Adozioni e dintorni - GSD Informa dicembre 2011

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Adozione e dintorni GSD informa - mensile - dicembre 2011 - n. 10

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I cartoni Kolda i d i in b m a b i e d Adolescenza: nitori e g i r e p e iv tt e prosp



dicembre 2011 | 010 Adozione e dintorni GSD informa - mensile - dicembre 2011 - n. 10

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o! Aspetta un minut I cartoni Kolda dei bambini di Adolescenza: i genitori prospettive per

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GSD informa

editoriale

di Anna Guerrieri

psicologia e adozione

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Da due a tre... Adozione ieri, oggi e domani di Monica Arcadu Adolescenza: prospettive per i genitori di Franco Carola

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Perché un protocollo sanitario e suoi obiettivi di Raffaele Virdis

salute e adozione

giorno dopo giorno

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Una storia di adozione. Per Laura Nati da una pancia di Marta e Alberto leggendo

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Aspetta un minuto! Rispettiamo i tempi dei bambini di Marina Zulian Nessuno è perfetto di Cesarina Colombini animando

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I cartoni dei bambini di Kolda di Claudio Tedaldi suonando

Registrazione del Tribunale di Monza n. 1840 del 21/02/2006 Iscritto al ROC al n. 15956 editore Associazione Genitori si diventa - onlus via Gadda, 4 Monza (MI) www.genitorisidiventa.org info@genitorisidiventa.org

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Verso un cambiamento di Valeria Pacifico

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trentagiorni

redazione Anna Guerrieri direttore, L’Aquila direttore@genitorisidiventa.org; Luigi Bulotta caporedattore, Catanzaro; Antonio Fatigati, direttore responsabile; redazione@genitorisidiventa.org impaginazione e grafica Maria Maddalena Di Sopra, Venezia; Paolo Faccini, Milano; Pea Maccioni, Lecce progetto grafico e illustrazioni studio redazioni, Francesca Visintin, Venezia immagini Simone Berti, Firenze; Roberto Gianfelice, L’Aquila; Ilaria Nasini, Firenze; Eliana Gentile, Teramo; Mariagloria Lapegna, Napoli; Paola Di Prima, Monza; Simone Sbaraglia, Roma

ricerca iconografica Simone Berti, Firenze; Eliana Gentile, Teramo; Anna Guerrieri, L’Aquila correzione bozze Luigi Bulotta, Catanzaro; Daniela Patroncini, Reggio Emilia abbonamenti e contatti email Luigi Bulotta redazione@genitorisidiventa.org copyright Tutto il materiale scritto dalla redazione è disponibile sotto la licenza Creative Common Attribuzione-Non commerciale-Condividi allo stesso modo 3.0. Significa che può essere riprodotto a patto di citare Adozione e dintorni - GsdInforma, di non usarlo per fini commerciali e di condividerlo con la stessa licenza. Info: redazione@genitorisidiventa.org


editoriale

di Anna Guerrieri

I costi È chiaro che la crisi economica che investe l’Italia e l’Europa influirà pesantemente sulle famiglie. In realtà già da tempo sta influendo sulle famiglie, direi da anni. Lo fa direttamente ma lo fa anche, in modo molto serio e silenzioso, indirettamente tagliando gli investimenti sui servizi. Lo ha già fatto e da tanto tempo. Come esempio mi permetto di citare le situazioni in cui una bambina o un ragazzo con disabilità si trovano in classe con trenta compagni e ore di sostegno ridotte. Un esempio fra i tanti. Da tempo l’investimento sul sociale è ridotto, eliminato e chi lavora nei servizi denuncia l’assenza di impegno economico. Questa è una realtà che ormai va da Nord a Sud e con cui taluni fanno drammaticamente i conti (visto che in certe aree d’Italia chi lavora nel sociale, di fatto, non percepisce stipendio). Resta l’amaro pensiero che prima di sentirsi dire che “i soldi non ci sono più per nessuno”, si vorrebbe sentirsi dire che quelli che ci sono, però, sono stati amministrati bene e diretti verso le reali necessità della gente. Amministrati bene e investiti in progetti che siano efficaci per davvero. Recentemente sono circolati molti articoli sul “calo delle disponibilità di adozione” e sui perché e per come di tale fenomeno. Io, sebbene talvolta sia stato chiesto il mio parere, non ho certamente la competenza di dare risposte a un fenomeno, che, se davvero esiste, ha bisogno di un’analisi pluriennale e di un’interpretazione sociologica che tenga conto delle fluttuazioni demografiche della popolazione italiana come anche dei cambiamenti strutturali del mondo dell’adozione. Ho letto comunque molti articoli sul tema del calo delle adozioni. Ho letto che secondo alcuni dipende dai costi elevati delle adozioni internazionali, dai tempi lunghi di indagine e attesa.



Ho letto anche proposte per migliorare il sistema e per abbassare il costo globale delle procedure di adozione. Migliorare le procedure e ridurre i costi è sempre bene in qualsiasi ambito. Sono certa che sia fattibile anche in ambito adottivo. Come sono certa che per ridurre i costi il primo passo, prima ancora di chiedere fondi statali, sia quello di revisionare le spese, valutando soprattutto la trasparenza di ogni passo. Detto questo, devo ammettere che io sono molto più preoccupata di altri costi, quelli dopo l’adozione, quelli che le famiglie si trovano ad affrontare, e in grande solitudine e con buona pace di tutti. I costi del post-adozione, i costi di chi deve affrontare percorsi terapeutici, della logopedia, della psicomotricità, delle scuole private. Per non parlare dei costi non misurabili in modo economico, delle difficoltà che si affrontano, della ricerca di un aiuto, talvolta di una diagnosi, di una certificazione, di un sostegno. Sono questi i costi ingenti e spesso dimenticati. Quelli che appaiono di meno sugli articoli di giornale, perché troppa ancora è la solitudine delle famiglie che non sanno come orientarsi, come affrontare le criticità dei figli (appena arrivati o anche arrivati da tempo). E questi costi aumenteranno se ci saranno (e ci saranno) altri tagli sul sociale. Aumenteranno con i servizi che non potranno più organizzare gruppi di post-adozione (quando li organizzavano), con il “pubblico” che sarà sempre meno punto di riferimento, con la scuola sempre più disinvestita di attenzioni e strumenti.


Io credo che in futuro, di tutto questo, e sempre di più, sarà doveroso parlare, in modo aperto e chiaro. Delle necessità delle famiglie e degli strumenti che abbiamo per sostenere la crescita dei nostri figli. E lo dico da madre adottiva, perché se l’adozione ha senso d’essere lo ha perché è una scommessa di vita, è uno strumento che permette a dei bambini e a delle bambine di reinventarsi un futuro, uno strumento a loro servizio. E per esserlo davvero deve essere attenta, etica, trasparente e sostenuta. Perché i nostri figli hanno il diritto di trovare una società che li accoglie per davvero e non solo a parole, vuote. Con questo editoriale chiudo il mio anno da direttore del notiziario. Da gennaio troverete Simone Berti al mio posto. Io non vi lascio, resto a curare la rubrica dedicata alla scuola, ma soprattutto resto accanto al notiziario perché l’ho visto nascere e crescere in questi anni in modo incredibile, gli voglio bene e credo fortemente che stia diventando, sempre e sempre di più, uno strumento al servizio delle famiglie e un luogo dove si fa cultura sull’adozione in modo approfondito. So che la nuova direzione porterà novità e un investimento ulteriore sulla pluralità delle opinioni e sulla qualità dei contenuti. Ne sono felice e auguro al nuovo direttore e alla redazione tutta un affettuosissimo “buon lavoro!”.

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psicologia e adozione

Un bambino è l’opinione di Dio che il mondo deve andare avanti. (C. Sandurg)

Monica Arcadu psicologa

Da due a tre...

Adozione: ieri, oggi e domani 8

L’adozione non è una moda di questo millennio. L’adozione c’era ieri. L’adozione ci sarà domani. Con altre forme e diverse sfumature l’adozione fa parte della nostra storia. A partire dalla storia di Mosè salvato dalle acque e adottato, per arrivare al bambino del Malawi adottato dalla popstar Madonna non molto tempo fa. In ogni tempo e in ogni luogo incontriamo storie di adozione. Storie di tutti i tipi: commoventi, discutibili, emozionanti, complicate, rasserenanti. Questa che leggete è una storia passata, ma profondamente attuale. Ed è una storia vera.

che porta gli fu assegnato nell’istituto in cui crebbe.

La ruota era una struttura girevole a forma cilindrica dove si potevano lasciare i neonati abbandonati. Facendo girare la ruota la parte col bambino passava all’interno dove vi erano persone pronte ad assisterlo per le prime cure. Nel corso degli anni le ruote furono abolite, per poi essere ripristinate con l’aumentare di pericolosi casi di abbandono (neonati gettati in cassonetti oppure abbandonati al freddo). Nonostante la legge italiana preveda il diritto delle donne di partorire in anonimato, spesso, prinLeandro fu adottato all’ini- cipalmente per paura o zio del Novecento. Tre anni ignoranza, tale diritto non prima la sua mamma di viene esercitato. Da quepancia lo lasciò nella ruota, sta situazione è emersa la come usava allora. Il nome necessità di ripristinare

nuovamente la ruota per garantire riservatezza e anonimato a quelle madri che per diversi motivi non possono o non vogliono affidarsi alle garanzie della legge. Leandro non giudicò mai, né provò mai rancore verso sua madre naturale, anzi diceva di non aver mai pensato che fosse stata una cattiva madre, ma di esserle molto riconoscente perché gli donò la vita e lo lasciò in un posto sicuro e non per strada. Accolto da mani affettuose trascorse i suoi primi anni, all’orfanotrofio cittadino, finché un giorno qualunque, senza alcun tipo di preparazione, nessuna indagine psicosociale, nessun colloquio col giudice, una coppia di aspiranti genitori arrivò e lo portò a casa con sé. Leandro ave-


va ricordi nebulosi di quel giorno, costruiti per lo più attraverso i racconti degli altri. Ma parlava sempre della sua sensazione di smarrimento nel venire strappato alla sua realtà, l’unica che conosceva da quando era venuto al mondo.

