Adozione e dintorni aprile 2013

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Adozione e dintorni GSD informa - mensile - aprile 2013 - n. 4

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aprile 2013 | 004

GSD informa

di Simone Berti

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editoriale

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scuola e adozione

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La scuola che aiuta - 2 di Livia Botta

giorno dopo giorno

Portami al semaforo di Dario Lampa

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Giochiamo al Vietnam di Marta e Alberto

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Alla ricerca dei fratelli di Serena Bellavita

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leggendo

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sociale e legale

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trentagiorni

Leggere, fare e raccontare di Marina Zulian L’Adozione in Asia di Angelamaria Serpico

AVVISO AI LETTORI Vi informiamo che il dr. Carola si è reso disponibile a rispondere alle domande dei lettori legate alle tematiche da lui trattate. Chiunque lo volesse può indirizzare gli eventuali quesiti a: rubricapsi@genitorisidiventa. org. Alcune delle richieste pervenute e delle relative risposte saranno successivamente pubblicate in un’apposita rubrica che, nel caso di risposta favorevole dei nostri lettori a questa iniziativa, vedrà la luce nei prossimi mesi. I dati sensibili contenuti nelle richieste non compariranno in nessun modo nel caso in cui verranno pubblicate sul giornale. L’informativa sulla privacy è pubblicata sul sito dell’associazione.

Registrazione del Tribunale di Monza n. 1840 del 21/02/2006 Iscritto al ROC al n. 15956

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editore Associazione Genitori si diventa - onlus via Gadda, 4 Monza (MI) www.genitorisidiventa.org info@genitorisidiventa.org

impaginazione e grafica Maddalena Di Sopra, Venezia; Pea Maccioni, Lecce; Paolo Faccini, Milano

ricerca iconografica Simone Berti, Firenze; Eliana Gentile, Teramo; Anna Guerrieri, L’Aquila. correzione bozze Luigi Bulotta, Catanzaro;

progetto grafico e illustrazioni studio redazioni, Francesca Visintin, Venezia immagini Simone Berti, Firenze; Roberto Gianfelice, L’Aquila; Mario Lauricella, Firenze

abbonamenti e contatti email Luigi Bulotta redazione@genitorisidiventa.org copyright Tutto il materiale scritto dalla redazione è disponibile sotto la licenza Creative Common Attribuzione-Non commerciale-Condividi allo stesso modo 3.0. Significa che può essere riprodotto a patto di citare Adozione e Dintorni - GsdInforma, di non usarlo per fini commerciali e di condividerlo con la stessa licenza. Info: redazione@genitorisidiventa.org Antonio Fatigati, direttore responsabile


di Simone Berti

Pillole e scale

editoriale

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Qualche giorno fa alcuni quotidiani hanno pubblicato la notizia che la somministrazione di psicofarmaci ai minori è ritornata verso i livelli massimi degli anni ’90. Tra i 10 e i 18 anni sarebbero quasi 40.000 i bambini e ragazzi che li assumono e nel 15% dei casi senza prescrizione medica. La maggioranza continuerebbe a prenderli una volta prescritti senza un controllo sanitario. Sono numeri impressionanti che ci vede di gran lunga ai primi posti in Europa. Nello stesso periodo poche pagine oltre si trovava un’altra notizia, apparentemente di tono completamente diverso, che molti di noi conoscono bene. I test Invalsi cominciano a fare media già dai prossimi esami di III media. All’interno di centinaia di scuole italiane con lo scopo primario di razionalizzare la spesa pubblica, abbiamo introdotto uno strumento per misurare più che valutare i livelli di apprendimento degli studenti e di riflesso il livello e la produttività del corpo docente nazionale. Lo scopo primario è comparare ragazzi e docenti provenienti da contesti diversi nelle loro competenze attraverso criteri quantificabili numericamente. Farmaci e test. Pillole e scale. E’ innegabile che ci stiamo abituando sempre più a fare i conti con un’idea di esseri umani smussati, livellati nello spirito e nell’ingegno, impegnati a evitare ogni contatto con le proprie emozioni, con i propri dolori, con le proprie passioni preoccupati soltanto di conformarsi nel modo meno dispendioso agli ideali proposti. Se questo vale per ogni uomo vale ancor più per i ragazzi. L’alternativa è imboccare la strada più lunga e apparentemente forse più dispendiosa. Alberto Moravia ci ha raccontato una volta di due modi di tracciare una strada che collegasse due


punti e ha immaginato che non si fosse tenuti a scegliere l’una o l’altra, di essere senza vincoli, che stesse solo a noi la scelta. Nella prima vorremo rispettare i limiti dei poderi, contornare i cascinali, varcare il fiume nel punto più stretto, lasciare intatte cappelle, frantoi, mulini, pozzi, officine, campi sportivi, vorremo evitare le zone paludose e rocciose. Per questo dovremo andare ad abitare nella contrada, passarci del tempo, conoscere i suoi abitanti ad uno ad uno e come controindicazione potremmo iniziare ad amarla questa contrada e affezionarci ai suoi abitanti. Nella seconda tracceremo la strada su una carta topografica con due rette parallele che uniscano i punti a e zeta. Poi incaricheremo gli esperti, gli specialisti, contabili, ingegneri e tecnici di fare un progetto completo ponendo solo le condizioni base: tanto di costo, tanto di tempo, tanto di lunghezza, tanto di larghezza. La scelta dipende da noi da ciò che noi siamo in relazione agli uomini della nostra contrada. Così dipenderà da noi ciò che sapremo essere in rapporto ai bambini e ai ragazzi che ci vivono intorno, se sapremo considerarli realmente dei bambini e dei ragazzi e non materia inanimata. Ieri una nuova notizia che riguarda ancora la scuola e ancora pillole, ma stavolta c’è qualcosa di diverso. In breve si parla di un tentato acquisto di filmati chiamati “pillole di sapere” da somministrare agli alunni della scuola italiana a caro prezzo e diventate, in seguito a un’inchiesta recente di una nota testata televisiva, pillole della vergogna. La notizia di ieri le annunciava trasformate in pillole di conoscenza e di legalità da un gruppo di ragazzi che con i loro professori si sono messi al lavoro e hanno deciso di costruire queste pillole per conto proprio. Con molti meno soldi sono stati acquistati computer e tutte le attrezzature necessarie per formare un centinaio di ragazzi al montaggio dei video e all’utilizzo di programmi di grafica e di scrittura creativa e con un gruppo di insegnanti hanno fatto squadra e imparato un mestiere, si sono divertiti a costruire le pillole che in questo caso sono video contro ogni tipo di mafia e in favore della legalità. Anche le pillole dunque possono servire a trasformare una storia ambigua di finanziamenti in una storia a lieto fine ma dobbiamo piuttosto dare degli strumenti in mano ai ragazzi e metterli in grado di fare esperienza di un momento di conoscenza reciproca e di lavoro insieme dove ci si diverta a idearle e costruirle, le pillole, e non ci si accontenti di farsele prescrivere e assumerle passivamente.

