Adozioni e dintorni - GSD Informa settembre-ottobre 2015

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Adozione e dintorni GSD informa - bimestrale - settembre/ottobre 2015 - n. 5

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settembre-ottobre 2015 | 005

GSD informa

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editoriale

di Luigi Bulotta

psicologia-pedagogia e adozione

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Lentezze al bagno di Monica Nobile

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Ogni giorno come il primo giorno di Francesca Sivo Diario di un’adozione - quinta parte di Valentina Cafiero

giorno dopo giorno

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sociale e legale

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Adozione internazionale di Cinzia Bernicchi leggendo

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Parole fuori: 8 - esplorare di Marina Zulian Genitori si diventa di Antonio Fatigati Un’altra immagine di me di Greta Bellando trentagiorni

Registrazione del Tribunale di Monza n. 1840 del 21/02/2006 Iscritto al ROC al n. 15956

redazione Luigi Bulotta direttore, Catanzaro direttore@genitorisidiventa.org; Simone Berti, Firenze

editore Associazione Genitori si diventa - onlus via Gadda, 4 Monza (MI) www.genitorisidiventa.org info@genitorisidiventa.org

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di Luigi Bulotta

#nellenostremani

editoriale

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In molti hanno parlato della crisi delle adozioni in Italia in questi ultimi anni: associazioni familiari, enti autorizzati, giornali, politici in interviste e interpellanze parlamentari. Anche noi, dalle colonne di questo giornale, abbiamo più volte richiamato l’attenzione sulle criticità esistenti, auspicando l’intervento delle istituzioni per la loro soluzione. Molte le parole spese, per evidenziare i vari aspetti che non funzionano a dovere. Il CARE, il coordinamento che raggruppa sotto di sé 32 associazioni familiari adottive e affidatarie, ha fatto un passo in più, passando dalle parole alle azioni, ed è riuscito in un’operazione mai tentata: mettere insieme per la pima volta le famiglie, gli enti autorizzati e le istituzioni, che a vario titolo si affacciano al mondo delle adozioni, per farle dialogare tra di loro e con la politica dei problemi che affliggono questa complessa realtà. E’ stata questa la grande sfida portata avanti con i Family Lab che nella seconda edizione del 17 ottobre scorso ha visto una partecipazione ancora più ricca e un clima di collaborazione nuovo ed unico nel suo genere. Si è trattato sicuramente di un cambiamento di approccio, di un importante lavoro comune che ha suscitato l’attenzione della politica che si è vista destinataria di istanze condivise da tutti i soggetti coinvolti, richieste che attengono agli aspetti nevralgici del sistema adozioni. La strada da percorrere è ancora tanta e il lavoro che Genitori si diventa profonde da sempre all’interno del CARE dovrà proseguire con lo stesso impegno, ma alcuni risultati importanti sono già arrivati, come, ad esempio, la creazione di un fondo


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ad hoc per le adozioni internazionali, la disponibilità avanzata dal Ministero della salute alla costituzione di un tavolo di lavoro per la salute dei bambini adottati e l’impegno del Ministero del Lavoro a pubblicare circolari interpretative della normativa dei congedi per malattia e di quelli parentali, fino all’annuncio della volontà della Presidenza del Consiglio di procedere alla riorganizzazione della Commissione Adozioni. Notizia particolarmente importante perché rappresenterebbe un’importante occasione per rimettere in moto l’intero sistema delle adozioni internazionali, paralizzato da tanto, troppo tempo. L’insostenibilità di alcune situazioni, denunciate da più parti, ha di certo creato un clima maturo ai cambiamenti, ma mi sembra altrettanto evidente che l’autorevolezza che il CARE ha conquistato sul campo nei 4 anni della sua breve ma intensa vita, la sua vocazione a fare rete anche con realtà tanto eterogenee, sta dando i suoi frutti, portando le associazioni familiari ad essere protagoniste del cambiamento auspicato da anni.


psicologia-pedagogia e adozione 6

di Monica Nobile pedagogista - counsellor

Lentezze al bagno

Mai come in questi ultimi anni mi capita di incontrare genitori con una grande fretta di togliere il pannolino ai loro figli. Spesso – mi dicono – è su sollecitazione dei pediatri che li invitano a stimolare l’autonomia del bambino, altre volte si tratta di una sorta di competizione con altri genitori del nido, se il suo si tiene pulito il mio certo non sarà da meno… Altrettanto spesso, mai come in questi ultimi anni, mi capita di incontrare genitori molto preoccupati poiché i loro figli, di quattro, cinque, sei anni, trattengono i loro bisogni finché possono e poi finiscono per farsela addosso. Non voglio farne una regola generale, ma spesso le due questioni vanno insieme; la fretta non paga, specialmente con i bambini, che nel loro percorso di crescita

e di conquista dell’autonomia necessitano di un tempo, di pazienza. Hanno bisogno di adulti che riescano ad entrare nel loro mondo e nei loro ritmi, due passi avanti e uno indietro. “Sono grande ma sono anche un po’ piccolo” è un motto che può durare fino all’adolescenza inoltrata! Purtroppo viviamo in un contesto sociale che induce la fretta, l’ansia di prestazione, la corsa verso traguardi che, nella maggioranza dei casi, si potrebbero conquistare con tranquillità garantendo ai bambini quel tempo prezioso che si traduce in rispetto per le differenze individuali e le specificità di ognuno. Ho voluto iniziare questo articolo parlando di un bisogno primario e fondamentale per ognuno di noi, perché penso che se nemmeno al bagno lasciamo in

pace i bambini, non sapremo mai accompagnarli nei loro percorsi, nella vita, a scuola, nella crescita. Penso ai tanti bambini adottati, nel loro alternare un controllo serrato (non so cosa possa capitarmi ancora, meglio che non mi lascio andare) e dal lato opposto una frequente difficoltà nel gestire e contenere le proprie emozioni (ho un vulcano nella pancia e non so come fare). Ecco che anche nei piccoli gesti quotidiani, nei rituali che scandiscono la giornata, può diventare molto importante ricordare il grande valore positivo della lentezza. Mettere la sveglia un po’ prima, così che ci sia il tempo di separarsi con calma dal calore delle coperte e dalla sicurezza della tana per affrontare il mondo di fuori; andare a dormire


per tempo, così che ci sia il tempo di leggere insieme al papà o alla mamma una bella storia; evitare di riempire tutta la settimana con impegni extrascolastici (sport, musica, inglese…) così che ci sia anche il tempo di dedicarsi al gioco libero e, perché no, al meritato ozio. Se posso dare un consiglio ai genitori, tornando al bagno, fatene una stanza piacevole, dove ci sia a disposizione qualche fumetto o qualche libro di belle storie. Se i vostri figli sono ancora piccoli - solo voi sapete definire esattamente fino a quando vostro figlio mantiene aspetti e bisogni da piccolo - quando potete fategli compagnia in ba-

gno. E’ un luogo di intimità, dove spesso i bambini amano fare due chiacchiere e si lasciano sorprendentemente andare a confidenze e riflessioni importanti. Non è banale, almeno secondo me. Basti ricordare che in orfanotrofio, generalmente, c’è un orario per tutto, anche per fare i propri bisogni, possibilmente velocemente per questioni logistiche e organizzative. Colgo l’occasione per consigliare, a chi non l’avesse visto, il film “La guerra dei fiori rossi” che narra la storia di Qiang, un bambino di 4 anni che, nella Cina Popolare del 1949, viene portato in un Istituto pechinese dai genitori troppo impegnati nel lavoro. Qiang deve

confrontarsi con la vita della collettività, regolata in modo per lui troppo rigido dalle educatrici. E’ un bel film, che si sofferma proprio sullo scontro tra i tempi di un bambino e le esigenze della comunità di adulti, scontro spiegato a mio avviso in modo eccellente proprio nella scena al bagno. Qiang, infatti, non riesce ad andare al bagno a comando e continua a fare la pipì a letto. Questo suo insubordinato atteggiamento, non fa che inasprire la reazione delle maestre che premiano con medaglie a forma di fiore rosso solo i bambini disciplinati. Riguardiamoci questo bel film e ricordiamoci di …andarci piano.

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giorno dopo giorno

Francesca Sivo mamma adottiva

Ogni giorno come il primo giorno 8

Da qualche giorno è ricominciata la scuola. Anche per la piccola Zoe, che ha iniziato la prima elementare in una scuola molto, molto lontana da casa. Sono due anni ormai che la sua mamma e il suo papà l’aspettano. La sua cameretta con le bambole e gli abiti nuovi è pronta, ma per una legge difficile da spiegare ai bambini Zoe può guardarla insieme alla sua sorellina soltanto su un album fotografico che i genitori e i nonni hanno preparato per loro. Il babbo, toscano verace, ironizza dedicandole una canzone, Il primo giorno di scuola di Elio e le Storie Tese. Non riesce però a mascherare il dolore per l’ennesima prima esperienza rubata. Perché oltre quel primo giorno di scuola c’è tutto quello che, ben prima di quel giorno, anche lui e sua moglie, come tutti i genito-

ri adottivi, hanno perduto. E perché, nell’angoscia di un’attesa estenuante e assai più lunga di una gravidanza biologica, viene più facile pensare a ciò che non è stato piuttosto che a ciò che sarà. Eppure – a rifletterci meglio – si realizza che, in fondo, ogni primo giorno di scuola si può vivere come se fosse il primo in assoluto. Da genitore adottivo, infatti, impari ad apprezzare ogni evento, anche il più (apparentemente) insignificante, a goderne l’intima essenza e a trascorrere ogni momento con una consapevolezza diversa: sai quanta fatica c’è dietro, quanto tempo, quante energie e quanti sacrifici ci sono voluti per arrivare fin lì, e quanto quel traguardo sia stato sognato. Insomma, metti a fuoco le priorità. Fai in modo, per esempio, da non perderti

per niente al mondo l’ingresso e l’uscita da scuola in quel fatidico primo giorno, rinunci a serate al cinema o in un pub con gli amici e resti a casa a ‘fare famiglia’, perché non vuoi sprecare altro tempo, dopo tutto quello che purtroppo hai già perso. In un attimo, ti passano per la mente i ricordi delle tante prime volte vissute insieme come famiglia dopo aver varcato ‘quella soglia’. Rivedi i video di Tom e Jerry durante il primo viaggio in macchina e le prime patatine al McDonald’s. La prima corsa in metropolitana e i primi, liberatori, salti sui gonfiabili. La testa nell’oblò della lavatrice, la sciarpa del Bari tra le mani e la pasta al sugo con la scarpetta e la faccia sporca. La prima notte insonne, appiccicata a mamma come una ventosa, con un caldo che fa sudare sol-


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L’acquerello, intitolato “C’era una volta”, è opera di Genni Caiella (settembre 2015).

