Adozioni e dintorni - GSD Informa gennaio 2012

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Adozione e dintorni GSD informa - mensile - gennaio 2012 - n. 1

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gennaio 2012 | 001

GSD informa

di Simone Berti

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editoriale

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polvere di jana

Jana e le dimissioni di Anna Ester Davini

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psicologia e adozione

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salute e adozione

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scuola e adozione

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giorno dopo giorno

Assieme a chi adotta di Francesca Cananzi Screening tubercolare di Giuseppina Veneruso Ragazzi e ragazze a scuola di Anna Guerrieri

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Voglio fare la piccola di Marta e Alberto Una storia di adozione - Parte II

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leggendo

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sociale e legale

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Le cronache della barchetta di Marina Zulian Adozione da parte di single di Angelamaria Serpico Madri adottive iscritte alla gestione separata INPS di Alessandra Curotti Kafalah... e dintorni di Ludovica Sartore

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suonando

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trentagiorni

E se la musica fosse un’arma di Valeria Pacifico

Registrazione del Tribunale di Monza n. 1840 del 21/02/2006 Iscritto al ROC al n. 15956

redazione Simone Berti direttore, Firenze direttore@genitorisidiventa.org; Luigi Bulotta caporedattore, Catanzaro,

editore Associazione Genitori si diventa - onlus via Gadda, 4 Monza (MI) www.genitorisidiventa.org info@genitorisidiventa.org

impaginazione e grafica Maddalena Di Sopra, Venezia; Pea Maccioni, Lecce; Paolo Faccini, Milano

ricerca iconografica Simone Berti, Firenze; Eliana Gentile, Teramo; Anna Guerrieri, L’Aquila. correzione bozze Luigi Bulotta, Catanzaro;

progetto grafico e illustrazioni studio redazioni, Francesca Visintin, Venezia immagini Simone Berti, Firenze; Roberto Gianfelice, L’Aquila; Ilaria Nasini, Firenze; Eliana Gentile, Teramo; Mariagloria Lapegna, Napoli; Paola Di Prima, Monza; Simone Sbaraglia, Roma, Diana Giallonardo, L’Aquila, Raffaella Ceci, Monza.

abbonamenti e contatti email Luigi Bulotta redazione@genitorisidiventa.org copyright Tutto il materiale scritto dalla redazione è disponibile sotto la licenza Creative Common Attribuzione-Non commerciale-Condividi allo stesso modo 3.0. Significa che può essere riprodotto a patto di citare Adozione e Dintorni - GsdInforma, di non usarlo per fini commerciali e di condividerlo con la stessa licenza. Info: redazione@genitorisidiventa.org Antonio Fatigati, direttore responsabile


di Simone Berti

Uno spazio aperto

editoriale

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A volte occorre che qualche avvenimento ci riporti con una certa brutalità, con fatica e dolore, di fronte a quanto continuiamo a non prendere sufficientemente in considerazione nella nostra vita e in ciò che ci riguarda. Il gesto di Habtamu - il ragazzo scappato a piedi per raggiungere il suo paese d’origine e ritrovato a Napoli spaventato e desideroso di fermarsi - ci spiazza, ci commuove e ci porta a riflettere ancora una volta sui troppi silenzi e le troppe ambiguità di cui spesso possono essere attorniate le storie delle nostre adozioni e le vite stesse dei nostri figli. Silenzi pesanti come macigni, silenzi affiancati da troppe parole, sempre le stesse, banalità ricorrenti, luoghi comuni pronti ad essere usati per ogni evenienza e che spesso funzionano come un denso schermo di retorica e ne coprono altre, più vere, impedendo che vengano dette, udite, ascoltate. Certo l’episodio di Habtamu ha dalla sua la forza del gesto eclatante, dimostrativo, che non è facile ignorare, mettere a tacere. Piuttosto ce ne difendiamo proprio sottolineandone il tratto straordinario come cercassimo di allontanarlo dalla nostra quotidianità intessuta di tanti altri piccoli gesti, segnali altrettanto significativi che però abbiamo l’impressione di riuscire a gestire, contenere, neutralizzare. E’ difficile a volte capire quello che stiamo vivendo. Quanta attenzione e cautela ci vuole per ogni storia che va costruendosi per non ridurla, non banalizzarla e rispettarne la complessità. Troppo alto però è il prezzo che le famiglie pagano nel tentativo di rincorrere il desiderio di un’integrazione rapida nel contesto sociale in cui vivono. Troppa la solitudine in cui si cerca di mettere a tacere una criticità così difficile da sostenere ed affermare. Ogni famiglia adottiva ha il compito di assorbire al proprio interno la storia dei propri figli e questo ci aiuta, ma ancor di più ci costringe, a capire qualcosa di più di noi, di loro, delle nostre storie che si compongono. Spesso siamo proprio noi adulti che non riusciamo a parlare di qualcosa, che non riusciamo a nominare, condividere gli aspetti problematici con cui facciamo i


conti quasi nascondendoci, nella speranza che la tempesta passi, per poter tornare a vivere. Non è facile sostenere il coraggio di dire, di raccontare, di voler ascoltare i bisogni dei bambini e delle bambine, di continuare ad interrogarsi sugli egoismi degli adulti, sulle nostre paure, per togliere un po’ di terreno ai troppi luoghi comuni, alla banalità intorno alla quale ci si accomoda e per non diventare complici delle troppe ingiustizie a cui siamo costretti continuamente ad assistere. Nel 2008 Adozione e dintorni - Gsd Informa pubblicava, prendendo spunto dal caso Etiopia, un’intervista sull’importanza della trasparenza di tutto il sistema adottivo internazionale. Chiudeva in modo brusco lasciando riecheggiare le parole che spesso il mondo degli adulti usa per mettere a tacere la parola di un minore che lo interroga: i bambini ingigantiscono i ricordi. Sì ci sentiamo colpiti, quasi disorientati, indifesi, ma in realtà ciò che ci turba è anche sapere che possiamo avvallare menzogne e tutelare segreti che accettiamo troppo spesso di non sapere, di non guardare e che a volte ci rassicura ignorare finendo per negare ai bambini una storia riconosciuta e accolta. Verso questi bambini, spesso ormai diventati ragazzi, dobbiamo assumerci l’impegno di garantire il rispetto e il riconoscimento che meritano. Adozioni e dintorni è cresciuto col tempo nel tentativo di mantenere uno spazio aperto alla riflessione e all’ascolto, cercando di rispettare la molteplicità dei punti di vista intorno al mondo dei minori e dell’adozione, dando respiro alle domande ma anche facendo vivere emozioni attraverso le storie e i racconti di chi ha voluto condividerle. Continuerà a lasciare la parola ai diversi saperi che prendono posto intorno all’adozione, chiedendo di non chiudersi in un linguaggio specialistico ma di creare una possibilità per ciascuno di ascoltare le differenti indicazioni e chiavi di lettura, anche per raccoglierne i limiti, le incomprensioni e le difficoltà. Il sapere sull’adozione non è un sapere delegabile allo specialista, ma occorre il rispetto di una complessità che spesso trascuriamo soprattutto perché non dovremmo mai permettere che quando ci rapportiamo ai bambini e ai ragazzi si liquidi il loro sapere e le loro domande con uno sbrigativo: I bambini, si sa, ingigantiscono i ricordi!

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“Il 21 Gennaio la sezione di Ancona di Genitori si diventa viene intitolata a Daria. Anche questo numero del nostro notiziario è dedicato a lei. Daria è una bambina, una stella, una luce che ci accompagna. Ringraziamo i genitori che ci permettono questa dedica.”

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polvere di jana

Jana e le dimissioni 8

Ogni creatura ama le sue catene. Questo è il primo paradosso e il nodo inestricabile della nostra natura (Shri Aurobindo). Ed è così che mi ritrovo a commentare insieme a mio figlio quindicenne, recalcitrante ed annoiato, che cosa sono il debito pubblico, lo spread e l’art. 18 a difesa dei lavoratori, nel tentativo di fargli recuperare una sufficienza in diritto, mentre vorrei tanto fare una corsa in spiaggia con il mio amato fratello-amico cane. Per spiegare come siamo arrivati a tutto questo, occorre fare un passo indietro nel tempo, fino a quando mi sono trovata a scegliere se fosse meglio avere un rimorso o un rimpianto ed ho scelto il rimorso, lasciando “i voti” da fata, la bacchetta di ciliegio e la magica polverina d’oro che unisce i sogni e la vita di bimbi e mamme

che altrimenti non s’incontrano. Diversi anni fa (misura di tempo terrestre), mi sono innamorata di un umano, e questo per le mie sorelle fate è di per sé delittuoso ed inaccettabile, e per di più ho deciso di sposarlo e di avere con lui dei figli e questo è per la legge del mio ex-mondo assolutamente vietato. Le “care” fanciulle-sorelle (anche se non posso biasimarle) mi hanno imposto una scelta: o loro e i miei poteri e l’immortalità o l’amore e con l’amore una vita “tristemente” normale. Come dicevo prima mi sono innamorata. Lui era bello, alto e dolce. Le sue mani e la sua voce calda mi hanno incantata e lui perdeva letteralmente i suoi occhi dentro i miei. Quando le mie sorelle–fate si sono riunite in TdF (Tribunale delle Fate) ed hanno deciso di estromettermi

dal mondo magico, non ho potuto fare altro che accettare la loro decisione e se pur con lacrime nascoste e a stento trattenute, ho consegnato loro i miei poteri e la mia ex vita, le ho salutate sostenendo il loro sguardo addolorato e pieno d’amore, ma la decisione era stata ormai presa e niente e nessuno avrebbe potuto farmi cambiare idea. Attraverso un paradosso spazio-temporale, originato dall’apertura di un portale speciale, sono stata catapultata nel mondo caotico del XX secolo, il tempo si è contratto e gli anni sono passati come se li avessi realmente vissuti da essere umano. In un lampo ho avuto il marito che volevo. Il resto è stato un pochino più difficile. “L’incrocio biologico” fra uomo e fata non prevede la possibilità di generare figli, se non attraverso


una particolare dispensa che non avevamo. Per diventare genitori abbiamo seguito una trafila burocratica al limite di sopportazione dell’umana-fatesca pazienza: abbiamo dovuto preparare una marea di documenti e bollarli e vistarli, abbiamo sostenuto visite e controlli previsti dalla legge e solo la voglia e la determinazione di due ostinati come noi, ci ha permesso di raggiungere il risultato: due adorabili, rompissimi figli. Siamo andati a prenderceli in una terra lontana, in uno di quei paesi che tante volte avevo visitato per portare avanti le mie missioni da fata. Abbiamo ripercorso in due le stesse emozioni, salito gli stessi consunti gradini, aspettato davanti a porte chiuse con lo stesso batticuore finchÊ, finalmente, abbiamo incontrato i nostri figli. Non so se l’immaginazione mi ha giocato qualche scherzo, ma ho avuto la sensazione che sulle ciglia dei miei bambini ci fosse della polverina d’oro. Le mie sorelle, forse, hanno voluto farci un ultimo regalo‌ ed io non ho perso le speranze di rivederle un giorno. Jana (Anna Ester Davini)

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psicologia e adozione

Francesca Cananzi psicologa psicoterapeuta

Assieme a chi adotta

Il lavoro di un gruppo di auto-mutuo aiuto di genitori adottivi 10

Il progetto spezzino di sostegno alle famiglie in fase di post-adozione ha preso le mosse nel giugno 2007 con la presentazione, da parte dei Servizi Sociali del Comune e dell’ASL 5 di La Spezia, del percorso di auto-mutuo aiuto previsto per le coppie che avevano da poco adottato un minore.