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psicologia scuola e adozione 6

di Livia Botta Psicoterapeuta e Formatrice Responsabile del Gruppo di Ricerca e Progettazione “Adozione e Scuola” www.liviabotta.it – www.adozionescuola.it

La Scuola che aiuta - 2

te, è che i minori adottati, soprattutto se arrivati in Italia in età scolare, fanno spesso fatica a scuola per la loro carente competenza linguistica. Perché se è vero che i bambini adottati hanno tempi inaspettatamente brevi nell’apprendere l’italiano, di che italiano si tratta, tuttavia? Della lingua della quotidianità, fatta di un vocabolario limitato, adatto per cavarsela nella vita di tutti i giorni, ma insufficiente per padroneggiare il linguaggio dell’apprendimento scolastico, carico di polisemie, sfumature, nessi, inferenze, riferimenti culturali. Il rafforzamento della padronanza dell’italiano è pertanto fondamentale, e va portato avanti non solo all’inizio, ma anLa competenza che nelle fasi più avanzate linguistica Un aspetto che si tende a del percorso scolastico, che sottovalutare, ma che è in- richiedono competenze linvece da tener ben presen- guistiche sempre più raffiNell’articolo precedente abbiamo analizzato una serie di prassi e atteggiamenti “di cornice”, indispensabili per una buona accoglienza e un buon accompagnamento scolastico degli alunni adottati. Prenderemo ora in considerazione alcuni interventi più specifici e “tecnici”, utili per affrontare problematiche e bisogni particolari che possono presentarsi, senza dimenticare che oggi la scuola sta attraversando una profonda crisi, che si manifesta in primo luogo con una scarsità di risorse che rende più faticoso il lavoro degli insegnanti e rischia di penalizzare gli alunni con particolari bisogni o fragilità.

nate. Nella fase iniziale, per i bambini che arrivano già in età scolare, può essere utile l’intervento di un mediatore linguistico-interculturale: una figura della stessa lingua e cultura d’origine del bambino, che interviene per un numero limitato di ore, su richiesta della scuola, per offrirgli un primo supporto linguistico e per introdurlo a comportamenti e modi di apprendere che possono essere anche molto diversi da quelli del suo paese di provenienza. Insegnanti forniti di una preparazione specifica per l’insegnamento dell’italiano come seconda lingua (Italiano L2) potranno invece seguirlo con interventi più distesi nel tempo, sia individualmente che in piccolo gruppo, per aiutarlo a sviluppare ulteriormente le sue competenze lingui-


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stiche, in raccordo con i programmi scolastici: sempre che la scuola disponga delle risorse necessarie per attivare questi percorsi, che non rientrano nella didattica standard.

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I bisogni educativi speciali (BES) Una recente normativa scolastica, volta a potenziare la cultura dell’inclusione, presenta elementi d’interesse per l’accompagnamento scolastico dei bambini e dei ragazzi adottati. La Direttiva Ministeriale “Strumenti d’intervento per alunni con bisogni educativi speciali” del dicembre 2012 prende atto, infatti, della complessità e del contesto variegato delle nostre classi scolastiche, all’interno delle quali non è raro incontrare alunni che possono manifestare, con continuità o solo in certi periodi, disturbi evolutivi specifici, difficoltà cognitive lievi, situazioni di svantaggio culturale, sociale o linguistico non ascrivibili a disabilità certificabili. A questi alunni la scuola s’impegna a offrire una progettazione didattico-educativa mirata e personalizzata sulle loro effettive possibilità, da documentare mediante un Piano Didattico Personalizzato (PDP) che servirà

agli insegnanti come strumento di lavoro in itinere e renderà chiare alle famiglie le strategie d’intervento programmate. Si tratta di un’innovazione che potrà risultare utile per i bambini e i ragazzi adottati che presentano fragilità non riconducibili a una situazione di disabilità: essi potranno trarre vantaggio da una progettazione didattica “su misura” e flessibile, attuata solo per il tempo necessario e con obiettivi da raggiungere concordati, che in molti casi potrà avere anche una funzione tranquillizzante, con una buona ricaduta sul comportamento del bambino. I disturbi specifici di apprendimento (DSA) Anche in presenza di disturbi specifici di apprendimento (che vedono compromesse le abilità che rendono automatici i processi legati alla lettura, alla scrittura e al calcolo in soggetti con intelligenza nella norma, e che sappiamo essere presenti negli alunni adottati in percentuale leggermente superiore rispetto alla restante popolazione scolastica) la scuola è tenuta a elaborare un Piano Didattico Personalizzato (PDP) e ad attivare tutte le strategie che permettano al bambino di

rendere al meglio, tenendo conto delle sue difficoltà, potenzialità e caratteristiche. La normativa di riferimento (la Legge 170/2010 e le successive Linee Guida) prevede che, a partire da una diagnosi specialistica che accerti la presenza e l’entità del disturbo, venga stilato un Piano Personalizzato che disponga gli strumenti dispensativi e compensativi (ad esempio la possibilità di utilizzare in classe la calcolatrice e il computer, il sussidio di tabelle e mappe concettuali, l’assegnazione di prove di verifica più brevi, le interrogazioni programmate...) che mettano gli alunni con DSA nelle stesse condizioni di apprendere dei loro compagni. Nel caso di bambini adottati in età scolare, è importante ricordare che una diagnosi specialistica di DSA può essere effettuata solo dopo che siano state sufficientemente acquisite le competenze di lettura e scrittura nella nostra lingua, dunque non prima di un paio d’anni dall’arrivo. Il sostegno I Piani Didattici Personalizzati di cui ai punti precedenti non prevedono l’assegnazione alle classi di risorse aggiuntive. Devono essere gli insegnanti


di classe a farsi letteralmente “in quattro” per metterli in pratica, calibrando e differenziando la didattica quotidiana in base ai bisogni dei singoli alunni. E a volte questa può rivelarsi un’impresa quasi impossibile, quando le differenze contemporaneamente presenti in una classe sono tante! Nel caso di alunni con una certificazione di disabilità (rilasciata ai sensi della Legge 104/1992), invece, viene assegnato alla classe, per un numero di ore settimanali correlato alla gravità del caso, un insegnante specializzato nel sostegno, che può affiancare l’alunno durante il normale lavoro di classe o in attività specifiche in aule appositamente attrezzate. L’assegnazione del sostegno è decisa dagli Uffici Scolastici Regionali tenuto conto delle risorse a disposizione (purtroppo scarse al momento!) e sulla base delle certificazioni stilate dal Servizio di Neuropsichiatria Infantile dell’ASL di riferimento, che accertano la natura e l’entità della disabilità ed evidenziano le capacità e le potenzialità del bambino. Anche in questo caso viene stilato e sottoscritto collegialmente (scuola, servizi, famiglia) un Piano Educativo Individualizzato (PEI), che contiene gli obiettivi didattici

ed educativi da raggiungere, calibrati sulle possibilità reali dell’alunno, nonché tutti gli interventi individualizzati previsti. Spesso i genitori, anche di fronte a deficit evidenti, sono restii ad attivare le procedure necessarie per poter ottenere il sostegno, nel timore che la certificazione possa fare del loro figlio un “diverso” o farlo sentire emarginato rispetto al resto della classe. Dipende ovviamente dalla sensibilità degli insegnanti non far pesare l’intervento di sostegno come uno stigma (non dimentichiamo che l’insegnante di sostegno è un insegnante di classe che può lavorare con tutti gli alunni!). I timori dei genitori sono comprensibili, essi dovrebbero tuttavia considerare con attenzione i benefici che la certificazione garantisce, che possono essere fondamentali per consentire al figlio una scolarizzazione serena per l’intero iter scolastico. Una programmazione didattica semplificata, con obiettivi chiari e raggiungibili, può, infatti, tranquillizzare il bambino e disporlo più favorevolmente all’apprendimento. Avere un insegnante “tutto per sé”, soprattutto nella scuola secondaria quando le discipline e i docenti si moltiplicano, può significare disporre di un punto

di riferimento, un faro per orientarsi tra insegnanti e discipline: impresa assai più impegnativa di quanto si pensi per gli alunni più fragili dal punto di vista cognitivo o relazionale. Gli operatori socio-educativi (OSE) Si tratta di personale specializzato che non fa parte dell’organico della scuola, ma che può essere richiesto all’Ente Locale, in accordo con le famiglie, per un limitato numero di ore alla settimana per gli alunni con disabilità riconosciuta. Gli operatori socio-educativi possono essere richiesti per sostenere bambini e adolescenti con disturbi del comportamento, che necessitano di migliorare le autonomie personali, che hanno bisogno di una migliore identificazione nell’adulto. L’intervento degli OSE non sostituisce le attività didattiche, ma prevede la realizzazione di percorsi a carattere educativo integrati nel Piano Educativo Individualizzato e finalizzati a favorire l’integrazione, potenziare le autonomie personali, promuovere uno stato di benessere nel contesto scolastico. Come si vede, il ventaglio di opportunità che possono essere sfruttate per accompagnare al meglio