tanto a guardarsi, mentre papà serra gli occhi e finge di dormire: perché basta, quei fiumi di parole in una lingua sconosciuta mi hanno stordito e intanto abbiamo fatto l’alba. L’attesa all’aeroporto a spingere il carrello stracolmo di bagagli ripetendo di continuo: “Andiamo! Andiamo!”, quando c’è una coda chilometrica davanti a te e non puoi muovere neanche un passo. Il primo volo con la febbre, a cercare una tachipirina e una persona gentile che traduca dal russo all’inglese, mentre tu piangi perché non riesci a capire e desideri soltanto arrivare a casa. E poi il mare, il primo bagno tutto vestito, perché l’eufo-

ria di vederlo finalmente dal vivo è incontenibile, e quello vero, in costume, con le onde che mi trascinano a riva perché ancora non so nuotare. Le ‘fatiche’ della montagna e di nuovo il mare, con i secchielli e le palette a costruire castelli e a raccogliere conchiglie per farne collane. Il primo Natale, i biscotti e i panzerotti. Il Battesimo, che è una grande emozione e ai più grandicelli si può pure spiegare. L’albero carico di luci e addobbi, la prima poesia e la nascita del Bambinello, la visita di Babbo Natale a casa dei nonni e quel sacco pieno di doni come mai ne abbiamo visti prima. Le sgagliozze e le popizze, le partite allo

stadio e la focaccia: la ‘baresizzazione’ è compiuta. E ancora, le prime feste di compleanno, quelle di Halloween e di Carnevale, il topolino dei dentini e le gare in piscina, le prime uscite con il gruppo scout e i saggi di danza e pianoforte… ma soprattutto la gioia di festeggiare insieme il primo compleanno di famiglia e tutti gli altri a venire. E sì, perché questo hanno di speciale le famiglie adottive: possono celebrare la loro nascita. Ogni anno come fosse il primo. Dedicato a Silvia, Luca, Zoe e Divine, alla mia famiglia e alla felicità di tutte le nostre prime volte.


giorno dopo giorno

di Valentina Cafiero

Diario di un’adozione - parte quinta 10

A José Enrique e Juan Camilo. Ed è a loro che mamma V. dedica questo diario di viaggio e di vita. Un tributo ai miei piccoli e desideratissimi uomini che meritano una parola scritta almeno per ogni loro giorno della nostra nuova vita insieme per fare memoria del loro passato, per custodirlo, accoglierlo e amarlo sempre perché è tutto questo che li rende speciali e soprattutto li rende figli nostri. 22 giugno Ed è iniziata anche l’avventura Bogotà. Stanchi, stanchi, stanchi…. Anche di fare i turisti. Ieri siamo stati a fare la gita alla cattedrale del sale di Zipiriqua con le altre coppie adottive presenti qui in albergo con lo scagnozzo della referente. Io e Raffaele siamo contrari a queste gite non fai da te, ma abbiamo deciso di accettare per socializ-

zare visto che oramai siamo praticamente sempre soli e poi perché essendo una città veramente troppo grande è molto faticoso organizzare e pensare agli spostamenti. Il posto era suggestivo e le pesti hanno gradito perché si sono messi il caschetto da operai di miniera, hanno ascoltato la spiegazione della guida infatti hanno fatto un sacco di domande su chi era Jesus, perché lo avessero messo in croce. Juan Camilo già sapeva che fosse in cielo, mentre José Enrique ha detto che la guida ha detto 1000 molte Jesus di qua e di là. Poi hanno visto il film 3D. Ma non sono mancati i momenti difficili, non quanto quelli iniziali, ma di nuovo José Enrique ha preso ad andarsene con le altre coppie di genitori e Raffaele non la vive proprio bene questa cosa. Io francamen-

te non mi ingelosisco, ma penso che non debba rompere le scatole agli altri. Quindi da una parte è piacevole stare in compagnia, dall’altra è faticoso. Poi nel pomeriggio altri problemini. Io sono andata al centro commerciale sola per comprare qualcosa di pesante a loro e Raffaele mi doveva raggiungere con loro, ma all’arrivo ho trovato José Enrique in lacrime che diceva di non voler scendere e di voler continuare a vedere i cartoni e quindi non dava la mano per strada. Secondo me l’ha fatto perché io sono scesa, anche se era stato opportunamente avvertito. Approfittando dei chiarimenti gli abbiamo ribadito che quando siamo in compagnia non deve azzeccarsi agli altri perché dà fastidio e che gli altri bimbi rimangono sempre vicino ai loro genitori. Marò e che fatica!! In-


tanto io penso che si sentano un po’ sbandati per tutti questi cambiamenti e per mancanza dei loro punti di riferimento: “la comida” in casa. Infatti stasera abbiamo deciso di cenare a casa e li vediamo più tranquilli e meno capricciosi. Stasera è andato lui da solo con il padre al supermercato e io a casa con Juan Camilo e ha fatto ricredere il padre perché si è comportato da ometto. Stamattina intanto abbiamo deciso di lanciarsi nel centro di Bogotà. Scendendo José Enrique ha intravisto le altre coppie di ieri, mentre noi per niente, abbiamo chiesto se volevano unirsi a noi, ma loro hanno preferito la messa… Vabbè. Non credo quindi che abbiamo molti punti in comune per i prossimi giorni. In una Bogotà domenicale ci siamo lanciati tra taxi e autobus arrivando

in centro a più di 40 minuti di distanza. La cosa positiva di queste cose è che le pesti si addormentano sempre in macchina. Possiamo dire di essere stati al museo del oro e a quello di Botero, ma letteralmente di essere stati, perché a vedere chiaramente non abbiamo visto tanto, ma su questo li giustifico. Poi giro in centro in questa metropoli sudamericana. Francamente l’ho trovata sporca e poco curata a livello di piazze e strade e nelle zone residenziali sempre tutto schifosamente uguale e senza punti di riferimento tra catene di supermercati e fast food, smog e tante macchine. Le cose belle da fare sarebbero i ristoranti di ogni genere, ci sarebbero da provare mille cose e poi mostre, musei, negozi ecc ma noi siamo votati a loro e quando riusciamo già a fare tante cose in una

giornata ci sentiamo felici e soddisfatti. Vai che domani è lunedì. Abbiamo scapolato il weekend. Baci a tutti 24 giugno 5 giorno di Gogotà e possiamo dire finalmente di esserci ambientati anche qui, oramai siamo tutti a prova di bomba. Dal momento in cui abbiamo deciso di fare almeno un pasto al giorno in casa i bambini si sono di nuovo tranquillizzati. Il pasto in casa e la preparazione dello stesso hanno una certa sacralità per loro e possiamo affermare che sono la cosa che li rende più felici. Vedermi in cucina gli piace un sacco, ma non pensate che posso stare tranquilla. Mi mettono la musica per farmi compagnia e io devo dire se conosco o meno quella canzone e dove l’ho imparata e ballarla. Ades-

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so distinguono le canzoni che si ballano abbracciati da quelle no. Io mi concedo anche la mia corsa mattutina sfidando anche la pioggia di Gogotà almeno così recupero energie fisiche e mentali. Ieri abbiamo trascorso praticamente tutta la giornata al museo di scienza e tecnologia della Maloka pensato appositamente per bambini, cose che qui ce le sogniamo in termini di qualità, assistenza e innovazione. Siamo entrati alle 10.30 e usciti alle 5.30 del pomeriggio. Anche in questa occasione hanno mostrato la loro avidità e tanto sono usciti quando hanno esaurito tutte le attività disponibili, dalla paleontologia, il cinema 3d, l’astrologia, il movimento, i giochi ecce cc. Abbiamo inoltre scoperto questa nuova zona di Bogotà più grande e parecchio verde e continuiamo

a rimanere a bocca aperta davanti alla sua vastità per non parlare di traffico e smog. Cerchiamo inoltre di parlare e ricordare insieme tutte le cose che facciamo durante la giornata e cerco di mettere a frutto la loro sete di conoscenza e i continui porquè. Dalle nostre gite abbiamo quindi imparato i pianeti, che la terra gira in intorno al sole. Che le popolazioni antiche lavoravano l’oro, l’argento e il rame. Tutte le città della Colombia e che il pittore più importante di tutta la Colombia, quello che dipingeva persone gorde e senza vestiti si chiama Botero. Ma perché poi non glieli metteva i vestiti mamà? Gli piacevano così? La giornata di oggi è trascorsa tra le varie pratiche burocratiche. Devo dire che ogni volta che si riesce a concludere una scartoffia me li abbraccio e bacio for-

te perché non mi sembra vero di aver fatto un passo avanti. Qui è tutto lentissimo, voglia di lavorare saltami addosso, tutto super last minute, un ponte oggi, la partita domani e tu che dipendi da referenti, autisti e i loro orari, senza considerare i lati oscuri sui quali preferisci non indagare troppo altrimenti dovresti mettere tutto in discussione. Ma questo è il lato oscuro dell’adozione e pur di tornare presto a casa con loro ingoi tanti bocconi, senza considerare quello che hai già fatto. Un pezzettino alla volta ce la faremo. Domani è mercoledì. Intanto non pensate che quando dico che si sono tranquillizzati voglia dire che riesco a stare cinque minuti fermi e senza chiamarmi ogni 2 minuti o che José Enrique non si lancia subito con altri quando sia-


mo in compagnia, ma solo che non hanno comportamenti sopra le righe. Devo dire che abbiamo comunque sviluppato qualche strategia di sopravvivenza visto che, anche se me lo dicevano, io non ci credevo che due figli sono molto più che il doppio di uno. Esempio: qui rispetto a Pereira loro hanno i lettini singoli e quindi non posso sfruttare il fatto di mettermi in mezzo e cantare una ninna nanna o raccontare un’unica volta le cose belle della giornata, ma il compito si raddoppia e loro non mi risparmiano nulla assetati come sono. Ogni tanto però tocca separarsi e José Enrique è il prescelto per andare al supermercato visto che quando andiamo in 4 fanno un casino indicibile. Una volta con me e una con il papà, l’ometto di casa si comporta in modo juicioso, aiuta, mette a

posto la spesa nel carrello in modo ordinato, mi ricorda le cose da prendere, oggi gli ho fatto scegliere la torta e un regalino per l’onomastico del fratello, insomma come dice mia madre Dio vede e provvede per aiutarmi nella mia sbadataggine. Inoltre visto che rispetto a Pereira io faccio molto di meno in casa grazie alla formula alberghiera riesco a darmi ancora di più e loro mi ciucciano ancora più risorse oltre a quelle delle papà naturalmente completamente votato a loro di cui vi racconto un episodio di stasera molto divertente. Abbiamo stabilito un momento della giornata per i besos da consumare sul letto e sul divano, prima con uno e poi con un altro in cui mi devo mangiare ogni loro parte, occhi, naso, guance e quant’altro mentre loro godono come i paz-

zi e da questo ho imparato che i baci veramente non sono mai troppi e che bisogna sempre darne tanti soprattutto a José Enrique che se la gode veramente come un neonato quando gli togli il pannolino, non so se rendo l’idea…. Episodio della serata: io che faccio un piccolo lavoretto in salone e il papà che legge il racconto di Cars 2 in spagnolo, regalo di Juan Camilo, non facile devo dire e che si sforza a farsi capire e ogni tanto mi chiama per capire che significano delle parole, io che le cerco sul vocabolario in diretta e loro che ascoltano incantati anche se non si capisce molto. Che vitaccia! 25 giugno Oggi è stata una di quelle giornate che non dimenticheremo facilmente e sulla quale spero che presto ci