All’epoca l’unica ad essere tutelata era la coppia di genitori e l’adozione era vista come uno strumento per dare conforto e un erede ad adulti senza figli. Dagli anni sessanta a oggi la situazione, per fortuna, è molto cambiata grazie a un’attenzione sempre maggiore ai diritti dell’infanzia. Così si è rivoluzionato il concetto dell’adozione: al centro dell’attenzione non è più la coppia bensì il bambino con il suo diritto ad avere una famiglia. Leandro si era sentito abbandonato un’altra volta, rinnegato da chi l’aveva allevato, per questo ha sempre sostenuto fermamente l’importanza del preparare al passaggio, del non lasciare soli i bambini in questo momento così delicato. La sua infanzia trascorse serena, ma arrivò un momento in cui tutti i ricordi vaghi, le sensazioni confuse come un boomerang gli rimbalzarono addosso. Non parlava volentieri del suo pas-

sato nonostante questo gli lavorasse dentro. Leandro aveva sedici anni, era un adolescente davanti allo specchio che si chiedeva: «a chi assomiglio?». Cercava somiglianze e differenze che non poteva trovare con i genitori adottivi e si chiedeva incessantemente dove fossero le sue origini. Emersero paure e conflittualità connesse alla propria identità. Questo rimise in discussione sia il rapporto con i genitori adottivi sia il rapporto fantasticato con quelli biologici. I genitori adottivi, in questo caso, assunsero il difficile compito di permettere al figlio di diventare protagonista della sua storia aiutandolo a cucire le due realtà in una sola per unire le origini con la nuova appartenenza e dare un senso di continuità alla sua identità. La cosa che più gli procurava dolore era sentirsi in colpa nei confronti dei suoi genitori adottivi, temeva di ferirli, di deluderli quando per lui erano le persone più importanti e più significative della sua vita. Questo però non placava il suo enorme bisogno di conoscere la verità della sua storia. Continuò a cercare i suoi genitori naturali per tutta la vita. Questo non perché stesse male nella sua nuova famiglia, né perché volesse ricongiungersi con la fami-

glia di origine, semplicemente per mettere a posto tutti i pezzi della sua identità e della sua storia e poter elaborare una sua completa autobiografia. Affermava che probabilmente se fosse riuscito a risalire alle informazioni che cercava non avrebbe neppure tentato di incontrarli. A lui bastava sapere. Leandro crebbe e diventò padre di quattro figli. Visse la sua genitorialità con grande e profondo impegno, fu sempre presente e attento e portò con sé tutto il calore della sua famiglia adottiva, ma difficilmente raccontava la sua storia. Poi divenne nonno e con l’avanzare dell’età si fecero avanti anche i ricordi più lontani, di quell’infanzia spezzata che volle condividere con i suoi nipoti e in particolare con me che ero la più piccola. Oggi Leandro non c’è più. Ha passato il testimone a me che con passione ed entusiasmo mi occupo, a mio modo, di adozione.

Ieri l’adozione era uno strumento della coppia. Oggi l’adozione è un’opportunità per un bambino. Domani sarà riconosciuto da tutti come uno dei tanti modi di essere famiglia.

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psicologia e adozione

Adolescenza Prospettive per i genitori

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L’adolescenza di un figlio viene spesso accolta con un misto di curiosità e apprensione. I cambiamenti fisici e gli assestamenti emotivi in atto nella progenie sono sovente imperativi e categorici, non lasciano molto spazio e tempo a riflessioni di sorta. L’urgenza di capire “cosa stia accadendo” diviene priorità assoluta. Se spostiamo il vertice di attenzione di questo ricco e problematico passaggio di crescita e focalizziamo la nostra attenzione non più sul figlio, ma sui genitori, potremmo incontrare differenti e intriganti ambiti di approfondimento, di cui due particolarmente ricchi di spunti di riflessione.

Genitori di un adolescente o genitori adolescenti? Il genitore rispecchia parti di Sé, in maniera più o meno consapevole, nell’età evolutiva del proprio figlio; è un naturale riattraversamento psicologico ed emozionale dei principali vissuti delle proprie fasi di crescita. Ci si ricorda di come si era da giovani, se fu più o meno difficile attraversare i mutamenti fisici, emozionali e sociali propri di quella specifica età. Ci si immerge nuovamente in un’epoca considerata lontana e ricca di eventi, alcuni nebulosi, altri chiari ed emotivamente “pregni”. Una delle situazioni che possono verificarsi all’interno di questo processo di rispecchiamento è che il genitore entri in una sorta di risonanza emotiva col proprio figlio. L’identificazione

con quelle problematicità che hanno permeato la sua stessa adolescenza portano il genitore ad allearsi fortemente col disagio e/o i processi trasformativi del giovane. Tale alleanza, apparentemente proficua, rischia di creare uno stato confusionale all’interno del quale non si capisce più di chi sia il disagio e in quali termini esso si manifesti. Succede, ad esempio, che il genitore inizi ad arrabbiarsi al posto del proprio figlio contro gli insegnanti considerati poco indulgenti, che interferisca nelle relazioni affettive e sociali imponendosi come suo migliore amico e non più come un adulto, esempio di vita da introiettare. Assistiamo al caparbio tentativo del genitore di rendere paritetico un rapporto che per definizione non può esserlo. È sempre necessaria la chiarezza su chi sia il genitore


Š valeriano salve

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Š sabina betti


e chi l’adolescente! Il figlio rischia di vedersi negare la possibilità di entrare in un sano conflitto col genitore, momento di profonda affermazione di Sé e delle proprie distintive caratteriali. L’adolescenza di un figlio adottivo, poi, necessita più che mai di attualizzare e manifestare tale conflittualità; essa si configura come una maniera naturale per cercare una risoluzione profonda e definitiva dei conflitti intrinsechi alla propria condizione di nonconsanguineità. Il momento del “litigio”, del “non sono d’accordo”, “non mi riconosco come tuo figlio”, tanto temuto dal genitore, è un passaggio essenziale nella definizione di una nuova, sana identità del giovane che si affaccia all’età adulta; è un sistema per superare quella dicotomia tra il “sono figlio vostro” e il “sono

figlio di un abbandono”, per giungere a un “io comunque esisto e sono grato per ciò che sono”. Parimenti, genitori che abbiano attraversato l’adolescenza senza scioglierne i principali cardini psicoaffettivi e le relative problematicità, potrebbero rifiutare i cambiamenti che vanno manifestandosi nel figlio svalutandone il processo di crescita o rendendosi particolarmente ostili a ogni tentativo di quest’ultimo di creare un dialogo “tra adulti”. È questo il caso in cui vediamo genitori completamente insensibili ai messaggi di aiuto lanciati dai propri figli o, nel caso di figli adottivi, di padri e madri che “delegano” alla questione dell’adozione tutte le problematicità che emergono nella vita del giovane. Ridurre ogni problema a una questio-

ne legata all’adozione determina il rafforzamento, nell’identità del giovane, di un “Io” la cui esistenza è legata solo alla propria condizione di stirpe e non a quanto si sta sviluppando in lui come essere umano. Rispondere a un comportamento aggressivo, ad esempio, “leggendolo” come frutto del fatto che “lui è adottato e ci aspettavamo avrebbe creato problemi”, si pone come un vero e proprio diniego assoluto del problema. Tale situazione, più comune di quanto non si pensi, reca in se stessa una profonda svalutazione dell’adolescente adottato che vede d’innanzi a sé i propri cari in una posizione altamente difensiva; qui si produce un ulteriore strappo e la possibilità di una crisi totalmente irrisolvibile: una frattura intrafamiliare insanabile.

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Il patto genitoriale “adottivo”: crisi adolescenziale vs crisi di coppia

Bibliografia D. Marcelli - A. Braconnier, Adolescenza e psicopatologia (1983), Milano, Masson, 2000. E. Scabini, V. Cigoli, Il famigliare. Legami, simboli, transizioni, Milano, Raffaello Cortina, 2000.

L’etimologia del termine adottare (dal latino optare, cioè scegliere, preceduto dal rafforzativo ad) indica la dimensione della scelta, intrinseca alla costituzione di un patto genitoriale di tipo adottivo. Anche il figlio è chiamato

nel tempo, soprattutto in adolescenza, a effettuare una scelta e decidere di essere figlio di quei genitori. In tale senso il legame familiare va visto in termini di “patto”, termine che richiama ad aspetti paritetici di etica del legame. La coppia, in concomitanza con l’entrata del figlio adottato in adolescenza, spesso riattraversa le motivazioni che l’hanno spin© valeriano salve

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ta alla scelta adottiva. Le verifiche alle quali è di continuo sottoposta dal figlio, il quale spesso nega ai propri cari un esplicito riconoscimento per gli sforzi fino ad ora compiuti nel creare un giusto e solido legame familiare, mettono a dura prova entrambi i genitori; essi si trovano a doversi interrogare nuovamente sulle scelte compiute e sui numerosi dubbi e paure già presenti ed elaborati nel periodo di attesa di abbinamento con il figlio. Tornano a galla fantasmi circa la provenienza di stirpe, domande circa le somiglianze genetiche, dubbi circa la propria adeguatezza a coprire il ruolo genitoriale. E anche quando tutte le questioni citate non apparissero spontaneamente, ci penserebbe il figlio a ricordarle attraverso le sue crisi improvvise, i suoi comportamenti non sempre prevedibili, i suoi richiami talvolta drammatici. La coppia rischia di scoppiare sotto il peso di atmosfere cupe, drammatiche, ostili, alle volte insostenibili. I genitori cercano una strada di comunicazione col proprio figlio e si trovano a dissentire sul comportamento del coniuge: “volano” accuse, insulti, richiami a una maggiore maturità ecc.

Franco Carola psicologo, psicoterapeuta e gruppoanalista, esperto in psicologia scolastica e in tecniche di rilassamento. Lavora da anni sui temi legati al parenting e, in particolare, sulla genitorialità adottiva. Docente in training presso la SGAI (Società gruppoanalitica italiana), è Student member IAGP (International Association for Group Psychotherapy and Group Process)

La coppia attraversa una profonda mutazione: cresce insieme al figlio, ridiscutendo se stessa, la cultura familiare creata e sostenuta fino ad allora, i capisaldi del progetto che l’ha portata ad avvicinarsi a un progetto adottivo. I radicali cambiamenti di questo periodo possono sembrare prove troppo dure, tanto che alcuni genitori attraversano profondi stati depressivi, a volte rabbiosi e dolorosi. Il coniuge rischia di non essere più valido sostegno e le sensazioni di solitudine prendono spazio. Ma questo è ciò che anche il figlio sperimenta! La sensazione di non appartenenza, di dover creare una nuova identità dal nulla o da uno strappo originario, provoca vissuti di solitudine profonda che figli

e genitori condividono, il più delle volte inconsapevolmente. Una madre che si sente sola e scoraggiata, un padre che prova emozioni altrettanto forti e un figlio che si vive solo contro il mondo. È dall’incontro di queste tre solitudini che rinasce la famiglia, luogo sicuro dove potranno rincontrarsi tutti e tre come adulti. Tre persone rinnovate che condividono una nuova consapevolezza di sé e dei propri amati. Vi è un’unica certezza circa questo critico passaggio familiare: l’adolescenza finisce! E quando ciò accade, il più delle volte si scoprirà che l’amore tra i membri della famiglia è stato rinnovato, riconfermato e non sarà più messo in dubbio!