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il percorso scolastico degli alunni - adottati e non - è ampio. Del resto anche i bambini e i ragazzi adottati che frequentano le nostre scuole sono soggetti unici e irripetibili, e diversi sono i loro bisogni: se per qualcuno sarà necessario un

percorso individualizzato e “sostenuto” per l’intero iter scolastico, per altri sarà sufficiente una buona accoglienza iniziale... senza tralasciare tutte le possibili soluzioni intermedie. Sta alla professionalità e alla sensibilità degli inse-

gnanti, unite alla disponibilità e collaborazione delle famiglie, orientarsi tra le diverse possibilità d’intervento per individuare l’aiuto che sia nello stesso tempo più utile e meno ridondante.


CARE inaugura lo Sportello Scuola e Adozione Il CARE mette a disposizione di genitori e insegnanti uno Sportello virtuale dove è possibile segnalare qualsiasi difficoltà di bambini e bambine adottati in materia di inserimento scolastico, con particolare attenzione al momento del primo ingresso e alle fasi di passaggio dalla scuola dell’infanzia alla scuola primaria.

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Il Coordinamento CARE è attivo informalmente dal 2009 e si configura come una rete di associazioni familiari, adottive e/o affidatarie, attive sul territorio nazionale. Si è costituito, ai sensi della legge quadro sul volontariato 266/91, in associazione di secondo livello (associazione di associazioni) il 15 ottobre 2011.

Le segnalazioni verranno analizzate caso per caso e a tutte verrà data risposta. Le questioni riconducibili ad un’analisi del MIUR verranno ad esso sottoposte previo assenso delle famiglie coinvolte. L’obiettivo dello Sportello è soprattutto quello di agevolare in tempi rapidi la soluzione dei problemi concreti delle famiglie. Si tratta di un aiuto concreto per le famiglie e per gli insegnanti ma anche per tutti coloro che seguono le famiglie stesse (enti autorizzati e servizi territoriali) nello spirito di “agevolare l’inserimento, l’integrazione e il benessere scolastico degli studenti adottati”, obiettivo dichiarato anche dal recente protocollo congiunto CARE-MIUR. Invitiamo tutte le Associazioni e tutte le persone interessate a dare la massima diffusione e socializzazione a questa iniziativa.

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giorno dopo giorno

di Dario Lampa

Portami al semaforo 12

Siamo in macchina io e Maria, mia figlia, direzione grande città. E c’è traffico, naturalmente. D’altronde alle 8 del mattino di un giorno feriale è impossibile sperare in una strada a nostra disposizione. Io un po’ le parlo un po’ fisso le macchine ferme davanti a me. Lei se ne sta con la testa appoggiata al finestrino, gli occhi semichiusi, in bocca un chewing-gum masticato ripetutamente. Alle orecchie le immancabili cuffiette, per cui tra l’assenza di segni di vita e la musica, ho la quasi certezza che abbia sentito poco di quello che le ho detto finora, con tono irritato. D’altra parte se siamo qui, in macchina, direzione città, è perché una stazione di carabinieri ci ha avvisato di aver ritrovato la sua borsetta, rubata (dice Maria, ma, io credo, dimenticata da lei da qualche parte…) sabato scorso durante un’uscita con gli amici. Quindi ho ben dirit-

to a essere nervoso. Più che i soldi, sicuramente scomparsi dal portafogli, più che il cellulare di penultima generazione, quello che mi pesa di più è questa mattina persa. Permesso sul lavoro, traffico, tempo perso. Tutto per la sua sbadataggine. E lei che non voleva neppure venire (“a che serve, vai tu, firmi tu, recuperi tu…”, mi ha detto ieri sera), ma l’ho costretta, anche a costo di saltare le ore di scuola. E dalla partenza ho cominciato una predica che è salita di tono e irritazione in modo direttamente proporzionale con il traffico… E inevitabilmente, fin da fuori il passo carraio, Maria ha assunto questa posizione di difesa. Finalmente siamo in prossimità di questo semaforo che profuma di eternità. Al prossimo verde riusciremo a passare. D’improvviso davanti a noi si materializza un ragazzo, il naso da clown, in equilibrio su una bicicletta

mono-ruota. Rapidamente si mette in testa un pallone e riesce, miracoli dell’equilibrio, a tenerlo tra la fronte e il naso. “Guarda papà, che bravo!”, mi grida Maria, che ha abbandonato la sua posizione di noia e difesa e ora è tutta attenta a osservare il ragazzo che ha cominciato a far volteggiare i birilli: prima uno, poi due, infine tre. Lo guardo anch’io, e mi ritrovo bambino: sono per mano a mia madre e andiamo al circo, se così si può chiamare quel tendone con qualche rattoppo piazzato al centro dell’unico grande campo del piccolo Comune dove viviamo. Dietro il tendone c’è quello che viene chiamato pomposamente zoo: una capra, un cammello dall’aria spaesata e di età avanzata, una zebra che rumina la poca d’erba a disposizione, indifferente dei tanti bambini che la chiamano per offrirle caramelle. Dentro assisto all’evoluzio-


ne di un giocoliere, su una bicicletta mono-ruota, il pallone sulla fronte, i piccoli birilli che ruotano uno dietro l’altro senza mai cadere… Ho la bocca aperta per la sorpresa, in mano le caramelle che mia mamma mi ha comprato dalla ragazza con vassoio che gira di gradinata in gradinata. Mi risveglio quando finisce l’esercizio, applaudo frenetico ma ci rimango un po’ male quando mi accorgo che il successivo numero

al trapezio viene eseguito dalla stessa ragazza che ci ha venduto le caramelle e che ora, lasciato il vassoio, volteggia in aria, verso il centro del tendone… Maria mi scuote, la guardo stupito. Senza parlare mi fa segno davanti a me. Il ragazzo ha finito il numero e ora gira di auto in auto con un cappello in mano. Quando è il mio turno, glielo riempio con tutto il denaro che riesco a trovare in tasca. Maria vede cade-

re nel cappello una banconota da 10 euro e mi guarda stupita. Io sorrido, alzo le spalle, ma devo avere gli occhi umidi, Maria infatti non mi toglie gli occhi di dosso. Per fortuna il semaforo è diventato verde e il clacson delle auto in coda mi consente di non dare spiegazioni. Stasera però ne parlerò a Giulia, la donna che anni fa resi moglie. Mi piacerebbe proprio portarla a questo semaforo… 13