La realizzazione del progetto comprende il territorio dei comuni del Distretto Sociosanitario 18 “Spezzino” (Comuni di Lerici, La Spezia e Portovenere) e del Distretto Sociosanitario 17 Riviera Val di Vara (Comuni di Bolano, Beverino, Bonassola, Borghetto di Vara, Brugnato, Calice al Cornoviglio, Carrodano, Deiva Marina, Follo, Framura, Levanto, Monterosso al Mare, Pignone, Riccò del Golfo, Riomaggiore, Rocchetta di Vara, Sesta Godano, Vernazza, Zignago). Le famiglie destinatarie sono residenti nei comuni dei due Distretti, hanno già un bambino adottivo all’interno del proprio nucleo familiare, sono interessate ad approfondire i temi attinenti all’adozione internazionale e vogliono condividere la propria esperienza con altre coppie in una dimensione di

gruppo. Il progetto prevedeva: “Gruppi di sostegno al nuovo nucleo familiare come aiuto alla crescita della famiglia adottiva, in considerazione del nodo critico dell’adozione legato alla duplice appartenenza del bambino al quale vengono trasmessi cura ed affetto, insieme al patrimonio famigliare, pur nel riconoscimento della sua diversa appartenenza biologica, etnica e culturale.” Gli incontri sono stati da me condotti affiancata da un’assistente sociale dell’equipe adozioni; si sono svolti nell’arco di quasi due anni, una volta al mese, per un totale di circa venti, della durata di due ore. La co-conduzione da parte di due figure differenti ha reso possibile un confronto continuo e reciproco fra i due operartori, e si è co-


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za purtroppo, i due gruppi sono stati accorpati per non disperdere risorse. Le finalità del progetto risiedevano nella proposta di utilizzare lo spazio-tempo del gruppo come luogo di confronto esperienziale di genitorialità differenti, che si andavano formando in un percorso continuo di crescita. L’identità genitoriale è un processo attivo, sia affettivo che cognitivo, della rappresentazione di sé; lo scopo quindi di narrare ciascuna storia era di dare continuità soggettiva alla rappresentazione di sé di ciascuno, che passava da coppia coniugale a coppia genitoriale, nell’ottica sia di una riappropriazione dei propri vissuti che di una risorsa di potenziamento per il gruppo.

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Molti genitori avvertivano il desiderio di uscire dall’ombra, da una sorta di isolamento inizialmente vissuto come protettivo forse, ma che, col tempo, costituiva una sorta di gabbia che in realtà imprigionava e distanziava.

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stituita come esperienza di crescita e apprendimento anche per noi, caratterizzate da specificità professionali che in quel momento collaboravano e interagivano col gruppo in modo unitario, ma, appunto, specifico per competenze. Ci siamo inoltre avvalse della collaborazione dei numerosi centri per anziani distribuiti sul territorio della nostra città, che, in accordo con i Servizi, fornivano volontari (i “nonni”) per gestire i bambini nelle stanze del Centro Famiglie adiacenti a quella in cui si svolgevano gli incontri. Inizialmente le coppie convocate, essendo numerose, sono state divise in due gruppi, in base all’età dei bambini; in seguito, visto il decrescere dell’affluen-

Altra finalità che ci siamo proposti è stata quella, a livello familiare, di sostenere e rafforzare la famiglia nelle fasi critiche del suo ciclo vitale, di favorire i legami di attaccamento e di appartenenza, mentre,


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a livello sociale, la creazione di rapporti collaborativi fra genitori che si interfacciassero con i Servizi, le scuole e il territorio nella forma che preferivano; questo ha consentito e credo agevolato la nascita del punto informativo spezzino di Genitori si Diventa. Le coppie partecipanti, grazie anche ad alcune individualità particolarmente portate alle esperienze di gruppo e condivisione, hanno dimostrato fin dall’inizio molto interesse ed hanno partecipato attivamente alla discussione. Parallelamente, invece, alcune famiglie non sono

riuscite a condividere la loro esperienza, anche per problematiche forse legate al confronto tra bambino ideale e bambino reale, che ha acceso conflitti interni alla famiglia affrontabili solo individualmente con il Servizio. Il gruppo si disponeva in cerchio, con le due conduttrici inserite al pari degli altri membri all’interno del circolo narrante: questo tipo di struttura conferiva al gruppo una caratteristica non solo formale, ma anche sostanziale di contenimento dei pensieri, delle emozioni, dei dubbi e delle ansie di ciascun par-

tecipante. In questa modalità si è andato definendo abbastanza presto un “cuore” del gruppo, inteso sia come coppie che frequentavano gli incontri con assiduità, sia inteso come apporto emotivo, caldo, all’interno di ogni incontro. Molti genitori avvertivano il desiderio di uscire dall’ombra, da una sorta di isolamento inizialmente vissuto come protettivo forse, ma che, col tempo, costituiva una sorta di gabbia che in realtà imprigionava e distanziava. Parecchi hanno manifestato fin dall’inizio il desiderio


denziavano la difficoltà della “presa in carico” di certe tematiche; hanno poi preso molto spazio i racconti dei viaggi e degli orfanotrofi, i vissuti legati al primo incontro con il bambino, che fin dal primo abbraccio senti come tuo, ma anche con gli altri bambini degli Istituti che purtroppo con era possibile salvare da quelle realtà di abbandono. Le difficoltà poi incontrate in alcuni Paesi stranieri più che in altri, la gioia del rientro “in tre” (o in quattro). Durante questi racconti, ciascun membro del gruppo diventava, nella narrazione del

proprio vissuto, il protagonista della propria storia facendo così esperienza diretta del potere trasformativo della narrazione.

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l’adolescente tenta di definirsi per contrasto, i genitori vivono spesso dolorosamente il processo di separazione e di accettazione del proprio figlio come “altro da sé”.

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di incontrarsi, di confrontarsi e di percorrere un cammino di condivisione della stessa esperienza adottiva. Condivisione intesa proprio come narrazione, come racconto di una propria esperienza interna, fatta anche di “lutti”, di attese e di senso di perdita, di discriminazione e di difficoltà. Non sono mancati certo i dubbi e le domande circa i ricordi dei bambini rispetto alla loro storia, rispetto a come sarebbe stato il tanto temuto momento della “rivelazione” e alle modalità con cui sarebbe meglio avvenisse. Argomenti questi che evi-

Durante alcuni incontri sono emersi, infatti, i vissuti di “vuoto” che la geni-

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parazione e di accettazione del proprio figlio come “altro da sé”. Naturalmente il già complicato percorso di differenziazione accentua vissuti di rifiuto e di messa in discussione del rapporto genitori-figli in famiglie in cui si è già sperimentato questo tipo di realtà emotiva. In questo caso il gruppo, dopo un primo momento di smarrimento rispetto ai gravi episodi narrati, ha ben funzionato negli incontri successivi da contenitore emotivo, affiancandosi al lavoro della terapeuta che seguiva il ragazzo. Attraverso anche l’uso di simboli, ci si è poi resi conto di quanto non basti essere motivati e convinti della propria scelta adottiva: l’arrivo del bambino testa anche la tenuta della coppia, come del resto anche nella genitorialità naturale, non solo nella dimensione nucleare ma anche a livello trigenerazionale, all’interno cioè delle rispettive famiglie di origine. Una grossa parte della discussione, richiesta dalla maggior parte dei presenti, è stata incentrata sul rapporto con la scuola. Non mi dilungo per motivi di spazio e di tempo, ma mi pare chiaro che la diffusione della realtà adotti-

va non corrisponda ad altrettanta preparazione ed attenzione ad affrontare il tema educativo e formativo con questi bambini da parte delle Istituzioni scolastiche. In più di un’occasione sono stati richiesti dalle insegnanti certificati che attestassero una qualche forma di disturbo di apprendimento, o diagnosi funzionali che sancissero un ritardo psicofisico che richiedesse sostegno. Con troppa difficoltà gli occhi compassionevoli di chi guarda queste famiglie come ammirevoli, per il gesto caritatevole compiuto nei confronti di bambini sfortunati, si traducono in sguardi grintosi di chi vuol capirci davvero qualcosa di adozione e genitorialità adottiva, documentandosi, leggendo, chiedendo informazioni in chiave non discriminatoria ma assolutamente costruttiva.

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la diffusione della realtà adottiva non corrisponda ad altrettanta preparazione ed attenzione ad affrontare il tema educativo e formativo con questi bambini da parte delle Istituzioni scolastiche.