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rideremo sopra come culmine di un calvario che solo chi ci è già passato può capire. Altro che dolori di parto, allattamento ecce cc. Appuntamento previsto alle 10 con l’autista per andare a concludere la questione del visto con le altre due coppie arrivate con noi in Colombia e previste in partenza sempre con noi sabato, ma ancora con tantissimi problemi burocratici da risolvere. L’appuntamento dalle 10 passa alle 12 mentre noi cerchiamo di intrattenere in qualche modo i bambini sotto il diluvio di Bogotà. Finalmente arriva la camioneta con l’autista e loro e troviamo una brutta atmosfera. Oggi sono andati a fare quello che noi siamo riusciti a fare ieri, ma la responsabile non c’era a lavoro e non si sapeva se sarebbe tornata nel pomeriggio, a

soli 3 giorni dalla partenza. Passando mezza Bogotà in un traffico infernale arriviamo all’ufficio immigrazione senza che nessuno ci accompagni dentro. Per non tediarvi troppo vi dico solo che appena arrivati in Colombia facciamo tutte e 3 le coppie presente alla referente, e poi in seguito durante il soggiorno, che il visto che abbiamo fatto deve essere validato entro 15 giorni dall’arrivo altrimenti si veniva sottoposti a sanzione piuttosto alta (600 euro) e la responsabile prima ci dice che non è affatto così, poi dopo il superamento dei giorni, quando si accorge che era come dicevamo noi, senza mai ammettere di aver sbagliato, ci dice che risolverà tutto lei senza farci pagare nulla grazie alle sue conoscenze. Invece ci troviamo nell’ufficio immi-

grazione con 4 bambini al seguito di 6, 4, 3 e 2 anni che devono fare pipì, mangiare, che già sono stati tante ore in macchina e genitori che perdono la pazienza. Dopo aver vagato per un po’ Raffaele si accorge che la situazione va per le lunghe e non è così fluida come ci avevano detto e che ci vuole un appuntamento per risolvere questa cosa. Io già dalla mattina capisco che tutto sommato è la mia giornata fortunata perché mi sveglio presto e riesco anche a consegnare un lavoretto nonostante i problemi di linea, mi avvicino a una signora e le spiego gentilmente la questione e lei mi fa che prima di lunedì – martedì non se ne parla perché ci vuole l’appuntamento e io mi butto a pietà dicendo che abbiamo il volo sabato, che siamo 3 famiglie di


genitori adottivi e che nessuno ci aveva avvertito. Fortunatamente si tratta proprio della responsabile che si impietosisce e mi dice, vi aiuto io, non vi preoccupate, lasciate tutto qua e andate a mangiare che i bimbi non ce la fanno più. Usciamo alle 3 da lì dentro tutti esausti e rientriamo per rifare tutto alle 4.30 mentre l’ufficio immigrazione si trasforma praticamente in un baby parking, macchinine che volano, peluche in giro, chi si addormenta, chi si cambia il pannolino, un delirio collettivo bello e buono. Usciamo alle 5 passate e io ringrazio ancora una volta la signora per la sua gentilezza, mi propongo di portarle un regalo, ma lei dice buona fortuna e basta e io che ringrazio di aver scelto di studiare spagnolo senza il quale non sarei andata

da nessuna parte e con il quale forse ho salvato le partenze di 3 famiglie senza l’aiuto di nessuno. Chiaramente a tutti questi problemi burocratici si aggiungono loro che in questi momenti danno veramente il peggio di loro, José Enrique ha rischiato di prenderle un paio di volte perché si comporta come se avesse due anni, e tu lo guardi, cerchi di spiegargli che è importante e che senza queste carte non possiamo partire, gli regali una caramella per farlo stare buono e lui che fa sempre peggio e sfrena sempre di più il fratello. Andiamo a mangiare e versa tutta la salsa a terra, in macchina non si sta un minuto fermo, ma finalmente si arriva a casa e arriva il cazziatone tirato dalle mani tutta la giornata dopo che a tutto questo si aggiunge

il fatto che butta tutti i giochi a terra senza neanche giocarci. Quindi trova anche la forza di fare il cazziatone e poi prima di andare a dormire riprendi di nuovo la discussione cercando di spiegare in modo ragionevole che quando è il momento di giocare si gioca, ma quando mamma e papà chiedono un po’ di collaborazione loro la DEVONO DARE!!! Altrimenti la prossima volta volano i paccheri!!! Chiaramente se avete consigli su come placare gli animi in questi momenti e come riuscire a prenderli, vi ascoltiamo volentieri. Domani ritiro passaporti bimbi e un altro pochino è stato fatto. Notte 26 giugno Ancora Bogotà, ancora impegni di scartoffie, ancora turisti, sempre più fami-

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glia. Stamattina sono finalmente andata a ritirare i passaporti dei bimbi, PRESI, SONO MIEI!!! José Enrique è venuto con me, lui è contento sempre quando gli dici accompagnami stai con me. Poi di nuovo latitanza della referente che sta facendo salti mortali per far partire l’altra coppia e quindi il visto all’ambasciata italiana verrà fatto domani. E perché non oggi? Perché è normale, dobbiamo schiattare e stare con il fiato sospeso fino alla fine ultimo giorno utile. Ma oramai siamo a un passo, l’Italia è vicina, casita è vicina, la famiglia è vicina, la nostra vera vita sta per iniziare… Per sconfiggere l’attesa abbiamo fatto l’ultimo giro turistico. Di nuovo Bogotà centro, museo nazionale e il teleferico di Monserrat. Le pesti oramai sono uomini

da museo, dicono sì, questo già lo abbiamo visto, questo stava anche dall’altra parte ah è poi c’era un altro Botero, vedi mamma, anche questi sono gordi. Poi gli ho mostrato un dipinto astratto e José Enrique mi guarda e mi dice e questo come si fa? E io dico anche Juan Camilo è un artista da astratto quando prende i pastelli e fa i disegni e lui dice vero mamma in casa lo facciamo anche noi allora l’abstracto. Siamo saliti a 3000 metri e ci siamo goduti la bellissima vista su Bogotà come per salutarla e poi in taxi tanti discorsi con loro sul nostro viaggio, quanti aerei dobbiamo prendere, mamma e le valigie? Ma dove sono? Ma le hai portate? E poi mamma un po’ mi manca Pereira, qui fa freddo e piove. Ma zia Giusy ci viene a prendere? Poi di nuovo mama He-

lena, lo sai mamma che piangeva quando ce ne siamo andati. E io, ma pure voi? No quando mai noi volevamo venire. E poi ma vi ha dato i baci quando ve ne siete andati? No mamma lei non ci dava mai baci, solo quando uscivamo per andare a scuola e poi ci ha detto che non si riposerà perché le arriveranno altri bimbi e io che dico, io invece non vi cambierò mai mai maiii. Poi nel museo vediamo un pianoforte e dico lo sapete che anche in casa abbiamo un piano? E loro certo come no, lo abbiamo visto nelle foto (per la serie a noi non ci sfugge niente). Poi José Enrique inizia a parlare del nostro incontro e fa mamma ma come eravate belli in quelle foto che ci facevano vedere, però mentre papà era uguale alle foto quando lo abbiamo vito tu hai capelli di-


versi, nella foto dietro erano più scuri (ma secondo voi è possibile)? Mamma però anche noi eravamo carini quando ci siamo incontrati, mama Helena ci aveva vestiti super boniti. Poi sul monserrate, c’era un pozzo dei desideri, loro lanciano la moneta e poi chiedo che desiderio hanno espresso e Juan Camilo, mamma voglio fare il cuoco (secondo me pensava a quando ha impastato le pizze), José Enrique invece guarda il papà e dice voglio diventare grande come papà. Baci 27 giugno Bogotà ultimo giorno, pare che ce l’abbiamo fatta. Sempre al cardiopalma, ultime scartoffie da firmare, Raffaele ed José Enrique in ambasciata e io e Juan a casa a costruire l’aereo con le costruzioni

e loro che non tornavano, l’ansia cresceva era quasi l’1, poi finalmente arrivano e si può partireee non manca più nulla. Dopo visita della referente a casa che ci consente di scaricare anche le foto delle due sorelline che tra un paio di settimane incontreranno i loro genitori. Belle come il sole, con gli occhi di José Enrique, loro contenti e felici di vederle, solo Juan Camilo si stranisce un po’ non so se è stato un caso o ha ricordato qualcosa di brutto. Intanto si parla di loro come la cosa più normale del mondo, senza farci troppi problemi, voglio si sentano accolti e voglio si sentano accettati in tutta l’assurdità della loro piccola esistenza. In serata pizza con la coppia del fratellino che purtroppo rimarrà qui a Bogotà perché per una serie di sfortune non sono riusciti a conclu-

dere. Non mi pare ancora vero, domani mattina faccio le valigie, sono nostri, per sempre e inizia una nuova vita, quella vera. Qualcuno ha parlato di miracolo, bhe, un po’ lo è. Quello che può realizzare l’essere umano con l’amore e la volontà, l’impegno e la dedizione supera la biologia e la natura stessa. Adesso che sono alla fine però mi rendo conto che ci vuole veramente tanta fortuna in un percorso come questo e noi l’abbiamo avuta. I fortunati infatti non sono loro come spesso sento dire, ma siamo noi che avremo la nostra vita, bella comunque anche prima, ma adesso riempita da questi piccoli cuccioli che faranno uscire il meglio e il peggio da noi e che chiudono il cerchio o meglio lo allargano perché grazie a loro tutto si reinventerà e

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sarà più faticoso, ma più bello, come la vita di chi ci sta vicino e ci ama. Il programma è che non ho programmi, non m immagino questo ritorno. Ho tantissima voglia di riabbracciare tutti, anche se sono stata completamente assorbita e lo sarò ancora, ma non ho idea di come reagiranno a tutto, ma non importa, ci faremo guidare da loro e dall’istinto che ci ha portato fin qui. Il cuore e la pancia che dialogano e trovano le soluzioni insieme. Cosa lascerò qui? Un pezzo di vita, di donna e di noi tutti e spero anche di riuscire a portare qualcosa con me e di custodirlo

per loro e di non farglielo mai dimenticare, che sia mama Helena, una empanada e tutto il resto. Prima di metterli a letto gli ho detto che è la nostra ultima notte in Colombia e che loro sono dei bimbi fortunati perché appartengono a due mondi diversi e che parleranno due lingue e saranno più forti di tanti altri. Ricorderò ogni istante e se non lo ricorderò, mi aiuterà il diario e un giorno servirà anche a loro. Me la sono goduta tutta qui. Ho trovato la mia maternità tanto cercata, ma ho sposato l’idea di questo mondo: gli odori, la lingua e soprattutto la gente che mi rimarrà nel cuore.

C’è un episodio che forse non ho mai raccontato, ma in una delle varie gite fatte in autobus mi è capitata una signora accanto con la quale ho iniziato a chiacchierare che si è incuriosita e alla quale ho raccontato tutta la storia. Lei si è commossa tanto, mi ha stretto la mano e mi ha chiesto di fare una “oracion” insieme. Ha chiesto di perdonare i loro genitori biologici che non sapevano quello che facevano e che questo li ha resi però dei bambini fortunati che verranno ad arricchire le nostre vite. Ricorderò sempre quella spontaneità e l’effetto di quelle parole. Grazie Colombia.


post

GSD attiva sul territorio gruppi di auto aiuto dedicati al Post adozione e all'Attesa, organizza incontri di sensibilizzazione e informazione, copre le spese vive contribuisce a coprire i costi

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sociale e legale

Di Cinzia Bernicchi consulente Ai.Bi.

