Re-It 32
Re–cycle Housing
Re–cycle Housing. Nuovi cicli di vita per l’abitare è il trentaduesimo volume della collana Re-cycle Italy. La collana restituisce intenzioni, risultati ed eventi dell’omonimo programma triennale di ricerca – finanziato dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca – che vede coinvolti oltre un centinaio di studiosi dell’architettura, dell’urbanistica e del paesaggio, in undici università italiane. Obiettivo del progetto Re-cycle Italy è l’esplorazione e la definizione di nuovi cicli di vita per quegli spazi, quegli elementi, quei brani della città e del territorio che hanno perso senso, uso o attenzione. Il Quaderno nasce in occasione della prima tappa di incontri nazionali della ricerca PRIN Re–cycle italy — “Viaggio in Italia_1.Riciclare i territori fragili Pescara 9–10 Ottobre 2013” (Coordinatore Unità di Pescara Francesco Garofalo). Il volume raccoglie i contributi del Laboratorio tematico sui quartieri di edilizia pubblica delle altre università coinvolte nel PRIN e gli sviluppi successivi della ricerca dell’Unità di Pescara.
isbn
RE–CYCLE HOUSING NUOVI CICLI DI VITA PER L’ABITARE
978-88-548-9794-6
Aracne
euro 47,00
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RE-CYCLE HOUSING NUOVI CICLI DI VITA PER L'ABITARE
A CURA DI SUSANNA FERRINI
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Il volume è stato pubblicato con il contributo del Dipartimento di Architettura dell'Università degli Studi "Gabriele D'Annunzio" di Chieti–Pescara.
Progetto grafico di Sara Marini e Vincenza Santangelo Copyright © MMXVI ARACNE editrice int.le S.r.l. www.aracneeditrice.it info@aracneeditrice.it via Quarto Negroni, 15 00040 Ariccia (RM) (06) 45551463 ISBN 978–88–548–9794–6 I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’Editore. I edizione: Dicembre 2016
PRIN 2013/2016 PROGETTI DI RICERCA DI INTERESSE NAZIONALE Area Scientifico-disciplinare 08: Ingegneria civile ed Architettura 100%
Unità di Ricerca Università IUAV di Venezia Università degli Studi di Trento Politecnico di Milano Politecnico di Torino Università degli Studi di Genova Università degli Studi di Roma “La Sapienza” Università degli Studi di Napoli “Federico II” Università degli Studi di Palermo Università degli Studi “Mediterranea” di Reggio Calabria Università degli Studi “G. d’Annunzio” Chieti-Pescara Università degli Studi di Camerino
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Il Quaderno nasce in occasione della tappa di Pescara della ricerca PRIN Re-cycle Italy – “Viaggio in Italia_1. Riciclare i territori fragili, Pescara 9-10 ottobre 2013“ (Coordinatore unità di Pescara Francesco Garofalo "Il riciclo dei territori fragili") e raccoglie i contributi del network di sedi coinvolte nel Laboratorio tematico a cura di Susanna Ferrini
INDICE
TEMA DELLA RICERCA_RE-CYCLE HOUSING
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RE-CYCLE HOUSING Nuovi cicli di vita per i quartieri di edilizia pubblica Susanna Ferrini (UniCH)
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ATLANTE FOTOGRAFICO
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NETWORK RE-CYCLE_CONTRIBUTI E CASI STUDIO
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Quartieri e spazi aperti: un laboratorio progettuale per la rigenerazione urbana Paola Di Biagi (UniTR)
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Architettura e progetto urbano per la riqualificazione della periferia residenziale pubblica Claudia Battaino, Luca Zecchin (UniTN)
79
Demolizione, compensazione e riciclo delle cubature per la salvaguardia del diritto alla casa e la ricostruzione del paesaggio Rita Simone (UniRC)
101
Matera, a proposito di La Martella e Spine Bianche Ettore Vadini (UniMA)
121
Una questione Meridionale Sergio Camplone
131
Contributo del Lab/02
RE-CYCLE ATER_LA CITTÀ PUBBLICA DI PESCARA
139
La costruzione dell’edilizia residenziale pubblica a Pescara Rosalia Vittorini (UniTorvergata)
143
ATLANTE - Quaderni INA CASA _ Re-Cycle Lorenzo Pio Paladino
154
ATLANTE - Quartiere via Rigopiano Restituzione grafica dell'esistente Federica Ciavattella
168
Rigenerazione dei quartieri Ater di Pescara Massimo Angrilli (UniCH), Susanna Ferrini (UniCH), Vincenza De Vincenziis
179
ATLANTE - La città Pubblica. Il senso dell'abitare nella città di Pescara
186
ATLANTE FOTOGRAFICO_USI IMPROPRI
217
Riletture del Patrimonio ATER a Pescara Vincenza De Vincenziis
237
ATLANTE - Schede dei quartieri Confronto tra progetto e trasformazioni Alessandra Alimonti, Cinzia De Vincenziis
242
ATLANTE - Trasformazioni/Appropriazioni/Usi Impropri
270
ATLANTE - Strategie di intervento
280
PESCARA RE-CYCLE SAN DONATO_CASO STUDIO
287
Strategie di rigenerazione del quartiere San Donato (PE) Giorgia Di Cintio
289
ATLANTE – DOTTORATO E LABORATORIO DI LAUREA RE-CYCLE San Donato Dalila Palazzo, Milena De Iure, Roberta Guetti
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APPENDICE
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VIAGGIO IN ITALIA_1 PESCARA 9-10 OTTOBRE 2013 TRESOR HUNT >> RE-CYCLE HUNT
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RICICLARE TERRITORI FRAGILI PESCARA 9-10 OTTOBRE 2013 LABORATORIO 02_TREASUREHUNT>>RE-CYCLEHUNT MOMENTI DI CONFRONTO SUL TEMA DELLA RIGENERAZIONE DEI QUARTIERI DI EDILIZIA PUBBLICA
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RICICLARE TERRITORI FRAGILI PESCARA 9-10 OTTOBRE 2013 LABORATORIO 02_TREASUREHUNT>>RE-CYCLEHUNT MOMENTI DI CONFRONTO SUL TEMA DELLA RIGENERAZIONE DEI QUARTIERI DI EDILIZIA PUBBLICA
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RICICLARE TERRITORI FRAGILI PESCARA 9-10 OTTOBRE 2013 LABORATORIO 02_TREASUREHUNT>>RE-CYCLEHUNT MOMENTI DI CONFRONTO SUL TEMA DELLA RIGENERAZIONE DEI QUARTIERI DI EDILIZIA PUBBLICA
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RICICLARE TERRITORI FRAGILI PESCARA 9-10 OTTOBRE 2013 LABORATORIO 02_TREASUREHUNT>>RE-CYCLEHUNT MOMENTI DI CONFRONTO SUL TEMA DELLA RIGENERAZIONE DEI QUARTIERI DI EDILIZIA PUBBLICA
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TEMA DELLA RICERCA
RE-CYCLE HOUSING
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Mostra Re-Cycle Housing PRIN, Pescara
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RE-CYCLE HOUSING NUOVI CICLI DI VITA PER I QUARTIERI DI EDILIZIA PUBBLICA Susanna Ferrini >UniCH
“La prima parte è sul Tempo. La parte seconda è sullo Spazio”, direbbe John Berger1. Come spesso accade, lo sguardo 'altro' della letteratura ci aiuta a cogliere con un’immagine sintetica processi di trasformazione difficilmente rappresentabili, conseguenti alla continua evoluzione delle modalità dell’abitare nella realtà contemporanea. L'osservazione dei fenomeni evidenzia come la trasformazione accelerata dei Tempi dell’abitare preceda sempre più l’evoluzione fisica degli Spazi, così condannando velocemente all’obsolescenza gli edifici costruiti, ormai inadeguati ad accogliere i cambiamenti sociali e i processi di appropriazione dello spazio da parte degli abitanti. Quando parliamo di housing sociale in Italia difatto ci riferiamo ad un arco temporale ben definito, che vede nel programma Ina-Casa del dopoguerra sancire una sua forte formalizzazione nella programmazione e nelle procedure. Le politiche della casa in Italia giocoforza resteranno nel tempo legate ai temi e agli interventi esemplari generati dal programma Ina-Casa, declinandosi più o meno felicemente nei diversi contesti del territorio nazionale. Non è questa la sede per tracciare bilanci del programma e delle vicende successive2, quanto invece di assumere la dimensione dei quartieri scelti come casi esemplari di un patrimonio edilizio comprensivo
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delle sue trasformazioni successive. Cioè includere nei ragionamenti l’idea del Tempo dell’Abitare, che ha portato a una rivoluzione 'silenziosa' dei quartieri negli anni successivi alla loro realizzazione. Quello che si è voluto porre come punto di partenza è proprio una riflessione attualizzata all’oggi dell’idea stessa di ‘quartiere’, indagando la validità della sua dimensione fisica nei confronti della città che si è sviluppata al suo intorno. Con questi obiettivi siamo partiti da un concetto inclusivo di quartiere, che fosse espressione di una dimensione fisico-sociale, al fine di indagare il suo ruolo e la sua reale efficacia nella costituzione di nuove comunità urbane nella città contemporanea. In quest’ambito, la città di Pescara, nella sua estensione media e raccolta, diventa un caso esemplare di osservazione dei fenomeni di trasformazione e di una possibile rigenerazione urbana. La mappa di Pescara presenta venti quartieri di edilizia sociale che si distribuiscono dall’area centrale a quella più periferica, disegnando una trama riconoscibile per l’abitare pubblico. In questo quadro, l’ipotesi della ricerca è di superare i confini dei singoli quartieri per prefigurare una loro riconnessione attraverso una rigenerazione delle relazioni urbane in grado di superare l’isolamento reciproco. Si è partiti proprio da un’analisi delle intensità diverse che i quartieri mettono in atto, passando dalle aree centrali della città consolidata alle aree periferiche che presentano un tessuto aperto verso il paesaggio agrario e le infrastrutture. La stessa morfologia dei quartieri, che quasi totalmente si concentrano nell’arco di vent’anni, dal 1949 al 1970, riflette la parallela crescita urbana della città, con le sue logiche insediative e le scelte strategiche di localizzazione degli assi infrastrutturali. I quartieri di edilizia pubblica ci restituiscono, quindi, l’immagine di una rete che sembra formare, in maniera quasi inconsapevole, l’intelaiatura strutturale della forma urbana attuale. La figura a macchia di leopardo dei quartieri di edilizia pubblica è evidente nella pianta della città, un arcipelago di città pubblica intercluso nelle maglie del tessuto urbano. L’opacità di questi quartieri nei confronti della gestione della città e delle politiche urbane ha comportato nel tempo una sorta di implosione; molti quartieri sono stati inglobati in un’edificazione successiva, spesso ‘insensibile’ alle logiche insediative che li avevano generati, che solo sporadicamente hanno stabilito un tessuto di relazioni, visuali, urbane e sociali con la città che si è costruita al suo intorno. I 'limiti' dei quartieri manifestano l'incompiutezza dei fronti urbani e dello A destra, Fronti Urbani, Quartiere San Donato, Pescara
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spazio pubblico. Ma è proprio questa ‘mancanza’, il luogo in cui innestare strategie progettuali in grado di riscrivere nuove relazioni di qualità con il tessuto della città e affrontare la rigenerazione secondo i concetti del riciclo. In questa prospettiva, risiedono i molti perché del pensare come fondamentale la rigenerazione dei quartieri di edilizia sociale e che per vari motivi innestano l’idea del Re-cycle. Non a caso l’immagine scelta per raccontare visivamente la ricerca è quella di un insieme di sedie, portate dagli abitanti del quartiere di San Donato per ‘abitare’ lo spazio dei portici da sempre inutilizzati. L’appropriazione dello spazio avviene grazie al gesto semplice e primario di ‘riciclare’ vecchie sedie che hanno perso il loro ruolo nella dimensione domestica. Abbiamo usato quest’immagine come manifesto per evidenziare come il Re-cycle possa nascere da gesti semplici, quali impiegare un'oggetto obsoleto per ridare un nuovo ciclo di vita ad uno spazio che non ha più una funzione riconoscibile. A San Donato, le sedie che si trovano disseminate nel quartiere sono diventate l’icona della rigenerazione come pratica spontanea. ll tema dell’abitare collettivo appare, quindi, come il luogo privilegiato e
Quartiere San Donato, Pescara
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drammaticamente necessario in cui sperimentare un lavoro sull’esistente, che preveda processi di risignificazione dello spazio pubblico, di rigenerazione funzionale degli edifici, di rinaturalizzazione domestica del ‘vuoto’, oggetto negli ultimi decenni di una cementificazione indiscriminata. Proprio il tema del riciclo e dei nuovi cicli di vita sembra legarsi in maniera prepotente al campo dell’abitare sociale, in Italia rappresentato nella gran parte da quartieri obsoleti e fatiscenti da un punto della consistenza fisica e tecnica, ma anche immobilizzati da decenni di abbandono e pervasi da un dichiarato disagio sociale. Come nel resto d’Italia, i quartieri di Pescara sono stati oggetto in questi ultimi anni soltanto di sporadici interventi di recupero e di adeguamento funzionale. Li accomunano una stessa monofunzionalità, legata alla ripetizione di tipologie standardizzate con una totale assenza di progettualità nei confronti dello spazio pubblico. Lo spazio tra le ‘case’, così come gli stessi edifici sono diventati in questi decenni il terreno della trasformazione, frutto di un processo di lenta e violenta riappropriazione degli spazi collettivi da parte degli abitanti. Intervenire in questi quartieri significa ‘prefigurare’ un nuovo codice genetico per le comunità urbane, prevedendo una molteplicità di funzioni
Orti Urbani, Quartiere San Donato, Pescara
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e di significati legati alle nuove modalità dell’abitare che riescano a riconnettere i quartieri ‘arcipelago’ in una trama urbana di qualità. Lavorare sull’esistente, su un palinsesto che va riscritto, riciclato secondo il tema della variabilità e flessibilità funzionale e d’uso, sull’idea di una ‘crescita’ della socialità, del senso di una vita condivisa dal quartiere che porti all’identità di nuove comunità urbane autosufficienti e sostenibili. La metodologia adottata è stata quella di una ricognizione interpretativa, che mettesse a confronto, da un lato, la mappatura dei dati relativi alla densità, l’evoluzione degli abitanti e dei nuclei familiari, il censimento delle attività e delle superfici dedicate a spazio pubblico; dall’altro, le microstorie e le biografie dei luoghi, documentate con reportage video, interviste, viaggi-esperienze, che diventeranno la base delle strategie di riciclo. L’approccio strategico al tema del riciclo presenta un carattere fortemente sperimentale nel campo della progettazione architettonica in relazione alla necessità di una nuova e più inclusiva sostenibilità dei quartieri, in cui prevalga la mixité funzionale, tipologica e l’integrazione sociale. L’attenzione progettuale si è rivolta all’importante ruolo delle ‘infrastrutture ambientali’ in grado di fornire prestazioni ecologiche per il miglioramento più generale dell’ecosistema urbano. In quest’ottica, il suolo, le acque superficiali e le coperture vegetali possono essere interpretati come luoghi della riattivazione di un sistema ambientale. Si tratta di definire gli strumenti di una nuova strategia di rinaturalizzazione urbana che passa attraverso l’attivazione di forme di agricoltura domestica e collettiva, così come di microeconomie di quartiere che ne potenzino il carattere di self-sufficient e il portato identitario di comunità urbana. Questo nell’ottica di prevedere un processo evolutivo nel tempo, in cui gli stessi elementi di innesto possano essere nuovamente riciclati in diverse configurazioni. L’invenzione di microeconomie urbane definisce l’identità e potenzia la riconoscibilità delle nuove comunità urbane. L'identità dell’abitare contemporaneo, se pur molteplice e dinamico, appare sempre più caratterizzato da un nuovo concetto di densità, non soltanto fisica, ma piuttosto legata a narrazioni e flussi di attività proprie di nuove comunità urbane, che si strutturano a partire dalla condivisione di interessi, stili di vita ed abitudini. Oggi si abita più il 'fuori' della residenza, che il ‘dentro’ di ciò che identifichiamo con il domestico. A destra, Orti Urbani, Quartiere San Donato, Pescara
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In questo senso, l’abitare contemporaneo sembra rivolto verso nuove forme di ibridazione con gli spazi abitualmente demandati alla sfera pubblica e sociale, in cui emerge il ‘desiderio’ della condivisione, che porta a sottolineare l'importanza dello spazio evocativo del ‘vuoto’, inteso come spazio pubblico, quale fattore fondamentale per le strategie di trasformazione e di inclusione sociale. La riflessione progettuale di rigenerazione dei quartieri ha previsto innesti di cohousing, variazioni tipologiche, eliminazioni di recinti e limiti tra residenza e spazi pubblici nella ricerca di una forte continuità dello spazio, una rinaturalizzazione delle aree asfaltate e la flessibilità d’uso degli spazi pubblici. Se ci soffermiamo sulle relazioni tra cohousing e rigenerazione del patrimonio esistente, emerge l'importanza del progetto dello spazio pubblico come fattore fondamentale per le strategie di trasformazione. Ne sono un esempio emblematico i fenomeni che si sono registrati negli ultimi decenni, con la riappropriazione d’uso di portici e gallerie, delle aree di parcheggio, degli spazi verdi che hanno aperto all'idea di nuovi spazi di condivisione. In molti casi, l’insediarsi di comunità fortemente multietniche ha generato esperienze di condivisione degli spazi ‘vuoti’ di portata impressionante, in cui la realizzazione di orti e spazi di socializzazione è avvenuta in forma del tutto autogestita e autocostruita. “Il desiderio è una passione inutile” direbbe Sartre, alludendo ad una dimensione di ricerca individuale che non necessariamente si risolve nel semplice ‘consumo’ dell’oggetto, ma piuttosto sviluppa una tensione ad una dimensione ‘altra’ dell’abitare che permetta, nello spazio lasciato libero dal 'consumo' frettoloso, di ampliare la propria sfera di conoscenza sul senso dell'abitare condiviso. Penso, che in quest’ambito di riflessioni, l’esperienza ormai storicizzata del Nemausus di Jean Nouvel a Nimes abbia colto per prima i sintomi di una trasformazione in atto, non soltanto nella rigenerazione di un’area periferica, ma soprattutto nell’individuare una dimensione ampia ed inclusiva dell’abitare, direi quasi prototipica. In maniera molto chiara, la strada segnata dal Nemausus porta a sperimentare un'espansione psichica e percettiva della dimensione individuale e del nucleo familiare: la ricerca di un’appartenenza più ampia all’idea di comunità che si riconosca nella realtà fisica ed architettonica. Non a caso, Nouvel per primo e in seguito, Lacaton & Vassal hanno rilanciato la dimensione del ‘desiderio’, del Plus3. Queste esperienze A sinistra, Spazi Pubblici, Quartiere San Donato, Pescara
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francesi sono emblematiche di processi, sempre più diffusi, di riciclo di strutture abitative, intendendo con questa definizione la possibilità di prevedere con il progetto nuovi cicli di vita per quei quartieri di edilizia sociale che presentano da decenni una marcata obsolescenza nella loro configurazione tipologica e che, come tali, hanno portato ad impoverimento delle relazioni sociali al suo interno e nelle connessioni con la realtà urbana. In una prospettiva futura più ampia, il tema della condivisione dell'abitare, del cohousing e dello spazio pubblico non potrà più limitarsi alla sola dimensione del quartiere, ma stimolerà a catena un sistema di relazioni riconducibile all'immagine di una rete di quartieri in microconnessione. Una riflessione che ci porta ad interrogarci sul ruolo che potranno avere i quartieri di edilizia pubblica nelle strategie più generali di trasformazione urbana, nella formazione di social community che riconoscano la loro appartenenza al tessuto urbano. Quella che si propone è, non solo l'idea del co-housing ma anche quella del co-neighborhood, che metta in rete la città consolidata, la città del moderno, la città della trasformazione.