giorno dopo giorno

di Marta e Alberto

Giochiamo al Vietnam? 14

Il gioco preferito di mia figlia - cinque anni ancora da compiere - è la drammatizzazione del nostro incontro nel suo Paese d’origine. E’ lei la regista del cortometraggio messo in scena nei momenti più inaspettati della nostra quotidianità, ogni volta arricchito di una nuova sequenza, in cui cambiano solo pochi dettagli. Gli unici attori siamo io e lei: su questo non transige. L’occhio di bue è su mamma e figlia, gli altri sono solo comparse. Distribuisce rigorosamente le parti: “Tu ora facevi la didi” (cioè l’assistente che si curava di lei nell’istituto dei bambini dove è stata nel suo primo anno di vita). Allora io la coccolo, la lavo, la rassicuro che i suoi genitori per sempre stanno per raggiungerla. Ad un certo punto del gioco è sempre lei a decretare: “Adesso ar-

rivi dall’Italia, vieni alla casa dei bambini, entri e mi cerchi, ma non mi trovi subito…”. E mentre io vago ansiosa nella stanza, e chiedo a personaggi immaginari dove si trovi la mia bambina tanto attesa, lei mi richiama simulando il pianto di una neonata. Io la vedo, la riconosco, manifesto in modo molto scenografico tutta la mia gioia e… “Ora diventavi mamma”: mai frase più dolce per il mio orecchio! L’attestato di maternità mi viene consegnato con un abbraccio stretto stretto. L’idea di essere stata pensata, in una sorta di gravidanza simbolica, di essere stata tenuta nel cuore la rassicura, le fa bene, la rende speciale e insieme normale. Sa che c’è stato un prima del nostro incontro. Che

l’abbiamo immaginata tanto, che ogni sera, dall’altra parte del mondo, pensavamo a lei… Io, suo padre, suo fratello. Che anche lei ci aspettava, che era accudita, ma che era anche stufa di attenderci. Quel “prima” è faticoso da immaginare, riempire, accettare. “Io dov’ero in questa foto?” Guarda interrogativa le immagini appese in cucina, disseminate per la casa e punta il dito su quelle dove non fa capolino il suo viso birichino. “Eri ancora una stellina del cielo!”, tento di spiegarle. Ma vorrebbe essere sempre stata con noi, fin dall’inizio del romanzo familiare. Giocare, leggere la sua storia scritta in un libretto illustrato, reinterpretare il suo passato – seppur breve, ma affatto privo di significato – l’aiuta un po’ a ricomporre, forse piano piano a capire.


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giorno dopo giorno

di Serena Bellavita

Alla ricerca dei fratelli 16

Io e mio marito abbiamo adottato in Cambogia a gennaio 2009. Nostra figlia aveva appena compiuto cinque anni (così ci hanno detto, anche se si tratta sicuramente di un’età presunta): non era certo grandicella, ma abbiamo subito capito che si trattava di una bambina molto sveglia e precoce. Passato qualche giorno dal nostro arrivo a Milano, la bambina fece un disegno che solo da un annetto lei stessa ha tolto dalla porta della sua cameretta. Disegnò una palafitta con una scala che porta all’interno della capanna; in cima vi erano due piccole figure vicine, una con i capelli lunghi e l’altra con i capelli corti. Le faccine sono colorate di giallo… Appena lo vediamo io e mio marito prendiamo la bimba sulle ginocchia e le chiediamo chi siano queste due figure, anche se io

nel mio intimo sapevo già la risposta. Nostra figlia era in Italia neanche da un mese, ma con i gesti e qualche parolina in italiano ci fece capire che si trattava dei suoi genitori. Dopo un paio di mesi ci disse più chiaramente che quella che piangeva era la sua mamma per il dolore di vederla andare via e il suo papà che la consolava. Potete solo immaginare come ci siamo sentiti e come mi sono sentita io in particolare… ero così triste perché potevo solo immaginare cosa potesse sentire nel suo cuore una mamma che per amore della propria bimba e per darle un futuro migliore decide di darla in adozione. Da quel momento nostra figlia ha iniziato a parlarci del suo passato, della sua famiglia, di come lei e gli altri suoi fratelli fossero arrivati in Istituto e tanto altro ancora. Ci

disse che erano in sei figli e che i suoi genitori, spinti dalla nonna perché in casa la situazione era difficile e la nonna voleva un futuro migliore per i suoi nipotini, decisero di mandare in Istituto quattro di loro (due femmine e due maschi)… Lei parlava spesso dei suoi fratelli e chiedeva dove fossero e noi non sapevamo cosa risponderle. Non nascondo che eravamo abbastanza arrabbiati col nostro ente, che continuava ad asserire di non avere alcuna notizia a riguardo. Anzi... erano anche un po’ irritati quando tiravamo fuori questa storia dei fratelli. Dopo qualche mese dal nostro ritorno in Italia, ci incontrammo con altre famiglie del nostro ente che avevano adottato in Cambogia nel nostro stesso istituto e scoprimmo che anche i loro figli racconta-


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vano dei rispettivi fratelli e che tutti loro avevano visto partire i fratellini in adozione o restare in istituto, mentre loro andavano via con i nuovi mamma e papà…. Atroce! Anche questi genitori avevano avuto le stesse risposte stizzite da parte dell’ente. Per questo iniziammo a fare delle ricerche su internet, sui vari forum, su Facebook tramite vari gruppi di genitori adottivi “cambogiani”. Dopo qualche tempo, alcuni nostri amici ci fecero sapere che erano riusciti a trovare i fratelli o anche solo uno dei fratelli qui in Italia. Potete immaginare la nostra felicità!

Sia per quelle famiglie sia per noi…. Allora c’era una speranza! Proprio tramite la nostra rete di amicizie su FB, un giorno ci arrivò la telefonata di un amico di un’altra regione la cui bambina era in istituto insieme alla nostra che annunciava l’invio di una fotografia che ritraeva mia figlia in istituto insieme ad un bimbo, in braccio a lei… Il bambino – continuò il mio amico – era stato adottato da una famiglia del Sud Italia e poteva davvero essere il fratellino più piccolo di cui nostra figlia continuava a parlare… Chiamai la bimba, annunciandole che l’amico ci ave-

va inviato via mail delle foto scattate in istituto che ritraevano anche lei. Appena mia figlia le vide, si voltò di scatto verso di noi e disse: “Ma questo è il mio fratellino!!!”. Potete immaginare la nostra felicità. Purtroppo non abbiamo potuto subito contattare la famiglia del piccolo che oggi ha sei anni, e che quando arrivò in Italia ne aveva solo due. Mio marito, infatti, era gravemente ammalato e di lì a poco è purtroppo venuto a mancare. Sono stati mesi difficili, dolorosissimi per me e per mia figlia… Forse proprio la ricerca e il ritrovamento del fratellino ci hanno aiu-


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tato in un momento tanto critico. Poco tempo dopo l’arrivo della foto, ricevetti un sms dalla mamma del fratellino di mia figlia, che aveva saputo del nostro lutto: mi chiedeva come stavamo e diceva che non vedevano l’ora di parlarci. Caso vuole che a leggere il messaggio sia stata quella zanzarina di mia figlia che gioca sempre con il mio telefono… Appena legge il messaggio, mi urla se potevamo chiamarli “subitissimo”. Da quel giorno ci siamo sentiti ogni settimana. Loro mi raccontavano che il bambino, quando andava all’asilo, continuava a

chiedere perché non avesse “una sorella” e loro, oltre al fatto che non era facile dargli una risposta, si chiedevano il motivo per cui lui parlasse proprio di una “sorella” e non di “fratelli” in generale. Anche il loro bimbo aveva il ricordo di una sorella cui era attaccatissimo, ma naturalmente, essendo lui piccolino, i ricordi erano molto vaghi. Avevano iniziato una ricerca tramite amici che avevano adottato in Cambogia e così… eravamo entrati in contatto tramite conoscenti comuni. Per farla breve, ci siamo organizzati per vederci du-

rante l’estate. Era agosto e, dopo un viaggio molto lungo, sono arrivati alle sette del mattino. Io e mia figlia li aspettavamo nella nostra casa sul lago... Non potete neanche immaginare (o forse sì...) l’emozione che abbiamo provato e anche il timore legittimo di non piacerci o che il piccolo si spaventasse, visto che i suoi ricordi erano solo “sensoriali”: mia figlia ricordava il fratellino quando aveva solo due anni e ora era tutto molto diverso. Invece è bastata una bella colazione insieme per capire che sarebbe andato tutto in modo meraviglio-


