culturale del territorio. Il patrimonio culturale come matrice di identità e strumento di sviluppo, FrancoAngeli, Milano. 3. Cfr. European Commission-Regional Policy (2011), Cities of Tomorrow. Challenges, Visions, Ways Forward, European Commission, Brussels. 4. Le strategie per una Europa de-carbonizzata sono pubblicate in European Climate Foundation (2010), Roadmap 2050. A practical guide to a prosperous, low-carbon Europe, ECF, Den Haag. 5. Cfr. Carta M. (2013), Reimagining Urbanism. Città creative, intelligenti ed ecologiche per i tempi che cambiano, ListLab, Barcelona-Trento. 6. Per le sfide di una Europa intelligente e solidale si veda European Commission, DirectorateGeneral for Research and Innovation (2012), Global Europe 2050, Publications Office of the European Union, Luxembourg. 7. Il paradigma del capitalismo di nuova generazione, meno consumistico e più generativo, è rintracciabile in Kaletsky A. (2010), Capitalism 4.0: The Birth of a New Economy in the Aftermath of Crisis, Perseus, New York. 8. Per gli effetti spaziali dell’economia circolare si veda Ellen MacArthur Foundation (2012), Towards the Circular Economy: Economic and business rationale for an accelerated transition, EMF. 9. Il concetto di “città inversa” è stato elaborato e tradotto in termini spaziali e urbanistici in Secchi B. (1999), “Città moderna, città contemporanea e loro futuri”, in AA.VV., I futuri della città. Tesi a confronto, FrancoAngeli, Milano.

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Glasgow. Reinventing Clydefront, Masterplan. (Tesi di laurea di Nicola Russolo, IUAV 2014, Relatore prof. Renato Bocchi).

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IL FUTURO DELLE CITTÀ: FRA RAMMENDO, INNESTO E RICICLO Renato Bocchi >IUAV

«L’innovazione di rottura nasce dalla visione: la capacità di guardare il mondo e vedere ciò che gli altri non sono in grado di vedere. (…) Una società sostenibile può scaturire solo da visioni che sappiano guardare oltre l’oggi, oltre i problemi immediati». (Norman D., Verganti R., “Per costruire una visione servono nuovi contesti”, in Il Sole 24 ore, Nòva, n. 430, 2014, p. 7).

Di fronte alla radicalità dei mutamenti nella società e nelle città – e ritenendo acquisita la necessità di non consumare più suolo e di ridurre lo spreco delle risorse esistenti – mi appaiono del tutto insufficienti i processi di rimedio o di ricucitura, e sempre più forte la necessità di spingere per l’elaborazione di visioni per un cambiamento radicale di mentalità e quindi di scenario1. Ci sono momenti storici in cui servono utopie capaci di uno scarto in avanti o di lato: nell’architettura del Settecento ebbe questo ruolo un Piranesi, capace di sovvertire regole e geometrie spaziali pur partendo da una cultura antiquaria; nell’architettura e nella città del primo Novecento forse può leggersi un ruolo simile per un costruttivista come El Lisitzkij; in tempi più recenti Cedric Price incarnò un ruolo analogo di visionario innovatore, cui si ispirarono i giovani Piano e Rogers nel Centre Pompidou. Pur condividendo sia le idealità sia le proposte architettoniche di Renzo

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Piano, trovo però difficoltà nel condividere la sua recente parola d’ordine: il “rammendo” (delle periferie). Mi trovo perfettamente d’accordo quando dice: «Siamo tutti nani sulle spalle di un gigante. Il gigante è la nostra cultura umanistica, la nostra capacità di inventare, di cogliere i chiaroscuri, di affrontare i problemi in maniera laterale». Sono meno d’accordo quando aggiunge: «Alle nostre periferie serve un enorme lavoro di rammendo, di riparazione»2. Nelle desolanti periferie di questo paese trovo che il puro “rammendo”sia strumento inefficace, benché sia convinto che non si debba demolire e ricostruire, ma piuttosto “innestare” per produrre “metamorfosi”, come ha sostenuto nell’ultima Biennale di Venezia Cino Zucchi3. È a questo riguardo interessante come Zucchi si richiami esplicitamente al concetto di bricolage utilizzato in antropologia da Claude Levi-Strauss, cui anch’io mi sono spesso riferito ricercando un metodo per affrontare il tema progettuale del riscatto (ri-ciclo) delle aree di scarto. Ma va detto che, nella rassegna di progetti d’innesto proposta da Zucchi, siamo ancora nel campo di inserimenti in contesti ad alta connotazione e non propriamente all’interno di contesti di periferia: insomma si tratta di innesti su piante sostanzialmente sane, che pur vengono rivitalizzate dalla qualità alta dei nuovi interventi. Pertanto, pur condividendo la volontà di “cambiare verso” espressa da Piano e da altri Renzi, stento a credere che ciò si possa fare senza affermare un cambio radicale negli stili di vita e nelle idealità degli Italiani, soprattutto nei loro modi di costruire le città. Insomma, credo sia il momento giusto per elaborare nuovi modelli di comportamento e di gestione, per proiettare nel futuro visioni di rifondazione piuttosto che di rammendo, per elaborare “nuovi paradigmi” piuttosto che ipotesi di semplice problem solving: «I comportamenti basati sull’intuizione, sul potere di visione delle persone – spiegano Norman e Verganti nell’articolo citato – vengono spesso stigmatizzati. Questo mito deriva dalla tradizionale cultura d’impresa che punta verso il problem solving più che alla costruzione di una visione. Un approccio di questo genere può risolvere i problemi immediati ma non prepara certo per il futuro»4. Il che non vuol dire trascurare il potenziale dell’esistente, ma assumere l’esistente nelle sue potenzialità di risorsa materiale da ri-ciclare e reinventare radicalmente, a favore di nuovi cicli di vita (che è appunto lo spirito con cui si sviluppa la nostra ricerca).

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E d’altronde credo che non si possa invocare l’architetto-demiurgo, ma che occorra confrontarsi apertamente con i contributi che vengono da un’azione capillare, “dal basso”, nel sociale, così come lo stesso Piano preannuncia quando richiama il suo “laboratorio di quartiere” di Otranto: il che, in questa terra siciliana, non può non richiamare alla mente i fondamentali esperimenti (anche loro in vario modo visionari) di Danilo Dolci o di De Carlo e Samonà. Dovremmo indagare i modi con cui possa rifondarsi una struttura di relazioni di senso in quei territori di periferia, pur partendo dal “riciclo” di un’eredità materiale e ideale tutt’altro che omogenea e spesso “desolata”. Ri-ciclo vuol dire proprio questo: istituire nuovi cicli di vita e quindi ri-generare e ri-fondare le cose e le relazioni fra le cose, i luoghi e i paesaggi; per questo motivo ha pochissimo a che vedere con la conservazione e moltissimo a che fare invece con la trasformazione, anche se rifiuta di lavorare sulla tabula rasa, non disdegnando l’ibridazione, la stratificazione, il montaggio, la sovrapposizione, la riscrittura e la sovrascrittura – esattamente come il montaggio del cosiddetto found footage lavora oggi nel re-cycled cinema per costruire nuove narrazioni5. Non ci basta quindi proclamare la volontà sacrosanta di “non consumare più altri suoli”, ma pensiamo si debbano anche e soprattutto tracciare nuove strategie per ri-ciclare quanto è stato già costruito. Questi “nuovi paradigmi” ci sono richiesti dal tempo di crisi in cui siamo immersi, il quale esige imprescindibilmente di cercare un nuovo inizio – rendendo insufficiente qualsiasi opera di puro rimedio, di riparazione, di modificazione debole.

1. cfr. paper: www.tsm.tn.it/interne/interna2.aspx?Tipo=6&Anno=2014&ID=15309&IDD=6734

&CatVis=4 2. Piano R. (2014), “Il rammendo delle periferie”, in Il Sole 24 ore, 26 gennaio. 3 Zucchi C. (a cura di, 2014), Innesti-Grafting. Padiglione Italia, 14° Mostra Internazionale di Architettura, Marsilio, Venezia. 4. Norman D., Verganti R. (2014), “Per costruire una visione servono nuovi contesti”, in Il Sole 24 ore, Nòva, n.430, p.7. 5. Bertozzi M. (2013), Recycled cinema, Marsilio, Venezia.

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Aree militari - Bunker. (Foto di Fabio Mantovani).

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STORIE DALL’HERITAGE. IL TEMPO DELLA LUMACA Sara Marini >IUAV

Un paradigma è qualcosa di esemplare, è una dimostrazione chiara, è quella cosa che viene “mostrata”, che viene indicata come modello. Due sono le possibili vie (per “trovare” i paradigmi del progetto): rintracciare l’“esemplare” nel dato reale o individuarlo in una procedura; probabilmente i due tracciati, pur avendo presupposti e punti di partenza distinti, collimano in un segmento comune. La procedura del riciclaggio è difficilmente mostrabile: è evidente, insita nell’uso della materia, dichiarata da chi produce l’oggetto e ne palesa le possibili seconde vite; anche se, nel nuovo millennio, la missione di recycle è più amplia, più intenzionale. Forse, essendo oggi la stessa procedura programmaticamente più estetica e più politica al contempo, o meglio, essendo un dispositivo utilizzato in supplenza di dimensioni estetiche e politiche chiare, la sua necessità è paradigmatica. Sembra di assistere all’avvento del tempo della lumaca. L’immagine non è strumentale a sottolineare una dimensione temporale, non è certo questo un tempo segnato da lentezze, anzi, oggi molti fenomeni che investono la città sono accelerati, sincopati, agiscono sul territorio a macchia di leopardo. L’immagine della lumaca è utile a mostrare la scissione tra contenitore e contenuto, tra guscio ed abitante. Si tratta di

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un problema classico dell’architettura e del progetto, spesso affrontato in modo altalenante: insistendo sulla ipotizzabile autonomia del contenitore1 o sulla centralità del contenuto, della funzione, dell’uso2. L’abbandono di un’importante massa di manufatti (parti di città, edifici, spazi aperti), la fine di cicli di vita o d’uso, lascia molti gusci orfani dei propri occupanti. Tale diaspora sostiene la necessità della strategia del recycle come ricerca di nuove ragioni di ospitalità, di riempimento di quei contenitori che giacciono inerti. Si invoca e ricorre al riciclo per occupare il vuoto dello spazio attraverso l’accelerazione del tempo: la funzione eterna è definitivamente seppellita, la successione di cicli è chiamata in causa per sostituirla. Lavorare investendo sul tempo, e non solo sullo spazio, comporta una deriva degli strumenti del progetto, un loro “dolce naufragar in mare aperto”. Difficilmente paradigmi e manifesti possono sostenere le procedure dell’oggi, procedure costrette in una dimensione di felice ambiguità, finalmente libere da memorie o aspirazioni moderne. Restano paradigmatiche e manifeste le scene che si prospettano: la città propone oggi gusci vuoti le cui prospettive sono decisamente divaricate, o questi possiedono un proprio insito valore, anche rintracciabile in una disponibilità all’instabilità, o resta auspicabile la loro sparizione per ridefinire, sottraendo, il disegno della città3. In pratica si tratta di disegnare l’agenda e alcune coordinate del progetto. In primo luogo la difficoltà di vedere i nuovi cicli riaccende una tensione verso il futuro e sostiene la necessità di un dialogo con le discipline capaci di prefigurare orizzonti economici e sociali. In seconda battuta il progetto non può cercare coincidenze pedisseque con la funzione, la cui inattualità, a volte, è evidente già nel momento in cui la si sta solo prevedendo. Forse allora serve ripartire dallo spazio in modo tale che contenitore e contenuto si vedano tradotti in termini non più precisi ma vasti (quali appunto spazio e tempo), pervasivi e rifondativi, serve un’“utopia della ricostruzione”4. Mettere al centro lo spazio e non più l’architettura (contenitore) o la funzione (il contenuto) implica riscrivere la fondamentale nozione di heritage, di patrimonio, piegarla oltre il rimando a monumenti o storie verso un principio di ospitalità. Non si tratta di un ritorno alle figure certe dell’architettura, nelle quali difficilmente in molti potrebbero riconoscersi, ma di un ritorno alla nozione di spazio inteso quale materiale atto ad accogliere latenze, attese e riserve. Si tratta in sostanza di dare senso alla disoccupazione dello spazio come ha fatto, anche per ragioni economiche,

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Rem Koolhaas nelle Corderie dell’Arsenale punteggiandole di luoghi della discussione e della rappresentazione, o meglio dell’ospitalità di eventi delle altre parallele biennali (danza, teatro). Questa occupazione disimpegnata ha preso corpo facilmente grazie alla disponibilità dello spazio dell’Arsenale, alla elevata capacità di trasformazione (insita soprattutto nella generosa altezza del volume) di questa architettura. La forza persistente dell’Arsenale non è coincidente con il suo linguaggio architettonico o con la sua figura ma risiede nel potenziamento reciproco di spazio e tecnica costruttiva. Il problema resta saper riconoscere questi valori nel patrimonio ereditato dal passato prossimo o, se assenti, nel saperli imprimere. Apparentemente questo tipo di architettura può sembrare inutile, ingestibile, insostenibile ma la sua storia enuncia il contrario e questo tempo chiede appunto proposte vaghe perchè vaste (per quanto riguarda la funzione) e assieme (tettonicamente e tecnicamente) significanti, in sintesi visionarie, capaci di “mostrare” sempre nuove visioni5.

1. Come sostiene Aldo Rossi in particolare nel suo L’architettura della città (1966). 2. Si vedano a proposito della comunità come fulcro del progetto e del valore d’uso e d’opportunità del contenitore il testo Recetas Urbanas (2009) di Santiago Cirugeda e le diverse pubblicazioni ancora più recenti edite in Italia sul problema del riuso temporaneo come, ad esempio, di Isabella Inti, Giulia Cantaluppi, Matteo Perischino, Temporiuso. Manuale per il riuso temporaneo di spazi in abbandono in Italia (2014). 3. Non a caso è stato riedito nel 2013 da Lars Müller The City in the City di Oswald Mathias Ungers: un progetto di sottrazione urbana sviluppato nel 1977 per la città di Berlino. 4. Si veda a questo proposito Lewis Mumford, Storia dell’utopia (1922). 5. Va ricordato a questo proposito che Giacomo Leopardi aveva tra i progetti appuntati per il futuro una Enciclopedia delle cognizioni inutili e delle cose che non si sanno o Supplemento di tutte le enciclopedie.

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Drosscape. (Foto di Francesco Stefano Sammarco).

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A NEW METABOLISM OF CITIES Carlo Gasparrini >UNINA

Nel Novecento la questione ambientale per gli urbanisti ha oscillato tra due posizioni opposte. Da un lato, un pragmatico rimedio risarcitorio ai guasti sanitari della città esistente, su cui incidere anche chirurgicamente per “fare spazio” e contrastare la malattia; dall’altro l’utopia pacificatrice della città nuova, costruita su modelli urbani provocatoriamente alternativi di coesistenza con la natura, propri della modernità del primo Novecento. Questa divaricazione non ha certo aiutato a intercettare e implementare le traiettorie più innovative e ha di fatto offuscato le ripetute e rilevanti sollecitazioni teoriche ed esperienziali, interne al campo disciplinare stesso dell’urbanistica ma più frequentemente provenienti da aree disciplinari contigue. La visione sinottica e biomorfica della city as organism di Patrick Geddes all’inizio del Novecento poi ripresa nella visione organica di Lewis Mumford negli anni ’30 per un rinnovato rapporto tra città e natura; le reti verdi e l’alternanza città-campagna nei piani di Colonia e Copenaghen di Fritz Schumacher e Steen Eiler Rasmussen negli anni ’20 e ’40; il bisogno di sostituire un “obsoleto” urban planning con l’urban biology nella visione di Jose Luis Sert degli anni ’40; il concetto pionieristico di me-

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tabolism of cities di Abel Wolman della metà degli anni ’60 variamente ripreso e declinato negli ultimi cinquant’anni; la necessità di design with nature e lo sguardo ai processi naturali come valori sociali propugnati da Ian McHarg negli anni ’80; le potenzialità interpretative e propositive degli scarti e dei rifiuti e del dark side of change di Kevin Lynch agli inizi degli anni ’90; la land mosaic perspective nelle regioni urbane di Richard Forman nel successivo decennio. Non si tratta ovviamente di un elenco esaustivo e omogeneo ma di alcuni dei principali picchi di qualità nel vasto mare di idee che, nel corso del Novecento, hanno aperto prospettive fertili per riguardare l’interazione necessaria tra questione ambientale, sostenibilità e città dentro una prospettiva evolutiva di una progettazione urbana ecologicamente orientata, ben al di là della metafora organica e della city that breathes. Lo spostamento gravitazionale e il cambio di paradigma che l’irruzione della dimensione ecologica e del suo portato valoriale avrebbe potuto produrre è stato di fatto sterilizzato, riducendosi nel tempo a poco più di una procedura di riequilibrio quantitativo risolvibile con opportuni standard minimi di verde. Piuttosto che fertilizzare quella sua radice controversa ed eterogenea, la nostra disciplina ha scelto la strada più facile della sua riduzione a manifesto prestazionale o, al contrario, della sua obliterazione sorretta da una critica politica alle ricadute materiali e sociali (gli sventramenti, i diradamenti, le deportazioni) nel corpo vivo delle città e delle sue comunità. L’irruzione dei cambiamenti climatici registratisi negli ultimi decenni e l’ampio dibattito degli ultimi dieci anni sul rapporto tra città, paesaggio ed ecologia che si è sviluppato a livello internazionale – a cui hanno contribuito in modo decisivo le spinte del landscape e dell’ecological urbanism – sta di fatto riprendendo i fili di un discorso ripetutamente arenatosi di fronte a presunti statuti disciplinari forti e consolidati. Sta ripercorrendo traiettorie interpretative troppo rapidamente abbandonate o scarsamente considerate, per ricollocarle dentro una consapevolezza più profonda della dimensione ambientale, stringendo alleanze non tradizionali con campi disciplinari contigui, dall’architettura del paesaggio ad alcune scienze della terra, dall’ecologia del paesaggio alla progettazione delle acque. Sta producendo interazioni feconde con una concezione multidimensionale del paesaggio urbano, traguardando lo sviluppo di filiere economiche alternative capaci di salvaguardare e valorizzare i beni comuni, stimolando un protagonismo attivo degli attori sociali come non era riscontrabile nel

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corso del Novecento su questi temi. Si sono cioè realizzate, nell’esperienza concreta dei nuovi piani e progetti in giro per il pianeta, convergenze multidisciplinari e culturali che hanno determinato una fuoriuscita della questione ambientale dalle secche morfologiche e settoriali e fornito finalmente ad essa una base sociale ampia e motivata. Questa crescente consapevolezza consente di affermare un approccio propositivo e valoriale della dimensione ambientale che non può essere ridotto all’esigenza di una carta tematica o di una procedura multicriteriale in più. Ma presuppone un rovesciamento radicale delle tradizionali categorie interpretative, progettuali e comportamentali del fare urbanistica. Esalta cioè la valorizzazione dei contenuti programmatici e progettuali, rivolti alla produzione negoziale e partecipativa di spazi dotati di densità valoriali e alla riscoperta di una dimensione geostrategica della città come occasione per costruire forme inedite di abitabilità, qualità urbana, economia e inclusività. Le spinte propulsive di questo processo non sono oggi riconducibili solo al dibattito specialistico ed elitario sui cambiamenti climatici e ai faticosi protocolli che ne sono derivati. Siamo di fronte ad un sommovimento profondo che prende le mosse anche e soprattutto da una geografia diffusa di pratiche che sta producendo ricadute rilevanti sulla città e sulla produzione dei suoi spazi, con cui le comunità locali ricercano un rapporto meno sfuggente e transitorio. Queste spinte e queste pratiche si fondano su una presa d’atto crescente delle dinamiche ecologiche connesse ai mutamenti consistenti prodotti sulle risorse primarie e alla fragilità dei nostri territori, spingono verso una riappropriazione di spazi vitali delle nostre città, producono mutamenti sostanziali degli stili di vita, trovano sponde sempre più consapevoli nelle agende urbane di governi nazionali e locali. Consentono quindi di immaginare, con un più fondato ottimismo, ricadute fertili anche sul nostro sapere e sui suoi paradigmi, sui modi e le forme del progetto nei processi di rigenerazione urbana ecologicamente orientati, sulla costruzione di una disposizione proattiva dell’urbanistica. È un sommovimento che attribuisce centralità alle risorse scarse e compromesse (acqua, suoli) e a quelle fuori controllo (energia e rifiuti) che vengono assunte come beni comuni in una dimensione non retorica e ideologica ma programmatica e progettuale. Attorno ad esse sempre più convergono progetti, politiche, risorse, azioni diffuse di riciclo e bonifica

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e di pratiche non tradizionali per usi anche temporanei in una fase strutturale di scarsità di fondi pubblici. La novità è quella di una crescente consapevolezza della necessità di tenere assieme la dimensione locale e frammentaria delle tattiche con quella più ampia delle strategie adattive e resilienti per le città. In un clima culturale che riconosce ancora un debito, legittimo ma oramai eccessivo, verso quella straordinaria stagione di studi morfologici sui tessuti urbani che dall’Italia si è propagata in Europa e nel pianeta, l’obiettivo di immaginare la città esistente attraverso il ripensamento del suo metabolismo urbano lascia oggi intravvedere una nuova stagione di studi urbani largamente inesplorata anche nelle nostre Università. Una stagione cioè in cui l’attenzione si sposti dall’interpretazione dei dispositivi aggregativi-conformativi dei tessuti alle potenzialità di rigenerazione ambientale che rivestono i loro differenziati pattern urbano-ambientali costituiti dalle reti dell’acqua e del verde, dall’infrastrutturazione viaria ed energetica, dai suoli e dalle aree di scarto e di rifiuto, per accogliere i processi di riciclo di queste risorse strutturanti dentro un più complessivo metabolism of cities. Questa traiettoria coniuga l’obiettivo di prefigurare nuovi cicli di vita di edifici e spazi aperti nelle svariate forme insediative del palinsesto urbano con una riemersione progettuale dei caratteri geostrategici delle città, dopo una lunga fase di espansione in via di esaurimento o nel corso stesso dei tumultuosi processi espansivi ancora in atto in ampie parti del pianeta. E costituisce forse uno dei campi di lavoro più promettenti per immaginare strategie adattive ai cambiamenti climatici pertinenti ed efficaci, sia nei territori storici sia in quelli in via di urbanizzazione. Non si tratta tuttavia solo di un mutamento della grammatica spaziale e di un più aggiornato sguardo alla dimensione fisica delle città che vorremmo sempre più resilienti. Ma anche di un auspicabile ripensamento strutturale delle economie urbane che, affianco a dinamiche più ampie di internazionalizzazione, si muovono verso forme innovative di produzione nei settori manifatturieri e dei servizi legati alla green economy e alla creatività urbana, assieme alle filiere di una crescente agricoltura urbana e periurbana. Contestualmente è inarrestabile uno spostamento d’attenzione verso nuovi attori sociali ed economici, forme inusuali d’interazione tra essi e un loro rinnovato protagonismo nella produzione dello spazio pubblico, non solo di prossimità. La diffusione di progetti e pratiche in campo ambientale e la ricerca di

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possibili configurazioni e orizzonti di senso dell’arcipelago di città che si è andato configurando con l’esplosione urbana pongono su basi diverse il bisogno di interpretare le sue densità relazionali. Tendono cioè a riposizionare i nuovi spazi pubblici all’interno di sistemi relazionali multiscalari in grado di traghettare identità latenti o frammentarie delle città esistenti e delle città in formazione, ancora forti o magari indebolite dai processi di diffusione e metamorfosi, verso configurazioni più strutturate e riconoscibili, rendendo più pregnante la stessa dialettica tra le scale. Emerge nell’esperienza urbana di questi anni un’attenzione visionaria e un’intenzionalità progettuale sempre più pertinenti e ancorate alle dimensioni materiali e immateriali che la città contemporanea oramai presenta. In questo quadro la dinamica delle reti e dei loro usi diviene più articolata e asimmetrica e l’interazione tra flussi e luoghi tende a produrre effetti molto più articolati e fertili di quanto alcune preoccupazioni e profezie tecnologiche di stampo deterministico lasciavano intendere. La rigenerazione urbana lungo le infrastrutture verdi e blu si materializza attraverso una molteplicità di azioni puntuali nella geografia ambientale della città, nelle sue pieghe, nelle aree abbandonate, perfino nella complessità del parcellario delle proprietà, dei tessuti e delle sue confinazioni. Ricerca sinergie con le reti infrastrutturali, energetiche, digitali e della mobilità slow, per densificare nel tempo un sistema connettivo di spazi aperti multifunzionali. Questi network paesaggistici sono destinati a divenire sempre più il nuovo telaio della città contemporanea, della sua offerta pubblica e dei valori ecologici, sociali e di senso delle comunità che partecipano alla sua costruzione.

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Data Maps Energy 02, Barcellona Torre Bar贸. Plastico Interattivo. (IAAC Global Summer School 2014).

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RE-COST COAST Manuel Gausa >UNIGE

Multi-costa (o inter-costa) mediterranea Negli ultimi venti anni le metropoli del Sud dell’Europa e della costa mediterranea si sono convertite in nuove destinazioni di flussi migratori europei tanto interni, come esterni, soprattutto provenienti dal Nord Europa. Parallelamente, e conseguentemente, si è registrato in esse un crescente processo di concentrazione (e dispersione) urbana, di grandi dimensioni e rapido sviluppo1. Buona parte delle città e regioni metropolitane europee, in poco meno di trent’anni, ha duplicato e in alcuni casi triplicato l’occupazione del suolo urbano in relazione alla sua precedente storia mettendo in evidenza l’importanza dei grandi e tradizionali sistemi attrattori e produttivi post-metropolitani, ma anche dei nuovi spazi “neo-metropolitani” o “proto-metropolitani” (virtuali cluster di città medie e intermedie) inscritti in crescenti dinamiche “multi-livello” caratteristiche delle nuove aree “meta-politane” oggi emergenti – trans e sopra territoriali – di scambio e interazione2. Solo nelle provincie costiere mediterranee si concentrano 17 milioni di abitanti, cifra che secondo i dati statistici ufficiali raggiungerà i 21 milioni nel 2020 (inoltre già dal 2009, solo riferendoci al territorio costiero europeo, si pre-

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vedeva l’arrivo di 18 milioni di turisti). Questo fenomeno si presenta oggi con una velocità di sviluppo e livelli di concentrazione simili alle dinamiche che caratterizzano gli agglomerati urbani di Shangai, Rio de Janeiro o Tokyo; si può asserire, dunque, che la costa mediterranea in generale – e più specificamente il triangolo compreso fra la fascia Est della Spagna, Sud della Francia e Ovest dell’Italia – si è convertita, di fatto, in una delle prime grandi metropoli d’Europa. Questa virtuale Medipolis è un territorio complesso e paradossale (lineare e in rete, denso e diffuso) in relazione non solo alla sua condizione di margine, limite o bordo litorale, ma anche alla sua condizione di frontiera ambivalente, fluttuante ed “elastica” tra acqua e terra, “mare” e “interno”, costa, pre-costa e contro-costa. In questo senso, rispetto agli evidenti fenomeni di occupazione e pressione urbanistica, presenti in questi nuovi contesti di scambio, simili (generici) e singolari (identitari) – ma ancora, ai diversi processi simultanei di sviluppo differenziale sul territorio (processi di rinforzo e rinnovo urbani, ma anche di obsolescenza e declino) o alle nuove dinamiche di una “globalizzazione super-localizzata” e di una mobilità moltiplicata (dinamiche compressive e tensili del territorio: low cost, alta velocità, superstrade, ecc.) o rispetto alle nuove esigenze di un rapporto efficiente e proattivo con l’ambiente – la questione implicita sarebbe quella di come potranno essere ripensate le future strategie e i nuovi modelli territoriali associati a questi complessi scenari di costa, pre-costa e contro-costa e riferiti a nuove/vecchie sfide progettuali: – la sfida, in effetti, della riconsiderazione strategica degli antichi grandi centri storici, commerciali e portuali (Barcellona, Valencia, Marsiglia, Genova, Napoli, Palermo…) e la loro riconversione in nuovi nodi/poli attrattori e distributori ma anche “generatori” e “articolatori” di un nuovo tipo di strutture “urbane in rete”, più complesse e multinucleari, chiamate a svolgere un nuovo ruolo attivo nella società della conoscenza, del tempo libero, della cultura e della produzione intelligente; – la sfida del rinnovo di molte delle antiche mete turistiche o città balneari, come parte di queste strutture rinnovate e la sfida della riabilitazione e rivalorizzazione di molte delle loro attrazioni patrimoniali e sensoriali; – la sfida della riconversione di molti degli antichi tessuti tipologici specializzati (monofunzionali) in nuovi scenari di vita capaci di presentare una nuova mistura (mixité) di offerte e attività;

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– la sfida della rivalorizzazione operativa del paesaggio come gran subsistema ambientale, infra, intra, eco e trans strutturale, qualificatore e articolatore del territorio, cioè come fattore programmaticamente attivo e strutturante; – la sfida della rivalorizzazione operativa di un patrimonio ampio, conosciuto e da scoprire (storico e moderno, “ufficiale” e “ambientale”, catalogato e spontaneo) come elemento “attivo” da articolare in nuovi circuiti, percorsi e nuove reti (del verde e della mobilità) associati a una programmazione attiva del territorio; – la sfida della riformulazione integrata di molte delle attuali infrastrutture di taglio territoriale in nuovi ed efficaci sistemi di connessione polisettoriale e polifunzionale; – la sfida di nuove strategie e modalità, architettoniche e urbane, di intervento sensibili alle richieste di una sostenibilità di portata olistica, cioè di una ecologia attiva e propositiva3; – la sfida delle nuove tecnologie e di una ri-informazione intelligente, di una gestione/proiezione qualitativa ed efficace dell’informazione, attraverso una nuova interazione sensoriale e ambientale (smart-environments)4. La costa mediterranea in generale, e particolarmente quella italiana, si trova oggi in una fase di maturazione propria di una realtà complessa, mista, che, al di là di una storica accumulazione, spesso acritica, di modelli, tipologie e processi, si confronta ora, quasi all’improvviso, con nuove sfide (e definizioni) che re-interpellano modelli ed esperienze con carenze, errori, conflitti e forti impatti ma anche con chiare potenzialità competitive; modelli aperti ad un nuovo tipo di analisi ponderata, ad una reinvenzione qualitativa ma, soprattutto, ad un nuovo tipo di ricerca promossa a tutti i livelli – politici, imprenditoriali, scientifici e creativi – e a tutte le scale, nazionali e internazionali, locali e “sopra-locali”5. In questo contesto generale, e in queste possibili ipotesi di lavoro, dovremmo inserire il nuovo scenario “geo-urbanistico”, “para-metropolitano” e “super-turistico” di cui si vuole occupare la rete Med-Net, la ricerca Recycle o il progetto R.E.D.S., particolarmente nelle declinazioni sud-europee e costiere. Quello di un territorio-costa che, al di là del peso specifico degli antichi poli industriali e/o portuali (immersi al contempo nelle sfide di un nuovo tipo di posizionamento strategico, di marketing urbano, riconversione intelligente, produzione creativa e flusso turistico associati) sembra, allo

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Barcelona Eixample– New Multistring Green Centrality. Maglia basica a fascia a corde verdi (dettaglio del plastico). (M. Gausa + F. Raveau actarquitectura, Gic-Lab-UNIGE, 2010).

Barcelona, Topografia Mare-PianoMontagna, archivio. (BCN-AM tweets. Fonte Eric Fisher, Mapbox). Genova, Topografia Mare-PianoMontagna, archivio. (Lunga-GOA tweets. Fonte Eric Fisher, Mapbox). Palermo, Topografia Mare-PianoMontagna, archivio. (PMO tweets. Fonte Eric Fisher, Mapbox).

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stesso tempo, convocare una nuova condizione policentrica associata alle apparizioni di multi-trame dis-dense (discontinuamente densificate) che richiedono nuove interpretazioni, interventi, ma anche nuove operazioni urgenti di riciclaggio, rinnovamento e ristrutturazione interne destinate a dotare di nuova qualità urbana contesti specifici e sistemi generali. Med-Net, Intelligent Coast: R+S+I Oggi si tratta di riconsiderare, in effetti, la possibile qualità propositiva implicita nello stesso potenziale dinamico di questo nuovo scenario di “slittamento”, di mobilità e scambio relazionandolo – a sua volta – sia con una nuova visione ambientale, spaziale e paesaggistica dell’idea di luogo o contesto – come un “campo di forze” articolato – sia con i nuovi strumenti progettuali – e concettuali – oggi emergenti: recuperando una “certa epica ottimista” – ambiziosa – e di livello globale, coinvolta nei profondi cambiamenti di scala e struttura, propri delle nuove forme metropolitane; favorendo un’azione positiva e, allo stesso tempo, critica e attenta ai conflitti, tensioni e GH±FLW generati dallo stesso fenomeno affrontato. Come? – Riproponendo la possibile qualità “(pro)positiva” implicita nel potenziale di una mobilità ponderata, combinata con la diversità propria dello scambio e della varietà (o variabilità) contemporanei, favorendo un nuovo tipo di “tropismo qualitativo” in rete, vettoriale, razionale ed equilibrato allo stesso tempo; connettore e correttore; diversificato e articolato5. Un nuovo tipo di sviluppo territoriale in rete necessariamente asimmetrico in termini di valori, di strutture e di usi del suolo e che esigerebbe non solo la ridefinizione concertata dei propri scenari “interurbani”, ma la sua possibile coniugazione “differenziale”6. – Consolidando, rafforzando e/o rinnovando (riattivando) i propri nuclei attrattori (tessuti urbani), riciclando e riaffermando il proprio carattere urbano “nodale”, dotandolo di nuove formulazioni spaziali e programmatiche di riciclo funzionale e, perchè no, morfologico. – Utilizzando, al contempo, la stessa idea di paesaggio non solo come vuoto interstiziale – residuo o come riserva “pseudo-bucolica”– ma come “sistema operativo”, campo (di manovra) dentro un altro campo (di forze), spazio in-between per usi e attività, individuali e collettive, “congiunzione” tra sviluppi e tra avvenimenti, ma anche possibile matrice globale di articolazione interurbana. Paesaggio, poi, come “spazio caratteriz-

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zato”, ma anche come possibile sistema eco e infra strutturale, “nel” e “del” territorio7; – Intendendo la nuova città “glocale” come una possibile struttura flessibile di nuclei densi, flussi articolati e paesaggi caratterizzati, intrecciati. Una possibile struttura in rete, infrastrutturale ed ecostrutturale ma anche informazionale, collegata ad una nuova sensorizzazione spaziale dinamica e ad una gestione integrata di flussi, trasporti, energia, acqua, percorsi e circuiti relazionali, ecc. Una nuova struttura intelligente collegata ad una nuova sensibilità sostenibile in un approccio eco-smart, decisivo per il futuro della città e del territorio; – Proponendo, infine, una necessaria situazione di transfer, o salto “interscalare”, “proiettata” dalla stessa logica urbana nei nuovi spazi (e scenari) architettonici, in una nuova condizione più plurale e aperta del dispositivo architettonico, inteso come intorno interattivo e non più come oggetto imposto: una condizione attenta agli spazi di “incrocio”, “incontro” e “trasversalità”. Una città di simultaneità tra stili di vita e scenari di scambio dovrebbe essere affrontata, in ogni caso, a partire da nuovi modelli misti di combinazione e incontro multistrato tra usi, attività e programmi suscettibili di relazionare emergenze, volumetrie, superfici e sottosuoli (livelli della città, inter-attivati) attraverso rapporti non solo di collegamento, ma di interconnessione e/o di sovrapposizione tra architettura, infrastrutture e paesaggio, cioè fattore urbano, fattore connettivo e fattore verde. Passando da una città pianificata in 2D ad una città sollevata – e innovata – in 3D e orientata e progettata attraverso processi evolutivi spaziotemporali 4D8. In questo ambito di riflessione e ricerca si articolano alcuni dei nuovi lavori di ridefinizione urbana e territoriale oggi emergenti, volti a prospettare nuovi dispositivi operativi in sintonia con la diffusa realtà di connessioni “poli-nucleari”, nella quale si inscriverebbero gli attuali sistemi territoriali e che estenderebbe la sua area di influenza oltre la classica regione metropolitana. Abbiamo utilizzato, in diverse occasione, i termini Land-Links & Recyting9 per definire queste possibili strategie, integrate e interdipendenti, destinate ad assicurare sviluppi locali e globali coordinatamente qualitativi, alla grande scala (territoriale) e alla scala intermedia (urbana); sviluppi in cui la città non verrebbe più ad interpretarsi come un gran “movimento edilizio” intorno ad un unico centro referenziale, ma come

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una struttura multicentrica, riaccordata e riciclata, sensibile e intelligentemente “riattrezzata” e “riformattata”, strategicamente e sistematicamente rintracciata, fatta di movimenti e accadimenti collegati attraverso efficaci reti eco e infra strutturali e, anche, attraverso strategie di ristrutturazione e rinforzo interno. Combinando, in effetti, movimenti di sviluppo ponderato e di conservazione attiva, di “sistole urbana” e di “diastole territoriale”, in nuovi dispositivi di relazione. Estendendo il paesaggio e consolidando la città.