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torialità naturale negata genera, così come l’ansia e la preoccupazione per molti di come e quando affrontare il vissuto di “vuoto” che il bambino adottivo porta con sé nella sua esperienza di abbandono. Alcuni dei presenti hanno portato a questo proposito le loro esperienze personali. Dedicare tempo e spazio, non solo in senso simbolico, a questo tipo di coloritura emotiva ha permesso di parlare forse più realisticamente, credo, dell’esperienza di amore e accoglienza che le storie di queste famiglie oggi testimoniano. Negli incontri iniziali, oltre alla fase di presentazione e di conoscenza, il gruppo ha disquisito sulla genitorialità adottiva quale genitorialità specifica, diversa da quella biologica, caratterizzata quindi da aspetti peculiari ed esclusivi. In una particolare fase di difficoltà esplicitata da una famiglia, in rapporto al proprio figlio adolescente, il gruppo ha accolto il tema dell’attacco alle figure genitoriali: come sappiamo nell’adolescenza e nella pre-adolescenza questo fenomeno è fisiologico; l’adolescente tenta di definirsi per contrasto, i genitori vivono spesso dolorosamente il processo di se-


A proposito dell’identità etnica, che è uno degli ostacoli che i bambini incontrano e che impattano ovviamente sulla realtà scolastica, una coppia di genitori di bambine più grandi, ha sentito l’esigenza di parlare della loro esperienza di genitori con due sorelline che hanno affrontato questo delicato passaggio in maniera del tutto differente: una, non a caso la più piccola, si è quasi completamente identificata con il patrimonio culturale dei propri genitori adottivi, proclamando la propria italianità, quasi dimenticando la lingua madre. La più grande invece, ha vissuto un processo di identità etnica che si definisce “separata”, riferendosi quasi esclusivamente alla propria realtà d’origine e manifestando alcune iniziali difficoltà scolastiche, soprattutto causate dal non voler abbandonare la propria lingua madre. Questo processo si è poi evoluto in una realtà individuale del tutto integrata. Dunque, cos’è l’adozione? L’adozione è inizialmente un progetto che si trasforma in un percorso che conduce la coppia coniugale alla creazione di uno spazio riservato alla genitorialità, popolato di desi-

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deri, aspettative, fantasie e paure, sia legate al bambino che arriverà, sia legate a se stessi come futuri genitori, includendo anche un livello sociale. Questo non è molto diverso dai vissuti che ad esempio ho provato io come mamma; l’elemento distintivo credo che stia nell’accoglienza non solo di una nuova vita, alla quale dedicarsi per garantire stabilità, serenità, accudimento ed educazio-

ne, ma accoglienza anche del dolore per l’abbandono. Solo quando la famiglia adottiva, adeguatamente sostenuta, riesce ad interfacciarsi e ad accogliere questo dolore, riuscirà a restituirlo ai figli in modo tollerabile, attraverso la narrazione della loro storia fin dalla nascita. Sarà quello il momento in cui si diventa davvero genitori!


salute e adozione

Giuseppina Veneruso pediatra

Screening tubercolare

nel bambino adottato proveniente dall’estero 16

TUBERCOLOSI È una malattia endemica in molte regioni del mondo e costituisce un problema di salute pubblica nei Paesi in via di sviluppo. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità contagia ogni anno più di 9 milioni di persone e ne uccide oltre 1 milione e mezzo. Circa un terzo della popolazione mondiale è infettata e potrebbe sviluppare la malattia nelle fasi successive della vita.

Fra le zone ad alta endemia figurano tutti i paesi dell’Est Europeo: Ucraina, Bielorussia, Slovacchia, Lettonia, Lituania oltre ad Africa, India e Sud – Est Asiatico, sono questi i paesi da dove proviene il maggior numero dei bambini adottati. Al momento dell’arrivo in Italia è molto importante, perciò, identificare attraverso esami di screening se i bambini sono affetti da malattia tubercolare conclamata o dalla forma latente, per poter intervenire in ma-

niera adeguata in un caso o nell’altro. Il Mycobacterum Tubercolosis o bacillo di Koch dal nome del suo scopritore responsabile dell’infezione si diffonde per contagio da persona a persona attraverso l’aria, il batterio può attaccare ogni parte del corpo, ma, di solito si localizza nei polmoni. La diffusione avviene solo se l’ammalato è affetto da una forma “aperta”, la parte malata deve essere cioè in comunicazione con l’esterno, di solito è l’adulto


malato la fonte del contagio. Quando si ammala un bambino vuol dire che c’è un adulto che diffonde il batterio. Il contagio avviene attraverso l’esposizione prolungata con un adulto che presenta lesioni polmonari cavitarie, può essere un familiare, una baby sitter, un insegnante o un custode nella scuola; nei paesi ad alta diffusione è più facile perciò contrarre l’infezione per la presenza di molti adulti malati non ancora diagnosticati e quindi non curati. Il sistema immunitario dell’organismo, dopo il contagio, si mobilita per porre il germe sotto controllo ed impedirne la crescita, se riesce a bloccare l’infezione si parla di infezione latente, in questo caso i bacilli tubercolari si trovano allo stato inattivo a livello dei polmoni, ma in

circostanze di particolare stress possono moltiplicarsi e provocare una malattia attiva. Nell’arco della vita, se si verifica un indebolimento delle difese immunitarie per un qualunque motivo (periodi di particolare affaticamento, malattie debilitanti), si può assistere alla trasformazione della forma latente in forma attiva. Nel bambino rispetto all’adulto più frequentemente si può assistere al passaggio dalla forma latente alla malattia conclamata, più a rischio sono i bambini sotto i 6 anni e gli adolescenti. Particolare importanza riveste perciò l’identificazione dei bambini con infezione latente per poter “rinforzare” l’azione del sistema immunitario con una terapia profilattica, per bloccare la moltiplicazione dei bacilli tubercolari ed impedire la trasformazio-

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ne in malattia. L’avvenuta infezione può essere verificata attraverso il test di Mantoux: l’intradermoreazione di Mantoux o reazione alla tubercolina si esegue iniettando per via intradermica 5 UI di proteine purificate (PPD) di M. tuberculosis sull’avambraccio: se dopo 48-72 ore si forma un infiltrato, il medico in base al diametro di questo potrà considerare il test positivo o negativo. Nel caso di positività è opportuno attraverso una radiografia del torace escludere la forma di malattia attiva, se non ci sono lesioni polmonari, si parla di Tubercolosi Latente.

In tal caso è importante somministrare una terapia profilattica, di solito con Isoniazide per 6-9 mesi o Isoniazide e Rifampicina per 3 mesi, questo protocollo è utilizzato specialmente per i bambini che provengono da zone dove si rilevano alte resistenze ai farmaci antitubercolari. In caso di sospetto di forma attiva per presenza di lesioni polmonari specifiche si completa l’iter diagnostico e terapeutico. Molti sono gli interrogativi che i genitori esprimono nella fase degli accertamenti: il più frequente è quello relativo all’efficacia della vaccinazione. Di solito i bambini che proven-

gono da questi paesi ad alta endemia sono vaccinati con B.C.G. (vaccino di Calmette–Guerin) alla nascita, tale dato emerge frequentemente dalla documentazione o in assenza di questa è testimoniato dalla presenza della cicatrice “scar “ sul deltoide, i genitori si domandano come mai se il bambino è stato vaccinato ha contratto l’infezione. E’ importante che sappiano che tale vaccinazione è efficace nel 70% delle forme più gravi, come meningite, miliare tubercolare, ma non impedisce l’infezione. Un’altra obiezione comune, non solo da parte dei genitori, ma a volte anche da parte dei


pediatri, è quella relativa alla possibilità che il vaccino fatto alla nascita falsi la lettura della Mantoux. In alcuni casi è importante poter discriminare anche attraverso un ulteriore test su sangue, il test del Quantiferon che non risente di interferenze legate ad altri fattori come nel caso della Intradermoreazione di Mantoux. Sarà il medico specialista a valutare, ad interpretare i risultati e ad indicare la necessità di una profilassi. Al momento in cui si ac-

certa la positività della Mantoux, sorge spontanea la domanda circa la possibilità che il bambino possa contagiare altri. In questo caso è importante tranquillizzare i genitori: il bambino non è malato e quindi non può trasmettere la malattia. Al momento poi di iniziare la terapia profilattica c’è la preoccupazione che la somministrazione di antibiotici possa procurare effetti collaterali. Nel bambino, più raramente rispetto ai pazienti adulti, si può verificare un’alte-

razione della funzionalità epatica evidenziabile con aumento delle transaminasi, che però regredisce rapidamente dopo la sua interruzione ed è per questo motivo che nel corso della terapia si effettuano ripetuti esami ematologici di controllo. Chiariti tutti i dubbi, è importante che i genitori accolgano la proposta di sottoporre il bambino a terapia profilattica per proteggere la sua salute di adulto di domani.

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psicologia scuola e adozione

Anna Guerrieri Presidente di GSD

Ragazzi e ragazze a scuola: vogliamo iniziare a parlarne?

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Alcune riflessioni sul tema dei ragazzi adottati nella scuola secondaria senza ambizioni di dire nulla di fondamentale

Estraggo da L’Adoption: Guide a l’intention des enseignants pubblicata da EFA France il seguente interessante brano:

“Mia figlia ha avuto della difficoltà a partire dalla seconda media e ha lasciato il sistema scolastico all’ultimo anno della secondaria di primo grado, senza alcun diploma. Manifestava un disinteresse profondo per tutto e rifiutava ogni apprendimento. “Avevo un po’ troppe cose in testa”, dice. I professori non hanno supportato l’inerzia di mia figlia che rifiutava ogni partecipazione alle lezioni. Era in piena rivolta: “ non faccio niente, mi deprimo”. Mamma di une ragazza nata in Francia nel 1984 adottata nel 1985

Si tratta di un periodo indefinito, i cui contorni non sono focalizzati. In più, l’adolescenza non si situa nello stesso momento della crescita, a seconda che si tratti di un ragazzo o di una ragazza. Generalmente tutti gli adolescenti vivono un periodo difficile e di grandi cambiamenti. Alle difficoltà dovute ai mutamenti fisici e psichici, possono aggiungersi, per gli adottati, degli interrogativi loro specifici. E’ al momento dell’adolescenza che sorgono spesso, anche per quelli che hanno intessuto legami molto forti con la loro famiglia adottiva, delle domande sulle loro origini, la loro famiglia di nascita, la loro storia e le ragioni del loro abbandono. Questi interrogativi si ac-


compagnano a volte con comportamenti a rischio ma anche con un disinvestimento scolastico che può portare alla sconfitta, malgrado le capacità molte buone. “Malgrado le sue capacità, mia figlia ha ripetuto gli ultimi due anni delle scuole medie in seguito ad un periodo di malessere con ripercussioni sui risultati scolastici, attualmente lavora come receptionnist.” Mamma di una ragazza nata nello Sri-Lanka nel 1981 e adottata lo stesso anno.