Adozione internazionale

La crisi attuale nasce anche dalla mancanza di trasparenza. L’Aja detta le buone prassi: l’Italia le rispetta? 20

Se l’adozione internazionale sta affrontando una fase di crisi a livello globale, le cause di questa congiuntura negativa dell’accoglienza non possono che essere molteplici. Ogni Paese dice le sue, che non necessariamente coincidono con quelle degli altri: meno minori adottabili, crisi economica che ha colpito le famiglie, tempi e costi eccessivi, scarsa attenzione politica al mondo dell’adozione, procedure regolate da leggi ormai vecchie e inadeguate. Diversità di cause che si riflettono in periodi diversi in cui un tale fenomeno ha avuto inizio. È indicativo, per esempio, il fatto che le adozioni in Francia, Spagna e Stati Uniti hanno iniziato a crollare quando in Italia, in questo settore, si stavano invece vivendo gli anni migliori. Ma se c’è una causa della crisi dell’accoglienza adottiva

su cui sono tutti d’accordo, questa è una generale mancanza di trasparenza in termini di costi. Un virus che ha infettato l’adozione internazionale a livello mondiale. Tanto da indurre il Permanent Bureau de L’Aja, l’istituzione chiamata a sorvegliare sulla corretta applicazione della Convenzione de L’Aja sulla protezione dei minori, a elaborare una serie di linee guida che portino al totale rispetto dei principi di trasparenza contabile. Buone prassi a cui anche l’Italia, come Paese ratificante della Convezione, è chiamata ad attenersi. Ma non sempre lo fa. I sei “punti magici” su cui si orientano le buone pratiche relative agli aspetti finanziari legati all’adozione internazionale dettati dal Permanent Bureau sono i seguenti. Innanzitutto assicurare

la trasparenza dei costi, specificare gli onorari dei professionisti, i contributi e le donazioni. In secondo luogo, impostare costi e spese ragionevoli. Quindi esplicitare con chiarezza tutti i rischi connessi a pressioni finanziarie indebite. Proseguendo con indicazioni sui contributi a progetti di cooperazione e le donazioni. Poi prevenire e combattere ogni profitto indebito. Per finire con la previsione di sanzioni appropriate ed efficaci. Una successione di buone prassi tutte ugualmente importanti, che gli esperti de L’Aja hanno sviscerato in una serie di sottopunti più specifici. Ed è passando in rassegna questi ultimi che ci si rende conto di come il nostro Paese sia manchevole sotto diversi aspetti. Tanto da poter concludere che neppure uno dei sei punti elaborati dal Perma-


nent Bureau può dirsi pienamente rispettato nella realtà italiana dell’adozione internazionale. 1. Trasparenza dei costi Relativamente alla prima di queste buone prassi, L’Aja raccomanda, per esempio, di “assicurarsi che tutti i pagamenti (spese, onorari, contributi e/o donazioni) siano effettuati tramite bonifico bancario verso un conto ben definito”. I pagamenti in contanti, insomma, devono essere vietati. Il nostro Paese prevederebbe il rispetto di tale normativa, ma in genere non compie alcuna verifica per controllare che ciò avvenga davvero. Tanto che non è raro che emergano situazioni in cui le cose vanno molto diversamente: quella dei contanti in nero che molte coppie si vedono costrette a portare all’estero è una delle

piaghe che maggiormente affligge l’adozione internazionale in Italia. Allo stesso tempo, L’Aja chiede che vengano sempre dettagliate le destinazioni di spesa dei costi sostenuti dalle coppie. Ma anche in questo caso, l’Italia, pur approvando a parole l’indicazione del Permanent Bureau, lascia che nei fatti le cose vadano diversamente. I costi sono spesso forfetizzati e inclusi in una sorta di “pacchetto completo” per l’adozione, senza che siano specificati nel dettaglio le destinazioni di spesa. E ancora, sempre nell’ottica della trasparenza, gli enti autorizzati sarebbero tenuti a mettere a disposizione dell’utenza in forma scritta tutte le informazioni relative agli aspetti finanziari. Praticamente tutti i 62 enti italiani sono dotati di un sito internet,

ma molti di essi sono poco completi e comprensibili. Con buona pace del diritto all’informazione delle coppie interessate. 2. Costi e spese ragionevoli Passando al secondo punto delle buone prassi, L’Aja chiede di impostare costi e spese ragionevoli. A questo scopo, il Permanent Bureau raccomanda agli enti di “retribuire i professionisti con un compenso mensile, quando il numero delle adozioni lo permette”. La ratio è quella di evitare che, chi lavora per un ente autorizzato, cerchi di realizzare più adozioni del consentito, solo per guadagnarci di più, in una sorta di sistema “a cottimo”. Un pericolo sui cui l’Italia non è mai intervenuta in modo chiaro. 3. Esplicitazione dei ri-

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schi connessi a pressioni finanziarie indebite Per i casi in cui la trasparenza non c’è, L’Aja chiede ai Paesi di “prevedere un metodo di facile accesso che permetta alle coppie e agli altri attori di segnalare ogni tipo di abuso, anche in forma anonima”. In Italia questo attualmente non è possibile. Il numero verde della Commissione Adozioni Internazionali, a cui un tempo era possibile affidare le segnalazioni, oggi esiste solo sulla carta, ma di fatto è sospeso. E il nostro Paese non ha mai parlato della possibilità di segnare disfunzioni in forma anonima. Allo stesso scopo, tra le buone prassi vi sarebbe quella di “inviare la lista dei costi sostenuti con l’ente autorizzato (e/o con l’autorità competente) all’autorità centrale sia

dello Stato di origine, sia dello Stato di accoglienza”. Una procedura tanto più necessaria alla luce del fatto che, stando alle testimonianze di diverse coppie, non è raro che agli aspiranti genitori venga chiesto di sostenere costi, presentati come necessari, per voci di spesa non ben precisate. Circostanze che, se note ai Paesi di origine dei minori adottati, indurrebbero questi ultimi a prendere seri provvedimenti in merito. 4. Contributi a progetti di cooperazione e donazioni Le raccomandazioni de L’Aja in questo campo nascono dal fatto che, nelle normative dei Paesi che hanno ratificato la Convenzione, l’adozione internazionale è considerata una forma di cooperazione

finalizzata ad aiutare i minori in difficoltà. Su questo punto, il Permanent Bureau chiede di prestare attenzione a due aspetti. Il primo: se per un verso gli enti autorizzati sono tenuti a cooperare con i Paesi in cui operano, dall’altro si raccomanda di interrompere questa cooperazione qualora si verifichi che un Paese non assicuri un corretto e trasparente impiego dei fondi ricevuti. Al contempo alle coppie si chiede di verificare, quando i contributi vengono richiesti da un ente autorizzato, che l’importo sia stato fissato dal Paese di origine e non direttamente dall’ente o da un orfanotrofio, con quest’ultimo che potrebbe essere legato da partnership proprio a un ente. Per le donazioni, invece, l’imperativo principale è


quello di proibirle a beneficio di famiglie biologiche dei bambini adottabili. In tal caso, il reato di traffico di minori sarebbe evidente. 5. Prevenzione e lotta a ogni profitto indebito Anche sulla prevenzione e la lotta a ogni profitto indebito, l’Italia ha mantenuto un atteggiamento fino a ora piuttosto “timido”. Non ha mai imposto esplicitamente agli enti, per esempio, di far monitorare e controllare le proprie attività richiedendo un audit esterno annuale. Quando ciò è avvenuto, è stato per iniziativa spontanea dell’ente che ha fatto certificare il proprio bilancio da un organismo esterno. E, cosa ancora più grave, l’Autorità Centrale italiana non risulta assolutamente puntuale nell’effet-

tuare verifiche periodiche sugli enti per assicurarsi che la loro situazione finanziaria sia regolare. 6. Sanzioni appropriate ed efficaci Infine, il Permanent Bureau raccomanda di prevedere sanzioni appropriate, chiare ed efficaci per tutti coloro che creano o favoriscono situazioni irregolari, compreso chi non denuncia tali disfunzioni. Ma anche in questo caso, il nostro Paese non si è mai pronunciato con decisione: le sanzioni sono previste, ma stabilite solo in forma generica. Di strada da fare per garantire una reale trasparenza finanziaria nel settore delle adozioni internazionali, l’Italia ne deve percorrere ancora molta. Se da un lato è tenuta a perseverare nel rispetto di quelle buo-

ne prassi che già ha adottato, dall’altro è chiamata a trasformare in fatti concreti quelle linee guida che fino a oggi ha abbracciato solo a parole o ha trascurato. Solo così, quello che era un fiore all’occhiello della nostra società – l’adozione internazionale – potrà rinascere a nuova vita, superando l’attuale crisi che ha visto dimezzato il numero di minori stranieri accolti e ridotto ogni anno di 500 coppie i coniugi che si avviano al percorso dell’adozione.

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leggendo Marina Zulian responsabile della BibliotecaRagazzi di BarchettaBlu

Parole fuori

Direttamente dalla Biblioteca Ragazzi Barchetta Blu di Venezia 24

8. Questo mese: Esplo- bella versione di noi stessi. A tutte le prove che ci renrare dono la vita vera. Nella vita di tutti i giorni ci sono bambini che percepiscono il mondo che li circonda come molto pericoloso. A volte, appena fuori dalle mura domestiche, il loro disordine emotivo li fa proiettare in scenari instabili e minacciosi; tutto ciò provoca insicurezze e disa- Questa è la dedica che Crigio e si traduce in una in- stina Petit, l’autrice del licapacità di affrontare an- bro La prova, scrive in priche le più piccole difficoltà ma pagina. Un gruppo di della vita quotidiana fino amici, tutti i giorni, deve a sviluppare forti ansie e affrontare una prova. Dal paure. Aiutare i bambini a mattino quando si incamcoltivare il gusto dell’esplo- minano per andare a scuorazione del mondo esterno, la cercano di non pensarci a superare le prove e le ma sanno che tutti i giordifficoltà, a manifestare le ni, senza altra possibilità, loro incertezze è molto im- devono superare la loro portante anche nella vita prova. Proprio in coperdi tutti i giorni. tina si vedono le sagome dei quattro animaletti che scrutano l’orizzonte quasi Siamo su questa terra per a domandarsi cosa riserveprovare ad essere la più rà loro il futuro che hanno

davanti. Anche aprendo le prime pagine del libro si vedono disegnate delle impronte che si incrociano e si ritrovano per andare infine nella stessa direzione e far vedere nella pagina successiva a chi appartengono. Un coniglietto, un procione, un riccio e un ranocchio percorrono insieme ogni mattina un tratto della strada che li conduce a scuola. La strada è lunga ma per fortuna possono andarci insieme chiacchierando di figurine, disegni e nuove invenzioni. Per fortuna nel cammino possono raccogliere sassi, parlare di scherzi, ridere e a nessuno viene in mente quella cosa. Quella cosa non ha a che fare con la scuola, con le interrogazioni o i compiti, ma riguarda la vita di tutti i giorni. I quattro personaggi percorrono in compagnia il tragitto distogliendo la


mente da una paura che li preoccupa. Ma ogni mattina quella cosa è lì e tutti loro la devono fare. Parlare di altro li aiuta a non arrivare al momento fatidico con troppa tensione. Ognuno dei quattro protagonisti ha il suo carattere e il suo modo di porsi davanti alla difficoltà: chi lo fa in modo deciso, chi è più incerto, chi addirittura si fa prendere dalla paura. In ogni pagina seguiamo gli animaletti che avanzano, sorridono, si preoccupano ma non si fermano. Il lettore è quasi spinto a voler camminare insieme a loro, in quei paesaggi dai contorni sfumati e avvolgenti. Qualche volta ranocchio dice che non se la sente e vuole tornare a casa, ma gli amici lo incoraggiano, lo supportano ricordandogli che ce la può fare come gli altri giorni. Con semplici immagini e poche parole l’autrice fa

un sorta di elenco dei possibili comportamenti: chi è deciso, chi per affrontare la prova ha bisogno di un incitamento, chi vuole fuggire, chi ha bisogno di farsi ricordare qual è l’importante obiettivo da raggiungere e chi si tranquillizza se non è solo.