salute e adozione

Raffaele Virdis pediatra

Perché un protocollo sanitario e suoi obiettivi 16

La Commissione adozioni internazionali (CAI) della Presidenza del Consiglio dei ministri ha da anni organizzato una rete di Centri pediatrici specialistici sparsi in quasi tutte le regioni italiane e, nella persona dell’allora sua presidente, il magistrato Melita Cavallo (attualmente presidente del Tribunale dei minori di Roma), ha promosso un protocollo sanitario d’accoglienza che alcune regioni italiane, e per prima l’Emilia-Romagna, hanno fatto proprio con delibera della giunta regionale. Attualmente molte altre regioni hanno adottato il protocollo, ciascuna con possibili variazioni e negli ultimi anni con alcune aggiunte. Alcuni centri specialistici con grande esperienza del problema lo hanno ampliato anche a esami non previsti nelle prime stesure, con

risultati che hanno dato ragione alle loro preoccupazioni. L’eventuale aggiunta di esami da parte sia della regione sia dei singoli centri è importante che sia mirata al bambino, alla sua provenienza e ai suoi problemi. In sintesi il protocollo prevede una buona ed esperta visita pediatrica con valutazione globale del bambino e una visita neurologica (o neuropsichiatrica) infantile. Se necessario queste daranno indicazioni di visite pediatriche e psicologiche super-specialistiche. Gli esami di laboratorio sono di tipo generale, morfologico, ematochimico, infettivologico e parassitologico. Con il termine infettivologico, oltre allo screening per le principali malattie infettive (epatiti, hiv, tubercolosi, lue), si intende anche la ricerca degli anticorpi conseguenti alle

principali vaccinazioni, indipendentemente dalle certificazioni in possesso del bambino. L’importanza di una particolare attenzione sanitaria è ben comprensibile se si pensa che i bambini adottati possono provenire da stati di abbandono, di malnutrizione, di degrado sociale, talvolta di abuso e violenza, da paesi con differenti e diffuse malattie, soprattutto infettive e parassitarie, ma anche genetiche che possono interessare una considerevole parte della popolazione, come le anemie emolitiche nei paesi mediterranei e africani. Inoltre, da un punto di vista neuropsicologico, questi bambini hanno un bagaglio culturale (credenze, religione, abitudini sociali ed alimentari ecc.) completamente differente da quello che incontrano nel


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nuovo paese e nella nuova famiglia e tutto ciò, associato ai problemi di lingua, specie nei bambini più grandicelli, può ritardare l’integrazione familiare, sociale e scolastica, facendo sospettare problemi cognitivi e minando la qualità di vita e l’autostima del ragazzo.

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Perché un protocollo sanitario per i bambini adottati (soprattutto dall’estero)? La Regione Emilia-Romagna (RER), o meglio la commissione di tecnici che ha preparato il protocollo sanitario, ha cercato di rispondere a questa domanda per le obiezioni e la resistenza di molti genitori che hanno paura di “aggredire” i figli appena arrivati e come tutti i nostri connazionali “hanno una fifa matta di medici, medicine, punture ed ospedali”. A mio parere la maggior parte dei bambini, specie se in precedenza vissuti in istituto, non hanno paura del medico e si sottopongono con serenità a esami e visite, per adeguarsi alla psicologia nazionale di irrazionale timore dopo poche settimane o mesi dall’arrivo. Il ritardo nel fare certi esami può significare la progressione di un’eventuale malattia e/o

una maggiore possibilità di contagio alla famiglia e ai contatti (scuola, amici, parenti) per le malattie infettive. Vediamo alcune delle risposte fornite dalla RER: • Il bambino originario di altri paesi e adottato è protetto da una rete di servizi e prestazioni sanitarie a difesa della sua salute e di quella dei suoi nuovi familiari. • Ogni area geografica di provenienza ha caratteristiche sanitarie, igieniche ed epidemiologiche che presuppongono conoscenze e interventi diagnostici specifici. • Malattie infettive e parassitarie, oggi quasi del tutto assenti in Italia o comunque sotto controllo, possono essere presenti in altre aree geografiche e sono causa di morbilità. • La situazione ambientale di particolari territori con influenze dirette, anche a distanza di tempo, sulla salute, come gli effetti endocrinologici (tiroide) di agenti ionizzanti sui bambini provenienti dalla Bielorussia. • I programmi vaccinali, il grado di completezza raggiunto da ogni singolo bambino, l’affidabilità delle documentazioni di accompagnamento possono essere molto diverse e impongono una perso-

nalizzazione della valutazione e delle decisioni più opportune nei singoli casi. Certificazioni erronee possono derivare o da problemi burocratici, o da voluto inganno (a mio parere soprattutto da paesi già parte dell’URSS), o da vaccinazioni inattivate da interruzione della “linea del freddo”, scadenza, cattiva conservazione (soprattutto paesi tropicali o particolarmente poveri, bambini provenienti da località isolate e con pochi servizi socio-sanitari) La RER, poi, individua alcuni fattori determinanti per lo stato di salute dei bambini adottati, quali: età, provenienza, esperienze di vita precedenti all’adozione, mancanza o carenza di informazioni sulla loro storia familiare e sanitaria, condizioni igienico-sanitarie ed epidemiologiche dei luoghi di provenienza (paesi, istituti, ambienti rurali o urbani, clima, latitudine ecc.), percorsi di vita in età infantile (quelli segnati da abbandoni e privazioni necessitano di essere attentamente seguiti dal punto di vista dello sviluppo psico-affettivo per favorire l’elaborazione e il recupero di eventuali precedenti traumi e sofferenze).


Quali gli obiettivi del protocollo? Anche qui facciamo riferimento al documento della RER ricordandone alcuni punti (essendo un documento tecnico e politico certe asserzioni e ripetizioni possono sembrare retoriche, ma necessarie per giustificare, anzi sottolineare, l’importanza della spesa che viene stabilita). • assicurare a tutti i bambini adottati provenienti da altri paesi e anche a quelli italiani un’attenta e accurata presa in carico e cura dal punto di vista della salute psico-fisica; • presa in carico tempestiva e valutazione delle condizioni di salute dei bambini (da parte dei medici di famiglia) per accompagnare in modo fiduciario la famiglia verso una corretta accoglienza… e per la gestione degli aspetti sanitari, psico-affettivi e sociali del bambino. • In più si mette in risalto l’“importanza della collaborazione con le altre figure professionali presenti nell’équipe adozioni, nei servizi di Neuropsichiatria infantile…

gnosi tempestiva (30-45 gg.), per escludere patologie infettive (o curarle in caso di loro presenza) e per valutare precocemente lo stato di salute psico-affettiva dei bambini. Inoltre è importante monitorare, prevenire e curare l’eventuale emergere di traumi e disturbi emozionali che, se non sufficientemente trattati, possono portare a crisi durante l’età adolescenziale o a patologie psichiatriche durante l’età adulta. È anche fondamentale monitorare in modo continuativo la crescita (fisica e psicologica) equilibrata del bambino e dare sostegno alla famiglia nella costruzione dei legami affettivi anche attraverso la collaborazione dei servizi sanitari, sociali ed educativi.

La RER affida questi compiti soprattutto ai medici di famiglia, pediatri e non, mentre altre regioni danno indicazioni precise e affidano il compito ai Centri regionali. Chiunque sia l’incaricato è importante che abbia una buona conoscenza della materia e dei problemi correlati o che abbia a disposizione, anPer finire il documento ri- che solo per consultazione telefonica, persone o enti badisce giustamente: • L’importanza di una dia- esperti.

Raffaele Virdis pediatra presso l’ambulatorio adozioni internazionali dell’Azienda ospedalierouniversitaria e il poliambulatorio Dalla Rosa Prati, Parma raffaele.virdis@unipr.it

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giorno dopo giorno

Una storia di adozione Per Laura 20

Premessa Non è facile a distanza di anni ripercorrere un’esperienza così intensa e invasiva come è quella di un’adozione. Si rischia probabilmente di limitarsi a ricordare gli eventi salienti, quelli più belli o più drammatici, lasciando che la memoria tralasci il più, cioè la quotidianità e i piccoli eventi che invece sono quelli che costituiscono il più di questa esperienza, così come quella di gran parte di una vita. Proprio in questi giorni ho riportato su dvd i filmati che ho fatto in questi anni, soprattutto nei primi mesi in cui Laura era arrivata in Italia e io avevo appena acquistato una videocamera: molti di questi filmati erano rimasti archiviati su cassetta, probabilmente neppure visionati una volta per intero, nella frene-

sia e nel coinvolgimento di quei mesi. Quanti momenti dimenticati, quante scene che solo ora, rivedendole, tornano alla memoria, quale commozione sentire ora quella voce esile pronunciare le prime sue frasi in un italiano stentato, misto a qualche parola di spagnolo! Penso che ogni storia di adozione sia differente dalle altre, sebbene spesso si possano ritrovare circostanze simili: leggere o ascoltare altre esperienze (e ancor più cercare di riassumere la propria) serve a soffermarci su alcuni aspetti di questa esperienza e magari ripensare e mettere in discussione alcuni nostri comportamenti. Difficilmente una storia di adozione può rimanere un qualcosa di personale, rinchiuso internamente a un nucleo familiare: le difficoltà, le diversità da

affrontare e talvolta l’angoscia e le paure, ci portano ad aprirci al confronto con altri che stanno vivendo un’esperienza simile. E questo spesso accade anche prima che l’adozione avvenga, perché già le procedure burocratiche e la lunga attesa mettono a dura prova ciascuno con le proprie speranze e i propri inevitabili dubbi, timori. Anche noi avevamo partecipato fin da subito sia ad alcuni incontri “istituzionali” sia ad altri organizzati da associazioni di coppie adottive sebbene allora non fossero una realtà molto diffusa. Poi c’era Internet, con i suoi forum e newsgroup che costituivano (e costituiscono tutt’oggi) non solo un punto di scambio di esperienze e di confronto, ma anche di sfogo delle nostre angosce e paure. Nel 2000 non si trovavano molti siti, se


© mariagloria lapegna

non quelli istituzionali di Stato o di Enti autorizzati, che parlassero di adozione e riportassero esperienze personali da cui forse poter ricavare risposte utili ai propri quesiti e dubbi. Decisi allora di pubblicare un sito personale in cui raccontare le nostre vicissitudini, inizialmente forse più per sfogo, poi anche come condivisione delle proprie e altrui esperienze. […] ancora oggi leggendo le considerazioni lasciate come commento nel blog associato al sito, trovo sempre più conferma della complessità delle emozioni che un’adozione implica sia nella coppia sia nella persona adottata. Ho scelto di rendere in parte anonimo il racconto della nostra esperienza di adozione per rispetto e dovuto riserbo a nostra figlia, in quanto necessariamente

per lo più sconosciuta e distante per noi ultraquarantenni. Poi le procedure burocratiche, gli incontri con la sociologa e la psicologa del territorio, […] sicuramente impegnativi ma anche formativi, in cui raccontare la nostra storia e i nostri vissuti, le nostre paure e i La storia – Parte I nostri desideri. Quindi la La cronistoria vorrebbe loro relazione dettagliata fissare l’inizio di questa (sicuramente “troppo” det“avventura” nel dicembre tagliata, tenuto conto della 1999, alla presentazione al sua finalità e soprattutto Tribunale per i minorenni del destinatario!) e il rifiudi Torino della domanda to del Tribunale a rilasciaper l’idoneità all’adozione, re l’idoneità, nonostante il ma in realtà già quello fu giudizio finale positivo di un primo traguardo dopo entrambi gli operatori del un lungo e meditato perio- territorio, […] senza nemdo di analisi e confronto meno richiedere un collocon la realtà dell’adozio- quio per conoscerci di perne, a livello sia personale sona e darci la possibilità sia di coppia, partecipando di parlare con il giudice in anche a incontri di gruppi questione e vederlo almeno di genitori adottivi, per co- in faccia. Erano forse altri noscere meglio una realtà, tempi e la “nuova” legge, fino a pochi anni addietro che a breve avrebbe intefa riferimento anche a fatti strettamente personali. D’altra parte ritengo doveroso testimoniare la nostra esperienza di adozione sicuramente diversa da altre di cui abbiamo letto o visto rappresentare dai media.