1. Si veda: Gausa M., Ricci M. (2014), AUM 01, Atlante Urbano Mediterraneo, ListLab, Trento. 2. Si veda: Nello Colom O. (2001), Ciutat de ciutats, reflexió sobre el procés d´urbanització a Catalunya, Ampuries, Barcelona. 3. Si veda: Gausa M. (2003), “Hiperterritorios–multiciudades–geourbanidades”, in M. Gausa, V. Guallart, W. Muller, R. Prat, HiperCatalunya, Territoris de Recerca, Generalitat de Catalunya, GENCAT, Barcellona, vol.II, pp. 10–13. 4. Si veda: Gausa M. (2012), “City Sense: Territorializing Information”, in AA.VV., City Sense, 4th Advanced Architecture Contest, Iaac, Actar, Barcelona, pp. 6-13. 5. Si vedano: Gausa M., Ricci M. (2014), Op. cit.; Ricci M. (2012), Nuovi Paradigmi, ListLab, Trento. 6. Si vedano: Gausa M. (1997), “Repensando la movilidad”, in Quaderns n.218 (Mobility), p. 46; Gausa M., “Land-Links: operative lands”, in Catalogo Archilab 01, Archilab, Mairie d´Orleans, Orléans; Gausa M. (2003), Op. cit. 7. Si veda: Gausa M. (2000), “O.P.Lands: Paisatges Operatius” in J. Espanyol (ed.), Arquitectes en el paisatge, Collegi d´Arquitectes de Catalunya, Girona; Gausa M. (2000), “Land Links”, in M.A. Brayer, F. Migayrou, Archilab 01/Orleáns 1999, Orléans; e altri testi pubblicati nella rivista Quaderns d’Arquitectura i Urbanisme, n. 217 (Land-Arch), n. 219 (Topografías operativas) e n. 224 (Destellos). 8. Si vedano: Gausa M., Guallart V., Muller W. (1998), “Ideas como estrategias, proyectos como mapas”, in MET 01- Barcelona Metápolis, ACTAR, Barcelona, p.11; Gausa M. (2009), Multi-Barcelona, Hiper-Catalunya. Estrategias para una nueva Geo-Urbanidad, ListLab, Roma-Trento. 9. Si veda: Gausa M. (2014), “LAND-LINKS & RE-CYTING: verso una nuova geourbanità in rete”, in M. Gausa, Ricci M., Op. cit.; Gausa M. (2012), “Rinaturalizzare la multi-città. Verso una nuova centralità eco-a(tra)ttiva”, in M. Ricci, Nuovi Paradigmi, ListLab, Trento, pp. 5057. Si vedano anche i testi dello stesso M. Ricci in Nuovi Paradigmi, Op. cit.

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Detroit. Bike Route on former railway next Lafayette Park. (Foto di Jeannette Sordi).

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OLTRE LA METROPOLI DEL NOVECENTO? Mosè Ricci >UNIGE

Le città sono in una nuova fase. Il boom edilizio degli ultimi 15 anni ha lasciato sul territorio troppi cadaveri. Abbiamo costruito troppo. In Italia tra il 1999 e il 2014 sono stati realizzati circa 300 milioni di mc/anno. Una nuova città grande come Milano spalmata ogni anno sul territorio nazionale. L’abusivismo è stato irrilevante, meno del 5%. Con un gioco dove tutti credevano di guadagnare – chi metteva al sicuro i risparmi, le imprese che lavoravano, le città con le tasse, la politica continuamente alimentata dal ciclo edilizio – si è compiuta un’invasione senza precedenti dei paesaggi italiani. I risultati sono evidenti. Dal 2007 in Italia abbiamo più di 5 milioni di case vuote e 40% di costruito invenduto. 6.000 km di linee ferroviarie dismesse. 20.000 km di strade in abbandono. Anche le grandi infrastrutture restano inutilizzate a gravare sullo sviluppo come il porto di Gioia Tauro, la Stazione Tiburtina a Roma, l’autostrada Bre-Be-Mi… e tra poco l’Expo? La situazione non è diversa negli altri Paesi Occidentali. Tra Madrid e Toledo c’è una nuova città per trecentomila abitanti realizzata fino ai cestini dell’immondizia e completamente vuota, invenduta. Il Padiglione Olandese alla Biennale di Venezia del 2012 si chiamava Reset, quello Tedesco Reduce, Reuse, Recycle. E a Detroit l’America ha la sua Pompei. È l’unico po-

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sto al mondo dove è possibile vivere in diretta la fine della città moderna. Ha una storia da celebrare, una rovina che la racconta e un presente pieno di progetti. È un manifesto per il futuro ecologico delle città. Cosa c’è oltre la metropoli del Novecento? L’azione contemporanea di tre fattori decisivi: la crisi economica, quella ambientale e la rivoluzione smart delle tecnologie per l’informazione condivisa stanno cambiando profondamente i nostri stili di vita e il nostro desiderio di futuro. Ogni giorno guardiamo il mondo da nuovi punti di vista e facciamo le stesse cose di prima in modo diverso. Utilizziamo strumenti di istantanea adiacenza artificiale sempre più potenti (computer, smartphone, tablet). Occupiamo spazi virtuali sempre più capienti. Abbiamo sempre meno bisogno di luoghi fisici dedicati per lavorare o per passare il tempo perché continuamente trasferiamo negli spazi immateriali della Rete funzioni che occupavano spazi solidi nella città. Tutto il vecchio sapere progettuale sembra improvvisamente inadeguato ai tempi e ai luoghi. Un filo sottile e robustissimo lega l’ecologia, il riciclo, la sostenibilità, i sistemi smart ad un’idea diversa di architettura e di futuro per i paesaggi e le città. Ma se tutto questo sta per accadere o già succede è chiaro che alcuni paradigmi essenziali del moderno, come quello della stretta relazione tra funzione e forma dell’architettura o della città, sono svuotati di senso. In definitiva quello che voglio dire è che la rivoluzione delle tecnologie dell’informazione condivisa spiazza le nostre moderne certezze progettuali e fa sembrare improvvisamente fuori dal tempo tutte le teorie e le pratiche che ad esse fanno riferimento. Pensiamo allo zoning, appunto, all’organizzazione funzionale degli spazi urbani o anche di quelli architettonici, alle teorie dei modelli, alla “buone pratiche”. Sembrano epifanie di una logica che appartiene a un’altra epoca, modelli teorici e comportamentali concepiti per gestire uno spazio solido tridimensionale che ora non è più il solo spazio di intervento progettuale possibile. Volgendo al positivo gli effetti della rivoluzione tecnologica si potrebbe affermare che quello che sta accadendo alle società più evolute per effetto dell’informazione condivisa è la possibilità di poter abitare molto più spazio fisico che in passato e non doverlo necessariamente conformare in base a destini specifici prefissati. Semplicemente, abbiamo a disposizione una quantità enorme di volume costruito che non serve più o che non si sa ancora bene come utilizzare. Ed è lo stesso per le infrastrutture e gli spazi aperti. La nuova architettura non può che riferirsi al paesaggio. La città ha bisogno di nuovi paradigmi (come nuovi punti di vista sul futuro) e una nuova idea di

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progetto dello spazio fisico. Ecologia, sostenibilità, qualità paesaggistica sintetizzano l’idea di come e dove tutti vorremmo vivere oggi e fissano una sfida importante per la cultura del costruire. Una sfida che mette in valore l’esistente con dispositivi concettuali che lavorano sullo slittamento del senso e sui nuovi cicli di vita degli spazi abitabili. Una sfida che considera il contesto come progetto, la natura come infrastruttura che produce valore ecologico nella città e il futuro come disegno collettivo e non autoriale. Una sfida che chiede all’architettura, di contribuire alla costruzione di quel paesaggio-ritratto del tempo, che è il ritratto di una società e non di un autore. E il passaggio da un sistema di misure (il territorio) a un sistema di valori (il paesaggio), rappresenta lo sfondo concettuale e l’obiettivo generale dei progetti che sviluppiamo. Il paesaggio è, in qualche maniera, la categoria descrittiva all’interno della quale le nostre idee di futuro prendono forma e trovano significato. Sono progetti che tendono a valorizzare la città esistente creando nuovo paesaggio invece di creare nuovi mostri edilizi. Si tratta dell’idea di un’architettura performativa, contestuale ed adattiva che riesca ad essere attrattiva e seducente rifiutando i clichè e gli stereotipi della forma. Dobbiamo lavorare solo su progetti ecologici e di “riciclo” dell’esistente. E questo è il tema innovativo che proietta i nostri saperi disciplinari in una dimensione temporale avanzata. Riciclare significa rimettere in circolazione, riutilizzare materiali urbani di scarto che hanno perso valore e/o significato. Riciclare preserva l’ambiente e conviene economicamente. È una pratica che consente di ridurre gli sprechi, di limitare la presenza dei rifiuti, di abbattere i costi di smaltimento e di contenere quelli di produzione del nuovo. Riciclare insomma vuol dire creare nuovo valore e nuovo senso. Dare inizio a un nuovo ciclo, a un’altra vita. In questo risiede il contenuto propulsivo del riciclaggio per la città e per il paesaggio. È un’azione ecologica che opera sul senso e spinge l’esistente dentro il futuro trasformando gli scarti della crescita urbana in figure di spicco. In altri termini, non lavoriamo sul riciclo della città, del paesaggio e delle architetture esistenti perché è un’azione buona e giusta. Lo facciamo perché è un’azione ineludibile. Oggi per noi fare riciclo è fare progetto. Ci interessa la possibilità di rimettere in gioco l’esistente, di risignificarlo, di creare nuove convenienze e nuova bellezza riciclando gli spazi costruiti che così rapidamente stanno abbandonando i propri significati e i propri connotati d’uso. Come i luoghi anche i progetti non possono più rimanere gli stessi nella città del nostro tempo.

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Napoli est. (Foto di Danilo Capasso).

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METABOLISMO URBANO PER PROGETTARE IL FUTURO DELLA CITTÀ Michelangelo Russo >UNINA

Il limite dell’urbanistica moderna è consistito nel suo uso di meccanismo di valorizzazione fondiaria e di produzione di rendita economica: la città è stata utilizzata dai soggetti decisionali ed economici essenzialmente come campo di produzione di valore monetario, come volano di capacità edificatoria e di distribuzione di valori d’uso, alimentando così un processo di crescita espansiva che si è inevitabilmente tradotto in estensione indiscriminata e priva di qualità del territorio urbanizzato. Questo circolo entropico di produzione e consumo del suolo e dei valori del territorio, ha fatto leva sull’urbanistica come dispositivo di produzione di rendita differenziale, tradendo le sue funzioni di base: ovvero quelle legate alla produzione dello spazio come valore sociale, collettivo, non necessariamente monetizzabile, entro un progetto in grado di migliorare le condizioni di vita di chi lo abita. La crescita urbana, economica e produttiva ha mostrato, nel tempo, di non essere in grado di produrre valore sociale dello spazio urbano ogni qualvolta sono stati superati i limiti della terra, cioè quelle soglie ecologiche e ambientali oltre le quali si compromettono gli equilibri dell’ecosistema in cui vive l’uomo. La “crescita illimitata” delle società urbane è stata

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Mappature del metabolismo urbano a Napoli est. Landuse.

Mappature del metabolismo urbano a Napoli est. PermeabilitĂ .

Mappature del metabolismo urbano a Napoli est. Aree in uso e in disuso.

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un’illusione degli economisti classici superata dalla progressiva presa di coscienza dei limiti ambientali, della loro consistenza e della pervasiva dannosità del loro oltrepassamento. In urbanistica la crescita – come espansione indiscriminata del territorio urbanizzato e della copertura dei suoli – ha mostrato con chiarezza i limiti di un modello espansivo, quello tardo novecentesco, complessivamente e radicalmente da ripensare. Il territorio contemporaneo è sempre più fragile nei suoi equilibri minacciati da una pluriennale disattenzione per la sua struttura e per i suoi valori; una fragilità che si traduce in rischio ponendo costantemente in crisi le condizioni della sua abitabilità. Il territorio è come un organismo, con le sue patologie e la sua vita da intendersi come alternarsi di cicli, come progressiva e instabile trasformazione del suo metabolismo. Metabolismo è una metafora che allude al funzionamento del territorio come rete di ecosistemi, come contesto in cui trovano fondamento le leggi che pongono in relazione le strutture degli ambienti urbani, le ragioni della loro crescita e del loro declino, come insieme di effetti prodotti dai diversi cicli di vita che attraversano le città e ne mutano il funzionamento e la forma. Il metabolismo della città richiama il sistema di flussi in ingresso e in uscita, di input e output (di materie prime che alimentano i processi di produzione e/o trasformazione, come ad esempio per il ciclo edilizio; di produzione di risorse e flussi energetici; di componenti ecologiche, come le acque o i suoli); flussi in ingresso che vengono trasformati attraverso i processi metabolici del territorio e trasformati in altre materie, in altri flussi, in uscita. L’idea che il territorio sia dotato di un suo metabolismo sostanzia una nuova sensibilità per l’ambiente e per le sue ecologie; una sensibilità che trova un progressivo accoglimento e consenso in politiche e progetti di trasformazione del territorio contemporaneo. Il metabolismo richiede di pensare la città più che come un ecosistema, come l’integrazione complessa di più ecosistemi: che regolano gli scambi di energia, di waste, e di materiali di scarto che avvengono tra la città e il suo contesto ecologico. Le strutture urbane vengono attraversate da processi metabolici che definiscono cicli di vita: la fine dei cicli di vita rappresenta la fase, lo stato, in cui le filiere di trasformazione e di uso producono flussi di materiali non più utilizzabili: scarti, waste, materiali trasformabili in termini di sub-cycle, talvolta neanche più utilizzabili, destinati allo smaltimento.

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Mappature del metabolismo urbano a Napoli est. Ciclo delle acque.

Mappature del metabolismo urbano a Napoli est. Aree verdi.

(Le immagini sono state elaborate da Marica Castigliano, Fabio Di Iorio, Raffaella Di Martino, Marika Miano, Marco Norcaro, Marilena Prisco, nel gruppo di ricerca coordinato da Michelangelo Russo con Enrico Formato, nell’ambito dell’Unità di ricerca di Napoli del PRIN. Coordinatore prof. Carlo Gasparrini).

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Il metabolismo urbano va oltre la metafora: il suo valore politico è tanto più importante quanto più è pervasivo il suo potere comunicativo, in grado di essere percepito anche dal sapere comune con un linguaggio accessibile a tutti. Tuttavia il metabolismo, nei termini descritti, richiede un sistema di competenze tecniche, pianificatorie e progettuali, che interessa sia la dimensione conoscitiva, analitica e interpretativa del territorio e delle sue articolazioni, che quella del suo governo e del suo progetto. Il territorio, infatti, va studiato e descritto come sequenza di cicli di vita per mezzo di uno sguardo non zenitale e non univoco, attraverso cioè un approccio selettivo che definisce geografie intenzionali di valori, diffusi, talvolta latenti, prodotti dai diversi processi metabolici della città: valori che vanno riconosciuti, letti, interpretati. Oggi, le geografie del cambiamento possono essere ridefinite attraverso il riconoscimento degli scarti del ciclo di vita della fabbrica fordista, dell’edilizia novecentesca del boom economico, delle strutture basate sull’energia carbon centered; come delle infrastrutture tradizionali, su ferro e su gomma; della città pubblica, cioè dei quartieri di edilizia residenziale prodotti dalle politiche centraliste nel dopoguerra. Sono mappe di un territorio in trasformazione che pongono in evidenza uno o più campi che si intrecciano nella loro consistenza e nella loro valenza relazionale. Sistemi di edifici industriali dismessi, agglomerati urbani in obsolescenza tecnologica, necessariamente oggetto di una profonda ristrutturazione edilizia, piattaforme e spazi per la logistica in abbandono o sottoutilizzati, discariche sature, non più utilizzabili o che hanno superato ogni soglia di compatibilità ambientale. Grandi quantità di acque disperse nell’ambiente, non correttamente canalizzate, o recapitate in modo promiscuo; corsi d’acqua inquinati in forma irreversibile. Strade e viadotti; vecchie ferrovie, vecchie gallerie in disuso; centri commerciali e spazi per la grande distribuzione, resi obsoleti in un processo globale di de-malling, che interessa le grandi concentrazioni urbane e metropolitane. Si tratta di reti di oggetti, di componenti ecologiche, edilizie, infrastrutturali che polarizzano il territorio, caratterizzano alcune aree, determinati luoghi, e individuano dei grandi temi urbani. Alcuni cicli di vita finiscono e non consentono nessun recupero materiale dei residui. Altri cicli di vita vanno profondamente modificati, o addirittura invertiti. Ad esempio, nei grandi quartieri di edilizia residenziale pubblica degli anni

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’60 e ’70, la crisi sociale si innesta nel degrado dello spazio di relazione, e nelle condizioni critiche di manufatti edilizi che determinano la complessiva obsolescenza dell’impianto insediativo. Rigenerazione, riqualificazione e riciclo divengono così azioni strategiche oltre che tecniche, che hanno una forte base etica, legata alla necessaria economia delle risorse e alla salvaguardia dei valori territoriali (protezione dei suoli inedificati), che devono misurare la loro razionalità economica e convenienza in relazione alla potenziale ridefinizione morfologica dei contesti: riciclare conviene quando esiste un valore aggiunto dovuto alla forma e alla qualità del preesistente. Reti di oggetti mappati secondo i loro cicli di vita possono diventare nuove geografie di progetto, come lettura dei valori di soglia del metabolismo urbano, consentendo uno sguardo esperto sul territorio in rapporto con i suoi ecosistemi, in grado di cogliere risorse e questioni che il progetto urbanistico deve leggere, decodificare, misurare, rappresentare, organizzare. Come ci insegna la storia dell’urbanistica e dei suoi fallimenti negli ultimi 70 anni dunque, il tema centrale del progetto contemporaneo è la conoscenza, il modo di leggere la città e di interpretarne il senso collettivo, come espressione di un progetto condiviso. Questo è un tema su cui sarà necessario concentrare l’attenzione degli urbanisti e degli analisti del territorio, che riguarda le modalità di lettura e di rappresentazione delle geografie del cambiamento e dei cicli di vita. Gli urbanisti devono lavorare per definire modi e forme di una lettura innovativa della città, con valenza anche istituzionale nei piani e negli strumenti di governo delle trasformazioni. Una conoscenza della città che sia capace di cogliere le trasformazioni del suo metabolismo, la crescita e il declino dei cicli di vita delle sue componenti, la trasformabilità di alcune parti, dando vita a forme di creatività e di progetto per reinventare il senso dello spazio, o meglio, reinventare il modo attraverso cui lo spazio (di una struttura obsoleta, ad esempio) possa essere ripensato in relazione alla vita delle persone e delle comunità che lo abitano, o che lo potrebbero abitare. Il progetto urbanistico si trasforma entro un rinnovato campo d’azione, individuando materiali, tecniche e strategie di progetto che hanno una dimensione nuova rispetto alle pratiche tradizionali, poiché risultano riferite a nuovi sistemi di valori, di finalità e di obiettivi. Resilienza, metabolismo, sicurezza, riduzione del rischio, risparmio energetico, riduzione dei rifiuti, integrazione tra ciclo dei rifiuti e usi del ter-

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ritorio, sono finalità e obiettivi del progetto pubblico, relegati per molto tempo sullo sfondo dell’agire urbanistico: sono termini che ridefiniscono radicalmente i pesi e le polarità del discorso sulla città contemporanea. Il progetto urbanistico deve muoversi in modo adattivo, basato sulla consapevolezza che il futuro della città deriva non solo dalle regole dei piani, ma soprattutto dalla loro capacità di indirizzo, a sostegno di comportamenti individuali e collettivi capaci di interagire con il principio di continuità: ciò richiede una mappatura intenzionale del territorio sulla base di una costante valutazione della trasformabilità dei suoi elementi e di analisi dei suoi sistemi ecologici, economici e urbani, della loro riproducibilità e della loro obsolescenza. Affrontare i problemi della resilienza, dei cambiamenti climatici e del rischio antropico e naturale, lavorare sui cicli delle acque, dei rifiuti e dell’energia in relazione alla forma del territorio, riciclare gli spazi e le strutture di scarto, non vuol dire solo far ricorso a “nuove tecniche” dell’urbanistica: vuol dire altresì innovare il discorso pubblico sull’urbanistica per esprimere un’attitudine strategica alla lettura selettiva, ma collettiva, del territorio, dei limiti allo sviluppo e delle sue risorse potenziali, intese come “materiali” di progetto. Il progetto urbanistico e territoriale non perde contatto con i suoi fundamentals: cioè con lo spazio, la sua organizzazione e il suo disegno; con l’architettura, con il paesaggio, e con le figure dello spazio e del territorio abitabile. Tutt’altro. La sfida che è possibile cogliere è quella dell’uso contestuale e mirato di nuovi materiali e di nuove tecniche in un progetto in grado di essere produttore di spazio per il benessere di chi lo abita. Solo rinsaldando il nesso fondativo tra spazio e società, in termini sostantivi – ma anche procedurali, attraverso nuove forme di dialogo nei processi di decisione pubblica – l’urbanistica può recuperare il controllo dei suoi fondamenti sociali e culturali che vedono nella costruzione dello spazio abitabile il segno della sua capacità di dare forma alla città, trattando lo spazio pubblico e collettivo, il disegno di suolo, come base per il progetto dei quartieri e delle parti di città. In queste direzioni, gli urbanisti hanno l’opportunità di guardare con apertura a nuove forme di apprendimento, a pratiche e a tecniche che rendano possibile pensare consapevolmente alle città e alle comunità insediate in modo che il futuro torni ad essere un progetto.

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RE-ACTIVATING CITIES

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La Cascina Cuccagna a Milano, impianto di compostaggio di quartiere.

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LA CITTÀ DEI CASSONETTI Rosario Pavia >UNICH

Se volessimo trovare un qualche riferimento circa gli spazi di deposito temporaneo dei rifiuti in ambito condominiale dovremmo far riferimento ad alcuni (pochi) regolamenti edilizi comunali. In quello di Milano del 1999 si prescrive che «i fabbricati devono disporre di un locale deposito destinato esclusivamente ad accogliere i contenitori dei rifiuti solidi urbani» fornendo in proposito alcune indicazioni geometriche e tecniche. Ben poco ma sufficiente per aprire un varco e individuare nella revisione dei regolamenti edilizi uno spazio normativo per disciplinare la realizzazione dei luoghi necessari per la gestione dei rifiuti urbani. La raccolta differenziata richiede impegno da parte dei cittadini e un processo efficiente sul piano gestionale e spaziale. Nell’atto di depositare i rifiuti domestici all’esterno della propria abitazione, Italo Calvino individuava nel 1971 un momento chiave, il primo anello di una filiera di gesti, di operazioni, di flussi, di luoghi, che lo legava ad un patto sociale indispensabile per il funzionamento e l’equilibrio del processo. Ora quel patto è divenuto straordinariamente più complesso. Occorre renderlo più agevole, più accettato (agréé), il servizio va reso più flessibile portandolo nello spazio condominiale e per alcune utenze fino all’abitazione. I cassonetti stradali in un sistema efficiente di raccolta porta

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a porta dovrebbero essere eliminati, ma a ben vedere anche i bidoni carrellati deposti in strada sul fronte del condominio, sebbene meno invasivi, non sono una soluzione soddisfacente per la qualità urbana. Nella filiera per la raccolta differenziata dei rifiuti un ruolo di rilievo va assegnato allo spazio condominiale. Il regolamento edilizio già oggi può imporre agli edifici di nuova edificazione la realizzazione di locali specifici (magari provvisti di compattatori comuni) per il deposito dei rifiuti differenziati. Ma come intervenire sugli edifici esistenti? Si apre una problematica di non poco conto. In alcuni casi si potrebbero riconvertire locali esistenti al piano terra, dal box auto alla carbonaia, ma certamente non basta. Molto dipende dal tipo edilizio, dalla morfologia della proprietà condominiale. I Piani Casa (Decreto Legge n.11/2008 e successive disposizioni sia nazionali che regionali) consentono per opere di ristrutturazione e demolizione consistenti incrementi di cubatura dal 20% al 40%). Queste pessime leggi possono aprire tuttavia una riflessione, nell’ambito di provvedimenti regionali e comunali, sulla possibilità di poter realizzare cubature aggiuntive per la realizzazione di depositi rifiuti (una sorta di “superfetazioni” socialmente utili). Si tratterebbe di un intervento assimilabile alle opere per l’efficientamento energetico degli edifici. L’operazione non è semplice, richiede una conoscenza puntuale dei tessuti urbani e dei tipi edilizi. Gli edifici a corte e i fabbricati con giardini e recinzioni possono trovare con più facilità soluzioni adeguate, molto più difficile è intervenire sugli edifici intensivi, con fronti continui sulla strada. Per liberare le strade dai cassonetti, dai bidoni o dai sacchi il primo obiettivo è trovare il modo di collocarli temporaneamente in spazi o locali idonei all’interno dei condomini o delle loro pertinenze, lasciando agli operatori del servizio di raccolta il loro trasferimento sugli automezzi. Nel caso in cui non risultasse possibile trovare spazi di deposito in ambito condominiale i rifiuti differenziati potrebbero essere portati dagli utenti stessi presso gli automezzi a vasca, di piccola dimensione, stazionati per un tempo definito nel tratto stradale di prossimità degli edifici da servire. Gli spazi per la sosta degli automezzi vanno ricavati sottraendoli ai parcheggi delle auto private. Gli operatori impegnati in tale servizio potrebbero assistere gli utenti, essere disponibili a prelevare, in caso di bisogno, i rifiuti presso gli appartamenti, occuparsi della pulizia delle strade. Nelle grandi città il cassonetto resta lo strumento dominante, anche per la raccolta differenziata. Il loro posizionamento lungo le strade risponde al Codice della Strada piuttosto che a criteri spaziali e di decoro urbano.

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I cassonetti, distinti per tipologia di rifiuto, vengono disposti l’uno accanto all’altro, ma non sempre. Se volessimo trovare un riferimento normativo circa la distanza tra un posizionamento e l’altro avremmo molte difficoltà. I cassonetti sono depositi temporanei di base, ma vengono chiamati “isole ecologiche”. Di ecologico in realtà c’è molto poco, i cassonetti diventano spesso luoghi di accumulo per l’immondizia che non trova spazio al loro interno e depositi di scarti ingombranti di ogni genere. Lasciati senza controllo e apribili da chiunque, i cassonetti diventano fonti di approvigionamento per i raccoglitori informali. Eliminare i cassonetti non sarà facile, sono stati fatti grandi investimenti, esiste un apparato tecnologico e logistico imponente (camion compattatori, automezzi a vasca, automezzi pulitori, decine di migliaia di cassonetti che già oggi pongono problemi di smaltimento e riciclo); si assiste piuttosto a una loro evoluzione, ci sono già cassonetti smart, apribili con schede magnetiche, in grado di riconoscere gli utenti e la tipologia di rifiuto. Per ogni utente è possibile tracciare la quantità di rifiuti prodotti, in tal modo si potrebbe pervenire ad una tariffazione personalizzata che premia chi riduce i rifiuti e li differenzia. In alcuni centri sono stati introdotti cassonetti interrati, a ”scomparsa”. A differenza di quelli stradali questi ultimi richiedono una localizzazione precisa, un progetto impiantistico, una sistemazione di superficie, un design di qualità per il loro inserimento in aree di pregio e nei centri storici. A Bologna si sta realizzando il più esteso programma italiano di “isole ecologiche a scomparsa”. È difficile immaginare che per la loro localizzazione e distribuzione non si sia tenuto conto di fattori urbanistici e di contesto. L’esperienza di Bologna può aprire ad un diverso modello di gestione dei rifiuti urbani. Le isole ecologiche a “scomparsa”, con il loro contenuto tecnologico e la loro attenzione ai luoghi, testimoniano che si può fare di più, che la loro localizzazione può essere più meditata, che il loro design di superficie può relazionarsi ai diversi contesti, integrandosi con le pavimentazioni e lo spazio pubblico. Se si avesse più coraggio e immaginazione oltre alla soluzione interrata si potrebbero prevedere soluzioni di superficie in cui i cassonetti sono inseriti in involucri, in strutture architettoniche leggere, ben definite, intelligenti, accessibili solo agli utenti e agli operatori del servizio di raccolta, in attrezzature di servizio che possono far parte del paesaggio urbano. Se si avesse coraggio e finanziamenti adeguati si potrebbe far ricorso, per i rifiuti organici e il residuo secco, alla raccolta pneumatica con postazioni di conferimento collocate in strada e centrali intermedie di trasferimento.

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Trattamento policentrico dei rifiuti. (Immagini di Rosario Pavia).

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Se il sistema fosse esteso all’intera città si avrebbe una riorganizzazione strutturale delle rete stradale e dei sottoservizi. I condotti pneumatici interrati alla profondità di 1-2 m, che aspirano i sacchetti di rifiuti e li trasportano alla velocità di 70/80 Km orari alle centrali di raccolta poste a 2-4 Km di distanza, produrrebbero una vera rivoluzione nel sottosuolo urbano. Se così fosse forse l’utopia di Eugène Hénard potrebbe finalmente avverarsi. Ma se dopo oltre un secolo il sottosuolo delle strade continua ad essere gestito in modo irrazionale, accogliendo senza nessun coordinamento una pluralità di condutture, ognuna trattata settorialmente, è probabile che dovremo aspettare ancora molto tempo.

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Comunicazione sociale per l'azione ReActioncity Woman, riscatto civile ed urbano di un bene sequestrato alle mafie. Cantiere evento & Recycle di Pensando Meridiano.

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REACTIONCITY. UN PROGETTO DI INNOVAZIONE SOCIALE URBANA PER LA CITTÀ METROPOLITANA DI REGGIO CALABRIA Consuelo Nava >UNIRC

ReActionCity: l’idea_ azioni, reazioni, visioni ReActionCity è un progetto di innovazione sociale urbana per la città metropolitana di Reggio Calabria (innescato come progetto pilota e divenuto tattica permanente per strategie di riscatto smart city). Il progetto pilota nasce da un’idea culturale di Consuelo Nava e Fabio Mollo e con l’azione di coordinamento dell’Ass.ne Pensando Meridiano, con l’intenzione di immaginare visioni e strategie di coesione sociale e sviluppo urbano connessi alle comunità che abitano i luoghi, i paesaggi ed i territori a Sud, promuovendo attraverso progetti locali “azioni brevi per cambiamenti lunghi”. Un modo per condividere una visione di città come nuova topografia reticolare solidale della partecipazione sociale, dove gli spazi e le comunità sono protagonisti della vita possibile e sostenibile nei loro luoghi e diventano attori attivi che la comprendono e la proiettano verso il presente e il futuro. Un modo unico di “fare città”, costruendo socialmente visioni ed agenda urbana di risoluzioni attraverso proposte di creative city e city making, azioni di pratica informale e di politiche inclusive per la rigenerazione urbana e sociale degli spazi collettivi, pubblico-privati della città e delle comunità metropolitane di Reggio Calabria e per la qualità della vita in un tessuto

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produttivo e sostenibile. Il progetto, nella sua evoluzione, si propone come un metodo pro-attivo di social innovation cities esportabile in contesti locali ed extra-regionali, con caratteristiche simili e ambizioni del territorio analoghe, come per esempio in iniziative e competizioni di ambito europeo verso Europa 2020, in progetti mirati alla coesione sociale ed alle sostenibilità economica e ambientale, per lo sviluppo dei suoi territori e la sicurezza della qualità della vita delle sue comunità, attraverso le pratiche di indirizzo della “città intelligente e solidale”. ReActionCity nasce attraverso il suo “progetto pilota 2014”1 in cui si è realizzata un’esperienza di città-laboratorio in quindici giorni di attività di formazione e coesione. L’ambizione è stata quella di innescare una visioneazione in grado di restituire alla comunità una proposta di nuova e collettiva identità comune, attraverso una comunicazione di innovazione sociale e spaziale, con la partecipazione di animatori di eventi temporanei (social makers) che hanno aderito al progetto. Queste attività, insieme a quelle di azione, esplorazione e racconto dei giovani urban makers si sono svolte in quei luoghi della città “sensibili”, a cui è possibile restituire una forma politica urbana dell’inclusione, per promuoverne la loro capacità di autoripararsi. Si sono proposte esperienze di reazione nei luoghi collettivi condivisi e nei beni comuni di gestione pubblica-privata, aree attualmente dismesse o tentativi di spazi già riattivati con processi spontanei. Al fine di rimettere al centro della scena urbana e della sfera pubblica i luoghi scartati dalla vita sociale e spaziale, ma anche quelli r-esistenti di valore culturale e naturale (borghi, periferie, luoghi storici, aree produttive, edifici collettivi, strade), con storie virtuose di comunità che hanno reagito. La tattica con cui si sono svolte le azioni nello svolgimento del progettopilota costruiscono il metodo per la strategia del progetto, che propone la città come laboratorio2, con momenti di costruzione delle visioni di cambiamento e di agenda urbana, attraverso i tempi: – del work education/formazione dei makers/protagonisti (CITY as INCLUSIVE POLITICAL FORM + CITY as VISION CHANGE); – del work experience azioni brevi ed esperienze (CITY as INFORMAL REPAIR CULTURE + FROM RC City to COMMON YOUR CITY). Si sono svolte sei azioni partecipate per la costruzione dal basso della visione di città di Reggio Calabria, ambiti degradati e/o spazi di interesse pubblico collettivo non attivi, in aree produttive dismesse di interesse sociale ed urbano nelle periferie ed alle porte del centro storico.

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Le modalità con cui si sono scelti i contesti per questa prima esperienza hanno tenuto in considerazione la condizione di conflittualità in cui gli stessi si trovavano nel rapporto tra comunità, istituzioni e portatori di interesse nella proposta di rigenerazione urbana dei luoghi stessi o nell’urgenza di restituirli alla dimensione di fruibilità collettiva e produttiva delle comunità locali. Ma anche questioni riferite a protagonisti di storie sensibili sui temi della qualità della vita, servizi, lavoro, reti di solidarietà, cura ed assistenza, cultura. I luoghi delle azioni sono stati: 1. Il borgo Cecilia a Gallico M.na; 2. Le terrazze del Lido Comunale; 3/4. L’area dell’ex Ciapi ed ex Italcitrus a Catona; 5. I nodi intermodali e di mobilità nelle aree del porto a Reggio Calabria; 6. La social street in una strada centrale della città di Reggio Calabria (via D. Tripepi). I racconti delle storie di azione/reazione hanno coinvolto quanto già in corso per questioni conflittuali urbane ed amministrative sul tema dei teatri a Reggio Calabria, degli asili pubblici e della città diffusa e accessibile per i diversamente abili. L’agenda urbana, costruita come proposta di cambiamento per una costruzione sociale della città, presenta documenti di programma strategico e visioni urbane sulla rigenerazione dei luoghi scelti per ReActionCity, ai quali vengono riferite proposte di progettazioni ed interventi secondo strategie di sostenibilità e riciclo urbano. Il racconto delle storie inside dei protagonisti sono state diffuse attraverso gli strumenti della comunicazione sociale, i progetti fotografici e video delle singole azioni. L’esperienza del progetto pilota è servita a costruire la struttura della comunicazione di ReActionCity in rete e secondo gli strumenti della partecipazione sociale diretti. È stato prodotto un Docufilm ReActionCity 2014, per raccontare l’esperienza del progetto pilota, montaggio a cura di Danilo Emo, Edoardo Lio, Fabio Montesano con la supervisione del regista Fabio Mollo. Ed il sito curato nella comunicazione da Danilo Emo, Alessia Palermiti, Andrea Procopio. L’esperienza del progetto pilota continua ad essere disseminata dalla conclusione del suo WorkExperience in eventi ed attività di presentazione delle azioni e delle strategie, seguendo la sua evoluzione come “tattica permanente” in un’attività denominata sharing community, che incontra le comunità, le esperienze e racconta le visioni di futuro collettive. ReActionCity si trasforma in tattica permanente per la social innovation city. Tutte le azioni che interesseranno la fase in corso del progetto ReActionCity quale strategia di innovazione sociale urbana, cercheranno di coniugare gli aspetti dell’intelligenza della città con quelli dell’innovazione

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e della partecipazione; una tattica permanente che si presenta come un acceleratore per la costruzione della città metropolitana di Reggio Calabria, ma che di fatto ne testa un metodo tra innovazione e coesione, tra pratiche del riciclo e dello scambio (innovating, challenging, recycling) come una nuova sfida possibile attraverso progetti “del riscatto”. L’Azione in corso: ReActionCity Woman L’azione ReActionCity Woman nasce dal protocollo d’intesa tra Amministrazione Provinciale di Reggio Calabria (Consigliera di parità Provincia di Reggio Calabria), Cooperativa Sole Insieme, Casa Circondariale di Reggio Calabria, Associazione Industriali di Reggio Calabria, Confcommercio Reggio Calabria, Ass.ne Agape, Comune di Reggio Calabria, Ass.ne Pensando Meridiano con il progetto ReActionCity Reggio Calabria. Ha per finalità: l’integrazione tra i vari soggetti della rete al fine di sviluppare azioni congiunte e coordinate, finalizzate al sostegno e all’integrazione sociale e lavorativa della “Cooperativa Sole Insieme” – iniziativa rivolta alle madri nubili, alle donne separate con figli minori, nonché alle donne che hanno subito azioni di violazione dei diritti, vittime di violenza ed in altre difficoltà, residenti o domiciliate nel Comune di Reggio Calabria – incentivando la loro partecipazione attiva alla vita sociale e produttiva della città, il loro protagonismo per la creazione di spazi ed attività condivise, per la promozione culturale di un tessuto civile e democratico paritario ed attento alle differenze di genere e di culture. La Coop. Sole Insieme sarà accompagnata a gestire un laboratorio sartoriale, in un locale che viene riqualificato e riscattato quale bene confiscato alle mafie, a loro affidato. Nello specifico, l’azione di ReActionCity Woman nasce per coordinare l’attività di networking tra i soggetti promotori ed i makers (urban, social, testimonial, sponsor) per promuoverne una mappatura rispetto a quattro obiettivi/intelligenze/attività dell’azione ReActionCity Woman verso la città metropolitana di Reggio Calabria intelligente e solidale: 1. INSERIMENTO OCCUPAZIONALE, crescita e competitività, sostegno all’inserimento attraverso formazione, esperienze virtuose, reti economiche, competitività, micro-imprenditoria (smart economy, smart people); 2. PROTAGONISMO DELLE “DONNE”, per inserirle in percorsi di promozione della persona e dell’esperienza sociale e civile nel tessuto urbano e delle politiche per i diritti e la qualità della vita delle donne, at-

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traverso iniziative, azioni, testimonianze, esperienze, eventi, confronti sui temi in cui la Coop. Sole Insieme assume non solo un ruolo di destinatario dell’azione ma anche di promozione e coordinamento delle attività utili e significative (smart economy, smart people); MIGLIORE GESTIONE DEI BENI SEQUESTRATI E CONFISCATI ALLA CRIMINALITÀ ORGANIZZATA, attraverso l’adozione da parte di ReActionCity Woman di un brand e progetto dedicato che parallelamente si conduce sul tema, con la finalità di incidere sui livelli di controllo, di gestione, organizzativi e di proposta di progetti produttivi per l’affidamento e l’uso dei beni a disposizione nel territorio della città metropolitana di Reggio Calabria. Su questa attività è già in itinere una progettualità dell’Ass.ne Pensando Meridiano con l’Ass.ne Libera. Il bene confiscato affidato alla Coop. Sole insieme costituirà il primo caso studio su cui una tale procedura potrà essere sperimentata ed in ogni caso lo spazio inserito in una dimensione urbana fisica e produttiva di particolare sensibilità (smart economy, smart environment, smart people); POLITICHE DI CITTADINANZA ATTIVA, secondo la mission del progetto ReActionCity e la sua tattica, attraverso l’esperienza maturata all’interno del laboratorio “la città (in)differente” e con l’Ass.ne Pensando Meridiano, verranno messe in pratica tutte le azioni di costruzione sociale della città attraverso le strategie dirette e di comunicazione sul progetto, al fine del coinvolgimento e dell’apprendimento delle pratiche da parte delle comunità coinvolte connesse agli spazi urbani di svolgimento di tali azioni (smart living, smart government).