Ragazzi ci siamo E così, nelle ultime pagine di questo piccolo libro dalle illustrazioni tenui e dolci, si vedono i coraggiosi protagonisti superare la loro sfida giornaliera rappresentata dall’attraversare una strada piena di automobili. Arrivati al bordo della strada, davanti alle strisce pedonali tutti si bloccano.

La scuola che devono raggiungere è dall’altra parte e quando nel semaforo scatta il verde è l’ora di andare. Allora, dai! Andiamo e non pensiamoci più! Affrontare insieme una difficoltà fa meno paura e ci aiuta a trovare il coraggio che c’è in ognuno di noi. E poi è anche possibile godere della soddisfazione di aver superato un ostacolo che sembrava insormontabile. Facendosi forza l’uno con l’altro si riesce a far diminuire la paura e aumentare la forza. Leggendo questo ironico libro con i bambini possiamo aiutarli a guardare alle sfide e alle difficoltà che loro stessi incontrano tutti i giorni e a cercare di superarle con determinazione e coraggio. Questo divertente albo illustrato è diverso per tanti aspetti:

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ha forma quadrata e angoli smussati, pagine robuste e colori non troppo accesi. Personaggi e paesaggio non hanno contorni precisi e ci invitano ad immaginare uno scenario ancora più ampio. Divertente e poetico usa termini ricercati e uno schema che si ripete aggiungendo qualcosa di volta in volta. Con la sua semplicità ed immediatezza il libro arriva infatti dritto al cuore e alla mente di grandi e piccini.

Un altro divertente e stimolante albo illustrato, che fa viaggiare con la fantasia insieme al suo simpatico protagonista, è Bounce Bounce di Brian Fitzgerald, edito da Carthusia Edizioni. Si tratta di un silent book raffinato

e suggestivo che ci porta in un mondo nuovo tutto da esplorare. Il viaggio del buffo animaletto può essere considerato la metafora di un percorso di vita, del crescere e del diventare adulti. Incontri divertenti e momenti paurosi, scenari sorprendenti e imprevisti spaventosi si alternano in una narrazione fatta di sole immagini che raccontano una storia non banale. Un libro senza parole può spaventare un adulto abituato a potersi aggrappare a frasi e definizioni; ma un silent book come questo può essere letto in silenzio da chi se la sente ma anche corredando le esplicite immagini di parole, suoni e rumori. Lo stesso titolo onomatopeico, che ricorda i rimbalzi di una palla, evoca in chi legge un accompagnamento sonoro alle originali immagini. Il formato, a differenza del precedente libro, è di grandi dimensioni e le immagini sono curate in ogni particolare. Persino gli sfondi sono diversi in ogni pagi-

na e ricordano materiali naturali come il cartone e il legno. Il protagonista sembra quasi un piccolo insetto volante con il corpo tondeggiante, due antenne e due occhioni sempre spalancati e curiosi. Tra i fiori e le foglie di un prato trova un palloncino e decide di gonfiarlo. Anche il palloncino ha occhi e bocca e il piccolo protagonista ci finisce dentro. All’inizio lo spettatore rimane spaventato ma poi l’avventura prosegue tranquilla dato che il palloncino trasparente fa vedere che dentro non c’è pericolo e che rappresenta solo un mezzo di trasporto. Il palloncino vola in cielo e porta il protagonista ad incontrare uccelli, aerei, astronavi ed extraterrestri, pianeti e poi mari e acque sconosciute. Durante il viaggio, animaletto e palloncino conoscono una piccola stella che fa loro compagnia e li rassicura durante il viaggio. Tutto il libro è magico e stimola la fantasia dei bambini; nella vita rea-


le questa curiosità si può tradurre in un desiderio di conoscere le cose nuove, senza ansie dell’ignoto.

Nell’intenso albo illustrato di Davide Calì e Monica Barengo Un giorno, senza un perché, a differenza di quanto espresso nel titolo, si racconta di come tutto ha un perché. Un mattino, di punto in bianco, senza un perché, al signor I spuntarono le ali. Inizia così una sorta di carrellata di persone e opinioni sullo strano avvenimento: il dottore dice che non aveva mai visto niente del genere e non gli prescrive nulla da prendere, la mamma dice che in famiglia nessuno ha mai avuto le ali, la vicina dice che è colpa dell’inquina-

mento e il custode che può tagliargliele. Addirittura il suo capo ufficio gli ordina di togliersele perché non adatte per un impiegato! Per fortuna il protagonista del racconto incontra un uomo saggio che gli dice che tutte le cose hanno un perché e che ognuno di noi deve trovare quale. Con una infinita dolcezza l’autore sembra rovesciare il drammatico destino di un uomo che si sente ed è diverso dagli altri. Non vanno utilizzate le energie per cambiare la propria identità e trasformare la propria diversità; il signor I accetta la sua nuova condizione con il sorriso e cerca di trovare un senso a quella nuova condizione esistenziale. Il protagonista si pone in una dimensione di ascolto e di ricerca sempre in modo positivo e alla fine il signor I trova il tesoro, trova quel perché che gli sembrava non esserci. Ancora una volta un libro per bambini è di grande insegnamento anche per noi adulti. Non dobbiamo farci

spaventare dalle situazioni impreviste fino a rimanere immobilizzati dalle nostre paure. Il signor I insegna che la sua vita non è stata rovinata da quella nuova situazione; la comparsa delle ali lo hanno invece spinto a cercare un senso ancora più profondo alla propria esistenza. Le brevi frasi e le illustrazioni surreali sottolineano come il destino ci possa riservare mille sorprese. Al tempo stesso però ci fanno riflettere su come le cose più importanti siano accettare noi stessi per come siamo e affrontare la vita con tutto ciò che ci riserva. Bibliografia delle Novità dalla Fiera del Libro per Ragazzi di Bologna 2015. Esplorare La prova. C. Petit, Bacchilega Editore, 2015 Bounce Bounce. B. Fitzgerald, Carthusia, 2014 Un giorno senza un perché. D. Calì, M. Barengo, Kite Edizioni, 2014

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leggendo di Antonio Fatigati

Genitori si diventa 28

E’ in arrivo la seconda edizione di “Genitori si diventa”, un libro “storico” della nostra associazione. Vi proponiamo di seguito l’introduzione di Antonio Fatigati e un contributo di Francesco Marchianò. Dieci anni dopo Dieci anni sono tanti. Un arco temporale nel corso del quale si cresce (i figli) e si matura (i genitori). Ci si ritrova qualche filo bianco in più nei capelli e guardandosi indietro ci si rende conto che la strada percorsa non è poca. Dieci anni sono tanti anche per un libro, soprattutto per un libro come questo che ha l’ambizione, premiata dai numerosi lettori, di raccontare l’adozione in un percorso lineare fatto di competenze e di vita vissuta. Inevitabilmente, rileggendo ciò che si era scritto dieci anni prima ci

si rende conto che qualcosa necessita di un aggiornamento. Non tutto però. Alcuni testi hanno mantenuto valore e freschezza. Un bene? Qualche volta sì, perché significa che siamo di fronte a riflessioni radicate in pensieri profondi, testati da esperienze precedenti. E il tempo trascorso non ne ha scalfito il valore. Altre volte invece no, non è un bene, perché significa che ciò che rappresentava un problema dieci anni fa è rimasto insoluto. Certo è che in questi anni molte cose nell’adozione sono cambiate e se do- vessi rifarmi alla mia personale esperienza familiare (che si appresta a tagliare il traguardo dei vent’anni…) mi verrebbe difficile cogliere similitudini. Occorre allora che anche queste pagine si aggiornino, che raccontino di com’è

oggi adottare, di come è cambiato il mondo della scuola, dei progressi fatti nelle relazioni tra genitori e figli, tra genitori e scuola, tra genitori e associazioni di volontariato, tra associazioni di volontariato e istituzioni. Buona lettura.

Il tempo dell’attesa. L’esperienza del gruppo di mutuo aiuto Parliamone nell’Attesa in Genitori si diventa Onlus 1 di Francesco Marchianò* Introduzione Il percorso proposto negli incontri dedicati al tempo dell’attesa, basato sui contenuti tipici della preparazione all’adozione, concentra l’attenzione sulle sfide maggiori che questa fase, lunga e cruciale, pone alle coppie. Il Parliamo-


ne nell’Attesa è una delle attività più importanti di Genitori si diventa onlus al fine di creare reti di sostegno per le famiglie che durino nel tempo. La cura della fase prima dell’adozione è considerata delicata e importante perché è la fase in cui si passa dalla ricerca spasmodica di notizie a una riflessione sulle proprie ragioni per adottare, perché in adozione nazionale è spesso periodo di solitudine, perché in adozione internazionale è spesso periodo di ansie, dubbi e incidenti di percorso, perché l’attesa è lunga, perché l’attesa talvolta si “riempie” con abbinamenti che non arrivano a conclusione, con incontri con fu-

turi figli che poi arrivano solo molto “dopo”, perché un buon percorso prima è “preventivo” e crea quelle basi che possono aiutare a evitare difficoltà in abbinamento, incontro e difficoltà post adozione, perché chi ha trovato compagnia nell’attesa poi ha le risorse per non restare solo dopo aver adottato. Il Parliamone nell’Attesa è il gruppo di mutuo aiuto dedicato a chi desidera diventare genitore ed ha già superato la fase di incontro con Servizi territoriali e Tribunale per i minorenni. Parliamo dell’incontro con le paure e tutte quelle emozioni che solo in questo periodo e per la prima volta, dopo l’iter con i Servizi territoriali e

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l’incontro con il Tribunale, hanno l’opportunità e il modo di emergere e riprendersi il loro protagonismo. Si tratta di sperimentarsi in un tempo e uno spazio in cui proprio le paure sono invitate delicatamente a uscire con la promessa, certo, di un’accoglienza adeguata e non giudicante. Lo sforzo importante di chi partecipa a questo tipo di lavoro sull’attesa è proprio quello di capire come condividere queste esitazioni, questi timori trovando la strategia più giusta per comunicarli, in quest’ambito, sia al proprio partner che agli altri componenti del gruppo. I concetti principali intorno ai quali si costruisce questo percorso

Il Parliamone nell’Attesa è una delle attività più importanti di Genitori si diventa onlus al fine di creare reti di sostegno per le famiglie che durino nel tempo. La cura della fase prima dell’adozione è considerata delicata e importante perché è la fase in cui si passa dalla ricerca spasmodica di notizie a una riflessione sulle proprie ragioni per adottare, perché in adozione nazionale è spesso periodo di solitudine, perché in adozione internazionale è spesso periodo di ansie, dubbi e incidenti di percorso, perché l’attesa è lunga, perché l’attesa talvolta si “riempie” con abbinamenti che non arrivano a conclusione, con incontri con futuri figli che poi arrivano solo molto “dopo”, perché un buon percorso prima è “preventivo” e crea quelle basi che possono aiutare a evitare difficoltà in abbinamento, incontro e difficoltà post adozione, perché chi ha trovato compagnia nell’attesa poi ha le risorse per non restare solo dopo aver adottato. Il Parliamone nell’Attesa è il gruppo di mutuo aiuto dedicato a chi desidera diventare genitore ed ha già superato la fase di incontro con Servizi territoriali e Tribunale per i minorenni. * Psicologo/Psicoterapeuta collaboratore di Genitori si diventa Onlus.