Nello sportello dedicato alle domande sulla scuola nel sito di Genitori si diventa, arrivano periodicamente domande che riguardano ragazzi preadolescenti e adolescenti e si parla di difficoltà scolastiche che

si riverberano seriamente sulla tenuta dei rapporti famigliari. Eppure, non è facile trovare lavori che si occupino dell’inserimento e del benessere scolastico dei ragazzi e delle ragazze adottati nella scuola secondaria (media e superiore). D’altra parte, quando si parla di scuola e adozione, una delle criticità principali riguarda il momento (o il periodo anche fatto di alcuni anni) in cui la famiglia adottiva si sta formando. Il tempo delle medie e delle superiori si riferisce invece ad una situazione in cui la famiglia è già formata da tempo e i legami e le relazioni famigliari hanno già avuto una loro definizione. Si tratta di una tappa cui i ragazzi arrivano in genere dopo aver già avuto “una vita” nel sistema scolastico italiano. Tuttavia le cose sono complesse per vari

motivi. Prima di tutto, è ben noto che arrivano in adozione sempre di più bambini e bambine relativamente grandi (e questo vale sia per l’adozione internazionale che per quella nazionale ormai). A volte si tratta di bambini che rapidamente transitano dalla scuola primaria alla scuola secondaria semplicemente perché hanno 10-12 anni al momento dell’adozione. In generale questi bambini vengono inseriti in una classe differente da quella di competenza anagrafica per tutte le necessità di decompressione, di attenzione alle esigenze emotive ed affettive che noi genitori adottivi ben conosciamo. Tuttavia richiede una riflessione il fatto, che sebbene un inizio dolce sia necessario, di fatto poi ci si confronta con bambini che

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possono avere 13 anni in una quinta elementare o 15 anni e più in una terza media. Come tutte le cose delicate questo è un dato che non può venire sottovalutato per il benessere dei ragazzi adottati. Non si può distogliere lo sguardo. Va sottolineato come tutto questo sia ancor più complesso per quei bambini che vivono una dimensione di età incerta e presunta, che spesso sanno di avere 2 o 3 anni di più dei compagni di classe e che vivono una realtà di incertezza rispetto al riconoscimento della propria età anagrafica. E’ molto complicato per le famiglie e per i ragazzi metabolizzare queste situazioni e la sensazione è che la cosa non possa es-

sere ignorata. Va tenuta in conto e in mente. Inoltre l’esperienza di tante famiglie adottive, ma anche una crescente bibliografia sull’argomento, segnalano l’adolescenza come una fase critica per i ragazzi adottati. L’adolescenza è sempre critica. Lo è stata per noi, lo è per i nostri figli ed è normale che sia così. Adolescere significa svilupparsi, sbocciare ad una vita nuova, la vita adulta. Significa, in qualche modo, ridefinirsi e rinascere a partire da un passato, l’infanzia, che pur non scomparendo, di fatto si lascia alle spalle. Ha dunque a che fare con il nascere ed il perdere, con il disegno di una nuova identità realizzato non soltanto assieme ai genitori, ma

nonostante loro, facendo i conti con chi si è, con chi si pensa di essere, e con chi gli altri, gli amici, gli adulti, pensano che noi siamo. Credo ci siano poche tappe nella vita così intense e sconvolgenti come l’adolescenza, età di meraviglia, scoperte, trasgressioni, segreti, bugie, affermazioni, sessualità, sensualità, amicizia, amore, velocità, paure, rischi. Forse dimentico qualcosa, anche di importante. D’altra parte parlo da madre e non ho l’ambizione di comprendere né la mia adolescenza né quella dei miei figli. Ho vissuto la mia, vivo quella dei miei figli e cerco di sopravviverle! Detto questo, la mia frequentazione di tante famiglie anche adottive mi ha


di tanti ragazzi (allontanarsi dalla scuola, uso di sostanze, furti, difficoltà a tenersi dentro un ambito di regole adulte pur nelle dovute sperimentazioni, ansia, ecc.), diventano, per troppe famiglie adottive, fonte di crisi famigliari intense e pesanti, crisi spaccanti. La scuola naturalmente non può essere chiamata a delle responsabilità come davanti a quei bambini appena arrivati in famiglia tramite un’adozione. Sarebbe assurdo ed anche dannoso per i nostri ragazzi che devono imparare soprattutto a stare sulle proprie gambe e che non possono essere amputati delle proprie responsabilità. Tuttavia resta la percezione che serva una riflessione, anche assieme alla scuola, sull’adozione e sugli alunni adolescenti. Certamente ha a che fare, come sempre, col sapere cosa sia l’adozione in se, e più appropriatamente con cosa significhi crescere adottati. Non sono certamente pochi gli insegnanti stessi che si confrontano con la realtà di ragazzi e ragazze adottati che magari parlano delle proprie famiglie e dei propri pensieri rispetto alle famiglie di origine (questo è solo un esempio basato su esperienze reali).

E’ poi importante che la scuola rifletta sulle situazioni che si pongono per i ragazzi adottati, quando l’età anagrafica non corrisponde, in maniera massiccia, all’età della classe d’inserimento.

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Tuttavia resta la percezione che serva una riflessione, anche assieme alla scuola, sull’adozione e sugli alunni adolescenti.

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portato a notare una densità di momenti critici, anche legati al percorso scolastico. Nel passaggio tra le medie e le superiori scopro che mentre avere un figlio di 9 anni in seconda elementare ha un significato, averne uno di 13 in prima media ne ha un altro. Nel passaggio alle superiori, la scelta dell’indirizzo di studi risulta più delicata e complessa, anche nel desiderio delle famiglie di evitare ulteriori scivolamenti in avanti, che non sono banali per chi di anni ne ha già 15 o 16. I genitori si confrontano con le proprie aspettative, con i propri desideri, con quelli dei figli, con le realtà dei figli, con le realtà del tessuto sociale, con la necessità di equilibrare varie realtà, scontrandosi poi con un sistema scolastico italiano piuttosto rigido in cui la scelta della scuola superiore spesso determina scelte successive in maniera molto più deterministica di quanto succeda in altri paesi o di quanto si creda. Non si è quindi così liberi di scegliere come si vorrebbe tra i vari indirizzi messi sulla carta e non sono poche le famiglie che optano decisamente per scuole private. Inoltre, le crisi cui possono andare soggetti i ragazzi, pur essendo simili a quelle

Ed infine è sempre necessario che la scuola sia parte di una rete attiva attorno ai ragazzi, che sappia che i ragazzi possono essere accompagnati (e capita sempre più spesso) da sostegno, o da una rete di servizi e operatori che può aver bisogno di dialogo con gli insegnanti. Mi è noto che esperienze di dialogo sul tema dell’adozione nella scuola secondaria (media e superiore) stanno timidamente iniziando. Penso che sia arrivato il momento in cui sia sempre più urgente, sia individuare i punti realmente critici e veramente inerenti al mondo scolastico (senza trasformare l’adozione in una categoria a parte e sempre un poco patologica), sia parlarne e scriverne.

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Marta e Alberto

Voglio fare la piccola

Emozioni dal Blog di Marta e Alberto su Radiomamma.it “Voglio fare la piccola”. E si accuccia tra le mie braccia succhiando il dito, chiudendo gli occhi e imitando sommessamente il pianto di un neonato. L’assecondo. Penso a volte che il fatto che nel suo primo anno di vita (tanto? poco? non so…) sia stata raramente presa in braccio le abbia moltiplicato il desiderio di contatto fisico. Quando l’ho conosciuta si è abbarbicata a me e non si è voluta più scollare per parecchi mesi. E ancora oggi, che ha quasi quattro anni, le piace fare la mia piccola ombra. Quello che raccontano molte mamme adottive l’ho provato: i primi tempi non potevo neanche lavarmi senza che il piccolo koala aderente protestasse… Ad altre è accaduto l’esatto contrario. Nel primo lungo, eterno periodo il bimbo non vuole essere toccato proprio da nessuno o si

affeziona magari solo al papà, sollevando questioni amletiche di identità nelle neo-mamme, che non vedevano l’ora di riversare baci e carezze sul figlio tanto desiderato. E comincia così un percorso lento di avvicinamento a tappe. L’attaccamento è affare complicato per bambini dal passato difficile. Ed esige infinita pazienza ed equilibrio da adulti che devono sperimentare altri codici per entrare in relazione, come il gioco, e imparare ad aspettare, come accade al Piccolo Principe con la volpe nel racconto di Saint-Exupéry. A volte mi chiedo come avrei reagito se fossi diventata madre di bambini più grandicelli. Bimbi che sono anagraficamente più grandi (anche 7-8-9 anni), ma che spesso regrediscono una volta entrati

in famiglia, si mettono a succhiare, tornano a bagnarsi, cercano il lettone se non addirittura il seno materno.

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A volte mi chiedo come avrei reagito se fossi diventata madre di bambini più grandicelli.

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E spiazzano i genitori, impacciati nel gestire una corporeità così invadente. Io sono geneticamente programmata per le coccole: ne ho ricevute tante da bambina, mi hanno fatto diventare grande, non sarei stata avara di abbracci neanche con un figlio nato dalla mia pancia. Certo è che l’adozione giustifica i miei eccessi… Con la fatica poi – tutta mia – di accettare che i miei bambini ad un certo punto non ne


vogliano proprio più sapere delle mie smancerie. Quando mio figlio di otto anni rifiuta decisamente la mia mano per strada, preferisce le sue attività alla mia compagnia, mi

regala a stento un saluto all’uscita di scuola… ripeto tra me e me le parole di una cara amica psicologa: “Se non si staccano, si appiccicano. E non diventano grandi,

non nasce l’autonomia, il pensiero!”. Ma quanto è difficile vederli crescere… Così difficile, così emozionante.