Nello specifico, l’Associazione Pensando Meridiano coordina il networking e promuove l’azione di “cantiere evento” e “laboratorio recycle” nelle attività della riqualificazione ed azione partecipata sul bene sequestrato, a cui collabora con la progettazione e direzione dei lavori con i propri giovani architetti urban makers.

1. Si veda il link: www.reactioncity.com. 2. Nava C. (2015), “Future 1/The Laboratory-City: Recycle and Repair”, in S. Marini (a cura di), Future Utopia, Carte Blanche serie, Bruno, Venezia.

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Favara, Farm Cultural Park, i Sette Cortili. (Foto di Maurizio Carta).

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DIALOGO SU FARM CULTURAL PARK Annalisa Contato >UNIPA Andrea Bartoli >FARM

Cos’è Farm Cultural Park? FKP non è né un museo né una galleria d’arte, ma è un centro culturale di nuova generazione, dove viene data importanza al processo e non al prodotto, al valore delle persone e non delle opere. È un museo delle persone, di quelle che hanno voglia di condividere tempo, conoscenze, competenze, network, amicizie e anche risorse economiche. Ogni anno passano dai Sette Cortili centinaia di persone che vengono da noi per raccontarci le loro storie, per condividere percorsi, per confidarci sogni e diventare nostri alleati per il raggiungimento dei nostri: questa è la cosa più bella di Farm Cultural Park. Qual è il principale obiettivo di questa istituzione culturale privata? FKP si impegna ogni giorno in un progetto di utilità sociale e sviluppo sostenibile, che ha l’obiettivo di dare alla città di Favara e ai territori limitrofi una nuova identità connessa alla sperimentazione di nuovi modi di pensare, abitare e vivere.

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Come hanno reagito i cittadini di Favara? Qual è stato l’effetto di Farm sul territorio? Probabilmente non tutti hanno capito qual è la ragion d’essere di Farm, però si sono accorti che Favara non è più come prima, che ogni giorno arrivano visitatori da tutto il mondo, e tutti hanno letto articoli o hanno visto la loro città in tv per ragioni legate all’arte, alla cultura e alla rigenerazione urbana. Un esempio dei cambiamenti che sono avvenuti nella città di Favara dopo Farm è rappresentato da Piazza Cavour, la piazza principale di Favara. Quattro anni fa, di sera, diventava un piccolo Maracaná, ospitando i campionati di calcio africani sino alle prime ore della mattina, e in pochissimi godevano quel posto. Oggi non è più così: ci sono alberghetti, pizzerie, bar, osterie. I giovani di Favara non vanno più la sera a San Leone, ma sono i loro amici di Agrigento che per la prima volta vengono a Favara per trascorrere le serate in un ambiente accogliente, fresco e pieno di energia. Farm ha stimolato la nascita di nuove comunità? In questi pochi anni sono nate diverse comunità: quella degli artisti che collaborano tra loro in progetti nazionali ed internazionali; quella dei nuovi residenti, artisti e creativi che hanno deciso di costruire a Favara un pezzo della loro vita personale e professionale; quella dei giovani e dei volontari che partecipano alla nostra proposta culturale e spesso danno una mano per la realizzazione di progetti o eventi; e, infine, quella dei nostri amici del web, che oggi su Facebook hanno superato le 24mila unità e partecipano e sostengono il progetto con suggerimenti e osservazioni, condividendo le nostre iniziative con i loro amici. Quali sono i nuovi obiettivi di Farm? FKP si pone ogni giorno nuovi obiettivi. Prima di tutto c’è il rafforzamento dell’identità di Favara come città della ricerca e sperimentazione di linguaggi della contemporaneità, nonché il rafforzamento della reputazione territoriale, della visibilità e della promozione nei mercati nazionali ed esteri. In ambito culturale, il principale obiettivo è l’acquisizione di nuove conoscenze, la valorizzazione delle esperienze di scambio e formazione, anche attraverso le residenze per artisti, e porre maggiore attenzione all’ambiente, al cibo di qualità e all’alimentazione sana. In ambito turistico, vorremmo rafforzare l’attrattività turistica e dei flussi, consolidare il

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rapporto con la Valle dei Templi di Agrigento, creare nuovi mercati e nuove modalità di fruizione. Sarebbe anche interessante sperimentare modalità innovative di offerta turistica come gli alberghi diffusi e i ristoranti di casa. Chiaramente gli obiettivi di carattere sociale sono sempre in primo piano per noi, e cerchiamo sempre di lavorare per favorire coesione sociale all’interno della comunità, senso di identità collettiva, volontariato, maggiore solidarietà, partecipazione collettiva, integrazione e tolleranza. È corretto affermare che a Farm la cultura è uno strumento di rigenerazione? È proprio così. L’arte e la cultura qui a Favara non sono fine a se stesse, ma uno strumento nobile per dare identità e futuro alla città e rigenerare il centro storico. Architettura, arte, public design, agricoltura urbana e tante altre discipline e tematiche ci interessano ogni giorno sempre di più. In particolar modo ci interessano tutte quelle questioni che hanno a che fare con l’innovazione sociale e generare soluzioni per migliorare e rendere più sostenibile ed etica la vita delle persone del nostro territorio. In cosa consiste il progetto “residenze per artisti”? Agli artisti che vengono ospitati, per periodi che vanno da un minimo di una settimana a diversi mesi, chiediamo di sviluppare dei progetti culturali che abbiano come presupposto la costruzione di relazioni con gli abitanti del nostro territorio affinché i creativi possano entrare in contatto con la nostra comunità ed interagire con loro. Cosa sono oggi i Sette Cortili? Oggi i Sette Cortili sono una sorta di kasba Siciliana: sette piccole corti collegate tra loro che ospitano una serie di piccoli palazzotti e giardini di matrice araba. Il blog britannico Purple Travel ha collocato Favara e Farm Cultural Park al sesto posto al mondo come meta turistica per gli amanti dell’arte contemporanea. 4XDOL VRQR JOL VSD]L FKH PDJJLRUPHQWH HVSULPRQR LO VLJQL±FDWR GL )DUP" Ogni spazio di FKP è unico e caratterizzante per quello che offre. Farm XL, ad esempio, è uno spazio espositivo dedicato alla cultura, articolato su tre livelli, con roof garden e una piccola Happiness Kitchen, ideale per organizzare un piccolo evento privato. Poi ci sono: Holy Cow, che è il primo spazio di co-working; Ginger. People&Food, un progetto di Al Karub, una

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,Q TXHVWD SDJLQD H QHOOD SDJLQD D ±DQFR Tattiche di Pop-up Urbanism tra i Sette Cortili. Laboratorio di “colonizzazione” creativa a cura del Laboratorio di Urbanistica (Unipa), prof. Maurizio Carta. Dicembre 2014.

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cooperativa che si occupa dell’inclusione sociale di persone svantaggiate; Nzemmula, una cucina condivisa, un tavolo sociale e un salotto collettivo che è stato creato grazie alla collaborazione di Alpes Cucine e Made a Mano; il Barbecue Garden, uno spazio dedicato a talk, piccole proiezioni cinematografiche, musica e divertimento. Quali sono i progetti di Farm nel campo della rigenerazione urbana e sociale? Ci sono diversi progetti che vorremmo ancora realizzare. C’è Palazzo Giglia, dove intendiamo realizzare un progetto di architettura a bassa definizione che possa ospitare: uno spazio esterno da dedicare a concerti live, proiezioni, cineforum, performance e mercati; uno spazio interno da destinare a talk, musica dal vivo e altro; uno spazio per produrre agricoltura urbana; e, infine, spazi per co-working e un ostello. Il progetto per il Children Museum, un luogo dove i bambini potranno giocare e imparare ad avere consapevolezza globale, come una sorta di accademia delle arti dove i bambini, i giovani e i loro genitori potranno accostarsi a tutte le forme di espressione della cultura. Palazzo Cafisi, che sta per risorgere grazie ad una serie di amici professionisti, che fanno parte di Farmidabile, che hanno deciso di diventare protagonisti del rilancio culturale, sociale ed economico di questa città attraverso la rigenerazione di porzioni importanti di centro storico. Infine, Vicolo Luna, progetto di un giovane architetto che dall’apertura di Farm ha sempre partecipato e contribuito ai nostri progetti e che ha iniziato la ristrutturazione di un piccolo quartiere a cinque minuti a piedi dai Sette Cortili.

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Iniziare dal basso, Palermo. (External Reference Architects).

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LIBELLULA VS TIRANNOSAURO? ACTIVATING CITY: NON È LA SPECIE PIÙ FORTE A SOPRAVVIVERE Carmelo Zappulla >EXTERNAL REFERENCE

Così come avviene nella natura, anche nella città sopravvive ciò che si riesce ad adattare ai cambiamenti ambientali, sociali, economici e culturali del contesto in cui si trova1. Nella città, l’adattabilità diventa un’opportunità per allungare la vita di strutture architettoniche fatiscenti o in disuso. Adattabilità significa anche capacità di trasformazione rapida, che può rispondere alle esigenze della contemporaneità per offrire nuove funzioni, temporanee ed imminenti. È fondamentale la capacità di cambiare, d’innescare meccanismi responsivi che portino nuovi ed importanti risultati nella città esistente. Queste trasformazioni possono essere attivate attraverso micro-dispositivi che catalizzano situazioni urbane specifiche. Secondo le avanguardie radicali (1960-1972), l’architettura dovrebbe rispondere alle situazioni invece di definire strutture inamovibili. Così facendo, l’architettura potrebbe utilizzare ed esplorare tecnologie dispiegabili o portatili, in modo da diventare più flessibile e critica nei confronti della permanenza. Questa idea di instant architecture, che può attivare il tessuto urbano, è assolutamente contemporanea, soprattutto se pensiamo alla tendenza della città a cambiare lentamente se stessa.

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Nuove configurazioni, anche semplicemente transitorie, possono rafforzare le attività della città mediante l’uso di vuoti urbani e zone verdi, ma anche attraverso la trasformazione di spazi con grandi potenzialità pubbliche, quali nodi urbani, piazze, parchi, strade o infrastrutture in generale. Un esempio di come semplici catalizzatori urbani possano attivare degli spazi pubblici è quello della piazza del MACBA di Barcellona, dove nel 1998 è stata organizzata Fabrications2, un’esposizione basata sulla realizzazione di quattro installazioni architettoniche. Una delle istallazioni realizzate da MVRDV evocava una serie di attività sportive nella piazza, trasformando uno spazio fino ad allora inattivo in un ambiente vitale e dinamico. Sebbene temporanea, questa iniziativa ha svegliato l’attenzione e la curiosità dei giovani skaters e oggi Plaza del Angels è uno degli spazi più animati della città. Sempre a Barcellona, sembra abbastanza usuale per la gente dinamizzare gli spazi della città, impadronendosi delle strade per celebrare eventi o grandi feste. Per la Festa Major de Gràcia, ad esempio, parte del quartiere Gràcia diventa un unico organismo pubblico pedonale, attraverso la semplice istallazione di palchi musicali e bar all’aperto. Anche il ModaFad, un evento legato alla moda, diventa un pretesto per occupare e trasformare temporaneamente piazze e strade, dando vita a nuove ed insperate dinamiche. In occasione di questo evento, External Reference Architects ha trasformato la Plaza del Angels nel 2009, la calle Moncada nel 20103 in passarelle urbane di moda, con interventi a costo zero, riciclando e riutilizzando materiali offerti dagli sponsor, che a fine evento sarebbero tornati a svolgere la loro funzione di sempre. Piuttosto che occuparsi dei vuoti urbani ereditati dal passato, External Reference Architects si concentra sui cambiamenti inaspettati che possono essere innescati sullo spazio urbano esistente. Qualsiasi spazio della città può diventare attivo se riusciamo a generare attività stimolanti, legate a dispositivi elastici. All’interno della routine giornaliera, le aree pubbliche permettono degli usi temporanei quali lo sport, il cinema, le esposizioni, l’ozio, ecc. Pertanto, la generazione di attività stimolanti è legata ad eventi che funzionano come pretesto per rubare la strada al traffico automobilistico e restituirla al cittadino. Su questo concetto si basa il progetto per la città di Milano Homeopathy and Test Cases on Wheels, presentato in occasione dell’evento “Dreaming Milano Projects, Dreams and Visions for a changing city exhibition”4. Una

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volta analizzate le potenzialità all’interno del centro urbano, si individuano alcuni nodi nell’infrastruttura viaria quali aree verdi, canali, aree sportive, culturali, hotel ed edifici commerciali, le cui attività possono essere rafforzate attraverso l’introduzione di “attivatori“ temporanei. L’obiettivo di queste micro-architetture è duplice: da un lato consente d’innescare una reazione immediata, dall’altro permette di esaminare l’efficacia di possibili interventi a lungo termine. Le attività propulsive si generano a partire da eventi urbani temporanei, che colonizzano nodi strategici (test case) e trasformano zone della città in aree pedonali. In questi nodi si inseriscono dei dispositivi mobili che potenziano la natura dell’area o dell’evento. Tutta la strategia è sottoposta ad una dinamica di prova-errore. Prese le distanze da infrastrutture totalizzanti e onnicomprensive, External Reference Architects sfida la lentezza e l’inerzia del contesto, grazie a strumenti di piccola e media scala. La situazione economica attuale genera un pretesto per pensare soluzioni architettoniche capaci di convivere con l’esistente attraverso attivatori flessibili e versatili. Ciò è ancora più attuale se pensiamo alla complessità della città contemporanea, alla pluralità di forme e di gradienti, difficilmente prevedibili dalle tradizionali strategie di pianificazione a lungo termine. Così come le nostre famiglie stanno vivendo nuovi modi di vivere insieme, si stanno diffondendo nelle nostre città nuovi comportamenti sociali e nuovi modi di usare gli spazi pubblici. Possono questi nuovi atteggiamenti avere una risposta immediata, che porti ad un impatto tangibile sulla città? Esistono sistemi in grado di riattivare il ciclo vitale della città, attualizzandone le necessità e le ambizioni? Per External Reference Architects è possibile catalizzare questi processi innescando micro azioni che appartengono a sistemi di riattivazione più ampi. Nel 2011 a Palermo, nel degradato quartiere della Albergheria, abbiamo proposto la riattivazione dei bassi della via Alloro, della via Celso e della via Materassai. I piani terra degli edifici erano inutilizzati o occupati come parcheggi e queste strade restavano fuori dai percorsi commerciali della città. È stata proposta, in questo caso, la pedonalizzazione dell’area e l’introduzione di moduli in facciata per aumentare la superficie di contatto con la strada, dando agli abitanti la possibilità di estendere l’ufficio, il laboratorio o il negozio oltre i limiti costruiti. Oltre a queste operazioni, sono state proposte delle perforazioni sulla su-

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Iniziare dal basso, Palermo. (External Reference Architects).

Homeopathy and Test Cases on Wheels, Milano. (External Reference Architects).

ModaFad 2012, Plaza Real, Barcellona. (External Reference Architects).

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perficie stradale per incrementare l’illuminazione e la ventilazione naturale dei seminterrati. Più che un progetto imposto, “Iniziare dal basso“5 è stato pensato come un progetto aperto che promuove possibilità future e molteplici configurazioni. All’interno della cultura del copy-left, “Iniziare dal basso“ rappresenta un tentativo DIY di riappropriazione della strada come spazio sociale e di produzione. Per concludere e rifacendoci al titolo di quest’articolo ispirato alle teorie di Darwin, non è il più forte a sopravvivere, ma chi si sa adattare. Nella città gli organismi sopravvissuti e vitali sono quelli che si adattano e l’adattabilità che abbiamo delineato in questo testo è stata innescata mediante dei micro-attivatori. La miniaturizzazione diventa la caratteristica fondamentale di dispositivi accessori che si istaurano sul tessuto esistente, costituendo una struttura intelligente di parti in relazione. E così, mantenendo una supremazia ecologica per centinaia di milioni di anni di evoluzione, la libellula ha sconfitto il tirannosauro.

1. http://www.cals.ncsu.edu/course/ent425/text01/success.html, accesso 28/01/2015. 2. Costa X., Riley T., Robbins M., Betsky A. (eds, 1998), Fabrications: 4 Exhibitions = Fabricaciones, Actar, Barcelona. 3. Yingwei J. (2010), “The feast of Superbox”, in Fitting Trend. Interior Public Space, Shenzen, China, p.169. 4. http://externalreference.com/project/moda-fad-2012/, accesso 29/01/2015. 5. Curatore dell’evento: Luca Molinari, Fondazione Mazzotta, Milano, 2009.

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Rosalio, il blog.

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ROSALIO E LA COMUNITÀ PALERMITANA, UN CASO DI MULTIBLOG LOCALE A PALERMO Tony Siino >ROSALIO BLOG

Nel 2004 i social media non avevano raggiunto lo sviluppo e la pervasività attuale, su Internet l’informazione circolava prevalentemente in un web aperto, spesso oggi rimpianto (la cosiddetta blogosfera) e stavano iniziando a nascere prodotti editoriali specialistici e localistici. A Palermo molti thirty something stavano realizzando qualcosa, una galleria d’architettura o un locale in una zona che si stava rivalutando, una manifestazione estiva o un prodotto culturale. Molti di quegli spunti si sono infranti nell’economia della crisi, ma qualcosa è rimasto. In questo humus è nato Rosalio (www.rosalio.it), un multiblog urbano che ha provato a mettere insieme pezzi di uno scenario frammentato (prove generali della difficile costituzione di un ecosistema in una città con forti individualismi e un approccio predatorio e di parte rispetto alle risorse esistenti). L’idea di base del blog era quella di mettere insieme diversi punti di vista di autori eterogenei che raccontassero la città intrecciandoli giorno per giorno. Un giornalista, una gallerista d’arte, un blogger, una scrittrice, uno sportivo, una pr, ecc. si sono ritrovati insieme a diversi ospiti reclutati una tantum. Negli anni quella compagine è cambiata più volte e il format si è adattato all’arrivo dei social media, aprendovisi. Ogni post è

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aperto ai commenti e i principali temi che hanno caratterizzato la crescita di Palermo in questi anni e i conflitti in atto sono stati spesso affrontati e sviscerati. Alcuni hanno individuato nel blog uno dei luoghi di socializzazione della città1. Kline e Burnstein hanno affermato che i blog hanno avuto un impatto determinante sulla politica, l’economia e la cultura delle comunità a cui si sono riferiti2. Ciò non è avvenuto in maniera omogenea ovunque ma probabilmente è vero per Rosalio. Molti dei problemi e delle scelte amministrative dei sindaci Diego Cammarata e Leoluca Orlando negli anni tra il 2005 e il 2015 sono state discusse, dall’irrisolta emergenza rifiuti a fronte di una tassa sui rifiuti urbani consistente e invisa, a questioni che hanno avuto strascichi giudiziari, a esperimenti legati al verde pubblico e alla pedonalizzazione. In alcuni casi l’impatto è stato decisamente forte. Nel 2006 una delibera legata alla realizzazione di un format di comunicazione venne ritirata in autotutela dall’Amministrazione dopo che l’inviata di Striscia la Notizia Stefania Petyx (ospite del blog) sollevò dei dubbi sulla procedura. Nel 2010 un post di Giovanni Callea relativo a una zona verde e inutilizzata della città diede avvio a un processo che ha portato all’apertura di un parco gestito da volontari, il Parco Uditore, uno dei pochi spazi verdi fruibili della città. Attualmente il blog è in prima fila per la raccolta fondi che porterà alla ricollocazione e al restauro di un bellissimo mosaico in pericolo proveniente dal mercato del Capo e raffigurante Demetra. Difficile anche pensare che le polemiche sulla gestione della recente chiusura della Favorita scaturite sul blog non abbiano influenzato la sospensione dell’esperimento in anticipo rispetto a quanto previsto nel 2014. Moltissimi fenomeni culturali sono passati dal blog. Gli artisti e le persone coinvolte hanno spesso contattato il blog per e-mail e sono stati ospitati, con un filtro minimo rispetto ai media tradizionali, avendo la possibilità di diffondere le proprie idee, testarle, ricevere feedback e aggregarsi con altre persone. Altre iniziative più ludiche sono state la pubblicazione di canzoni ironiche e satiriche che hanno però portato all’emersione di tratti culturali di una vera e propria popolazione urbana, come avvenuto per Palermo is burning che ha inoltre collegato Palermo a un filone di canzoni che tratteggiavano i profili di alcuni giovani delle città partendo da Milano. Anche la versione palermitana è stata racchiusa in una compilation con tutte le altre città d’Italia.

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Le nuove aperture di attività commerciali ma anche le chiusure di locali storici sono state affrontate sul blog, a volte anche con riferimento ai mutamenti nel tessuto economico della città. Alcuni studiosi come Castells3 e Halavais4, rielaborando e rendendo attuali insegnamenti dei sociologi della Scuola di Chicago, hanno azzardato un interessante parallelismo tra la blogosfera e la città: l’urbanizzazione e il conseguente clash di culture, con le conseguenze di crescita culturale e sviluppo di nuovi sistemi, starebbe proseguendo online, sui blog e sui social media che possono essere intesi come novelle “città”, luoghi di incontro e di produzione di idee e stili di vita. In questo senso Rosalio ha provato ad annullare alcune distanze, diventando elemento di prossimità “territoriale” seppure online tra diverse persone e gruppi. Il “luogo” dell’urbano oggi è anche la Rete e la blogosfera, sua forma sociale che, tra le altre, diviene luogo per l’interazione dei soggetti in una rinnovata comunità che si discosta dalle formulazioni classiche e si riformula prescindendo, in tutto o in parte, dalla prossimità territoriale. Oggi possiamo parlare della città anche identificandola con le tecnologie che la costituiscono, ma anche il contrario: Internet (soprattutto Internet oggi), la blogosfera (e Rosalio a Palermo), si fanno città, con le loro comunità, i loro legami, il loro “locale” ridefinito digitalmente.

1. Marrone G. (a cura di, 2010), Luoghi di socializzazione a Palermo, Palermo, http://www. gianfrancomarrone.it/semioticapalermo/. 2. Kline D., Burstein D. (2005), Blog! How the Newest Media Revolution is Changing Politics, Business, and Culture, CDS Books, New York (trad. it.: Blog! La rivoluzione dell’informazione in politica, economia e cultura, Sperling & Kupfer – Egea, Milano, 2006). 3. Castells M. (1989), The Informational City, Blackwell, Oxford. 4. Halavais A. (2003), “Urban Sociology and a Research Agenda for the Blogosphere”, paper presentato a Internet Research 4.0, Toronto.

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Change makers. Palermo. Incontro tra gli innovatori sociali della città. Contributo per l’evento SUPERELEVATA FOOT[PRINTS] di Genova.

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SHARING ECONOMY E INNOVAZIONE TERRITORIALE Michelangelo Pavia >NEUNOI

«Planning is actually incompatible with an entrepreneurial society and economy. Planning is the kiss of death to entrepreneurship» (Drucker P., Innovation and entrepreneurship, Butterworth-Heinemann, 1985, p. 255).

La pianificazione è il bacio della morte dell’imprenditoria; con una semplice frase Peter Drucker, riferendosi alle imprese, esprime chiaramente l’impossibilità di mettere in relazione programmazione e innovazione, in quanto la prima è un ostacolo all’innovazione e dunque alla sopravvivenza dell’impresa stessa. Questa frase fa riferimento al mondo dell’imprenditoria, ma è possibile che il suo assioma sia applicabile anche nella pianificazione urbana? La crisi finanziaria che ha investito l’occidente dal 2007, e che ancora ci accompagna, ha modificato profondamente gli scenari sociali ed economici mondiali. A questa recessione si è contrapposta una creatività diffusa che ha portato un aumento considerevole di progetti innovativi, basati sul concetto di condivisione, in grado di modificare alcune dinamiche di uso dello spazio urbano, sia esso pubblico o privato. Uno dei primi progetti, basati sulla condivisione di uno spazio, ad essersi sviluppato è il co-working o spazio di lavoro condiviso. In pochi anni que-

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Palermo Fab City. Contributo per l’evento SUPERELEVATA FOOT[PRINTS] di Genova.

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sti luoghi di lavoro si sono diffusi a ritmi velocissimi raggiungendo il numero di 2000 unità in tutto il mondo (circa 200 in Italia). Il co-working è un progetto il cui scopo principale è quello di mettere in rete lavoratori indipendenti che condividono dei valori e che sono interessati alla collaborazione e alla crescita personale che può nascere dalle interazioni con altri professionisti. Per raggiungere questo obiettivo il fulcro del progetto è normalmente uno spazio fisico che è un ibrido tra una casa e un ufficio. Ad affiancare il co-working nell’era della condivisione sono nati altri progetti concepiti all’interno di spazi fisici come i Fablab, luoghi in cui si opera nel settore dell’artigianato digitale, o come gli orti condivisi il cui tema è ovviamente l’agricoltura. Oltre ai progetti concentrati all’interno di spazi fisici si sono sviluppati numerosi strumenti legati al tema della mobilità: bike sharing, car sharing o car pooling stanno trasformando il nostro modo di spostarci in ambito urbano. Il mezzo smette di essere personale e inizia ad essere utile a più individui che lo condividono riducendo costi, traffico e inquinamento. A completare il quadro settoriale del mondo della condivisione urbana c’è il settore turistico. In questo ambito, lo sviluppo delle attività basate sulla sharing economy sta dando riscontri economici importanti mettendo in crisi le tradizionali strutture alberghiere. Oggi ogni appartamento si è trasformato in una potenziale struttura ricettiva grazie a progetti come &RXFK6XU±QJ, con il quale si viene ospitati ovunque nel mondo, o Airbnb, servizio con cui chiunque può mettere a disposizione il proprio appartamento come alloggio turistico. Tutti questi modelli hanno in comune alcuni fattori chiave: – La condivisione, ossia l’utilizzo comune di una risorsa. Un bene è quasi sempre usato al di sotto delle sue possibilità, in questi modelli una macchina o un ufficio sono in uso a più persone in contemporanea, garantendo un abbattimento dei costi di utilizzo. – La relazione orizzontale, ossia la condivisione, avviene tra persone in modo diretto. La rete che si crea attraverso questi progetti pone lo scambio tra gli utenti come obiettivo principale, facendo cadere le differenze tra produttore e consumatore ma ponendo gli individui della rete a volte in entrambe le categorie. – La presenza di una piattaforma tecnologica. I progetti di innovazione sociale sono sempre accompagnati da uno spazio virtuale in grado di agevolare l’uso del bene o del servizio e di costruire una rete virtuale tra

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i soggetti. Spesso la tecnologia è anche l’elemento fondamentale per la riuscita del progetto come nel caso del car sharing. Stiamo vivendo un momento storico in cui normali appartamenti diventano strutture ricettive, terrazzi si trasformano in orti, uffici integrano asili o bar. La tecnologia ci permette di concepire edifici diversi, con nuovi spazi più adatti alla vita contemporanea ma che spesso non possono essere realizzati perché non presi in considerazione da una norma tecnica troppo restrittiva. Uno dei principali ostacoli allo sviluppo di queste attività innovative é il sistema regolativo. La normativa vigente spesso non è adatta ai nuovi processi sociali ed economici e rischia di mettere un freno a queste dinamiche. Per permettere la realizzazione di questi progetti è spesso necessario intervenire, a livello locale, con soluzioni ad hoc che colmino vuoti normativi, e che permettano un’attuazione di queste pratiche. Ancora una volta la normativa è costretta ad inseguire il progresso. Possibile che la frase di Peter Drucker sia applicabile anche alla pianificazione urbana? Come possiamo pianificare la città del futuro? In che modo è possibile immaginare strumenti urbanistici capaci di accogliere e incentivare il progresso senza compromettere i vincoli esistenti ed il rispetto generale delle regole? Una possibilità è quella di intervenire su un nuovo tipo di spazio urbano, non fisico ed incredibilmente dinamico: il web. Lo spazio virtuale oggi ci permette di immaginare un’estensione della città adimensionale, pronta ad essere modificata con tempi rivoluzionari rispetto all’urbanistica tradizionale. Il web ci offre strumenti di progettazione condivisa e di informazione diffusa. Una città in rete dialoga con il resto del mondo e questo dialogo è in grado di produrre interazioni e sviluppo. Attraverso una pianificazione dinamica del territorio è possibile lasciare spazio al nuovo introducendo in modo immediato nuove norme e nuovi oggetti urbanistici, trasformando il piano regolatore da uno strumento statico ad una mappa dinamica della città vissuta.

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New Urban Metabolism: from brownfields to talent cycles Oggi makers, fablabers, urban farmers, startuppers, smart citizens, co-workers sono i nuovi protagonisti della città contemporanea: attori della rigenerazione urbana, della nuova economia e della società attiva. I cittadini tornano ad essere produttori e non soltanto di beni e servizi da mettere in commercio, ma diventano agricoltori per tornare ad animare parti di città dismessa attraverso l’agricoltura urbana, oppure diventano lavoratori della conoscenza attraverso gli atelier o gli incubatori creativi, oppure realizzano eventi culturali attraverso il crowdfunding. Gli urban makers non solo adottano parti di città, ma diventano i generatori di nuovi spazi pubblici, adottando e promuovendo stili di vita e comportamenti più adattivi, adottando e generando modelli di consumo solidale e equo. A partire da queste considerazioni, il Laboratorio Re-cycle Palermo ha applicato il paradigma del re-ciclo alla Mappa dei Talenti individuando e analizzando gli effetti urbani di tutti i luoghi dedicati alla creatività e all’innovazione, al fine di comprendere la logica degli insediamenti – oggi spontanei – dei nuovi urban makers, ma soprattutto per orientare le future decisioni di pianificazione e di cityforming verso la creazione di un ecosistema creativo che faciliti la rinascita, lo sviluppo e la redditività della città della produzione innovativa: la Fab City. L’impronta del Laboratorio Re-cycle Palermo prodotta per l’evento SUPERELEVATA dell’Udr di Genova è un plettro rosso con la mappa dei luoghi della metamorfosi creativa che stanno producendo effetti rigenerativi e riattivatori nello spazio urbano di Palermo.

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PALERMO COSTA SUD

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La Costa Sud dal porticciolo di Sant’Erasmo. (Foto di Marcella Aprile).

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RIFLESSIONI A MARGINE DEL LUNGOMARE DI PALERMO Marcella Aprile >UNPA

Nella cultura urbana contemporanea non è più praticabile l’idea della città come sistema autonomo localizzato e omogeneo, le cui crescita e trasformazione siano controllabili attraverso modelli formali specifici, definiti e generali. La città contemporanea – dispersa e che si modifica per enclaves – prevede, invece, gerarchie determinate (quasi esclusivamente) dai sistemi infrastrutturali i quali, per loro natura, sarebbero indifferenti al contesto; e, dunque, dovrebbero prevedere tipologie di intervento aspecifiche rispetto ai luoghi coinvolti. Quindi, il passaggio dalla città dispersa alla città intelligente potrebbe non presupporre una conoscenza accurata dei caratteri locali della dispersione e una sperimentazione ad hoc delle trasformazioni possibili. In più, i processi economici locali – esclusi da forme di sviluppo ascrivibili alle grandi concentrazioni di capitali e strategie planetarie – sono spesso supportati da interventi relativamente circoscritti, che si pensa non richiedano riflessioni e ipotesi generali, come dimostra, almeno in Italia, la pratica di una diffusa deregulation territoriale e sociale da parte delle amministrazioni pubbliche, in particolare, laddove esista una condizione di marginalità. Invece, si stanno manifestando nuove forme di consapevo-

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lezza e riflessione sulla città proprio in quelle aree e quartieri marginali, dove compaiono fenomeni come il co-housing, gli orti urbani e le produzioni artigianali e agricole a Km zero o l’autocostruzione di nuovi habitat ad alta sostenibilità o il riciclo di strutture e aree andate in obsolescenza. La geografia inversa (dalle aree di margine verso le parti più consolidate e stabili delle città) – tema del workshop PMO/Re-verse del settembre 2014 – può fornire punti di vista diversi a progettisti e amministratori, alla cui individuazione contribuiscono in misura rilevante gli abitanti. D’altra parte la smart city – che si basa su una crescita qualitativa di tipo sistemico e sulla tecnica come strumento per aumentare il benessere salvaguardando l’ambiente – misura le sue prestazioni non solo sulla dotazione di infrastrutture materiali (capitale fisico) ma, anche e soprattutto, sulla diffusione della conoscenza e della informazione (capitale intellettuale e sociale) e sulla qualità dell’ambiente (capitale ambientale). Questo, in altri termini, significa che la nuova frontiera dello sviluppo sono le reti in senso stretto, è vero; ma è altrettanto importante la governance cioè l’insieme di regole utili alla gestione della società, incluse le relazioni tra gli attori coinvolti. E significa, ancora, che la necessità di ragionare in termini di sistemi e della loro interazione virtuosa rende inopportuno considerare gli interventi caso per caso l’alternativa giusta alla pianificazione tradizionale o individuare nella costruzione di nuovi piccoli/grandi monumenti la risposta corretta al progetto architettonico e urbano tradizionale. Rimane, tuttavia, aperta la questione dell’identità di luogo e popolazione insediata. Le Goff, nel saggio “Storia e memoria”, ricorda come moderno=sviluppo/crescita sia l’equazione specifica della nostra cultura; indica nella memoria l’elemento essenziale di ciò che si chiama identità, individuale e collettiva; e, ancora, sostanzia la memoria nel monumento e nel documento: considerazioni ancora valide, se però si attribuisce a sviluppo e crescita un significato pertinente alle condizioni odierne e che altrettanto si faccia per le nozioni di monumento e di documento. La città contemporanea, si ribadisce, deve fare i conti con: processi economico-finanziari, quasi mai governabili in situ, che ne richiedono, comunque, la sostenibilità; una nuova sensibilità nei confronti di quanto viene definito consumo del suolo; una spiccata attenzione verso la ricerca di uno stile di vita a bassa impronta ecologica; la nozione di città intelligente che sposta l’attenzione sul capitale umano e ambientale.