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so. E’ stata una vacanza indimenticabile: abbiamo passato più di venti giorni insieme e ci siamo ritrovati famiglia!!! Io e mia figlia, proprio per quello che ci era successo, ne avevamo un gran bisogno. Quando l’estate è finita, è stato molto duro per tutti e cinque lasciarci, ma soprattutto per i bimbi... Ci siamo rivisti nelle vacanze di Natale: siamo andate noi al Sud per passare dieci giorni insieme. Abbiamo conosciuto tutta la loro splendida famiglia allargata, gli zii, i cuginetti grandi e piccoli e per mia figlia loro sono diventati tutti zii

e cugini! Ora mi rendo conto quanto sia importante per lei avere questa grande famiglia che ci ha accolte entrambe con così grande affetto. La separazione dopo le vacanze è sempre difficile, soprattutto per il bambino più piccolo perché è attaccatissimo alla sorella e la paura di non vederla più è grande: Per mia figlia è un po’ più semplice perché è più grande e sa che ormai ha ritrovato il fratellino ed è tranquilla. Il fatto di avere questa grande famiglia le dà molta sicurezza anche perché l’evento è stato vissuto per tutta la nostra famiglia e per gli

amici più cari in modo molto sereno. Con il fratellino e i suoi genitori ci sentiamo ogni settimana, anche tramite skype. Ora verranno al Nord per la prima comunione di mia figlia e già progettiamo un periodo insieme per le vacanze estive. Il sapere di questo fratello e della sua bella famiglia rende più tranquilla non solo lei: penso al suo futuro e mi sento molto meno sola anch’io…


leggendo Marina Zulian responsabile della BibliotecaRagazzi di BarchettaBlu

Leggere, fare e raccontare

Le mille possibilità di stare (bene) nella biblioteca di Barchetta Blu 20

5. Questo mese: Tararì Tararera. Inventiamo una lingua tutta nostra

Durante il mese di aprile, come da molti anni, la Biblioteca Ragazzi di BarchettaBlu organizza a Venezia Libro che gira, Libro che leggi. Questo festival della lettura prevede una serie di eventi, spettacoli e incontri sul tema del libro e della lettura. Le iniziative sono dedicate ai bambini e alle loro famiglie ma coinvolgono anche le scuole della città con laboratori per le classi e percorsi formativi per gli insegnanti. In particolare quest’anno è

stata organizzata, tra le altre, una giornata chiamata Illustratori in scena. Alcune famose illustratrici tra le quali Emanuela Bussolati, Giulia Orecchia, Giuliana Donati, Desideria Guicciardini e Aurora Biancardi hanno incontrato un numeroso gruppo di insegnanti e hanno raccontato la loro vita di autrici e sperimentato un laboratorio collettivo. Protagonista dell’incontro è stato il linguaggio universale delle immagini e la magia di raccontare oltre le parole. La bravissima Emanuela Bussolati ci ha letto il suo libro Tararì tararera. Storia in lingua Piripù per il puro piacere di raccontare storie ai Piripù Bibi. E’ stato fantastico sentire direttamente dall’autrice come secondo lei le storie non si-

ano incollate su una pagina ma prendano vita con la voce di chi le legge e con il cuore di chi le ascolta. Tararì tararera ... sesa terù di Piripù: Piripù Pà, Piripù Mà, Piripù So, Piripù Bé e Piripù Bibi … Piripù Pà, Piripù so e Piripù Bé diderendàn Gonende! Tararì tararera … Piripù Mà e Piripù Bibi ciuppi plin plin

Il protagonista della storia è il piccolo Piripù Bibi e le avventure sono narrate in una lingua inventata, una sequenza di suoni che il


lettore può modificare con le diverse intonazioni della voce; con le varie espressioni del viso e del corpo si può dar vita alle strane ma comprensibilissime parole che le immagini evocano. La creativa e simpatica illustratrice ci ha rassicurati dicendoci che all’inizio può sembrare difficile capire il senso delle frasi in lingua piripù; però ci ha anche stupiti leggendo alcune pagine del libro e facendoci scoprire come il significato delle parole fosse perfettamente riconoscibile. Questa lingua piripù è molto affascinante: per i bambini sembra una lingua segreta, piena di messaggi in codice, per gli adulti il ritmo ironico del non-sense é irresistibile. Tutta l’atmosfera magica viene fortemente amplificata quando la lettura è

viene legato con un filo. La famiglia del piccolo Piripù Bibi è composta da Piripù Pa, Piripù Ma, Piripù So e Piripù Bé. Le loro figure sono ottenute da carta strappata e incollata su uno sfondo di vegetazione essenziale e molto colorata. Il piccolo Piripù si annoia a starsene solo, scioglie il filo che lo tiene legato alla mamma, e cammina cammina, si inoltra nella foresta alla ricerca di divertimento. Qui comincia un’avventura in cui prima incontra il cucciolo di leopardo Bubolo Bibi, poi rischia di essere sbranato e La storia racconta di una di essere inghiottito da un famiglia di creature che vi- terribile serpente. Per forvono nella giungla. Piripù tuna arriva in suo soccorso Bibi, il più piccolo della un elefante e Spaciac!, dice famiglia, non ha voglia di la storia mentre le zampe salire sulle palme a racco- dell’elefante stritolano il gliere frutti e per questo rettile. Arriva la sera e il ad alta voce. L’autrice dice che questo suo libro è fuori di zucca e che è stato immaginato mettendo al centro il rapporto fra la voce dell’adulto che legge e il bambino che ascolta. Tutti i bambini del mondo possono capire questa lingua, possono dar voce a Piripù e ai suoi compagni di avventura. Per quanto distante dalla propria, la lingua piripù è immediatamente e intuitivamente, comprensibile.

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piccolo Piripù si è molto allontanato e ha perso la sua famiglia. Per fortuna l’elefante con la sua lunga proboscide lo aiuta a ritrovare i genitori, la sorella e i fratellini preoccupati poiché si era allontanato.