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sono molto semplici e solo apparentemente scontati. Non si tratta, infatti, soltanto di presentare dei contenuti specifici, o di trattare gli argomenti sensibili dell’attesa, ma soprattutto di assicurarsi che le modalità con cui questo avviene siano quelle adeguate alle persone che si hanno davanti. È necessario soprattutto creare un clima che permetta a ciascuno di “sentirsi comodo”, ivi compreso il conduttore e infatti, uno degli obiettivi principali è davvero quello di riuscire ad “investire se stessi”, accogliendo le proprie e le altrui emozioni. Prepararsi, nell’attesa, all’accoglienza di un figlio, implica predisporsi ad accogliere e a concedersi misurandosi col fatto che con un bambino non si può non avere una relazione che non sia sincera. Provare a

essere veri nella relazione con se stessi all’interno di incontri di questo genere, può aiutare alla creazione, può contribuire alla costruzione di uno spazio dentro di sé che predispone ancora di più all’incontro con l’altro. È tranquillizzante, per affrontare al meglio le complessità che l’adozione pone sia nei primi momenti sia dopo, più avanti, quando i figli crescono, che i futuri genitori siano sanamente timorosi e capaci di non dar nulla per scontato. Il loro desiderio di diventare genitori, di incontrare un figlio attraverso l’adozione, ha, sin dal momento dell’attesa, la possibilità di crescere insieme alla voglia di evolvere, trasformarsi e cambiare come esseri umani diventando consapevoli che solo aprendosi all’esterno, alla possibili-

tà di accogliere chi è altro da sé, di ascoltare la storia di chi è altro da sé, di riuscire a contenere il suo impegnativo racconto, si può scoprire come lanciarsi in avanti nell’adozione. È proprio a contribuire al raggiungimento di questa dimensione consapevole che punta il lavoro realizzato nei gruppi che si dedicano all’attesa. Obiettivi e ruolo del conduttore La creazione di un clima, che favorisca l’espressione dei propri sentimenti, non dimenticando mai il ruolo della coppia e delle singole individualità è l’obiettivo imprescindibile e forse più importante di un gruppo di mutuo aiuto dedicato al tempo dell’attesa. E per questo si usano gli effetti di stimolo del lavoro di gruppo. Creare il clima favore-


vole diventa determinate per assicurare il successo e l’efficacia del percorso. Durante il primo incontro è importante stabilire quelle che saranno le proposte formative degli incontri successivi per cominciare a condividere il percorso che si farà insieme. Già in questa fase è importante introdurre il concetto di limite. Cerchiamo di capire, tuttavia, bene di cosa parliamo. Il limite è ciò che ci accomuna è la percezione e il contatto che abbiamo con noi stessi, è quella cosa che ci permette di affrontare con un buon margine di successo qualunque progetto o sfida vogliamo intraprendere. Solo quando lo conosciamo per davvero e ne siamo consapevoli, ce

lo riconosciamo, possiamo sfidarlo e, se fatto con rispetto, sfidare il proprio limite può essere una buona strategia per “crescere”. La consapevolezza di sé, dei propri bisogni aiuta a valorizzare, nel percorso dell’attesa, il confronto. Il punto di vista di chi ci sta accanto diventa una risorsa, un’occasione per riflettere, si tende a creare una comunicazione nel gruppo che permette ai partecipanti di mettersi in gioco senza preoccupazione entrando così in una dimensione sperimentale, tutta da scoprire nella quale i presenti potranno cooperare e dove il contributo di ciascuno sarà determinante e arricchente. Il lavoro del conduttore, quindi, si

basa prevalentemente su un metodo, che favorisce la condivisione di emozioni, attraverso una metodologia di attivazione. L’idea che ispira il percorso è di dare voce al “non detto”, cioè alle emozioni vissute e a volte non espresse nemmeno con il proprio partner2 . Realizzare una specie di viaggio nelle emozioni inespresse è l’intento cercando di creare un luogo e un tempo in cui i preconcetti e i pregiudizi lascino posto alla spontaneità e all’immediatezza del sentire. Il conduttore ha molte sfide davanti quando avvia un percorso di questo tipo e, tra queste, le maggiori sono: proteggere i singoli e la coppia, normalizzare ciò che sembra incompren-

Stimolare nella coppia la voglia, la curiosità, la disponibilità a parlarsi, a conoscersi per come ci si immagina genitori e specificamente per come ci si immagina genitori attraverso l’adozione permette di allenarsi al confronto con l’altro (le sue paure, i suoi pudori, i suoi silenzi) ma permette soprattutto di approfondire sin dall’attesa una complicità ed una sintonia, un’abitudine a fermarsi e dirsi cosa si prova che potranno essere utili dopo l’arrivo dei figli. 2

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sibile e unico, “usare” il gruppo per far vivere l’esperienza dell’accoglienza. L’atteggiamento protettivo del conduttore è un tassello imprescindibile che si agisce soprattutto attraverso l’ascolto. Valorizzare, accogliere quanto detto dai partecipanti è il modo più efficace per prendersi cura e proteggere le emozioni vissute durante la trattazione di temi difficili3 . Normalizzare significa permettere ai partecipanti di uscire dalla sensazione di solitudine causata spesso dal non autorizzarsi a dire per paura di non essere compresi, ben sapendo che questa solitudine, questo non poter dirsi, può succedere anche nella coppia. Per creare una possibilità maggiore di condivisione si condividono regole di funzionamento del gruppo che prevedono la massima apertura all’ascolto, niente dovrà essere vissuto come scontato o poco importante. Tutto ciò

altrui paure Quando in gruppo si comincia a parlare delle proprie paure individuali, si scoprono una quantità di cose inaspettate, sia di se stessi che del proprio partner. Il gruppo può allora essere “utilizzato” per superare la naturale difficoltà di ammettere e di condividere le proprie paure ed è proprio grazie all’esperienza degli altri, e ascoltando la ricchezza e la diversità di ciascuno, che si può giungere alla conclusione che il percorso di gruppo in questa fase del percorso adottivo sia un’esperienza utile e arricchente. Le affermazioni e le confidenze dei partecipanti in relazione alla “paura dell’adozione” inevitabilmente si ripetono nei vari gruppi4 , ma, ogni volta, contengono sfumature e variazioni sempre nuove e devono essere ogni volta contestualizzate. Negare o nascondere a se stessi le paure Accogliere le proprie e le tipiche del periodo dell’atche si prova sarà accolto, è a carico del conduttore mediare e rendere efficace il confronto. Così, anche attraverso il lavoro in gruppo e sul gruppo si creano le condizioni per prendersi cura della coppia. Capita che uno dei partner ascolti, per la prima volta durante questo viaggio, alcune emozioni nascoste dell’altro. Si scopre, piacevolmente, una dimensione “sociale” del partner, anche in questioni delicate. In sostanza il gruppo, a volte, si rivela capace di far emergere la specificità della singola persona, meglio di quanto riesca a fare la dimensione di coppia. È in questa maniera che l’obiettivo centrale e finale, consistente nell’attivare processi dì cambiamento e di apertura verso l’esterno per creare il terreno fertile per l’accoglienza del bambino, comincia sempre più a diventare protagonista.


tesa è molto frequente. In primo luogo, spesso non si ammette l’esistenza dentro di sé di un bambino “ideale”, che deve essere necessariamente depotenziato se si vuol fare posto al bambino reale (si veda il par. successivo). Spesso si tende a sottovalutare la necessità e l’opportunità di mettersi in contatto con il proprio dolore personale, prima dell’arrivo del bambino. Mettere a fuoco le proprie paure e debolezze, come anche quelle del partner, risulterà di grande aiuto quando si dovrà conoscere, toccare e accogliere le paure e debolezze del nuovo arrivato. Un altro tassello importante è quello riguardante il riu-

scire ad affrontare il tema del rapporto con il proprio essere “bambino”. Saper riconoscere di avere bisogno di essere accolti nelle proprie fragilità fanciullesche è un altro passo determinante per un incontro sereno con un bambino o una bambina veri. La trattazione di queste paure ed emozioni in un gruppo di persone “in attesa” implica sempre uno scambio di vedute e una profonda analisi introspettiva. Lo scambio, infatti, permette di comprendere che le paure sono normali e fanno parte integrante del percorso. Esse stesse possono essere accolte all’interno della coppia e diventare una fonte di arricchimen-

to e stimolo che consolida il rapporto e la complicità. Spesso le coppie quando si isolano vivono una grande fragilità, è come se non avessero le energie e le risorse necessarie per accogliere e normalizzare le paure del singolo partner o di entrambi. Il lavoro di confronto e di apertura all’interno del gruppo può dare un grande contributo alla gestione della solitudine. Quando ci si accorge che tutti hanno bisogno di confrontarsi con la propria fragilità e i propri timori si instaura immediatamente una maggiore condivisione e complicità. Nessun libro o trattato sull’adozione potrà mai offrire ciò che offre l’accoglienza e l’a-

Stimolare nella coppia la voglia, la curiosità, la disponibilità a parlarsi, a conoscersi per come ci si immagina genitori e specificamente per come ci si immagina genitori attraverso l’adozione permette di allenarsi al confronto con l’altro (le sue paure, i suoi pudori, i suoi silenzi) ma permette soprattutto di approfondire sin dall’attesa una complicità ed una sintonia, un’abitudine a fermarsi e dirsi cosa si prova che potranno essere utili dopo l’arrivo dei figli. 3 Il tempo dell’attesa sovente percepito come pieno di “vuoti” è altrettanto denso di sentimenti, ansie, timori e spesso anche di eventi: proposte di abbinamenti (che non sempre diventano realtà), convocazioni in Tribunale, incontri con gli Enti Autorizzati, ragiona- menti sulle disponibilità, sugli “special needs”, ecc. 4 Tra le riflessioni più frequenti troviamo frasi molto illuminanti come: “L’attesa da un certo punto di vista mi rassicura perché in questo periodo sono piena di dubbi”, “L’idea del bambino è cambiata tanto durante il percorso”, oppure “Mio marito, è cambiato moltissimo ora è completamente concentrato, diversamente da prima sull’adozione”. 2