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grato la precedente, probabilmente avrebbe migliorato un processo così assurdo in cui chi esprime il giudizio finale poteva non tener conto di quello degli operatori addetti e nemmeno convocare la coppia per conoscerla personalmente ed eventualmente approfondirne la conoscenza, prima di emettere la sua sentenza. Quindi il ricorso vinto, gli incontri con diversi Enti autorizzati, quasi tutti quelli che operavano nella nostra regione, […] infine la difficile scelta dell’Ente a cui affidare il mandato, a cui affidare con piena fiducia anche tutti quei processi burocratici di cui avevamo già avuto occasione di sperimentare la complessità e talvolta la dubbia coerenza e logicità. Poi la proposta, da parte dell’Ente da noi scelto, di presentare la domanda in un Paese di cui raramente avevamo sentito parlare, se non in termini di guerriglia e di droga, un Paese insomma di cui non avevamo neppure tenuto conto nelle nostre elucubrazioni: la Colombia. Quindi la preparazione dei documenti richiesti e l’attesa, la lunga attesa per un abbinamento. Infine la notizia attesa e una foto, che ancora conserviamo gelosamente in una cornice, in cui è

ritratta Laura, colei che non senza difficoltà oggi è nostra figlia, sicuramente uno degli scopi principali della nostra vita. Poi la partenza per Bogotà e quindi il viaggio verso una cittadina dove era programmato il nostro incontro con la piccola Laura di circa tre anni e mezzo, incontro che si sarebbe svolto in un ufficio decentrato del Bienestar Familiar, il tribunale dei minori colombiano. Ed ecco lei, per mano a un’assistente sociale, che entra nella stanza con un sorriso di circostanza, con un vestito da bambola e un cerchietto ai capelli finissimi, […] a guardarci e alternativamente sfogliare le nostre foto (che aveva con sé in quanto inviatele tempo prima tra i documenti richiesti), […] quasi a trovare una conferma che eravamo proprio noi coloro di cui probabilmente le avevano parlato. Poi il tragitto verso l’albergo dove saremmo dovuti restare fino a pratiche concluse, almeno due settimane, […] e poi subito i primi pianti e le ribellioni di Laura che evidentemente intuiva cosa stava succedendole, ma sicuramente non era stata preparata psicologicamente a sufficienza per sopportare un nuovo cambiamento nella sua vita già così travaglia-

ta, seppur breve. Come poi in seguito avrebbe avuto modo di confermarci la psicologa colombiana che l’aveva seguita nel tempo, l’avviso di un abbinamento era giunto loro in ritardo, per cui non avevano potuto attuare le procedure da loro generalmente impiegate, che prevedono un allontanamento graduale dalla famiglia affidataria. Dopo un pomeriggio in un supermercato per acquistare, insieme all’avvocata referente in Colombia, alcuni indumenti e giochi per la bambina (che peraltro continuava a girare tra i reparti senza curarsi minimamente di dove fossimo noi adulti), l’arrivo in albergo per la cena. Poi la prima notte da soli con Laura, indubbiamente stanca e provata da una giornata sicuramente troppo densa di avvenimenti per una bimba della sua età che si trovava da sola a dover affrontare nuovamente un radicale cambiamento nella sua vita, senza che fosse stata resa partecipe di questa come delle precedenti decisioni che avevano più volte cambiato radicalmente il corso della sua vita. Lasciata dalla madre naturale a una famiglia di conoscenti, probabilmente all’età di circa un anno, aveva subito per circa diciassette mesi privazioni


sia fisiche sia psicologiche, fin quando non era venuta all’attenzione dei servizi sociali che, trovandola con evidenti sintomi di denutrizione, l’avevano sottratta a quella famiglia e portata in una affidataria. Qui Laura ha vissuto fino al giorno dell’adozione e qui sicuramente ha conosciuto, probabilmente per la prima volta, l’affetto sincero di figure genitoriali: dalla lettera e dalle foto che quella famiglia ci ha fatto avere, sono visibili i cambiamenti, non solo emotivi ma anche fisici, avvenuti in quell’anno di vita. Da uno stato di denutrizione e la mancanza anche solo di un’iscrizione all’anagrafe e delle vaccinazioni infantili, alla presenza di cure anche ospedaliere e soprattutto all’affetto proferito da quella famiglia e alla convivenza con altri bambini a loro affidati: tutto ciò aveva fatto “rinascere” quella bambina inizialmente dall’aria triste e sofferente. Le frasi scritte nella lettera che ci hanno voluto lasciare sono ancora oggi testimonianza dell’affetto e delle cure che quella famiglia ha saputo offrire alla piccola Laura. Di quella prima notte trascorsa con noi, il ricordo è ancora vivo: stanca e provata dalla lunga giornata, Laura si era addormenta-

ta a tarda ora e l’avevamo delicatamente adagiata in mezzo a noi nel lettone matrimoniale perché non rischiasse di cadere dal letto senza sponde che l’albergo ci avevano fornito. Poi, nel pieno della notte, il suo risveglio con gli occhi sbarrati, inferociti e il suo sfogo violento con calci, pugni e morsi, […] contro di noi a lei “estranei”. Quindi il suo rifugiarsi in un angolo della stanza, a ripetere in modo ossessivo il nome dei suoi genitori affidatari e a rivoltarsi con violenza a ogni nostro tentativo di avvicinamento. Questa situazione e relative reazioni sono proseguite, tra alti e bassi, per più di una settimana, migliorando solo un po’ quando, su consiglio della nostra interprete, ci siamo spostati in un altro albergo dove c’erano altre coppie (di cui alcune italiane) che stavano percorrendo il nostro stesso percorso di adozione. La presenza sia di altri bambini sia di una piscina nell’albergo, la comprensione e la partecipazione attiva di molte persone presenti nell’albergo o che avevamo conosciuto (soprattutto l’interprete e la psicologa) ci sono serviti moltissimo in questi giorni molto difficili, aiutandoci a superare le molteplici difficoltà che man mano si presentavano: dalla necessità

di cure per una tonsillite sopraggiunta, dove il rifiuto di qualsiasi assunzione di medicinali era la regola, alla necessità quindi di ricorrere a punture e altre cure ospedaliere per recuperare la fragile salute di Laura. Ricordiamo ancora con riconoscenza quando la psicologa, dopo una sua normale giornata di lavoro, resasi conto della situazione di netto rifiuto di Laura, aveva deciso di rimanere con noi fino a tarda notte per vedere di persona le reazioni violente della bambina che si acuivano soprattutto con il sopraggiungere della sera e del buio, quando si trattava di andare a dormire: [...] e dopo avere visto di persona ed essere stata lei stessa aggredita violentemente, dirci che non era la Laura che aveva conosciuto, che le sembrava un’altra persona. Un riconoscimento di gratitudine analogo lo portiamo per l’interprete che, accogliendoci più volte a casa sua, nella sua famiglia, ha saputo offrirci spassionatamente quel supporto e quell’affetto che mai ci saremmo aspettati di ricevere in un Paese generalmente conosciuto per la violenza e la sopraffazione. Ricordiamo la comprensione anche dei commessi dei

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negozi nei confronti di una bambina che non riuscivamo a controllare, che toccava tutto e si dimostrava talvolta anche aggressiva, […] un aspetto di una civiltà e una comprensione per l’infanzia che non immaginavamo esistere in un Paese così bistrattato dai media. Il confronto con quanto ci succederà poi in Italia, nei primi mesi dopo il nostro ritorno, ci fa oggi ancor più esaltare 24

in positivo quella cultura dell’America latina. Infatti, più volte in Italia siamo stati cacciati in malo modo da negozi, […] e addirittura dal fotografo dove eravamo inizialmente andati per fare le prime fotografie necessarie per il permesso di soggiorno, dopo una reazione violenta di Laura ad atteggiamenti sicuramente poco comprensivi sui tempi necessari per averla ferma e nella posi-

zione idonea per lo scatto. La cultura di saper aspettare, di non voler tutto subito, il saper comprendere al volo situazioni anomale e sapersi comportare di conseguenza per contenerle nel modo più appropriato, sembra che raramente facciano ancora parte in modo diffuso della nostra cultura occidentale.