Note 1. John Berger, Qui dove ci incontriamo, Bollati Boringhieri, Torino, 2005 2. Il riferimento è agli studi di Paola Di Biagi sulla casa popolare e sulla “Città Pubblica” in Paola Di Biagi, La grande ricostruzione. Il piano Ina-Casa e l’Italia degli anni cinquanta, Donzelli editore, Roma, 2001 3. Definizione enunciata da Lacaton & Vassal
A destra,Spazi pubblici, Quartiere San Donato, Pescara
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ATLANTE
FOTOGRAFICO
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RE-CYCLE HOUSING
LO SPAZIO URBANO
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LO SPAZIO URBANO
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FRONTI URBANI
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FRONTI URBANI
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FRONTI URBANI
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RE-CYCLE HOUSING
FRONTI URBANI
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RE-CYCLE HOUSING
USO E RIAPPROPRIAZIONE
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RE-CYCLE HOUSING
USO E RIAPPROPRIAZIONE
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RE-CYCLE HOUSING
LOGGE E TRASFORMAZIONI
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LOGGE E TRASFORMAZIONI
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RE-CYCLE HOUSING
SPAZI RECINTATI
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RE-CYCLE HOUSING
SPAZI RECINTATI
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RE-CYCLE HOUSING
USO IMPROPRIO
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RE-CYCLE HOUSING
USO IMPROPRIO
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RE-CYCLE HOUSING
PORTICI E PERCORSI
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RE-CYCLE HOUSING
PORTICI E PERCORSI
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RE-CYCLE HOUSING
APPROPRIAZIONE
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RE-CYCLE HOUSING
APPROPRIAZIONE
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RE-CYCLE HOUSING
ATTRAVERSAMENTI
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RE-CYCLE HOUSING
ATTRAVERSAMENTI
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RE-CYCLE HOUSING
ORTI URBANI
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RE-CYCLE HOUSING
ORTI URBANI
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UniTR UniTN
UniCH
UniMA
UniTORVERGATA
UniRC
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NETWORK RE-CYCLE CONTRIBUTI E CASI STUDIO
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RICICLARE TERRITORI FRAGILI PESCARA 9-10 OTTOBRE 2013 LABORATORIO 02_TREASUREHUNT>>RE-CYCLEHUNT MOMENTI DI CONFRONTO SUL TEMA DELLA RIGENERAZIONE DEI QUARTIERI DI EDILIZIA PUBBLICA
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Quartiere San Donato, Pescara
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QUARTIERI E SPAZI APERTI: UN LABORATORIO PROGETTUALE PER LA RIGENERAZIONE URBANA Paola Di Biagi >UniTR
I quartieri di edilizia pubblica hanno contribuito a costruire la città europea, andando a comporre ampie parti delle periferie urbane del secondo Novecento. Sorti per perseguire obiettivi fondamentali ispirati a principi di giustizia ed equità, come dare risposta ai fabbisogni abitativi di larghi strati di popolazioni, sono diventati nel tempo problematici, coacervi di criticità spaziali e sociali che li hanno resi luoghi difficili da abitare. La stigmatizzazione di cui sono stati frequente oggetto, inoltre, ha indotto non di rado a delegittimare anche le politiche e i progetti che stanno alla loro origine. Oggi però, molti di quei quartieri si mostrano capaci di aprire nuove riflessioni sull’abitare la città contemporanea e sugli strumenti della rigenerazione urbana, non soltanto per le loro evidenti problematicità ma anche per le differenti potenzialità di trasformazione, espresse nelle localizzazioni, nella molteplicità di tipi di spazio e nelle risorse sociali qui racchiuse. Tornare a osservare e ri-progettare i quartieri di edilizia sociale offre inoltre l’opportunità di leggere e valorizzare le modificazioni che essi hanno conosciuto col trascorrere del tempo, attraverso le pratiche di ogni giorno degli abitanti e che oggi sono ben inscritte nello spazio, soprattutto in quello aperto. Lasciate andare facili stigmatizzazioni e luoghi comuni
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e avvicinando il nostro sguardo ai “paesaggi del quotidiano”, si potrà ri-conoscere a queste parti urbane quel ruolo di “laboratorio di progettualità innovative” già sperimentato, in altri modi, nel secolo scorso. I quartieri pubblici, tra problematiche e potenzialità Parti formalmente compiute, i quartieri di iniziativa pubblica sono oggi spesso riconoscibili tra più minuti e frammentati tessuti urbani. Misure e articolazioni di spazi aperti e di spazi costruiti contribuiscono alla discontinuità morfologica, rispetto a contesti più ampi, di queste figure spaziali della modernità. Una discontinuità che sta inizialmente negli obiettivi, nei processi, nei progetti e negli attori che hanno portato alla loro costruzione. Sorti per dare alloggi sani e dignitosi alle famiglie che non riuscivano ad accedervi attraverso le regole del mercato, i quartieri hanno offerto ai nuovi abitanti anche numerosi ambiti e attrezzature comuni. Giardini, cortili, aree per il gioco, piazze, asili, scuole, campi sportivi, chiese, ecc. hanno integrato e specificato quel principio di spazio abitabile tanto importante per politiche e progetti novecenteschi. Sono proprio gli spazi aperti e comuni ad articolare le morfologie spaziali, e anche quelle sociali, visto che ad essi i progetti originari hanno affidato il compito di contribuire a generare relazioni tra gli abitanti e a far crescere reti di comunità. Molte realizzazioni hanno però dimostrato come questi spazi non siano affatto riusciti a divenire quei luoghi abitabili e comuni immaginati inizialmente. Rimasti spesso indefiniti, inutilizzati, residuali, vuoti, da connettivo essi si sono trasformati in distanza, non solo tra gli edifici, ma anche tra le persone. Interrogarsi sulle ragioni per le quali gli spazi aperti non siano sempre riusciti a divenire ambiti di prossimità, è una premessa utile a progetti di riqualificazione e rigenerazione di queste periferie pubbliche. I motivi sono evidentemente molteplici e non possono che declinarsi caso per caso. Sommariamente le cause possono essere ricondotte a metodi progettuali frequentemente esito di approcci solo quantitativi e di un uso parziale di strumenti quali standard e indici; alla loro misura e localizzazione; ad una povertà del vocabolario tipologico di progetto; alla loro tardiva realizzazione, dovuta a un’emergenza abitativa e a una scarsità di risorse che hanno portato a costruire prima le case; alla mancanza di manutenzione e all’incuria; ad un uso improprio; alla loro occupazione
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da parte delle automobili... Differenti ragioni che solo studi e progetti contestuali potranno riconoscere e risolvere. Insieme a problematiche sociali e tipologiche, le cattive condizioni degli spazi aperti hanno partecipato al processo di degrado dei quartieri che, da luoghi del vivere insieme e dove garantire diritti fondamentali “per tutti” (come quello di abitare), sono spesso divenuti luoghi di emarginazione e ghettizzazione, tra i più problematici delle nostre periferie. Una evidente contraddizione per una città che voleva essere “pubblica” e “sociale”. Ma nuovi sguardi progettuali possono riconoscere proprio nell’ampia disponibilità di spazi aperti interni e esterni liminari ai quartieri una condizione di modificabilità. Numerose esperienze di ricerca e progetto svolte negli ultimi decenni in Europa e in Italia1, come quella di cui questo volume raccoglie gli esiti, dimostrano l’emergere di una crescente attenzione per le valenze ambientali e sociali che nei quartieri pubblici il progetto può oggi assumere. In particolare questi lavori sottolineano l’esigenza di avviare nuovi itinerari interpretativi e progettuali imperniati proprio sulle aree aperte e improntati all’interazione tra molteplici sguardi disciplinari e differenti approcci alla rigenerazione. La costruzione di reti di cooperazione e dialogo tra abitanti, progettisti e istituzioni locali, cioè tra coloro che abitano gli spazi della “città pubblica” e coloro che prefigurano e governano i processi urbanistici, diviene in questo senso fondamentale. Così come è stato lungo il ‘900, i quartieri di edilizia sociale possono oggi tornare ad assumere il ruolo di laboratorio per progettualità innovative; dopo la grande quantità e varietà di idee e progetti depositati nelle periferie europee, questo “laboratorio” può partecipare ora a strategie per una più ampia rigenerazione della città contemporanea. Riprogettare i paesaggi dell’abitare quotidiano Camminando tra gli spazi dei quartieri della città pubblica, possiamo osservare come col passare del tempo, in molti casi, gli ambiti esterni abbiano saputo accogliere usi e pratiche degli abitanti, divenendone sfondo e supporto. Usi e pratiche che, un giorno dopo l’altro, si svolgono lungo sequenze che si snodano dallo spazio interno e domestico verso quello esterno e urbano, e viceversa, secondo itinerari che attraversano, ridisegnano, sfumano i confini tra pubblico e privato, tra dentro e fuori casa, ma anche tra il quartiere e il suo esterno e, quando i quartieri si
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I portici, Quartiere San Donato, Pescara
pongono come ambiti di mediazione tra città e aree agricole o naturali, tra urbano e non urbano. L’attenzione verso queste dimensioni spazio-temporali dell’abitare mette in scena gli abitanti, le loro differenti identità, le diverse relazioni che essi intrecciano ogni giorno con lo spazio fisico, le modalità con le quali questo incontro/scontro si esprime, in termini di usi, pratiche, conflitto, cura, incuria, o indifferenza, e su come tutto ciò trasformi i luoghi. Osservare la vita che ogni giorno si svolge in queste periferie, guardandole dunque come “paesaggi di un abitare quotidiano”2 , porta a riconoscere la varietà di persone che qui vivono, le loro molteplici condizioni (fisiche, sociali, di genere, di generazione, …) e i differenti modi di usare lo spazio. Uscendo dal proprio alloggio ed estendendo le pratiche di ogni giorno verso l’esterno, molti abitanti si appropriano degli spazi comuni e li trasformano prendendosene cura, una cura che mostra affezione verso uno spazio esterno alla propria casa che viene così “addomesticato”, reso a sua volta “domestico” e “famigliare”3, abitato e dunque più abitabile e sicuro, parte integrante di una continuità spaziale e temporale interno-esterno, individuale-condiviso.
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I portici, Quartiere San Donato, Pescara
Pratiche spontanee come il giardinaggio, l’orticoltura, il gioco, la preparazione e il consumo del cibo, lo sport, il riposo, l’incontro, inevitabilmente modificano gli spazi aperti, in maniera minuta e diffusa, trasformandoli in orti, aiuole coltivate, playground, piccole zone d’ombra e sosta, ecc. Tipi di spazio che vengono allestiti attraverso l’uso e il ri-uso di materiali semplici, poveri, di scarto. Queste trasformazioni dimostrano, da un lato affezione e cura di molte persone anche verso quanto sta oltre l’uscio di casa, dall’altra una capacità di adattamento e di inventiva quotidiana4 . Le modificazioni che gli abitanti apportano allo spazio aperto e comune offrono utili indizi per modificare anche l’approccio al progetto di riqualificazione che può trovare così l’occasione di farsi strumento capace di intercettare, leggere e interpretare le “tracce” dell’abitare quotidiano, capace di attribuire significati ai molteplici e imprevedibili modi (non solo virtuosi) di trasformare gli ambiti comuni, cogliendo in essi l’espressione di bisogni e di richieste di prestazioni a quegli stessi spazi; riconoscendo così anche un ruolo attivo agli abitanti e la progettualità espressa proprio con la vita di ogni giorno.
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Ad accogliere le pratiche del quotidiano e a offrirsi così a una minuta trasformazione, sono in particolare gli ambiti di soglia, quegli posti lungo i confini tra interno ed esterno, tra costruito e inedificato, tra privato e comune, abbondantemente presenti nei quartieri residenziali pubblici5 . Un repertorio di spazi come scale, androni, portici, cortili, corti, giardini, ecc. che facilitano la continuità di reti fisiche e sociali ed esprimono, non sempre esplicitamente, una vocazione a favorire l’incontro, lo stare insieme, l’accoglienza, il gioco, la coltivazione del verde, ... Si tratta di “spazi-filtro” che, seppure interstiziali, talvolta marginali e non risolti dal progetto originario, invitano a ripensare drastiche dicotomie pubblico/ privato e si propongono come risorsa per la riqualificazione di questi luoghi dell’abitare quotidiano, come occasione di arricchimento e articolazione per nuovi “progetti di suolo” capaci di generare una più diffusa qualità nelle periferie residenziali. Partire da simili spazi per poi allargare lo sguardo può dunque condurre a progetti virtuosi e multiscalari di rigenerazione urbana basati sulla ricomposizione di diversi paesaggi, da quelli più minuti e quotidiani, a quelli periurbani dall’evidente potenziale ecologico6 . Cogliendo e valorizzando
Spazi aperti, Quartiere San Donato, Pescara
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il potenziale di porosità dei quartieri e dei loro contesti potrà essere definita una nuova e diffusa “trama pubblica”7, intesa come supporto spaziale alle pratiche degli abitanti dove essi possano avere accesso a risorse, conoscenze e opportunità utili a costruire e condividere spazi, a intessere reti di collaborazione, in definitiva a elaborare nuove forme di welfare legate alla formazione, all’educazione, all’impiego proprio nella trasformazione/cura/mantenimento degli spazi aperti e comuni. Prospettive di lavoro come quella indicata divengono inoltre strumento per sottoporre a verifica i progetti originari e la loro capacità nel tempo di tradursi in luoghi capaci di accogliere e facilitare lo svolgimento della vita quotidiana. I quartieri, spesso esito di “progetti d’autore”, hanno nella realtà faticato a divenire spazi ampiamente abitabili. Verificare come progetti e realizzazioni abbiano reagito alla prova del giorno per giorno, offrendosi alle trasformazioni e all’aggressione da parte degli abitanti, aiuta non solo a leggere e misurare il loro grado di abitabilità, oltre le intenzioni dei progettisti, ma ha molto da insegnare a futuri interventi di riqualificazione e rigenerazione urbana.
I portici, Quartiere San Donato, Pescara
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Note 1. Tra le esperienze di ricerca nazionale su questi temi si segnala La “città pubblica” come laboratorio di progettualità. La produzione di Linee guida per la riqualificazione sostenibile delle periferie urbane, finanziata nel 2006 dal Ministero dell’università e della ricerca. I quartieri di edilizia sociale sono divenuti terreno condiviso di riflessione e progetto per alcuni gruppi di ricercatori delle Università di Trieste, Milano, Roma, Napoli, Bari e Palermo. Scopo comune è stato mettere a punto e sperimentare strumenti concettuali e operativi per la rigenerazione di queste parti urbane e più in generale delle periferie contemporanee. Una sintesi dei principali risultati è ora pubblicata nel volume LaboratorioCittàPubblica, Città pubbliche. Linee guida per la riqualificazione urbana, coordinamento generale di P. Di Biagi, coordinamento redazionale di E. Marchigiani, Bruno Mondadori, Milano 2009. Si veda anche: F. Infussi (a cura di), Dal recinto al territorio. Milano, esplorazioni nella città pubblica, con testi di P. Bozzuto, A. Bruzzese, F. Cognetti, S. Pendini, Bruno Mondadori, Milano 2011. 2. P. Di Biagi, La città pubblica. Un paesaggio dell'abitare quotidiano, in A. Magnier e M. Morandi (a cura di), Paesaggi in mutamento. L'approccio paesaggistico alla trasformazione della città europea, F. Angeli, Milano 2013. 3. G. Mandich, M. Rampazi, «Domesticità e addomesticamento. La costruzione della sfera domestica nella vita quotidiana», Sociologia@Dres. Quaderni di ricerca, n. 1, 2009, http:// veprints.unica.it/423/1/n1_mandich.rampazi.pdf 4. Cfr. L. Balbo, Introduzione, in Friendly. Almanacco della società italiana, n. 1, Milano, Anabasi, 1993. 5. S. Basso, Ripensare la prossimità nella città pubblica. Strumenti per la ricomposizione degli spazi, oltre l’alloggio, in «Territorio» n. 72 2015. 6. All’Università di Trieste, da tempo ricercatori e studenti sono coinvolti in ricerche sulla città pubblica, dove si provano ad immaginare questi spazi come dispositivi per forme plurali di rigenerazione. Workshop, tesi di dottorato, ricerche di ateneo hanno in questi anni rappresentato utili momenti di sintesi e confronto dove mettere nuovamente alla prova la potenziale trasformabilità dei quartieri e le opportunità offerte per aggiornare strumenti e pratiche dell’urbanistica, oltre che per confrontarsi con gli enti pubblici 7. S. Munarin, M.C. Tosi con C. Renzoni, M. Pace, Spazi del welfare. Esperienze luoghi pratiche, Quodlibet, Macerata, 2011.