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pena adottato un bambino che urla e urla. Il padre è sempre più esasperato e mi ha anche detto che spesso non ce la fa più, non riesce a capirlo. Questo mi fa paura! Questa paura ci interroga perché ha il sapore della realtà. Quanto siamo preparati ad accogliere dentro casa – una casa magari con inferriate, barriere e paletti, una casa dove i vicini non si salutano – un estraneo? Come capire la storia di questo bambino? Il suo venire da un mondo e da un passato diverso? La sua difficoltà ad accettare una carezza, a lasciare il controllo? Il “bambino dei vicini” rappresenta davvero quello che succede nella vita reale. Si può far fatica a capire un bambino nato in un Paese lontano, Aprirsi al mondo e inclu- vissuto in una parte di dere il bambino che arriva mondo in cui abitudini e I nostri vicini hanno ap- modi di comunicare sono scolto di qualcuno che vive la stessa esperienza. La paura di non riuscire ad adottare. La paura di un bambino che non si riesce a gestire, di un bambino problematico. La paura di un bambino con problemi di salute. La paura di un bambino con una patologia importante. La paura di non farcela, di non essere in grado. La paura del “fallimento”. La paura di non essere amati. La paura di non riuscire ad amare. La paura per l’integrazione con dei primi figli. Aprirsi alla condivisione è un passaggio importante per creare lo spazio e prepararsi all’arrivo di un bambino. I “compagni di attesa”, rimarranno, quasi sicuramente, nei ricordi di tutta una vita.

profondamente diversi dai nostri. Certo che può essere percepito inizialmente come un “estraneo”, tutto l’amore del mondo non può azzerare le diversità. Le coppie adottive devono fare i conti con questa realtà e con il suo corollario, e cioè: non si potrà mai “sentire” come proprio un bambino appena adottato se prima di iniziare a conoscerlo non lo si riconosce. All’inizio il bambino è un estraneo, qualunque sia lo spazio creato per lui. Anche il figlio o la figlia biologici lo sono, tuttavia, per cultura, il figlio biologico è immediatamente incluso, si cercano subito le somiglianze, finanche nella famiglia allargata, non lo si può “rifiutare” né lo si può “sentire un estraneo”. Occorre quindi chiedersi quanto ci si senta pronti ad accogliere un figlio di altri nella propria fami-


glia. Il bambino, sia quello perduto (mai avuto e desiderato o proprio perso in una gravidanza non conclusa) che quello che si adotterà, è il portatore di un fattore di cambiamento tangibile nella vita della coppia. Per questo nella fase iniziale dell’adozione occorre imparare a distinguere e riconoscere entrambi. È insensato pensare che non siano collegati e cercare di separarli in modo asettico è davvero una follia, ma nello stesso tempo, accomunarli troppo e non distinguerli è come non vedere nessuno dei due. Il lavoro intrapreso nella fase precedente, ovvero aprire il proprio animo, predisponendosi al confronto è propedeutico a predisporsi all’accoglienza vera e propria del bambino o della bambina che verranno. In questa fase si affronta il tema del-

la diversità, partendo dal superamento della “cultura delle somiglianze”. Il nostro sistema culturale, come detto, ci abitua a basare il primo approccio con i bambini in base al meccanismo delle somiglianze, impedendo così di sviluppare appieno la valorizzazione e accettazione delle diversità, a completamento di un più equilibrato riconoscimento del bambino come “altro da noi”. Questo sistema deve essere analizzato e discusso dalle coppie che si preparano alla genitorialità adottiva, affinché si creino le condizioni che permettano ai futuri genitori di rapportarsi alla diversità dei loro bambini adottivi, riconoscendola come risorsa e non come “mancata somiglianza”. Allenarsi alla diversità, quella vera, che mette in discussione, diventa un apprendimen-

to fondamentale che può tornare utile anche in fasi differenti della vita dei figli, soprattutto quando, in adolescenza trasformeranno l’intera famiglia attraverso il loro divenire, la loro ricerca di un’identità e saranno una volta di più differenti, immagine fisica dei loro genitori di origine, in un susseguirsi di cambiamenti spiazzante per loro stessi e per i genitori di nuovo alle prese con quanto potrà affiorare, anche solo nella fantasia, di una storia differente. La discussione su questo tema all’interno del gruppo punta a fare uscire i partecipanti dal proprio essere al centro per favorire una predisposizione maggiore a rapportarsi a bambini adottivi, portatori di mondi, culture e concezioni di vita diverse. La consapevolezza di sé e delle proprie paure, sulla quale si

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lavora fin dal primo incontro, è lo strumento principale attraverso il quale si può arrivare a conoscere l’altro. Avere questa consapevolezza permetterà di avvicinarsi con maggiore serenità a quelle del bambino. Le paure dell’adulto e del bambino, che non sono molto diverse, potranno essere “ravvicinate”, e ciò permetterà una migliore comunicazione e conoscenza reciproca. Se il bambino adottivo ha il timore di non essere accolto e accettato dalla sua nuova famiglia, così anche i genitori adottivi hanno paura di essere inadeguati e di non essere accettati dal proprio figlio. Se il genitore adottivo, spesso, si sente incapace di sostenere il bambino nel suo dolore per essere stato abbandonato, allo stesso modo il bambino non riesce a esprimere il suo dolore perché sa che i genitori adottivi potrebbero non sopportarlo. Essersi preparati a riconoscere e a esprimere all’altro il proprio dolore permette di entrare più facilmente in contatto con se stessi e con il mondo dell’altro. Abituarsi e incuriosirsi all’esplorazione della diversità, in questo il gruppo è una risorsa immensa, può aiutare a ridimensionare la paura dell’incontro. È successo!

Sconfiggere il bambino idealizzato e incontrare quello vero La genitorialità è un’esigenza innata che deve essere analizzata e sviscerata soprattutto nella fase di attesa del bambino. Quando questa viene dilatata troppo nel tempo, la coppia corre il rischio di perdersi tra dubbi, paure e idealizzazioni incontrollate. Nel percorso dell’attesa si incontrano tre bambini diversi che vanno conosciuti: il bambino biologico, il bambino fantasticato e il bambino reale. L’incontro con il bambino biologico di solito avviene nella fase iniziale del percorso adottivo, anche se non è scontato che sia così. Occorre sempre considerare la possibilità che nella fase dell’attesa l’idea del bambino biologico sia ancora irrisolta nella coppia. Abituarsi a confrontarsi con la possibilità che l’assenza di un figlio voluto e non arrivato possa riemergere di tanto in tanto, riconoscere i segni che questo ha lasciato nel corpo, nel cuore e nella mente, abituarsi ad ammettere questo possibile senso di vuoto, riuscire a immaginarlo come un dolore appoggiato in qualche luogo ben riposto dell’anima, è una palestra importante perché permette

di affrontare, con maggior pacatezza, anche le percezioni di estraneità che si possono sentire sia nelle fasi iniziali, sia quando i figli hanno possono marcare in modo anche dirompente il loro essere altro dalla famiglia, più avanti negli anni. È proprio allora, quando si attraversano momenti di grande crisi e conflitto e tutti hanno paura (i figli di non appartenere per davvero e i genitori di non esserlo mai stati per davvero) che ci si confronta di nuovo con ciò che poteva essere e non è stato e ci si misura per davvero con le differenze, le delusioni, i dolori del passato. Essere abituati a farci i conti aiuta. È proprio lì che si può imparare a lasciare che dolori antichi stiano, posati e fermi, come vecchi compagni che ci hanno insegnato qualcosa. Poi arriva il bambino fantasticato, certamente quello più presente nella fase dell’attesa, soprattutto nei primi incontri quando le coppie prendono coscienza per la prima volta delle loro proiezioni verso un bambino ideale nel confronto con gli altri. Il bambino fantasticato è il risultato dei desideri, delle fantasie, ma anche delle informazioni e della conoscenza di bambini incontrati che si sono accumulati negli anni


e che arrivano a dare vita a un’idea di bambino con fattezze fisiche e caratteriali fin troppo definite. Accade che all’interno della coppia ognuno abbia il proprio bambino idealizzato. Il bambino fantasticato può ingombrare lo spazio del bambino in carne e ossa che arriverà, e quindi, va da sé che deve essere “messo da parte” per fare spazio a quello reale. Il processo di superamento del bambino ideale dovrebbe avvenire nel massimo rispetto di quest’ultimo, lei o lui è espressione diretta e inequivocabile dei desideri e delle aspirazioni dei futuri genitori. Questo bagaglio arricchente del bambino ideale va conosciuto e trasformato in capacità di accogliere l’altro, indipendentemente dalle sue caratteristiche. Il depotenziamento del bambino fantasticato non è facile perché implica innanzi tutto ammetterne l’esistenza. Comprendere che si tratta di un passaggio obbligato è di per sé difficile, ma necessario se si vuole incontrare e accogliere il bambino reale. Il pensiero del bambino fantasticato è rassicurante, a volte fa compagnia, lo si può depotenziare accogliendolo e lavorando sulle proprie emozioni e trovando rassicurazioni in particolare

in sé stessi e nel partner. Attraverso questa fase di crescita il genitore adottivo può prepararsi ad accogliere un bambino reale, magari con un vissuto doloroso, ma con un’infinità di risorse e di cose da scoprire e da offrire. L’attività di simulazione Quest’attività (sperimentata nei gruppi di Parliamone nell’Attesa cui ho lavorato) ha come obiettivo proprio di favorire e valorizzare nel genitore adottivo la capacità di superare il proprio dolore, di far da parte il bambino fantasticato, appropriandosi o recuperando la capacità di sostenere l’altro e di avere fiducia nelle risorse del bambino adottivo. La simulazione di situazioni che si possono verificare, e che con tutta probabilità si verificheranno, è di grande aiuto. Calarsi nell’altro, e in particolare nel bambino che si avrà di fronte, qualunque siano le sue caratteristiche, serve a predisporsi alla sua accoglienza, ad avvicinarlo, a imparare a “sedersi” idealmente accanto a lui per condividere e affiancare le sue emozioni e iniziare un cammino insieme. Prime conclusioni Attraverso un viaggio di gruppo nelle proprie e nelle comuni paure si tenta

di far emergere il bambino che è in ogni adulto e che scalpita per essere visto, riconosciuto, accolto e perdonato. Questo serve a creare lo spazio dentro per prepararsi all’incontro con il bambino da adottare per vedere e toccare il suo dolore, affiancarlo e accoglierlo all’interno delle proprie fragilità, rendendolo così un “membro della famiglia”. Il lavoro condotto sulle emozioni all’interno del gruppo può ritenersi efficace quando i partecipanti mostrano una maggiore attitudine e disponibilità ad aprirsi dal punto di vista emozionale ma anche alla diversità culturale, nonché a sentirsi a proprio agio anche davanti alle ipotesi adottive più complesse e più diverse. Pertanto, il percorso dell’attesa ha come fine ultimo quello di favorire un’esperienza virtuosa ed emotivamente stimolante, di apertura verso gli altri per prepararsi alle infinite possibilità ed evenienze che un adozione può generare.