Ma torniamo nuovamente indietro nel tempo e al racconto di quando ancora eravamo in Colombia. Dopo una settimana la situazione era leggermente migliorata durante la giornata, ma le aggressioni e il rifiuto soprattutto della figura femminile di “nuova” madre erano tali che gli operatori sociali che avrebbero dovuto fornire un responso al termine della settimana, loro stessi preoccupati, ci avevano prospettato la possibilità di un altro abbinamento, sebbene fosse per loro una procedura inusuale. Laura sarebbe stata assegnata a un’altra famiglia affidataria e sicuramente per lei sarebbe stato l’ennesimo ulteriore cambiamento e trauma. Abbiamo quindi deciso di provare a tenerla con noi per più tempo, sperando in un migliora-


mento. Lentamente l’avvicinamento sperato si è verificato già nelle settimane successive delle cinque trascorse in Colombia, ma trascorrerà ancora almeno un anno prima di conquistare la sua fiducia, almeno due anni prima di ricevere da lei un abbraccio affettuoso e pienamente sentito. Poi la partenza per l’Italia, il lungo e travagliato viaggio con una bambina comunque irrequieta e non disposta ad accettare nessun vincolo o costrizione: ancora è nei nostri ricordi la reazione aggressiva di Laura nei confronti di un operatore della sicurezza all’aeroporto di Madrid, morsicato perché aveva cercato di impedirle l’ennesimo passaggio attraverso una barriera di controllo. Infine l’arrivo all’aeroporto di Caselle, con tutti i parenti e amici più cari, pronti ad accoglierci dopo le procedure doganali e d’ingresso di Laura, già nostra figlia per la Colombia ma ancora extracomunitaria per l’Italia fino al termine di un iter burocratico che sarebbe ancora durato qualche settimana, se ben ricordo. E dopo l’abbraccio all’aeroporto con chi aveva atteso il nostro ritorno e un mio pianto liberatorio dopo settimane di tensione e difficoltà, finalmen-

te la sensazione di essere ritornati a casa, di avere superato sicuramente una delle esperienze più difficili della nostra vita, la sicurezza di poter ora contare anche sull’aiuto di parenti e amici, insomma di tutti coloro che, oltre a volerci bene, avrebbero saputo creare insieme a noi quell’ambiente familiare e di affetto indispensabile a Laura, così come a tutti i bambini. Poi l’arrivo a casa “scortati” ancora da molti e la sorpresa di un lungo striscione da loro disegnato su moduli continui da stampante, appeso nella stanza di Laura con scritto: Laura, benvenuta tra noi!. […] uno striscione che rimarrà appeso per molti mesi fino a subire rotture irrimediabili! […] e Laura ancora spaesata, ma che già sembra apprezzare la sua cameretta, in verità ancora abbastanza “spoglia” e priva di letto in quanto il lettino, con le pareti di protezione, l’avevamo posizionato nella nostra camera da letto: passeranno almeno due anni prima che riesca ad addormentarsi direttamente nel suo lettino e non prima con noi nel lettone per poi essere spostata quando ben addormentata, […] sempre con il pericolo di un suo risveglio e relativa reazione violenta. Solo a sei

anni accetterà di avere un letto nella sua stanza e di andarci a dormire da sola. Il sopraggiungere della sera e l’andare a dormire rimarrà il momento in cui si manifestano più di frequente le sue crisi, scatenate da motivi disparati e pretestuosi, durante le quali nessun ragionamento è possibile e le aggressioni perdurano anche per ore, fino a notte tarda.

[…] continua / ° °

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giorno dopo giorno

Nati da una pancia

Emozioni dal blog di Marta e Alberto su Radiomamma.it 26

Leggo le domande del modulo prestampato da restituire al medico scolastico (e io che pensavo non esistesse neanche più…) della scuola materna di mia figlia. Parto a termine? Anticipato? Problemi prenatali? Quando i primi passi, le

prime parole? Malattie in famiglia… Allattamento al seno o artificiale? I quesiti a raffica della modulistica e le visite mediche sono sempre un banco di prova, ti restituiscono la nuda realtà dei tuoi bambini. Non puoi mettere nessuna crocetta, ti rasse-

gni a scrivere un laconico: “Notizie non conosciute”. Che dire del tema parto? Quando esco con le colleghe mamme dei compagni di scuola di mio figlio (al gruppo si è aggiunta da qualche tempo anche un’ostetrica…), non c’è cena in cui non si arrivi a parlare – in genere mentre arriva il dolce – della loro nascita, di doglie, contrazioni, anestesie epidurali. All’inizio provavo un po’ d’imbarazzo, non potevo partecipare alla conversazione e il mio pensiero si perdeva, andando a un parto di cui non ho alcuna informazione. Con gli anni ci ho fatto il callo. E devo dire che anch’io ho l’asso nella manica: sono diventata mamma in ventiquattr’ore, con un travaglio che non ha nulla da invidiare a quello biologico! Ma ammettiamolo: se le mamme adottive stanno


alla larga da “pance e parti” è perché, da un lato, non ne sanno nulla e dall’altro l’argomento scotta, sfiora una ferita che, per quanto ben rimarginata, si preferisce non stuzzicare troppo. Spesso le mamme adottive amano dire ai loro figli che sono “nati dal cuore”. La metafora è bella e in fondo è vero che li abbiamo “tenuti” nel nostro cuore. Ma diventa inadeguata con

il passare degli anni, non soddisfa più la domanda che si agita dentro i bambini. I nostri figli nelle nostre pance vorrebbero essere stati, spesso vogliono rinascere anche solo per finta o per gioco da queste pance. E anche noi li avremmo voluti tener dentro e togliere loro la fatica di un’origine diversa, dolorosa, traumatica. Non si può banalizzare,

minimizzare, nascondere la grandezza del venire al mondo. Anche noi, madri adottive, non possiamo proprio eludere la questione: il momento del parto racchiude in sé una sua intoccabile sacralità. Gioia e dolore si mescolano visceralmente, e la vita irrompe, nonostante tutto, in tutta la sua forza e la sua bellezza. Marta e Alberto 27

© ilaria nasini


leggendo Marina Zulian responsabile della BibliotecaRagazzi di BarchettaBlu

Aspetta un minuto! Rispettiamo i tempi dei bambini 28

Tante volte quando chiedo alla mamma di aiutarmi, lei mi dice: - Aspetta un minuto! ... e così devo sbrigarmela da sola. Quando il papà legge il giornale, e io gli voglio mostrare quello che faccio, lui dice sempre: - Tra un minuto! ... ma quando finalmente si gira, è tutto da rifare! Ieri volevo far vedere alla maestra una farfalla, ma lei ha detto: - Aspetta un minuto! ... e la farfalla è volata via. Quando chiedo a mio fratello di aiutarmi a preparare la tavola, lui risponde sempre: - Un minuto! ... così devo fare tutto io. Quando siamo in vacanza, a me piacerebbe che tutti si alzassero presto, ma loro dicono: - Ancora un minuto! Certa gente non sa che cosa perde! Adesso ho imparato come fare. Quando sto guardando la televisione, e la mamma

più incalzanti. Se da un lato gli insegnanti potrebbero iniziare a rallentare certi ritmi legati ai programmi nozionistici, dall’altro i genitori, magari durante i fine settimana o le festività scolastiche, potrebbero cercare di non imporre ai figli i soliti ritmi velocissimi, costruendo giornate con tempi dedicati ai bisogni di ciascuno. Ciò non significa dedicarsi totalmente ai figli, ma dedicare loro alcune parti della giornata, nel rispetto delle tempistiche dei bambini, spesso non coincidenti con quelle degli adulti. Sarebbe bello poterlo fare anche tutti i giorni della settimana, ma intanto si Riuscire a rispettare i tem- può approfittare dei periodi pi e le esigenze dei bambini di vacanza per conoscere a e dei ragazzi è sempre più fondo i tempi dei propri fidifficile per genitori e inse- gli e per iniziare uno stile gnanti alle prese con pro- di vita nuovo. fessioni sempre più frene- Purtroppo questo semplice tiche e programmi sempre ma esplicativo libro intitodice: - A tavola!... anch’io dico: - Tra un minuto! E quando il papà: - Forza, usciamo! ... io rispondo: - Arrivo tra un minuto. Oppure quando mi sto divertendo, e i miei amici vogliono giocare a qualcos’altro, io dico: - Aspettate un minuto. Qualche volta andiamo con tutta la classe allo zoo, e quando la maestra dice: - Bene, adesso andiamo. ... io chiedo: - Possiamo stare ancora un minuto? E quando è ora di andare a letto, io dico sempre: - Tra un minuto. In certe occasioni, però, quando ci troviamo tutti insieme, nessuno dice: - Aspetta un minuto!


lato Aspetta un minuto di Anita Harper è fuori catalogo, ma si può reperire nelle migliori biblioteche per ragazzi. Si nota benissimo come spesso i bambini imparino certi comportamenti proprio dagli adulti che stanno loro vicino. Quando i bambini non riescono a formulare con le parole i propri bisogni, come il topolino del libro, cercano di dimostrarli con i fatti; ricopiando i comportamenti degli adulti, i bambini fanno vedere che, se gli altri non ci dedicano il giusto tempo, ci si sente molto male. A volte basterebbero davvero anche pochi minuti per gratificare un bambino che per esempio ha realizzato una bella costruzione con i mattoncini e vuole un po’ di attenzione per farci vedere quanto sia stato bravo. Ancora più degli adulti, i bambini hanno bisogno di raccontare ciò che capita loro, di essere ascoltati e di far vedere cosa sono capaci di fare; quando non vengono accolte queste loro necessità, i bambini possono esprimere le loro delusioni con comportamenti aggressivi e violenti. Alcuni genitori credono di non trascorrere sufficiente tempo con i propri figli e convivono con un forte senso di colpa. Talvolta cercano modi compensato-

ri per placare il loro senso di inadeguatezza, ma tali modi si rivelano inefficaci: non serve a molto esaudire tutti i desideri e le richieste dei figli, o viceversa irrigidirsi e nascondersi dietro la necessità di dare regole. In realtà si tratta anche di imparare alcune strategie rispetto alla qualità e alla quantità del tempo. Per un bambino può essere più gratificante avere mezz’ora di attenzione tutte le sere dopo cena per raccontare a mamma o papà le disavventure e le gioie della giornata, piuttosto che avere due ore ogni pomeriggio con i genitori mentre loro continuano a rispondere al cellulare o a pensare alle grane del lavoro. Ma anche nei brevi momenti insieme, come a colazione, durante il tragitto verso scuola o ver-

so la palestra, si possono accogliere le richieste dei bimbi e dare loro qualche minutino. È importante ascoltare i racconti dei bambini anche per farsi un’idea sul loro modo di sentire il tempo. Per farlo c’è bisogno di uno spazio in cui gli adulti smettano le vesti di educatori o controllori e si dedichino esclusivamente all’ascolto con interesse. Si tratta di un tempo commisurato al metro dei bambini che, se cercano l’attenzione in modo irritante o maleducato, lo fanno soprattutto per essere considerati e riconosciuti. Più hanno attenzioni superficiali, più aumenta la loro rabbia; più si considera il tempo degli adulti uguale a quello dei bambini, maggiori saranno le incomprensioni.

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© ilaria nasini

In Tic Tac. Un minuto dura un biscotto si mette in evidenza, con ironia e leggerezza, cosa possano significare un minuto o un’ora per un bambino. Un libro divertente sul tempo per scoprire cosa si può fare in un secondo, in un minuto, in un giorno: basta un minuto per piantare un seme ma poi bisogna aspettare un secolo per sedersi all’ombra di un grande albero. Immersi nella quotidianità, si tende a dimenticare la relatività del tempo e la difficoltà dei bambini nel capire lo strano mondo di ore, giorni, mesi che ci siamo costruiti.