A destra, Quartiere San Donato, Pescara
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RICICLARE TERRITORI FRAGILI PESCARA 9-10 OTTOBRE 2013 LABORATORIO 02_TREASUREHUNT>>RE-CYCLEHUNT MOMENTI DI CONFRONTO SUL TEMA DELLA RIGENERAZIONE DEI QUARTIERI DI EDILIZIA PUBBLICA
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Madonna Bianca. Periferia verde verticale
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ARCHITETTURA E PROGETTO URBANO PER LA RIQUALIFICAZIONE DELLA PERIFERIA RESIDENZIALE PUBBLICA Claudia Battaino, Luca Zecchin >UniTN
Il concetto di re-cycle, la trasformazione dell’esistente volta a innescare nuovi cicli di vita in un processo dinamico (Mcdonough W., Braungart M., 2002), è lo strumento con cui si sono indagate le forme di urbanizzazione più recente, le periferie interne ed esterne della città, che si conformano come chiuse, impermeabili, monofunzionali o definite da materiali a bassa tecnologia e caratterizzate da bassa articolazione spaziale1, che presentano marginalità diffuse di tipo ambientale, sociale, economico. La città del Novecento ci ha lasciato in eredità diverse tipologie di aree fragili da riqualificare, interi settori urbani periferici e degradatati, a destinazione residenziale e mista, necessitano di essere ridisegnati e adeguati, mancano di un disegno che li completi, li connetta a un sistema urbano, territoriale e infrastrutturale a scala più vasta, ne ridefinisca forma e identità. Il futuro di queste aree consisterà in una modificazione adattiva e resiliente (Gunderson L.H., Holling C.S., 2002), una manomissione creativa che accompagna tutta la storia dell’architettura al mutare delle esigenze funzionali, economiche, politiche, sociali, ed è leggibile nella stratificazione profonda delle nostre città: una città che cresce o decresce su se stessa, per strati e tempi, riusando i suoi stessi materiali, richiede
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una cultura architettonica capace di innescare processi di mutazione, progressivi, spontanei o programmati. L’architettura e il progetto urbano per nuovi cicli di vita della città, definiscono le azioni di re-cycle che trasformano e provocano un inevitabile mutamento del rapporto con l’esistente, nuovi edifici estendono la vita di quelli originari e ne accrescono e trasformano il significato, innesti, addizioni, svuotamenti, aggiunte, nuovi volumi e strutture “sopra la città” generano nuova vita (Battaino C., 2015). A queste azioni architettoniche si associano quelle dell’hyper re-cyle, cioè l’attivazione di più cicli di vita rispondenti alla necessità emergente d’integrazione di istanze ecologiche e ambientali sistemiche (McDonough W., Braungart M., 2013), secondo un’idea di città costituita da reti di spazi progettati come infrastrutture eco-efficienti, plurifunzionali e integrate, inclusive dal punto di vista sociale ed efficaci dal punto di vista energetico. Campo d’indagine privilegiato della ricerca è la città pubblica costruita nella valle dell’Adige che si estende da Trento a Rovereto, un sistema insediativo rappresentativo di altre realtà della regione alpina, un arcipelago disteso costituito da isole di social housing, unità residenziali
Madonna Bianca, Interno dell’alloggio
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morfologicamente indipendenti, dotate di relazioni interne autonome e solo debolmente legate tra loro e al resto della città, quartieri pubblici oggi in crisi per la necessità di aggiornamenti edilizi e relazionali, per la mancata articolazione di spazi e funzioni della socialità, con problemi di coesione sociale e di integrazione del tessuto edilizio, di disegno degli spazi aperti e dei collegamenti (Battaino C., Zecchin L., 2016). La città pubblica nella valle dell’Adige In Italia è presente il secondo parco edifici abitativi pubblici più vecchio al mondo, il 55,4% delle abitazioni ha più di 40 anni che entro il 2020 diventeranno il 68,6%. Nella Provincia Autonoma di Trento l’ITEA (Istituto Trentino Edilizia Abitativa) gestisce un patrimonio di circa 16.688 unità immobiliari, di cui 10.748 sono alloggi di edilizia abitativa pubblica. Tale patrimonio consiste in 870 edifici, dei quali il circa il 74% ha più di 40 anni e necessita di un'intervento sistemico, non solo alla dimensione di componente o edificio ma sopratttutto alla scala urbana di quartiere. Si tratta di una diffusa rete materiale di welfare il cui ruolo è comparabile a quello dei beni comuni e degli usi civici nel territorio montano. Luogo d’identità culturale e di relazioni sociali, la rete di quartieri della città alpina, oltre ad essere una risorsa urbana estesa, presenta un campionario complesso di situazioni plurali, eterogenee, mutevoli e stratificate. L’evoluzione degli interventi di social hosing nel territorio considerato nel corso del Novecento ci consente di apprezzarne il peso e il significato sociale. Le conseguenze di due guerre, il processo d’inurbamento dalla campagna alla città, il mutare del reddito familiare e dei costumi civili sono gli elementi che connotano il primo periodo, dal 1922 al 1945, in cui gli interventi di edilizia popolare sono inizio e occasione di sfondamento dei perimetri dei centri storici e per il successivo costituirsi di nuovi nuclei urbani. Il secondo periodo, dal 1945 al 1972, vede un’intensa opera di ricostruzione, dei 121 alloggi completamente distrutti durante la guerra, 520 danneggiati, 121 alloggi sconvolti dai bombardamenti, viene realizzato un completo ripristino, successivamente con il piano Fanfani (1949-1963), l’Ina Casa, la Legge Tupini (1949), la legge Romita (1954), vengono realizzati, entro il 1960, 2796 alloggi. Negli stessi anni la Provincia Autonoma di
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Trento realizza altri 272 alloggi di edilizia pubblica che soddisfano solo in parte le necessità di fabbisogno abitativo. Con il PUP (Piano Urbanistico Provinciale, 1964) si sostiene la realizzazione di ulteriori unità abitative, la priorità è data agli interventi urbani senza tuttavia dimenticare le valli con le loro attività agricole e di turismo. A partire dal 1963 la GESCAL, con la collaborazione della Provincia e grazie ad una serie di leggi specifiche, realizza altri nuovi quartieri: Cristo Re, Lungadige Marco Apuleio, San Donà, San Bartolomeo, Clarina, San Vito, Madonna Bianca, Villazzano a Trento; Busa dei Cavai, via Benacense, a Riva rione De Gasperi, Europa a Rovereto e altri interventi ad Ala, Arco, Lavis, Mezzocorona, Mori. L’ITEA (Istituto Trentino per l’Edilizia Abitativa) che eredita dallo IACP un patrimonio di 5900 alloggi, realizza tra il 1973 e il 1977, 3000 unità, 2300 di edilizia agevolata e 4800 di risanamento, la Provincia di Trento negli stessi anni investe nell’edilizia residenziale pubblica cifre prossime al 25% del totale della produzione residenziale in confronto ad una media nazionale, nello stesso periodo, che si situa intorno all’8.9%2. Lo sviluppo dei quartieri nel contesto storico e urbano, anche nelle singole fasi di realizzazione, evidenzia la natura dei rapporti tra edilizia sociale e città. Dalla lettura estesa sul territorio, si può osservare come alcuni quartieri siano stati inglobati nel sistema urbano centrale mentre altri si trovano in sistuazioni periferiche e marginali; alcuni hanno subito importanti modificazioni, anche di demolizione, come nel caso delle Palafitte nel quartiere di San Bartolomeo; altri invece hanno pressoché mantenuto l’impianto originario; la differenza degli spazi considerati, non solo le caratteristiche fisico-materiche, ma anche il rapporto con il contesto, può influenzare notevolmente l’approccio progettuale futuro. Le barriere fisico-visive, la disponibilità o meno di spazi verdi, il rapporto tra la superficie pavimentata e quella porosa, la presenza o meno di luoghi di aggregazione, sono alcuni degli innumerevoli fattori presi in considerazione per un possibile scenario di re-cycle. In ogni quartiere analizzato emerge infatti un’idea di abitare particolare, come presenza simultanea di spazi alloggio, spazi aperti verdi, spazi pubblici di aggregazione. Queste parti devono essere progettate in modo differente e secondo diverse proporzioni, in alcuni casi risultano più efficaci, in altri meno, sicuramente rispetto all’esistente considerato si può affermare che sono presenti carenze interne ai quartieri, ma anche potenzialità intrinseche non ancora sviluppate. La conformazione
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tipologica, la posizione in rapporto al contesto, la presenza o meno di fenomemi di degrado, rendono evidente la predisposizione dei singoli quartieri rispetto ad alcune strategie di riqualificazione piuttosto che ad altre: dove sono assenti elementi di qualità, è possibile la sperimentazione di strategie quali la trasformazione anche radicale o la sostituzione selettiva; dove sono riconoscibili elementi di valore storico, culturale e architettonico, sono ipotizzati interventi di re-cycle relazionali, capaci di conservare innovando. In tutti i casi, le problematiche legate alla vetustà, se non curate, producono la perdita di valore nel tempo di un fondamentale patrimonio pubblico della città del Novecento, e l’ulteriore marginalizzazione di queste aree. Non si tratta dunque, di risolvere solo problematiche legate all’inefficienza energetica. La necessità di riqualificare questo patrimonio richiede progetti urbani che tengano conto della complessità delle comunità contemporanee, delle esigenze ambienti di vita più ecologici e sostenibili, dell’importanza della memoria e dell’identità dei paesaggi locali. Le nuove dinamiche sociali, con il costante aumento di famiglie composte di una sola persona, l’aumento degli immigrati, la composizione di
Madonna Bianca, Attrezzature e residenze
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coppie di anziani e giovani, unite alla questione degli alloggi con standard dimensionali inferiori alla norma, insieme alle mutate dinamiche del rapporto casa-lavoro, sono elementi di criticità e nuove opportunità per ripensare questi frammenti di città, lavorando per aumentare i margini di vivibilità e di flessibilità interna agli alloggi, ricercando rapporti innovativi tra spazi privati e pubblici, ricollegando la città alla natura. La periferia verde verticale Madonna Bianca e Villazzano Tre è un esempio paradigmatico, un tassello significativo della città di Trento profondamente sedimentato nell’immaginario collettivo. Costruito tra il 1973 e il 1982 su progetto degli architetti M. Armani ed E. Ferrari e dell’ingegnere L. Perini, il quartiere è costituito da due parti, ciascuna ideata come unità morfologica indipendente e dotata di relazioni interne e autonome. Quattordici torri si sviluppano su un territorio di circa trenta ettari, caratterizzato dal contrappunto, in un paesaggio a orografia complessa, tra edifici alti e edifici bassi, le case a schiera e i servizi centrali. Il quartiere, tra i più riusciti in Italia, disegnato secondo i principi dell’urbanistica moderna come un pezzo di città formalmnete compiuto, presenta un’ampia dotazione di aree verdi, di attrezzature sportive, scolastiche e religiose, ma non è sufficientemente integrato nell’edificazione urbana successiva. La debole articolazione di spazi e funzioni, la mancanza di collegamenti fisici con l’intorno e con il contesto insediativo, la scarsa permeabilità, il tipo di mobilità e accessibilità legata all’uso dell’automobile, lo rendono indipendente e opaco rispetto alle dinamiche urbane e ai flussi legati alla vita sociale, che sono estromessi e assorbiti dai territori vicini. Il progetto di re-cycle consiste nella definizione di un progetto partecipato di masterplan fondato sulla salvaguardia, mantenimento e valorizzazione degli elementi qualificanti il quartiere e le sue architetture, condotto attraverso fasi tra loro interconnesse con il fine di operare un processo conoscitivo e propositivo interdisciplinare e partecipativo, innovando la procedurale prassi di rigenerazione urbana secondo le attuali procedure internazionali 3. Attraverso un confronto con gli abitanti lo studio ha affrontato: la riqualificazione architettonico-energetica degli edifici; l’aumento dei servizi e delle attrezzature urbane; il miglioramento della configurazione
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Madonna Bianca, Dettaglio facciate est
e dell’uso degli spazi aperti. Le modalità di rigenerazione delle torri può prevedere diverse tipologie di addizioni4: alla base, legate alla trasformazione dell’attacco a terra e del suo immediato intorno; in elevazione, pensate a sbalzo, appese alla torre, oppure dotate di struttura indipendente, fino a prevedere in alcuni casi un collegamento aereo abitato tra due torri vicine; in copertura, per riabitare uno spazio eccezionale in rapporto al paesaggio alpino circostante, attualmente non considerato e difficilmente accessibile. L’idea guida del progetto urbano è fondata inoltre sulla riqualificazione dello spazio aperto il cui disegno concorre alla rivitalizzazione in forme e funzioni per il benessere, la socialità, la fruibilità, la sicurezza. Gli elementi della riqualificazione sono green: filamenti verdi, di attraversamento del quartiere e di relazione con l’intorno urbano; bordi giardini attrezzati alla base delle torri, lungo i margini a contatto con la viabilità esterna al quartiere; zolle porose che definiscono nuove polarità di servizi urbani. Il verde e la topografia sono i materiali alla base del progetto di re-cycle. Operando una sorta di ri-naturalizzazione, il progetto lavora con/attraverso la linea di terra, reinterpretata nel suo spessore, incisa e tagliata, per inserire, al di sotto di superfici verdi continue e praticabili, nuovi spazi per nuove funzioni.
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Al posto di piazzali di cemento e asfalto, le architetture topografiche di rigenerazione alla base di ciascuna torre sono cortili dell’infanzia, giardini terapeutici, a misura di adulti e anziani, orti condominiali autogestiti, luoghi coltivati. Il quartiere-parco della/nella città paesaggio, è stato ripensato come un’opera di architettura-agricoltura, una periferia non solo quindi ancora più verde, ma anche più fruibile, attrezzata, accessibile, sicura. Imparando dalle torri La strategia di re-cycle che prevede diversi livelli d’intervento fondati su figure-luoghi principali, può essere esportata anche in altri luoghi abitati, altre riserve urbane da articolare nelle relazioni interne ed esterne, con la città e il paesaggio. Anche i condomini Maccani, Puccini, Fucine e Maioliche, sono stati oggetto di studio e di sperimentazione, possibili sopraelevazioni, innovazioni tipologiche di una nuova città analoga, “uno strato in più sulla città”5. Sullo sfondo, sempre, la questione del progetto urbano, come tema centrale, l’individuazione dei principi di costruzione della città e di organizzazione dei luoghi attraverso le relazioni fra architetture e spazi aperti, come modo di costruire e ri-costruire le parti di città e di riorganizzare la forma urbana, per ripensare ai modi della crescita futura, alle relazioni con le altre parti della città, a nuovi modelli insediativi, ai modi di organizzare e di dare forma alla città contemporanea. In un’ottica di tutela e risparmio del suolo, di confronto con il patrimonio esistente, di considerazione per i caratteri dei luoghi, di attenzione agli aspetti del risparmio e dell’efficienza energetica, a partire dalla scala urbana degli insediamenti. Tale declinazione della ricerca può prefigurare e dare consistenza ad architetture e spazi intesi come nuove polarità urbane diffuse in relazione ai vuoti, vuoti che rappresentano oggi la vera distanza tra le cose e le persone, vuoti che sono l’elemento che più si offre alla progettazione, e che perciò sono pieni, per nuove dinamiche urbane e sociali. Un’occasione concreta per l’ampliamento della dotazione di nuovi spazi comuni della città alpina, a partire dalla prefigurazione della rete di spazi pubblici condivisi, di relazione e mediazione, tra territorio artificiale e territorio naturale, città e fiume.
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Note 1. La Sub-Unità (responsabile Battaino C.) dell’Unità di Ricerca “Re-cycle Italy” presso l’Università degli Studi di Trento, Dipartimento di Ingegneria Civile, Ambientale e Meccanica, ha affrontato il tema della riqualificazione delle periferie residenziali pubbliche e di quelle di origine produttiva, nella valle dell’Adige, in Provincia di Trento. Questo contributo è un estratto rielaborato di: Battaino C., Zecchin L. (2016), Re-cycle Design. Implicazioni di un concetto per l’architettura e la città, in Nuovi cicli di vita per architetture e infrastrutture del paesaggio trentino, Roma: Aracne Editrice. 2. Elaborazione dati fonte ITEA, 2015. 3. Programma decennale di rigenerazione urbana ITEA in collaborazione con l’Università degli Studi di Trento - Laboratorio Architettura del DICAM, il Comune e la Provincia di Trento: Progetto Torri, di G. Cacciaguerra, C. Battaino, L. Zecchin e altri Università di Trento; M. Chiogna e altri ITEA Spa, indagine sociale D. De Cia, 2012-2014. 4. Il principio dell’addizione volumetrica, strumento introdotto dalla Legge Urbanistica Provinciale PAT n. 14 del 4 agosto 2015, permette di modificare la superficie e la distribuzione di alcuni degli alloggi, di ripensare alla loro adeguatezza dimensionale in funzione della flessibilità delle esigenze dell’utenza e di migliorare la dotazione di spazi complementari e di servizio. 5. Sopra-elevazioni on the city. Strategie di riciclo e riuso architettonico. Seminario Workshop Mostra Internazionale (a cura di Battaino C., Fossati P., Zecchin L.), Gallerie di Piedicastello, Trento, 03/10/2014 - 05/10/2014.
Bigliografia Battaino C., Zecchin L. (2016), Re-cycle Design. Implicazioni di un concetto per l’architettura e la città, in Nuovi cicli di vita per architetture e infrastrutture del paesaggio trentino, Roma: Aracne Editrice Battaino C. (2015), On the city, in Turris Babel, v. 98, n. 6/2015, p. 134-137 Gunderson L.H., Holling C.S. (2002), Panarchy. Understanding Transformations in Human and Natural Systems, Washington: Island Press Mcdonough W., Braungart M. (2002), Cradle to Cradle. Remaking the Way We Make Things, New York: North Point Press Mcdonough W., Braungart M. (2013), The upcycle: Beyond sustainability - designing for abundance, New York: North Point Press
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Madonna Bianca, Torri in urbs
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Madonna Bianca, Torri, verde, paesaggio
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Madonna Bianca, Attacco a terra, cortili non cortili
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Madonna Bianca, Dettaglio facciate ovest
Fig.1 - Didascalia Fonte
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Madonna Bianca, Attacco a terra, architettura e natura
RICICLARE TERRITORI FRAGILI PESCARA 9-10 OTTOBRE 2013 LABORATORIO 02_TREASUREHUNT>>RE-CYCLEHUNT MOMENTI DI CONFRONTO SUL TEMA DELLA RIGENERAZIONE DEI QUARTIERI DI EDILIZIA PUBBLICA
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Abitare in Calabria (Venera Leto)
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DEMOLIZIONE, COMPENSAZIONE E RICICLO DELLE CUBATURE PER LA SALVAGUARDIA DEL DIRITTO ALLA CASA E LA RICOSTRUZIONE DEL PAESAGGIO. Rita Simone >UniRC
Il tema della casa inteso come diritto all’abitare vive, nel Meridione e in Calabria in particolare, una apparente contraddizione. Se da un lato, infatti, le statistiche segnalano una cubatura residenziale in eccesso rispetto alla popolazione insediata, dall’altro si registra - come altrove la mancata soddisfazione di un bisogno. La contraddizione che vede la richiesta di alloggio rapportarsi ad un surplus di cubatura sottoutilizzata si amplifica, inoltre, se si pensa alle criticità di un paesaggio devastato da un abusivismo spesso legalizzato. La salvaguardia e il restauro del territorio ambirebbero a quella sottrazione di materia propria del demolire ma, di contro, il mantenimento di un diritto e la soddisfazione della richiesta si identificano in azioni dalla natura addizionale. Appare evidente, quindi, come in quest’ambito geografico i fenomeni siano connessi e richiedano strategie integrate. La recente crisi economica ha amplificato i problemi legati all’abitare rendendo palese l’urgenza di azioni politiche e la rimodulazione del tema in ambito disciplinare. Se, infatti, l’innalzamento della soglia di povertà, la precarietà occupazionale e la mancata erogazione di mutui hanno negato a molti l’accesso alla casa, parallelamente, i modelli tradizionali appaiono
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inadeguati a nuovi destinatari, estetiche individuali e variati approcci costruttivi dell’abitazione. Tale inadeguatezza dichiara una responsabilità della ricerca teorica italiana che a lungo ha abdicato nel dare nuovo impulso ad un tema divenuto marginale e appare lontanissima, oggi, quella “palingenesi morale”1 che con lo slogan della “casa per tutti” coinvolse, negli anni ’40, l’intero panorama architettonico e culminò, nel momento della sua attuazione, con il suo progressivo scemare. Alla “tensione realizzativa” degli inizi2 subentrarono le problematiche occupazionali3 e lo stesso sviluppo di alcuni quartieri “manifesto”4 indirizzò verso i temi delle periferie distogliendo l’attenzione dal singolo alloggio. Con il boom economico degli anni ’60, infine, si dimenticò la metafora della “ricostruzione del Paese come ricostruzione della casa”5 annullando il sodalizio tra ricerca e forme dell’edilizia residenziale pubblica. Da allora, in mancanza di nuove visioni, quest’ultima proporrà modelli inadeguati alle richieste quantitative e qualitative legate alle abitazioni che, oltre a caricarsi di esigenze date dalla compresenza di etnie, generazioni o ceti sociali si muovono all’interno della condizione postmoderna. Il relativismo e la sfiducia nelle grandi cornici teoriche6 richiederebbero, infatti, la ricodifica di un abitare che si esplicita in territori ad alta complessità7 nei quali le questioni tipologiche o tecniche si estendono alle forme di territorializzazione come esito di bisogni e azioni private8 . Rispetto alle geografie della postmodernità il Meridione assume caratteri di similitudine e profonda eccezione: simili le condizioni di multietnicità, divaricazione economico-sociale e crisi immobiliare, eccezionali rispetto alla norma, invece, quelle legate alle forme di territorializzazione. Per quanto concerne la mescolanza di etnie unita al bisogno e al differente uso del bene casa, è intuibile come la concentrazione di migranti dal Nord d’Africa unita alla storica presenza Rom oltre a richiedere il riconoscimento di culture abitative originarie ponga con urgenza la risoluzione di tale bisogno. Se agli uni, infatti, va riconosciuto il diritto ad un abitare civile, gli altri hanno da tempo sostituito la stanzialità al nomadismo: per entrambi la risposta ad una necessità primaria sarebbe il primo passo verso l’integrazione. Rispetto alla divaricazione economico-sociale va detto, invece, che la prossimità alla soglia di povertà che coinvolge il Paese, nel Meridione ha