Naturalmente il senso della storia viene dato anche dalle immagini e dall’intonazione della voce: la lingua piripù è adattissima ad un continuo gioco di voci, sussurri, urletti e sospiri. Ciò che conta veramente è ancora una volta la condivisione di una storia semplice e divertente, fatta di facce buffe e voci strampalate. Non a caso questo libro ha vinto il pre-

stigioso Premio Andersen nel 2010. Anche se per i bambini imparare a parlare la propria lingua madre è un processo spontaneo, è sempre importante che genitori ed educatori cerchino di far sviluppare questa innata capacità. In questa storia le parole onomatopeiche, le assonanze e le dissonanze sono coinvolgenti e stimolanti. L’ideale sarebbe poter leggere la storia alcune volte prima di raccontarla ai bambini; in questo modo si può prendere confidenza con le parole strane e buffe e rendere più fluida la lettura riuscendo a coinvolgere chi ascolta e creando una atmosfera complice e divertente. Importante è porre particolare attenzione alla punteggiatura e agli accenti, alla lunghezza delle parole lunghe e corte e alle pause. Siamo stati davvero onorati di poter passare del

tempo con Emanuela Bussolati, che in questo e in altri suoi lavori, ha saputo trovare con originalità un prezioso equilibrio tra testo e immagini. Questa sua inventiva ha ribaltato il più frequente modo di raccontare le storie: contrariamente a quanto siamo soliti vedere, qui non sono le parole a spiegare le immagini, ma sono le figure che rendono chiara quella lingua onomatopeica, fatta esclusivamente di suoni, che questa famosa autrice ha inventato. Sono le immagini che interagendo perfettamente con le parole riescono ad attribuire un senso alle frasi che di fatto non lo hanno. Sono i suoni che risultano facilmente comprensibili poiché sono simili a quelli che i bambini producono quando iniziano a parlare. Sono gli insiemi di lettere che vanno al di là delle regole grammaticali e creano


una nuova comunicazione. Dopo il grande successo di pubblico e di critica di Tararì Tararera è stata pubblicata anche una nuova avventura di Piripù Bibi, sempre narrata il lingua piripù e intitolata Badabùm. Emanuela Bussolati è davvero un riferimento per la letteratura per infanzia, avendo progettato e illustrato tantissimi libri per bambini. Anche lei è convinta che i bambini siano fortemente condizionati dall’amore per i libri e le storie che i genitori trasmettono ai figli.

all’ultima pagina si può continuare a usare la misteriosa lingua, ampliarla, modificarla e reinventarla. Questa lingua di tutti e di nessuno costringe lettori e ascoltatori a mettersi in gioco con leggerezza e con allegria. Una volta finito il libro adulti e bambini sono contagiati e non riescono più a non usare, almeno ogni tanto, la lingua piripù. La fantastica conseguenza di aver incontrato questo libro è stata quindi quella di aver imparato a inventare con i bambini una sorta di linguaggio cifrato personale, con parole di tutti i giorni ma con significati diversi dal solito, con parole che ci fanno sentire complici e unici. Abbiamo così provato a rileggere alcuni albi illustrati cercando di non considerare più solo il testo proposto ma dando voce Anche quando il colorato alle immagini e alle figure albo illustrato è arrivato con parole inventate o qua-

si. Io e mio figlio Giuliano amiamo molto inventare parole e rime, immaginando di essere in un altro spazio e in un altro tempo, immaginando di essere comunque comprensibili in qualsiasi epoca e da tutti i bambini del mondo. Quale occasione migliore di questo libro per darci anche la possibilità di inventare una vera e propria lingua tutta nostra. Noi l’abbiamo chiamata lingua giugiumamesca, da Giuliano e Mamma Marina. Provare per credere! BIBLIOGRAFIA Tararì tararera, Storia in lingua Piripù per il puro piacere di raccontare storie ai Piripù Bibi, E. Bussolati, Carthusia, 2009 Bada ... búm. Un’altra storia in lingua Piripù per il puro piacere di raccontare storie ai Piripù Bibi, E. Bussolati, Carthusia, 2011 Si, no, forse … E. Bussolati, Franco Cosimo Panini, 2012 Questo sono io. D. Barrilà, E. Bussolati, Carthusia, 2010 Marta e l’acqua scomparsa. E. Bussolati, Terre di mezzo, 2012 emanuelabussolati.wordpress.com

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sociale e legale

di Angelamaria Serpico

L’Adozione in Asia (prima parte) 24

Iniziamo questo mese un viaggio nell’analisi dei requisiti e delle procedure adottive nei vari continenti.

ARMENIA La Convenzione de l’Aja è entrata in vigore nel 2007. Autorità competente: Ministero della Giustizia Requisiti previsti dalla normativa locale per gli adottanti – Possono adottare sia le coppie sposate sia i single; – La differenza di età tra adottante e adottato deve essere di almeno 18 anni. Requisiti relativi all’adottando – I minori possono essere adottati a partire dai 3 mesi di età, solo se dichiarati in stato di abbandono, se i loro genitori naturali sono stati destituiti dalla potestà genitoriale oppure se i genitori naturali o il tutore legale hanno prestato validamente il proprio consenso all’adozione; – Se il minore ha più di 10 anni, è necessario il suo consenso all’adozione; – Il bambino deve essere iscritto nella banca dati nazionale dei minori adottabili da almeno tre mesi. La procedura – Il dossier della coppia viene inviato all’Au-

torità Centrale che provvederà alla registrazione dei candidati all’adozione di un minore armeno; – L’Autorità armena contatterà i servizi sociali e gli orfanotrofi per l’individuazione del minore da proporre alla coppia straniera; – I dossier della coppia e del minore verranno depositati presso il tribunale di Erevan per fissare la data dell’udienza; l’assistenza di un avvocato non è obbligatoria; – La sentenza di adozione diverrà efficace dopo 30 giorni dalla sua emissione; – Il tempo previsto per l’intera procedura a partire dalla segnalazione del minore individuato è di circa 4 mesi; – Possono essere necessari più viaggi per concludere la procedura per una durata totale che può variare da uno a tre mesi. Forma della decisione: giudiziaria Effetti della decisione: – Interruzione dei legami precedenti l’adozione; – Creazione di un nuovo legame di filiazione; – Revocabilità (per gravi motivi). Le scadenze del post adozione: – Due relazioni all’anno per i primi due anni. Successivamente una relazione ogni tre anni fino ai 18 anni del minore


CAMBOGIA La Convenzione de l’Aja è entrata in vigore nel 2007. Autorità competente: Ministero degli Affari Sociali, dei Veterani e della riabilitazione della Gioventù Requisiti previsti dalla normativa locale per gli adottanti – Al momento della richiesta di adozione gli adottanti devono essere sposati ed avere età compresa tra i 30 e i 55 anni. E’ richiesta una differenza di età tra gli adottanti e l’adottato di almeno 22 anni e massimo 45; – Possono adottare coppie senza figli o con un solo figlio; – E’ permessa l’adozione di un solo minore per volta, fatta eccezione per le fratrie. Requisiti relativi all’adottando – Sono adottabili i bambini al di sotto degli 8 anni di età; – I minori devono essere iscritti nei registri del Ministero competente da almeno sei mesi; – I minori devono trovarsi da almeno tre mesi in un orfanotrofio statale o in un centro accreditato dal Ministero competente; – I bambini adottabili in Cambogia vivono in istituti situati prevalentemente nella capitale Phnom Penh; talvolta sono orfani di entrambi i genitori, talvolta proven-

gono da famiglie estremamente indigenti che non hanno i mezzi né le prospettive per mantenerli e farli crescere; – La loro età varia da 1 a 7-8 anni, anche se la fascia d’età più frequente è quella dai 4 ai 6 anni. Molto spesso i bambini adottabili non sono stati registrati alla nascita (un problema molto diffuso in Cambogia) e l’età viene stabilita per approssimazione nel momento dell’arrivo all’istituto. La procedura – Il Paese non ha ancora ripreso le procedure di adozione internazionale, attualmente sospese per consentire l’adeguamento del sistema alla nuova normativa, adottata dal Parlamento cambogiano alla fine del 2009. Forma della decisione: Amministrativa Effetti della decisione: Interruzione dei legami precedenti l’adozione Autorità Centrale: Ministero degli Affari Sociali, dei veterani e della riabilitazione dei (MoSalvy) con sede a Phnom Penh. Numero viaggi: Un unico viaggio di circa 30 gg con passaggio in Thailandia, paese in cui risiede l’Ambasciata italiana competente anche per la Cambogia. Post-adozione: una relazione post-adottiva, corredata da foto, per ogni anno a partire dall’ingresso in Italia, fino al compimento dei 18 anni di età.