Per spiegare i concetti di tempo ai bambini, possono essere utili clessidre e orologi, calendari e linee del tempo ma sono assai più efficaci gli azzeccatissimi esempi che troviamo nel libro; a volte sono un po’ irriverenti ma sempre hanno una gran presa con i bambini, come per esempio In un secondo... posso fare una puzzetta! Proprio la freschezza degli esempi e dei disegni ci aiuta a entrare nel modo di intendere il tempo dei bambini. Un tempo fatto di cose pratiche, di persone che si incontrano, di situazioni della vita di tutti i giorni;

un tempo spesso molto distante da quello forsennato degli adulti. In generale lo scorrere del tempo è percepito attraverso fenomeni di vario tipo riconducibili a esperienze di permanenza e cambiamento; trasformazioni, movimenti, crescite contribuiscono alla costruzione del concetto del fluire del tempo. Il tempo si connota in passato come memoria, presente come coscienza dell’adesso e futuro come anticipazione. Il piccolo libricino, con terminologia adatte ai bambini, spiega questi difficili concetti raccontando di un seme che è


stato piantato in un minuto, che sta diventando una piantina in un anno e che diventerà un albero grandissimo in un secolo. Anche qui il protagonista si chiede Perché i grandi vanno sempre di corsa? e aggiunge: Secondo me il tempo è difficile da capire. I grandi hanno tutti l’orologio, noi piccoli no! I grandi guardano il calendario, vanno di corsa e dicono sempre che il tempo è poco e bisogna sbrigarsi! Un giorno la zia Michi si è tanto arrabbiata perché le ho detto

di aspettare un minuto e mi ha risposto che li conosce i miei attimi. Le riflessioni sul tempo si possono iniziare con i bambini anche molto piccoli. Con loro si può ad esempio indagare prima di tutto nel tempo presente, poi soffermarsi sulle sequenze e sulle trasformazioni e infine rappresentarle in forma verbale o grafica ponendo l’attenzione sul senso che ciascuna di esse ha per il singolo. Infatti grandi e piccini sono concordi nell’affermare che

quando ci si diverte sembra che sia passato un attimo mentre quando ci si annoia il tempo sembra non passare mai! Con i bambini si può recuperare il passato come memoria cercando di ricostruire in modo sempre più preciso sequenze di avvenimenti passati. Però con i bambini, in particolare quelli adottati, in famiglia e in classe, si deve fare molta attenzione nell’esplorare il passato; spesso si possono far riemergere dolori e sofferenze e l’adulto, genitore o insegnante, deve essere

sicuro di saper gestire la situazione che si può creare. Attenzione a non andare troppo lontano e ritrovarsi poi in mondi inaspettati e difficili. Poiché l’esplorazione del passato può prendere spunto sia dalla memoria individuale che da quella di gruppo, si può iniziare con indagini sulla memoria a breve termine di situazioni concrete e conosciute.

Il tempo può essere raccontato in molti modi. Quello scelto da Angela Nanetti è il modo della metamorfosi e del cambiamento. Un modo affascinante di parlare del tempo, del prima, del dopo, del poi; di ieri, di oggi e di domani; delle stagioni, dell’adesso, del sotto e del sopra, del quando, del dentro e del fuori. Ma anche del mentre e dell’avanti e dell’indietro. Parlare del girotondo del tempo e del girotondo della natura. Farlo attraverso i paesaggi che cambiano e attraverso la gemma sul ramo che diventa fiore e poi frutto. Tanti piccoli eventi, che sono poi la storia dell’esserci.

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cede di incontrare educatori e maestri che fanno fatica a capire e riconoscere le difficoltà dei genitori in determinate situazioni. In una programmazione accurata e pensata, gli educatori collaborano con le famiglie e raccolgono le informazioni senza modalità indagatorie e nel rispetto delle diverse storie di vita. È necessario quindi avvertire le famiglie di ciò che viene programmato e ideare attività che non escludano nessuno; le unità didattiche non posBibliografia sono essere sempre uguali negli anni ma devono esseAspetta un minuto! A. Harper, Elle Edizioni, 1994 re flessibili e adattabili alle situazioni che cambiano, Tic Tac. V. Muzzi, Sinnos, 2011 sempre in un ottica di vaPrima c’era un fiore. A. Nanetti, Motta junior, 2011 lorizzazione delle diversità Buongiorno oggi. S. Fatus, Prìncipi&Principi, 2011 come occasioni di ricchezza Dove abita il tempo.V. Skutina, Arka, 1996 e non rinunce. Addirittura alcuni genitori hanno menTicche Tocche. Il mago del tempo. E. Battut, Bohem, 2009 tito sul peso alla nascita o La corsa della lumaca. M. Monari, Zoolibri, 2011 sull’età dei primi passi, per I venditempo. G. Levi, Orecchio Acerbo, 2004 non deludere il figlio e sotStorie per tutte le stagioni. M. Vidale, Einaudi, 2002 toporlo ad un’enorme fruAncora niente. C. Voltz, Arka, 2002 strazione di fronte a maestra e compagni. L’isola del tempo perso. S. Gandolfi, Salani, 2010 Spesso racconto a genitori e Quando mi troverai. R. Stead, Feltrinelli Kids, 2010 insegnanti come i bambini e i ragazzi possano sviluppare la loro curiosità e la bini, ma può creare dolore e zio della propria storia o il loro creatività e aumentare sofferenza se non viene af- nome della propria mam- le loro conoscenze e compefrontato con grande atten- ma biologica o se non ha tenze solo se a scuola c’è un nessun oggetto di quando clima positivo e rassicuranzione. Quando partecipo a incon- era neonato. Se ci sono dei te, solo se si costruiscono tri con genitori adottivi vuoti nella storia del figlio relazioni significative. sento molto forte la loro adottivo è doloroso doverli Poi nel concreto, nello scordifficoltà e il loro disagio affrontare per imposizione. rere delle giornate, genirispetto a questi progetti D’altra parte spesso mi suc- tori e insegnanti si trovaGeneralmente in seconda elementare si iniziano a spiegare ai bambini i concetti storici a partire dalla storia personale. I piccoli alunni imparano a collocare i fatti e le esperienze vissute nel tempo e a riconoscere il significato di contemporaneità e successione, di fonte storica e datazione. L’affrontare queste tematiche può essere di grande utilità per i bambini adottati e in generale per i tutti i bam-

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di ricostruzione in classe della storia personale. Sia per i genitori che per i figli è molto difficile il compito di ricostruzione della storia personale se, per esempio, non la si conosce affatto. Nel trattare la storia personale è indispensabile affrontare tempi e argomenti che con certezza e senza disagio tutti i bambini possano raccontare. Nessuno deve essere messo in difficoltà se non conosce l’ini-


no davanti a bambini che hanno vissuto i tempi della loro vita nei modi più disparati. Quando evidenzio le difficoltà di astrazione, sottolineo parallelamente la necessità di sperimentare concretamente quando si tratta di studiare la storia. Partire dalla storia personale è corretto, ma lo si può tranquillamente fare chiedendo per esempio di portare un fatto successo la settimana precedente e confrontarlo con quella in corso. Si può anche iniziare dalla storia della classe, e ogni bambino ha una sua storia dentro la classe, che diventa punto di riferimento per affrontare i concetti temporali di prima-adessodopo. Molto utile e divertente è la costruzione di un piccolo libretto nel quale i bambini possano disegnare, piuttosto che incollare foto, magari impossibili da rintracciare. Si può aiutare i bambini a imparare una precisa metodologia di ricerca storica raccogliendo nel corso dell’anno momenti importanti della classe e poi ricostruire il materiale accumulato insieme, all’interno e con il supporto di tutta la classe. Il tempo è denaro. Quante volte l’aveva sentito ripetere! Una volta in pasticceria aveva provato a chiedere: Con un’ora di tempo quante

caramelle posso comprare? L’idea gli venne alle medie. Vendono di tutto, perché non vendere il tempo? Fu un successo strepitoso! Il buffo coniglio, che da bambino non aveva capito cosa significasse il tempo è denaro, una volta cresciuto, decide di vendere il tempo. Cattura il tempo perso nelle code degli uffici postali, negli ingorghi del traffico, nelle sale d’aspetto degli ospedali e lo rivende a tutti. Gli affari vanno talmente bene, che alla fine non ha più tempo per se stesso. E allora decide di chiudere il negozio, per tornare a leggere, scrivere e sognare. Nello spiritoso libro intitolato Venditempo vi è un uso intelligente delle parole, un susseguirsi di mille trovate, un prezioso adattamento delle illustrazioni colorate e originali. Quando i bambini sono sottoposti a ritmi inadatti, possono, come il protagonista, diventare cupi e stressati per l’affanno da mancanza di tempo per se stessi. Il tempo per oziare è necessario per liberare la creatività, per scoprire che il tempo è prezioso, anche quello perso a guardare un tramonto, benché sembri non valere niente. Ancora un racconto che aiuta i bambini a pensare. L’attività per il protagonista è redditizia, ma stressante:

ogni tanto il tempo è meglio perderlo che trovarlo! E allora approfittiamo, per esempio delle vacanze natalizie, per passare più tempo in quelle attività che non hanno uno scopo pratico e cerchiamo di dedicare più tempo ai nostri bambini, rallentando i ritmi e rispettando i loro tempi. Cogliamo anche l’occasione per fare una semplice riflessione sul futuro, parlando con i bambini di progetti e aspettative a breve termine nel corso della settimana, a medio termine nel corso di un mese o a lungo termine nel corso dell’intero anno. Il concetto di futuro inteso come anticipazione e aspettativa può essere anche affrontato, in famiglia o in classe, per esempio attraverso la realizzazione di un calendario dell’avvento. Ai bambini piace vedere la successione dei giorni, aspettare la mattina del giorno dopo per aprire la finestrella e alla fine riguardare il calendario con tutte le finestrelle aperte ricordando la gioia della loro apertura e la scoperta della sorpresa che avevano celato.

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Edizioni ETS

leggendo

codice a barre

Cesarina Colombini Nessuno è perfetto

rsi Quando l’amore non basta… rso che ha come filo conduttore cenza e che si interroga sul significato ggere e sulle domande sociali che gravano di confusività e ambivalenza, minori e al contempo mportamenti degli adulti. dei protagonisti, cosa muove ad agire ffrendo informazioni e spunti o-privato, istituzioni-famiglia, trasformazioni familiari, enni e delle garanzie dei diritti tà ed emozioni, parla di disagio, nche di adolescenti e di comportamenti l lettore di incontrare organi iglie e ragazzi con le loro storie, ppi di parola, ai gruppi familiari stro tempo: ricreare un rapporto dell’adolescenza in grado ccia alla vita non siano solo dichiarati, é «non esistono genitori perfetti, mi genitori».

Nessuno è perfetto

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Genitori si diventa | 9

collana diretta da Anna Guerrieri e Simone Berti associazione Genitori si diventa onlus La collana intende porre al centro dell’attenzione i minori, specialmente se in stato di disagio e di abbandono. I bambini e le bambine sono portatori di diritti: diritto a vedere riconosciuta la propria identità, diritto alla famiglia, a essere protetti, curati, educati e allevati in un ambiente ricco di relazioni e di affetti.