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Ciò comporta che si mettano sotto osservazione, prima di tutto, le aree marginali (residuali, dismesse, danneggiate, a bassa qualità abitativa) per la sperimentazione formale di nuovi habitat sostenibili. Ma significa, anche, predisporre – come carattere intrinseco del progetto – la strumentazione necessaria affinché le proposte diventino storia dei luoghi, attraverso il coinvolgimento delle popolazioni insediate nel processo di trasformazione: cioè, fare in modo che il significato di monumento si sposti dal singolo elemento all’insieme e che il valore di documento si attribuisca alla rappresentazione (al racconto, alla denominazione (...) del nuovo habitat. Il lungomare di Palermo Palermo è il portato di una crescita senza sviluppo; contiene una buona quantità di aree in obsolescenza, esito di un’edificazione residenziale diffusa e confusa – e non di modificazioni strutturali – che si è andata incrementando dagli anni Sessanta del Novecento a oggi. Dalla seconda metà dell’Ottocento in poi, ha assunto una direzione principale di sviluppo – quella Nord/Sud – che ne ha determinato il progressivo allontanamento dal mare. Tuttavia il lungomare esiste, sebbene corrisponda a una delle parti più degradate della città da quando, dal secondo dopoguerra fino agli anni Settanta circa, è stata usata come discarica. Il rapporto che ha legato Palermo al mare risale alla sua fondazione fenicia. Il Cassero (oggi corso Vittorio Emanuele), con la sua giacitura E-O, supporta un asse ottico che fissa le regole del rapporto tra due elementi naturali – il mare e il monte – attraverso una strada che: ha una precisa configurazione in sezione trasversale e longitudinale; è lo spazio pubblico rappresentativo per antonomasia; è l’elemento ordinatore del primo impianto urbano; ha un forte significato simbolico. Il monte e il mare esistevano prima della città fenicia, ma non esisteva il rapporto biunivoco che ora li lega: paesaggio e città sono consustanziali, nascono nello stesso momento. In qualche misura, sulla fascia costiera da Monte Pellegrino a Monte Grifone (che chiude a sud la Piana di Palermo), è possibile rintracciare lungo i suoi 8,5 chilometri di sviluppo altre strade potenzialmente analoghe a corso Vittorio Emanuele: il che fa del lungomare il luogo dei punti in cui la città lega il mare al suo entroterra. Altri caratteri peculiari della fascia costiera possono esser ancora rilevati

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se la si considera una risorsa (e non un’area marginale caratterizzata da bassissima qualità abitativa) e se si ri-nominano le sue parti in ragione della loro potenzialità. Si potrebbe dire che la fascia costiera è costituita da quattro sistemi: del fronte urbano continuo a monte della strada/lungomare; degli arenili; delle dune (le discariche abusive hanno effettivamente sviluppato una vegetazione di tipo dunale, pur non essendo dune in senso proprio; a questo sistema è riferibile anche il giardino già realizzato sulla discarica prossima alla Cala); dei padiglioni (a valle della strada/lungomare si trovano edifici isolati o insiemi di edifici che sono, comunque, discontinui rispetto al fronte continuo al di là della strada). Ai quattro sistemi si aggiungono alcune singolarità: il porto; la foce del fiume Oreto; i due porticcioli di Sant’Erasmo e della Bandita; un parco archeologico urbano formato dalla fortificazione portuale medioevale (il Castello a mare) e da un mai dissepolto quartiere ellenistico. I progetti sulla Costa Sud, prodotti durante il workshop PMO/Re-verse con la partecipazione di attori non solo universitari, propongono una lettura diversa della fascia costiera: per cicli, caratterizzati da sistemi di tipo funzionale o strutturale. Anche in questo caso il punto di vista è ribaltato: sono

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messe in evidenza potenzialità e caratteri; e il ciclo è, insieme, strumento di lettura e ipotesi di progetto. La fascia costiera è pronta per diventare il lungomare della città. La trasformazione è virtualmente iniziata: si aspetta solo che diventi reale.

tutor tutorSottoIl golfo di Palermo dalla Costa Sud. (Foto di Marcella Aprile).

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Monte Pellegrino dalla Costa Sud. (Foto di Gioacchino De Simone).

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“NON C’È FORMA CHE NON SI TRASFORMI”. PALERMO, CITTÀ COME ESPERIMENTO Vincenzo Melluso >UNPA

«Non c’è forma che non si trasformi», titolava così Il Sole 24 Ore un articolo di Anna Li Vigni, studiosa di estetica, apparso nel luglio del 20111. Mi pare una formulazione emblematica per dare l’incipit a questa mia breve nota che è stata l’introduzione ad una attività che ha visto impegnati studiosi, architetti e studenti intorno a temi e questioni che hanno trovato un campo di indagine privilegiato nel territorio palermitano, nell’ambito del workshop PMO/Re-verse Hyper-cycling “Costa Sud”. L’occasione si è offerta per costruire scenari in grado di verificare strategie di trasformazione, in cui le soluzioni tecniche e costruttive si sono dovute adattare a criteri di sostenibilità dell’architettura, prevedendo l’integrazione in particolare delle aree verdi con le nuove costruzioni e con gli edifici esistenti. Palermo, quindi, città come esperimento, in particolare una sua porzione significativa e cruciale per il suo sviluppo: il sistema della Costa Sud, da Sant’Erasmo alla borgata marinara di Aspra. Il tema del fronte mare rappresenta per la grande metropoli siciliana un luogo paradigmatico per cogliere le potenzialità e le contraddizioni di una comunità che ha visto un continuo alternarsi di atteggiamenti segnati da disinteresse e senso di abbandono, a momenti di grande slancio nel prefi-

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Vista aerea di Romagnolo. (Foto tratta da AA.VV. (1988), Palermo 1991. Nove approdi per l'Esposizione Nazionale, D.C., Palermo, p. 4).

Vista aerea della foce del fiume Oreto. (Foto tratta da AA.VV. (1988), Palermo 1991. Nove approdi per l'Esposizione Nazionale, D.C., Palermo, p. 8).

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gurare la trasformazione del suo territorio. Una “Araba Fenice” che, a partire soprattutto dagli anni del secondo dopoguerra, ha proceduto con passo incerto, spesso privo di una visione strategica, capace di riorganizzare la città verso nuove polarità nel suo waterfront, oltre che nel suo ricco centro storico. Forse è il caso di ricordare in questa occasione l’unico, a mio avviso, contributo per la città che negli ultimi decenni è stato capace di esplorare scenari di grande valore architettonico e paesaggistico. Mi riferisco all’iniziativa che nel 1988 fu condotta sotto la guida di Pasquale Culotta2 intorno ad una ricerca progettuale che avrebbe proiettato Palermo verso il 1991, data del centenario dall’Esposizione Nazionale del 1891 che fu ospitata dal capoluogo siciliano. In quella occasione architetti italiani e stranieri furono impegnati nella stesura di nove progetti, dislocati in altrettanti punti nevralgici, lungo tutta la linea di costa della città. Ricordare quella circostanza e gli interessanti esiti progettuali, ritengo possa rappresentare una traccia utile per valutare, con ancora più forza, la necessità di una azione di confronto in grado di avviare una trasformazione concreta attraverso il progetto di architettura. Gli obbiettivi di quella iniziativa avevano come unico disegno la creazione di un sistema urbano di corrispondenza tra costa, tessuto insediativo e collina della Conca d’Oro. Si voleva concepire cioè un preciso disegno capace di far emergere, attraverso lo strumento del progetto di architettura, la possibilità di assegnare ancora alla città la centralità del rapporto fra sistema insediativo e caratteri propri della geografia del suo territorio. Avendo come sfondo l’esperienza del 1988, la ricerca Re-cycle Italy si è intestata la prerogativa di rinnovare alcune modalità di approccio ai temi della trasformazione urbana, immettendo le nuove istanze che vedono nel tema della rigenerazione urbana un importante momento per lo sviluppo della città contemporanea. A partire quindi dalle tematiche legate all’applicazione di meccanismi di “riciclo creativo e proattivo”, si sono potuti verificare i meccanismi che consentono di rigenerare sistemi, anche estesi, di paesaggio, di parti urbane e di manufatti architettonici. Una azione sempre più diffusa e praticata nel contesto europeo, ma non solo, in grado di offrire condizioni nuove per una più sistematica e strategica riconversione di parti di territorio. Riscoprire quindi luoghi abbandonati, paesaggi incerti, architetture di-

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Vista aerea della Cala. (Foto tratta da AA.VV. (1988), Palermo 1991. Nove approdi per l'Esposizione Nazionale, D.C., Palermo, p. 11).

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smesse così da riproporle all’interno di un programma che ha come parola d’ordine “riconversione”. Tutto ciò può essere declinato attraverso varie scale d’intervento, da quelle più minute – quasi da chirurgia urbana – ad altre più estese, dove si integrano in modo più articolato porzioni di territorio con un rinnovato sistema edilizio. L’attività del workshop palermitano, con i suoi esiti, si è collocata all’interno di questo filone di ricerca e ha consentito di elaborare idee e progetti offrendo un articolato ventaglio di condizioni di sperimentazione. Gli esiti, infatti, sono stati in grado di offrire ipotesi di trasformazioni significative e adeguate alle nuove istanze della contemporaneità. Istanze che trovano nella compatibilità ambientale, nel miglioramento del sistema delle relazioni e, soprattutto, in una visione più equilibrata della struttura sociale, temi fondamentali: un solco sul quale orientarsi per lo sviluppo della città nel futuro prossimo. Una sfida ambiziosa che oggi si rende pressante e non più derogabile per potere ricollocare Palermo in una dimensione di città del XXI secolo. Riprendendo a conclusione la metafora dell’Araba Fenice e il suo motto, possiamo affermare: post fata resurgo. Dopo la morte risorgo.

1. Li Vigni A. (2011), "Non c’è forma che non si trasformi", in Il Sole 24 Ore, supplemento “Domenica”, 24 luglio. 2. AA.VV. (1988), Palermo 1991. Nove approdi per l’Esposizione Nazionale, Democrazia Cristiana, Palermo.

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9 KM COSTA 28 KMQ AREA DI PROGETTO

Palermo. Costa Sud. Le aree di progetto.

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PALERMO COSTA SUD: FUTURI PROSSIMI A COORDINATA 0,0,0 Daniele Ronsivalle >UNIPA

La Costa Sud di Palermo è un territorio che contiene in sé forti elementi di resilienza identitaria, ma che a causa della sua attuale fragilità si presenta come un mosaico scomposto di parti – spesso indistinte – che producono l’effetto opposto di resistenza alla trasformazione. La forte frammentazione fisica e sociale dipende da una lunga fase storica di inganno e di abbandono da parte della città di Palermo che ha prodotto sul mercato immobiliare dell’area forti tensioni nel corso di tutto il XX secolo, producendo i risultati attuali. L’area, infatti, è individuata dai piani di sviluppo della fine del XIX secolo come il luogo in cui la città si sarebbe sviluppata e avrebbe prodotto, progressivamente, la saturazione delle aree urbane verso est con un probabile dipolo urbano Palermo-Bagheria mai realizzato. Tuttavia, il crescente interesse formalmente indicato dai piani regolatori della prima metà del XX secolo avevano prodotto un forte aumento del valore dei suoli a sud della città murata e un proporzionale abbattimento dei valori a nord. Su questa forte sperequazione, il piano del 1962 produce i suoi effetti sulla Costa Sud in quanto la città sposta il proprio baricentro di crescita verso

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nord e, quindi, la Costa Sud rimane luogo del degrado, dell’abbandono, della non-città. Questo evento è massimamente rappresentato dalla decisione a livello regionale di autorizzare alcune discariche di sfabricidi sul mare da Bandita ad Acqua dei Corsari. L’improvviso degrado e l’abbandono delle funzioni balneari precedentemente esistenti hanno trasformato l’area nel luogo privilegiato per la realizzazione dei piani PEEP previsti dalla legge 167/62 e dei nuovi insediamenti industriali di Brancaccio. I processi di dismissione in atto nell’area hanno compiuto il resto: il macello, il gasometro, le attività proto-industriali presenti lungo l’asse di via Messina Marine perdono negli anni progressivamente la loro rilevanza cittadina diventando luoghi periferici insieme al fiume Oreto che perde la propria funzione baricentrica nel sistema extra-murario della città per trasformarsi in un margine di invivibilità, in un canale irreggimentato in cui le azioni di antropizzazione rendono il fiume stesso più pericoloso e inutile. Tessere di un mosaico di cui non si legge più il disegno e che ad oggi non compongono più un’immagine complessiva. I processi di stratificazione e accumulazione lungo la linea di costa, in particolare, hanno generato un paesaggio di margine in cui le permanenze di un passato produttivo, ormai “interrotto”, sono ancora riconoscibili e coesistono disordinatamente insieme a vecchi e nuovi tracciati, aree di borgata, quartieri pubblici e nuovi insediamenti commerciali. L’approccio al progetto per la Costa Sud è quindi basato sull’integrazione delle scelte, sulla condivisione delle idee progettuali, sull’attacco a cinque luoghi chiave dell’area, nel nome di una nuova visione di città e di paesaggio urbano: Foce Oreto e Gasometro, Macello e Stazione Centrale, Città liquida, Porto della Bandita, Porta del Parco Ciaculli-Maredolce. Il nodo Foce Oreto e Gasometro è caratterizzato dalla scomparsa del fiume come luogo naturale, ancorché urbanizzato, e diventa un puro fatto idraulico, privato della sua natura ed ignorato dalla città. Questa situazione si riverbera su tutto ciò che ha a che fare con il fiume e l’acqua: la foce è dimenticata, occupata da fabbriche di piastrelle in marmo-cemento e scissa dai luoghi dell’ex Macello cui dava acqua per le attività di macellazione. La città, grazie ai recenti lavori per la rete tranviaria, ha scoperto questo luogo, stupendosi della presenza di punti di attraversamento antichi e carichi di storia, ma non basta: il pregio culturale dell’area con Orto Botanico, Villa Giulia, Ponte dell’Ammiraglio, Museo Mare Memoria Viva devono es-

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sere riconnessi alla città solo dopo essere stati fortemente posti in relazione reciproca. Il nodo Macello e Stazione Centrale offre come luoghi del progetto il Macello – ormai dismesso – l’area di Ponte dell’Ammiraglio, il sedime ferroviario che risulta essere molto più grande delle attuali necessità della movimentazione e manutenzione e l’ex caserma dell’Aeronautica Militare di via dei Decollati, attualmente concessa in uso ad un’importante organizzazione benefica della città. La lunga fascia costiera che va dalla foce dell’Oreto fino alla borgata della Bandita costituisce l’elemento cruciale del nodo Città liquida che offre come spunti di progetto la riconfigurazione dei cicli interrotti della fruizione costiera: la fascia costiera, con l’arenile nato dal lavoro di erosione del mare sulle discariche di scavi e sfabbricidi, presenta alcune strutture che lasciano prefigurare la possibilità di integrare le funzioni del “mare della salute” di inizio XX secolo, già presenti nel Solarium (ex centro per le cure areo-elio terapiche) con nuove funzioni di accoglienza e residenza nella struttura alberghiera dell’hotel San Paolo sequestrato alla mafia e concesso all’Università di Palermo e con gli elementi del patrimonio culturale (Stand Florio e chiesa arabo-normanna di San Giovanni dei Lebbrosi). Esiste tuttavia la questione della centralità sanitaria del complesso ospedaliero Bucchieri La Ferla da ri-organizzare in relazione alle nuove funzioni ricreative, soprattutto per gli aspetti di accessibilità e sicurezza. La cerniera tra le svariate identità urbane che animano Palermo Costa Sud è nel nodo Porto della Bandita: il territorio urbano retrostante è caratterizzato da forte disagio sociale, il porticciolo si è insabbiato a causa dei detriti della vicina discarica di inerti (il “mammellone”), la borgata marinara ha perso la sua identità, gli orti e le aree agricole retrostanti non riescono a riconnettersi con nessuno dei sistemi presenti. Costa Sud è anche, quindi, un’area agricola ancora vasta in estensione e rilevante nel quadro delle economie locali e dal basso: allontanandosi dal mare, il nodo Porta del Parco rappresenta l’innesco più rilevante per inserire le tensioni progettuali in visioni di vasta scala, urbana e metropolitana. L’area, quindi, fisicamente è molto ampia. Si tratta di un’area fortemente segnata da una notevole diversità e difformità di usi spesso contrastanti tra loro che giustapposti nella localizzazione definiscono situazioni di frizione tra gli usi presenti. La vasta area agricola con caratteristiche di tipicità – Ciaculli – che dà il nome all’omonimo mandarino tardivo – il marzolino di Ciaculli – diventa in-

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Palermo. Costa Sud.

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differente a quanto succede nell’intorno: depositi di rottami di ferro, infrastrutture stradali e ferroviarie, scheletri di edifici mai completati punteggiano i giardini murati dei mandarini compromettendone ogni possibilità di riconoscibilità come luogo, come prodotto, come processo produttivo. Nella fascia compresa tra l’autostrada e la zona di sviluppo (?) industriale (!?) di Brancaccio i tessuti si addensano in un sistema residenziale di borgata lineare lungo gli assi storici: in questa fascia nuovi disegni urbani pensati in funzione di un modo di abitare a maggiore densità e il parco ferroviario commerciale sottoutilizzato diventano i luoghi da abradere con lo stile del riciclo per riscoprire i luoghi dello sviluppo storico di quest’area. L’area più vitale dal punto di vista delle trasformazioni è quella occupata dal centro commerciale Forum nei pressi del quale si trovano il capolinea della linea tram n. 1, il nuovo svincolo autostradale e la stazione ferroviaria regionale Roccella: le più recenti rumors fanno ipotizzare che ad est di quest’area possa essere localizzato un nuovo punto vendita Ikea. Vani tentativi di interramento non riescono a far scomparire la pescaia del sollazzo arabo normanno di Maredolce che vive un ciclo di vita parallelo rispetto al contesto: mentre il sistema recente, violentemente insediato, tende inesorabilmente a disfarsi, le tracce permanenti della storia si propongono come permanenze identitarie da valorizzare. Il tema di progetto è quindi la riconnessione dei tessuti attraverso il riequilibrio dei cicli del verde, dell’acqua, della storia: la definizione di un’area di accesso dalla città al futuro parco agricolo di Ciaculli e viceversa si compone di funzioni che possano dare nuovo peso alle attività agricole integrate nelle funzioni produttive (non più industriali) e nelle identità locali stratificate e mai sufficientemente cancellate.

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Fontana del Genio di Palermo, Palermo, Villa Giulia, 1778, opera di Ignazio Marabitti.

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PALERMO COSTA SUD. METAMORFOSI URBANE DEL PATRIMONIO CULTURALE Alessandra Badami >UNIPA

A Palermo si arrivava dal mare. Gli accessi via terra erano difficoltosi e male attrezzati. A sud della città scorre un fiume, l’Oreto, cesura di penetrabilità. Il principale ingresso terrestre a Palermo da sud era il valico del Ponte dell’Ammiraglio dal quale si poteva raggiungere Porta di Termini: nell’Alto Medioevo, il ponte individuava il confine tra la città, conquistata dai Normanni, e la campagna, magnificamente attrezzata dagli Arabi con agrumeti e giardini. Il Ponte dell’Ammiraglio (realizzato su disposizione dell’ammiraglio del re normanno Ruggero II, Giorgio D’Antiochia) è il più antico ponte di pietra che sia stato costruito dopo la caduta dell’impero romano (1132 circa) sulla scorta di quel miscuglio di arte e tecnologia arabo-normanne che in Sicilia ha scritto uno dei capitoli più interessanti della storia dell’architettura1. La tecnica costruttiva e la solidità della struttura sono impostate sui suoi conci di calcare perfettamente squadrati: il ponte a schiena d’asino è sorretto da sette arcate ogivali a doppia ghiera, alternate da cinque archi di minori dimensioni, aperti nei piloni sia per alleggerire la struttura, sia per agevolare il deflusso delle acque, un capolavoro di ingegneria civile medievale che è stato immortalato su una delle banconote dell’Unione Europea.

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Dopo la deviazione del fiume nel 1938, pur essendo rimasto privo della sua funzione, il ponte non è stato demolito, assumendo un ruolo significativo nel paesaggio urbano di Palermo: esso marca con esattezza il passaggio dalla città alla non-città, così come metaforicamente il ponte traghetta le anime dal mondo dei vivi all’aldilà (compito del pesatore d’anime arcangelo Michele, al quale il ponte venne dedicato), e come ribadisce la presenza vicino al ponte della Chiesa delle Anime dei Corpi Decollati, nel cui cimitero venivano sepolti i corpi dei giustiziati, pietoso ricovero dei cadaveri ripudiati dai suoli consacrati dei cimiteri della città. Durante l'assedio da parte dei Normanni, vicino al luogo dove verrà costruito il ponte e probabilmente sulla preesistenza di un ribat arabo (Castel Jehan2) fu edificata durante l’epoca di Ruggero II la Chiesa dedicata a San Giovanni (1071), titolata successivamente San Giovanni dei Lebbrosi nel 1155 a seguito del trasferimento di un lebbrosario. Il portico d’accesso, probabilmente turrito, venne trasformato presto in campanile con cupola, che, insieme ai rossi emisferi di San Giovanni degli Eremiti, di San Cataldo e della Piccola Cuba, restituisce uno degli aspetti più caratteristici della Palermo arabo-normanna3. Nei lussureggianti giardini extramoenia della Conca d’Oro, tra i sofisticati sollazzi arabi, rifugi ad avanzatissima tecnologia ambientale contro le afose temperature dei giorni di scirocco e luoghi ideali del ristoro fisico e mentale, è ancora presente il Castello di Maredolce, o solacium regio della Favara4. Già dimora suburbana dell’emiro Giafar al-Kalbi, venne saccheggiata ma successivamente riabitata ed ampliata dai re normanni che «già usi alla rude pratica della guerra, ereditarono con questo palazzo il senso fascinoso della vita orientale, sedotti dalla sua splendida mollezza»5. Si compone di un edificio fortificato quadrangolare con grande cortile porticato centrale, all’epoca circondato su tre lati da un grande lago artificiale impermeabilizzato con intonaco idraulico e popolato di pesci con al centro un isolotto triangolare piantato ad agrumi6. La Costa Sud, oltre a custodire reperti medievali straordinariamente ben conservati appartenenti alla stagione arabo-normanna, è testimone di un altro brillante capitolo della storia della città, quando la Palermo ±Q GH siècle si affermava come una delle capitali del nuovo stile che si andava sviluppando contemporaneamente nelle più vivaci città europee. Insieme a città come Vienna, Barcellona, Parigi, Bruxelles, Londra, Berlino, Palermo partecipa attivamente alla scena artistica e filosofica divenendo uno

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dei centri propulsori dello Stile Liberty. Nello Stand per il tiro al piccione commissionato nel 1906 dalla famiglia Florio ad Ernesto Basile, lo stile floreale si contamina con il gusto arabeggiante delle architetture medievali palermitane7 nella cupola emisferica squamata, nei particolari decorativi a palmizi stilizzati, nei portali ad arco moresco; nella facciata rivolta verso il mare, invece, l’ampio uso del ferro la caratterizza già come architettura protorazionalista8. La presenza lungo la Costa Sud della “tavernetta del tiro”, epiteto dello Stand nei primi anni del XX secolo, parte di un progetto più ampio che prevedeva la realizzazione di un Kursaal sul lungomare, è testimone della vocazione balneare che tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo il quartiere Romagnolo cominciava ad esprimere9. A partire dagli anni ’30, con il definitivo prevalere di Mondello come località balneare dei palermitani, la struttura venne abbandonata e il progetto rimase incompiuto. Lo Stand è stato ristrutturato nel 198510, ma, destinato solo a sporadiche manifestazioni culturali, ha visto riavviarsi rapidamente il processo di degrado. Il limitrofo Istituto di puericultura Solarium Vittorio Emanuele III, sorto sul piccolo cantiere navale Regina Elena e ristrutturato da Ernesto Basile nel 1929 per fornire cure aero-elio-terapiche ai bambini tubercolotici (capienza mille bambini), dopo il debellamento della malattia diviene collegio per bambini indigenti11; chiuso alla fine degli anni ’80, conosce rapidamente un periodo di degrado e vandalizzazione. Per iniziativa del Comune nel 1996 è stato oggetto di un restauro architettonico e, attraverso il Progetto Solarium, di un tentativo di rifunzionalizzazione come centro di “fascinazione” al lavoro12; il progetto avrebbe dovuto coinvolgere gli anziani del quartiere in qualità di maestri e i giovani in difficoltà o senza lavoro in qualità di allievi per la trasmissione di quei saperi legati all’artigianato e ai mestieri della tradizione. Non lontano dall’Istituto e dallo Stand e sempre su via Messina Marine si attesta l’ex deposito Locomotive di Sant’Erasmo, parte della stazione ferroviaria costruita nell’ultimo ventennio dell’800, testa del tracciato ferroviario che si allungava verso la Costa Sud fino ad Acqua dei Corsari per poi piegare all’interno in direzione di Corleone e terminare a San Carlo; dismessa nel 1954, ne restano soltanto la squadra rialzo e il deposito locomotive13. L’edificio, che insiste sul lungomare nei pressi della foce del fiume Oreto all’interno dell’area destinata a divenire parco fluviale, ha un apprezzabile valore storico come reperto di archeologia industriale per la sua struttura di notevoli dimensioni (48 x 30 m) sorretta da pilastri angolari in ghisa e ca-

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priate Polonceau. Oggetto di restauro nel 2004, è uno dei luoghi di Palermo più suggestivi e duttili dedicati alla cultura, alla musica, all’arte e al teatro. Attualmente ospita l’Ecomuseo urbano diffuso del mare “Mare Memoria Viva”, un nuovo concetto di museo basato sulla condivisione di saperi, usi, spazi: un dispositivo finalizzato ad innescare sinergie tra patrimonio culturale, collettività, luoghi. Tra il fiume Oreto e il centro storico di Palermo insiste il grande polmone verde della Flora e dell’Orto, Villa Giulia e l’Orto Botanico. L’Orto, una delle più importanti istituzioni dell’Università degli Studi di Palermo, venne realizzato tra il 1789 e il 1797 successivamente alla Villa; per scelta progettuale di Salvatore Attinelli14 è in continuità visiva con il giardino, componendo una quinta vegetale aperta sul paesaggio urbano. Il progetto dell’edificio centrale, il Gymnasium, è di Léon Dufourny ed ospita l’aula per le lezioni di botanica, l’erbario, il semenzario, la biblioteca e gli alloggi del direttore15. Gli edifici laterali, il Tepidarium e il Calidarium, sono stati realizzati sotto la direzione di Giuseppe Venanzio Marvuglia sullo stile neo-classico definito da Dufourny. L’area dell’Orto, estesa per una superficie di 10 ettari dove vengono coltivate e acclimatate numerose specie di piante, confina con l’area industriale dell’ex Gasometro, uno dei poli di rifunzionalizzazione e riuso del patrimonio dismesso più grandi e interessanti di Palermo. La varietà e il notevole interesse culturale del patrimonio storico che punteggia la Costa Sud di Palermo, che appare non ancora pienamente valorizzato nelle sue potenzialità se non a volte lasciato in stato di abbandono, richiede con forza interventi e progetti di recupero integrati con il tessuto economico e sociale di questa parte “dimenticata” della città16: per adesso rimane lì, sospeso, in attesa di una rinascita sotto nuova forma, di una metamorfosi che lo veda trasformarsi da residuo del tempo a componente vivente e attiva del territorio17. 1. Per le sue eccezionali condizioni di conservazione che restituiscono in modo integrale le caratteristiche architettoniche, è stato inserito tra gli undici monumenti arabo-normanni che compongono l’itinerario “Palermo arabo-normanna e le cattedrali di Cefalù e Monreale”, iscritto nella World Heritage List dell’Unesco. 2. De Seta C., Spadaro M. A., Troisi S. (1998), Palermo città d’arte. Guida ai monumenti di Palermo e Monreale, Kalòs, Palermo. 3. Chirco A. (1997), Guida di Palermo. Visita guidata della città e dei dintorni per itinerari storici, Flaccovio, Palermo. 4. Amari M., Storia dei musulmani di Sicilia, Firenze 1854-1872, ed. II a cura di Nallino C. A., Catania, 1933-1939. Amari M. (1881), Biblioteca arabo-sicula, Loescher, Torino.

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5. Bellafiore G. (1990), Palermo. Guida della città e dei dintorni, Istituto Geografico de Agostini, Palermo. 6. Giresi G. (2006), Il Castello di Maredolce, AAPIT, Palermo. 7. Iannello M., Scolaro G. (2009), Palermo, Guida all’architettura del ‘900, Edizioni Salvare Palermo, Palermo. 8. Dalia S. (1999), Scoprire Palermo. Guida alla città moderna, De Ferrari, Genova. 9. Mauro E., Sessa E. (2014), Collezioni Basile e Ducrot, Plumelia, Palermo. 10. Scuderi G. (2013), “Un futuro per lo Stand Florio”, in Per, n. 35, gennaio-aprile. 11. La Duca R. (1984), Palermo: alla scoperta del tuo quartiere, Stass, Palermo. 12. Gerbino A., Lavanco G. (a cura di, 1996), Solarium. Un’esperienza di fascinazione al lavoro per promuovere la comunità, FrancoAngeli, Milano. 13. De Seta C., Spadaro M.A., Troisi S. (1998), Palermo città d’arte. Guida ai monumenti di Palermo e Monreale, Kalòs, Palermo. 14. Campisi T. (2014), “Un cantiere nella Palermo del XVIII secolo. Progetti e realizzazioni per il Giardino di Botanica”, in G. Fatta (a cura di), Palermo. Città delle culture, 40due edizioni, Palermo. 15. Bresc-Bautier G. (a cura di, 1991), L. Dufourny, Diario di un giacobino a Palermo, 17891793, Fondazione L. Chiazzese Sicilcassa, Palermo. 16. Lima A.J. (1997), Palermo. Struttura e dinamiche, Testo&Immagine, Torino. 17. Badami A. (2012), Metamorfosi urbane, Alinea, Firenze.

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Palermo. La Costa Sud vista da Monte Grifone. (Foto di Gioacchino De Simone).

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LETTURE PER PALERMO COSTA SUD: CONTESTO E COMPLESSITÀ Giuseppina Farina >UNIPA

Nelle strategie di recupero di parti di città, di modificazione degli assetti urbani, l’attenzione è dedicata maggiormente, in particolar modo in ambito europeo, alle aree in dismissione o comunque indebolite nell’originaria identità, che richiedono una nuova connotazione architettonica. È il caso dell’area oggetto di riflessione di questa ricerca. All’interno dell’area di Palermo Costa Sud il valore dei differenti sistemi individuabili, da quello produttivo e commerciale a quello storico e culturale, risulta trasfigurato e indebolito. L’importanza del fenomeno spinge al confronto tra diverse strategie progettuali finalizzate a ricomporre significativamente i luoghi, attraverso segni capaci di formare un’idea di città chiarendo e riordinando un presente sempre più in rapida trasformazione. A questo proposito la questione da indagare riguarda quali orientamenti progettuali seguire per il ridisegno di queste porzioni di città, in particolar modo nei casi, come Palermo, dove sono forti e prossime le tracce della città storica. Una prima riflessione parte dalla considerazione che, sebbene oggi siamo portati a considerare la città come un complesso statico o una struttura permanente, è nella complessa problematica della dismissione urbana che possiamo rintracciare un segno molto evidente della fra-

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gilità della città contemporanea, connotata da un continuo sviluppo dinamico di modificazione a differenti livelli ed anche nelle sue parti più definite e solide. Le criticità della città si rintracciano, oggi, nella perdita d’identità e nella fragilità di grandi aree urbane che, per mutazione degli usi e per avanzamenti del processo tecnologico, formano spazi non risolti, privati del loro disegno originale e per questo aperti a una successiva modificazione. Questo cambiamento di senso è spesso improvviso e profondo e scompone in forme di difficile decifrazione il materiale urbano che abbiamo davanti. Il progetto di riattivazione di queste parti di città deve garantire quindi, oltre il necessario livello d’integrazione delle differenti discipline, la continua interazione fra tutte le variabili del sistema. Tra gli aspetti fondamentali della rivalutazione degli elementi costitutivi di un possibile procedimento progettuale un posto centrale occupa la riappropriazione della nozione di luogo, o meglio di ciò che è caratteristica di un contesto e quindi necessario a orientare le scelte per attuare la modificazione. Il termine contesto è usato nel senso attribuito alla sua originale etimologia, contexere, conoscere e quindi tessere insieme e intrecciare la serie e il concatenamento delle idee e dei fatti (non esclusivamente architettonici) che hanno determinato la configurazione dei manufatti1. Su questa lettura del contesto, le successive azioni d’intervento, in quanto ipotesi progettuali, hanno l’esigenza di misurarsi come risposta architettonica della riconfigurazione di una parte della città di Palermo. La lettura del contesto, i rapporti fra tipologia e morfologia, la nozione di principio insediativo, lo studio della morfologia del territorio e della sua storia, si costituiscono come basi ponendo il luogo come fondamento del progetto2. Un luogo che, nel caso della Costa Sud di Palermo, risulta configurarsi come un sistema complesso. In fisica (ma la definizione può essere applicata al metodo della progettazione architettonica) un sistema complesso è un sistema in cui ogni parte che lo compone è interessata da interazioni a scala locale, cioè con una breve distanza d’azione, che provocano però mutazioni nella struttura complessiva. Lo studio è in grado di rilevare le modifiche locali, ma non riesce a prefigurare lo stato futuro del sistema considerato nella sua interezza. Così, nelle riconfigurazioni che riguardano grandi aree della città, se si volessero individuare tutte le variabili da sottoporre al controllo del progetto queste subirebbero un incremento continuo. Per questo il progetto, per orientarsi e raggiungere un valido obiettivo, deve

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stabilire un preciso susseguirsi di gerarchie attraverso una trascrizione selettiva delle tracce derivate dalla lettura del contesto. A tal fine è stata svolta una descrizione della struttura urbana di Palermo, lungo la Costa Sud, attraverso due principali sistemi di lettura. Una prima lettura definita “orizzontale” si è soffermata sulla descrizione di alcune componenti fondamentali della struttura urbana di quest’area: città densa; sprawl edilizio; borgate; aree produttive (attive e dismesse). Una seconda lettura definita “verticale” ha individuato alcuni principali sistemi che caratterizzano quest’area e stabiliscono relazioni con l’intera città: sistema dei tracciati della mobilità; sistema degli spazi aperti; sistema del margine (linea di costa).

1. Voce “contesto” in Cortellazzo M., Zolli P. (1999), Il nuovo etimologico. Dizionario etimologico della lingua italiana, Zanichelli, Bologna. 2. «[…] La nozione di appartenenza articola l’interesse per la storia della disciplina nella sua continuità, per l’idea di luogo come identità ma anche come materiale impuro. Essa sviluppa relazioni trasversali per le quali il processo di progettazione è in primo piano, processo di modificazione che trascina e organizza i detriti contenuti nell’ambiente che ne costruiscono l’asimmetria, la diversa densità, i valori di diversificazione» (Gregotti V. (1995), Dentro l’architettura, Bollati Boringhieri, Torino, p. 71).

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SPRAWL 220 HA

AREE PRODUTTIVE 240 HA

BORGATE 230 HA

CITTÀ DENSA 490 HA AREA DI STUDIO 2870 HA

La lettura “orizzontale” individua alcune connotazioni dei sistemi urbani che compongono l’area oggetto di studio che complessivamente si estende per circa 2870 ha ed i cui limiti sono definiti dalla linea di costa, dalle pendici del monte Grifone, dall’area subito a ridosso del Centro Storico (via Lincoln/corso Tukory/via Ernesto Basile) e dall’area di Ficarazzi. La città densa che che si estende su un’area di circa 490 ha, rileva la presenza di tessuti urbani ben strutturati e compatti in particolare in prossimità del Centro Storico (quartieri Montegrappa/ Oreto-Perez/ Archirafi) e dell’asse di via Messina Marine. Le borgate con la loro caratteristica espansione lineare e sfrangiata si estendono su un’area di circa 230 ha (Ciaculli, Acqua dei Corsari e Guarnaschelli, Santa Maria di Gesù e Belmonte Chiavelli). Evidenti e molto presenti sono le aree produttive e dismesse accompagnate dal disordinato tessuto della nuova espansione meno densa (sprawl) che si affianca anche alla costa. Le aree produttive insistono su una superficie di 240 ha circa e comprendono la zona industriale Brancaccio e la limitrofa zona commerciale (110 ha circa), le aree commerciali e produttive adiacenti ad Acqua dei Corsari e Villabate ed anche alcune aree oggi dismesse: ex Gasometro (33.000 mq), ex Macello (45.000 mq). Infine l’espansione più recente, meno densa e disordinata, interessa un’area di circa 220 ha.

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La lettura “verticale” si sofferma su alcuni principali sistemi che caratterizzano quest’area e stabiliscono anche relazioni a più ampio raggio con l’intera città. Il sistema dei tracciati della mobilità evidenzia i principali assi urbani, il percorso ferroviario-metropolitano e la linea del tram che si sta definendo contemporaneamente a questo studio. Il sistema degli spazi aperti pone in evidenza i numerosi spazi che possono essere definiti come residuali o vuoti urbani e anche la presenza di parchi agricoli. Il sistema del margine fa oggetto delle possibili riflessioni progettuali la linea di costa, elemento di forte connotazione dell’area.

(Le letture qui proposte sono state elaborate in occasione del workshop internazionale tenutosi a Palermo PMO/Re-verse Hyper-cycling “Costa Sud” e fornite ai gruppi di lavoro come base e orientamento per il progetto).

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OAB, Ferrater & Asociados, Xavier Martí Galì – Paseo maritimio de la Playa de Poniente. Benidorm, Spain. (Divisare).