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Indice Presentazione, di Anna Guerrieri 1. Dieci anni dopo 2. Ma esiste una cultura dell’adozione?, di AntonioFatigati Nonni, vicini e parenti vari: condividere un’avventura Una storia diversa da raccontare in classe 3. Superare la sterilità, prepararsi all’adozione, di Daniela Serturini Adozione: significati e motivazioni Guardiamo dentro all’adozione: diversità e uguaglianza Preparazione Quale compito per il genitore adottivo? Sterilità, abbandono e storia • Testimonianza 4. Il tempo dell’attesa. L’esperienza del gruppo di mutuo aiuto Parliamone nell’Attesa in Genitori si diventa Onlus, di Francesco Marchiano Introduzione Accogliere le proprie e le altrui paure Aprirsi al mondo e includere il bambino che arriva Sconfiggere il bambino idealizzato e incontrare quello vero L’attività di simulazione Prime conclusioni • Testimonianza. Guardare indietro per comprendere il presente, di Antonella Avanzini 5. Il post adozione: accompagnare chi si prende cura, di Roberta Lombardi Il ‘mondo al rovescio’ Sostegno post adottivo come dovere o diritto? Sostenere un progetto speciale di genitorialità Sostenere la normalità di un progetto speciale Sostenere per dare forza al legame Sostenere le relazioni sin dall’arrivo del bambino Sostenere le relazioni nei momenti di crisi Sostenere il linguaggio del corpo Sostenere ovvero accompagnare Conclusioni Bibliografia 6. Per una scuola aperta all’adozione, di Anna Guerrieri e Monica Nobile Le Linee di Indirizzo per il diritto allo studio degli alunni adottati: un successo delle famiglie adottive Italiane Scuola dell’infanzia: lo spazio per esplorare e ritrovarsi Scuola primaria: il tempo per crescere e raccontarsi Scuola secondaria: il tempo per cambiare Le medie Le superiori Bibliografia • Testimonianza. Avversari, di Emanuele Gianturco • Testimonianza. Una valigia pesante

7. Lo stato di salute del bambino straniero adottato, di Roberto Marinello Il nuovo concetto di salute Il bambino, i genitori, il pediatra Il primo contatto Vaccinazioni Consigli e considerazioni conclusive 8. Gli effetti sul feto e sul bambino del consumo di alcol in gravidanza, di Raffaele Virdis Conclusioni Bibliografia 9. Il problema della pubertà precoce nelle bambine adottate da paesi in via di sviluppo, di Raffaele Virdis Possibili cause Altri aspetti e conclusioni • Testimonianza. Il sorriso ritrovato 10. L’Adozione Nazionale, di Angela Serpico La tutela della riservatezza nell’adozione Il riconoscimento della famiglia omosessuale • Testimonianza. Parla tu per me… 11. L’adozione internazionale, di Joyce Manieri Dalla “patria” potestà alla responsabilità genitoriale: ovvero della rinascita del bambino da oggetto a soggetto di diritti La tutela dei minori tra legge, etica e realtà Divenire genitori, divenire figli per adozione internazionale. Tante famiglie, tutte con una storia speciale e preziosa! Il vertice dei genitori adottivi Sulla motivazione ad adottare e le aspettative rispetto alla futura relazione adottiva Il vertice dei bambini adottati L’adozione internazionale oggi: attualità e questioni aperte L’adolescenza adottiva e la questione identitaria nelle generazioni 2.0 Considerazioni generali a uso degli operatori: il percorso adottivo tra isomorfismi e dicotomie difficili da superare Bibliografia • Testimonianza. Navigare nell’attesa, di Alessandro e Daniela 12. Quale padre?, di Simone Berti Paternità e la scelta di adottare Padri nell’attesa e nell’incontro Paternità e narrazione famigliare Infine • Testimonianza. Due esperienze di paternità 13. Fecondazione assistita e adozione: una convivenza possibile?, di Donatella Cantù Il figlio che arriva da strade diverse La fatica della PMA Lo spazio mentale per il bambino • Testimonianza

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leggendo di Greta Bellando

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Adulti adottati oggi genitori: un percorso di narrazione 40

In questo libro passiamo attraverso degli incontri, di storia in storia e di voce in voce accompagnati dalla narrazione dell’autrice. Il tema è quello del divenire genitori, le voci quelle di tante persone adottate. Voci che è nostro privilegio ascoltare grazie al contatto che l’autrice ha saputo creare con i protagonisti. È attraverso questo contatto, questa capacità e voglia di ascolto, che è nata la possibilità delle persone intervistate di narrarsi e quindi di darsi a noi lettori. In questo modo ci viene permesso di far parte di una riflessione sul senso del diventare padri e madri quando si è diventati figli per adozione. Concepire un figlio, dare alla luce un figlio, adottare un figlio significa sempre misurarsi con se stessi e la propria storia di figli, scommessa sul futuro che

richiama e rievoca quello che sta alle nostre spalle, il nostro passato. Ciò che incontriamo in questo libro è, dunque, un pensiero complesso sul proprio passato e sui propri figli, un pensiero che si misura con la propria storia e con quello che si sa di essa. Incontriamo riflessioni sulla propria madre di origine, pensieri, percezioni, di quello che può essere stato per loro una gravidanza nel contesto che poi ha portato a lasciare i figli, sulla loro situazione di donne, sulle loro scelte e sulle loro “non scelte”. Non sono ancora molti i testi che permettono di fare un viaggio come quello che compare in queste pagine. Si tratta di un’assenza che era importante cominciare a riempire e questo libro lo fa con grande semplicità e umiltà attraverso le voci dei protagonisti, le donne

e gli uomini adottati che nel diventare genitori ci donano una parte di sé, della propria identità, del proprio pensiero sulla propria storia, del senso di appartenenza e somiglianza e di cosa significhi essere genitori e figli. Greta Bellando, pedagogista, si occupa di adozione dal 2012. Ha iniziato il suo percorso di formazione scrivendo le sue tesi di laurea: la prima focalizzata sulle voci dei genitori adottivi e l’inserimento del bambino in famiglia e a scuola, la seconda sul ritorno alle origini e sulla genitorialità degli adottati. Attualmente frequenta il master di II livello: ‘Il lavoro clinico e sociale con le famiglie accoglienti: affido e adozione’.


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MINORI VITTIME DI REATI IN ITALIA: +56% NEGLI ULTIMI 10 ANNI, LE BAMBINE SONO LE PIÙ COLPITE. La denuncia di Terre des hommes nel dossier Indifesa: “Urgente un cambio di rotta per assicurare maggiore protezione e dare voce alle protagoniste” Più di 5.100 bambini nell’ultimo anno sono stati vittime di reati. Il 61% di loro erano bambine. Questo numero, di per sé terribile, è tanto più drammatico se si pensa che 10 anni fa erano 3.311, con un incremento del 56%. Sono cresciuti dell’87% i maltrattamenti in famiglia (passando da 751 nel 2004 a1.408 vittime nel 2013, il 51% femmine) così come l’abbandono di minori (+94%) e le violenze sessuali aggravate (+42%). Continua ad evolvere, in questi anni, lo sfruttamento sessuale dei minori a fini commerciali da parte della criminalità

organizzata, che si va orientando sempre di più sull’uso dell’immagine del loro corpo per arricchirsi nelle reti pedofile: +411% di vittime dei reati di pornografia minorile, +285% nella detenzione di materiale pornografico. In entrambi i casi l’80% delle vittime sono bambine e ragazze. E’ un quadro allarmante quello che emerge dal Dossier “Indifesa” di Terre des Hommes presentato oggi a Roma con i dati forniti dalle Forze dell’Ordine sui reati commessi e denunciati a danno di minori. In Italia, 1 donna su 3 ha subìto almeno una forma di violenza da bambina, l’11% abusi sessuali. In Europa, sono circa 21 milioni le donne ad aver subìto una forma di abuso o atto sessuale da parte di un adulto prima dei 15 anni (12%). Secondo la ricerca del FRA[1] il 67% delle donne europee vittime di abusi non

avevano denunciato l’accaduto, il che significa che solo 3 casi su 10 vengono alla luce. A livello europeo, il 30% delle donne che hanno subìto abusi sessuali da grandi avevano già vissuto episodi di violenza sessuale o psicologica durante l’infanzia. Un’ulteriore prova di come le bambine abusate, se non adeguatamente assistite, possono assecondare comportamenti abusanti anche da adulte, tornando a essere vittime di violenza. Dire basta alla violenza e allo sfruttamento delle bambine è l’obiettivo della Campagna “Indifesa” di Terre des Hommes. FONTE: TERREDESHOMMES.IT IL DIRITTO (GIUSTO) DI ADOTTARE IL BIMBO IN AFFIDO Anche la Camera approva dopo il Senato - e il testo sul diritto di continuità affettiva dei bambini in affido familiare è ora diventato legge. La


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famiglia che ha un bambino in affido non solo potrà quindi chiederne l’adozione ma godrà anche di una corsia preferenziale. Prima l’affido familiare vietava agli affidatari di poter adottare il ragazzo avuto con sé, a volte per brevi periodi, più spesso per anni. Con queste nuove norme, l’istituto dell’affidamento acquista un volto più umano, perché garantisce al minore di restare nella famiglia che l’ha cresciuto ed evitare nuovi traumi. In caso di adozione, infatti, chi ha il bambino in affido avrà a disposizione una corsia preferenziale; sarà cura del Tribunale dei minori tenere in considerazione il fatto che il ragazzo o la ragazza ha vissuto con una famiglia e ha creato un legame profondo che è opportuno vada mantenuto. La famiglia affidataria che vuole adottare, tuttavia, dovrà avere tutti i requisiti di una normale coppia che ricorre

alla legge sulle adozioni: sposata da almeno tre anni, deve ottenere l’idoneità all’adozione. Rimane anche la massima differenza d’età: non più di 40 anni tra uno dei due adottanti e il minore. Ma anche in caso di ritorno del ragazzo nella famiglia di origine o nel caso di adozione o nuovo affido, la legge tutela la famiglia affidataria, che potrà continuare a frequentarlo. Il minore dovrà poi sempre essere ascoltato dal giudice, quando si decide sul suo ritorno in famiglia o sull’adozione o su un nuovo affidamento. Gli affidatari hanno a loro volta il diritto a intervenire in tutti i procedimenti civili in materia di responsabilità genitoriale e possono presentare memorie. Il giudice quindi dovrà tenerne conto, nell’interesse del bambino. Non sarà possibile per i single e le coppie di fatto adottare un minore in affidamento, ma lo sarà nel

caso degli orfani: accanto ai parenti fino al sesto grado, e alle persone che hanno con il bambino un rapporto stabile preesistente, anche l’affidatario single, e le coppie di fatto possono, chiederne l’adozione. «E un buon passo in avanti nella tutela dei minori questa legge, un passo importante - commenta la presidente della Commissione Giustizia della Camera Donatella Ferranti, Pd -. Nel momento in cui riconosce alle famiglie che già hanno un bambino in affido una sorta di corsia preferenziale nel caso di adozione, pone al centro i legami e la continuità affettiva. Si supera così l’ingiustizia che fino a oggi impediva agli affidatari di diventare genitori a tutti gli effetti di un bimbo cresciuto con generosità e amore». FONTE: CORRIERE.IT



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