Edizioni ETS

22-11-2011 17:05:52

Nessuno è perfetto

Essere genitori, essere figli tra amore e responsabilità 34

Questo libro avrebbe anche potuto intitolarsi Quando l’amore non basta... così scrive l’autrice per presentare un percorso che ha come filo conduttore il tema dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza e che si interroga sul significato di benessere e malessere, di educare e proteggere e sulle domande sociali che gravano sulla giustizia minorile, spesso con carattere di confusività e ambivalenza, tra richiesta di una maggiore protezione dei minori e al contempo di una minore ingerenza e controllo sui comportamenti degli adulti. Il libro racconta, anche attraverso le storie dei protagonisti, cosa muove ad agire servizi sociali e Tribunali per i minorenni, offrendo informazioni e spunti di riflessione sul delicato rapporto pubblico-privato, istituzioni-famiglia, in un viaggio

che conduce nel mondo delle trasformazioni familiari, delle competenze del Tribunale per i minorenni e delle garanzie dei diritti dei minori; un viaggio che, tra professionalità ed emozioni, parla di disagio, di separazione, di affido, di adozione, ma anche di adolescenti e di comportamenti a rischio. Tanti sentieri che consentiranno al lettore di incontrare organi della giustizia minorile e servizi sociali, famiglie e ragazzi con le loro storie, ma anche nuove forme di sostegno, dai gruppi di parola, ai gruppi familiari di auto aiuto. Perché è questa la sfida del nostro tempo: ricreare un rapporto tra mondo adulto e mondo dell’infanzia e dell’adolescenza in grado di assicurare che i bisogni-diritti di chi affaccia alla vita non siano solo dichiarati, ma anche concretamente rea-

lizzati... perché «non esistono genitori perfetti, ma esistono milioni di modi per essere ottimi genitori». Cesarina Colombini ha lavorato per anni in un consultorio familiare dell’hinterland milanese, maturando una esperienza specifica nella presa in carico di famiglie multiproblematiche e minori in difficoltà. Ha collaborato con diverse scuole secondarie di primo e secondo grado nell’ambito di progetti per la promozione di una cultura della legalità. Attualmente si occupa di programmi e interventi per i giovani ed è giudice onorario presso il Tribunale per i minorenni di Milano.


Š sabina betti

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animando Claudio Tedaldi Atelier del Cartone animato www.animato.it

I cartoni dei bambini di Kolda La pedagogia del cinema d’animazione esplora l’Africa.. 36

Ndiobo Mballo è un peul senegalese molto attento alle tradizioni e alle mille sfaccettature della cultura dell’Africa nordoccidentale. Un giorno la tradizione bussò alla porta di casa sua e gli disse che era ora di mutilare gli organi genitali di sua figlia. Lui disse «Va bene, a condizione che me ne spieghiate il motivo: ogni tradizione ne ha. Se mi convincerete delle ragioni di questa usanza non mi opporrò». La risposta fu perentoria e arrogante, ma per nulla convincente.

Mballo realizzò che l’unico modo per evitare l’escissione (l’avrebbero rapita, se necessario al loro scopo) era fuggire lontano. Fuggì lontano, in altri paesi africani e in Europa, lavorando, in particolare, per la Faoe il Cesao. Si specializzò nella supervisione e nella formazione degli “attori” dei programmi di cooperazione, che fossero gente dei villaggi, funzionari statali o cooperanti. Io lo conobbi in Mali, quando intervenne per contribuire a risolvere alcune situazioni

complicate nel programma di cooperazione en milieu rural promosso dal nostro ministero degli Esteri al quale io partecipavo come “esperto in comunicazione”. Fece uno splendido lavoro. Mballo conosce le lingue locali e le tradizioni, sa cogliere sfumature per noi misteriose nelle parole, nei segni e negli sguardi, sa conquistare la gente dei villaggi, ma anche i funzionari, i rappresentanti delle istituzioni locali e di quelle straniere, ministeri e ong. Con umiltà, semplicità e apparente leggerezza, ci mise a disposizione strumenti di analisi che permettevano di capire meglio, insieme, i problemi e trovare soluzioni. Prima di ripartire mi confidò che stava chiudendo questa fase “vagabonda” della sua vita per ritornare presto a Kolda, nel sud del Senegal:


l’esperienza accumulata in quegli anni con la cooperazione gli avrebbe finalmente consentito di fare buone cose per la sua comunità. Le nostre strade si separarono per molto tempo, finché, qualche anno fa, ne cercai le tracce su Google e fui sorpreso di trovarle in un comune veneto, Ponte San Nicolò, che lo aveva “scoperto” e gli finanziava alcuni progetti. Alla prima occasione, un suo viaggio in Italia, ci rincontrammo. Io gli raccontai di me e delle mie attività e lui delle sue. Al suo ritorno aveva scoperto che, a causa del suo atto di ribellione, tutta la sua famiglia (una quantità notevole di gente) era caduta in disgrazia. Lui stesso, ovviamente, era decisamente malvisto. Questo non gli aveva impedito di fondare l’ong 7a/Maa-Rewee e di iniziare a progettare pro-

grammi di sviluppo per la sua regione. Nel frattempo in tutto il Senegal stava crescendo dal basso un movimento che portò a bandire l’escissione in tutto il territorio nazionale. I progetti dell’ong risultarono talmente concreti da portare in pochi anni evidenti benefici a tutta la regione di Kolda e Mballo diventò gradualmente sempre più popolare. Ora diceva di aver bisogno di me: era interessato a Internet e a realizzare dei video per mostrare le attività e trovare più agevolmente finanziatori. Potergli essere utile mi faceva davvero piacere. In più, siccome tra le sue priorità c’era la formazione, cominciai a chiedermi se poteva avere qualche senso realizzare in un villaggio del profondo sud senegalese uno dei miei classici in-

contri sul cinema d’animazione, già collaudatissimi in scuole e centri spesso all’avanguardia, con bambini e ragazzi europei. Uno degli obiettivi principali, con i nostri piccoli abituati a troppe ore di televisione, è fornire chiavi di lettura e conoscenze tecniche per elaborare creativamente e affrontare con maggiore consapevolezza e occhio critico il mezzo televisivo perché non sia subito passivamente. Le loro realizzazioni, per quanto originali, risentono in qualche misura dei modelli televisivi di cui fanno incetta quotidiana. Ma rivolgersi a un pubblico di ragazzi che in casa la tv non ce l’ha e che, in alcuni casi, un cartone animato non l’ha proprio mai visto… mi incuriosiva molto vedere cosa sarebbe uscito da quel laboratorio: a quali modelli grafici si

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sarebbero ispirati, se il loro livello di “contaminazione” era prossimo allo zero? In due anni di esperienza africana non avevo mai realizzato un’esperienza di questo tipo e ora mi sembrava un’opportunità da non perdere. Anche Mballo la trovò molto interessante, così inserì nel fitto calendario organizzato per il mio viaggio in Senegal un incontro con una scuola primaria in un piccolo villaggio nella regione di Kolda. La scuola Sinthiang Coulibaly somiglia alle nostre vecchie scuole di paese, dove si accorpavano diverse classi e un paio di insegnanti seguivano

un gruppone composto da bambini di età molto diverse. La struttura è essenziale, somiglia a una piccola caserma Niente manifesti o addobbi, solo i banchi e una lavagna. Sono accompagnato da mio figlio Enrico, dieci anni, che comincia a trovare divertente la sua esperienza africana. Mi assiste come ha già fatto molte altre volte. La sua presenza aiuta a rendere meno pomposo l’intervento dell’esperto venuto da fuori. Succede in Italia, ma funziona anche qui. Riprende con la telecamera, distribuisce il materiale, controlla che non ci siano inconvenienti… Nonostan-

te la difficoltà della lingua riesce a socializzare facilmente, in qualche modo. Non tutti i bambini capiscono bene il francese, che però è necessario per legare le diverse etnie (peul, wolof, bambara…), ognuna con il proprio idioma. I due insegnanti mi aiutano a spiegare traducendo alcune frasi. L’idea è di realizzare un flipbook con il classico blocchetto notes sul quale si disegnano le animazioni che si possono vedere sfogliandolo velocemente. Come previsto, spiegare l’immagine in movimento non è facile, in assenza di esempi. D’altra parte la scuola non è dota-


ta di elettricità e io non ho con me un pc portatile, che comunque avrebbe potuto solo distrarre dai nostri obiettivi. Mi ingegno quindi a cercare un feeling, a trovare esempi e modi di spiegare efficacemente. Arriva il momento cruciale in cui distribuiamo il materiale, dato che la maggioranza dei ragazzini non dispone nemmeno di una matita. I temi sono due: “la vita nel villaggio” “la vita in città”, ma come scoprirò presto nessuno ha osato affrontare la metropoli, forse pensata come troppo impegnativa e sicuramente poco o per nulla conosciuta dai più. C’è qualche

momento di esitazione. I bambini si consultano, qualcuno riesce a spingersi a fare domande. Poi avviene la magia: qualcuno comincia a disegnare, seguito rapidamente da altri. Invito i più titubanti a sbirciare chi ha già iniziato e in pochi minuti tutti sono al lavoro, nessuno escluso. Anche gli insegnanti sono sbalorditi. Non è l’effetto tubab (l’uomo bianco), ma un impegno che li incuriosisce. Non si sentono all’altezza del compito, ma io passo da un banco all’altro a rassicurarli: «Bravo, ottima idea, continua così!» e il clima diventa sempre meno teso. Una

percentuale molto più alta del previsto capisce come funziona il movimento nel flipbook e inizia a divertirsi, lo mostra ai compagni. Ci sono sempre più scoppi di ilarità e di autentico divertimento dato dalla scoperta di questo nuovo gioco. I disegni sono freschi e originali. Lo stile differisce molto da quello dei loro coetanei europei. Richiama alla mente le statue e le maschere africane. Sono entusiasta e credo che tutti se ne accorgano perché ogni cosa diventa sempre più facile: la lingua non è più un ostacolo, tutti lavorano con impegno e ogni tanto si confrontano, ma


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ognuno fa una cosa diversa e originale: la donna che trasporta l’acqua con la calebasse sulla testa, i calciatori, le capanne, lo stregone, la danzatrice, la zanzara, la donna che pila il miglio, gli animali, gli utensili dei contadini... Alla fine siamo tutti molto contenti. Facciamo una foto di gruppo e prometto che farò il possibile perché possano vedere il film montato con i loro disegni e le loro animazioni. Faremo anche di più, perché l’anno seguente riusciremo a organizzare più incontri portando gli allievi a Kolda nella sede di 7a/Maa-Rewee per collegarci via Skype con un gruppo di ragazzi di Forlì, realizzando un progetto di animazione a distanza. L’animazione Jarama! (un saluto in lingua peul) e il suo making off sono online sul sito www.animato.it.