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sempre rappresentato quasi una condizione di normalità, ma lo stato di precarietà che lo ha connotato fino a raggiungere livelli narrativi elevati ad opera d’arte, oggi si è allargato alle fasce sociali intermedie, ha perso il carattere “poetico” e ha ridotto il potenziale economico tradizionalmente investito nella casa come bene primario. Se i problemi legati9 al diritto alla casa e alle economie derivanti rappresentano un fenomeno globale, fortemente localizzata è qui, invece, quella condizione di eccezionalità che transita da un privato specifico a quel bene comune espresso dal territorio. Traslando, infatti, il concetto dell’uomo che territorializza lo spazio “appropriandosene concretamente o astrattamente” è possibile notare come il bisogno/necessità della casa abbia territorrializzato, in concreto e non in astratto, l’intero ambito geografico generando o degenerando paesaggi. La precarietà, generalizzata in atti e forme, ha invaso territori e costruito paesaggi che nella destrutturazione ritrovano la loro essenza: queste “geografie deboli”10 e dello scarto sono, in prima battuta, il risultato dell’appropriazione individuale di luoghi e diritti, di un distorto riconoscimento culturale e, infine, delle contraddizioni di una politica che si è finta cieca. Conseguenza dell’originaria povertà diffusa, unita al ritenere la casa unico bene economico per le generazioni successive è, paradossalmente, quel surplus di cubatura residenziale che si colora di illegalità: case e ampliamenti per la famiglia, figli adolescenti, future coppie o giovani emigrati che sognano una pensione nel paese d’origine. Sono prevalentemente case, infatti, quelle che popolano la città stradale calabrese11 : case in eterna costruzione in cui il vuoto è una condizione ordinaria, che disegnano il paesaggio del non finito anch’esso entrato nella poetica della precarietà e che vedono autocostruzione, riciclo e abusività sostituire alla necessità quasi l’acquisizione di un talento ereditario. Se da un lato, però tale acquisizione non va confusa con l’identità di un popolo o di un ambito geografico12 è pur vero che in quest’ultimo sembrano convivere, tra anteguerra e postmodernismo, i modelli della casa-famiglia rurale13 e l’uso della territorializzazione come diritto del singolo che, sulla coppia lecito/illecito, ha eretto un modello culturale che associa al concetto di abuso quello di legittimità. La sedimentazione di un tale modello ha fatto sì che la pratica dell’abuso edilizio si sia articolata al punto da potersi declinare in rapporto alle
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Abitare in calabria (Venera Leto)
condizioni sociali, economiche o politiche e alla base della casistica, che ha per assunto la causa del costruire illegale, emergono posizioni che vedono le logiche economiche e di necessità affiancate all’espandersi delle organizzazioni mafiose. Strettamente connesso alla precarietà economica l’abusivismo “per necessità” si associa ad uno spontaneismo che ha come scopo intimo il costruire: il bene illecito è destinato all’autoconsumo e muove da strategie di sopravvivenza14.Tale tipo di abuso, che si estende anche ai contesti interessati dai fenomeni migratori, è visto, nei fatti, come l’unico possibile accesso alla casa per quei gruppi esclusi dalla distribuzione garantita delle risorse e lo scaturire da un bisogno fa sì che attorno ad esso si sia codificata una legittimità del costruire, anche se illecito. In merito alle correnti migratorie ritenute, in passato, tra le cause15 dell’abusivismo nazionale va evidenziata la profonda differenza tra quelle seguite al decollo industriale e l’attuale, alla quale potrebbero imputarsi i citati abusi per necessità. Ancor di più la responsabilità delle prime appare inappropriata se localizzata in ambito meridionale poiché la stagione che ha dato vita all’altra tipologia di abuso, detto di “convenienza”, si concentra negli stessi ambiti geografici serbatoi di tali migrazioni16. Essa, piuttosto, ha implicazioni economiche in quanto, nel momento in cui si viveva la
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rinascita e si risparmiava parte dello stipendio proveniente da fabbriche distanti, il mattone fu l’investimento più confacente alla cultura dell’abitare ereditata da Cattaneo: era la famiglia che investiva nella casa, non più per necessità ma per garantirsi quel futuro che, nel tempo, si trasformò nel surplus di cubatura messo a reddito o accantonato per gli ampliamenti della cerchia parentale1 . Il costruire illegale, inoltre, supportava le microeconomie locali contenendo i costi di costruzione, misurando i tempi di esecuzione sulle risorse e dando lavoro a manodopera irregolare. Alle logiche di “necessità” e “convenienza”, negli anni 70 si associano altre due variabili: una legata alla speculazione e l’altra “necessaria” alla sopravvivenza della criminalità organizzata. Nel primo fenomeno il legame tra abuso e paesaggio come bene economico è strettissimo in quanto l’illegalità supera lo stato di necessità attraverso la monetizzazione della specifica ubicazione geografica. E’ il caso delle centinaia di edifici che invadono gli ambiti notevoli del Sud: lottizzazioni per case-vacanza, strutture alberghiere o lidi balneari che hanno superato la loro bruttezza e invasione violenta conquistando la ribalta come “ecomostri”. A differenza della precedente, specifica di alcune tipologie edilizie, la seconda variabile, invece, attraversa l’intero ciclo costruttivo, intercetta tutte le tipologie ed ha un impatto devastante sull’ambiente. Con la nascita dell’ “ecomafia”, infatti, l’illecito edilizio si assocerà al traffico dei rifiuti e al ciclo del cemento. Cambiano, inoltre, i soggetti attuatori, non più piccoli proprietari/ costruttori ma imprese edilizie a loro volta abusive che frodano il fisco, sfruttano manodopera illegale e invadono aree di particolare pregio. Escludendo i casi di abuso speculativo c’è da chiedersi, comunque, perché nel sud d’Italia la necessità dell’abitare si sia espressa così ampiamente in forma illegale. Pur confutando il luogo comune che vede l’abusivismo come una insofferenza alla norma propria del popolo meridionale, è impossibile non imputare tali devianze a precisi modelli culturali che hanno avuto uno stretto legame con il massacro del territorio ma, ancor prima, indirizzato il singolo o i più verso l’illegalità. Se da un lato, infatti, a livello privato l’abuso si concretizza in vantaggio economico, dall’altro non è da escludere che la mancata aderenza legislativa alle singole esigenze, le complessità procedurali e la “non cultura del controllo”18 , pur non traducendosi in atto abusivo, ne abbiano agevolato il proliferare. Per quanto concerne
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la distanza tra legislazione e cambiamenti sociali, spesso la materia giuridica regola tardivamente modalità già acquisite e la norma si mostra di difficile interpretazione ed esecuzione nonché immobile delle procedure. Non meno complesso appare il problema legato al controllo quando alla “non verifica”, che rende superflua anche l’osservanza dei vincoli minimi, si associa la cecità istituzionale avuta nei confronti delle cosiddette, appropriatamente, “case fantasma”. Non avendo interesse ad autodocumentarsi, l’abusivismo si è spesso assestato su un piano d’ombra e rimozione che ha restituito idee di città e territorio più consone alle Istituzioni che li governano19. In più, nel costruire illegale per necessità, lo stesso ha rappresentato la salvezza per molte famiglie e quindi, paradossalmente, cecità o rimozione si sono rese necessarie a colmare le lacune politiche rispetto al tema dell’abitare20 . Tale atteggiamento ha indotto sia il perseverare del ritardo normativo in quanto il problema della casa si risolveva autonomamente e sia l’ulteriore distacco tra legge e realtà alimentato dal tollerare piccoli abusi imputati alla inadeguatezza o astrusità della norma21. Se la tolleranza all’illegalità esentò lo Stato dall’investire sulle politiche abitative, un effetto a catena investì, infine, gli Enti locali coinvolti nel controllo del territorio e i professionisti: i primi sfruttarono il silenzio che avvolgeva l’abuso in chiave di consenso politico usando alcuni strati sociali come serbatoi elettorali22 ; i secondi, nell’interesse dei clienti, lo cavalcarono contro l’immobilismo amministrativo e la non rispondenza legislativa. Nell’insieme tutto ciò ha diffuso una cultura della legittimazione fondata sull’assenza di controllo e, nella distorta simbiosi tra illecito e legittimo, individualmente la punibilità economica o penale è stata vissuta come inferiore ai vantaggi ottenuti. A livello collettivo, però, la legittimazione ha avallato il disconoscere l’abuso come aggressione ai beni comuni divenendo specchio di un senso non sviluppato per la cosa pubblica che spinge a distruggere un bene, quale il paesaggio, senza apparente valore tangibile. Seppur derivanti da bisogni o interessi privati, gli abusi per necessità e convenienza hanno avuto su paesaggi e territori la stessa ricaduta provocata da quelli a carattere speculativo. Entra qui in gioco l’elemento che contraddistingue, negativamente, la postmodernità e riconducibile alla territorializzazione come atto di appropriazione dello spazio geografico.
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Vivere e costruire (Venera Leto)
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La presa di possesso di spazi piuttosto che di superfici, considerate come mero ingombro al suolo, supera, infatti, la singola responsabilità invadendo un ambito più ampio che investe quel “bene comune” che è il territorio. Sancito nella legislazione italiana come “disobbedienza amministrativa”23 il fenomeno dell’abusivismo solo a partire dall’8524 fu inteso come atto contro il paesaggio e l’ambiente e contestualmente si pensò che sanare l’illegale riuscisse a frenarne la costante aggressione. In realtà, invece, i condoni che seguirono non solo non lo sconfissero ma ebbero ripercussioni sia sul profilo socioculturale e sia su quello paesaggistico e ambientale. Quello che si ottenne fu, infatti, una sorta di “illegalità ad orologeria”25 poiché ad ogni scadenza corrispose l’accelerazione del costruire contro norma e la percezione di una sorta di “vendita di indulgenze”26 innescò l’attesa del loro ripetersi per cui, ancora oggi, il territorio è aggredito da un abusivismo che potrebbe dirsi “abituale”. In relazione ai problemi legati alla cultura del paesaggio come bene comune, infine, i condoni innescarono tutta l’ambiguità tra “liceità del costruire” e “legalità giuridica”. Se, infatti, migliaia di abusi furono resi legali dal punto di vista giuridico-amministrativo, nella maggior parte dei casi nessun giudizio si espresse sulla legittimità di una edificazione che, per quanto regolarizzata, danneggiasse il patrimonio naturale. Solo nel 200327 si riservò, formalmente28 , maggiore attenzione al contenimento della sua diffusione con il rafforzamento della politica delle demolizioni e l’istituzione dell’Osservatorio nazionale dell’abusivismo edilizio: quest’ultimo non fu mai attivato e la prima è stata usata, il più delle volte, come atto mediatico, contro i citati “ecomostri” puntuali e non le migliaia di “case fantasma” e case legalizzate che popolano il Meridione. In Italia la pratica della demolizione si è sempre intrecciata all’istinto conservativo che frena qualsiasi atto di resilienza e il ritenerla strumento di rigenerazione del territorio e del paesaggio meridionale richiede ancora profondi cambiamenti dell’intero ambito culturale di cui il patrimonio costruito è solo un aspetto. Alla stessa si è sempre associato uno stato di eccezionalità estraneo alla fisiologica modificazione del corpus urbano o extraurbano e i casi degli “ecomostri” sono stati le cartine tornasole di un processo conservativo che, da nord a sud e anche per le connivenze politiche citate, manifesta una riluttanza raramente tradottasi in reali trasformazioni fisiche.
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Nonostante ciò le riflessioni sulla necessarietà e possibilità della demolizione sfociate nella norma del 2003 hanno segnato il riconoscimento della sua appartenenza al normale processo di trasformazione e rigenerazione. Già nel 2002 con lo slogan “Demolire per Ricostruire”29 era stata indicata come strumento di possibile rinascita dimostrando che molti dei temi sollevati negli anni dal dibattito disciplinare erano stati recepiti e riformulati sia come domanda al corpo sociopolitico e sia come risposta in termini di prassi e gestione. La si individuava come strumento utile al ripensamento della città diffusa e al risarcimento delle effrazioni compiute nei confronti del paesaggio e si dava atto di aver introiettato le tendenze che la vedevano come “auto-riparazione” del danno subito dai territori testimoniando uno status culturale modificatosi nel tempo. Da un punto di vista disciplinare, fino agli anni ’90, le teorie sullo strumento della demolizione erano riferite ai processi di trasformazione urbana ed investivano la componente urbanistica che attribuiva al binomio sottrazione/demolizione un carattere “esplorativo” e “decisionale”30 . Era abbastanza evidente, però, come la paura di perdita identitaria e l’eccesso di conservazione impedissero le fisiologiche trasformazioni per le quali “lo sviluppo di una citta, anche il più pacifico, include demolizioni e sostituzioni”31 . Tali paure ed eccessi sembrano storicizzarsi dopo le distruzioni belliche quando l’istinto conservativo riservato all’antico prese il sopravvento avviando le politiche di tutela che produssero sia le sacche periferiche destinate alla cubatura utile al boom edilizio, sia il progressivo degrado dell’oggetto preservato, sia esso monumento o centro storico. Il tema della periferia è tuttora oggetto di dibattiti che investono la disciplina, il sociale e il politico ma la massa di costruito residenziale espulso dai centri storici, propria degli anni ‘60/’70, nella metropolitanità meridionale appare come città diffusa, non “altro” rispetto al bene della conservazione ma quasi totalità del patrimonio architettonico, territoriale e paesistico. Le riflessioni degli urbanisti degli anni ’90, incentrate sull’uso della demolizione come atto di trasformazione o conseguenza della obsolescenza della città mostravano la totale incapacità dell’Italia conservatrice di aver cura del proprio patrimonio, ed è proprio su tale incapacità che si innesta quello che, nel passaggio da edifico a territorio, potremmo dire un sillogismo scalare che ben si addice al paesaggio meridionale inteso come bene culturale.
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Versus paesaggio (Venera Leto)
Come avvenuto nel periodo della ricerca sulla “casa per tutti”, anche la presa di coscienza collettiva del 2003 che assegna alla demolizione il risarcimento delle effrazioni subite dal paesaggio prende le mosse da anticipazioni teoriche, anche se del decennio precedente. In quegli anni, infatti, “Casabella”32 sollecitava riflessioni sul paesaggio fisico italiano e la sua interpretazione culturale osservandone il declino, facendone emergere la crisi e rilanciando l’ipotesi della demolizione come risarcimento di ferite trentennali33 . Il dato emergente era quello di un territorio alterato non tanto nei caratteri originari quanto in quelli antropizzati e se la città in crisi sembrava voler affidare al paesaggio le ipotesi di crescite future, appariva urgente risarcirlo e da questo ripartire in quanto memoria radicata e multi rappresentata. Siamo negli anni novanta pur guardando all’immaterialità del corpo architettonico, si affermano le richieste qualitative in opposizione alle quantità costruite ponendo la sostenibilità ambientale alla base delle scelte progettuali. Il decennio si apre con un nuovo sguardo al paesaggio e si avvia una riflessione sulla coppia demolizione/sottrazione34 diversa dalla declinazione di “rottamazione edilizia” che aveva contraddistinto gli inizi. Ancora una volta il dibattito teorico anticipa la presa di coscienza collettiva assegnando all’atto demolitorio caratteristiche di necessità/possibilità e
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gli scritti dell’epoca, paradigmatici della condizione posturbana, invitano a ripensare la citta diffusa alla luce delle trasformazioni indotte da processi additivi piuttosto che sottrattivi. Città e paesaggio sono ormai inscindibili nella comune perdita di identità e oltre ad affermare l’idea di demolizione come necessaria si intravede l’essenza della distruzione come insita nella condizione post-urbana35 . Ci si interroga in cosa il gene “distruttivo” sia diverso da quello narrato da Benjamin36 come icona della modernità e si riconosce al nuovo una velocità di dismissione e consumo che lascia alle spalle quantità di rottami. Da quel momento in poi affrontare e accettare la città diffusa non significherà, quindi, cancellarne la potenzialità né rimpiangere la forma urbis originaria ma usare la demolizione come selezione degli strati e come attesa implicita del corpo costruito. Se il vuoto è stato il protagonista della modernità, la demolizione operata all’interno dell’entropia post-urbana assume un analogo potenziale evocativo e suggestivo. Il dimesso, l’abbandonato, il non finito si presentano traboccanti di materia costruita, storia sociale e impiantistica obsoleta: “macchine” della modernità che, come rottami, abitano una forma urbis diffusa e spalmata su ampie porzioni di territorio costruendo nuovi e instabili paesaggi. Se è possibile affermare che a partire dalla fine degli anni ’90 sono maturate le ancora attuali riflessioni sul rapporto tra demolizione, città diffusa e paesaggio sfociate in testi e decreti legge, allo stesso modo bisogna registrarne la rarissima e faticosa attuazione nonostante il campo di applicazione possa definirsi come il prototipo dei citati paesaggi costruiti sui “rottami della modernità”37 . Sono i nostri, infatti e come abbiamo visto, territori precari, eretti sull’abuso, sui ruderi del non finito e del vuoto cui si sommano manufatti in attesa di economie mai attivate, opere pubbliche abbandonate e beni confiscati: una città diffusa popolata di scarti che invadono corpus urbano e paesaggio. Come non pensare, quindi, che tale corpus possa “auto-ripararsi” solo attraverso un processo di resilienza che attivi il carattere distruttivo della condizione postmoderna affidando allo strumento della demolizione il compito di risarcirne e metterne in luce gli strati complessi? La paradossale condizione che ha visto sanare territori totalmente illegali sfociata in diritti acquisiti di proprietà, sicuramente è una delle cause della difficoltà di applicazione della pratica demolitoria intesa come sottrazione
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necessaria alla rigenerazione. Allo stesso modo il perenne bisogno di casa farebbe pensare a processi additivi che appaiono inappropriati alla luce della quantità di cubatura pubblica o semipubblica inutilizzata. La ricerca di nuove forme dell’abitare, infine, richiederebbe strumenti e forme adeguate alle mutate condizioni della postmodernità e nelle quali anche l’idea di “precario” assume nuovi significati. Nell’ottica di politiche atte alla rigenerazione di paesaggi compromessi e, contestualmente, al mantenimento del bisogno di abitare, la tecnica del riciclo della cubatura, attraverso la pratica della compensazione già inserita nella legislazione urbanistica, appare come una strategia possibile sia per l’attivazione di una demolizione guidata delocalizzando la proprietà, sia come variazione di destinazione d’uso di immobili abbandonati, sia, infine, come tecnica di sperimentazione disciplinare legata alle nuove necessità dell’abitare. Il tutto, però, solo a seguito di un profondo cambiamento culturale che segni il passaggio dal singolo al collettivo. Note 1. cfr. Rossi P. O. (1989), Una "casa per tutti". Un tema di riflessione per gli architetti italiani negli anni della seconda guerra mondiale, in "ArQ", Quaderni della sezione "Sperimentazione progettuale" del Dipartimento di Progettazione Urbana dell'Università "Federico II°" di Napoli, n°. 2, dicembre 2. Purini F. (1985), Un' "Educazione sentimentale" all'architettura: la scuola romana dai primi anni sessanta agli anni ottanta, da "Lezioni e dibattiti al Corso di Dottorato di Ricerca AA. 1983-84", n. 8, Venezia, in F. Moschini, G. Neri, (a cura di), "Dal progetto. Scritti teorici di Franco Purini 1966-1991", Roma 1992, p. 227 3. Tafuri M. (1986), Gli anni della ricostruzione, in Storia dell'architettura italiana, 1944-1985, Torino, p. 22 4. ibidem 5. cfr. Purini F., op. cit., p. 230 6.crf. Harvey D. (1993), La crisi della modernità, il Saggiatore, Milano, (ed. orig. 1989) e Lyotard J. F. (2008) La condizione postmoderna. Rapporto sul sapere, Feltrinelli, Milano, (ed. orig. 1979). 7. Magnaghi A. (2010), Il progetto locale. Verso la coscienza di luogo, Bollati Boringhieri, Torino, p. 17 8. Turco A. (1988), Verso una teoria geografica della complessità, Unicopli, Milano, p. 15 9. Raffestin C. (1981), Per una geografia del potere, Unicopli, Milano, p. 150 10. cfr. Destro N. (2013), Geografia delle case deboli. Oltre l’abusivismo edilizio, tesi di dottorato presso la Scuola di dottorato in Scienze Storiche, indirizzo “Geografia umana e geografia fisica”, Dipartimento di Scienze storiche, geografiche e dell’antichità, XXV ciclo, Università
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degli Studi di Padova, in http://paduaresearch.cab.unipd.it/5665/1/Destro_Nicola_ tesi.pdf 11. cfr. Minervino M. F. (2010), Statale 18, Fandango Edizioni, Isola di Liri 12. Bellicini L. (1997), Appunti per uno scenario, in “Urbanistica informazioni”, n°. 108, p. 9 13. Cattaneo C. (1942), La casa famiglia per la famiglia cristiana, in "Domus" n°. 180, pp. 501/502 14. cfr. Clementi A., Perego F. (1983), Abusivismo, una sfida per l’urbanistica, in “La metropoli "spontanea"/ Il caso di Roma”, Edizione Dedalo, Bari 15. Predieri A. (1985), Abusivismo edilizio e nuove sanzioni, Nuova Italia Scientifica, Roma, p. 22 16. Clementi e Perego, 1983, p. 33 17. Destro, op. cit., p. 124 18. Destro, op. cit., p. 124 19. cfr. Clementi e Perego, op. cit 20. Soffritti C. (1985), in R. Comini e G. Delfini, (a cura di), Abusivismo edilizio, in “Atti del Convegno, Ferrara 29-30 settembre 1984, Camera Penale dell’Emilia Romagna”, Bologna, p. 5 21. Delfini, in Comini R., Delfini G. (1985), (a cura di), Abusivismo edilizio, in “Atti del Convegno, Ferrara 29-30 settembre 1984, Camera Penale dell’Emilia Romagna”, Bologna, p. 145 22. De Chiara A. (1989), L’abusivismo edilizio nelle aeree urbane. Il caso Napoli, CEDAM, Padova, p. 68 23. L. Urbanistica n. 1150/42 24. L. Galasso n. 431 25. Destro, op. cit., p. 105 26. Santoloci M. (2001), La Corte costituzionale: impossibile la concessione in sanatoria per gli abusi in aree vincolate, in “Rivista penale”, n. 3, p. 526 27. DL. 326/2003 28. Zanfi F. (2008), Città latenti Un progetto per l’Italia abusiva, Bruno Mondadori, Milano, p. 58 29. cfr. INU, Ance, Legambiente, F.in.co., Federabitazione - Confco operative, Federcasa Aniacap e Ancab - Legacoop (A.a V.v), 2002, Politiche e progetti per rinnovare la città - Relazione al convegno del 28 maggio 2002, Stabilimento Tipografico Graffietti Stampati, Roma 30. Gabrielli B., Il progetto della demolizione, in A. Terranova, A. Criconia, A. Galassi, ( a cura di), Il progetto della sottrazione, Palombi & Partner, 1997, pp.43/44 31. cfr. Freud S., Disagio della civiltà, Bollati Boringhieri, 1985 32. cfr. Il disegno del paesaggio italiano, "Casabella”, 1991 n. 575-576 33. Purini F., Un paese senza paesaggio, in "Casabella", op. cit., pp. 40/47 34. cfr. A. Terranova, A. Criconia, A. Galassi, ( a cura di), op. cit. 35. cfr. Ilardi M., Il carattere distruttivo nell’era della citta senza luoghi, in A. Terranova, A. Criconia, A. Galassi, ( a cura di), op. cit., pp. 36/39 36. cfr. Benjamin W., L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica, Einaudi, Torino 1966 37. cfr. Ilardi, M., op, cit.