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giorno dopo giorno

Una storia di adozione - Parte II 26

Nei primi mesi dopo il nostro arrivo in Italia risulta subito chiaro che non è sufficiente la presenza in casa solo della mamma in congedo per maternità, per cui decido di prendere tre mesi di aspettativa, fortunatamente concessa dalla allora recente legge sulla paternità. Questi mesi passano con crisi quotidiane, soprattutto serali e al risveglio. Memori di quanto ci aveva detto la psicologa con cui avevamo fatto i colloqui per la domanda di adozione, che ci aveva sollecitato a interessare i servizi sociali per ogni eventuale futura difficoltà post-adottiva, ci rivolgiamo all’assistente sociale (diversa da quella con cui avevamo avuto i colloqui pre-adozione): una ragazza giovane che, sentito il nostro racconto, ci assicura che preparerà al più presto una relazione da presentare al TdM, primo passo per ottenere

un supporto dai servizi sociali. Tuttavia i tempi prospettati, per quello che intendiamo, non sono comunque brevi per cui, memori anche dei consigli della psicologa colombiana, che ci aveva consigliato di fornire subito a Laura un supporto psicologico non appena tornati in Italia, incominciamo a muoverci per trovare un primo appoggio rivolgendoci al privato. Laura inizia così un percorso con un’ottima psicomotricista che la segue tutt’oggi e con cui si verrà a instaurare un rapporto assai proficuo e che a poco a poco porterà a superare negli anni molte difficoltà. Noi, come genitori, incominciamo un percorso con una brava psicologa che, oltre a coordinare la psicomotricista, ci aiuta e ci consiglia su come cercare di affrontare al meglio (anche praticamente) le problematiche che man mano si vengono a presen-

tare: dal suggerirci di utilizzare un grosso cuscino come protezione reciproca durante le crisi violente di Laura, all’usare delle palline di spugna per cercare di introdurre oggetti inoffensivi ma ugualmente utili a sfogare la rabbia di quei momenti. Per capire meglio in cosa consiste la psicomotricità, disciplina a me ignota fino ad allora, io stesso decido di seguire uno “stage” pratico di tre giorni, benché fosse generalmente rivolto a psicologi, assistenti e operatori sociali. Il fatto che fosse tenuto dalla stessa psicomotricista che segue Laura è un motivo in più che m’induce a frequentarlo, sebbene la mia posizione iniziale fosse abbastanza scettica. Scopro invece un modo veramente unico di “analisi”, mediata attraverso situazioni che richiedono un coinvolgimento fisico oltre che psicologico. Esco con un giudizio assai


positivo da questa esperienza intensa (8 ore per 3 giorni consecutivi) seppur breve: sebbene generalmente utilizzato con i bambini dove non è pensabile affrontare un percorso diretto di psicoanalisi, sperimento gli evidenti risultati su me stesso e sugli altri partecipanti. I momenti di confronto collettivo che seguono ciascuna “esperienza” di motricità proposta, sanno “tirar fuori” in ciascuno aspetti del proprio vissuto, sentimenti, timori e ricordi che non mi sarei mai aspettato! Lo scetticismo iniziale svanisce per lasciar spazio alla convinzione che quella fosse una delle strade più appropriate per aiutare Laura a rivivere e affrontare i suoi vissuti, tanto più essendo lei una bambina vulcanica e particolarmente dotata a esprimersi con il proprio fisico. Infatti, a meno di quattro anni sapeva già arrampicarsi sugli alberi, sa-

lire sulle pertiche e saltare giù da altezze tre volte la propria statura: insomma, il terrore di molte delle nonne che incontravamo ai giardinetti cittadini in quanto, vedendola, gli altri bimbi volevano cercare di imitarla! Ritornando alla richiesta di un supporto da parte dell’ASL, la relazione per il TdM della giovane assistente sociale (probabilmente anche questa troppo dettagliata e puntuale per la finalità e visto il destinatario) era riuscita a distanza di tempo solo a farci giungere a casa un’ingiunzione del TdM che metteva in forse le nostre capacità genitoriali e quindi la nostra patria podestà. Oggi a distanza di anni ci viene quasi da ridere ripensandoci ma, credeteci, l’arrivo di quella raccomandata fu per noi un nuovo fulmine a ciel sereno. Ricontattato l’av-

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vocato già anni addietro interpellato per il ricorso, scritte le relazioni da parte di psicologa e psicomotricista che da mesi ormai seguivano Laura, affrontiamo, questa volta presentandoci personalmente, il colloquio con un giudice che fortunatamente si conclude positivamente per noi … con anzi, nella sua relazione finale, un rimprovero verso chi, per eccesso di garantismo e senza particolari indizi, con leggerezza aveva dato inizio al provvedimento nei nostri confronti. Veniamo quindi finalmente assegnati ad una psicologa dell’ASL che si occupava specificatamente di famiglie adottive e con la quale riusciamo finalmente ad avere un ottimo rapporto di reciproca comprensione. I rapporti con lei proseguiranno anche oltre a quelli “richiesti” dal TdM e conserviamo ancora oggi un buon ricordo anche degli incontri mensili tra famiglie adottive da lei organizzati per confrontarsi e parlare dei propri problemi. Sicuramente l’appoggio di psicologi e l’aver partecipato a questi e altri incontri tra famiglie adottive, ci ha aiutato a superare momenti difficili. Un consiglio sentito è quindi quello di aprirsi a queste forme di confronto che aiutano anche solo a scoprire che alcuni problemi (es. quelli


più mi capisce! Perché mi avete portato via dalla mia Colombia!”. Durante quelle crisi di disperazione scatenate in parte dalle paure della notte, a nulla serviva cercare di rassicurarla dicendole che le avremmo fatto imparare lo spagnolo quando sarebbe andata a scuola o che saremmo andati in vacanza tutt’insieme in Colombia negli anni a venire. A nulla sarebbe neanche servito metterla di fronte al fatto che, quando l’avevamo conosciuta (seppure comprendesse lo spagnolo) il suo vocabolario parlato era limitato a meno di un centinaio di parole, raramente collegate in frasi compiute, nonostante avesse già tre anni e mezzo. Pochi sono stati i momenti di richiamo esplicito al suo passato e anche solo il nominare la sua famiglia affidataria spesso la infastidisce.

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E come faccio ora io. Non so più parlare spagnolo. Se torno in Colombia nessuno più mi capisce! Perché mi avete portato via dalla mia Colombia!

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scolastici relativi alla concentrazione) non sono solo i nostri […] ed accettare i consigli, aprendosi a cercare un aiuto esterno quando si stenta a trovare una soluzione all’interno della famiglia. Difficilmente una coppia, seppure affiatata e solida come penso sia la nostra, riesce a passare indenne da un’esperienza di adozione “difficile” ed è solo ricercando e accettando un aiuto esterno che si può pensare di superare queste difficoltà. Raramente Laura ha parlato del suo passato direttamente, […] anche quei nomi dei genitori affidatari, così ossessionatamente ripetuti nei primissimi giorni, sembrano essere stati portati nell’apparente oblio ed anche nostri tentativi di parlarne vengono rifiutati completamente ancora oggi. Ricordi che solo raramente riemergono alla luce, generalmente all’apice di crisi e in poche frasi urlate nel pianto. Ancora è nei nostri ricordi una frase gridata all’apice di una crisi notturna a circa 5 anni, che sintetizza bene l’angoscia di sradicamento dalle proprie origini, seppure queste siano state portatrici di grosse sofferenze, […] angoscia che, in modo più o meno sentito, penso esista in ogni bambino adottato: “E come faccio ora io. Non so più parlare spagnolo. Se torno in Colombia nessuno

Periodicamente abbiamo sfogliato insieme a lei sia le foto che loro ci avevano dato, in cui sono ritratti anche loro, sia quelle che

avevamo fatto durante la nostra permanenza in Colombia. Questo è anche avvenuto quando si era preparata con orgoglio il materiale da mostrare in classe per una lezione che la maestra aveva organizzato per parlare del Paese di origine di alcuni alunni, lezione in cui si era anche discusso di adozione, affidamento, separazione, divorzio, insomma termini ben conosciuti solo da pochi bambini della classe […] e forse correttamente neppure da tutti i genitori. In quell’occasione Laura aveva selezionato personalmente le foto utili al suo racconto: quella in cui l’avevo ripresa vicina a un pappagallo, quell’altra in cui era in compagnia del “suo” cane quando ancora non la conoscevamo […] In quell’occasione ci aveva piacevolmente stupito come una lezione, ben gestita da maestre competenti e sensibili, su argomenti potenzialmente difficili da affrontare in una comunità qual è una classe, fosse stata per Laura non una preoccupazione, ma anzi addirittura un motivo di orgoglio e solo in minima parte una difficoltà nel confessare apertamente ai propri compagni la sua condizione di bambina adottata. Così come ci avevano piacevolmente stupito le domande di qualche compagno di scuola che, interessato all’argomento

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trattato nei giorni addietro, all’uscita di scuola ci aveva chiesto ancora qualche chiarimento su alcuni aspetti che “non aveva ancora capito bene”. In altre occasioni di tranquillità ci sono stati riferimenti al suo passato, talvolta rivisitato con la fantasia (“Il mio papà della Colombia aveva una Ferrari”), altre quasi verità sono velatamente venute fuori nel corso delle sedute di psicomotricità, attualmente svolte in gruppo con altri bambini, con la presenza anche di uno psicoterapeuta. Ma i ricordi più veri e forti sono sempre riemersi dopo feroci crisi che sfociano, dopo l’aggressività, in pianti disperati. È solo di qualche mese fa l’ultima grossa crisi al termine della seduta di psicomotricità prima delle vacanze estive, in cui Laura ci aveva chiesto di dire allo psicoterapeuta che lei non intendeva più proseguire al ritorno dalle vacanze e lui, prendendola da parte, aveva cercato di spiegarle i motivi per cui pensava invece che fosse per lei conveniente ancora proseguire. Da qui la sua reazione violenta al punto tale da far sanguinare il labbro del professionista. Poi lo sfogo con pianti durante il ritorno a casa in auto e il riaggancio al passato: ”L’ho picchiato ancora di più di quanto ho fatto con voi in Colombia!”. Ma