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IL LUOGO DELLA SFIDA Mario Chiavetta >ORDINE APPC PALERMO

Il workshop internazionale PMO/Re-verse Hyper-cycling “Costa Sud” che mi ha visto coinvolto nella qualità di mentor ed organizzatore della promozione dell’evento al CNAPPC per l’accreditamento ed in rappresentanza dell’Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti, Conservatori della Provincia di Palermo del quale sono Consigliere, efficacemente voluto e realizzato dal prof. Maurizio Carta coinvolgendo 11 sedi universitarie, 24 partner italiani stranieri e 180 ricercatori, ha avuto l’ambizioso obiettivo di elaborare politiche, progetti, norme e pratiche capaci di attivare nuovi cicli di vita a partire dall’applicazione di processi di riciclo creativo e proattivo sul sistema paesaggistico, urbano e architettonico. Ringrazio il prof. Carta per avere creato questa opportunità non solo sul piano della ricerca progettuale in ambito accademico ma anche, e soprattutto, per avere voluto il coinvolgimento del nostro Ordine e quindi del mondo professionale con la presenza dei nostri iscritti nell’inscindibile binomio formazione e professione. Le elaborazioni e gli esiti progettuali indicati e sviluppati in seno al workshop, sulla trasformazione del waterfront così come individuato, risultano di evidente e significativa aderenza alle aspettative della città che ha de-

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clinato alla Costa Sud l’indice di sviluppo per il suo immediato futuro, ma a mio avviso dovrà anche trovare elementi di programmazione congruente con quanto c’è ancora da fare per il centro storico, per le grandi infrastrutture, per i quartieri periferici, per gli interstizi ed i vuoti urbani, per il degrado ambientale, per i servizi e le attrezzature sociali, ovviamente in maniera sostenibile sia per mano pubblica che privata. Quindi la Costa Sud, così come definita negli obiettivi del workshop, diviene il “luogo della sfida” non solo sui grandi temi della rinascita della nostra città ma anche “luogo della sfida” per creare le “occasioni del progetto” per gli architetti che in questo momento attraversano un grandissimo momento di crisi. Così commenta Leopoldo Freyrie presidente del CNAPPC: «Siamo alle soglie della povertà .... senza una inversione di rotta, da parte della politica e del governo, rischiamo di non sopravvivere alla crisi. La vera risposta sta nel lancio e nella realizzazione di un grande progetto d’investimento di idee e di denaro sulle città per intervenire sugli 8 milioni di edifici che si avviano a fine vita; per risparmiare 25 miliardi di euro all’anno di energia che viene, di fatto, sprecata; per mettere le case e le città in sicurezza da sismi e inondazioni, alle quali anche in questi giorni siamo costretti ad assistere; per realizzare spazi pubblici che ridiano il senso della comunità, ricreando le condizioni affinché fioriscano idee, innovazione e impresa …». Da qui, se le nostre indicazioni diventano operative, la riqualificazione si trasformerebbe in forte spinta per il rilancio dell’economia. Che le Istituzioni e la Politica svolgano il loro ruolo, finalmente, innescando un’azione e un serrato dibattito che dovrà estendersi a tutti gli attori della scena del nostro territorio delle nostre città e del nostro Paese d'Arte. Che si bandiscano i concorsi di progettazione a partecipazione aperta ai quali potranno partecipare anche i giovani talenti presenti e iscritti al nostro Ordine senza il perverso sistema del budget e dell’ATP che esclude tutti coloro che darebbero un contributo significativo agli esiti concorsuali. Tale pratica concorsuale dovrebbe diventare prassi e norma per qualunque opera da realizzare, dall’arredo urbano al recupero, dal progetto ex novo al restauro ed alla riconfigurazione del nostro paesaggio non escludendo le strategie prima evidenziate dall’architetto Leopoldo Freyrie e dalle indicazioni qui emerse. Ciò offrirebbe l’opportunità di mettersi in gioco ai giovani liberi professionisti creando “le occasioni del progetto” traducendo la competizione in elevata qualità della prestazione e dell’architettura del proget-

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to. La nostra professione ha dimostrato che, con il corretto utilizzo di fondi e finanziamenti e principalmente mediante il “progetto” si può cambiare positivamente il destino delle nostre città e la conseguente riqualificazione può divenire il volano per la ripresa economica; ove le risorse siano state impegnate significativamente, dalle Istituzioni e di concerto con il mondo della cultura professionale ed imprenditoriale, esse hanno dato risposte congruenti e si è assistito alla rinascita delle città che, divenendo anche polo di attrazione culturale, hanno innescato dinamiche virtuose per la ripresa economica. Città come Berlino, Bilbao, Barcellona e Benidorm così come tante altre città europee lo testimoniano. Spesso molti nostri giovani architetti, ma anche meno giovani, trovano spazi professionali in altre nazioni ove portano il loro bagaglio e la loro capacità arricchendo la Nazione che li ospita. Il workshop internazionale PMO/Re-verse Hyper-cycling “Costa Sud” new urban metabolism traduce in questo contesto ottimismo ed una resistenza attiva alla gravissima situazione nella quale si trova la nostra categoria professionale nel perseverare il riconoscimento di come le nostre “discipline” si costituiscano quale indispensabile patrimonio risorsa culturale e sociale incarnando simbolicamente il “luogo della sfida” . Per quarant'anni l'architettura è uscita dal radar delle politiche pubbliche: il risultato é che abbiamo perso intere generazioni di architetti, non possiamo permetterci di perderne altre. Confidando, oltre che nel nostro personale impegno, nelle rappresentanze politiche che democraticamente saremo in grado di esprimere per mettere in campo strategie ed interventi per creare le occasioni del progetto, potremo continuare ad esprimere con passione il nostro bellissimo mestiere d’arte.

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HYPER-CYCLING COSTA SUD

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The Green Mars: il protocollo di Terraforming elaborato dalla NASA per la costituzione di un ambiente vitale e abitabile su Marte.

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IPER-STRATEGIE DEL RICICLO: CITYFORMING © PROTOCOL Maurizio Carta >UNIPA

Le patologie della rigenerazione urbana imposta dall’alto – autismo, schizofrenia, sterilità e dipendenza – non possono essere risolte solo revisionando le procedure di partecipazione, migliorando i dispositivi progettuali o innovando i processi attuativi, ma va ribaltato il punto di vista. Un concreto ed efficace processo per la rigenerazione di aree urbane caratterizzate da marginalizzazione e declino, da dismissione di edifici e infrastrutture, da sottoutilizzo funzionale o da cicli in debole riattivazione (mobilità, acqua, rifiuti) deve assumere un approccio che non solo rifiuti il tradizionale e ormai inefficace top-down, ma che nemmeno ceda superficialmente alle retoriche consolatorie del bottom-up. Serve un approccio iper-strategico, cioè incrementale, ricorsivo e flessibile, piuttosto che una strategia chiusa e simultanea. Al tradizionale masterplan rigido, istantaneo e pressoché immutabile nel corso della sua attuazione – inefficace in aree che non possano godere della destinazione di ingenti risorse pubbliche o private – dobbiamo sostituire un Masterprogram consapevolmente temporalizzato e adattivo, capace di comporre una visione complessiva attraverso l’attuazione di visioni parziali, capaci di azioni tempestive e temporanee ma che abbiano la forza generativa di nuovi futuri.

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Schema concettuale del Cityforming Protocol. (ŠMaurizio Carta 2015).

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La sostenibilità della metamorfosi urbana, soprattutto nel tempo della crisi dei modelli di sviluppo, della transizione dei modelli di insediamento e della riduzione delle risorse pubbliche, deve essere attuata attraverso un processo rigenerativo che procede per cicli successivi, guidati da una visione generale, ma capaci di adattarsi agli esiti concreti del processo attuativo. La rigenerazione urbana iper-strategica deve essa stessa generare le condizioni di successo per alimentare le fasi successive, deve produrre una parte di valore su cui innescare il successivo investimento, deve generare l’ossigeno dal quale trarranno vita le nuove funzioni abitative, produttive, commerciali, culturali che rigenereranno l’area. Una sorta di terraforming (termine coniato da Jack Williamson nel romanzo Collision Orbit del 1942 e poi diventato uno dei protocolli della NASA per la colonizzazione di altri pianeti): un processo pensato per rendere ri-abitabile per una nuova comunità l’area dismessa o in declino, intervenendo sulle sue componenti territoriali ancora attive – creandone di nuove o modificando la loro composizione – in modo da renderla in grado di sostenere un nuovo ecosistema. Definisco questo processo Cityforming©, un protocollo progettuale in grado di riattivare per stadi successivi il metabolismo di un’area partendo dalle sue componenti rigenerative latenti, attivando molteplici cicli ad intensità crescente per creare un nuovo ecosistema urbano sostenibile nel tempo. Il Cityforming strategico agisce per fasi incrementali e adattive necessarie a produrre risultati parziali che diventano la base generativa della fase successiva. Il Cityforming, procedendo attraverso le fasi della“colonizzazione”, del “consolidamento” e dello “sviluppo”, produce il necessario “ossigeno urbano” per la formazione di un ecosistema adeguato a generare un nuovo metabolismo urbano che riattivi i cicli inattivi, che riconnetta quelli interrotti o che ne attivi di nuovi, più adeguati alla nuova identità dei luoghi. La figura della pagina a fianco mostra il susseguirsi delle tre fasi con le loro caratteristiche. 1) Nella fase di colonizzazione vengono localizzate alcune prime funzioni che agiscono come riserve di ossigeno per la formazione della nuova atmosfera. Sono nuove funzioni o recupero di edifici o spazi che possiamo definire “staminali” perché, benché innestate attraverso un’azione progettuale, hanno caratteristiche e funzioni non dissimili dal tessuto preesistente. Queste cellule staminali urbane fungono da attivatori di nuova urbanità – nelle diverse forme attraverso cui oggi si esprime la città – e possono essere aree ecologiche di rinaturalizzazione, dispositivi energetici plug-in,

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isolati low cost e smart, living lab e micro-distretti produttivi per manifatture digitali, riqualificazione degli spazi pubblici, ecc. Oppure la colonizzazione si attua attraverso la rimozione di alcuni detrattori infrastrutturali o ambientali che riducono la vitalità dell’area per agevolare la riconnessione di reticoli ecologici per la ricostituzione delle connessioni ambientali. Le colonie di rigenerazione sono caratterizzate da una elevata autosufficienza generata dalla loro capacità di essere energeticamente autonome attraverso l’uso di fonti rinnovabili, dalla capacità di produrre reddittività sufficiente a sostenere i costi manutentivi, dalla capacità di attivare forme di partenariato diffuso per la loro gestione. Le colonie devono avere anche una forte riconoscibilità rispetto al territorio di contesto, poiché, sebbene a bassa intensità di trasformazione, fungono da landmark della trasformazione, agiscono come testimoni della nuova reputazione dell’area, agenti del marketing urbano. Il paradigma urbanistico prevalente che viene utilizzato in questa fase è quello del Tactical Urbanism con un orizzonte temporale triennale entro cui deve essere attivata la fase successiva. Negli USA si stanno diffondendo le iniziative che sperimentano forme incrementali e adattive di rigenerazione urbana, come ad esempio il Better Block Urban Design, fondato a Dallas Oak Cliff da Jason Roberts e Andrew Howard e sperimentato a Memphis, St. Louis, New York e Boston come strumento esemplificativo per produrre nuove visioni temporanee di uno spazio per mostrarne il potenziale trasformativo nel creare un quartiere percorribile in sicurezza, vivace e creativo. Ma le tattiche urbanistiche o le variegate forme di Pop-up City e DIY regeneration sono quasi sempre autoconsistenti, accontentandosi di riqualificare lo spazio della loro azione, senza sfuggire al rischio della sterilità degli effetti strutturali e al rischio di un loro esaurimento precoce. La colonizzazione del Cityforming, invece, presuppone un suo successivo radicamento territoriale, crea le condizioni per l’innesco di una reazione a catena che ne consolida gli effetti. 2) Il consolidamento agisce sul nuovo ecosistema in formazione attraverso l’innesto di alcune funzioni più pregiate e più potenti dal punto di vista della generazione dei profitti e dei valori, sostenute economicamente dall’incremento di valore e di attrattività dell’area. Quartieri ecologici e intelligenti, makers districts e comunità energetiche, manifatture green ed attrattori per i nuovi arcipelaghi metropolitani o gateway infrastrutturali agiscono attraverso un processo di hyper-cycling che attiva diversi cicli al fine di raggiungere una dotazione sufficiente di funzioni attrattive e produttive. Il con-

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solidamento agisce anche attraverso la riattivazione di risorse latenti già presenti nell’area e che sono state stimolate e perturbate positivamente dalla fase di colonizzazione. La fase di consolidamento agisce più per reticoli che per nodi e perde un po’ della sua autosufficienza e autonomia, iniziando spesso a usare le risorse urbane del luogo – quelle materiali ma più spesso quelle immateriali – per radicarsi e per espandersi, anche iniziando un processo di mimetizzazione con il contesto che ne rafforza la presenza. Sono spesso gli abitanti preesistenti che aiutano i nuovi users attratti dalla colonia nel processo di integrazione. In questa fase alcune tattiche o alcune azioni di “terzo paesaggio” della fase precedente vengono coinvolte in un processo di Opensource Urbanism che le modifica, che le ibrida con le intelligenze locali, che le integra con azioni di agopuntura urbana, in modo da trasformarle in strategie per estenderne in profondità i loro effetti di riattivazione dei cicli urbani. In questa fase, con un orizzonte quinquennale, all’attrattività iniziale dei flussi di users si sostituisce la stabilità di nuovi abitanti che concorrono alla crescita della domanda di servizi e al rafforzamento della cura dei luoghi, anche attraverso forme pattizie e cooperative. 3) Infine, lo sviluppo è la fase di lungo termine con un orizzonte almeno decennale, in cui il nuovo metabolismo dell’area viene messo in funzione per generare nuova creazione di valore urbano. In questa fase, a seguito della metamorfosi prodotta dalle prime due, viene redatto un Masterplan dell’intera area fondato sulla nuova identità del luogo, reso più fertile dal successo delle fasi precedenti, potendo attingere ad un moltiplicatore dell'investimento di maggiore forza, in grado di sostenere i cospicui investimenti necessari per la trasformazione completa dell’area. In questa fase il Masterplan ha senso poiché agisce in un tempo del mutamento più avanzato e in una fase in cui possono esser verificate meglio le solidità della visione di sviluppo. Non è, quindi, un masterplan che presuppone in anticipo le condizioni della sua attuazione o che intercetta risorse economiche e imprenditoriali già date, ma un Landuse Urbanism che agisce sul nuovo ecosistema urbano e che si specifica a partire dalle mutate condizioni dell’area ri-colonizzata e consolidata. In questa fase si genera la necessaria deep innovation capace di consentire la realizzazione di eco-cité, di quartieri creativi low&high cost, di nuove municipalità di rango metropolitano, di progetti di sviluppo urbano, di estesi parchi regionali di connessione tra urbano e rurale e di nuove piattaforme integrate di sviluppo all’interno dei nuovi scenari consentiti dal completamento del processo di Cityforming.

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L’approccio del Cityforming, quindi, non si limita ad attuare per stralci temporali una visione predefinita, frutto di una elaborazione progettuale preliminare che presuppone ingenti risorse economiche per la sua attuazione completa o richiede l’attivazione di una elevata rendita fondiaria o immobiliare per la realizzazione di tutte le opere. Il Cityforming, invece, genera un programma di azioni che si vanno componendo e definendo in funzione degli esiti parziali, in base al consolidamento dei nuovi ruoli urbani dell’area, in base ai valori e alle aspettative che vengono generate dai nuovi abitanti, dai nuovi servizi e forme di collaborazione, dalle opportunità fiscali e dalle nuove economie urbane generate nelle prime due fasi, capaci di innescare la terza. Il Cityforming lavora costantemente entro le dimensioni del progetto e del processo, attiva azioni entro uno scenario previsto i cui effetti ne comporranno la specificazione e definizione, consolidando lo scenario tendenziale o concorrendo a formare un nuovo scenario programmatico.

Un caso esemplare di Cityforming è la High Line di New York (si veda pagina a fianco): nella fase di colonizzazione sono stati gli abitanti del quartiere che hanno riattivato la vecchia linea ferroviaria, ormai insita nel loro panorama identitario, attraverso un progetto di riciclo che l’ha trasformata in spazio pubblico di connessione. Successivamente il consolidamento è avvenuto attraverso l’intervento dei promotori immobiliari che hanno agito per estendere gli effetti della rinnovata attrattività dell’area e per radicarne gli esiti, attivando la riqualificazione di altri edifici e luoghi per riportare la residenza, le attività professionali, il commercio e per introdurre i servizi al turismo. Infine, la fase di sviluppo si è recentemente avviata con la

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COLONIZZAZIONE

CONSOLIDAMENTO

SVILUPPO

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realizzazione del nuovo Whitney Museum progettato da Renzo Piano che sancisce la trasformazione del Meatpacking District in un quartiere della creatività e dell’innovazione. Non a caso Samsung ha aperto qui un ufficio di rappresentanza, Google la sua sede newyorkese e Apple uno dei suoi store, ma vi proliferano anche gli orti urbani e il Center for Social Innovation si riempie sempre di più di nuove attività. Il completamento della fase di sviluppo è costituito dal masterplan per la realizzazione dello Hudson Yard Development, la più grande operazione di rigenerazione urbana privata a New York dopo il Rockefeller Center: 158 ettari di spazi commerciali, direzionali e residenziali (di cui la metà spazi pubblici) e centri culturali, tra cui spicca lo straordinario Culture Shed progettato da Diller Scofidio + Renfro. La High Line, con il suo effetto colonizzatore, ha completamente ridisegnato innanzitutto la mappa socio-culturale di New York, ridefinendo poi anche la mappa dei talenti, della creatività e dell’innovazione, nonché quella immobiliare che genera i profitti per la gestione e manutenzione. L’azione incrementale e generativa del Cityforming ha impedito che ci fosse una saturazione del mercato e degli spazi non lasciando più alcuna opportunità agli abitanti anzi espellendoli, come avvenuto negli anni Settanta a SoHo e negli anni Ottanta a Chelsea. Anzi è stata proprio l’azione colonizzatrice degli abitanti del quartiere, riuniti nell’associazione Friends of the High Line, che ha impedito la prevista speculazione immobiliare sostituendola con la cura degli spazi, la rinaturalizzazione dell’infrastruttura, la sicurezza dei luoghi: azioni che hanno consolidato il tessuto sociale e il capitale umano dell'area, sul quale si sono consolidati gli interventi a maggiore valore aggiunto. Il processo di Cityforming, quindi, non si limita a programmare incrementalmente le azioni di trasformazione e di riattivazione dei cicli interrotti e delle risorse latenti, ma agisce come antidoto alla JHQWUL±FDWLRQ connessa alla rigenerazione urbana. La colonizzazione, infatti, proprio per la sua bassa intensità trasformativa e per la sua funzione staminale generativa di nuovi tessuti spaziali e sociali, non induce una trasformazione istantanea che sradica l’identità locale a vantaggio di una attrattività esterna. Le azioni colonizzatrici, invece, agiscono come catalizzatori delle risorse identitarie, lavorando sul palinsesto dell’area piuttosto che su un suo sovratesto omologante. Il consolidamento, poi, agisce proprio come azione osmotica tra la popolazione locale e gli usi tradizionali dell’area e i nuovi abitanti che concorrono alla mixité sociale senza procedere per sostituzioni ed espulsioni. Infine la fase di sviluppo non potrà avere la forza dirompente

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e disidentificativa che avrebbe avuto all’inizio nella fase di pieno declino dell’area poiché si innesterà su una nuova configurazione urbana e su un maggior protagonismo degli attori locali. Il Cityforming© Protocol è stato applicato in fase sperimentale a Palermo in occasione del workshop internazionale di progettazione per la rigenerazione della Costa Sud, nella consapevolezza che le strategie di riqualificazione, riconnessione e sviluppo dell'area non potessero essere attivate da un progetto urbano tradizionale senza rischiare la sua insostenibilità economica o, peggio, il suo effetto di JHQWUL±FDWLRQ in un’area delicata e preziosa della città, ricca di capitale sociale, di aree da riciclare, di paesaggio agrario e di trame identitarie. A partire dalle aree a maggiore capacità rigenerativa sono state individuate le azioni a bassa intensità che potessero fungere da colonie per riattivare i cicli latenti o interrotti e successivamente le azioni in grado di innescare il loro consolidamento attingendo alle energie vitali locali. Lo scenario di sviluppo programmatico viene proposto come orizzonte progettuale iperciclico la cui definizione avverrà in un processo collaborativo con gli attori che avranno dimostrato maggiore forza e sui luoghi che avranno manifestato la maggiore propensione alla trasformazione. Alla fase di colonizzazione, ad esempio, appartengono le azioni di rinaturalizzazione costiera, gli interventi di agopuntura urbana o l’attivazione di luoghi dell’innovazione sociale. Il consolidamento avviene intervenendo sullo spazio residenziale e sullo spazio pubblico, sulla dotazione di servizi di quartiere e sulla proposizione di nuovi stili di vita e di mobilità. Alla fase di sviluppo appartengono le azioni a maggiore rilevanza metropolitana con la localizzazione dei grandi attrattori (il distretto energetico, l’acquario, il polo sportivo), attorno ai quali si svilupperanno i nuovi quartieri residenziali e le attività commerciali e produttive sostenute dai nuovi valori urbani che le fasi precedenti avranno prodotto. Il Cityforming, quindi, non si limita ad essere una strategia progettuale o una innovazione delle politiche urbane, ma agisce come un potente perturbatore di sistemi territoriali in arresto di metabolismo, in riduzione di energia e in crisi di sviluppo. Non immette energia esterna, che non potrebbe mantenere attivo a lungo un metabolismo compromesso, ma si prende cura dei fattori vitali ancora presenti, ricompone le risorse ecologiche latenti, riattiva i reticoli sociali resilienti per generare l’indispensabile base di capitale territoriale e sociale su cui può attecchire il seme fecondo del progetto di rigenerazione urbana auto-sostenibile.

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Rappresentazione per cicli delle visioni di progetto elaborate durante il workshop: sequenzialità di azioni sistemiche tese all’attivazione di un nuovo funzionamento metabolico della Costa Sud attraverso un’azione di hyper-cycling. (Elaborazione grafica di Barbara Lino e Mattia Cozzo).

centralità Red Cycle/ Riattivazione delle componenti culturali ed identitarie per accogliere nuovi attrattori urbani capaci di ridislocare i centri della città (Energy District, Social District, Città d’acqua, Agri/Fablab).

porosità

Blue Cycle/ Riattivazione delle connessioni fluide costatessuti urbani e potenziamento della porosità.

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reticoli

Green Cycle/ Riattivazione degli spazi aperti attrezzati e delle fasce filtro trasversali per la generazione di nuovo tessuto urbano/rurale.

aree

Brown Cycle/ Nuova produzione e paesaggi produttivi per la riattivazione dell’economia dei quartieri e lo stimolo dell’innovazione sociale.

connettori

Grey Cycle/ Potenziamento infrastrutturale della mobilità tranviaria come generatore di nuove nodalità.

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Agopuntura urbana, spazi adattivi, cantieri leggeri per attrezzature per la fruizione della costa.

Incubatori di imprese innovative nell'area industriale esistente sottoutilizzata.

Orti urbani di quartiere per l'autoconsumo e la fruizione didattica.

Fitodepurazione dei tratti costieri degradati.

Azioni colonizzatrici a bassa intensitĂ di trasformazione e ad alta capacitĂ rigeneratrice, capaci di innescare virtuosi effetti di reazione a catena e abilitare tattiche. (Elaborazioni grafiche di Maurizio Carta e Barbara Lino).

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Energy district Riconversione ex Gasometro, rinaturalizzazione e aree di esondazione controllata.

Nuova manifattura Attività manifatturiere pulite, terziario e servizi di qualità ad elevata impronta ecologica e tecnologica.

Blue infrastructure Potenziamento di porti e metro-mare centro città-cintura metropolitana.

Agricoltura polifunzionale Paesaggi produttivi innovativi e commistione virtuosa tra spazi dell’abitare e spazi produttivi.

Azioni di consolidamento a maggiore intensità trasformativa che agiscono sul radicamento dei processi avviati nella fase di colonizzazione e a supporto di un nuovo funzionamento metabolico dell’area attraverso l’attivazione di molteplici funzioni (hyper-cycling). (Elaborazioni grafiche di Maurizio Carta e Barbara Lino).

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Particolare cartografico del Piano Bonci. (Tratto da Bonci P., Piano regolatore di massima urbanistico ed economico per la città di Palermo e Conca D’Oro. Horus, Palermo, 1943).

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VECCHIE E NUOVE VISIONI PER PALERMO. UNO SGUARDO RIVOLTO A SUD Barbara Lino >UNIPA

«Tutta la zona compresa fra Via Oreto, Corso Tukory e Via Feliciuzza sebbene priva ancora di strade e di qualsiasi servizio pubblico, si è coperta di edifici in cui si addensa una svariata popolazione che vi si precipita malgrado l’abbandono in cui è stata fin qui lasciata la zona, e le costruzioni si moltiplicano come una fungaia; mentre verso Nord Ovest nonostante esistano strade ed aree libere già pronte, pochi si decidono a costruirle, e vi sorgono soltanto case - cosiddette economiche - case per impiegati dello Stato, per funzionari delle Ferrovie, professori ecc. costruzioni tutte sovvenzionate dallo Stato epperò artificiose e non spontanee. Questo dimostra che la tendenza naturale dello sviluppo edilizio è decisamente verso l’Oriente e non verso Ponente. [...] Nel nostro caso non può esser dubbio sulla preferenza dello sviluppo ad oriente. Là è impostato il centro vitale dell’economia e là deve svilupparsi in prevalenza la nuova zona d’abitazione. Là si trovano i materiali da costruzione da cui si avvantaggia l’economia del costruire». (Bonci P., Piano regolatore di massima urbanistico ed economico per la città di Palermo e Conca D’Oro, Horus, Palermo, 1943, pp. 25-26).

Il Piano Bonci Nel 1927 Paolo Bonci, architetto, urbanista e imprenditore del settore immobiliare – impegnato con Emanuele Rutelli in alcune trasformazioni del Centro Storico di Palermo dove realizza interventi quali un tronco di via Roma e la Galleria delle Vittorie – redige un piano urbanistico dimenticato e in gran parte sconosciuto che, al contrario di quanto sarebbe avvenuto successivamente, asseconda la naturale direzione di espansione della città verso la costa a sud-est e immagina una città capace di confrontarsi culturalmente ed economicamente con la sua centralità nel Mediterraneo.

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Il Piano Bonci immagina “oltre l’Oreto” un insediamento per 750.000 abitanti ad elevata densità (300 abitanti per ettaro) che estende la città parallelamente al litorale anche oltre i confini comunali, fino a Monte Catalfano e fino a saldare l’abitato con Bagheria e la frazione di Aspra, dove il piano localizza un grande porto. Il Piano Bonci tratteggia una Palermo che si sviluppa verso le borgate e alcuni insediamenti produttivi già esistenti a sud instaurando un intenso rapporto paesaggistico con il mare e la costa attraverso una passeggiata di circa cinque chilometri formata da un ampio viale-parco a servizio di un nuovo quartiere a carattere residenziale e ricettivo. In base al Piano, il nuovo insediamento avrebbe ospitato la nuova stazione, una fiera campionaria e, tra la costa e la ferrovia, tessuti urbani con isolati regolari scanditi da ampi viali alberati. La vivacità insediativa nell’area sud-est della città di cui parla Bonci, quando descrive costruzioni che «si moltiplicano come una fungaia» contrasta con la timida crescita della città verso nord-ovest, lì dove «pochi si decidono a costruirle». Ma mentre le dinamiche insediative dei primi decenni del Novecento indirizzavano la città verso sud, il resto è noto. Dal dopoguerra in avanti, una massiccia e densa espansione orientata da precisi interessi speculativi, il cosiddetto “sacco di Palermo”, ribalta la traiettoria espansiva in direzione delle campagne a nord della città consolidata. «Si rifletta che la impostazione che sarà data alla città ne incanalerà la vita e lo sviluppo per almeno un secolo, da cui si rivela che un errore di impostazione sarebbe grave e difficile da ripararsi». (Bonci P., Op. cit., p. 20).

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Nessuno dei successivi piani urbanistici riuscì a imprimere una visione di sviluppo della città verso sud-est e la costa. La Costa Sud è oggi il risultato di addizioni e sostituzioni scomposte e casuali e non l’effetto di visioni progettuali compiute. Elementi ordinatori del principio insediativo sono stati la costa e la ferrovia, componenti a potente inerzia, che hanno generato separazione e definito confini in senso longitudinale negando connessioni capillari trasversali. Che Palermo sarebbe stata quella del Piano Bonci? E quale sarebbe oggi il ruolo della Costa Sud rispetto al sistema urbano? Il Piano Bonci per impianto, impostazione tecnica e razionalità richiama la temperie culturale del Piano Cerdà di Barcellona, ma rispetto a quest’ultimo se ne discosta, mostrando un più deciso intento nel costruire una profonda relazione tra insediamento e mare1. Su un piano metastorico il Piano Bonci assume, quasi un secolo dopo, la forma di una potente metafora di futuro, capace di evocare per Palermo e per la Costa Sud un’alterità potenziale che, sebbene incompiuta, può ancora essere capace di orientare rinnovate visioni di trasformazione. Il Piano Bonci invita Palermo come a guardarsi allo specchio, ma uno specchio deformante, in cui vedere se stessa come un’altra, quella che avrebbe potuto essere, per provare a costruire così, attraverso il confronto, una propria (nuova) identità.

Nuove visioni Particolare cartografico del Piano Bonci. 173P., Piano regolatore di massima urbanistico ed (Tratto da Bonci economico per la città di Palermo e Conca D'Oro. Horus, Palermo, 1943).


Il workshop PMO/Re-verse è stato una fertile occasione per discutere della immancabile traslazione a cui sottoporre le coordinate del progetto urbano contemporaneo alla luce dei nuovi paradigmi del riciclo e del funzionamento metabolico della città e, al tempo stesso, per costruire, in base a tali nuove coordinate di ricerca, rinnovate visioni per Palermo e la Costa Sud. L’iper-metabolismo viene proposto come “paradigma dirompente”2 per alimentare una visione di progetto che guarda alla città come ecosistema complesso, capace di trasformarsi riorganizzando il proprio funzionamento e offrire un differente modello di selezione e utilizzo delle risorse attive o latenti. Il nuovo funzionamento iper-metabolico attinge, riattiva e ricompone cicli attivi e cicli dormienti multipli: sociali, economici, energetici, ecologici e produttivi capaci di ricomporre la necessaria transcalarità di una visione urbana e metropolitana che la Costa Sud sottende, anzi pretende. I lavori proposti riflettono un progressivo modificarsi dell’approccio al progetto nella transizione da un atteggiamento caratteristico di un processo chiuso e istantaneo, proprio del modello sostitutivo e formalistico del masterplan, a un atteggiamento rivolto alla costruzione di un processo aperto e incrementale, capace di coniugare una dimensione strategica di visione con la consequenzialità programmata, razionale ma flessibile e adattiva di micro-innesti rigenerativi. I progetti propongono operazioni che lavorano sull’esistente e con l’esistente, utilizzandone i materiali umani e fisici attraverso atteggiamenti capaci di concatenare, nel perseguimento della visione d’insieme, tattiche minimali da sottoporre a una verifica in progress sia in termini di efficacia che di effetti prodotti per ri-orientare, nel suo evolversi, la visione generale di trasformazione. Il workshop, sfuggendo l’approccio tradizionale del masterplan, ha lavorato sull’applicazione del Cityforming© Protocol3 selezionando i progetti che compongono le fasi di “colonizzazione”, “consolidamento” e “sviluppo” e ritenendo che l’incrementalità generativa possa essere l’espressione più efficace di una cultura del progetto aperta all’osservazione delle dinamiche urbane, capace di esplorare una nuova forma di progetto delle trasformazioni, immettendo spazi malleabili, strutture ibride e complesse che guardino al progetto come processo flessibile e incrementale. In questa direzione i progetti mettono in campo azioni colonizzatrici “a bassa intensità di trasformazione e ad alta capacità rigeneratrice”, capaci di innescare virtuosi effetti di reazione a catena e abilitare tattiche – invece che limitarsi ad assumerne l’esistenza – in spazi disponibili a usi sponta-

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nei e a pratiche di riappropriazione e cura da parte dei potenziali fruitori, che da azioni reattive all’abbandono diventano azioni progettuali entro una visione condivisa. Le azioni di colonizzazione prevedono forme di co-produzione e co-gestione che esprimono un nuovo protagonismo delle comunità, una rinnovata istanza di coesione sociale e di qualità dell’abitare: operazioni di microtrasformazione e spazi a gestione condivisa nei vuoti e negli edifici in abbandono. Di tali azioni i progetti ipotizzano esiti e tempi che assumeranno le traiettorie di modificazione ma, senza decretarne aprioristicamente il carattere simbolico – difficilmente valutabile aprioristicamente nell’interazione con variabili di contesto “sfuggenti” – prefigurano un elevato grado di flessibilità che introduce nuovi livelli semantici in cui lo spazio pubblico, concepito come multifunzionale, collettivo e pedonale è aperto all’interazione tra pratiche di trasformazione formali e pratiche informali. Un’inversione di sguardo riscopre la porosità come valore di progetto e utilizza i vuoti per addensare senza consumare suolo e, nell’alternanza di pieni e vuoti di un sistema insediativo a densità variabile, colloca occasioni di capillarità e permeabilità e funzioni sociali temporanee. Ad un debole e parziale “rammendo” si sostituisce un approccio che mette in campo dispositivi progettuali capaci di proporre un più radicale “innesto rigenerativo”4 mirato al ri-equilibrio tra energie sociali insorgenti e politiche pubbliche, all’abilitazione delle pratiche informali nell’ambito di processi formali nelle sfere della governance delle trasformazioni socio-spaziali della città. L’impiego di “staminali urbane”5 allude invece alla capacità autogeneratrice dell’intervento, in grado di sostituire i tessuti malati circostanti rigenerandoli attraverso le loro stesse cellule identitarie e attraverso i medesimi cromosomi sociali, determinando una mutazione generale del sistema dal suo interno. Per incidere sugli idioritmi6 che generano esclusione e chiusura nei contesti periferici e marginali e promuovere relazioni aperte e dinamiche, i progetti hanno censito e selezionato i patrimoni sottoutilizzati, verificandone la ricaduta sociale degli utilizzi in atto e le potenzialità inespresse, lavorando nella porosità delle corti, delle strade e dello spazio pubblico inteso come elemento in cui si (auto)genera collettività. A partire dall’individuazione di ciò che resta e dei materiali utilizzabili, i progetti elaborati dai gruppi di lavoro del workshop hanno proposto azioni rigenerative che si alimentano di differenti sensibilità.

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Componenti vegetali. CapillaritĂ e densificazione non erosiva.

Pieni e vuoti. Sistema insediativo a densitĂ e porositĂ variabili degli spazi aperti: funzioni sociali temporanee.

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La porosità come valore progettuale. Addensare senza consumare. La Costa Sud di Palermo è un territorio la cui fragile identità fisica e sociale si manifesta in un insieme scomposto di insediamenti di edilizia pubblica, edifici in linea, aree produttive dismesse o in dismissione, vuoti e lacerti di paesaggio che coesistono disordinatamente oltre il fiume Oreto. Una inversione di sguardo in chiave progettuale riscopre la porosità come valore di progetto e utilizza i vuoti per addensare senza consumare suolo. (Elaborazioni grafiche di Barbara Lino e Jessica Smeralda Oliva).

Costa e insediamento. Intervenire sulla trasversalità e sulle connessioni waterfront-tessuti.

Aree dismesse. Densificazione funzionale senza erosione di suolo.