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Angelo Maggio, NFC (Non Finito Calabrese)
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Angelo Maggio, NFC (Non Finito Calabrese)
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Angelo Maggio, NFC (Non Finito Calabrese)
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Angelo Maggio, NFC (Non Finito Calabrese)
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RICICLARE TERRITORI FRAGILI PESCARA 9-10 OTTOBRE 2013 LABORATORIO 02_TREASUREHUNT>>RE-CYCLEHUNT MOMENTI DI CONFRONTO SUL TEMA DELLA RIGENERAZIONE DEI QUARTIERI DI EDILIZIA PUBBLICA
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Tesi "Eco-Borgo La Martella. Abitare un‘infrastruttura ambientale a Matera" (Massimo Loia)
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MATERA, A PROPOSITO DI LA MARTELLA E SPINE BIANCHE Ettore Vadini >UniMA
La storia dell’architettura italiana della seconda metà del Novecento ci ricorda che il Bel Paese ha pagine importanti sull’housing, cioè sui quartieri di edilizia pubblica (e sulla progettazione partecipata), finite nell’indifferenza fino a pochi anni fa, di grande interesse oggi verso la ricerca di soluzioni sostenibili ai problemi urbani. Trattasi, molto spesso, di opere minori del tardo Moderno, architetture parallele e a volte antagoniste a quelle celebrate, dimenticate o abbandonate che però è possibile-forse necessario-far riaffiorare dalle pieghe di quest’epoca di crisi, così complessa e contraddittoria, per tutta una serie di motivi ancora inespressi. Sono edifici e spazi pubblici assolutamente da riportare in luce perché importanti testimonianze della nostra storia sociale e culturale ma anche inaspettati modelli (sostenibili) dell’abitare a cui guardare. Così, da alcuni anni, viste la bolla immobiliare mondiale e le scarse risorse finanziarie, almeno la ricerca e la didattica universitaria se ne sta occupando con responsabilità fino a spingersi ad anticipare alcune interessanti visioni (processi) di rigenerazione nelle nostre cittàpatrimonio. A Matera-città-laboratorio per la sperimentazione architettonica e urbana negli anni Cinquanta, città-patrimonio UNESCO dal 1993 e Capitale Europea
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Tesi "Eco-Borgo La Martella. Abitare un‘infrastruttura ambientale a Matera" (Massimo Loia)
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della Cultura nel 2019-il Laboratorio di Laurea “Moderno trascurato”1 lavora in questa direzione di ricerca collezionando i primi risultati utili a un Dipartimento e una Università2 che con la Terza Missione vuole interrogarsi sul significato, sullo stato e sulle opportunità latenti di borghi e quartieri nati in una particolare stagione della Basilicata. La scelta del Laboratorio di occuparsi inizialmente dei borghi e dei quartieri materani, realizzati grazie a una Legge speciale3 per lo sfollamento dei Sassi, discende da una ragione oggi fin troppo evidente e denunciata dagli abitanti stessi: lo stato di degrado e abbandono in cui versano molti di questi palinsesti della storia moderna della città che richiedono, appunto vista la loro particolare origine, indagini prima e progetti di rigenerazione/riqualificazione dopo. Matera, da un certo punto di vista, torna ad essere un luogo eccezionale per la sperimentazione architettonico-urbana e di un particolare modo di abitare. I temi principali da cui partono i progetti di tesi5, anche quelli che qui saranno presi ad esempio, sono perciò legati agli usi contemporanei della residenza popolare e dello spazio pubblico. Ciò che accade intorno allo spazio-casa e agli spazi di relazione extradomestici, difatti, sono sempre i primi registri dei cambiamenti di una società. Oggi, d’altra parte, in particolar modo intorno all’edilizia residenziale pubblica, è nota la domanda di chi cerca una casa popolare, non potendo accedere all’offerta dello spaventoso lotto immobiliare invenduto, ma sono note anche le difficoltà di chi è preposto alla gestione del nostro patrimonio immobiliare pubblico. Emerge poi che aldilà delle oggettive e salutari funzioni economico-finanziarie dell’edilizia pubblica-anche riqualificata-sul mercato immobiliare4, l’aspetto più interessante di questi contesti sta per assurdo in ciò che non è facilmente misurabile, nella qualità urbana, come nei borghi e nei quartieri di Matera, e in quel ruolo educativo che potrebbero riassumere questi straordinari spazi dell’abitare verso la costruzione di una società ecologica che non dovrebbe più consumare suolo. Per tali ambiziosi obiettivi, ovvero tendere a ciò che Quaroni chiamava qualità diffusa, occorre innanzitutto coltivare una sempre maggiore cultura dell’abitare sostenibile, mediante la partecipazione, affinché questa nel tempo diventi risorsa specie in quelle comunità che abitano lo spazio pubblico, anch’esso un patrimonio. Ma la pratica della progettazione partecipata, come avvenne con l’operazione olivettiana per la Martella, si genera da una volontà, non da una condizione legislativa; dunque solo la sensibilità degli attori principali, committente
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o progettista, oggi potrebbe ancora attrezzare un simile tavolo sinergico. La partecipazione, come diceva Giancarlo De Carlo, “è un processo di grande impegno e fatica” perché significa far assumere ai futuri utenti e agli esperti di altre discipline affini al progetto un ruolo attivo nei processi decisionali riguardo le trasformazioni urbane. Così com’è stato utile per queste tesi all’inizio, occorre andare a guardare fuori dai nostri confini nazionali per capire l’importanza e il valore culturale di tante testimonianze architettoniche e urbane del dopoguerra; serve confrontare le varie vicende estere tardo-moderne con quella pagina, assolutamente da riaprire, dell’architettura italiana che è anche un interessante spaccato politico, economico e sociale del nostro Paese. È la stagione che va dai primi anni ’50 alla fine degli anni ‘60 dove troviamo straordinari esempi di interventi pubblici a misura d’uomo, anche se con ideologie diverse di città, realizzati nelle piccole e grandi città italiane: opere maggiori, come a Genova con Daneri, a Torino con Gabetti e Isola, a Milano con Asnago e Vender, il gruppo BBPR, Albini, a Roma con Libera, De Renzi, Ridolfi, Moretti, ecc.., e opere minori come accadde a Ivrea col quartiere di Canton Vesco, a Terni col villaggio Matteotti e a Matera con la Martella e Spine Bianche, giusto per attraversare tutta l’Italia. I progetti di tesi per il rione Spine Bianche e per il borgo la Martella partono perciò da un processo partecipativo che ha visto coinvolti gli stessi abitanti attraverso un questionario, a loro sottoposto, con quesiti che hanno indagato prevalentemente quattro aspetti: quello socio-economico, quello riguardo il rapporto con l’alloggio, col quartiere e quello più generale con la città di Matera. Questo metodo partecipativo gli antropologi lo definirebbero “osservazione partecipante” o “conoscenza prassiologica” avendo previsto la presenza del progettista nel contesto di ricerca e interagito con gli attori sociali per negoziare con essi i significati delle pratiche. L’interpretazione delle risposte in circa 50 questionari raccolti per ogni tesi, ha portato a conclusioni in parte anche inaspettate, che sono poi diventate le linee guida dei progetti. Il progetto “Riabitare il Moderno. Un’indagine e un progetto di riqualificazione per il Rione Spine Bianche a Matera”, oltre le indicazioni provenienti dagli abitanti, fa una considerazione preliminare che può essere definita fondamentale, ossia opera un riconoscimento di quelli
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Tesi "Eco-Borgo La Martella. Abitare un‘infrastruttura ambientale a Matera" (Massimo Loia)
che sono gli elementi caratterizzanti del quartiere e la loro stretta interrelazione, ritornando così alle intenzioni del progetto originario del gruppo coordinato da Carlo Aymonino6 . Essi sono le quattro tipologie abitative, i servizi, il piano verde lievemente inclinato e caratterizzato da grandi alberature, la maglia dei percorsi e degli spazi pubblici. Questo progetto attraversa diverse scale, in primo luogo quella urbana proponendo un nuovo elemento di connessione di tipo ecologico costituito da una pista ciclabile, ad integrazione di quelle già esistenti o in fase di realizzazione intorno al rione. Lungo il suo sviluppo, questa nuova mobilità, interseca tutta una serie di attività, servizi e spazi che fungono da poli attrattori ivi comprese le aree verdi di Spine Bianche e si distingue per due livelli: uno di attraversamento e l’altro di penetrazione. A questi assi vengono affiancati poi una serie di nuovi elementi di progetto (piastre attrezzate, spazi per l’agricoltura urbana, pensiline di protezione dei percorsi) o elementi preesistenti riciclati (aree verdi, parcheggi). Dalle diverse aggregazioni di tali elementi scaturiscono dunque diverse realtà spaziali e funzionali che vanno a riconfigurare in maniera univoca le
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corti degli edifici residenziali. Il progetto per il mercato rionale e della piscina, a cavallo tra il rione Platani e il rione Spine Bianche, trae le sue origini dall’attenta lettura del sito in cui è posto. Questo spazio residuale, attraversato diagonalmente da Via Manzoni, è caratterizzato da un terreno in lieve pendenza, punteggiato da alberi, da dove si ha una percezione pressoché completa dei piani sequenziali paesaggistici del rione. Il progetto si configura proprio con l’obiettivo principale di conservare questa sequenza di piani visivi, di orientamento spaziale, e allo stesso tempo, attraverso i nuovi spazi per i servizi, di attrezzare e connettere i due rioni. A tal fine, il progetto propone una geografia artificiale concepita attraverso la sezione e definita mediante due operazioni: uno scavo, come nella tradizione locale, e due coperture libere ai lati. Il primo è la formalizzazione di una riflessione sulla relazione tra suolo e costruzione, dove quest’ultima si concentra completamente nel sottosuolo prendendo la forma di slarghi e piazze circondati da spazi ipogei che accolgono il programma funzionale. La riflessione tra edificio e natura, attraverso un’operazione tettonica, non è altro che una reinterpretazione della tradizione costruttiva locale.
Tesi "Riabitare il Moderno. Un’indagine e un progetto di riqualificazione per il Rione Spine Bianche a Matera" (Simone Cavallo)
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Il progetto “Eco-Borgo La Martella. Abitare un’infrastruttura ambientale a Matera”, rappresenta una proposta di rigenerazione di uno straordinario ambito agro-urbano attraverso la valorizzazione di aree abbandonate, sotto utilizzate o in dismissione, per ricondurlo a uno stretto rapporto tra città e campagna come immaginava il suo ispiratore, Adriano Olivetti, e il suo progettista, Ludovico Quaroni7 . Qui si parte dall’assunto che l’ambito di intervento non riguardi il solo borgo, ma un sistema territoriale più vasto, ovvero un paesaggio identitario in cui il dominio della campagna (lo spazio della produzione agricola) è altrettanto importante quanto il dominio della città-giardino (lo spazio della comunità). La strategia progettuale prevede quindi interventi alla scala architettonica, nel borgo, interconnessi a un corridoio ecologico (fatto di campi coltivati) che viene impostato a cavallo della strada provinciale n.8 in fase di declassamento dato che a nord del borgo è in costruzione la bretella stradale “SS 655 Bradanica” che di fatto la sostituirà. Insieme, le due scale d’intervento, affrontano il tema di un’infrastruttura ambientale abitata. Basato sul modello delle greenways, ma anche sull’idea originaria del borgo, il sistema vuole promuovere la creazione di una innovativa e qui
Tesi "Riabitare il Moderno. Un’indagine e un progetto di riqualificazione per il Rione Spine Bianche a Matera" (Simone Cavallo)
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favorevole rete ecologica con al centro la Martella, rigenerata, connessa alla città di Matera, caratterizzata da una produzione agricola biologica strettamente connessa alla vendita in situ dei prodotti, da una mobilità lenta (ciclo-pedonale e su rotaia), da una produzione di energia rinnovabile sufficiente per il borgo. L’intero progetto contempla i suoli agricoli, le aree urbanizzate, quelle costruite e quelle mai costruite verso una necessaria ricucitura tra scale (architettonica-urbana-paesaggistica) per un possibile nuovo sviluppo economico e sociale basato sul concetto olivettiano casalavoro-comunità. Su un’area abbandonata al centro del borgo, in particolare, è posizionato il mercato per i prodotti agricoli a Km0 e un edificio multifunzionale. Anche l’aspetto formale del sistema campi-mercato-edificio lavora per ricondurci a un “disegno” originario, all’interno del quale l’agricoltura gioca un ruolo importante, dotando la comunità di quei necessari spazi e servizi per l’attivazione di una filiera corta e biologica agro-alimentare. È più un mercato-piazza perchè ha anche la funzione di luogo per la socializzazione e l’integrazione: agricoltori, commercianti e cittadini si ritrovano ogni giorno per vendere direttamente i propri prodotti, promuovendo e valorizzando allo steso tempo le specie agro-alimentari locali. Strettamente legato al mercato e alle attività viene previsto un edificio multifunzionale, destinato a uffici e residenze speciali, che si sviluppa come un blocco a ballatoio, che risponde col primo livello alle necessità amministrative e con i livelli superiori alle necessità abitative dei lavoratori stagionali con alloggi flessibili a basso costo. Questo progetto prevede l’innesco di un’alleanza tra reti sociali consapevoli aventi come scopo la crescita di una cultura della terra, contadina. La coltivazione e la vendita di prodotti agricoli biologici, il riuso
Tesi "Riabitare il Moderno. Un’indagine e un progetto di riqualificazione per il Rione Spine Bianche a Matera" (Simone Cavallo)
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degli spazi periferici, l’inserimento dei servizi alla produzione d’interesse sovracomunali, sono risposte concrete per la rinascita di La Martella che la storia dell’architettura ha quasi dimenticato.
Note 1. La denominazione “Moderno trascurato” del Laboratorio di Laurea all’interno dei corsi di laurea in Architettura e Ingegneria Edile-Architettura (quest’ultima ad esaurimento) è ripresa dal titolo di uno storico Convegno Internazionale di studi che si tenne nel maggio 2001 presso la Facoltà di Architettura di Pescara, curato da C. Andriani e G. D'ardia. 2. Il “Dipartimento delle Culture Europee e del Mediterraneo: Architettura, Ambiente, Patrimoni Culturali (DiCEM)”, multidisciplinare, è la prima “struttura primaria” nata a Matera (2012) dell’Università degli Studi della Basilicata (1982) a seguito della riforma “Gelmini”. 3. Trattasi della Legge n.619 del 17 maggio 1952 “Risanamento dei rioni dei Sassi nell’abitato del comune di Matera”. Fino al 1965 furono realizzati i seguenti borghi e quartieri previsti dalla suddetta Legge: Borgo rurale “La Martella”, Borgo rurale “Venusio”, Borgo rurale “Picciano”, Borgo semirurale “Agna”, Quartiere “Serra Venerdì”, Quartiere “Lanera”, Quartiere “Spine Bianche”. 4. Difatti gli studi di economia urbana dimostrano che l’edilizia residenziale pubblica ha la funzione non trascurabile di calmierare i prezzi degli alloggi. 5. Le Tesi di Laurea Magistrale in Ingegneria Edile-Architettura dell’Università degli Studi della Basilicata sono nell’ordine: “Riabitare il Moderno. Un’indagine e un progetto di riqualificazione per il Rione Spine Bianche a Matera” di Simone Cavallo, relatore Prof. arch. Ettore Vadini, A.A. 2011/12; “Eco-Borgo La Martella. Abitare un‘infrastruttura ambientale a Matera” di Massimo Loia, relatore Prof. arch. Ettore Vadini, A.A. 2011/12; “Convertible Village: 1951-2014. Permanenze, trasformazioni e sviluppo sostenibile del borgo La Martella” di Maristella Quinto, relatore Prof. arch. Ettore Vadini, A.A. 2013/14. 6. Chiuso il concorso di progettazione (1955), il progetto finale per Spine Bianche fu coordinato da C. Aymonino con C. Chiarini, G. De Carlo, M. Fiorentino, M. Girelli, F. Gorio, S. Lenci, M. Ottolenghi, S. Sangirardi, H. Selem , M. Valori. 7. Il progetto de la Martella (1951) fu coordinato da Ludovico Quaroni con Federico Gorio, Luigi Agati, Pier Maria Lugli e Michele Valori.