anche questa volta, come spesso avviene dopo ogni grossa crisi, la consapevolezza e la maturità di Laura hanno fatto un piccolo nuovo importante passo avanti, chiedendoci il giorno seguente di telefonare allo psicologo per porgergli le sue scuse. Fin da piccola convivono in Laura le grandi arrabbiature, anche violente, e la sua estrema sensibilità, comprensione ed attenzione soprattutto verso i bambini piccoli, gli anziani (ancor più se malati e sofferenti) e gli animali (soprattutto se randagi o bisognosi). Erano passati pochi mesi dal nostro arrivo in Italia quando mia moglie medico, andando a trovare i suoi colleghi in ospedale, si era portata anche Laura per farla conoscere: […] e dopo un istante di distrazione ritrovarla nella corsia a sorridere e accarezzare una vecchietta distesa su una barella. […] o quando, dovendo scegliere tra quale piccolo tenere di una cucciolata dei suoi criceti, ha scelto senza esitazione il più malconcio e bruttino, quello che avevamo addirittura dovuto separare dagli altri perché spesso morso e quindi sofferente. Convivono in Laura aspetti contrastanti come l’aggressività e la generosità di cuore, la timidezza con gli sconosciuti e la focosità con gli amici, il coraggio

nel voler fare “da sola” imprese spesso temerarie per la sua età e poi chiederti la mano per andare alla sera in un’altra stanza poiché buia, il non versare una lacrima anche quando ad esempio batte violentemente cadendo nel gioco e poi spaventarsi all’inverosimile per un piccolo graffietto con un nonnulla di sangue, il volere e sapere accudire i bambini piccoli con una spiccata sensibilità femminile e rifiutare in lei qualsiasi riferimento femminile (dal colore rosa, ai capelli lunghi, ai vestiti con qualsiasi minimo richiamo femminile) […] per poi entrare in crisi e limitarsi nell’agire quando le persone la scambiano per un maschietto con parole o mostrando comunque stupore quando sentono il suo nome. Lei che ha fin da subito rifiutato in lei ogni riferimento al femminile si trova ora a dover affrontare, per necessità del suo sviluppo fisico, l’accettazione di questa realtà. L’ultimo suo vestito con la gonna è stato quello con cui l’abbiamo conosciuta, […] tutti gli altri, compresi già molti di quelli comprati in Colombia, sono stati categoricamente rifiutati se avevano anche solo un non so ché di femminile. […] e l’arrabbiarsi con noi se la chiamiamo con il suo nome che rivela il suo sesso, quando ci si trova ai giardinetti o in altri con-


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testi in cui sono presenti occasionali compagni di gioco, […] o lo scrivere un nome maschile di fantasia (al posto del suo) nel modulo che le avevano dato da compilare alla prima lezione di catechismo, […] al non voler più andare in piscina perché richiede l’uso di un costume femminile olimpionico. La presenza di persone che già la conoscono, quali dei suoi compagni di scuola, diventa così un requisito per vivere con maggior serenità esperienze quali un’estate ragazzi, sicura di essere ”difesa” da eventuali coetanei potenzialmente fastidiosi relativamente alla sua attribuzione sessuale. Sicuramente il passaggio all’adolescenza in atto, la mette di fronte a problemi ancora in parte irrisolti

che fino ad oggi ha voluto ignorare, sebbene anche in questo settore si sia lavorato durante le sedute psicomotorie. Laura, che ora ha 11 anni, soprattutto in questi ultimi due anni è cresciuta molto, non solo di statura ma anche di “testa”. Ogni tanto le ricordiamo scherzando cosa voleva dire ”affrontare” con lei, solo pochi anni fa, un viaggio in macchina anche breve e cosa voleva dire svegliarla per scendere dalla macchina se si era addormentata durante uno spostamento cittadino: quante volte si parcheggiava sotto casa e si aspettava in macchina anche più di mezz’ora, in attesa di un suo risveglio spontaneo, sperando così di contenere almeno in

parte la sua reazione spesso violenta ad un risveglio non voluto in un posto inusuale. Oggi quando siamo in viaggio si canta, si scherza, si parla del più e del meno osservando il paesaggio dai finestrini, […] insomma una normalità conquistata a fatica di cui talvolta ancora oggi ci stupiamo piacevolmente. Le difficoltà sulla logica matematica le stanno affrontando con l’aiuto sia delle maestre sia di una logopedista che, dopo un’iniziale reazione di rifiuto come sempre violenta, ora è stata accettata e non costituisce più un problema insormontabile. Laura ha saputo integrarsi molto bene nelle comunità a cui è appartenuta, prima l’asilo poi la scuola, ed è ben voluta da tutti. Spesso è


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una delle pochissime “femmine” invitate anche nelle feste di compleanno a casa di “maschietti” in cui, per motivi di spazio, deve essere fatta una selezione dagli stessi, […] oltre ad essere sempre felicemente presente nelle più frequenti feste collettive organizzate in locali dove ci sono quasi tutti i compagni, non essendoci problemi logistici. Fa parte di una squadra mista di basket e le sue ottime qualità motorie la aiutano a integrarsi bene in molte attività sportive anche di gruppo. Come molti bambini, anche se forse un po’ più della norma, teme il confronto con altri coetanei, magari più bravi di lei in una specifica attività, ed è particolarmente vulnerabile

quando qualcuno la critica o la prende in giro. La sua incontinenza notturna la limita ancora a trascorrere lunghi periodi fuori casa senza familiari (es. in colonia o in gite scolastiche di più giorni) ma i pannolini mutandina riescono comunque a farle gestire autonomamente anche questo suo problema, almeno in particolari situazioni e per periodi più limitati nel tempo. Attaccatissima ai suoi oggetti e giochi, da lei stessa disposti nella sua camera in modo preciso addirittura quasi maniacale, rifugge ancora oggi da ogni cambiamento: parlare di comprare un nuovo mobile per contenere meglio le sue cose nella sua stanza, sembrava ancora un miraggio fino ad un mese fa,

ma è nulla se lo confrontiamo con quanto accadeva anni fa, quando era persino impossibile piantare un chiodo in qualsiasi parte della casa o spostare di posto qualche nostro soprammobile. Ormai è solo un ricordo quando ci chiedeva di trovarci “in primissima fila” ad aspettarla all’uscita di scuola o quando ci chiedeva di aspettare ad iniziare a mangiare, quasi volesse lei tutto quello che c’era sulla tavola. Ogni anno andiamo a trovare in Sicilia una famiglia che ha adottato nel nostro stesso periodo due sorelle provenienti dallo stesso paesino in cui è nata Laura: una di loro ha pressappoco la sua stessa età e, anche se si incontrano solo una settimana


l’anno, il legame che c’è tra loro è fortissimo e l’attesa di rivedersi si fa sempre più sentita ogni anno che passa. È bello vedere come giocano insieme, una con un accento piemontese e l’altra con quello siciliano, come quel legame ormai lontano si sia tuttavia rafforzato con il tempo non solo per le origini comuni, ma penso anche per via dell’esperienza comune di adozione, sebbene vissuta da ciascuna, almeno apparentemente, in modo molto diverso. Ho letto qualche tempo fa un bel libro scritto da una

persona che era stata adottata ed è ora docente universitario. Intitolato “44 passi” (tanti quanti erano stati gli anni della sua vita al momento della stesura del testo), il libro affronta profonde analisi esistenziali con spunti autobiografici che ripercorrono tutta la sua vita, compresa la sua personale esperienza di bambino adottato. Come ho già detto, da anni ho aperto un sito sul tema dell’adozione e al blog ad esso associato talvolta contribuiscono persone adottate che espongono spesso con angoscia le proprie

problematiche esistenziali, esasperate talvolta dal “vuoto” lasciato in loro da un periodo della loro vita ormai lontano nel tempo eppure ancora così presente nel loro inconscio anche in età adulta. Penso che una persona adottata non possa che essere una “persona speciale”, proprio per le esperienze che ha vissuto, per le sofferenze che ha dovuto subire, per quello spirito di sopravvivenza che ha dovuto sviluppare fin da giovane età.

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leggendo Marina Zulian responsabile della BibliotecaRagazzi di BarchettaBlu

Cronache dalla barchetta - 12

Tutto è possibile! Guardiamo il mondo con un po’ di ottimismo 34

La fantastica filosofia dei bambini per la quale tutto può succedere, viene evidenziata già dal titolo del libro Tutto è possibile; spesso per i bambini tutto può avvenire, anche se in un primo momento può sembrare irrealizzabile.

pecora che, dalla sua collina, guardava gli uccelli volare e pensava: Beati loro, possono scegliere a quale distanza guardare le cose: da lontano, da vicino, da così così. Un giorno le venne un’idea e corse dal lupo: “Ti devo parlare” gridò. Lui mollò tutto e si mise ad ascoltare. ”Dobbiamo costruire una macchina volante!” “Ti sembra facile? Tu guardi troppo gli uccelli nel cielo” disse il lupo, scuotendo la testa. Ma poi il desiderio di lei vinse il dubbio di lui, e si misero a lavorarci su. Dopo vari tentativi la macchina riuscì a volare. Chi sogna, ha scritto qualcuno, impara a volare. “Hai visto?” disse la pecora “Cosa ti avevo detto?” “Tutto è possibile” ammise il lupo.