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CINA Convenzione de L’Aja entrata in vigore il 1° gennaio 2006. Autorità competente: China Centre for Children’s Welfare and Adoption (CCCWA) Requisiti previsti dalla normativa locale per gli adottanti – Le coppie sposate di età compresa tra i 30 e i 50 anni al momento dell’adozione; in caso di adozione di minori con bisogni speciali, i coniugi devono avere un’età compresa tra i 30 e i 55 anni; – Sono necessari 2 anni di matrimonio (se prima unione) o più di 5 anni (se seconda unione). Non è consentita l’adozione a chi abbia divorziato 2 o più volte; – La coppia non deve avere più di 5 figli minori; – E’ necessario godere di buona salute fisica e mentale (sul sito dell’Autorità centrale cinese è disponibile l’elenco delle malattie e delle condizioni psicofisiche ostative all’adozione); – Almeno uno dei due membri della coppia deve avere un impiego stabile e la coppia deve possedere beni familiari per un valore di almeno $ 80.000 e dichiarare un reddito familiare pari ad almeno $ 10.000

per componente della famiglia, incluso il futuro figlio adottivo; – Entrambi i coniugi devono avere un diploma di studi secondari; – Il casellario giudiziale dei coniugi non deve riportare nessuna irregolarità e nessun precedente. Requisiti relativi all’adottando Sono adottabili: a) I minori di 14 anni; b) I minori orfani di padre e di madre; c) I minori abbandonati e senza ascendenti conosciuti; d) E’ richiesto il consenso all’adozione da parte del bambino maggiore di 10 anni. La procedura – Il dossier della coppia verrà inviato all’Autorità Centrale cinese (CCCWA) che dopo aver esaminato la documentazione comprovante i requisiti richiesti dalla normativa locale provvederà alla registrazione dei candidati all’adozione; – La proposta di abbinamento del minore arriverà tramite l’ente autorizzato e sarà corredata dalle informazioni riguardanti il minore, la coppia avrà a disposizione 10 giorni per comunicare l’accettazione della proposta; – Dopo il ricevimento della decisione della coppia il CCCWA convocherà gli adottanti in Cina fissando la data del viaggio;


– La coppia si recherà nella Provincia di residenza del minore per la conclusione della procedura di adozione dove presso l’ufficio locale degli affari civili verrà registrata l’adozione e verrà consegnato il minore. Dopo aver redatto e sottoscritto un contratto d’adozione tra la famiglia adottante e il tutore legale del minore verrà registrato l’atto di adozione; – Gli adottanti dovranno rinunciare per iscritto alla possibilità di revocare l’adozione così come disposto dalla legge cinese; – Il tempo di permanenza previsto per l’intera procedura è di pochi giorni. Forma della decisione: Amministrativa Effetti della decisione: – Interruzione dei legami precedenti l’adozione; – Creazione di un nuovo legame di filiazione; – Irrevocabilità. Numero viaggi: 1 – permanenza di circa 20 giorni. Una settimana in provincia e una decina di giorni nella capitale. Post-adozione: Il CCCWA richiede ad oggi 6 relazioni di postadozione, corredate da foto e da altra documentazione specifica, rispettivamente dopo un mese, 6 mesi, 1 anno, 2 anni, 3 anni, 5

anni dall’adozione. Per i bambini che al momento dell’adozione hanno 14 anni circa, viene richiesta una reportistica fino al compimento dei 18 anni del bambino. I bambini ospitati negli orfanotrofi cinesi e resi disponibili per l’adozione internazionale sono stati prevalentemente abbandonati alla nascita, da parte di genitori biologici che hanno mantenuto l’anonimato. La loro età varia dai pochi mesi ai 9 anni compiuti, e in istituto vengono raggruppati e seguiti per fasce di età. Possono trovarsi anche in famiglie affidatarie. I bisogni speciali dei bambini cinesi consistono di solito in caratteristiche fisiche particolari (per esempio l’albinismo) o patologie a carattere minore o reversibile (es. labiopalatoschisi). L’attesa per l’abbinamento sul canale normale è, ad oggi, di quasi 6 anni, mentre la disponibilità all’adozione dei bambini del canale verde (o special needs) porta a tempi di realizzazione della proposta di abbinamento estremamente rapidi: intorno agli 8 mesi. I bambini inseriti in questo canale sono bambini con più di 7 anni di età o con qualche problema di salute gestibile o risolvibile nel tempo.

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FILIPPINE La Convenzione de l’Aja è entrata in vigore nel 1996. Autorità competente: Inter Country Adoption Board (ICAB) Requisiti previsti dalla normativa locale per gli adottanti: – Gli adottanti devono avere un’età compresa tra i 27 e i 45 anni; – Devono possedere un diploma di scuola superiore; – Devono avere un reddito annuale minimo di USD 40.000; – La differenza di età tra adottanti e adottato deve essere maggiore di 16 anni; – Gli adottanti devono essere sposati da almeno 3 anni. Non sono ammesse coppie in cui uno dei coniugi abbia divorziato più di due volte; – Le coppie non devono soffrire di patologie riportate nella lista predisposta dall’Autorità centrale filippina. Requisiti relativi all’adottando: – Possono essere dichiarati adottabili dal Dipartimento per lo Sviluppo Sociale e il Benessere (DSWD) solo i minori di 15 anni, nati da genitori sconosciuti, giuridicamente abbandonati o i cui genitori o il legale rappresentante abbiano acconsentito all’adozione; – Se il minore ha compiuto 10 anni è necessario il suo consenso scritto all’adozione; I bambini vivono presso istituti situati a Manila, Davao e diverse altre isole dell’arcipelago; tali istituti possono essere statali oppure gestiti da religiosi. Molto spesso i genitori biologici sono stati privati della potestà genitoriale a causa di gravi forme di disagio familiare o violenze, fattori che impediscono ai bambini di crescere nel rispetto dei loro diritti fondamentali. Le autorità locali richiedono la disponibilità ad adottare bambini dai 3 anni in su: la fascia d’età dei bambini adottabili oscilla tra i 3 e i 7/8 anni circa. La procedura – Il dossier della coppia viene inviato, trami-

te l’ente autorizzato, all’Autorità Centrale ICAB che provvederà al controllo e alla registrazione della documentazione dei candidati all’adozione. Trascorso un anno dalla registrazione senza proposte di abbinamento, viene richiesto un aggiornamento della documentazione; – All’individuazione del minore l’ICAB invierà alla coppia, tramite l’ente autorizzato, un dossier contenente tutte le informazioni sul minore per ottenere l’accettazione della proposta di abbinamento. 15 giorni sono il tempo generalmente previsto per la risposta della coppia, prolungabile a 30 giorni in casi particolari che richiedano approfondimenti; – A seguito dell’accettazione dell’abbinamento, l’ICAB preparerà tutta la documentazione necessaria relativa al minore e stabilirà la data di partenza della coppia per il soggiorno nelle Filippine che sarà approssimativamente di 10 giorni; • Durante la permanenza nelle Filippine gli adottanti avranno un primo incontro con i funzionari dell’ICAB, incontreranno il minore presso l’istituto di accoglienza, avranno qualche giorno a disposizione per un primo periodo di adattamento con il minore, ritorneranno all’ICAB per la definizione della pratica per poter poi avere tutta la documentazione necessaria per la richiesta dell’autorizzazione di ingresso in Italia. Forma della decisione: Amministrativa Effetti della decisione: Affidamento in vista di adozione della durata di 6 mesi (In conformità alle leggi delle Filippine, i primi sei mesi dopo l’adozione corrispondono, di fatto, ad un affido pre-adottivo, in cui il bambino conserva il cognome originale). Trascorso tale periodo nel Paese di accoglienza e con l’ottenimento del consenso definitivo dell’ICAB potrà essere trasformato in adozione. Viaggi necessari: La coppia effettua un solo viaggio nelle Filippine della durata di una settimana. Dopo l’adozione: Tre relazioni bimestrali per i primi 6 mesi dalla data di arrivo in Italia. Il Paese non richiede relazioni dopo la sentenza di adozione Le notizie riportate sono tratte dal sito della CAI