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"UNA QUESTIONE MERIDIONALE" SERGIO CAMPLONE
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Matera, Rione San Pardo, Sergio Camplone Š 2015
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Matera, Rione San Pardo, Sergio Camplone Š 2015
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Matera, Borgo La Martella, Sergio Camplone Š 2015
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Matera, Borgo La Martella, Sergio Camplone Š 2015
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Matera, Rione Spine Bianche, Sergio Camplone Š 2015
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Matera, Rione Spine Bianche, Sergio Camplone Š 2015
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RE-CYCLE ATER LA CITTÀ PUBBLICA DI PESCARA
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RE-CYCLE ATER FRAMMENTI DI SPAZIO PUBBLICO
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Quartiere San Donato, Pescara
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LA COSTRUZIONE DELL’EDILIZIA RESIDENZIALE PUBBLICA A PESCARA Rosalia Vittorini
>UniTorvergata
La città di Pescara ha, come è noto, una storia recente: provincia di nuova istituzione negli anni del fascismo che ne plasma il centro monumentaleamministrativo, conosce una crescita veloce e tumultuosa a partire dal secondo dopoguerra, crescita generata, in origine, dalla ricostruzione seguita agli ingenti danni bellici. Proprio la ricostruzione si dimostra, in breve, la vera occasione perduta di fondazione della città moderna. Il piano elaborato da Luigi Piccinato è disatteso come il successivo piano regolatore affidato a un gruppo di progettisti sempre guidati dallo stesso Piccinato, adottato nel 1956 e oggetto di continue modifiche e revisioni. “Potevano fare di Pescara, città senza storia, un modello di organizzazione moderna e civile ed invece ne hanno con ogni cura predisposto la decomposizione”, scrive Antonio Cederna quando il piano regolatore che tentava di attribuire un carattere a una città senza radici si infrange contro un misto di “provincialismo, interesse, arretratezza tecnica e culturale” riducendosi a “uno scarabocchio senza né capo né coda, oggetto di scorno e derisione generali”1 che, fra polemiche e infiniti ritardi e rinvii, lascia spazio solo a interessi speculativi. Lo sviluppo urbano procede quindi per provvedimenti puntuali a fini residenziali o infrastrutturali, o per le esigenze imposte dal
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turismo balneare, in assenza di qualunque programma organico, lasciando aperta la questione del Piano Regolatore per i decenni successivi. E in breve tempo, negli anni del boom economico, Pescara da città di piccole case individuali diventa città di case collettive. Quartieri di case Nel panorama dei quartieri e complessi urbani di edilizia pubblica dell’immediato dopoguerra spiccano gli interventi firmati INA Casa2 , il programma che distribuisce sul territorio nazionale ben 355.000 alloggi aggregati in quartieri, piccoli nuclei, borghi, vere e proprie piccole città allo scopo di rispondere alla pressante domanda sociale della ‘casa per tutti gli italiani’. Diversamente dagli altri paesi europei, dove erano attive politiche per la casa fin dai primi decenni del Novecento, in Italia questo tema, nei suoi caratteri sociale, tecnico ed economico, diviene centrale solo negli anni a ridosso della guerra grazie agli appelli di Gio Ponti, Adalberto Libera e Giuseppe Vaccaro per ‘una casa per tutti, anzi per ciascuno’, agli studi sulla teoria e tecnica di distribuzione dell’alloggio ancora di Libera e Vaccaro, alle ricerche di Mario Ridolfi sulla normazione tecnica
Quartiere San Donato, Pescara
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(che confluiranno nel Manuale dell’architetto), alle schede di Il problema sociale, costruttivo e economico dell’abitazione di Diotallevi e Marescotti, alla mostra della VIII Triennale di Milano del 1947 dedicata all’abitazione con la realizzazione del quartiere sperimentale Qt8 di Piero Bottoni. Tutte queste esperienze confluiscono nell’INA Casa (1949-63) che offre alla cultura architettonica italiana l’occasione di confrontarsi con la progettazione della casa per il grande numero e che stimola l’approfondimento di più filoni di ricerca: riflessione sui caratteri dell’alloggio popolare, sperimentazione compositiva su tipologie e sistemi di aggregazione, approfondimento degli aspetti tecnico costruttivi. In linea con il resto del paese, anche a Pescara i nuovi quartieri realizzati nell’ambito del piano INA Casa sono ancora oggi perfettamente riconoscibili per l’“approfondito studio di tutti i particolari tecnici ed architettonici sia dal punto di vista dello sfruttamento edilizio (economia dello spazio) e della costruzione (economia dei materiali e di tempo); sia dal punto di vista umano (studio dell’alloggio sulla base del benessere della famiglia); sia dal punto di vista estetico (valore architettonico generale della produzione)” così come era indicato nel primo degli opuscoli distribuiti dall’ufficio Gestione, che coordina l’attività edilizia,
Quartiere San Donato, Pescara
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agli architetti allo scopo di indirizzarne le scelte progettuali3 . L’Istituto Case Popolari, nel ruolo di stazione appaltante, porta a terminegrazie anche al controllo puntuale degli uffici centrali dell’INA Casa che argina il susseguirsi di varianti, ritardi e vertenze–i nuclei di Viale D’Annunzio (1949, 1950, N. Simeone; E. Montuori), di via D’Avalos (1951, G. Cantamaglia, G. Rapino, A. De Cecco), di via Rigopiano (1951,1952, G. Cantamaglia, G. Rapino) e il più articolato quartiere della Pineta, meglio noto come Villaggio Alcyone (1957-61, P. Castelli capogruppo)4 . In particolare quest’ultimo, seppur fortemente ostacolato dai pescaresi in fase di progetto e poi, a cantiere chiuso, oggetto di seria autocritica da parte dello stesso progettista che rileva una serie di ‘difetti’ (in verità derivanti, per lo più, da mancanze dell’amministrazione comunale), vanta un forte carattere identitario che deriva da una ricerca progettuale analitica. I complessi realizzati fanno riferimento agli schemi suggeriti nei fascicoli della Gestione per quanto riguarda l’inserimento nel tessuto urbano con le connessioni viarie, l’assetto planimetrico con spazi verdi e spazi comuni di relazione, la tipologia edilizia, le artigianali tecniche esecutive. Tutti motivi che attribuiscono a questi quartieri un’indiscussa identità che va ricercata alle diverse scale del progetto: nella relazione
Quartiere San Donato, Pescara
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Quartiere San Donato, Pescara
articolata e variegata tra edifici e spazi, liberi e di percorso, come nella sperimentazione tecnico linguistica che consiste nel rivelare sulle facciate la complessità e l’eterogeneità dell’apparecchio costruttivo con elementi edilizi, strutturali e di finitura interpretati in chiave figurativa. Si tratta di elementi minuti e ordinari, membrature di cemento armato, tetti a falda, campi intonacati a grana e colori diversi, pannelli di pietra o mattone, serramenti di forma e apertura funzionali alla destinazione, logge, balconi, parapetti e recinzioni. Nuovi modelli insediativi Tutte le esperienze successive di edilizia pubblica fanno riferimento a questo passaggio cruciale nella storia dell’edilizia di iniziativa pubblica, ma il modello INA Casa viene via via superato e semplificato mentre la politica per la casa è considerata niente di più che mera politica edilizia (in verità anche il Piano INA Casa, nasce da una legge che ha l’obiettivo di favorire l’occupazione operaia, ma la Gestione è saldamente in mano agli architetti)5 .
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Quartiere San Donato, Pescara
Nel 1954 la politica edilizia governativa prevede l’istituzione di un “comitato di coordinamento dell’attività edilizia svolta col concorso dello Stato” in modo da orientare la stessa verso l’edilizia “popolare e popolarissima”6. L’idea è quella di coinvolgere nella realizzazione dei nuovi quartieri tutti i maggiori enti interessati, compresi i Comuni, allo scopo di elaborare indirizzi comuni. A un comitato ristretto è affidato il compito di avviare il programma di costruzione di 28 quartieri autonomi7. Pescara è una delle città individuate per avviare questa fase sperimentale che ha anche lo scopo di fornire dati sulla convenienza di nuovi metodi, questa volta di carattere industriale, nei procedimenti di progettazione e di esecuzione delle costruzioni. Per il quartiere coordinato di San Donato destinato a 4000 abitanti (coordinatore E. Montuori, capi gruppo M. Pallottini, P. Crisolini Malatesta e lo stesso Montuori) viene scelta un’area a cavallo della via Tiburtina in direzione della zona di sviluppo industriale. Comprende anche servizi e attrezzature collettive ed è progettato come il primo nucleo di un insediamento che potrà nel tempo essere ampliato. Con il quartiere si opta per un complesso anonimo, di grande entità (4000 abitanti): aumenta la dimensione, a vantaggio, secondo i promotori, dei servizi collettivi, e
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diminuisce la cura nella progettazione e nell’esecuzione: “si producono così quartieri “condizionati da incertezze teoriche … e da un insensato sistema organizzativo”8 . Liquidata l’esperienza dell’INA Casa nel 1963 il nuovo programma decennale per l’edilizia pubblica è affidato alla GESCAL (Gestione case per lavoratori). Ma l’azione del nuovo ente è praticamente frenata da regole farraginose fino a risultare inesistente sia in termini quantitativi che qualitativi, ad esempio rispetto alla normativa tecnica, chiave fondamentale del sistema INA Casa. La legge 167 del 1962 che regolamenta l’acquisizione da parte dei comuni di aree da destinare all’edilizia economica e popolare apre un fronte progettuale nuovo. A Pescara vengono adottati ben sei piani di zona - Colle Breccia, Fontanelle, Rancitelli, via del Santuario, Colle Marino, Zanni - dei quali vengono avviati soltanto quelli di via del Santuario e di Rancitelli. I nuovi quartieri testimoniano la ormai progressiva divaricazione tra le ricerche disciplinari e il quadro normativo entro il quale avrebbero dovuto collocarsi: la questione dell’edilizia economica diviene sempre più marginale a testimonianza del progressivo disimpegno dell’ente pubblico
Quartiere Via Rigopiano, Pescara
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dalla gestione diretta del patrimonio residenziale di carattere sociale: nei quartieri degli anni settanta, figli della 167, “del bagaglio consumato nel corso dell’esperienza dei vari programmi per l’edilizia pubblica, quasi nulla trapela”9. Progettare il riuso, recuperare il progetto Il patrimonio dell’edilizia residenziale pubblica pescarese è quantitativamente molto rilevante con insediamenti di notevoli dimensioni e in aree oggi non più periferiche. Restituire un ruolo ai quartieri come elementi nodali di un tessuto urbano cresciuto velocemente e tumultuosamente senza regole significa restituire una identità ai luoghi, (e all’identità dei luoghi corrisponde il sentimento di appartenenza della comunità) e riconoscere il valore culturale, oltre che materiale, di questo patrimonio anche nell’ottica di recuperare e valorizzare il ricco bagaglio disciplinare accumulato in oltre mezzo secolo di ricerche nel settore della residenza sociale. È un patrimonio sicuramente carente sul piano architettonico e prestazionale (scarso isolamento termico e acustico, presenza di ponti termici e acustici, livelli di ventilazione e illuminazione insufficienti, degrado materico, scarsa flessibilità sul piano tipologico…). La sua conoscenza puntuale può sostenere l’azione sui due piani, in modo che l’urgenza della ‘messa a norma’ sia l’occasione, questa volta da non perdere, per un progetto complesso, a più livelli, che punti alla riqualificazione rivelando l’intreccio di relazioni che i singoli edifici possono generare e qualificare e portando alla luce, migliorandole, le qualità architettoniche spesso semplicemente inespresse.
A destra, Quartieri Pescara ( De Vincenziis, Alimonti )
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Note 1. A. Cederna, L’imbroglio di Pescara, in «Il mondo», 19 gennaio 1960 2. Molti studi, generali e particolari, hanno ricostruito la vicenda, tra i principali: L. Beretta Anguissola, I quattordici anni del piano INA Casa, 1963; P. Di Biagi, La grande ricostruzione. Il piano INA-Casa e l’Italia degli anni cinquanta, Donzelli, Roma 2001; R. Capomolla, R. Vittorini (a cura di), L’architettura INA Casa (1949-1963). Aspetti e problemi di conservazione e recupero, Gangemi, Roma 2003. 3. Gli opuscoli sono: 1. Suggerimenti, norme e schemi per la elaborazione e la presentazione dei progetti. Bandi dei concorsi (1949); 2. Suggerimenti esempi e norme per la progettazione urbanistica. Progetti tipo (1950). Norme per le costruzioni del secondo settennio (1957). 4. Gli interventi sono sinteticamente descritti in R. Vittorini, L’esperienza INA Casa a Pescara, in «L’Architettura. Cronache e storia», 378, 2003 5. R. Vittorini, La casa popolare della ricostruzione, in Casa pubblica e città. Esperienze europee, ricerche e sperimentazioni progettuali, a cura di D. Costi, Parma 2009 6. Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 25 gennaio 1954. Al comitato partecipano il Ministero dei Lavori Pubblici, del Tesoro, del Lavoro e della Previdenza Sociale, la Cassa Deposti e Prestiti, l’INA Casa, l’INCIS, gli Istituti Case Popolari, gli Istituti di Previdenza e gli Istituti di Credito attivi nell’edilizia. 7. Ministero dei Lavori Pubblici, Quartieri coordinati, Roma 1960 8. V. Gregotti, Quartiere sovvenzionato a Treviso, in «Casabella Continuità», 221, 1958 9. M. Tafuri, Storia dell’architettura italiana, 1944-1985, Torino 1986
A destra, Quartieri Pescara ( De Vincenziis, Alimonti )
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ATLANTE
INA CASA
RE-CYCLE
INA CASA
QUADERNI INA CASA _ RE-CYCLE
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RE-CYCLE
INA CASA
RE-CYCLE
INA CASA
Lorenzo Pio Paladino
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INA CASA
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INA CASA
INA CASA
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INA CASA
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RE-CYCLE INA CASA
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RE-CYCLE
INA CASA
RE-CYCLE
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RE-CYCLE
RE-CYCLE
INA CASA
ATLANTE
QUARTIERE VIA RIGOPIANO Restituzione grafica dell'esistente
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Federica Ciavattella
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SEZIONE A
SEZIONE B
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EDIFICIO 3
EDIFICIO 4
EDIFICIO 6
EDIFICIO 5,7
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EDIFICIO 3
EDIFICIO 4
EDIFICIO 6
EDIFICIO 5,7
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EDIFICIO 8
EDIFICIO 9
EDIFICIO 12,13,14,15
EDIFICIO 10,11
EDIFICIO 1,2
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EDIFICIO 8
EDIFICIO 9
EDIFICIO 12,13,14,15
EDIFICIO 10,11
EDIFICIO 1,2
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RICICLARE TERRITORI FRAGILI PESCARA 9-10 OTTOBRE 2013 LABORATORIO 02_TREASUREHUNT>>RE-CYCLEHUNT MOMENTI DI CONFRONTO SUL TEMA DELLA RIGENERAZIONE DEI QUARTIERI DI EDILIZIA PUBBLICA
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Archivio della Parrocchia S.Gabriele dell'Addolorata, 1960-1965
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RIGENERAZIONE DEI QUARTIERI ATER DI PESCARA Massimo Angrilli, Susanna Ferrini, Vincenza De Vincenziis >UniCH
La ricerca condotta sui quartieri ATER di Pescara, avviata nell’ambito della Ricerca PRIN Re-Cycle, del Dottorato e del Laboratorio di Laurea ad essa collegati, ha utilizzato un approccio basato sulla sperimentazione progettuale, procedendo dalla scala urbana a quella del singolo manufatto edilizio. Punto di partenza dello studio è stata la catalogazione e l’analisi di un corpus di quartieri rimasti pressoché immutati rispetto alla loro realizzazione, e le riflessioni si sono orientate alla ricerca di metodologie innovative per l’adeguamento spaziale, sociale di questo importante patrimonio edilizio. In seguito, l’approfondimento progettuale si è concentrato, a titolo esemplificativo delle metodologie presentate, su alcuni dei principali quartieri ATER della città, quail San Donato, Piazza Grue, via D’Avalos, il sistema di via Rigopiano, applicandosi alla riqualificazione di un patrimonio pubblico costruito nella prima metà del secolo scorso, che ha manifestato nel tempo una rapida obsolescenza di fronte ai processi dinamici che hanno investito con forza la società: il mutamento della composizione sociale delle famiglie, oggi spesso composte da una sola persona; la comparsa degli immigrati; coppie di anziani soli; famiglie mono-genitoriali e famiglie della classe media che si trovano in condizioni
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Costruzione della parrocchia Archivio della Parrocchia S.Gabriele dell'addolorata, 1960-1965
di disagio abitativo a causa della sopraggiunta crisi economica. Accanto alle trasformazioni sociali si aggiungono anche le trasformazioni dello spazio fisico, come l’intenso sviluppo edilizio e infrastrutturale, che hanno prodotto mutazioni radicali del senso e del ruolo dei quartieri di edilizia sociale ATER all’interno del tessuto della città di Pescara. La sperimentazione progettuale si è orientata verso strategie di rigenerazione fondate sul principio del “re-cycle”, intervenendo di fatto su di un patrimonio pubblico in larga parte inadeguato alle nuove esigenze abitative, da riutilizzare anche come una risorsa per innescare progetti di riqualificazione urbana più estesi. L’approccio progettuale ha, infatti, previsto sempre una proposta d’intervento di riqualificazione dell’intorno urbano del quartiere, allo scopo di promuovere un processo di rigenerazione urbana rivolto al tessuto urbano e sociale circostante. Le strategie di intervento proposte agiscono a diversi livelli: dalla semplice manutenzione alla trasformazione e ampliamento degli edifici originari, fino alla demolizione e ricostruzione di interi quartieri. L’insieme degli interventi si offre come una sorta di “manuale della rigenerazione”, che associa ai temi ricorrenti del degrado linee guida
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e soluzioni architettoniche e urbanistiche.La ricerca svolta sull’abitare pubblico in questi ultimi dieci anni nell’ambito del Laboratorio di Laurea ha permesso, insieme all’ATER di Pescara, di ricostruire un quadro d’insieme degli interventi che si sono succeduti nel tempo e rilevare le successive modificazioni al patrimonio edilizio esistente. La ricerca ha visto la mappatura completa degli interventi di edilizia sociale, analizzata nella definizione dei perimetri di pertinenza e nel rilevamento puntuale delle micro relazioni che si sono instaurate con il tessuto della città, che a volte ha inglobato il patrimonio pubblico senza stabilire rapporti significativi al suo intorno. Come in tutte le altre città italiane, i danni provocati dai bombardamenti della seconda guerra mondiale mettono in moto un notevole programma di ricostruzione. Solo nel 1948 il Genio Civile è responsabile della realizzazione di 560 alloggi per i senza tetto e anche in questo caso la scelta delle aree di Piazza Grue, Via del Circuito, Rancitelli e Via Canova privilegia aree decentrate rispetto alla città consolidata e mostra i primi segni della volontà di espandere la città oltre il tracciato ferroviario. A seguito del programma INA Casa, si realizza il patrimonio abitativo pubblico con gli interventi in Via Rigopiano, Via D’Avalos e via da Fiore, quelli del Genio Civile in Via Nora e Via Osento, e infine quelli da parte dell’ISES in Via Passo della Portella e negli anni ‘60 è invece la realizzazione del quartiere CEP di S. Donato.La ricostruzione della vicenda dell’abitare pubblico a Pescara mette in luce come, a partire dagli anni ’80, non si possa parlare di nuove realizzazioni e che da quel momento in poi i temi della trasformazione e della rigenerazione del patrimonio esistente siano i temi principali da affrontare. Le fasi successive alla realizzazione dei quartieri hanno evidenziato un lento ma continuo processo di trasformazione degli edifici e dei quartieri, dovuto sia alle carenze iniziali in tema di servizi pubblici e di relazioni urbane, sia alla obsolescenza degli edifici residenziali, sempre più evidente negli ultimi due decenni. In primo luogo appare centrale il tema dello spazio pubblico, rimasto irrisolto nella realizzazione dei quartieri, un fatto questo che ha causato nel tempo un processo di appropriazione degli spazi pubblici inutilizzati da parte degli abitanti del quartiere, sia attraverso la privatizzazione degli spazi, sia attraverso la realizzazione di spazi comuni autogestiti, come orti urbani e spazi di ritrovo. In molti casi sono stati recintati
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gli spazi di pertinenza degli ingressi, le aree porticate, (come nel caso del quartiere di San Donato) e gli spazi interni dei condomini. Le trasformazioni spontanee hanno poi investito direttamente gli edifici e gli alloggi, che nella maggior parte dei casi si sono rivelati non più adeguati alle differenti modalità dell’abitare ed alla variazione nel tempo della composizione del gruppo familiare. Di fatto i quartieri presentano una scarsa differenziazione tipologica, attestandosi sull’alloggio basato sulla composizione tradizionale della famiglia di quattro unità, a scapito degli alloggi di taglio più piccolo. Ciò ha comportato una forte stagnazione nei processi di turn-over nell’assegnazione degli alloggi, dovuta alla scarsa flessibilità tipologica. Le trasformazioni fisiche degli edifici hanno investito il tema dell’adeguamento alle norme dell’accessibilità, la risoluzione di problemi prestazionali legati agli impianti e alla manutenzione. Inoltre, dall’analisi e dal rilievo dei quartieri, sono state catalogate una serie di trasformazioni realizzate dagli abitanti, come la chiusura delle logge; l’introduzione di nuovi impianti; gli interventi sulle facciate e quelli sugli infissi. Le operazioni sono state apportate al di fuori di un piano organico di manutenzione, aumentando così il carattere di frammentazione e di isolamento. Il progetto di rigenerazione si conforma proprio alle esigenze e alle necessità rilevate dai processi di trasformazione, con lo scopo di prevedere strategie complessive e declinazioni nei casi particolari dei singoli quartieri. Per processo di rigenerazione si intende soprattutto quello volto a introdurre un nuovo concetto di comunità e di vita pubblica, resa possibile a partire dalla progettazione degli spazi pubblici, aumentando la superficie ‘permeabile’ e a verde, potenziando il tema degli orti urbani e dei luoghi di socializzazione. Un altro aspetto fondamentale è quello di individuare, secondo progetti pilota, il potenziale di trasformazione interna degli edifici, riguardanti il corpo scala e gli ascensori, e la possibile trasformazione nel taglio degli alloggi. Per quanto riguarda l’esterno delle facciate, la possibilità di intervenire sui ‘fronti’ ciechi degli edifici con aggiunte e densificazioni, così come la progettazione di logge e serre. I quartieri di edilizia economica e popolare sono abitualmente trattati secondo approcci non integrati, affrontando cioè separatamente i problemi da essi manifestati: ci si limita quindi ad assumere una prospettiva solo urbanistica, o solo architettonica, o soltanto sociale. Ne risulta una
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Il treno, Archivio della Parrocchia S.Gabriele dell'addolorata, 1960-1965
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settorialità delle scelte che si riflette poi nella separatezza delle relative politiche di intervento. I risultati raggiunti per questa via sono talvolta anche efficaci, ma difficilmente si confrontano con la scala reale dei problemi dei quartieri. Si avverte dunque sempre più forte l’esigenza di adottare un' hhimpostazione progettuale capace di coordinare tra loro gli approcci urbanistici, architettonici, tecnologici e socio-economici. Le strategie del recupero devono pertanto traguardare contemporaneamente la dimensione urbana, quella architettonica, quella tecnologica e quella socio-economica. Le strategie urbanistiche sono quelle che più risentono della particolarità delle situazioni locali, configurando un ventaglio di modalità di intervento assai ampio e articolato. Gli episodi più innovativi sono riscontrabili nelle azioni di modificazione dello spazio pubblico, con la riconversione di spazi già destinati alla viabilità, o l’introduzione di luoghi di socializzazione conformi alla tradizione insediativa locale; nella rigenerazione ecologica che riscopre segni della natura; nella ricucitura che lavora sugli spazi interstiziali per comporre nuove articolazioni urbane e soprattutto nella densificazione che sembra restituire valore alle categorie della processualità. É soprattutto con strategie di carattere edilizio che in passato si è tentato di risolvere i problemi del degrado dei quartieri di edilizia pubblica. Ovunque in Europa si è messo mano alla trasformazione degli edifici esistenti, migliorando gli standard di funzionalità, modificando le tipologie, rimodellando le forme, e spesso demolendo quelli più irriducibili alla cultura dell’abitare dei residenti. Queste azioni, se limitate alla scala edilizia, si rivelano generalmente insoddisfacenti nel modificare il contenuto delle periferie e la loro esperienza da parte dei residenti. Più efficaci si sono rivelate le strategie sociali, mirate ad alleviare le condizioni di deprivazione e di bisogno particolarmente acute in molte periferie popolari. La forma tipica dell’intervento sociale è di aiuto alla persona, con agevolazioni finanziarie, assistenza, formazione, opportunità di lavoro. Tuttavia anche la produzione di nuove attrezzature sociali può contribuire efficacemente a catalizzare le risposte al bisogno di servizi e soprattutto a sviluppare il senso della collettività locale o la identità di particolari gruppi. L’intervento pubblico nell’edilizia residenziale è un’importante parte della storia della politica urbanistica e della città. Parlare di edilizia economica e popolare significa parlare di questioni più generali che travalicano la
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specificitĂ della risposta al fabbisogno abitativo dei gruppi sociali meno favoriti dal mercato. Significa parlare piĂš complessivamente, ad esempio, della cittĂ e delle sue espansioni periferiche; delle politiche urbanistiche delle diverse amministrazioni pubbliche; delle teorie sociali, urbane e architettoniche che hanno trovato campo di applicazione e sperimentazione nei quartieri di iniziativa pubblica.