La creatività e il bisogno di immaginare mondi nuovi è fantastici spinge i bambini, e sarebbe bello che qualche volta succedesse anche a noi adulti, a dimenticare le razionali regole che comandano l’universo e ipotizzare avveQuesto poetico albo illunimenti straordinari. Questa è la storia di una strato di Giulia Belloni

mette in risalto come sia importante credere nelle proprie convinzioni. La nostra pecora non ha paura di sognare, non si lascia condizionare e un giorno propone al suo timido amico lupo di costruire una macchina volante. Certi sogni sono difficili da realizzare, ma non impossibili per una pecora coraggiosa. Anche le illustrazioni di Marco Trevisan non lasciano nulla al caso e con i segni nitidi e i personaggi stilizzati stupiscono e impressionano; personaggi, oggetti e progetti mettono in evidenza come le idee e la volontà possano permettere ai sogni di concretizzarsi. Mi è piaciuto in particolare quando si recita che il desiderio della pecora, che potrebbe essere un sogno di un bambino, vince il dubbio del lupo, che rappresenta il triste scetticismo di noi adulti.


litano con un panierino di plastica gialla colmo di limoni, pompelmi e una bottiglia di olio; Cappuccetto blu vive nell’isola bluetta e, per andare a trovare la nonna Celestina, sfugge al pesce-lupo e poi lo cattura insieme alla nonna stessa. Le differenti versioni sono di facile lettura per bambini dai sei anni ma sono molto accattivanti per tutte le età. Per tutti i lettori è interessante scoprire di volta in volta come la piccola cappuccetto è vestita, sotto che sembianze si nascondono i lupi e quale percorso accidentato deve fare la bambina per arrivare dalla nonna. Con i bambini si può giocare a seguire l’esempio di Munari e inventare nuove storie dove tutto è ancora una volta possibile! Ogni storia cambia am- Gli elementi da tenere in bientazione ed è caratte- considerazione nelle quatrizzata dal diverso colore tro versioni sono sempre del cappuccio della piccola gli stessi: la necessità di protagonista: Cappuccet- fare visita alla nonna, il to verde ha un copricapo percorso pericoloso e una di foglie e porta alla non- paura da superare. Si dina Cicalina un cestino di versificano invece alcuni menta, prezzemolo e in- aspetti quali il colore del salata insieme alle sue cappuccetto (verde, giallo, amiche rane; Cappuccet- blu e bianco); lo scenario to giallo vive nel più alto di sfondo e la strada da grattacielo di una grande percorrere (bosco, città, città e viene aiutata dai mare, neve); il contenuto canarini ad andare dalla del cestino da portare alla nonna attraverso il perico- nonna (erbe verdi, agrumi losissimo traffico metropo- gialli, gomitoli blu, latte e 111111111 Anche in Cappuccetto rosso verde giallo blu e bianco il grande maestro Bruno Munari gioca con le parole e le storie, ricordandoci con ironia come tutto si possa vedere da molti punti di vista. Da sempre appassionato interprete del mondo dei bambini ed instancabile ricercatore di strumenti creativi alla loro portata, Munari racconta quattro possibili e originali varianti della versione ufficiale della storia di Cappuccetto Rosso dei fratelli Grimm.

zucchero bianco) e l’aspetto del lupo. 111111111 Ma la storia più geniale è, non solo a mio avviso, quella di Cappuccetto bianco. In queste pagine completamente bianche non si vede nulla, ma si sa che c’è una bambina tutta vestita di bianco e persa nella neve.

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Cappuccetto Bianco va dalla nonna Candida, per portarle latte e zucchero, avvolti in un tovagliolo bianco; nel viaggio incontra il pittore Bianconi che ha perso la sua scatola di colori e va da Biancaneve per farsene fare una nuova. Anche il lupo ha fatto indigestione di nonne e deve mangiare solo riso in bianco. Infine la nonna Candida è andata nell’Africa nera e allora Cappuccetto Bianco diventa un po’ rosso per la sorpresa, un po’ verde per il dispiacere e pensa che sembra la storia di un libro giallo! Leggendo la storia possiamo veramente mettere in moto l’immaginazione creando nella nostra mente


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candide figure all’interno di un panorama tutto innevato dove le pagine sono completamente bianche. In questo piccolo capolavoro i bambini sono rassicurati poiché sanno cosa succede, ma sono stimolati dalle diverse ambientazioni e dalle fantasiose varianti. Il modello di storia proposto da Munari aiuta quindi grandi e piccini a uscire da stereotipi e pregiudizi e attivare la volontà di vedere con occhi diversi ogni situazione. La questione interessante è proprio il cambiare le carte in tavola per spiegare, attraverso la trasfigurazione di una storia, come

sia positivo anche nella vita non fossilizzarsi e non dare nulla per scontato. Se da un lato una storia letta e riletta sempre in modo uguale rassicura e rasserena, dall’altro modificare una storia, anche in modo ironico e irriverente, permette di rompere schemi che non devono diventare troppo rigidi.

na sulla testa i nani della foresta, della Bella addormentata che non si addormenta e del principe che sposa la brutta sorellastra.

C’era una volta un povero lupacchiotto, che portava alla nonna la cena in un fagotto. E in mezzo al bosco dov’è più fosco Incappò nel terribile Nello stesso modo, Rodari Cappuccetto Rosso, aveva utilizzato il mecca- armato di trombone nismo di rovesciamento come il brigante delle situazioni e dei per- Gasparone. sonaggi proprio con le sue Quel che successe poi, Favole a rovescio. Anche indovinatelo voi. in Filastrocche in cielo e Qualche volta le in terra, Rodari racconta favole succedono di Biancaneve che basto- all’incontrarioe


allora è un disastro: Biancaneve bastona sulla testa i nani della foresta,la Bella Addormentata non si addormenta,il Principe sposa una brutta sorellastra,la matrigna tutta contenta,e la povera Cenerentolaresta zitella e fa la guardia alla pentola. 111111111 Riprendendo il tema del volare del primo libro presentato, la quarta di copertina di Questo posso farlo recita Ci sono molti modi per volare. L’importante è trovarne uno. Le delicate illustrazioni della giapponese Satoe Tone ci portano a guardare le cose da punti di vista inconsueti.

L’uccellino protagonista della storia cerca il proprio posto nel mondo e cerca di realizzare il proprio progetto di vita. Anche se non siamo tutti uguali, tutti abbiamo in comune la necessità di trovare ciò che ci rende felici e ciò che dà senso al proprio essere nati. Con colori soffusi e linee

morbide, un tratto soffice e ricco, un’attenzione al dettaglio e ai particolari, l’autrice trasforma la malinconica vicenda di un uccellino che non sapeva fare niente in una sequenza di forza e sicurezza. Questa specie di fiaba moderna è interpretata con ironia e delicatezza in un susseguirsi di pagine tenere ma divertenti con paesaggi dorati, cieli soffici, foglie rampicanti, fiori preziosi e morbidi come il piumaggio dell’uccellino. In tutta la prima parte è commovente scoprire che l’uccellino non si sente come gli altri. Alla nascita tutti avevano rotto il guscio, ma lui non era riuscito a bucarlo. Quando era piccolo tutti mangiavano le bacche sui rami, ma lui non riusciva a prenderle. D’estate tutti nuotavano, ma lui non stava a galla. All’alba tutti cantavano, ma lui era stonato. E non riusciva nemmeno a volare come gli altri. Allora l’uccellino cercò una soluzione ai vari problemi, tentò invano di fare come gli altri, ma non ottenne alcun risultato. Quando gli altri nuotavano, lui rimaneva indietro pure con il salvagente. Quando gli altri pescavano, lui usava una rete, ma i pesci gli passavano attraverso. Quan-

do gli altri volavano, lui si legava ad un palloncino; ma poi questo si sgonfiava e lui finiva su un prato. E allora rimase lì, da solo, nel silenzio di una notte blu, a guardare gli altri uccellini volare via. Proprio in quel momento iniziò il cambio di rotta: incontrò alcuni fiori che si erano smarriti; i loro bambini stavano per nascere, non avevano un posto dove stare e non sapevano come affrontare l’inverno. Allora l’uccellino pensò che avrebbe potuto lui ospitare i fiori. Si, questo avrebbe potuto farlo! Senza badare al vento, alla pioggia, al sole cocente e alla neve gelata, lui restò lì. Quando, alla fine, diventò un cespuglio fiorito, tutti avrebbero voluto andare da lui. L’uccellino di questa storia è diverso da tutti gli altri: non viene accettato dal gruppo per colpa della sua diversità, raffigurata ironicamente da una coda a forma di fiorellino, ma questo non lo blocca. In tutta la prima parte del libro, l’uccellino cresce in solitudine, immerso in delusioni e frustrazioni dovute a continui tentativi andati a vuoto. Lo sconforto è totale e l’uccellino si isola completamente dal gruppo degli altri uccellini

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che vanno via. Quante volte anche i bambini si isolano perché non si sentono accettati dal gruppo? Spesso i bambini hanno paura del giudizio dei loro coetanei e soprattutto sentono l’obbligo di dover saper fare tutto ciò che fanno gli altri compagni. I bambini più coraggiosi provano e riprovano anche dopo mille tentativi, ma i più fragili abbandonano il campo e si chiudono in se stessi. Gli adulti, genitori o educatori, devono sostenere i piccoli sperimentatori anche nei fallimenti. Purtroppo noi adulti a volte non ci rendiamo conto invece di come denigriamo la volontà di trovare soluzioni creative a vantaggio della mera prestazione. Per fortuna, nella seconda parte del libro, avviene una completa trasformazione del clima e del sentire dell’uccellino che diventa letteralmente qualcos’altro. Il piccolo protagonista non si trasforma da brutto anatroccolo in cigno, ma diventa il posto più bello dove tutti vogliono andare. Con l’arrivo dell’inverno si conclude la vita dell’uccellino, ma con la primavera il ciclo della vita continua inesorabile e magnifico. Il protagonista lascia la vita da uccellino e si trasforma in cespuglio fiorito.