post

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trentagiorni

Putin contro le nozze gay in Francia «Rivedremo gli accordi di adozione» In Russia l’omosessualità era reato fino al 1993 Niente più bambini russi in adozione alle famiglie francesi dopo l’approvazione a Parigi della legge sulle nozze gay. È la minaccia del leader del Cremlino Putin, secondo quanto riferiscono agenzie di stampa russe. «Dobbiamo reagire a quello che succede vicino a noi, rispettiamo i nostri vicini ma chiediamo il rispetto verso le nostre tradizioni culturali, etiche, legislative e verso le nostre norme morali» ha detto l’ex agente del Kgb. Che recentemente ha fatto approvare una legge fortemente repressiva contro i gay e la loro “propaganda omosessuale”. Del resto fino al 1993 in Russia l’omosessualità era considerata un reato e prim’ancora una malattia mentale. L’annuncio di Putin segue un altro provvedimento repressivo: quello del divieto di adozione di bambini russi negli Stati Uniti. Approvato come ritorsione alle sanzioni americane nei confronti di 18 cittadini della Federazione accusati di violazione dei diritti umani e sospettati di aver avuto un ruolo nella morte

in carcere dell’avvocato Serghiei Magnitski. Fonte: Corriere.it Psicofarmaci, i giovani ne abusano aumenta l’uso di ecstasy e anfetamine È il quadro allarmante che emerge dall’ultimo studio sulla popolazione studentesca di Espad (European school survey on alcohol and other drugs), realizzato in Italia dall’Istituto di fisiologia clinica del Consiglio nazionale delle ricerche di Pisa (Ifc-Cnr), che segnala come circa il 15,4 per cento dei ragazzi prende psicofarmaci senza alcuna prescrizione medica. Un farwest dell’automedicazione ROMA - Sempre di più gli adolescenti che assumono psicofarmaci. E sempre di più coloro che lo fanno in modalità “fai da te”. È allarmante il quadro che emerge dal’ultimo studio sulla popolazione studentesca di Espad (European school survey on alcohol and other drugs), realizzato in Italia dall’Istituto di fisiologia clinica del Consiglio nazionale delle ricerche di Pisa (Ifc-Cnr), che segnala come circa il 15,4 per cento dei ragazzi prende psicofarmaci senza alcuna prescrizione medica. E oltre la metà - il 52 per

cento - di coloro a cui sono stati prescritti continuano ad assumerli in seguito senza un controllo sanitario. Un vero e proprio far-west dell’automedicazione, quindi, facilitato da quello sconfinato supermercato dei farmaci che Internet mette a disposizione. Un campione di 45 mila ragazzi. L’indagine, condotta su un campione di 45mila ragazzi provenienti da oltre 500 scuole fra medie e superiori di tutta la penisola, rileva altri dati preoccupanti. Anzitutto, l’aumento dei consumatori di cannabis, con cui i ragazzi entrano in contatto in media all’età di 15 anni. Nel 2012 dichiarano di averne fatto uso almeno una volta nella vita e negli ultimi dodici mesi rispettivamente il 28% e il 22% degli intervistati, contro il 27,5% e il 21,5% del 2011. Un incremento che pone l’Italia cinque punti sopra la media europea. Altro aumento, seppur lieve, è quello che riguarda l’assunzione di stimolanti, come ecstasy e anfetamine: 3,8% nella vita e 2,6% nell’ultimo anno, contro 3,6% e 2,4% del precedente sondaggio. Ampliando il quadro, il rapporto EspadItalia stima che nel 2012, “su


una popolazione scolastica di 2,5 milioni di ragazzi, oltre 500 mila abbiano consumato cannabis, poco più di 60 mila cocaina e 30 mila oppiacei. Mentre i consumatori di allucinogeni e stimolanti sono circa 60 mila per ciascuna categoria di sostanze”. Una diffusione inimmaginabile. Ma il dato più preoccupante è quello sulla diffusione degli psicofarmaci, fenomeno che fino a qualche tempo fa si pensava rilegato quasi esclusivamente agli Stati Uniti. Invece: “Anche nel nostro Paese il venir meno della sorveglianza etica da parte di noi adulti ha queste esatte conseguenze”, commenta il dirigente di Psichiatria dell’Ausl di Bologna, Paolo Roberti di Sarsina, che invoca una maggiore attenzione e vigilanza preventiva da parte degli enti regolatori. Stessa richiesta arriva dal comitato “Giù le mani da bambini”, che da anni fa sentire la sua voce in tema di farmacovigilanza pediatrica e che già nel 2009, riprendendo un rapporto Espad, aveva denunciato come i minori che assumevano psicofarmaci in mancanza di un controllo medico erano il 10 per cento. I prodotti si “pescano” nella

rete. Oggi sono il 5 per cento in più, anche a causa della facile reperibilità di questi prodotti nella Rete. In barba alle norme stabilite dagli organismi sanitari di controllo, basta infatti una comune carta PayPal per ordinare i farmaci. I più richiesti: quelli per dormire e per dimagrire. E non sempre servono a curare autentiche patologie: spesso sono visti come una rapida soluzione ai disagi adolescenziali dagli stessi genitori. “Stiamo permettendo la trasmissione ai nostri figli di un modello sbagliato, ovvero che basta una pillola per risolvere qualsiasi problema”, ha dichiarato Luca Poma, portavoce nazionale di “Giù le mani dei bambini”, che sul suo portale offre informazioni a scuole e genitori. Molteplici sono i rischi. Si va dai problemi cardiaci alla stimolazione di idee suicidiarie, passando per complicazioni di carattere psicologico. Eppure, finora il fenomeno non sembra godere di un’adeguata attenzione da parte delle autorità pubbliche competenti: “Sono anni che ci siamo messi gratuitamente a diposizione dell’Agenzia del Farmaco e Istituto Superiore di Sanità per organizzare

una campagna seria di prevenzione su questo tema, ma il problema continua ad essere colpevolmente sottostimato”, denunciano da “Giù le mani dai bambini”. Che ora ha deciso di appellarsi direttamente al neoministro della Salute, Beatrice Lorenzin, affinché “la situazione non vada completamente fuori controllo”. Fonte: Repubblica.it Unicef: in Grecia 30% bambini poveri Cresce delinquenza, +58% reati commessi tra 9 e 13 anni (ANSA) - ATENE, 23 MAG A causa della grave crisi economica che da anni attanaglia la Grecia, quasi 600.000 bambini vivono ormai al di sotto della soglia di povertà o sono deprivati dei fondamentali requisiti per vivere una vita normale. A lanciare l’allarme è il Comitato ellenico dell’Unicef (il fondo dell’Onu per l’infanzia). In questo quadro disarmante cresce la delinquenza minorile: i reati commessi tra i 9 e 13 anni sono cresciuti nel 2011 del 58%. Fonte: Ansa

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