Il quartiere San Donato in costruzione Archivio della Parrocchia S.Gabriele dell'addolorata, 1960-1965
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ATLANTE
LA CITTÀ PUBBLICA
il senso dell'abitare nella città di Pescara
Mostra Re-Cycle Pescara Contributi di Alessandra Alimonti, Maria Lucia D'Alessio, Vincenza De Vincenziis, Lorenzo LaganĂ , Lorenzo Pio Paladino
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L'ULTIMO QUARTIERE DI EDILIZIA POPOLARE RISALE AGLI ANNI 80. DA QUEL MOMENTO SI POTRÀ INTERVENIRE SULL'ESISTENTE.
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QUARTIERI ARCIPELAGO
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CO-HOUSING E AUTOSUFFICIENZA
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CO-NEIGHBORHOOD
CO-HOUSING
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DALLA CITTA ARCIPELAGO AL CO-NEIGHBORHOOD
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QUALE RUOLO POSSONO AVERE I QUARTIERI DI EDILIZIA RESIDENZIALE PUBBLICA NEL TESSUTO DELLA CITTÀ ?
SOCIAL COMMUNITY
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02 _ TREASUREHUNT>>RE-CYCLEHUNT LABORATORIO
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02 _ TREASUREHUNT>>RE-CYCLEHUNT LABORATORIO
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LA CITTA' PUBBLICA il senso dell'Abitare nella cittĂ di Pescara
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ATLANTE
PATRIMONIO EDILIZIO ATER
Numero Edificio | Altezze | Tipologie Edilizie | Offerta Tipologica
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ATLANTE
PATRIMONIO SOCIALE ATER Abitanti ATER nella città pubblica di Pescara
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ATLANTE
STRUMENTI ANALITICI per rileggere la realtĂ dell'esistente
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FOTOGRAFICO USI IMPROPRI
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APPROPRIAZIONE 218
O
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ORTI URBANI
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APPROPRIAZIONE
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ORTI URBANI
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TRASFORMAZIONI
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TRASFORMAZIONI
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Quartiere ATER San Donato, Pescara (Vincenza De Vincenziis)
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RILETTURE DEL PATRIMONIO ATER A PESCARA Vincenza De Vincenziis >UniCH
Una fondamentale operazione di riciclo nella ricerca sull’Abitare investe l’idea del quartiere e del suo rapporto con la città. Lo stesso ruolo di modulo dell’espansione urbana che i quartieri di Edilizia Residenziale Pubblica hanno avuto dagli anni ’20 fino agli anni ’80 anni in cui si arrestano le politiche della casa viene oggi reimmesso in un nuovo ciclo di vita che vede il patrimonio edilizio esistente come il palinsesto sul quale attivare processi rigenerativi che restituiscano al quartiere un nuovo ruolo urbano nello sviluppo della città contemporanea. Il quartiere, dunque, da strumento urbanistico generatore di grandi processi di crescita urbana può considerarsi un dispositivo per favorire processi di trasformazione dei tessuti limitrofi e di aree urbane più estese. Il caso studio di Pescara e del patrimonio abitativo pubblico di proprietà dell’ATER (Azienda Territoriale Edilizia Residenziale) delinea un campione di riferimento della città italiana di media dimensione in cui l’obsolescenza degli edifici, il degrado sociale, la nuova domanda abitativa e di una maggiore qualità dell’abitare, rappresentano l’occasione per sperimentare nuove forme di riciclo urbano. Affinché si inserisca in un processo di mutamento già in atto, il progetto di riciclo è chiamato a confrontarsi con il patrimonio esistente, dove l’idea di
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patrimonio1 non si limita all’architettura ma comprende il tessuto urbano e sociale e le sedimentazioni degli usi del luogo. L’analisi della ‘città pubblica’ di Pescara mette in luce la varietà e la complessità del patrimonio abitativo che la città ha ereditato.I ‘pezzi’ che la compongono si collocano in differenti periodi storici, ad ognuno dei quali corrisponde una specifica idea di abitare; diverse sono le aree che i quartieri occupano e le relazioni che essi instaurano con la città e con i suoi servizi, come differenti sono i materiali che li costituiscono e le risorse che questi offrono al progetto di rigenerazione urbana. La stagione della ‘città pubblica’2 di Pescara prende il via nel 1938 con l’istituzione dello IACP Istituto Autonomo Case Popolari e con la realizzazione di 11 alloggi per i pescatori a Borgo Marino Sud, in un’area di espansione della città che si relaziona alla costa, alla viabilità esistente e all’attività marittima. Come in tutte le altre città italiane, i danni provocati dai bombardamenti della seconda guerra mondiale mettono in moto un notevole programma di ricostruzione. A seguito dell’approvazione della legge Ina-Casa , ed in particolare tra il 1953 ed il 1955, Pescara è protagonista di una fiorente attività costruttiva. È in quegli anni che quasi il 50% del patrimonio abitativo pubblico viene realizzato attraverso gli interventi di Ina-Casa3 in Via Rigopiano, Via D’Avalos e Via da Fiore, quelli del Genio Civile in Via Nora e Via Osento, e infine quelli da parte dell’ISES in Via Passo della Portella. La maggior parte degli interventi sembrano collocarsi principalmente a ridosso della ferrovia e lungo le nuove direttrici di sviluppo, o in prossimità di centralità urbane come la pineta e lo stadio. Degli anni ‘60 è invece la realizzazione del quartiere CEP di S. Donato, il cui progetto particolareggiato è redatto dagli architetti Montuori e Pallottini e che rappresenta nello scenario della città pubblica di Pescara un primo consistente intervento che concentra le esigenze funzionali di un quartiere con la dotazione di tutti i servizi necessari; è il primo tentativo di un programma integrato. Organismo centrato su se stesso e dai perimetri ben definiti dalle infrastrutture, collocato ai margini della città in espansione, il quartiere di San Donato è caratterizzato fin dalla sua ideazione dalla volontà da parte dei progettisti di conferire un alto grado di mixitè funzionale per garantirne l’autosufficienza. Degli stessi anni e basato sullo stesso principio insediativo è l’intervento Ina-Casa di Villaggio Alcyone, situato ai margini della Pineta Dannunziana
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e progettato da un gruppo di architetti guidato da Paolo Castelli. Nel 1962, la legge D.L. n°167 definisce le “disposizioni per favorire l’acquisizione di aree fabbricabili per l’edilizia economica e popolare”, i cosiddetti PEEP, obbligando i Comuni capoluoghi di provincia o con popolazione superiore a 50.000 abitanti alla formazione del Piano delle Zone da destinare alla costruzione di alloggi economici e popolari. Il Consiglio Comunale di Pescara prevede l’articolazione dei PEEP in sei zone, nelle località di Colle Breccia, Villa Magna, Rancitelli, Via del Santuario, Colle Marino, Zanni. Negli anni ’60, a pochi anni dalla conclusione del secondo settennio InaCasa, anche la città di Pescara4 inizia ad affrontare i problemi della grande dimensione. Per rispondere a dati quantitativi piuttosto che qualitativi, si prediligono tipologie più intensive ed edifici più alti, isolati in una rete di circolazione sovrabbondante. Il rapporto tra tipologia edilizia e morfologia urbana viene meno e si perde l’occasione di definire una forma del quartiere e di mediare la scala architettonica tra il nuovo intervento e l’edilizia diffusa esistente. La sintesi della lettura storico-morfologica dei quartieri rispetto alla città restituisce la variazione della scala architettonica e del rapporto tra densità abitativa e spazio pubblico in relazione alla conformazione della città e alle sue dinamiche di sviluppo. Gli insediamenti compresi nella parte di città lineare e consolidata sembrano esprimere a pieno i principi Ina-Casa, ovvero bassa densità, tessuto edilizio a maglia aperta, cura della visione d’insieme del quartiere, rapporto equilibrato tra edificio e presenza del verde, spesso preesistente; quelli localizzati al margine della città appaiono come frammenti, quartieri isolati in cui emerge la dimensione del fuori scala rispetto al tessuto in cui si inseriscono. Se i primi insediamenti pubblici, costruiti negli anni ‘50, sotto l’influenza del linguaggio Ina-Casa, si localizzano nelle aree di espansione urbana, in relazione alle infrastrutture e alle attività esistenti, determinando un processo di saturazione del tessuto edilizio e stabilendo nel tempo un rapporto di relazione con la città ed i suoi servizi, i successivi piani ERP, PEEP tendono a localizzare i nuovi quartieri al limite della città, collocandosi in aree periferiche meno appetibili, immaginando quartieri autosufficienti, in cui la funzione residenziale si integra alla dotazione di servizi. Si tratta di edifici intensivi, di grandi dimensioni, dai perimetri ben definiti dalle infrastrutture che non riescono ad influenzare la forma della città.
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Se nell’immaginario comune la residenza sociale fa riferimento alle realizzazioni di milioni di metri cubi di periferie e megastrutture in cemento armato, la valutazione degli esiti delle politiche abitative della città di Pescara evidenzia la qualità architettonica ed urbana di alcuni episodi che emergono nell’omogeneità della città pubblica. Gli interventi di InaCasa a Pescara appaiono chiaramente distinguibili tra gli altri all’interno del tessuto edilizio omogeneo del centro urbano grazie ad un linguaggio architettonico improntato su un lessico identificabile nella scelta delle tecnologie tradizionali, nella cura dei dettagli costruttivi artigianali, nei materiali e nei colori espressivi. Di fatto, la Gestione fonda la sua attività sul tema della casa a basso costo di Ridolfi, che nel dopoguerra elabora il “Manuale dell’architetto”, un repertorio si soluzioni basate sulla produzione artigianale, capaci di adattarsi alle diverse realtà produttive e che confluisce nei principi dei Fascicoli Ina-Casa5. L’architettura ordinaria pescarese, attraverso la partecipazione al programma da parte di progettisti impegnati nella ricerca Cantamaglia, Rapino, De Cecco, Castelli, Simeone, Montuori reinterpreta e semplifica il linguaggio realista ridolfiano ancora visibile negli elementi architettonici delle persiane in legno, dei balconi in ferro, dei graticci e delle partiture murarie6 . Con la conclusione dei due settenni Ina-Casa si conclude anche la ricerca sull’Abitare, la cui eco resiste in pochi e minori interventi. Siamo negli anni ‘60 ed è da questo momento in poi che si introduce l’uso della struttura portante in cemento armato che però non viene sfruttata in tutte le sue potenzialità. Le facciate, infatti, continuano a conservare la conformazione tipica della struttura muraria, con aperture di superficie modesta ma nelle quali mancano i principi di standardizzazione e modularità che negli interventi Ina-Casa contribuivano a restituire una certa qualità all’abitazione sociale. Sulla base di queste considerazioni è possibile affermare che, nonostante siano rintracciabili delle invarianti soprattutto nella monofunzionalità dei quartieri e nell’obsolescenza delle strutture, numerose sono le differenze nel valore urbano e architettonico, nel ruolo dei quartieri nella città (isolamento contro centralità), nella capacità di adattamento agli usi e alle trasformazioni nel tempo. La conoscenza e la catalogazione del patrimonio ATER, ovvero l’individuazione dei diversi gradi di qualità ad esso attribuibili, assume un
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ruolo centrale nella ricerca, rappresentando di fatto, la prima fase di un progetto di rigenerazione che interessi simultaneamente la scala urbana e quella architettonica. Inoltre, l’itinerario attraverso la città pubblica di Pescara ci restituisce un’immagine architettonica ed urbana dei quartieri in cui la sfera del ‘nonprogettato’, delle trasformazioni e degli ‘usi impropri’ dell’architettura pubblica e dei suoi spazi, evidenzia il ‘tempo d’uso’ del progetto, ovvero modalità d’uso degli alloggi e degli spazi pubblici che mettono in luce la necessità degli abitanti di divenire i reali protagonisti delle trasformazioni. Pertanto, il progetto di riciclo urbano sarà orientato verso l’individuazione di processi ed interventi specifici e contestualizzati, adatti, da un lato, a preservare il carattere storico-patrimoniale dell’esperienza pubblica, e dall’altro, a restituire un nuovo ruolo urbano al quartiere nello sviluppo della città, rimettendo al centro del dibattito il ruolo degli abitanti e prefigurando spazi flessibili nell’uso e nel tempo.
Note 1. C. Andriani, Il patrimonio e l’abitare, Donzelli Editore, Roma, 2010. 2. Con il termine ‘città pubblica’, coniato da Paola Di Biagi, si fa riferimento all’insieme dell’Edilizia Residenziale Pubblica. 3. D.L. n°43, 28-02-1949, “Provvedimenti per incrementare l’occupazione operaia agevolando la costruzione di case per lavoratori” proposta dal Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale Amintore Fanfani. 4. Per un analisi approfondita del Patrimonio pubblico della città di Pescara si consulti il capitolo 3 “La rete del patrimonio ATER a Pescara: la ‘forma ordinaria del moderno'" della Ricerca di Dottorato in Architettura “Abitare il Quartiere | Abitare la città. Dalla rigenerazione del patrimonio abitativo alla rigenerazione urbana” di Vincenza De Vincenziis, tutors S. Ferrini, M. Angrilli, depositata presso la Scuola superiore “G. d’Annunzio” Chieti. 5. La Gestione Ina-Casa si dota di strumenti ‘normativi’ per guidare la pratica progettuale durante la ricostruzione. Le idee sull’Abitare espresse dai Fascicoli cercavano di tenere insieme i diversi aspetti della progettazione: il rapporto dei quartieri con la città e con il contesto storico e ambientale, il linguaggio architettonico che fosse in linea con le risorse disponibili in Italia nel dopoguerra e la ricerca tipologica, principalmente basata sugli studi della ‘casa per tutti’ condotto negli stessi anni da Libera, Marescotti, Diotallevi. 6. Per un approfondimento dell’esperienza Ina-Casa a Pescara si consulti la ricerca sopracitata e l’articolo di R. Vittorini, “L’esperienza Ina Casa” in L’Architettura. Cronache e storia n.378, Etas Kompass editore, Milano, 2003, pp.947-949.