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suonando Valeria Pacifico insegnante di musica

Verso un cambiamento 42

Nel corso di quest’anno, mi è capitato di scrivere più volte del Sistema nacional de orquestas juveniles e infantiles di José Antonio Abreu, il metodo educativo che, attraverso la pratica orchestrale, “salva” molti giovani dalle difficoltà sociali e da un destino di povertà ed emarginazione. Quest’anno il Sistema tocca da vicino il nostro paese perché, oltre a ospitare nelle sale da concerto più prestigiose l’orchestra Simon Bolivar (fondata a Caracas nel 1975, è la compagine più antica e rinomata del Sistema), il teatro la Fenice di Venezia ha nominato Diego Matheuz direttore principale per i prossimi quattro anni. Questo giovane violinista e direttore d’orchestra si è formato proprio in una delle numerose orchestre venezuelane ed è stato scoperto dal maestro

Abbado. Matheuz è stato poi l’assistente prediletto di Gustavo Dudamel, altra perla del Sistema e direttore dell’orchestra Bolivar. Diego Matheuz nasce ventisette anni fa a Barquisimeto come Dudamel; il suo talento non passa inosservato e appena esprime, all’età di vent’anni, il desiderio di approfondire lo studio della direzione d’orchestra, è subito assecondato e gli vengono impartite le prime lezioni. Lo stesso Abbado lo segue nella sua formazione, facendolo diventare assistente della sua orchestra Mozart. In Venezuela ci sono tante orchestre nate dal Sistema di Abreu (musicista e ministro della cultura venezuelano) e quindi molte opportunità di dirigere per un giovane direttore, cosa alquanto rara nel nostro paese; la pratica, in questo

tipo di studio, è indispensabile. Per essere notato un giovane talento deve potersi esprimere e quando il suo strumento è l’orchestra va da sé che più possibilità ha di condurla più ne ha di essere scoperto. Nella pratica orchestrale l’ascolto reciproco è la base da cui dipende la resa della musica e quindi del concerto. I musicisti imparano a tessere fili invisibili e indissolubili per comunicare tra di loro e con il direttore. La maggiore o minore interazione tra di loro comporta la maggiore o minore riuscita dell’esecuzione. Riflettendo, questo principio vale nella vita di tutti i giorni dove la qualità dell’esistenza è data dal livello di comunicazione tra le persone. Ancora una volta la musica e, in questo caso, la pratica musicale sono maestre di vita...


Il Sistema ha cambiato un paese come il Venezuela, non potrebbe funzionare anche nel nostro paese? In Italia il maestro Abbado sta tentando di attuare un percorso analogo di creazione di orchestre giovanili. L’impresa è ardua in un paese dove il governo non riconosce la cultura come pilastro della società e dove, nella maggior parte del territorio, l’educazione musicale si ferma a quattordici anni e la pratica strumentale è esigua se non inesistente. Attualmente il progetto educativo del Sistema grazie ad Abbado ha preso piede in alcuni paesi di © ilaria nasini

tutto il mondo. In Italia sono cinquemila i bambini coinvolti nella formazione musicale gratuita grazie al Sistema delle orchestre e dei cori giovanili e infantili, con sedici nuclei riconosciuti e operativi nel paese. Il progetto, che è stato sviluppato in collaborazione anche con l’Anci e Upi e ha ricevuto l’alto patronato del presidente della Repubblica e il patrocinio di Rai Segretariato sociale, punta ora a ottenere, nel giro di 12-18 mesi, il riconoscimento di altri dieci nuclei per coinvolgere ottomila bambini in tutta Italia, l’avvio di orchestre

e cori regionali, la realizzazione del primo concerto delle orchestre giovanili italiane al Quirinale alla presenza del presidente della Repubblica. Questa è una notizia che ci fa sperare per una migliore educazione dei nostri figli o forse dei nostri nipoti. Intanto godiamoci il concerto, e il messaggio di cui è portatore, del giovane maestro Matheuz che dirigerà l’Orchestra del Teatro La Fenice nel prestigioso concerto di Capodanno (diretta su Raiuno ore 11:15). A voi lettori, da parte mia, un augurio di un 2012 ricco di arte e musica!

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trentagiorni

L’Unicef: pedopornografia in 17 mila siti Milano - Sono almeno 16.700 i siti web che contengono decine di migliaia di immagini pedopornografiche. Immagini che mostrano bambini alla stregua di oggetti, costretti in pose o pratiche sessuali a tratti anche violente. L’età delle vittime, da quando il fenomeno viene monitorato, si è abbassata sempre di più e in oltre il 70% dei casi si parla di ragazzini che hanno meno di dieci anni. I numeri emergono dal rapporto «Child safety online: global challenges and strategies» del Centro ricerca «Innocenti» dell’Unicef sulle minacce per i minori che arrivano dalla rete. Su 196 paesi del mondo presi in considerazione – stando a quanto emerge dallo studio condotto in collaborazione con il Child exploitation and online protection centre (Ceop) britannico – solamente 45 hanno una legislazione che può essere considerata sufficiente per combattere i reati di abusi derivanti dallo sfruttamento e dal traffico delle immagini che vedono coinvolti i bambini. L’Unicef lancia l’allarme, ma al tempo stesso riconosce le forti potenzialità rappresentate dalla rete per lo sviluppo e la diffusione delle informazioni e delle conoscenze. Ma proprio

la sempre più massiccia diffusione di nuove tecnologie e possibilità di connessione mette fortemente a rischio i minori, che spesso si trovano soli e indifesi al cospetto dei pericoli che si nascondono dietro a un computer collegato al resto del mondo. Le nuove generazioni sono sempre più avvezze all’uso della tecnologia e degli strumenti informatici, diversamente dai loro genitori che spesso, soprattutto nei paesi poveri o in via di sviluppo, non hanno familiarità con computer e telefonini e non sono in grado di comprendere con precisione il funzionamento del web e i rischi che vi si possono annidare. E per questo non possono essere d’aiuto nella protezione dei figli dalle minacce che corrono nel web. Un problema di digital divide, dunque, che viene sfruttato senza remore dagli «orchi» che popolano la rete, i quali hanno ben presente quanto sia sempre più diffusa la presenza di minori soli dietro a un pc. Fonte: www.corriere.it Governo. A Riccardi le deleghe sociali E sono arrivate anche le deleghe, a completare il governo di Mario Monti. Ieri il Consiglio dei ministri ha nominato il sottosegretario

allo Sviluppo economico Mario Ciaccia – ad di Banca infrastrutture innovazione e sviluppo (braccio operativo di Intesa Sanpaolo per il finanziamento delle grandi opere) – viceministro con delega alle Infrastrutture e trasporti. Ruolo rilevante, che lo affianca quasi alla pari al «collega» (persino, in precedenza, in Banca Intesa) Corrado Passera, ministro all’Economia e suo referente. Altre deleghe sono poi state conferite al ministro dell’Istruzione Francesco Profumo (Innovazione tecnologica) e al ministro del Lavoro Elsa Fornero (Pari opportunità). Sono state poi approvate le deleghe ai ministri senza portafoglio Enzo Moavero Milanesi, Pietro Gnudi, Fabrizio Barca, Pietro Giarda, Filippo Patroni Griffi e Andrea Riccardi. Quest’ultimo gestirà le questioni legate a Famiglia, Adozioni, Servizio civile, Ufficio antidiscriminazione, Tossicodipendenza. Tra le prime reazioni quella della Conferenza nazionale enti per il servizio civile (Cnesc) che, per voce del presidente Primo Di Blasio, si è detta «lieta che la delega del Servizio civile nazionale sia stata affidata al ministro Riccardi. Facciamo gli auguri al ministro perché possa


fin da ora ridisegnare un orizzonte di speranza e di certezza per il futuro di questo prezioso istituto della Repubblica italiana, molto apprezzato da giovani ed esperienza di riferimento in ambito europeo. Invitiamo il ministro Riccardi, già domani, a partecipare alla presentazione del XIII Rapporto Cnesc e ci rendiamo disponibili, da subito, ad avviare un dialogo costruttivo per ricercare soluzioni in grado di garantire la continuità all’esperienza». Fonte: www.vita.it Non lasciate morire l’adozione internazionale I segnali c’erano da molto tempo, ma il rapporto del Coordinamento enti autorizzati (Cea) conferma quanto da tempo dicono i numeri dei tribunali per i minori: l’adozione in Italia è in gravissima crisi. Le richieste di adozione calano di anno in anno, i paesi di provenienza dei bambini chiudono le porte, e la burocrazia italiana, così come l’assoluta mancanza di una “politica estera” in questo settore, contribuiscono a peggiorare le cose. Ma il vero nodo oggi non sono più i tempi di attesa italiani per il decreto di idoneità: pur con tempi

assurdi (dai 12 ai 24 mesi) quel decreto nel 98% dei casi arriva. No, tutto si blocca dopo il conferimento di un mandato all’ente: qui inizia un’attesa drammatica, a volte surreale: tre, quattro, cinque anni, ma addirittura di più, prima di poter incontrare quel bimbo a cui si vogliono dare affetto, amore, benessere. Bambino che nel frattempo avrà perso anni preziosi in un istituto russo o cambogiano. Non è chiaro perché con un aumento esponenziale della povertà dell’infanzia nel mondo, paesi come la Cambogia, il Vietnam, il Nepal, l’Africa o il Sudamerica chiudano le porte all’adozione internazionale, o facciano uscire i bambini con il contagocce. Perché il non arrivo dei bimbi nei paesi occidentali non vuol dire per loro un futuro migliore in patria, o magari un’adozione nazionale, come ad esempio avviene (soltanto e in parte) in Brasile o in India. Tutt’altro: questi bimbi resteranno negli istituti quando va bene, assai peggio quando va male (basti pensare che maschi e femmine in Cambogia vengono venduti a 8, 10 anni ai trafficanti di essere umani e destinati ai bordelli della pedofilia mondiale). E allora? La verità è

che l’adozione internazionale per i paesi poveri è un modo per ricattare i paesi ricchi. Più è difficile adottare più si potranno chiedere soldi, denaro e aiuti. Giusti e sacrosanti questi ultimi, un po’ meno la catena di denaro che in molti casi lucra sul desiderio e sulla disperazione delle coppie. La crisi globale ha messo in crisi anche questo meccanismo già sbagliato di per sé: perché le coppie non ce la fanno più, smettono di lottare, e a quel figlio rinunciano, sempre più spesso. Ma alla loro rinuncia corrisponde un bambino che non avrà una famiglia, e dunque una tremenda perdita per tutti. Forse, con un nuovo grande impegno della Commissione adozioni internazionali (e magari una nuova presidenza) e un governo più sensibile ai temi della cooperazione, qualcosa potrebbe cambiare. Ma bisogna volerlo, e credere nel meccanismo virtuoso dell’adozione internazionale, che dà a bambini altrimenti destinati a vite senza futuro l’amore di due genitori, e a un uomo e una donna la gioia di un figlio. Fonte: de-luca.blogautore. repubblica.it


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