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1. GREEN GATEWAY/AGRIFAB CITY Nel primo gruppo di progetti le componenti vegetali diventano addensatori ecologici, densificatori non erosivi e generatori di capillarità e connettività trasversale attraverso la proliferazione di componenti vegetali tra i tessuti innervati di pedonalità che scardinano recinti. In senso longitudinale invece, un’invasione progressiva e controllata di elementi vegetali trasforma per successive approssimazioni la costa in un’infrastruttura verde e in un parco lineare, grazie ad azioni di rinaturalizzazione progressiva, di re-greening e di fitodepurazione dei tratti costieri degradati. La nuova AgriFab City integra le opportunità dell’agricoltura urbana (orti urbani di quartiere per l’autoconsumo e la fruizione didattica) con le nuove manifatture digitali ed energetiche prefigurando la trasformazione dell’ex Gasometro in un energy district. 2. BLUE GATEWAY/FLUID CITY Nel secondo gruppo di progetti la costa è innanzitutto osservata per la sua dimensione fluida e la permeabilità delle relazioni costa-tessuti urbani è il principale e più potente materiale di progetto. Nella città fluida azioni di agopuntura adattiva modificano il metabolismo dell'area intervenedo sulla trasversalità e sulle connessioni waterfront-tessuti. Il disegno dei tracciati idrici crea una nuova topografia urbana in cui il blu dell’acqua traspone sulla mappa della città una nuova capillarità venosa che implementa la permeabilità dei suoli: aree di esondazione controllata del fiume, sezioni stradali che si trasformano in una rete di canali, pluviali per l’irrigazione di orti e giardini. Infine, le porte. Il potenziamento dei porti e l’attivazione di una metro-mare centro città-cintura metropolitana, in sinergia con l’attivazione di cantieri leggeri per attrezzature per la fruizione costiera, trasformano la costa in una blue infrastructure, in cui l’area d’interfaccia tra la città e la spiaggia introduce nuove funzioni e relazioni a scale variabili. 3. BROWN INFRASTRUCTURE/ADAPTIVE CITY Il terzo gruppo di progetti, infine, enfatizza, coniugandole, la dimensione produttiva e quella sociale. Se il tram aiuta l’insediamento di nuovi users, esso richiede azioni rivolte a trasformare un corridoio infrastrutturale centro-periferia in un’occasione di trasversalità agendo sui nodi, dove nascono nuovi luoghi di incontro, di confronto, di scambio: spazi per lo street food, centri di servizi al quartiere, un mercato all’aperto, un centro culturale. Nascono incubatori d’imprese innovative nell’area industriale esistente

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sottoutilizzata, insieme ad attività manifatturiere pulite, terziario e servizi di qualità ad elevata impronta ecologica e tecnologica e ad un sistema di agricoltura polifunzionale fatto di una commistione virtuosa tra spazi dell’abitare e spazi produttivi. I progetti offrono nuova resilienza fisica, sociale ed economica attraverso tre differenti sensibilità prevalenti che non si sostituiscono l’una all’altra in singole visioni compiute, ma che si integrano producendo una visione ricomposta in cui la Costa Sud non è più periferia: le periferie vanno guardate dal loro interno per poterne decifrare l’identità. E quello che ha guidato i progetti non è stato né uno sguardo da un centro verso un esterno, né tanto meno uno sguardo da un margine verso un centro. Quello dei progetti è stato uno sguardo ravvicinato, senza smarrimento di prospettiva e tutt’altro che miope. La selezione dei materiali del progetto ha ri-utilizzato, rimettendone in circolo il significato, quello “spazio perso”7 che oggi è porosità, vuoto, ma anche occasione di riaggregazione di frammenti, attraverso azioni materiali e immateriali di ricomposizione capaci di definire nuove componenti vitali propulsive che si integrino in un’unica nuova visione policentrica e iperciclica di futuro. Un lost space che si fa opportunità: la Costa Sud. Un’opportunità per Palermo, che non possiamo nuovamente lasciarci sfuggire.

1. Pur sempre figlio della cultura urbanistica del tempo, il Piano Bonci sottovaluta il valore paesaggistico dell’ultimo tratto del fiume Oreto che viene interrato per “fare spazio” a viali e nuovi isolati. 2. Si veda quanto scritto da Maurizio Carta in questo stesso volume a p. 12. 3. Sul Cityforming© Protocol si veda quanto scritto da Maurizio Carta in questo stesso volume a p. 157. 4. Sull’inefficacia del dispositivo progettuale del rammendo proposto da Renzo Piano si veda quanto scritto da Renato Bocchi in questo volume a p. 50. 5. Sul tema delle “staminali urbane” si veda: Carta M. (2013), Reimagining Urbanism. Città creative, intelligenti ed ecologiche per i tempi che cambiano, ListLab, Trento. 6. Bernardo Secchi in La città dei ricchi e la città dei poveri (Laterza, Roma-Bari, 2013), ci ricorda come in contesti urbani in cui si radicalizzano le disuguaglianze (come nei contesti periferici), le pratiche quotidiane di uso dello spazio si caratterizzino per specifiche temporalità e modi d’uso chiusi: differenti “idioritmi” (già descritti da Roland Barthes in Comment vivre ensemble? – Sur l’idiorrythmie, Cours au Collège de France – janvier-mai, 1977). 7. Trancik R. (1986), Finding Lost Space: Theories of Urban Design, Van Nostrand Reinhold, New York.

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Tesi di Laurea di Jessica Smeralda Oliva. (Relatore prof. Maurizio Carta, correlatori arch. Annalisa Contato e arch. Barbara Lino).

Manifesto e criteri di intervento nell'area della foce dell'Oreto. (Elaborazioni grafiche di Angelica Agnello).

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Resilienza. Assorbire le mutazioni del clima. Jessica Smeralda Oliva La resilienza, ovvero la capacità di adattarsi e di reagire ai cambiamenti e alle perturbazioni, è una qualità che caratterizza i contesti urbani e le comunità che sanno trarre dal proprio declino una forza per la rinascita e dalla crisi ambientale, ecologica, sociale ed economica un’opportunità di cambiamento, immaginando nuove forme e nuovi cicli di vita. Il progetto per la foce del fiume Oreto a Palermo utilizza la resilienza come uno strumento progettuale, che si esprime nell’adattabilità delle forme e nella flessibilità degli usi, agendo sulla qualità del paesaggio e degli spazi pubblici nella prospettiva di un equilibrio variabile, in un gioco dinamico tra persistenza, adattabilità e trasformabilità. In un contesto caratterizzato dalla rigidezza – dei recinti funzionali e fisici, delle barriere spaziali e sociali, dei suoli impermeabilizzati, di un alveo fluviale cementificato, del gravare di un rischio idraulico elevato legato ai fenomeni di esondazione del fiume Oreto – e, quindi, da fragilità ambientale e sociale, il progetto intende liberare il carattere “liquido” di questo pezzo di città e di paesaggio, proponendo l’adattamento anziché la resistenza, a partire proprio dalla riattivazione del ciclo delle acque, consentendo di abbassare il livello di rischio idraulico legato ai fenomeni di esondazione, grazie ad azioni integrate di tutela del territorio e di permeabilizzazione dei suoli. La rinaturalizzazione dell’alveo fluviale, con la previsione di aree inondabili e di laminazione naturali, e la creazione del parco urbano della foce dell’Oreto riattivano nell’area il ciclo ecologico, paesaggistico e ambientale, ma anche quello sociale e di comunità, restituendo alla città nuovi spazi pubblici, una aumentata qualità dell’ambiente urbano e della vita, luoghi possibili di empowerment per innescare un processo di rigenerazione (anche) socio-culturale e di costruzione di una resilienza evolutiva, proponendo un nuovo rapporto più sostenibile tra funzioni urbane e paesaggio fluviale, tra città e natura.

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HYPER-CYCLING COSTA SUD

GREEN GATEWAY/ AGRIFAB CITY

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Mirando Hacia. (Off Med, Officina Mediterranea).

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COSTA SUD PALERMO. PROCESSI DI RICICLO TERRITORIALE Massimo Angrilli >UNICH

L’esperienza del workshop PMO/Re-verse ha messo a dura prova alcune prime elaborazioni concettuali del PRIN Re-Cycle Italy. Una prima difficoltà è stata quella di fare chiarezza sul senso delle azioni di riciclo all’interno di un processo di pianificazione e progettazione di un contesto come quello della Costa Sud di Palermo. Come muta la prospettiva del progetto se si assumono i principi del riciclo come principi guida della trasformazione territoriale? Sono ancora conciliabili gli strumenti tradizionali di elaborazione progettuale con gli obiettivi di un processo di riciclo territoriale? Queste domande hanno sollecitato il lavoro dei mentors nel corso del workshop, costretti ad uscire fuor di metafora e ad applicare stricto sensu le teorie al “corpo vivo” della città. Il rischio che si avverte sempre, quando si avviano sperimentazioni progettuali di una ricerca teorica, è di innescare corti circuiti tra l’astrattezza delle teorie e la necessaria concretezza del fare progettuale. Questo rischio è ancor più presente quando le “asperità” del contesto e della congiuntura economica si manifestano in tutta la loro evidenza, come nel caso palermitano. Un primo lavoro di disambiguazione si è allora svolto tavolo per tavolo, con

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lo scopo di chiarire i termini del discorso, sottraendoli alla vaghezza e precisandone i contenuti. Si è così progressivamente messo a fuoco il senso dell’operazione complessiva, quello di avviare ad un nuovo ciclo di vita un territorio che ha concluso da tempo il precedente. A chi scrive è sembrato rilevante avviare da subito una fase di apprendimento dall’esistente che non si fondasse esclusivamente sulla comprensione intellettuale, concentrata solo sui dati oggettivi, ma anche sulla comprensione empatica, più sottile e complessa di quella intellettuale, fondata sulla sensibilità soggettiva e sulla capacità di intuire cosa si “agiti” nel contesto, senza lasciarsi guidare troppo dai propri schemi di attribuzione di significato. Occorreva dunque predisporsi ad un ascolto non valutativo per entrare in empatia con il luogo, adottando una forma di conoscenza del contesto che fosse anche, intrinsecamente, atto immaginativo, capace di distinguere i significati ed i valori dominanti e soprattutto capace di riconoscere le potenzialità e le vocazioni al riciclo. Saper cogliere le pratiche sociali spontanee e dargli un significato spaziale, ma allo stesso tempo saper guardare in modo completamente nuovo allo spazio ed alle cose che lo occupano, intravedendo il futuro dentro al presente, questi erano alcuni degli obiettivi che la fase preliminare del progetto richiedeva. Subito dopo occorreva ipotizzare azioni di rilancio che fossero contestuali e adattive1 e che sapessero al contempo immaginare traiettorie di sviluppo completamente inedite, immettendo i luoghi in un nuovo ciclo di vita sotto tutti i profili, spaziale, socio-economico e culturale. Tutto ciò è compito del progetto, un progetto che non fosse tuttavia quello tradizionalmente inteso, come decisione univoca e come affermazione narcisistica dell’autore, quanto piuttosto come una forma di disvelamento dell’ordinario e come mobilitazione delle forze e dei saperi collettivi. Ciò anche nella consapevolezza che, finita ormai la stagione della programmazione e pianificazione sostenute e finanziate nei modi e nei tempi tipici dell’intervento pubblico e dissolta anche l’illusione della partecipazione dei capitali privati nei grandi progetti urbani, sostenuta nella stagione dell’urbanistica liberale (secondo l’accezione che ne da Alain Bourdin2) dai fautori della produzione capitalistica dello spazio urbano, ci si trova ora di fronte ad una condizione nuova del progetto, in cui occorre ripensare lo

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spazio secondo modalità progettuali e attuative in gran parte da inventare. Questa è stata la sfida lanciata dal workshop PMO/Re-verse Hyper-cycling “Costa Sud” new urban metabolism, e raccolta con entusiasmo dai numerosi partecipanti.

1. Ricci M. (2012), Nuovi paradigmi, ListLab, Trento. 2. Bourdin A. (2010), L’urbanisme d’après crise, Editions de l’Aube, La Tour-d’Aigue.

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Palermo Costa-Sud. Collage di frammenti. (Montaggi ed assemblaggi di Enrico Formato).

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PMO/REVERSE, DISASSEMBLING “COSTA SUD” Enrico Formato >UNINA

Il riciclo, applicato ai fatti urbani e territoriali, richiede una logica capace di selezionare ciò che è utile (talvolta necessario) recuperare da ciò che va smaltito. Nell’Italia repubblicana l’urbanizzazione è esplosa tumultuosa, alimentandosi e al contempo alimentando, il boom economico. Nel Meridione, l’intreccio tra rendita fondiaria, arretratezza industriale, criminalità organizzata, clientelarismo e corruzione, ha prodotto ordinamenti spaziali irrazionali, basati sulla giustapposizione ed il casuale accostamento di elementi eterogenei. Uno spazio discontinuo, drammaticamente alternante tra concentrazione ed assenza; omogeneo per carattere, inadeguatezza infrastrutturale, bassa qualità edilizia. Di questa condizione Palermo Costa Sud offre uno spaccato notevole: un’antologia estrema, come un bestiarium medievale che accosta animali e “mostri” immaginari, pur capaci, nelle pagine del trattato come lungo le sponde dell’Oreto, di prendere vita. Residui di natura naturans, giardini e agrumeti, friche, dismissioni della prima industrializzazione, placche commerciali, intensivi residenziali; l’Orto Botanico, l’ex Gasometro, Villa Giulia, la placca dell’Asi, le rotonde stradali, il tram e i parcheggi che preludono ai centri commerciali più a sud; il Ponte

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dell’Ammiraglio avvinghiato dai fasci ferroviari e dai troppi nastri d’asfalto. A mare la duna artificiale, creata in una notte dagli sversamenti di terreno proveniente dagli intensivi in costruzione. Quali sono i fatti veri, quali i “mostri”? Progettare Palermo Costa Sud, in termini di Re-cycle, vuol dire in primo luogo riconoscere e classificare le parti, gli elementi e i vuoti che ne costituiscono l’orditura spaziale; ordinare una lucida tassonomia, immune dalle fascinazioni immaginifiche dei bestiari. Allo stesso momento a questo spirito analitico va affiancata una critica operante, alla ricerca di un iperciclo capace di indirizzare l’evolversi dei cicli esistenti e da (ri)attivare. Si tratta di definire, al contempo, una visione generale e un procedimento tecnicamente pertinente. A livello di vision, la metafora del riciclo conduce ad una riflessione sul senso generale dell’oggetto di trasformazione. Qual è il nuovo iperciclo di Palermo Costa Sud? La risposta è indiziaria: si costruisce attraverso un quadro strategico e adattivo, fatto da nodi e fasci di nitidezza, all’interno di un’immagine a tratti sfocata. La strategia è in un campo di possibilità limitato da principi etici; diventa vision grazie all’utilizzo di frammenti semantici capaci di prospettare un linguaggio condiviso. La definizione dei capisaldi etici costituisce un campo teorico rilevante, dal potenziale dirompente, valido a Palermo come altrove. Alcuni (non esaustivi) principi – la ricerca di nuove continuità (topologiche, d’uso pubblico, ecologiche), il miglioramento dell’accessibilità, il risparmio di suolo, la sostenibilità ambientale ed energetica – si affiancano, trasfigurandone le caratteristiche, ai consueti obiettivi di razionalizzazione trasportistica, equilibrata disposizione edilizia, dotazione di servizi e di decoro urbano. Dal punto di vista della comunicazione assumono importanza parole come sostenibilità, ecologia, ambiente, paesaggio, suolo, green; emerge dirompente la figura dell’objet trouvé, manufatto rigenerato nel senso grazie ad uno straniamento, senza che su di esso siano operate modifiche sostanziali. Si tratta di un procedimento che, ad esempio, lavora con i reperti delle brown infrastructures (i tralicci dei serbatoi, le ciminiere, le hall delle fabbriche, i corridoi degli uffici), accentuandone il valore di parte autonoma o ponendoli all’interno di una sintassi differente, talvolta ribaltata (a puro titolo di esempio: una hall industriale che, scoperchiata ed accerchiata da nuove masse, non necessariamente edilizie, diventa corte). La pertinenza tecnica di questo procedimento si sostanzia in un deconcrete

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selettivo (da applicare, in primis, alle infrastrutture e alle placche impermeabilizzate; da grey a green) che ambisce a smontare Palermo Costa Sud. Ne deriva un quadro fatto da unità insediative interrelate ma autonome, connesse da un’infinita arabesca di terre comuni. Un campo naturale privo di cesure, punteggiato dai reperti che si stagliano nella forte luce del Sud, “invaso” dalla lussureggiante vegetazione del vicino Orto Botanico, localmente corrugato; come sul mare, dove è la duna di riporto.

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Concept di progetto. All’interno di un organismo interrotto l’attivazione di nuovi cicli può avere come risultato una rinnovata organicità, per effetto di tale modificazione si attiveranno ulteriori cicli.

tutor Luigi Pintacuda Federico Di Lallo Sonia Di Prima Mariateresa Laurino Michele Manganiello Giulia Mosca

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DALLA CITTÀ AL TERRITORIO Luigi Pintacuda >STUDIO 3813

«The new global city is now defined with zones of urban, suburban, rural, leisure, and even “natural” precincts – all managed, all parts of a designed system. (…) The city now represent all territory, and all territory needs to be regarded and managed as one urban system. (…) It’s clear that synthesis is not merely useful: it’s critical» (Mau B., Massive Change, Phaidon, London, 2004).

La città è un organismo complesso fatto di parti: frammenti non per forza omogenei, le loro diversità ed unicità costituiscono il maggior interesse nello studio – complesso e stratificato – dell’organismo urbano. Tale punto di vista, tuttavia, è bene che non induca a trarre facili conclusioni sulla complessità della città e sul ruolo di ordinatore dell’azione del progettista; né, al contrario, deve scoraggiare sulla vastità della materia con la quale ci si confronta. Un approccio corretto dovrebbe comprendere le singole parti per ri-contestualizzarle nell’insieme: un’osservazione attenta porterà il progettista ad individuare azioni minime che generino il massimo effetto. L’espansione rapida delle grandi città e la necessità di abitarle hanno spesso ribaltato il rapporto costruito/natura in favore del primo, relegando quest’ultima al ruolo di ornamento urbano rinchiusa in rigidi confini che, nel migliore dei casi, non sono anche confini fisici. Questo tipo di espansione è alla base di un’idea di città – luogo abitato – che, per il suo impatto

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INTERRUZIONI

si stemi / cicli

SS 113

costa / blue

ferrovia

borgate agricole / brown

autostrada

zona ASI / brown

zona ASI

città ‘70-’80 / red

tram

4 3 2

STATO DI ATTIVAZIONE

LINEE DI INTERVENTO

100 %

1. Villabate/Bandita 2. Ciaculli/Bandita 3. Maredolce/Romagnolo

0% 4. Oreto

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sul territorio, si contrappone ai più leggeri insediamenti rurali: una visione di una natura – progettata e produttiva – regolamentata dall’agricoltura, insediata, spesso, senza un reale dialogo con l’organismo urbano vero e proprio e che ha accentuato il divario tra la città ed il territorio in cui essa si insedia. Sempre più negli ultimi anni – guidati dalla consapevolezza del valore della compresenza di elementi ascrivibili alla natura ed elementi propriamente urbani – si è posta l’attenzione su forme ibride, tentativi che cercano di ristabilire il rapporto uomo natura: azioni che, nelle città ormai consolidate, hanno trovato la forma di orti urbani. Ma ciò che è importante sottolineare è il valore aggiunto di questa reincarnazione contemporanea degli insediamenti agricoli – nati con l’idea dell’approvigionamento a Km zero delle città – ovvero la consapevolezza del ruolo dell’agricoltura – e dei luoghi che le appartengono – nell’evoluzione urbana: non solo produzione vera e propria, ma soprattutto il loro essere luoghi dell’ibridazione in cui il rapporto costruito/natura si risolve in un unico elemento che lega la città al suo territorio. All’interno di questo quadro concettuale i frammenti agricoli vanno ri-contestualizzati: insediati, con maggiore densità, ai margini della città consolidata, il loro sviluppo non dovrà più partire dall’idea della produzione di beni di consumo, quanto dalla produzione di servizi, dalla produzione di coscienza e conoscenza. Il loro ruolo risulterà strategico nella ri-appropriazione del concetto di organismo unico città-territorio. Più che una mera riattivazione del ciclo agricolo, va ideata una nuova funzione, contemporanea, che renda questi luoghi “necessari” per i cittadini che li vivranno: non elementi produttivi al margine, ma elementi fondanti dell’identità dell’organismo città-territorio. Luoghi didattici e della memoria al pari di un museo, un monumento o un libro. Luoghi dell’identità e dunque luoghi in costante mutazione: poiché il processo identitario di un territorio si evolve con esso e nell’evolversi si consolida risultando sempre attuale. In questa visione le aree agricole potranno avere un nuovo ruolo sia alla scala territoriale che a quella del loro intorno, e diventare l’elemento chiave per l’identificazione come elemento unico del sistema duale città-territorio.

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Aree a vocazione balneare: lungo la linea di costa viene rinforzata la vocazione balneare attraverso micro interventi che rendono la borgata della Bandita più funzionale alla sua nuova funzione di terminale del sistema.

Il viale che collega la zona balneare con il nuovo parco urbano dei silos è definito da piccole architetture per il commercio e la produzione di servizi alla scala del quartiere, facendo sì che questi potenzino il percorso lungo il nuovo parco acquatico.

Il parco urbano degli ex silos, ormai archeologia industriale, diventa la zona di decompressione tra il sistema commerciale e l’ex zona Asi.

Il campus per la ricerca nel settore delle scienze agricole è l’occasione per potenziare, integrandolo, il sistema agrario della ricerca con la borgata in cui si insedia: non più recinti chiusi, ma luoghi di transito in cui si sviluppa e si divulga la ricerca.

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La verifica del concept progettuale è sviluppata sulla linea di intervento 2 che mette in connessione la borgata di Ciaculli, il sitema ex-ASI/ Centro commerciale, la borgata della Bandita ed il mare. L’attraversamento di queste diverse realtà, rafforzato dall’attraversamento dei maggiori sistemi infrastrutturali territoriali est-ovest, fa sì che questa zona diventi strategica ad una scala urbana e territoriale.

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3 4

Legenda PISTA CICLO PEDONALE MOBILITA’ SU GOMMA AREE RECUPERATE AREE RECUPERATE A VOCAZIONE BALNEARE NUOVI EDIFICI DI PROGETTO CITTA’ DEGLI SPORT ACQUATICI (Piano strategico) PARCO URBANO CAMPUS/ CENTRO DI RICERCA

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Concept di progetto. CapillaritĂ .

tutor Antonio Biancucci Giulia Bortolotto Federico Calcara Simona Di Pasquale Giuseppe Rago Silvia Tagliazucchi

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COME TOGETHER Antonio Biancucci >UNIPA

Ogni volta che stendiamo davanti ai nostri occhi la cartografia della città, sul tavolo o sul monitor, come al cospetto di un velo che riporta i segni delle ininterrotte battaglie tra reale e ideale, diamo per certa l’esistenza di un centro che faccia da luogo di assorbimento delle scariche dell’energia urbana. Con un autodafé crediamo anche possibile che, nella restante vasta parte di costruzioni senza nome, queste forze, come le ramificazioni nel cielo dei fulmini durante un temporale, non rappresentino una perdita di continuità nelle complesse dinamiche dei sistemi. Sappiamo che le periferie ricche di tipologie atopiche confermano grandi difficoltà nella progettazione e gestione degli spazi aperti. Qui l’atopia contemporanea sembra rifiutare le connessioni, privilegiando invece la frattura caotica, i punti di non ritorno, o al limite mostrando per piccole parti l’ambizione al sublime, alla citazione, o al principio di autorità come extrema ratio. In raffinati ragionamenti sulle strategie urbane le parole e i concetti ormai si ripetono troppo spesso, accavallandosi le une sugli altri, spesso come contenitori cui attribuire il significato che meglio si addice all’occasione. Densità, continuità, concentrazione, centralità, nuclearità, prossimità, porosità, dispersione… cicli e ricicli, dove continuare senza timore di interruzioni nella costruzione di un ipotetico vo-

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tomorrow-sap

Sopra. L’energia del cambiamento è la nuova linfa: SAP_Social Active People/Growing Urban Roots. La riattivazione del ciclo della partecipazione cittadina è linfa vitale per ogni rinnovamento. A sinistra. Mancanza di continuità tra i vari “layers” che compongono questa parte di territorio. Alla lettura “orizzontale” è possibile affiancare una lettura “verticale”. Oggi, dalla costa alla Corona dei Colli, il territorio è come una sezione composta da “strati” non comunicanti tra loro. La “vision” è l’attivazione di permeabilità verso il parco agrumicolo di Ciaculli, tra la costa e il tessuto urbano, attraverso un sistema di connessioni “verdi”.

tomorrow-roots

200 today-enclosure

Sotto. Nuovi percorsi ciclopedonali, come radici, costituiscono una “porta” diffusa per il parco di Ciaculli, legando nuovamente insieme mare e montagna.


cabolario al servizio degli strumenti e delle questioni in gioco. Tutta vita, come viva è la città. La realtà e la sua trasposizione come in un gioco si intrecciano, in uno scambio cui la società non riesce più a partecipare per perdita di memoria. La città è però ancora una tana, un rizoma animale a molteplici entrate come i Mille plateaux di Deleuze e Guattari ci hanno indicato1. La città è stata deterritorializzata e i nostri occhi sono divenuti come buchi neri non essendoci più dialettica tra gli strati che compongono il piano di consistenza su cui agiscono le cose. Si può riconquistare il desiderio, agire attraverso il furto o il dono? O forse non incedere sul piano scandito dalle regole? La verità è che le cose alla fine sono molto più semplici di quello che le nostre amate complicazioni, negli studi e nelle discussioni politiche, vorrebbero farci credere. Secondo recenti ricerche della UPenn la decisione del Consiglio Comunale di Philadelphia di piantare alberi nel distretto di Kensington ha condotto ad un aumento del valore delle abitazioni del 9%, e grazie a ciò si è innescato un ciclo positivo più esteso di riattivazione urbana2. È davvero proprio così: per i “selvaggi, barbari, civilizzati”3 il denaro cresce sugli alberi. È stato tolto per un attimo il velo dal volto del futuro. Nonostante le loro possenti radici, gli alberi sono ancora uno degli ultimi antidoti alla stanzialità. Aiutano il recupero della nostra antica coscienza nomade. Ci possono costringere a nuovi aggiornamenti, ad uscire fuori, ad occuparci di noi attraverso loro. All’inizio in canali privilegiati, indicati dal progetto: vie di verde come una porta diffusa per il grande parco degli agrumeti di Ciaculli. Poi come tessuto innervato di pedonalità e luoghi pubblici tra la linea di costa e la grande presenza orografica della Corona dei Colli. Infine stuzzicano la nostra immaginazione ipotizzando una loro definitiva vittoria. Una crescita incontrollata che scardina le nostre intime prigioni sovvertendo gli equilibri del quotidiano sino al grado zero di tutti i cicli. Una possibile rivoluzione per la macchina capitalistica decivilizzata o solo un balsamo per la schizofrenia della periferia? Per una volta lo stato non è più impresa di antiproduzione, ma sfida sé stesso in una ridefinizione di tutti i cicli. Tutto ciò è ancora forse troppo banale per Palermo, per la Sicilia? 1. Deleuze G., Guattari F. (1980), Mille plateaux. Capitalisme et schizophrénie, Les Editions des Minuit, Paris. 2. Heckert M., Mennis J. (2012), “The economic impact of greening urban vacant land: a spatial difference-in-differences analysis”, in Environment and Planning, vol. 44, pp. 3010–3027. 3. Deleuze G., Guattari F. (1972), L’anti-Edipe. Capitalisme et schizophrénie, Les Editions des Minuit, Paris, capitolo III.

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Sezioni ideogrammatiche. Attraverso la modificazione architettonica del suolo è possibile attraversare, con soluzioni in scavo o in rilevato, la cesura determinata dalla infrastruttura dell’asse autostradale e ferroviario. Unità del sistema delle nuove connessioni dalla costa alle pendici dei Colli.

I vari “layers” che compongono il ciclo della partecipazione sociale, vero motore di ogni cambiamento urbano.

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La “Porta del Parco” è un insieme di porte. Porosità del sistema delle porte: trame di vegetazione e percorsi pedonali rivoluzionano l’attuale città dei recinti.

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Concept di progetto. Una programmata invasione verde per nuovi cicli di vita della Costa Sud.

tutor Sebastiano Provenzano Chiara Bonardi Marika Fiore Sandra Maglio Marcello Modica Elisabetta M. Caruso

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RE-GREEN, LA COSTA SUD COME PARCO LINEARE URBANO Sebastiano Provenzano >UNIPA

La visione proposta dal progetto prevede di riattivare, attraverso una progressiva e controllata “invasione verde”, un nuovo ciclo di vita per la Costa Sud. Si è inteso ricollegarsi al processo, oggi in atto in tutta l’area, di una diffusa proliferazione di vegetazione spontanea che lentamente, ma con la inesorabilità tipica dei processi naturali, si sta appropriando di questo tratto della costa urbana sostituendosi progressivamente al paesaggio di degrado in cui è stata abbandonata. Un grande parco lineare costiero che si estende da Sant’Erasmo fino alla Bandita, in grado di introdurre nel logos urbano nuovi cicli di vita e attivare nuove funzioni legate sopratutto al loisir e al tempo libero. Questo parco lineare è pensato come una grande infrastruttura verde che “invaderá” progressivamente l’intera area di interfaccia tra la città e la spiaggia, introducendo nuove funzioni, attirando nuove fruizioni. Come in un processo di contrappasso la Natura, umiliata dalla negligenza dell’uomo, si riappropria così della Costa Sud, rinnovandone la sua originaria identità di waterfont urbano. La green infrastructure costiera declina nuovi usi e funzioni per la Costa Sud, che non riducano unicamente alla balneabilità la sua possibile fruizione. Attività sportive, culturali, popolano e ibridano le funzione di

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Sopra. Il Parco lineare Costa Sud: un grande parco lineare costiero che si estende da Sant’Erasmo alla Bandita innestando nuove funzioni legate al loisir in grado di riattivare cicli di vita urbana ormai sopiti.

A destra. Le fasi del Masterplan. Un processo, piĂš che un progetto, attivato dalla interazione tra pubblico e privato.

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questo grande parco lineare urbano. In questa logica, il progetto immagina il nodo ex Gasometro-Sant’Erasmo come la testa del nuovo parco lineare costiero, la porta, verso la città di tutto il sistema. Le prefigurazioni metaprogettuali proposte immaginano di riusare i gasometri come grandi serre urbane aperte alla fruizione collettiva, che, attraverso una rampa pedonale, consentano di poter accedere ad un mirador da cui apprezzare il panorama della costa palermitana. I gasometri quindi come landmark, della cittadella delle Smart technologies, e delle energie rinnovabili, in cui l’Amministrazione, in concerto con l’AMG e l’Università immaginano di trasformare questa importante area dismessa un tempo destinata alla produzione del gas. Prendendo a prestito alcune suggestioni provenienti da altre città, che hanno già attivato al loro interno nuovi cicli per la vita e la fruizione delle loro coste urbane, il progetto immagina provocatoriamente (ottimisticamente) di utilizzare una parte del porticciolo di Sant’Erasmo come una grande piscina urbana aperta alla balneazione pubblica. Procedendo verso sud la green infrastructure, ingloba l’ex deposito delle locomotive, la cui attuale funzione di museo della memoria del mare appare in piena coerenza con la volontà-necessità di riconnettere alla vita culturale e sociale della città la Costa Sud. Immaginiamo questo grande parco lineare della Costa Sud come un luogo fruito durante tutte le ore del giorno in cui una infrastrutturazione debole prediliga l’uso di mobilità alternative, in cui possa riattivarsi il ciclo della balneabilità urbana e in cui Palermo possa procedere nel lento processo di riscoperta del proprio mare negato. Densità, continuità, concentrazione, centralità, nuclearità, prossimità, porosità, dispersione… cicli e ricicli, dove continuare senza timore di interruzioni nella costruzione di un ipotetico vocabolario al servizio degli strumenti e delle questioni in gioco.

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Sopra. Masterplan. Il Parco lineare costiero come una green infrastructure declina nuovi usi e funzioni per la Costa Sud, non unicamente limitate ad una ritrovata balneabilità ma dedicate ad attività sportive, culturali e alla movida notturna.

$ ±DQFR Energy Innovation District presso l’ex Gasometro. Coerentemente con le intenzioni dell’amministrazione di destinare quest’area a sede di uno smart lab urbano per le tecnologie rinnovabili, la visione del progetto attribuisce all’energy innovation district il ruolo di “testa” dell’intero sistema del parco lineare costiero. 3DJLQD D ±DQFR Modelli/best practices. Prendendo ad esempio alcuni casi di studio europei, attraverso l’ausilio di fotomontaggi sono state immaginate soluzioni di uso e di funzione differenti per i vari tratti di costa attraversati dal parco lineare.

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Prefigurazioni metaprogettuali. Le vestigia dei gasometri, ormai privi delle loro orginarie funzioni, rappresentano una icona di skyline ormai riconosciuta e riconoscibile che nella logica del parco lineare costiero, devono assumere un ruolo funzionale degno della loro importanza paesaggistica. Il progetto prevede di destinarli a grandi serre urbane, percorribili attraverso una rampa che conduca alla loro sommitĂ da cui apprezzare la vista del golfo di Palermo.

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2030+ Time lapse delle azioni progettuali.

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HYPER-CYCLING COSTA SUD

BLUE GATEWAY/ FLUID CITY

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Costa Sud. (Foto di Giuseppe Marsala).

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PALERMO BLUE/GREEN GATEWAY. NOVE PORTE PER LA KNOWLEDGE CITY Giuseppe Marsala >UNIPA

Quale ruolo le città possono assumere oggi nello scenario contemporaneo della mondializzazione e delle interconnessioni variabili che attraversano il pianeta? In che modo le città stanno sperimentando la possibilità di essere protagoniste come nodi delle reti globali nell’attuale contesto sempre più internazionalizzante, plurilingue, e nel “nessun-luogo” generato da internet e dalle televisioni, e dentro quella che Ulrich Beck chiama la “seconda modernità”?1 È a partire da queste domande, io credo, che dobbiamo inquadrare riflessioni e visioni future di una città medio/grande, e con una potenziale dimensione metropolitana, come Palermo. Il workshop internazionale PMO/Re-verse – muovendosi entro la piattaforma aperta della ricerca Re-cycle Italy e utilizzando il residue urbano della Costa Sud di Palermo soprattutto come test di sperimentazione di nuovi sguardi sulla città e sui suoi nuovi metabolismi – ha avuto il pregio di aggiornare le riflessioni sul possibile ruolo futuro di Palermo a partire da uno sguardo sulle pratiche più innovative che attraversano oggi le città europee. Tale aggiornamento ha interessato, in primo luogo, le categorie

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semantiche e concettuali attraverso cui interpretare le metamorfosi dei territori e delle geografie che descrivono un paesaggio in trasformazione e dalle geometrie variabili, in cui ai tradizionali puzzle dalle figure predefinite, si sono sostituite, ormai da decenni, figure che descrivono scenari di processo; shangai ad attori variabili; strutture reticolari sovrapponibili e interconnesse ad altre reti. Le letture di, e su, Palermo, dunque necessitano della consapevolezza di questo quadro complesso, specie entro l’attuale contesto di crisi che vede la Sicilia alle prese con la riconversione di un sistema in cui la mano pubblica ha costituito il principale motore economico, verso un modello post-assistenziale. Riconversione che necessita la riscrittura di paradigmi interamente nuovi ma a partire dal VLWH VSHFL±F dei nostri luoghi e delle nostre risorse umane e territoriali. Entro tale quadro si sono mosse le vision progettuali del workshop, istruite da una articolata armatura di esperienze, testimonianze, ipotesi di lavoro. Tra queste ipotesi vi è anche lo scenario di processo prefigurato nel progetto di candidatura di Palermo a Capitale Europea della Cultura 20192. Tale scenario adottava le potenziali riserve di resilienza urbana espresse dalla città e sceglieva la linea di costa come risorsa endogena per l’attivazione di metamorfosi necessarie e già inscritte nel “girato” della sua storia recente. Un “girato” che necessita oggi della sua post-produzione3 , del suo jumpcut4 e del ri-montaggio di frammenti in grado di attivare nuovi cicli. Palermo 2019 individuava nella Knowledge City5 il nuovo ciclo di vita futura della città e intorno ad esso articolava programmi e configurazioni in cui politiche culturali e politiche urbanistiche divenivano azioni di una stessa strategia di post-produzione della città. Questa ipotesi, dunque assegnava alla conoscenza e alla innovazione culturale il ruolo guida di questo nuovo possibile ciclo; ed al re-cycle della linea di costa la geografia fisica e simbolica di questa metamorfosi. Il progetto immaginava l’istituzione di nove nuove gateway urbane, coincidenti con i nove vecchi porti delle borgate marinare, oggi ormai inglobate nella nuova dimensione metropolitana: nuovi epicentri culturali diffusi lungo la costa, capaci di agire in profondità e di dare accesso alle parti di territorio più interne. Il progetto prevedeva l’insediamento della Biblioteca Internazionale dei Diritti alla Bandita, ed il recupero del land costiero simbolo del più feroce degrado subito dalla Costa Sud nel dopoguerra, prossimo alla terra di frontiera in cui convivono l’eredità di don Pino Puglisi e i compari del suo assassino e dove cooperative di giovani artisti generano

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arte dentro beni confiscati alla mafia. Un recupero che, insieme a quello già effettuato del Foro Italico, e a quelli auspicabili di Arenella e Vergine Maria, disegnerebbe un sistema di parchi pubblici sul mare fortemente connessi ai sistemi urbani ed abitativi interni. E sempre di quel progetto è l’idea di un Museo della lotta alla Mafia e della storia recente di Palermo e delle sue resistenze civili alla Cala e prossima ad esso la nuova sede della Consulta delle Culture, istituzione che rappresenta le tantissime comunità straniere di Palermo; o quella del Museo delle Migrazioni nelle vecchie Lavanderie Tirrenia; e ancora la creazione di un Polo delle Scienze e dell’Energia a Sant’Erasmo, in accordo con Università e AMG, inteso anche come incubatore di sostenibilità energetica della città, vicino al tassello già attivo dell’Ecomuseo Urbano Diffuso del Mare presso l’ex Deposito Locomotive, una nuova istituzione che guarda allo spazio museale come ad uno spazio di comunità. E infine le indicazioni sulla Favorita, intesa come ecosistema ambientale accogliente di cultura e sport, che vede nella spiaggia di Mondello – nuovo “parco di sabbia” – la sua porta di accesso dal mare. L’intero sistema delle porte guarda dunque all’acqua anche come via di comunicazione e accesso diffuso alla città; e individua nel metrò del mare una strategia per la riduzione dei flussi a terra, delle emissioni di CO2 e per un riequilibrio ambientale tra mobilità ciclo-pedonale, carrabile e su ferro. Il mare, dunque, come luogo del lavoro, come spazio sociale, del tempo libero e dell’identità culturale collettiva; come paesaggio e come infrastruttura per la mobilità di una città metropolitana dai confini sempre più dilatati. Come porta liquida di una città in cui politiche culturali e politiche urbanistiche, intese come azioni non separabili, guardano alla costante attitudine di Palermo a sfornare talenti nel campo delle arti, come DNA della città. Come lo sono il Mare ed il Paesaggio. Obiettivi che, sebbene venuta meno l’opportunità della competizione europea, possono costituire il palinsesto programmatico del disegno futuro di una Palermo Knowledge City. 1. Si vedano in tal senso le ricerche di Ulrich Beck e della sociologia contemporanea a lui riferibili ed in particolare: Beck U. (2000), La società del rischio. Verso una seconda modernità, Carocci, Roma. 2. Si veda: Progetto per la candidatura di Palermo a Capitale Europea della Cultura 2019 (2013), http://www.palermo2019.it/dossier-di-candidatura/. 3. Bourriaud N. (2006), PostProduction. Come l’arte riprogramma il mondo, Postmedia Book, Milano. 4. Si veda: Ingersoll R. (1993), “Jumpcut Urbanism”, in Casabella n. 597-598, pp. 52-57. 5. Fioravanti G., “Il fattore Kc”, in Ferraraitalia, www.ferraraitalia.it/il fattore Kc.