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ATLANTE
SCHEDE DEI QUARTIERI
confronto tra progetto e trasformazioni
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Alessandra Alimonti, Vincenza De Vincenziis
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ATLANTE
TRASFORMAZIONI/APPROPRIAZIONI/ USI IMPROPRI
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ATLANTE
STRATEGIE DI INTERVENTO
riconfigurazione dello spazio pubblico
Gradi di intervento
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aggiunte/ampliamenti
demolizione/ricostruzione
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ATLANTE
STRATEGIE DI INTERVENTO
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STRATEGIE DI INTERVENTO FASE 1 ................................................................................. Assumere i grandi progetti urbani come occasione di riqualificazione dei quartieri
FASE 2 ................................................................................. Rafforzare le relazioni dei quartieri con il contesto urbano limitrofo
FASE 3 ................................................................................. Sfruttare gli effetti di trasformazione innescati dalle nuove centralitĂ per attivare processi di riqualificazione
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PESCARA RE-CYCLE SAN DONATO CASO STUDIO
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Quartiere ATER San Donato, Pescara
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STRATEGIE DI RIGENERAZIONE DEL QUARTIERE SAN DONATO (PE) Giorgia Di Cintio >UniCH
La società contemporanea deve confrontarsi con una situazione di crisi economica ed ambientale e con mutate esigenze sociali che portano a considerare, con una rinnovata sensibilità e con strategie innovative, il recupero del patrimonio edilizio esistente attraverso attività quali l'adeguamento tecnologico, la densificazione e la riconversione, offrendo un banco di prova per la valorizzazione sostenibile. Per valorizzazione sostenibile si intendono tutte quelle azioni e strategie mirate alla tutela e promozione del patrimonio paesaggistico ed economico, all'incentivazione delle relazioni sociali, migliorando la qualità della vita e dell’ambiente urbano. Opere durabili dunque, capaci di prefigurare scenari futuri contrastando l'obsolescenza funzionale che caratterizza la città contemporanea. Il campo di applicazione sono i brownfields, i tessuti urbani abbandonati perché non più congruenti con nuove necessità, che delineano un paradigma nuovo per il progetto: attivare nuovi cicli di vita. La strategia è dunque quella di conservare la risorsa urbana e di “costruire sul costruito”, secondo un' ”eco-logica” di riciclaggio opposta a quella di produzione-consumo-scarto. L'obiettivo finale di questo campo di ricerca, è infatti quello di definire strumenti idonei ai progetti di rigenerazione
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Eugenio Montuori: progetti, disegni, acquerelli, olii : a cura di Anna Di Noto e Francesco Montuori, Prospettive Edizioni, 2007, Plastico di progetto
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che diano impulso al riequilibrio funzionale delle città e si pongano come alternativa all’occupazione di nuovi territori non urbanizzati. Con l'attività di ricerca e di didattica sono state esplorate le possibilità che ha il progetto di promuovere la crescita e la rigenerazione della città in termini qualitativi, garantendo l'inclusività sociale. Come emerge dai progetti elaborati dagli studenti all'interno dei corsi di composizione del terzo anno, non è sufficiente garantire l'accessibilità fisica dei luoghi, ma si devono adottare strategie progettuali in grado di assicurare spazi adatti ai nuovi modi di abitare della collettività. Gli studenti si sono confrontati in particolare con il quartiere Ater di San Donato, alla periferia di Pescara. Disegnato da Montuori e Pallottini, San Donato presenta caratteri di forte qualità progettuale. Negli anni però numerose trasformazioni sono state apportate dagli abitanti facendo emergere una serie di criticità. La carenza di servizi, di aree attrezzate a verde, di spazi di relazione è testimoniata dagli usi spontanei che sono stati diffusi nelle aree vuote del quartiere, trasformate in orti, zone verdi e spazi comuni. Questo modo inaspettato e non regolato di vivere il quartiere, esprime un collettivo disagio ambientale e sociale da parte della comunità, oltre che la percezione di emarginazione urbana. In un contesto monofunzionale e carente nella progettazione dello spazio pubblico, le strategie progettuali adottate nei casi studio, sono quelle che propongono di stabilire una mixitè funzionale, capace di soddisfare le esigenze di qualità di vita dei residenti e di accrescere la fruibilità del quartiere stesso. I temi chiave sono trasformazione, riciclo e flessibilità, dunque, rispondenti alle necessità del vivere contemporaneo. I casi studio testimoniano prima di tutto l'importanza di comprendere il contesto, per proporre interventi articolati in grado di rispondere alle criticità presenti, trasformandole in potenzialità progettuali. I temi affrontati sono individuabili in una serie di punti: 1. Inaccessibilità evidente nei limiti, recinti, barriere, segni di difesa e protezione frequenti nel quartiere; 2. Perdita di identità identificabile negli usi spontanei legati all'espressione personale ad al vivere quotidiano degli abitanti; 3. Degrado che si riscontra nell'obsolescenza fisica e funzionale e nella presenza di aree dismesse;
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4. Appropriazione, delle aree comuni da cui si evidenzia il difficile rapporto tra pubblico e privato, tra interno ed esterno; 5. Personalizzazione, che emerge dagli ampliamenti residenziali non previsti, aggiunte, utilizzo di spazi residuali, sovrapposizioni; 6. Carenza di spazi collettivi ed aree attrezzate verdi; 7. Fronti strada ed il difficile rapporto con la scala urbana; 8. Fuori scala legato ai temi della densità, transitorietà ed adattabilità; 9. Isolamento, carenza di attrezzature e disservizi infrastrutturali. Dato che le criticità emerse riguardano sia il rapporto con il contesto, che aspetti relativi alla vita interna al quartiere, anche le strategie di rigenerazione possono essere divise tra strategie di radicamento urbano e strategie di radicamento alla scala del quartiere. Le strategie di radicamento urbano mirano a stabilire nuove connessioni con la città e consistono nel migliorare l'accessibilità e nel creare poli attrattivi offrendo nuove opportunità d'uso e nuovi spazi pubblici ed innescando microeconomie. In questo modo viene rinnovata l'identità del quartiere, migliorando il suo servizio ordinario e la viabilità urbana. Contestualmente vengono rafforzate le relazioni con il tessuto urbano limitrofo, sfruttando gli effetti di trasformazione e riqualificazione innescati dalle nuove centralità. Le strategie di radicamento locale invece consistono nel rafforzamento della riconoscibilità architettonica, nel miglioramento delle relazioni tra i servizi e le attrezzature di quartiere e nella connessione tra gli spazi pubblici interni ad esso. Riflettendo su questi temi, i progetti hanno maturato risposte differenti dalle quali emergono delle strategie architettoniche in grado di riqualificare e valorizzare gli spazi del quartiere facendo perno sul valore della collettività. Queste azioni di riconversione si attestano principalmente su tre aspetti: ristabilire le connessioni con la città, riconfigurare lo spazio pubblico e riprogettare gli edifici dedicati alla residenza. Per quanto riguarda il rapporto tra quartiere e città le strategie e le azioni proposte sono di due tipi. In primo luogo garantire le connessioni infrastrutturali: San Donato attualmente versa in uno stato di esclusione rispetto ai principali sistemi di mobilità. Completamente isolato dal rilevato ferroviario che ne disegna gran parte del perimetro, l'unico asse
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Quartiere San Donato, Pescara
di collegamento con la città risulta essere Via Rio Sparto, che però più che disegnare una via d'ingresso sembra essere un ulteriore limite. Garantendo un adeguato servizio di mezzi pubblici contemporaneamente a nuovi percorsi ciclo-pedonali da mettere a sistema con la viabilità interna al quartiere, se ne vuole così assicurare la permeabilità e la facilità di accesso. Successivamente si propone come strategia il riuso degli edifici dismessi e l'incremento dei servizi: le uniche attrezzature presenti ad oggi a San Donato sono uno spazio multifunzionale,h una scuola ed una Chiesa. Recuperare edifici non più utilizzati ed attivare per loro nuovi cicli di vita consente di promuovere la mixitè funzionale e la presenza di edifici di interesse per la collettività. Tra le attività proposte si citano mediateche, auditorium, luoghi per lo sport, FabLab e laboratori di quartiere, che risultano idonee al contesto perché luoghi di interesse e di aggregazione. Relativamente al tema della riconfigurazione dello spazio pubblico, i casi studio si confrontano con la piazza di San Donato che verte in uno stato di abbandono. Completamente asfaltata e con poche aree verdi non curate, non assolve al suo ruolo di spazio pubblico. Già interessata dal progetto
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Urban, si pone la necessità del suo recupero rispondendo alle necessità della comunità. Le operazione proposte sono: creazione di percorsi ciclopedonali e ricreativi che mettano a sistema la piazza con i vari ambiti del quartiere; incremento delle superfici destinate alla vita collettiva e a servizi recuperando spazi inutilizzati o soggetti a usi spontanei, come i piani terra porticati degli edifici residenziali impropriamente usati come parcheggi; installazione di strutture flessibili e temporanee compatibili a nuovi usi dello spazio pubblico; incremento delle aree verdi ed inserimento di orti urbani per migliorare lo stile di vita e le relazioni sociali nel quartiere. Gli interventi di progettazione degli edifici residenziali invece, si muovono secondo due approcci: demolizione e ricostruzione oppure aggiunta di elementi parassitari e riciclo dell'esistente. In entrambi i casi si cerca una mediazione della scala architettonica, e relativamente all'articolazione interna, di effettuare una variazione tipologica degli alloggi rendendoli adatti ai diversi tipi di utenza presenti nel quartiere: famiglie, anziani, coppie, studenti, single. Nello specifico, di particolare interesse risultano i casi studio che si sono confrontati con il riuso delle strutture esistenti. Da questi progetti si desumono una serie di azioni la cui efficacia si riscontra su più gradi di intervento. Si agisce sia sulla riconoscibilità dell'edificio con operazioni di restyling dei fronti ciechi; ci si approccia alla dimensione ecologica urbana tramite l'installazione di tetti verdi, l'utilizzo di verde rampicante, l'inserimento di impianti per la raccolta delle acque piovane e degli impianti di fitodepurazione; si opera sulla tipologia abitativa effettuando microdemolizioni, differenziando e caratterizzando le singole unità avvalendosi di elementi prefabbricati e flessibili, aggiungendo spazi di vita comune e servizi destinati ai residenti all'interno degli edifici stessi. Le strategie enunciate propongo dei principi base per una rigenerazione attiva, capace di immaginare nuove spazi di vita per una città inclusiva ed attrattiva. Si propongono dunque dei metodi per ri-attivare questi ambiti urbani emarginati come il caso studio della periferia di San Donato, dando risposte agli usi spontanei che palesano l'esigenza di riappropriarsi dei luoghi per la collettività. Prevedere una molteplicità di funzioni e di significati, immaginando nuove forme di vita collettiva e nuovi spazi di socialità, è il mezzo per innescare i meccanismi di autorigenerazione restituendo al patrimonio Ater la sua identità ed il suo valore. A destra, Quartiere San Donato, Pescara
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ATLANTE
DOTTORATO E LABORATORIO DI LAUREA RE-CYCLE San Donato
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CASO STUDIO
SAN DONATO
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ATLANTE
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Stefania Ciancetti
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TESI
RINNOVARE L'ABITARE
Riqualificazione del quartiere Ater San Donato e dell'asse ferroviario. L’intervento progettuale proposto interessa i quartieri ATER, in particolar modo il quartiere San Donato di Pescara e quella parte di territorio urbano, caratterizzato dalla presenza di un segno molto forte: la ferrovia.Quest’ultima rappresenta un elemento importante nella città di Pescara, non solo un’infrastruttura, ma un segno urbano che porta con se diverse tipologie di mobilità, una sequenza di spazi, frammenti di percorsi, spazi di città in espansione: un “luogo” percorribile che incontra diverse situazioni urbane. Il frammento urbano che possiede però una maggiore valenza, rispetto a questa infrastruttura è proprio quello che si incontra a ridosso del quartiere San Donato. Quest’ultimo nasce contemporaneamente alla costruzione del tracciato ferroviario e la sua forma urbana è da ricercarsi nella “cinta” che lo circonda, nella zona est , per 1,5 km.Ed è qui che si instaura un aspetto essenziale: il dialogo tra ferrovia e quartiere. L’elemento che permette questa connessione è il verde, che definisce l’aspetto paesaggistico della ferrovia e ne determina, non solo un forte “segno infrastrutturale”, ma anche un grande “segno dell’unità del verde”. L’idea progettuale, prevede la ri-connessione del quartiere con la città, attraverso la riqualificazione dell’asse ferroviario, dello spazio pubblico e di un’ “agopuntura” sul costruito esistente. Dalla ferrovia, fasce verdi e non, gerarchizzano lo spazio a quota zero, con un viale che attraversa il quartiere, una piazza verde , una piazza in quota ( generata dal nuovo edificato)ed una piazza degli orti che evidenzia l’autogestione e la riappropriazione dello spazio da parte degli abitanti. Il nuovo edificio, composto da tre volumi scolpiti è cornice dello spazio pubblico, che diventa protagonista e rigeneratore dell’abitare.
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Dalila Palazzo
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TESI
I LUOGHI DELLA CONDIVISIONE Rigenerazione urbana a San Donato I luoghi della città definiscono la dimensione entro cui può esistere vita privata e comunità. Fuori dall’alloggio, dentro il quartiere, nella città: la tesi esplora le possibilità di superare il limite determinato dalle vecchie forme dell’ abitare, proponendo un progetto capace di accogliere le pratiche di condivisione e le attività pubbliche, e di rigenerare in chiave sostenibile la periferia di Pescara. La strategia urbana nasce dall’idea di utilizzare i vuoti urbani e gli spazi aperti dei quartieri ATER interessati dall’asse via Riosparto – via Da Fiore per definire un nuovo sistema di spazi pubblici utili alla risoluzione delle problematiche degli stessi quartieri e alla gestione delle acque nell’area Porta Nuova – San Donato.Il progetto mette in atto azioni che sono comuni nella visione globale, ma che assumono carattere specifico a seconda del contesto e delle necessità di ciascun quartiere, lavorando su tre layers principali: reti, superfici e oggetti. Il caso studio del quartiere San Donato fornisce l’esempio applicato della strategia. Il quartiere fu concepito negli anni ‘60 dagli architetti Montuori, Malatesta e Pallottini come un susseguirsi di ambienti definiti dalla disposizione a spirale degli edifici tipologicamente diversificati. Tali ambienti definiscono il layer delle “superfici per il quartiere” riutilizzate attraverso la proposta delle “waters-quare”: spazi pubblici attrezzati che per tecnologia, design e materiali, fungono da vasche di contenimento nei periodi di pioggia. La piazza Urban, pensata come nuovo spazio identitario, e la mediateca, progettata nell’area di risulta dell’ex mercato coperto abbandonato, costituiscono le superfici per la città e forniscono l’occasione per definire un rapporto di equilibrio tra il fronte di via Riosparto e l’edificio residenziale “il treno”, attraverso un progetto che integra alla dimensione privata quella collettiva.
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Milena De Iure
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TESI TESI
RIGENERAZIONE URBANA del quartiere San Donato a Pescara
Il processo di crescita della città spesso resta indifferente a quei quartieri che, in origine, erano stati progettati con la qualità di piccoli episodi urbani autosuffucienti. Questi quartieri diventano isole all'interno del tessuto urbano, stentano a trovare la loro connessione con la città. E' il caso di San Donato, quartiere progettato negli anni '60, e costruito a margine di quello che all'epoca era il tessuto urbano consolidato. La tesi esplora la possibilità di utilizzare i flussi di spostamento dall'entroterra alla costa per rivitalizzare i 'vuoti' del quartiere. In questo modo gli spazi di risulta di quello che è il fronte urbano di San Donato diventano spazi di ricucitura tra la scala urbana e la scala del quartiere; via Rio Sparto, oggi linea di "cesura", diventa asse di collegamento privilegiato e di accesso alla città, riconfigurando l'attuale sistema di spostamento e assorbendo una parte del traffico veicolare. Ridare un'identità agli spazi abbandonati è quindi fondamentale in questo processo: il margine diventa catalizzatore e occasione di incontro, oltre che accesso alle parti più interne del quartiere, oggi simbolo di degrado ed abbandono.
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Roberta Guetti
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APPENDICE
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VIAGGIO IN ITALIA_1 PESCARA 9-10 OTTOBRE 2013
TRESOR HUNT >> RE-CYCLE HUNT
La tappa di Pescara è un viaggio-esperienza nei territori fragili dell’abitare urbano. Le trasformazioni dell’housing sociale vengono osservate attraverso particolari lenti d’ingrandimento, illustrando i fenomeni degli ultimi due decenni, in cui si intrecciano storie di dismissione e di rigenerazione urbana. La mappatura dei quartieri è orientata all’elaborazione di diagrammi interpretativi dei dati statistici che si intrecciano alle micro-storie dei nuclei di edilizia sociale a Pescara, alla narrazione incrociata delle biografie individuali e degli edifici interessati dai processi di rigenerazione. L’obiettivo del viaggio-esperienza nel quartiere di San Donato a Pescara è quello di proporre una diversa percezione dei luoghi, una modificazione della visione degli spazi attraverso delle ‘stazioni’ collocate in punti strategici dei percorsi di attraversamento, in grado di traguardare temi di riciclo affini a quelli del PRIN nazionale. La Mostra nella Facoltà di Architettura di Pescara accoglie i visitatori con una ripresa video del quartiere di San Donato, accompagnata dal montaggio di sequenze elaborate dal laboratorio di progettazione nel mese di Settembre. L’allestimento generale comprende la Riproduzione di grandi foto a partire dal gesto semplice del Riciclo della “sedia”, icona della rigenerazione urbana come pratica spontanea, fino ad includere il tema del riuso degli spazi pubblici dei quartieri, degli orti urbani, di attività autogestite dagli abitanti; su questi temi si inseriscono le prefigurazioni progettuali elaborate sul tema del riciclo degli edifici e degli spazi secondo differenti strategie di intervento. La mostra espone in parallelo le ricerche elaborate a Pescara e nelle altre sedi di ricerca del PRIN comprendenti: -Mappature dei quartieri e delle dinamiche di trasformazione, interpretate in vista delle strategie di riciclo e trasformazione; -Narrazione di micro-storie sull’Abitare sotto forma di video-interviste; -Selezione di Tesi di laurea sul tema “Strategie di riqualificazionerigenerazione dei quartieri ATER a Pescara”. Susanna Ferrini
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ANTONIO | 83 ANNI
"Non so veramente che fare. Il pomeriggio mi metto con la sedia sotto casa e guardo le macchine che passano"
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"CON I MINUTI CONTATI"
"Sarebbe bello avere nel quartiere una biblioteca o anche una semplice sala lettura"
DONATO | 61 ANNI
"Mamma non mi manda a giocare perchè ha paura delle macchine che corrono"
FABIOLA | 8 ANNI
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"Ormai sono un bel pò di anni che non esco piÚ in giro per il mio quartiere: torno a casa solo per mangiare e dormire" TERESA | 24 ANNI
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VIDEO PRIN RE-CYCLE LAUREANDI
"Manca una fontanella vicino al campetto dove giochiamo e dobbiamo sempre allontanarci per bere"
FRANCESCO | 13 ANNI
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COLOPHON PRIN 2013/2016 PROGETTI DI RICERCA DI INTERESSE NAZIONALE UNITÀ DI RICERCA DI PESCARA UNIVERSITÀ DEGLI STUDI
ALLESTIMENTO - PESCARA Susanna Ferrini con Vincenza De Vincenziis
"G. D’ANNUNZIO " di CHIETI-PESCARA COORDINATORE E RESPONSABILE SCIENTIFICO
Francesco Garofalo DOCENTI E RICERCATORI
Carmen Andriani Massimo Angrilli Giuseppe Barbieri Cristina Bianchetti Stefania Camplone Antonio Alberto Clemente Giuseppe Di Bucchianico Matteo Di Venosa Susanna Ferrini Paola Misino Rosario Pavia Lorenzo Pignatti Piero Rovigatti LABORATORIO RE-CYCLE PESCARA Francesca Pignatelli (Responsabile) Emilia Corradi Vincenza De Vincenziis Raffaella Massacesi Laboratorio tematico 2. TreasureHunt>> RE-CYCLEHUNT a cura di Susanna Ferrini con Vincenza De Vincenziis
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COLLABORATORI Matteo Amicarella Alessandra Alimonti Emilia Corradi Serena Nicla Cappa Maria Lucia D’Alessio Elita D’Onghia Milena De Iure Vincenza De Vincenziis Giorgia Di Cintio Roberta Guetti Stefania Gruosso Lorenzo Laganà Francesco Lautana Roberta Longo Michele Manigrasso Raffaella Massacesi Cristina Massaro Mario Morrica Lorenzo Pio Paladino Dalila Palazzo Stefano Picciani Francesca Pignatelli Giulia Salomone Annarita Tartaglia Patrizia Toscano
CURA EDITORIALE E GRAFICA DELLA PUBBLICAZIONE Laura Crognale Vincenza De Vincenziis
CREDITI FOTOGRAFICI Archivio della Parrocchia S.Gabriele dell'Addolorata Alessandra Alimonti Sergio Camplone Stefania Ciancetti Milena De Iure Vincenza De Vincenziis Roberta Guetti Francesco Lautana Venera Leto Angelo Maggio Dalila Palazzo CREDITI FOTOGRAFICI "CON I MINUTI CONTATI" Studenti Laboratorio 02_2013/2014
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Finito di stampare nel mese di dicembre del 2016 dalla tipografia «la Cromografica S.r.l.» 00156 Roma – via Tiburtina, 912 per conto della «Aracne editrice int.le S.r.l.» di Ariccia (RM)
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Re–cycle Housing
Re–cycle Housing. Nuovi cicli di vita per l’abitare è il trentaduesimo volume della collana Re-cycle Italy. La collana restituisce intenzioni, risultati ed eventi dell’omonimo programma triennale di ricerca – finanziato dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca – che vede coinvolti oltre un centinaio di studiosi dell’architettura, dell’urbanistica e del paesaggio, in undici università italiane. Obiettivo del progetto Re-cycle Italy è l’esplorazione e la definizione di nuovi cicli di vita per quegli spazi, quegli elementi, quei brani della città e del territorio che hanno perso senso, uso o attenzione. Il Quaderno nasce in occasione della prima tappa di incontri nazionali della ricerca PRIN Re–cycle italy — “Viaggio in Italia_1.Riciclare i territori fragili Pescara 9–10 Ottobre 2013” (Coordinatore Unità di Pescara Francesco Garofalo). Il volume raccoglie i contributi del Laboratorio tematico sui quartieri di edilizia pubblica delle altre università coinvolte nel PRIN e gli sviluppi successivi della ricerca dell’Unità di Pescara.
isbn
RE–CYCLE HOUSING NUOVI CICLI DI VITA PER L’ABITARE
978-88-548-9794-6
Aracne
euro 47,00
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