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Progetto per la Stazione di Parma. (MBM Arquitectes).

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RIFLESSIONIOPPORTUNITÀPROGETTI-CITTÀ Oriol Capdevila >MBM Arquitectes

Dalla fine dell’800 e soprattutto durante tutto il ’900, la crescita delle nostre città ha dato risposta alle necessità immediate, tanto storiche, industriali, di classe, così come all’inadeguatezza del corretto sviluppo delle città stesse, senza affrontare la realtà dei centri urbani già consolidati. Questo tipo di processo ha lasciato “cadaveri” per il cammino, situazioni mal risolte e soprattutto una transumanza sociale molto difficile, quasi impossibile da gestire. In pratica, le nostre città si sono sviluppate formando periferie di ogni tipo, totalmente sconnesse dalla città, che con il tempo si sono consolidate fino ad arrivare alla loro fine. Possiamo dire che lo sviluppo e il movimento di una città hanno data di scadenza, come un “usa e getta”, dovuto alla voragine di business che essa stessa ha creato. Credo che tutti dovremmo recitare il mea culpa visto che tutti in minore o maggior parte, abbiamo la nostra quota di responsabilitá: amministratori politici, professionisti dell’urbanistica e dell’architettura e soprattutto gli operatori del settore, sia esso industriale, commerciale, o immobiliario, l’elenco è lungo, tutti abbiamo peccato di mancanza di sensibilità sul tema e di poca comprensione del significato della parola urbe, ossia dell’urbanistica con tutte le sue conseguenze.

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Già da tempo si è svegliata una nuova attenzione, accompagnata da una nuova interpretazione dei concetti basici che dovrebbero essere all’origine di un corretto sviluppo urbano, inteso, non come espansione, bensí come riutilizzo, adeguamento, integrazione sociale e soprattutto compattezza della città. Oriol Bohigas commentava che sarebbe interessante recuperare l’idea delle mura di cinta della città, virtualmente concepite come linea rossa che delimita la città compatta, consolidata, dotata di tutti gli elementi di carattere urbano di qualità, ma soprattutto di un’identità e urbanità sociale. Al di lá di questa premessa, la società attuale si trova immersa in un caos urbano a cui evidentemente si deve trovare una soluzione che riqualifichi i disastri già realizzati senza la necessità di realizzare progetti faraonici, oggi impossibili e inutili, in modo da adeguare le periferie alle aree urbane esistenti, dotandole di un tessuto proprio, della qualità urbana e sociale già sperimentata e di possibilità di sviluppo che permettano una crescita professionale, sociale, abitativa e relazionale alle nuove generazioni. Nel caso concreto di Palermo, questa periferia ha inciso su tutta la costa, soprattutto a sud, dove la coesistenza di interventi di tipo residenziale e industriale, assieme alla poca volontà politica di annetterli alla convenienza della città compatta nè in verticale, nè in orizzontale, ha generato il caos. Pertanto considero molto interessanti le ricerche, le motivazioni e le azioni del Dipartimento di Architettura dell’Università di Palermo sotto la direzione di Maurizio Carta e del PRIN Re-cycle Italy che, sulla base delle migliori teorie dell’urbanistica generale, propone l’inizio del Re-cycle pensato non come riciclare, ma come ciclo diverso da quello avuto finora, ossia un nuovo ciclo per le città. La scelta delle aree di studio per questo workshop è stato un esempio vivo della situazione attuale dove si deve lavorare per ottenere un risultato ottimale sotto tutti i punti di vista: la Foce dell’Oreto/ex Gasometro, la zona Oreto-Bandita/Città Liquida, il Porto della Bandita, la Porta del Parco. Tutte hanno un denominatore comune: resto di una periferia, un fiume che limita zone della città, antiche costruzioni industriali ora in disuso, una costa continua con caratteristiche diverse e, soprattutto, tutte sono il risultato di una pianificazione urbana che non ha considerato il concetto di città, alterando la sua morfologia fino ad estremi impensabili pur di soddisfare gli interessi dei diversi operatori nel tempo. Il risultato del lavoro prodotto dai nove gruppi di studio è ottimo; tutti dan-

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no risposta a diverse sensibilità di tipo storico, funzionale, sociale, incluso quella monumentale. In conclusione un lavoro molto interessante che offre una nuova visione dello sviluppo urbano, visto piú come un’aggregazione che un’espansione, dove si sfruttano le risorse esistenti e si intravede la possibilità di eliminare i principali ostacoli della situazione attuale. Devo ammettere che dal mio punto di vista professionale più legato al progetto realizzato che alla teoria, questi lavori possono essere l’inizio per passare dalla teoria alla pratica, aggiungendo altri fattori di opportunità che possono alterare i suoi risultati in positivo. Dove il dimensionamento, la lettura verticale e orizzontale servono ad integrare le aree di progetto con la nuova città compatta invece di produrre una distanza incolmabile. Dopo queste intense giornate, circondato da amici, colleghi e professionisti, il denominatore comune ha messo in marcia la macchina delle idee orientata a una nuova visione dell’urbanistica che investe sugli interessi principali e recupera il lavoro piú realistico per agire sulla città. Piú di cento persone hanno collaborato per poter reinterpretare un’area urbana che sembra poter arrivare ad essere il motore di una nuova visione del territorio, che permetta la coesione urbana approfittando delle strutture esistenti e soprattutto che dia risposta ai fruitori della città e alle loro necessità. Non posso aggiungere altro che non sia “grazie” per avermi dato l’opportunità di collaborare con questa iniziativa che apre altre nuove possibilità alle nostre cittá.

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Concept di progetto. Agopuntura adattiva. Interventi puntuali sulle resilienze che configurano nuovi nodi nevralgici capaci di provocare (ri)attivazioni dei sistemi nervosi attraverso processi incrementali dinamici.

tutor Annalisa Contato Roberta Costa Giancarlo Gallitano Antonina Manzo Mariachiara Mongelli Andrea Pezzi

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TATTICHE DI AGOPUNTURA ADATTIVA Annalisa Contato >UNIPA

«Interventi puntuali sulle resilienze che configurano nuovi nodi nevralgici capaci di provocare (ri)attivazioni dei sistemi nervosi attraverso processi incrementali dinamici». Con queste parole è stato descritto l’approccio adottato per l’ipotesi di rigenerazione della Costa Sud di Palermo elaborato dal gruppo di studenti e professionisti che hanno partecipato al workshop. Il primo ragionamento effettuato dal gruppo è stato quello di analizzare il tipo di ciclo di vita che caratterizza la costa, arrivando alla conclusione (che diventerà poi punto di partenza per la definizione delle strategie e delle azioni) che a un sistema costiero possono essere attribuiti più cicli di vita per ognuna delle stagioni e che, pertanto, è possibile parlare di “ciclo della costa”, intendendo così sottolineare la capacità adattiva del luogo e la sua fluidità non solo morfologica ma soprattutto funzionale. Al fine di evitare che il fenomeno naturale della ciclicità delle stagioni provochi il consueto abbandono della costa durante i periodi invernali, il gruppo di lavoro si è posto l’obiettivo di individuare un’agenda funzionale per la costa, scandita nel tempo, proponendo un’alternanza di funzioni e modalità di intervento che ha l’ambizione di renderla un luogo in cui scorre la reale vita della città, dove le resilienze presenti diventano opportunità per vivere

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Fase di radicamento. Il progetto individua nel porto della Bandita e nella spiaggia di Romagnolo i due principali nodi nevralgici da cui dare avvio al processo di rigenerazione e riattivazione della Costa Sud di Palermo. Da questi due nodi si propagano flussi di energie che diffondono gli effetti attraverso continue ri-funzionalizzazioni di micro-spazi, riducendo così la frammentazione della costa.

Fase di sviluppo. I flussi di energie propagati dai due centri nevralgici hanno dato vita ad un vero e proprio “sistema nervoso” della Costa Sud, in cui scorre la vita reale della città, le funzioni si sono consolidate ridando identità all’area. Spazio urbano e spazio naturale si fondono insieme.

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uno spazio naturale e urbano allo stesso tempo. La tattica progettuale ritenuta più idonea è quella dell’Agopuntura Urbana, modello di micro urbanistica che tende a stimolare reazioni positive e rivitalizzazione di aree deboli facendo leva su piccoli “punti di pressione”, analogamente a quello che succede con gli aghi sull’organismo umano malato. Questa scuola di pensiero rifugge, infatti, la progettazione di grandi interventi di trasformazione urbana in favore di un approccio a livello locale bottom-up, che coinvolga la comunità utilizzandone le energie positive. Attraverso la rifunzionalizzazione di micro-spazi e individuando possibili linee di flusso entro le quali le energie si diffondono e gli effetti si propagano (sistema linfatico della costa), in un breve arco temporale si potrà ridurre l’attuale frammentazione della costa e innescare processi di trasformazione anche negli altri nodi del sistema (nervoso) della costa. Nel porticciolo della Bandita e nel pontile in legno sito nella spiaggia di Romagnolo sono stati individuati i due nodi “nervosi” principali da cui dare avvio al processo di rigenerazione e ri-attivazione dei cicli di vita della costa, programmando una serie di interventi da realizzare in un arco temporale breve (3-5 anni) durante il quale dovrebbe attivarsi un effetto a catena che investa tutte le aree circostanti, ridando nuova identità e riconoscibilità all’area. L’individuazione di questi due nodi e la definizione delle azioni ha anche tenuto conto di un’importante trasformazione di cui è oggetto questa parte di città quale la realizzazione della linea tranviaria (in fase di completamento), che connetterà la Costa Sud con il centro della città e che assume un ruolo strategico per il miglioramento della permeabilità dell’area, della connessione tra i quartieri residenziali e la fascia costiera, individuando nelle fermate del tram quei nodi intermedi che possono fungere da elementi di ricucitura tra queste due parti attualmente disconnesse. La creazione di un distretto della pesca alla Bandita ha l’obiettivo di recuperare l’identità storica della borgata e di proporre funzioni che possano essere attive durante tutto l’anno. Il distretto della balneazione e dello sport a Romagnolo, invece, dal carattere più sperimentale e di maggiore coinvolgimento della popolazione, avrà l’obiettivo di generare una nuova identità per l’area, riattivando la funzione balneare nei periodi estivi, ma contemporaneamente proponendo attività sportive legate all’acqua e altre che possono essere svolte in spazi aperti, con l’intento di stimolare i cittadini a vivere tutte le potenzialità inespresse di questo brano di città.

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Il distretto della balneazione e dello sport a Romagnolo. Il progetto ha l’obiettivo di rendere l’area attiva e funzionante sia nei periodi estivi che nei periodi invernali, attraverso un’agenda funzionale in grado di attivare più cicli di vita della costa prevedendo, accanto alla funzione balneare, attività sportive legate all’acqua e attività che possono essere svolte in spazi aperti.

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Il porto e la borgata della Bandita. Con l’obiettivo di recuperare l’identità storica della borgata e di ricucire il rapporto tra questa e il porto, il progetto prevede la creazione di un distretto della pesca, funzioni che possono restare attive durante tutto l’anno e che si diffondono anche all’interno della borgata e micro-interventi di progettazione urbana per ricreare continuità fisica tra il costruito e la spiaggia.

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Concept di progetto. La valorizzazione delle risorse permette la riattivazione dei cicli vitali e la rigenerazione della cittĂ secondo un processo ecologico di nuovo metabolismo urbano che tende a ridefinire il waterfront della cittĂ rivelando una Palermo Liquid City altrettanto eminente della cittĂ di pietra.

tutor Marco Scarpinato Faten Brahim Hamida Douira Youssef Guettat Zakaria Haouari Mohamed Kannou

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BLUE CYCLE + GREEN CYCLE = PALERMO FLUID CITY Marco Scarpinato >AUTONOME FORME

Sin dalle rappresentazioni del geografo Al-Idrisi Palermo è nota per la Conca d’Oro, paradiso di fertili terre agricole e ampi giardini di agrumi che circondavano la città. Nella Costa Sud, nascoste da muri, permangono tuttora ampi frammenti di aree agricole solcate dalle strutture di captazione e diffusione delle acque che testimoniano la presenza degli arabi in città. La Costa Sud è caratterizzata dalla foce del fiume Oreto che qui si trasforma in un invaso inquinato ormai dimenticato dalla città. Si tratta di un’area disomogenea e stratificata in cui il paesaggio, parzialmente eroso da grumi di edifici dismessi e degradati, coesiste con l’archeologia industriale degli ex gasometri, con architetture e luoghi di pregio come Villa Giulia, l'Orto Botanico, i Dipartimenti scientifici dell’Università, l’ex deposito Locomotive di Sant’Erasmo ed il Ponte dell’Ammiraglio, costruito in epoca normanna, che testimonia l’antico tracciato dell’Oreto che, prima della deviazione del 1938, scorreva fin qui. Il progetto elaborato nel workshop PMO/Re-verse con gli studenti dell’ENAU di Tunis1 rilegge Palermo come città di acqua dolce e salata e individua una strategia di riqualificazione del waterfront che reimmette nel metabolismo urbano luoghi inattivi, paesaggi incerti e architetture abbandonate. Partendo dalla zona compresa tra la foce dell’O-

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Sopra. Palermo blue cycle: il fiume, il lago artificiale del Castello di Maredolce e i tracciati irrigui che solcano l’area sono l’elemento di partenza per definire una strategia sostenibile basata sulla combinazione di architettura e agricoltura. A destra. Blue and Green Cycles/Layers: layer 1. le coperture che raccolgono l’acqua layer 2. i terreni agricoli layer 3. il sistema dell’acqua dolce e dell’acqua salata layer 4. la pianta urbana

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reto e l’area degli ex gasometri, il progetto applica una strategia di re-cycle in un’area di forte resilienza e rintraccia le risorse idriche e verdi presenti nell’area: il mare, il porto, l’acqua pluviale, le djebia, le alghe, l’acqua di fiume, i parchi, i giardini e i campi agricoli per aumentare le potenzialità architettoniche up-cycle e disegnare nuovi cicli di vita hyper-cycle. Certi che la riattivazione del blue cycle e del green cycle permetterà di riattivare gli altri tre cicli che definiscono l’identità urbana (grey, red e brown), il fiume, il lago artificiale del Castello di Maredolce e i tracciati irrigui che solcano l’area sono lo spunto per definire una strategia sostenibile e una nuova agritettura basata sulla combinazione di architettura e agricoltura. Ulteriore elemento di ispirazione è il Ficus Magnolideum dell’Orto Botanico che, con le sue radici, costruisce un’architettura vegetale che irradia la sua linfa vitale nelle aree circostanti. Il disegno dei tracciati idrici crea una nuova topografia urbana in cui il blu dell’acqua si affianca al grigio delle strade e al verde agricolo. Questo sistema, che traspone sulla mappa della città il tracciato del sistema circolatorio umano, implementa la permeabilità dei suoli e attua una rilettura che, dalla scala urbana (disegnata da una nuova topografia venosa), lavora sulla scala architettonica e giunge al dettaglio delle sezioni stradali che si trasformano in una rete di canali che, attraversando la città, raccolgono le acque pluviali e le distribuiscono irrigando campi e giardini e separando le vie veicolari, i pedoni e le piste ciclabili. Parallelamente, il sistema di recupero delle acque pluviali dai tetti dei grandi edifici ridistribuisce questa risorsa nelle zone urbane e sub-urbane. Il sistema è regolato dalla rilettura delle torri d’acqua di memoria araba che, trovando una rappresentazione a grande scala nell’area degli ex gasometri e negli elementi secondari dislocati nell’area, definiscono dei landmark che, mediante micropale idriche, producono energia elettrica e realizzano una prima depurazione. Un ulteriore elemento che contribuisce alla sostenibilità del sistema è connesso alla produzione di ossigeno derivante dalla coltivazione delle alghe nei water ways attraverso un processo che si avvale della notevole proprietà di fotosintesi di questi elementi vegetali e acquatici. La riattivazione dei cicli blue e green rende al contempo possibile la ricostruzione di una topografia della memoria che fa riemergere la storia della città e rivela un’immagine di Palermo Liquid City altrettanto eminente di quella della città di pietra. 1. Gli studenti fanno parte del Laboratoire A.M.A. Umran 2013-2014 memoire diretto da Mounir Dhouib e co-diretto da Marco Scarpinato.

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La riattivazione del ciclo delle acque che vengono raccolte sulle coperture degli edifici nel network di nuovi canali che disegnano il suolo, parallelamente alla produzione di ossigeno derivante dalla coltivazione delle alghe nei water ways, creano un sistema ecologico sostenibile che genera innovazione sociale ed economia nel rispetto dell’ambiente.

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I canali di raccolta dell’acqua piovana irrigano campi coltivati e giardini favorendo la creazione di nuovi orti urbani.

I canali di raccolta delle acque piovane separano le vie veicolari, i percorsi pedonali e le piste ciclabili disegnando un nuovo tracciato permeabile del suolo urbano.

I nuovi landmark nell’area degli ex gasometri reinterpretano le torri d’acqua di memoria araba e, grazie all’installazione di micropale idriche realizzano una prima depurazione delle acque e producono energia.

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Concept di progetto. Ritmi variabili per metabolismi indotti e spontanei.

tutor Claudio Schifani Francesco Castello Serena Esposito Francesca Montuoro Marilena Prisco

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UN EPISODIO URBANO DI TRANSITO Claudio Schifani >UNIPA

Una porta di accesso alla città per chi arriva da est ma non solo, una vetrina naturale per chi si avvicina al porto di Palermo via mare in attesa di approdare, così scorre il paesaggio urbano dell’area della Costa Sud della città di Palermo. Due visioni così diverse se pur dello stesso territorio e parte di città, una percezione veloce e “disinteressata” di accesso lungo la via Messina Marine con una prevalente mobilità su gomma, un’altra lenta e fatta di prospettive in cui la Costa Sud appare quasi una quinta scenica che incuriosisce il viaggiatore stimolandone la visita e l’esplorazione. Oggi, però, la Costa Sud si presenta quasi come un episodio urbano di “transito” e non di esplorazione, l’antica borgata marinara con il suo approdo della Bandita ha ceduto il passo ad un mutamento di funzioni urbane che nel corso degli anni si sono insediate lungo questa porzione di città lasciando anche dei vuoti episodici come nel caso dell’ex Gasometro o dell’ex Macello. Il territorio della Costa Sud caratterizzato, dunque, oggi da una struttura funzionale a macchia di leopardo e riconoscibile da episodi quali l’Area di Sviluppo Industriale di Brancaccio, l’ex Gasometro, nuovi insediamenti del terziario ad alta densità come il centro commerciale “Forum Palermo”. Nello stesso tempo la Costa Sud è anche connessione tra il

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La riattivazione dello spazio pubblico come una nuova AgorĂ , luogo di interconnessione fisico ma anche virtuale attraverso la possibilitĂ di accesso alle reti sociali del web.

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paesaggio degli agrumeti di Ciaculli, il Castello di Maredolce ed il tessuto urbano della città. Partendo da tale scenario mutato, mutevole ed in alcuni punti anche cortocircuitato del tratto urbano della Costa Sud della città di Palermo, un approccio progettuale non poteva esimersi di ri-percorrere l’asse principale di attraversamento della Costa Sud (via Messina Marine) per calibrare lo sguardo con una visione lenta dei luoghi e degli spazi che sembrano dilatarsi ed aprirsi verso l’interno e verso il mare, facendo ri-emergere talvolta l’antica identità marinara del tratto di costa con episodi di architettura di borgata prospicienti il fronte a mare. L’approccio progettuale è quello della sperimentazione, intesa non soltanto come sperimentazione di nuovi approcci e metodologie progettuali urbane, ma anche come sperimentazione funzionale e tecnologica nell’ottica di una città che per essere intelligente deve prima riattivare i propri circuiti di connessione evitando i vuoti che possono creare interruzioni di “elettricità” e quindi di “intelligenza”. Ecco che l’antico porticciolo della Bandita può essere re-immaginato come una sorta di nuova Agorà e nello stesso tempo di teatro verso il fronte a mare, integrandone all’interno nuove funzioni di inclusione sociale e digitale anche attraverso porte di accesso pubbliche al web (Hotspot) che, in una visione meno informatica, possono essere anche occasione di riprogettazione degli spazi pubblici urbani. Ripartire dall’approdo per riprogettare l’intero sistema Costa Sud, approcciando il contesto con un’ottica di sperimentazione come un complesso Fablab a scala urbana, una sorta di “Area 51”1 dell’innovazione in cui testare nuovi “circuiti” fatti anche di sistemi intelligenti (HotSpot, sensori, ecc.) che riconnettano la Costa Sud al suo interno ma nello stesso tempo con il resto della città in un’ottica metropolitana (PON METRO). Riprogettare la Costa Sud in un’ottica di innovazione non vuol dire solo renderla pervasiva di nuove tecnologie intelligenti, ma vuol dire anche riconnettere funzionalmente episodi di progettualità attiva ed in corso di attivazione come ad esempio la nuova rete del tram. Il progetto potrebbe “cortocircuitare” la nuova rete del tram con nuovi episodi urbani fatti non solo di funzioni alla scala di quartiere, ma anche e soprattutto alla scala metropolitana per far si che la Costa Sud torni ad essere un “nodo” urbano e non semplice “asta”. 1. Borga G. (2013), City Sensing. Approcci, metodi e tecnologie innovative per la Città Intelligente, FrancoAngeli, Milano.

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Le funzioni esistenti ed in progetto ridisegnano lo skyline urbano del fronte a mare della Bandita e del suo porticciolo. Non mutano le fisicità del costruito ma si reinterpretano e riassegnano i ruoli dell’esistente. La linea di costa ridisegna e scandisce le funzioni che trovano il nucleo generatore nel teatro all’aperto del porticciolo della Bandita.

1- Sezione ciclotemporale sul fiume Oreto.

2- Sezione ciclotemporale pontile Romagnolo.

3- Sezione ciclotemporale pontile borgate agricole.

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La nuova linea del tram rappresenta un’opportunità non soltanto di connessione urbana ma anche di ridisegno dei percorsi urbani. “Slow” indica un nuovo modo di scoprire il paesaggio urbano caratterizzato da scorci e prospettive sul fronte a mare, mentre le fermate del tram costituiscono “episodi” e “tappe” di una mobilità lenta ed interconnessa con percorsi ciclo-pedonali.

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HYPER-CYCLING COSTA SUD

BROWN INFRASTRUCTURE/ ADAPTIVE CITY

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Videoplastic 2.0, diagramma per la realizzazione di un condominio produttivo nel distretto industriale del Sebino (Bg). Progetto secondo classificato al concorso “Riusi Industriali 2012â€?, promosso da Confindustria Bergamo e OAB. (UbiStudio. A. AlĂŹ, M. Agresta, M. Leanza, F. Rizzini, L. Valtorta con A. Longo, A. Lanzani, S. Armondi, A. Giacomel e C. Novak).

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IL CAPITALE DEL RICICLO Andrea Gritti >POLIMI

Diviso 3. Moltiplicato 100 I numeri 3 e 100 sono ricorrenti nei modelli interpretativi del territorio italiano. Negli anni ’70 del Novecento il tentativo di superare la rigida contrapposizione tra un Settentrione, ricco e industriale, e un Meridione, povero e rurale, aveva trovato nella Terza Italia, del Nord-Est e del Centro, l’occasione per riproporre un contributo nostrano allo sviluppo dell’economia europea1. Nato come risposta alla crisi della grande industria e al sottosviluppo dei contesti rurali, basato su inedite relazioni tra comunità locali e mercati globali, il modello della Terza Italia si era rapidamente diffuso su tutto il territorio nazionale nella forma del distretto industriale2. Nel volgere di qualche decennio territori caratterizzati da comuni esperienze socio-economiche e storico-culturali avevano registrato la proliferazione di piccole e medie imprese specializzate nell’integrazione dei processi produttivi necessari per cogliere e, possibilmente, vincere le sfide poste dai mercati. Le aspettative più fiduciose immaginavano feconde relazioni tra la centuria dei distretti e la rete delle “cento città”, in definitiva una nuova alleanza fra tradizione urbana e innovazione produttiva3. Divisa per 3 e moltiplicata per 100 la struttura insediativa del Paese avrebbe potuto

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sperimentare un nuovo ciclo – storico, culturale ed economico – caratterizzato da dinamismo e qualità. Purtroppo non è andata così. Indicati come la soluzione ai cronici mali della Nazione, i distretti industriali in crisi sono oggi una parte non trascurabile del problema che affligge il suo paesaggio e la sua struttura insediativa 4. Violazioni contrattuali Differenziati sotto il profilo economico e sociale, i distretti industriali hanno fatto ricorso a strategie di colonizzazione territoriale sorprendentemente simili. Da Belluno a Sassuolo, da Prato a Fabriano, da Fermo a Barletta capannoni e villette, ma anche i loro derivati, i loro complementi e le loro molteplici ibridazioni, hanno rappresentato plasticamente le contraddizioni proprie all’“uso capitalistico del territorio”5. In nome dell’innovazione di prodotto e di processo e in cambio della diffusione di benessere materiale tra gli attori implicati nell’economia distrettuale, le comunità locali hanno stoccato sui territori dei distretti un’enorme quantità di manufatti e tessuti dedicati all’industria, alla residenza e ai servizi, quasi completamente privi di qualità architettoniche e ambientali. In questo modo hanno corrotto il sistema di relazioni spaziali da cui traevano forza e vitalità, fondato sui retaggi rurali da cui discendevano il possesso e la disponibilità dei suoli, troppo rapidamente, resi edificabili. Oggi l’intrinseca fragilità dell’Italia dei distretti industriali è documentata da due paradossi evidenti. Da una parte l’innovazione, intesa come “costruzione sociale”6, valicando i confini aziendali e territoriali, ha rotto i delicati equilibri tra collaborazione e competizione. Dall’altra il progressivo abbandono e sottoutilizzo delle infrastrutture produttive, residenziali e di servizio da parte di quelli che non hanno superato la crisi, ha alimentato la formazione di un ingombrante sedimento destinato a compromettere l’efficienza dei sistemi territoriali. In entrambi i casi si tratta della violazione di quei contratti – l’uno spaziale, l’altro sociale – che avrebbero dovuto essere garanzia di successo del modello distrettuale. Ritorno alle origini Così mentre sul terreno si accumulano i resti di successi tattici e sconfitte strategiche, le comunità produttive locali reagiscono alla crisi consolidando due comportamenti alternativi. Come “molle” agiscono le imprese tec-

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nologicamente e finanziariamente più avanzate in grado di produrre uno scatto verso i mercati internazionali anche a costo di trascurare o sacrificare i propri legami territoriali. Come “trivelle” agiscono le imprese che esplorano i residui competitivi della domanda interna e del basso costo del lavoro, in definitiva ripiegandosi su se stesse7. Ad ogni modo né le “molle”, né le “trivelle” sembrano capaci di prendersi cura dell’enorme dote infrastrutturale, che, prodotta durante stagioni opulente, non può semplicemente essere avviata allo smaltimento. Un multiforme patrimonio di suoli, tessuti e manufatti congelati nei distretti industriali attende infatti di essere riciclato come materiale per la costruzione di nuovi distretti, basati su un diverso rapporto con le fonti energetiche, in grado di utilizzare al meglio le risorse disponibili, eliminare gli sprechi, ospitare nuove comunità produttive8. Ma inaspettatamente comunità che hanno investito nei processi innovativi il capitale infrastrutturale della loro storia urbana e rurale non sembrano in grado di elaborare strategie altrettanto efficaci per fare uso di quello che gli è giunto in eredità dalla loro stessa e ben più recente storia industriale. Des yeux qui ne voient pas9?

1. Bagnasco A. (1977), Tre Italie: la problematica territoriale dello sviluppo italiano, Il Mulino, Bologna. 2. Becattini G. (a cura di, 1987), Mercato e forze locali: il distretto industriale, Il Mulino, Bologna. 3. Cicalese M.L., Musi A. (a cura di, 2005), L’Italia delle cento città: dalla dominazione spagnola all’unità nazionale, FrancoAngeli, Milano. 4. Rapporto 2014 dell’Osservatorio nazionale distretti italiani. 5. Si vedano: Calabi D., Indovina F. (1973), “Sull’uso capitalistico del territorio”, in Archivio di studi urbani e regionali, n. 2; Indovina F. (2009), Dalla città diffusa all’arcipelago metropolitano, FrancoAngeli, Milano. 6. Trigilia C. (2008), La costruzione sociale dell’innovazione: economia, società e territorio, Firenze University Press, Firenze. 7. Abruzzese A., Bonomi A. (a cura di, 2004), La città infinita, Mondadori, Milano. 8. De Santoli L. (2014), Le comunità dell’energia, Quodlibet, Macerata. 9. Le Corbusier (1923), Vers une architecture, Cres, Paris.

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Sistemazione del Paseo Maritimo tra l'area archeologica greca di Emporion e la linea di costa, Empuries, L'Escala (Girona), Spagna. (Foto di Carles Saura i Carulla).

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IL RICICLO COME STRATEGIA ETICA PER IL PAESAGGIO: ALCUNE BREVI RIFLESSIONI Vincenzo Bagnato >UNIBA

Le esperienze di analisi, studio e progetto della Costa Sud di Palermo forniscono l’opportunità di operare una riflessione non solo su uno specifico contesto territoriale ma anche sulle reali potenzialità e opportunità offerte dal progetto contemporaneo. Attualmente nella disciplina architettonica è evidentemente riscontrabile, per effetto di uno scarso dialogo con la dimensione sociale del territorio, sia in campo teorico-didattico che operativo-progettuale, una carenza di principi etici e una necessità quanto mai attuale di una loro codificazione. Se è vero che l’aspetto etico di ogni operazione progettuale, intersezione tra identità, creatività e metodo (o interpretazione), ha una componente di matrice soggettiva in quanto legata a scelte critiche, è vero anche che tali scelte dovrebbero partire da elementi aventi valori e significati “oggettivi” dal punto di vista storico, sociale e, in definitiva, culturale1. Sullo sfondo di questo quadro, nell’esperienza palermitana la ricerca e il progetto di architettura ritrovano una forte convergenza perché attraverso l’individuazione di nuove strategie di “riciclo” secondo una prospettiva complessa, programmatica e multidisciplinare, riescono a ri-disegnare non più “fisicamente” ma “eticamente” il territorio secondo due ordini di

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criteri: in maniera “normale” ed “ordinaria”, e non necessariamente basata sull’eccezionalità del caso; attraverso il riconoscendo di un “valore”, un “senso” e un “significato” per la collettività, propedeutico ad un uso quotidiano e non interrotto del territorio stesso. La Costa Sud di Palermo, con i suoi caratteri naturali, produttivi, insediativi inseriti all’interno di un sistema complesso di “cicli” attivi e “cicli” non più attivi, presenta una dimensione identitaria “potenziale” che richiede un’azione progettuale non di tipo assertivo ma di tipo “dialogico” che, recuperando l’identità latente delle varie parti che costituiscono il contesto (attualmente distanti fra loro sia spazialmente che temporalmente), recupera il valore estetico intrinseco del paesaggio, facendolo passare da una dimensione potenziale ad una dimensione reale2. In questa prospettiva dialogica matura una concordanza fra “territorio” e “progetto” che, in analogia con le riflessioni di André Corboz, si articola nelle seguenti strategie: perfezionamento continuo dei risultati; individuazione efficiente delle potenzialità; ripartizione coerente dei beni e dei servizi; gestione innovativa dei processi3. L’azione del riciclo del (o sul) paesaggio, inteso come “progetto di processo” trova quindi la sua legittimazione etica nella sua “necessità” e nella capacità di riattivare processi fisici e sociali che restituiscono al territorio il suo ruolo di partecipante attivo, in quanto luogo, alle attività dell’uomo e della città contemporanea: è l’azione umana infatti che dimostra di essere l’unica in grado di trasformare uno “spazio” in un “luogo”, nel momento in cui consapevolmente lo dota di un passato, di un presente e di un futuro; a sua volta lo spazio del territorio, divenuto luogo, ricostruisce il ponte tra l’uomo e la storia attraverso la dimensione del “paesaggio”, il cui valore si intende prevalentemente “in rapporto al substrato antropologico dei valori sociali, religiosi e simbolici stratificati nella memoria collettiva”4. Nell’esperienza del workshop l’idea del re-cycle applicata al paesaggio urbano si sostanzia, quindi, attraverso l’individuazione di valori etici che contribuiscono a superare il problema dell’integrazione tra progetto architettonico contemporaneo e uso sociale del territorio, fornendo strumenti, strategie e motivazioni per rinnovare e regolare “socialmente” la capacità conoscitiva, estetica e progettuale del contesto territoriale.

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1. Muntañola J. (2000), Impacto fisico, social y cultural de la arquitectura, Edicions UPC, Barcelona. 2. Assunto R. (1994), Il paesaggio e l’estetica, Novecento, Palermo. 3. Corboz A. (1985), “Il territorio come palinsesto”, in Casabella n. 516, pp. 22-27 (ed. orig.: “Le territoire: comme palimpseste”, in Diogène, n. 121, 1983). 4. Gravagnuolo B. (1997), “Progettare per tutelare”, in G. Pedretti, Il progetto del passato. Memoria, Conservazione, Restauro, Architettura, Mondadori, Milano, pp. 161-178.

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Concept di progetto. Re-siedère: ricucire la città per tornare ad abitare.

tutor Gioacchino De Simone Gaspare Lipari Salvatore Oddo Lucia Pirrello Pasquale Trapani Silvia Urbano

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RE-SIEDÈRE: RICUCIRE LA CITTÀ PER TORNARE AD ABITARE Gioacchino De Simone >UNIPA

Il workshop PMO/Re-verse collocandosi all’interno di un percorso di ricerca più ampio, ne prende a prestito le finalità generali: elaborare politiche e progetti capaci di attivare nuovi cicli di vita intervenendo sul sistema paesaggistico, urbano e architettonico. Nello specifico, però, il workshop ha assunto come campo di indagine una delle porzioni più complesse e contraddittorie della città siciliana: la sua parte sud è, infatti, un mosaico intricato in cui convivono funzioni molto diverse (complessi industriali, agglomerati residenziali, aree di verde agricolo, borgate marinare, emergenze storiche e snodi infrastrutturali), tutte raccolte, lungo una fascia di 200 ettari larga solo un paio di chilometri, tra la linea costiera e la Corona dei Colli. Così il workshop ha assunto altri obiettivi, più specifici, legati al tentativo di «dare nuovo senso al paesaggio in transizione, alle infrastrutture in mutamento (…) assumendo come paradigma la regolazione del processo di adattamento alla metamorfosi»1. Obiettivo dichiarato del workshop è, così, quello di ragionare sui processi di trasformazione in atto, sull’organizzazione della crescita dell’organismo-città, prefigurandone le direzioni. Sebbene l’approccio suggerito dal vocabolario del workshop, con termini come re-think, re-nown, re-sponsible, re-mote suggerisse strategie progettuali apparen-

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La mappatura degli stakeholders attraverso una rapida campagna di video-interviste consente di approcciare l’intervento di progetto con maggiore consapevolezza.

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temente innovative, si è pensato di riflettere sul significato etimologico di alcuni termini: il fine dichiarato è stato di cercare l’essenza della disciplina architettonica e cogliere l’occasione, ancora una volta, per affidare al progetto di architettura il ruolo di unico strumento capace di governare il cambiamento urbano. D’altronde progettare, in senso etimologico (dal latino pro “avanti” e jacere “gettare”) significa gettare avanti, prevedere; mentre architettura (dal greco árchein “origine” e técton “plasmare”) sta per iniziare a costruire. E allora percorrere la strada del progetto di architettura, nel senso più puro del termine, è riconoscere che fare architettura significa cercare una risposta significativa ad un problema, quello dell’abitare, attraverso il progetto2. Così il gruppo ha elaborato il progetto a partire dal significato del termine abitare, dal latino habitàre, come “atteggiamento da avere in un luogo”, e del suo omologo risiedere, termine composto da re, “ripetizione” e sidère, “sedersi”. Re-siedère, dunque, “tornare a sedere”, ad abitare un luogo, è il principio della proposta di progetto. Il progetto prende le mosse dalla riconfigurazione di via Emiro Giafar, principale elemento di collegamento urbano e principio portante della struttura urbana di Palermo Sud. Via Giafar attraversa le borgate storiche di Romagnolo, sul mare e Ciaculli, verso monte, il complesso residenziale dello Sperone e l’Area di Sviluppo Industriale di Brancaccio, il soprapasso ferroviario e la circonvallazione. Attraverso un progetto di suolo la strada diviene pedonale, soprattutto nella sua parte verso il mare, torna ad intercettare gli usi legati alla socialità, ad essere luogo della comunità, propaggine naturale della casa, luogo di incontro, teatro delle relazioni sociali. Agli snodi stradali e in corrispondenza di fatti urbani rilevanti nascono nuove occasioni di incontro, di confronto, di scambio: su via Conte Federico si generano spazi per lo street food, su via Padre Puglisi, in corrispondenza con la linea del tram, nasce un nodo di scambio di mobilità sostenibile, su via Cirrincione un centro di servizi al quartiere, su via Sperone un mercato all’aperto, su Corso dei Mille un centro culturale, su via Messina Marine un nuovo accesso alla spiaggia. Si gettano le basi, così, per un nuovo modo di abitare, in senso etimologico, di ri-siedère, perché tornare ad abitare è ritrovare la maniera in cui gli uomini stanno sulla terra3.

1. Carta M. (2014), “Re-Cycling Urbanism: indizi e orizzonti”, in on/off magazine, febbraio. 2. Gregotti V. (1966), Il territorio dell’architettura, Feltrinelli, Milano, p. 45. 3. Gregotti V., Op. cit., p. 44.

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La riattivazione del ciclo sociale del quartiere parte dall’individuazione dell’asse portante della trasformazione urbana: via Emiro Giafar è elemento di collegamento urbano e principio della struttura urbana di Palermo Sud.

Lungo via Giafar si addensano luoghi ad alta potenzialità di riciclo: il quartiere Sperone, l’agglomerato ASI, il Parco di Ciaculli, gli orti urbani della Bandita.

La riattivazione del ciclo sociale si attua ri-attribuendo valore aggregativo a luoghi ad alto potenziale sociale: la strada torna a essere luogo della comunità, propaggine della casa, luogo di incontro e di relazioni sociali. Riconsegnare alla pedonalità gli spazi carrabili significa generare spazi per lo street food, nodi di scambio della mobilità, mercati all’aperto: un nuovo modo di abitare, di ri-siedère, di ritrovare la maniera di stare sulla terra.

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Concept di progetto.Fuori Tutti. Strategie di azione e reazione urbana.

tutors Marco Ingrassia e Barbara Lino Rachele Atanasio Danilo Emo Giuseppe Mangano Fabio Montesano Andrea Procopio

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RE-CYCLE COMMUNITY Marco Ingrassia >UNIPA

La Costa Sud palermitana è oggi percepita come un “territorio di attraversamento”, una porta di accesso alla città “oltre Oreto”. Il patrimonio identitario delle comunità che la abitano rappresenta tuttavia una forte riserva di resilienza, in grado di catalizzare un nuovo metabolismo urbano. Il pur vivo dibattito sull’area si è concentrato sulla rigenerazione del sistema costiero e l’implementazione dei servizi, ma ha spesso ignorato il carattere di un territorio che può oggi diventare una centralità urbana in un sistema multipolare metropolitano. Strumenti urbanistici spesso schizofrenici hanno disegnato una geografia urbana di frammenti tipologici e funzionali, mentre le infrastrutture metropolitane parallele alla linea di costa hanno schiacciato il territorio in una dimensione longitudinale, interrompendo tessuti esistenti e tracciati storici. La proposta progettuale si pone come obiettivo l’avvio di un processo di hyper-cycle, che faccia leva sulla nuova energia introdotta nel sistema urbano dalla trasformazione delle infrastrutture longitudinali: la realizzazione della linea tranviaria, il completamento del passante ferroviario e la rigenerazione della costa, supportata dalla recente approvazione del PUDM. La strategia di intervento prevede un sistema di connessioni trasversali tra

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urban junkspace

agro junkspace

blue cycle

brown cycle

grey cycle Frammenti tipologici e funzionali, cicli attivi e interrotti. Il potenziamento del ciclo infrastrutturale, se supportato da azioni strategiche e una nuova vision metropolitana, può apportare nuove energie in grado di riattivare i cicli interrotti di una geografia di frammenti tipologici e funzionali.

Una nuova ottica metropolitana, che guardi alla posizione baricentrica rispetto al sistema Palermo Nord/Bagheria, può strutturarsi attraverso la riconnessione trasversale dei tessuti urbani. Da territorio di attraversamento a nuova centralità urbana.

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le tre linee infrastrutturali, per introdurre un maggior grado di permeabilità e rigenerare il sistema dello spazio pubblico, riconnettendo luoghi del lavoro, del leisure, dell’interazione sociale, riserve di resilienza e tracce di un ciclo sociale interrotto. Gli attraversamenti vengono tuttavia definiti attraverso tattiche reattive con interventi puntuali che, come cellule staminali, possano generare nuove sinapsi vitali. Vengono individuate come aree di intervento le intersezioni tra infrastrutture e tessuti urbani, nodi che diventino tensori del sistema di connessione trasversale. In corrispondenza delle nuove fermate di tram e ferrovia metropolitana, o di luoghi iconici lungo la costa, nuovi spazi pubblici diventano porte di accesso al territorio, intercettano flussi e utenti a scala metropolitana. Questa strategia territoriale viene applicata nella definizione di uno dei sistemi trasversali possibili, attraverso tre nodi significativi: la fermata ferroviaria dell’area industriale Brancaccio, l’intersezione tra linea del tram e la via Sperone, l’ispessimento della linea di costa presso Settecannoli. Tra di essi scuole, piazze, borgate, strip commerciali, aree produttive ed agricole: luoghi resilienti ma non dialoganti. Lungo la costa una installazione VLWH VSHFL±F vuole caratterizzare lo spazio come luogo urbano destinato al leisure ad alla fruizione del paesaggio. Lungo l’intersezione tra la via Sperone e la linea tranviaria edifici scolastici, cortili definiti da edilizia di borgata e orti urbani costituiscono un materiale di lavoro fertile per l’introduzione di nuovi usi. Vengono quindi previste due azioni: una installazione VLWH VSHFL±F presso la fermata del tram e la trasformazione di un cortile un nuovo spazio pubblico, ri-ciclando gli edifici in disuso come centro civico di quartiere. Lungo la linea ferrata, i capannoni in disuso adiacenti alla fermata diventano un cluster produttivo e di ricerca, con la nuova sede del FabLab Palermo e delle cento imprese che hanno richiesto di godere delle facilitazioni della Zona Franca Urbana. Luoghi di creazione, produzione e formazione diventano così un polo locale di interazione sociale e di attrazione di utenti a scala metropolitana. Se grandi progetti urbani a finanziamento progressivo sono resi insostenibili dall’attuale ciclo economico, solo un processo di empowerment delle comunità locali potrà indurre processi incrementali di rigenerazione urbana. La riattivazione del ciclo sociale si propone quindi come un intervento proattivo con un forte moltiplicatore temporale, nel fare dei cittadini degli urban changemakers, principali attori di trasformazione dello spazio fisico.

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Nuove sinapsi: nodi infrastrutturali e spazio condiviso. Un sistema di connessioni trasversali tra le tre linee infrastrutturali può introdurre un maggior grado di permeabilità e rigenerare il sistema dello spazio pubblico, riconnettendo luoghi del lavoro, del leisure, dell’interazione sociale: riserve di resilienza e tracce di un ciclo sociale interrotto. L’intervento si concentra sull’intersezione tra nodi infrastrutturali e tessuti urbani specifici. Cellule staminali per nuove sinapsi vitali: nei tre nodi infrastrutturali, azioni strategiche determinano tattiche reattive, verso un reale community empowerment.

Tattiche reattive. Installazioni artistiche site-specific ridefiniscono l’identità collettiva di luoghi sottoutilizzati o abbandonati: lungo la linea del tram un nuovo spazio di attraversamento corrispondente alla scuola Sandro Pertini; uno spazio per il leisure e la fruizione del paesaggio lungo il mammellone di Settecannoli.

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Tattiche reattive. Nuove centralità urbane e spazi collettivi per strutturare l’armatura territoriale: la nuova sede del FabLab Palermo ri-cicla i capannoni in disuso dell’ASI prospicenti la fermata ferroviaria utilizzando le economie della ZFU; un nuovo centro civico ri-definisce un cortile di edilizia di borgata quale luogo identitario e spazio comunitario.

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Concept di progetto. Risvegli. «Non c'è nulla di vivo che non sia individuale: la nostra salute è nostra, le nostre malattie sono nostre, le nostre reazioni sono nostre, non meno nostre e individuali della nostra mente e della nostra faccia. Salute, malattie e reazioni non possono essere capite in vitro, da sole; possono essere capite solo se riferite a noi, quali espressioni della nostra natura, del nostro vivere, del nostro esser-ci». (Sacks O., Risvegli, Adelphi, Milano, l987, p. 205; ed. orig., Awakenings, Pelican Book, Harmondsworth)

tutor Carmelo Galati Tardanico Benigna Leone Alessandra Licari Maristella Loi Giovanni Marinelli Monica Pantaloni

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RISVEGLI Carmelo Galati Tardanico >UNIPA

«Si può vedere l’energia potenziale come la capacità di un oggetto (o sistema) di trasformare la propria energia in un’altra forma di energia» (Bourdieu P., Meditazioni pascaliane, Feltrinelli, Milano, 1998).

La suggestione dalla quale è partito il gruppo di lavoro nell’affrontare le attività del workshop è stata quella di riconoscere nella Costa Sud di Palermo i “materiali” e, piuttosto che individuare i cicli interrotti, quelli “dormienti”, cioè quegli elementi dotati di energia potenziale che possa con facilità essere rimessa in circolo per “risvegliare” il metabolismo urbano dell’area. La volontà è stata quella di ricostruire, a partire dalle potenzialità esistenti, una visione che dall’individuazione dei singoli materiali avvia azioni di hyper-cycle per la costruzione di una nuova immagine del tratto di mare, e della sua costa urbanizzata, a sud della città. La prima azione è stata, quindi, quella di riconoscere i materiali e la loro evoluzione nel tempo. Sono stati individuati tre elementi: naturalità, spiaggia urbana e comunità. L’analisi è stata condotta attraverso la costruzione di schede tecniche nelle quali sono state individuate le varianze in base ai fattori di intensità e di tempo e quindi lo stress a cui sono stati sottoposti i materiali e la loro resilienza. La componente naturalità è definita

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Riconoscimento dei materiali che compongono la struttura della costa. (Gyre 2011, Chris Jordan).

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dalle due grandi emergenze presenti: il mare e la parte pedecollinare del monte Grifone che comprende il parco agricolo di Ciaculli. La densità e la forza del sistema naturale è intensa fino agli anni ’50, la frammentazione inizia a registrarsi a partire dagli anni ’70 con la nascita del nuovo tessuto urbano che, occupando il suolo agricolo a sud della città, si colloca tra le due emergenze ambientali. La spiaggia urbana ha posseduto in passato un ciclo stagionale, legato alla vocazione balneare, che ha garantito la qualità ambientale e il ciclo economico. Il ciclo stagionale dell’area è rimasto attivo fino agli anni ’60, quando ancora il luogo è denso di vitalità e si registra un modo di vivere l’acqua diverso rispetto alla costa nord della città. Il ciclo balneare si è interrotto negli anni del sacco di Palermo e la Costa Sud diventa il deposito dei detriti della speculazione. La componente comunità è centrale nei ragionamenti ed è costituita da tre elementi fondamentali: l’età dei residenti (nell’area è presente una popolazione giovane quindi propensa alla resilienza sociale); il tasso di occupazione (metà della popolazione giovanile è disoccupata o inoccupata); il tasso di scolarizzazione (16% a fronte del 33% nazionale). Le strategie proposte nel progetto passano attraverso un abaco di azioni articolate in tre fasi: quella di start-up, quella che passa dalla continuità/prossimità e quella della legacy. Le azioni sono collocate spazialmente nel tessuto urbano delimitato dalla nuova linea del tram e dal mare. Nella fase di start-up si prevede la riattivazione immediata dell’attività della balneazione su piattaforme per il loisir balneare, in modo da riavviare un processo immediato di attrazione territoriale. Contemporaneo è l’avvio di un ciclo lungo di bonifica, attraverso la costruzione di sistemi di fitodepurazione degli agenti inquinanti presenti sulla spiaggia. È previsto il mantenimento e il rafforzamento della sequenza di passaggi città liquida-spiaggia-hub balneari per favorire processi di contaminazione tra i nuovi sistemi della balneazione e gli spazi dismessi del waterfront. La fase di continuità+prossimità prevede: attività di potenziamento del trasporto pubblico e di disincentivazione della mobilità privata sulla costa; favorire processi di riattivazione dei piani terra come spazi vetrina lungo percorsi di ricucitura degli spazi di naturalità tra infrastruttura pubblica e costa. La legacy passa attraverso: il controllo dei livelli di invarianza idraulica; la produzione agricola di prossimità; il favorire processi di micro coesione sociale; l’individuazione di spazi per scuole professionalizzanti legate alla produzione di aree pilota laboratorio di autocostruzione; favorire iniziative per la costruzione di micro comunità di autoriparazione informale.

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Il ciclo della balneazione stagionale della spiaggia urbana è attivo fino agli anni ’60 quando ancora il luogo è denso di vitalità. Il ciclo balneare si interrompe negli anni del “sacco di Palermo”, la Costa Sud diventa il deposito dei detriti della speculazione.

Cicli di vita della naturalità.

Cicli di vita della spiaggia urbana.

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Materiale 1: la naturalità. Tra le due emergenze della naturalità, il mare e Monte Grifone, emerge la porosità (cellule di resilienza) del tessuto urbano (22% circa della superficie). Le azioni sui materiali intercettano i paradigmi del Sub-cycle e dell’Hyper-cycle.

Materiale 2: la spiaggia urbana. La Costa Sud è la maggiore estensione di spiaggia sabbiosa della città. Il progetto propone la riattivazione del “ciclo dormiente” della balneabilità attraverso il paradigma dell’Hypercycle per l’attivazione di più cicli di vita in contemporanea nell’area. Materiale 3: la comunità. I tre parametri fondamentali, popolazione giovane, pertanto propensa alla resilienza sociale, alto tasso di disoccupazione e basso tasso di scolarizzazione, sono combinati attraverso il paradigma From cradle to cradle/transizione e rinascita per mettere in attivo quelle componenti che permettano successive e continue rinascite attraverso azioni con riverbero nella struttura urbana e sociale.

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Fase 1. Start-up 2020. In questa fase vengono riattivati i cicli Brown e Blue attraverso una forte attività degli attori pubblici (Comune, Autorità portuale, Ortobotanico/Università) e il coinvolgimento di associazioni e delle aziende private. Le azioni previste sono: realizzazione di piattaforme per il loisir balneare che permette il superamento dell’uso spiaggia: questa viene trasformata in “giardino del Mediterraneo” in modo da avviare un ciclo lungo di bonifica attraverso la costruzione di sistemi di fitodepurazione degli agenti inquinanti presenti e accumulo energetico; attivare processi di mantenimento dei microspazi esistenti per potenziare nel tempo una sequenza di passaggi tra città liquida-spiaggia-hub balneari; favorire processi di contaminazione (loisir consumer good/micro ricettività diffusa) tra i nuovi hub balneari e gli spazi dismessi del fronte; microproduzione energetica. La performance del progetto vede in questa fase la crescita del livello delle attività legate all’ambiente e all’economia e la riattivazione delle attività legate alle azioni sociali. Fase 2 . Continuità e prossimità. I cicli che vengono interessati in questa fase sono il Brown e il Grey attraverso il forte coinvolgimento degli attori privati (Artigianato tradizionale e digitale, operatori della ristorazione) e un minore coinvolgimento di quelli pubblici (Comune e Aziende della mobilità). Le azioni previste sono: il potenziamento del trasporto pubblico; la disincentivazione della mobilità privata; incentivazione di processi di riattivazione dei piani terra come spazi vetrina lungo percorsi di ricucitura degli spazi di naturalità tra infrastruttura pubblica e costa. Le performance legate alle questioni affrontate nella fase di Continuità e prossimità oggi appaiono deboli nel settore economico e sociale, assenti in quello ambientale. Alla fine della fase c’è un forte aumento della performance nelle tre aree. Fase 3. Legacy-2050. I cicli interessati nella terza fase sono il Brown, il Red e il Blue attraverso un forte partneriato pubblico privato (Comune, Associazioni,operatori della formazione professionale). Le azioni previste sono: produzione agricola di prossimità (Km zero); processi di micro coesione sociale; individuazione di spazi (piano terra-spazi vetrina indoor) per scuole professionalizzanti e l’artigianato; aree pilota laboratorio di autocostruzione; favorire iniziative per la costruzione di micro comunità di autoriparazione informale (lavoro/ citizen driver). Nella fase di Legacy le performance sono deboli nel settore ambientale e sociale ma con l’attuazione delle azioni previste nel progetto, queste avranno un forte incremento e saranno attivate in maniera significativa le performance dell’economia.

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Fase 1. Start-up 2020.

Fase 2. ContinuitĂ e prossimitĂ .

ambiente oggi

Fase 3. Legacy-2050. economia

bi

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sociale


I PARTECIPANTI DEL WORKSHOP Rachele Atanasio Chiara Bonardi Giulia Bortolotto Faten Brahim Federico Calcara Elisabetta M. Caruso Francesco Castello Roberta Costa Federico Di Lallo Simona Di Pasquale Sonia Di Prima Hamida Douira Danilo Emo Serena Esposito Marika Fiore Giancarlo Gallitano Youssef Guettat Zakaria Haouari Mohamed Kannou Mariateresa Laurino Benigna Leone Alessandra Licari Gaspare Lipari Maristella Loi Sandra Maglio Michele Manganiello Giuseppe Mangano Antonina Manzo Giovanni Marinelli Marcello Modica Mariachiara Mongelli Fabio Montesano Francesca Montuoro Giulia Mosca Salvatore Oddo Monica Pantaloni Andrea Pezzi Lucia Pirrello Marilena Prisco Andrea Procopio Giuseppe Rago Silvia Tagliazucchi Pasquale Trapani Silvia Urbano

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GLI AUTORI

Massimo Angrilli (Pescara 1966), professore associato in Urbanistica presso il Dipartimento di Architettura, Pescara. Componente del Collegio Docenti del Dottorato “Sistemi terrestri e ambienti costruiti”. Caporedattore della rivista on-line EcoWebTown e redattore della rivista Piano Progetto Città. Autore del libro "Reti vedi urbane" di recente ha curato i volumi “L’urbanistica che cambia. Rischi e valori” (FrancoAngeli) e “Progetto e Paesaggio” (Maggioli). Marcella Aprile (Misilmeri 1947) è professore ordinario di Architettura del paesaggio (ICAR 15), presso l’Università degli Studi di Palermo. Ha svolto attività di ricerca sugli interni collettivi e domestici, sull’architettura del Mediterraneo e sul rapporto tra i siti archeologici, il paesaggio e gli insediamenti sparsi. Oggi, si occupa, soprattutto, di studi sul paesaggio in relazione all’insediamento sparso e al riciclo urbano. Partecipa, su invito, a convegni nazionali e internazionali, sui Beni Culturali e sul Paesaggio. È Direttore del Dipartimento di Architettura. È componente, eletto tra i Direttori di Dipartimento, del Senato Accademico. Alessandra Badami (Palermo 1967), PhD in Pianificazione Urbana e Territoriale, è professore associato di Urbanistica presso il Dipartimento di Architettura dell'Università di Palermo. Conduce ricerche sulla valorizzazione del patrimonio culturale territoriale e sui processi di rinnovamento urbano per lo sviluppo economico e sociale e la riqualificazione delle città. Vincenzo P. Bagnato (Bari 1974), architetto e PhD in Architectural Design presso l’U.P.C. - E.T.S.A. di Barcellona, è professore a contratto nel Laboratorio di Costruzione dell’Architettura presso il D.I.C.AR. del Politecnico di Bari. I suoi interessi di ricerca si orientano prevalentemente verso il rapporto tra progetto di architettura e contesto antico e sui temi della tettonica della costruzione. Andrea Bartoli (Catania 1970), notaio dal 2000, è cultore dei linguaggi del contemporaneo con particolare interesse all’architettura, al design, all’arredo urbano, all’arte, alla rigenerazione urbana e riqualificazione territoriale. Consulente in progettazione strategica, fattibilità e gestione delle organizzazioni culturali pubbliche e private, quindici anni fa ha pensato e creato il Brand Farm. Insieme a Florinda Saieva, compagna di vita e complice di tutte le sue iniziative, nel mese di giugno del 2010 ha dato alla luce, a Favara, Farm Cultural Park, Centro Culturale di nuova generazione, vincitore di innumerevoli premi tra cui nel 2011 il Premio di Gestione indetto da Federculture. Antonio Biancucci (Caltanissetta 1973), architetto e PhD, dal 2014 è abilitato come docente di seconda fascia in Progettazione Architettonica. Si occupa del rapporto tra architettura e città, dei legami tra l’esperienza del razionalismo ed espressioni regionali, di teoria del progetto. Renato Bocchi (Trento 1949) è professore di Composizione Architettonica e Urbana presso l'Università IUAV di Venezia e coordinatore nazionale della ricerca PRIN Re-cycle Italy. I suoi interessi di ricerca ruotano intorno ai rapporti fra architettura, arte, città e paesaggio.

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Oriol Capdevila (Barcellona 1955), architetto, collabora fin dagli anni della formazione universitaria con MBM Arquitectes, lo studio di architettura fondato da J. Martorell, O. Bohigas e D. Mackay, assimilandone il metodo e l’etica. Dopo la laurea svolge attività professionale in proprio fondando uno studio indipendente, ma senza interropere la sua collaborazione con MBM; questa continuità di frequentazione ed innata affinità culturale, fa sí che ne diventi socio nell’anno 2000. Da allora è impegnato nel recupero del ruolo dell’architetto nel disegno della cittá, garantendo, insieme all’altro socio Francesc Gual, suo coetaneo, la continuità di pensiero e di metodo progettuale che ha contraddistinto l’opera dello studio in più di 60 anni di attività progettuale e di professione dell’architettura. Maurizio Carta (Palermo 1967) è professore ordinario di urbanistica presso il Dipartimento di Architettura di Palermo, dove insegna Progettazione urbanistica e Pianificazione urbana e territoriale. È Presidente vicario della Scuola Politecnica dell’Università di Palermo e Coordinatore dei Corsi di Laurea in Urbanistica e Pianificazione territoriale. Esperto di pianificazione urbana e territoriale, pianificazione strategica e rigenerazione urbana, ha redatto piani urbanistici, piani paesaggistici e piani strategici. Per le sue ricerche è invitato a tenere lezioni e conferenze in numerose università ed istituzioni italiane ed estere. È autore di numerose pubblicazioni, tra le più recenti: Creative City (2007), Governare l’evoluzione (2009), Reimagining Urbanism (2013). Dirige lo Smart Planning Lab, un laboratorio di ricerca applicata all’urbanistica per la città intelligente e l’innovazione sociale. Mario Chiavetta (Palermo 1957), architetto e docente di Discipline Progettuali, consigliere OAPPC PA al 2° mandato e responsabile del Dip. Formazione/Cultura. I suoi interessi professionali e di ricerca si traducono: nella progettazione architettonica pubblica e privata; nello studio del dibattito architettonico (numerosi gli eventi in tal senso organizzati per OAPPC PA). Esperto nell’ambito Sicurezza nei Cantieri Edili. Annalisa Contato (Palermo 1982), architetto, ingegnere edile, esperto in Valorizzazione e gestione dei centri storici minori e PhD in Pianificazione Urbana e Territoriale, è Assegnista di Ricerca presso il Dipartimento di Architettura dell’Università di Palermo e il Polo Universitario di Ricerca di Bivona e Santo Stefano di Quisquina. I suoi interessi di ricerca si focalizzano sui temi del policentrismo, urban networks, smart city e sviluppo locale. Gioacchino De Simone (Palermo 1976), architetto progettista, nel 2003 ha conseguito la Laurea in Architettura con lode e poi il Dottorato di Ricerca in Progettazione Architettonica presso l’Università degli Studi di Palermo. Dal 2005 svolge attività didattica e di ricerca presso il Dipartimento di Architettura di Palermo conducendo ricerche e curando pubblicazioni nell’ambito della Progettazione Architettonica e Urbana, dell’Urbanistica e del Paesaggio. Giuseppina Farina (Augusta 1978), è architetto e PhD in Progettazione Architettonica. Dal 2012 è titolare dell’assegno di ricerca, presso il Dipartimento di Architettura di Palermo, con tema "Architettura-infrastruttura-paesaggio. Questioni sul progetto dei paesaggi contemporanei". La sua attività di ricerca affronta le questioni legate ai caratteri della mobilità in rapporto alla trasformazione dei paesaggi e delle città contemporanee segnate da uno scenario complesso e articolato. Enrico Formato (Napoli 1974), architetto e PhD in Urbanistica e Pianificazione Territoriale è Assegnista di Ricerca presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II. I suoi interessi di ricerca si focalizzano sul progetto dello spazio pubblico e sulle strategie di trasformazione per la città italiana del secondo ’900. Carmelo Galati Tardanico (Galati Mamertino 1977), architetto e PhD in Pianificazione Urbana e Territoriale. I suoi campi di ricerca principali riguardano il Metabolismo Urbano, la Smart and Green City e le problematiche relative alla sostenibilità urbana. Già assegnista

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di ricerca in Urbanistica presso il Dipartimento di Architettura dell’Università degli Studi di Palermo, ha condotto una ricerca dal titolo “SMART CITY: urbanistica intelligente, sostenibile e inclusiva. Metodi, strumenti e pratiche per la regolazione dei tempi e dei cicli urbani” nell’ambito del Progetto i-NEXT. È componente del PRIN (Unità di Palermo) “RECYCLE Italy. Nuovi cicli di vita per architettura e infrastrutture della città e del paesaggio”. Carlo Gasparrini (Napoli 1955), architetto e professore ordinario di Urbanistica presso la Facoltà di Architettura dell’Università di Napoli Federico II, è autore di numerosi saggi e contributi al dibattito culturale sui cambiamenti e il futuro della città contemporanea che restituiscono il suo impegno di ricerca per una nuova stagione di piani e progetti di paesaggio ecologicamente orientati. Manuel Gausa (Barcellona 1959), architetto e PhD, Professore ordinario di Paesaggio/ Progettazione Architettonica (DSA-Dipartimento di Scienze per l’Architettura) e coordinatore dell’ADD-Dottorato in Architettura e Design presso l’Università degli Studi di Genova. Dean dello IAAC-Institut of Advanced Architecture of Catalunya. Fondatore del gruppo Actar. I suoi interessi di ricerca si focalizzano sui temi della prospettiva urbanoterritoriale e dell’architettura e il paesaggio come sistemi-dispositivi multi-scalari. Andrea Gritti (Bergamo 1967), architetto, PhD dal 2000 e ricercatore in Composizione Architettonica e Urbana presso la Scuola di Architettura e Società del Politecnico di Milano dal 2011. Si occupa di rapporto tra progetto di architettura e patrimonio costruito e in particolare dei metodi, degli strumenti e delle tecniche relative alle pratiche di riuso, recupero e riciclo di spazi abitativi. Ha competenze specifiche nel campo della pianificazione territoriale, dei programmi complessi di sviluppo urbano e del progetto architettonico a tutte le scale di intervento. Marco Ingrassia (Palermo 1988), architetto. I suoi interessi di ricerca si focalizzano sui temi della innovazione sociale, la sostenibilità urbana e territoriale, le nuove forme di paesaggio produttivo. Barbara Lino (Palermo 1980), architetto e PhD in Pianificazione Urbana e Territoriale, è ricercatore presso l'Università degli Studi di Palermo. I suoi interessi di ricerca si focalizzano sui temi della rigenerazione urbana, i contesti marginali e lo sviluppo locale. Tra le più recenti pubblicazioni: Periferie in trasform-azione. Riflessioni dai “margini” delle città (2013). Sara Marini (Urbania 1974), architetto e PhD, è professore associato in Composizione Architettonica e Urbana presso l’Università Iuav di Venezia. È direttore, con Alberto Bertagna, delle collane editoriali In teoria (Quodlibet) e Carte blanche (Bruno). I suoi saggi principali sono Architettura parassita (2008), Nuove terre (2011) e con A. Bertagna Venice. A Document (2014). Giuseppe Marsala (Palermo 1966) è ricercatore presso il Dipartimento di Architettura dell’Università di Palermo, docente di Progettazione Architettonica presso la Scuola Politecnica. È stato membro della Cabina di Regia ed estensore per conto del Sindaco del progetto di candidatura di Palermo a Capitale Europea della Cultura 2019. È autore di ricerche e pubblicazioni che indagano i rapporti tra nuovi paesaggi, infrastrutture e città. Vincenzo Melluso (Messina 1955), architetto e professore ordinario di Progettazione presso il Dipartimento di Architettura dell’Università di Palermo. La sua attività di ricerca si è orientata allo studio di esperienze legate all’architettura moderna e contemporanea, con specifica attenzione al contesto mediterraneo. Si è negli ultimi anni indirizzata verso tematiche legate al rapporto tra architettura e infrastruttura. La sua attività progettuale è stata spesso all’attenzione della critica. Documentata su varie pubblicazioni e riviste e illustrata nell’ambito di numerose mostre, in Italia ed all’estero. I suoi progetti evidenziano

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grande attenzione ai temi del paesaggio e ai caratteri della struttura insediativa della città. Francesco Miceli (Palermo 1952), architetto, Presidente dell'Ordine degli Architetti PPC della Provincia di Palermo. Svolge attività professionale nel campo urbanistico, dell’urban design e del recupero e riuso di edifici di valore storico ed ambientale. Consuelo Nava (Reggio Calabria 1970), architetto, ricercatrice dell’Università Mediterranea degli Studi di Reggio Calabria, svolge attività sperimentale e applicata sui temi dell’innovazione sociale e della rigenerazione urbana, attraverso l’applicazione interscalare di tattiche e dispositivi su tecnologie ambientali riferite al progetto sostenibile. È referente di sede per ABITALab, consorzio interuniversitario “Architettura Bioecologica ed Innovazione Tecnologica per l'Ambiente”, è ideatrice di progetti locali di city making, tra gli ultimi ReactionCity, progetto di innovazione sociale urbana per la città metropolitana di Reggio Calabria, con l’Ass.ne Pensando Meridiano. Jessica Smeralda Oliva (Messina 1989), architetto e dottoranda XXX ciclo in Architettura, Arti e Pianificazione, curriculum Pianificazione Urbana, Territoriale e Paesaggistica presso il Dipartimento di Architettura dell’Università degli Studi di Palermo. I suoi interessi di ricerca si focalizzano sui temi della resilienza e della rigenerazione urbana, dell’ecological urbanism e del paesaggio. Leoluca Orlando (Palermo 1947), professore di ruolo di Diritto Pubblico Regionale presso l’Università degli Studi di Palermo, avvocato, ha studiato e ha vissuto per alcuni anni ad Heidelberg, in Germania. È stato consulente internazionale dell'OCSE di Parigi. Dal 21 maggio 2012, è sindaco di Palermo per la quarta volta. È stato inoltre coordinatore nazionale dell’Italia dei Valori. Michelangelo Pavia (Milano 1978), architetto, laureato al Politecnico di Milano, ha collaborato con importanti studi di architettura tra cui Matteo Thun e 5+1AA. Ha collaborato inoltre con Architetti Senza Frontiere seguendo il progetto di una scuola a Kinshasa (RDC). Dal 2010 vive a Palermo dove ha fondato il co-working neu [nòi] spazio al lavoro. Oggi si occupa di architettura, comunicazione, progettazione urbana partecipata e organizzazione di eventi culturali. Rosario Pavia (Villa S. Maria 1943) è professore ordinario di Teoria dell’Urbanistica presso la Facoltà di Architettura di Pescara e direttore della rivista Piano Progetto Città. Tra le sue pubblicazioni: L’idea di città (1994), Paesaggi elettrici (a cura,1998); Babele (2002), Le paure dell’urbanistica (2005); Waterfront (2012); Il Passo della città (2015). È stato consulente del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e vsiting research associate presso la Northeastern University of Boston e visiting professor presso la GSD di Harvard. Esperto di pianificazione portuale ha progettato numerosi waterfront portuali tra cui Napoli, Taranto, Marina di Carrara, Pescara, Corigliano Calabro. Luigi Pintacuda (Palermo 1979), architetto e PhD. I suoi interessi di ricerca si focalizzano sui temi del progetto urbano. La sua attività progettuale spazia dal design alla videoinstallazione, dalla scenografia all'architettura, trovandosi spesso a lavorare a stretto contatto con il mondo dell’arte. Nel 2012 fonda a Palermo lo Studio 3813. Sebastiano Provenzano (Palermo 1978), architetto, Master in Progettazione architettonica presso il Politecnico di Milano, Phd in Progetto e Recupero Architettonico urbano e ambientale. Docente a contratto di progettazione architettonica presso l’Università di Palermo, svolge attività professionale per committenze pubbliche e private. I suoi interessi di ricerca vertono sui temi della cultura del progetto architettonico e urbano. Mosè Ricci (Firenze 1956) è ordinario di Urbanistica presso l’Università di Genova e professore di Architettura del Paesaggio presso l’Università di Trento e lo IAAC di

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Barcellona. Benemerito della Cultura e dell’Arte Italiana è stato visiting professor di Sustainable Urbanism presso la Technische Universitat Monaco di Baviera (2008-2009), la Universitad Moderna de Lisboa (2006-2007) e Fulbright Scholar presso la Graduate School of Design, Harvard University, Cambridge Mass, USA (1996). La sua ricerca è focalizzata sull’interazione tra qualità del paesaggio, prestazioni ecologiche degli insediamenti e sostenibilità del cambiamento. Daniele Ronsivalle (Catania 1975), architetto e PhD in Pianificazione Territoriale e Urbanistica presso l’Università degli Studi di Palermo, è ricercatore presso il Dipartimento di Architettura. I suoi interessi di ricerca riguardano la pianificazione urbana, l’innovazione nel rapporto tra paesaggio e identità culturale e le nuove frontiere della pianificazione urbana: infrastrutture e uso del territorio, riciclo urbano e qualità della vita, sviluppo urbano e territoriale in crescita lenta. È membro di un gruppo operativo del Dipartimento di Architettura per la partecipazione a progetti europei e nazionali. Michelangelo Russo (Napoli 1965), professore ordinario di Urbanistica, coordina il Corso di Dottorato di Ricerca in Architettura dell’Università degli Studi di Napoli Federico II, dal 2014 è presidente della SIU-Società Italiana degli Urbanisti. Studia la città contemporanea, le sue trasformazioni e il suo progetto. Fabio Sanfratello (Palermo 1970) geometra, è presidente ANCE Palermo, amministratore delegato della CO.SAN. srl. e presidente della Cassa Edile della provincia di Palermo Cepima. È stato presidente della scuola edile di Palermo Panormedil. Marco Scarpinato (Licata 1965), architetto, si è successivamente specializzato in Architettura dei Giardini e Progetto del Paesaggio presso la Scuola Triennale di Architettura del Paesaggio dell’Università di Palermo. Dal 2010 svolge attività di ricerca all’E.N.A.U. de Tunis. Si interessa della definizione di nuove strategie urbane e basa la sua attività progettuale sulla relazione tra architettura e paesaggio. Vive e lavora tra l’Italia e i Paesi Bassi. Claudio Schifani (Palermo 1977), architetto e PhD in Pianificazione Territoriale e Urbanistica, è libero professionista ed ha svolto anche attività di ricerca presso l’Università degli Studi di Palermo, IUAV di Venezia e CNR di Pisa. I suoi interessi di ricerca si focalizzano sull’applicazione delle nuove tecnologie dell’informazione geografica per l’urbanistica, la pianificazione e la promozione del territorio. Tony Siino (Palermo 1976) è laureato in Scienze Politiche e ha una passione per l’Information and Communication Technology, i nuovi media, la comunicazione, i blog, l’accessibilità e l’usabilità, l’information architecture e la radio. È PhD in Sociologia all’Università degli Studi di Palermo e collabora per i corsi di laurea in Scienze della Comunicazione. Lavora come web strategist e web content manager e come speaker radiofonico (a Radio Time). Scrive articoli sull’ICT per siti e per riviste specializzate. Ha ideato la directory italiana dei blog www.blogitalia.it e ha un suo blog (www.deeario.it). Ha ideato e coordina il blog ufficiale dell’Università degli Studi di Palermo (www.younipa.it). Carmelo Zappulla (Siracusa 1978), architetto e PhD in Progetto Architettonico presso la UPC, Barcellona. Dopo aver collaborato con Foreign Office Architects e RCR Arquitectes ha fondato e dirige insieme a Nacho Toribio lo studio External Reference Architects a Barcellona. È docente allo IAAC (Institute for Advanced Architecture of Catalonia) e direttore del Master in Interior design allo IED (Istituto Europeo di Design). Ha esposto i suoi lavori al MAXXI, all’EUROPAN e alla Biennale di Venezia, ha vinto concorsi internazionali e pubblicato articoli in libri e riviste scientifiche.

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Finito di stampare nel mese di luglio del 2015 dalla « ERMES. Servizi Editoriali Integrati S.r.l. » 00040 Ariccia (RM) – via Quarto Negroni, 15 per conto della « Aracne editrice int.le S.r.l. » di Roma


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