Il racconto è un vero e proprio omaggio alla vita, alla rinascita e alla ricerca inesauribile del proprio posto nel mondo. L’illustratrice interpreta la più grande avventura di ogni essere vivente, dalla nascita fino alla morte, passando attraverso una strada che si rivela diversa per ognuno di noi. Non tutti possono essere uguali agli altri, ognuno ha un suo percorso e un suo destino. Spesso nei fallimenti di un bambino ci sono tutte le aspettative di un adulto che gli sta vicino, genitore o insegnante che sia. Questa storia, come l’uccellino, è molto diversa dalle altre, soprattutto nel finale. Il protagonista dimostra una capacità straordinaria: in tutta la storia non molla mai e alla fine la sua resistenza gli fa trovare il suo vero ruolo. La storia è come se iniziasse veramente nel momento in cui il protagonista aiuta qualcuno in difficoltà; per accogliere chi ha è fragile e indifeso, diventa una anomala casa accogliente e ospitale, resistente alle intemperie e al passare del tempo. Ad una prima lettura, il libro può far pensare ad una storia di fallimento o di solitudine, ma immergendosi completamente nelle

parole e nelle immagini, si scopre il toccante e travolgente reale significato: ogni essere, ogni bambino, ogni persona ha nel mondo un proprio posto da raggiungere. Probabilmente, in tutta questa storia, si può anche intravedere la diversità della cultura occidentale dove si nasce, si vive e si muore rispetto quella orientale dove vengono contemplate rinascite e paure maggiori della morte quali il rimanere soli o perdere gli affetti. L’uccellino di Questo lo posso fare nasce e cresce solo, ma muore con molti amici; il suo amore continua a vivere e mentre un essere si spegne, altri si illuminano. L’uccellino di Satoe non si lascia morire mentre la natura lo mette alla prova, continua a vivere in una sua particolare dimensione. Anche dentro di noi, soprattutto se siamo bambini, esiste uno spazio fantastico dove potrebbe trovare posto un uccellino come quello della storia: uno spazio creativo in cui tutto può accadere. Gli adulti possono aiutare i bambini a mantenere degli spazi per accogliere sogni, desideri e fantasie, anche quando crescono e diventano grandi. 111111111


In Fortunatamente l’illustratore americano Remy Charlip riesce in un modo ancora diverso ad evidenziare come sia possibile vedere la stessa situazione da diversi punti di vista. La narrazione procede, infatti, alternando eventi fortunati e sfortunati; ad ogni cambio pagina l’evento fortunato con colori vivaci e disegni allegri si trasforma in sfortunato con disgrazie e colpi di scena con grigi chiari e scuri. Le tonalità vivaci e decise raccontano gli eventi positivi, mentre le tavole in bianco e nero quelli negativi: un’alternanza che rende rapido e fluido lo scorrere del racconto. La storia è semplice: Ned riceve un invito per una festa a sorpresa in Florida; parte da New York, affronta mille peripezie e alla fine si ritrova al centro di una sala da ballo, che non è al-

tro che il luogo dove è stata organizzata la sua festa di compleanno. Sfogliando le pagine ci si ritrova in mezzo ad avventure con aerei, squali, tigri e all’inizio di ogni frase viene ripetuta la parola fortunatamente o sfortunatamente dando ritmo alla lettura. In questo albo illustrato sono fondamentali la qualità dell’immagine e del testo; con i bambini questi due elementi sono indispensabili per creare le suggestioni e per mettere in moto le emozioni. Entrambi danno senso al racconto; l’uno mostra ciò che non si può dire e l’altro dice ciò che non si può mostrare.Anche qui le avventure raccontate con le parole e con i disegni, permettono agli adulti di tuffarsi nella storia insieme ai propri piccoli per ridere, spaventarsi e trovare nuove possibilità. Il racconto, come la vita, è pieno di peripezie, ma ad ogni avvenimento lettori grandi e piccoli possono, semplicemente girando pagina, trovare una situazione capovolta. Concludo

riportando la bella descrizione della quarta di copertina che potrebbe ricordarci come sia importante con i nostri bambini guardare il mondo con un po’ di ottimismo. Una montagna russa di sentimenti e sensazioni. Con le discese che tolgono il fiato e le risalite che rianimano. Da un maestro della letteratura per ragazzi un grande regalo a tutti i bambini che vogliono crescere. E anche a tutti noi. Lieve e delicato, ci ricorda che nella vita non sempre è primavera. Ma anche che l’inverno non dura in eterno.

111111111111 111111111111 111111111111 Bibliografia Tutto è possibile. G.Belloni, M.Trevisan, Edizioni Campass, 2009 Cappuccetto rosso verde giallo blu e bianco. B.Munari, Einaudi Ragazzi, 1997

Cappuccetto bianco. B.Munari, Corraini 2001 Favole a rovescio. R.Rodari, N. Costa, Edizioni EL, 2010 Filastrocche in cielo e in terra.

G.Rodari, Einaudi Ragazzi, 2007 Questo posso farlo. Satoe Tone, Kite Edizioni, 2011 Fortunatamente. R.Charlip. Orecchio Acerbo 2010

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sociale e legale

Angelamaria Serpico Avvocato specializzato in diritto di famiglia e diritto minorile

Adozione da parte di single anche in Italia? 40

Come è noto, uno dei requisiti previsti dall’art. 6 della legge italiana sull’adozione (L. 4 maggio 1983 n. 184) è che gli adottanti siano coniugati. È altresì noto che tale requisito ha da tempo dato luogo ad una enorme discussione sulla possibilità di adottare anche da parte di single.

In realtà la legge succitata prevede che anche soggetti non coniugati possano adottare, ma ad alcune condizioni e con determinati effetti. Si tratta dell’art. 44, comma 3, il quale stabilisce:

3 comma 1 della L. 5 febbraio 1992 n. 104 e sia orfano di padre e di madre; d) Quando vi sia la constatata impossibilità di affidamento preadottivo.

➊ I minori possono esse- ➋ L’adozione,

re adottati quando non ricorrono le condizioni di cui al primo comma dell’art. 7: a) Da persone unite al minore da vincolo parentale fino al sesto grado o da preesistente rapporto stabile e duraturo, quando il minore sia orfano di padre e di madre; b) Dal coniuge nel caso in cui il minore sia figlio anche adottivo dell’altro coniuge; c) Quando il minore si trovi nelle condizioni indicate dall’art.

nei casi indicati al comma 1, è consentita anche in presenza di figli legittimi;

➌ Nei casi di cui al punto

a), c) e d) del comma 1 l’adozione è consentita, oltre che ai coniugi, anche a chi non è coniugato. Se l’adottante è persona coniugata e non separata, l’adozione può essere tuttavia disposta solo a seguito di richiesta da parte di entrambi i coniugi.

➍ Nei casi di cui alle let-


tere a) e d) del comma 1 l’età dell’adottante deve superare di almeno diciotto anni quella di coloro che egli intende adottare.”. L’art. 44, su riportato, tuttavia, non consente al figlio adottivo di acquisire lo status di figlio legittimo, con tutte le conseguenze del caso (assunzione del cognome del genitore adottante, rottura dei legami con la famiglia naturale, etc.), ma determina una sorta di adozione ridotta, limitata, definita, in gergo, anche adozione mite: è la cosiddetta “adozione in casi particolari”. Una sentenza del Tribunale per i Minorenni di Caltanissetta emessa il 18 luglio 2011, la n. 19, sembrerebbe aver dato una svolta “single” alle adozioni straniere, aprendo, inevitabilmente, numerose discussioni sul punto. A ben guardare, però, la svolta è stata solo apparente: “In tema di adozione, la disposizione dell’art. 36, comma 4, della L. 184/1983 consente che l’adottante single, cittadino italiano, possa ottenere, in Italia, la dichiarazione di riconoscimento di efficacia del provvedimento straniero di adozione di minore unicamente ai sensi dell’art. 44 della medesima legge, con

gli effetti dell’adozione in casi particolari e, dunque, priva di effetti legittimanti.”. Il tribunale ha quindi confermato l’efficacia del provvedimento emesso dalla Repubblica dello Zambia di adozione da parte di una dottoressa italiana non sposata, attenuando però la genitorialità della donna con l’applicazione, al caso specifico, dell’art. 44. Pertanto il provvedimento estero a favore della madre sola è stato ratificato in Italia, ma solo con gli effetti dell’adozione in casi particolari e non, quindi, con effetto legittimante. Ne consegue che la pronuncia in esame non ha introdotto alcuna deroga al principio fondamentale in base al quale l’adozione piena e legittimante è consentita, in Italia, solo a coniugi uniti tra loro in matrimonio. Conseguentemente, soggetti singoli non possono ottenere in Italia, in base alla legislazione oggi vigente, il riconoscimento con effetti legittimanti dell’adozione pronunciata all’estero (cfr. Rita Ielasi e Carmelo Paladino, in Famiglia e minori, 14). Bisogna precisare che i giudici del Tribunale di Caltanissetta si sono riportati ad un analogo principio contenuto nella

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sentenza della Corte di Cassazione del 14 febbraio 2011 n. 3572. Tuttavia in quella sentenza si diceva che: ”il legislatore nazionale, coerentemente con il disposto dell’art. 6 della Convenzione europea in materia di adozione di minori, firmata a Strasburgo il 24 aprile 1967 e ratificata dall’Italia con la L. 22 maggio 1974 n. 357, ben potrebbe provvedere, nel concorso di particolari circostanze, ad un ampliamento dell’ambito di ammissibilità dell’adozione legittimante di minore da parte di una singola persona.”. La svolta non si è quindi ancora avuta, ma la giurisprudenza ha senz’altro indicato la via.


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DALLO SPORTELLO Domanda: buon giorno, siamo una coppia sposata da 10 anni con una bambina di otto, vorremmo adottare un bambino, ma abbiamo visto che nelle pratiche da presentare c’è il certificato di residenza. Mio marito per una questione burocratica e fiscale ha la residenza in un altro indirizzo sempre nel nostro paese in un’altra casa sempre di nostra proprietà, ma vive con noi ed ha il domicilio con noi ci chiedevamo se questo poteva essere un problema e se poteva pre-

cludere la possibilità di adottare un bambino e in caso contrario come dobbiamo comportarci con i documenti grazie mille

ai genitori? Intervengono i servizi sociali? Possono esserci ingerenze da parte del paese di origine (Ucraina) visto che sono minorenni? In attesa di una risposta vi La circostanza di avere porgo cordiali saluti residenze disgiunte non costituisce impedimento I minori adottati divenall’adozione. Basta indica- tano, conseguentemente re che il domicilio è comu- dell’adozione, figli legittine. mi a tutti gli effetti. Eventi successivi, come la sepaDomanda: B u o n g i o r n o razione, la morte etc. dei desidererei sapere cosa ac- genitori hanno la stessa ricade in caso di separazione levanza che si verifica per di coniugi con figli adottati tutti i figli, senza alcuna in Ucraina rispettivamente ripercussione (giuridica) nel 2002 e nel 2007. I figli sullo status di figlio adotrischiano di essere sottratti tivo.


Madri adottive iscritte alla gestione separata INPS Il loro trattamento potrebbe essere Incostituzionale?

Abbiamo già trattato su queste pagine della grave discriminazione nei confronti delle madri adottive iscritte alla gestione separata INPS, e quindi anche dei loro figli, che non si vedono riconosciuto il diritto alla maternità in misura uguale a quanto invece avviene per le altre lavoratrici. Perché una lavoratrice dipendente può rimanere a casa con il proprio figlio adottivo per cinque mesi di congedo di maternità e invece una co.co.co per soli tre mesi? Eppure, in caso di figli biologici, entrambe le lavoratrici hanno diritto ai 5 mesi. Perché l’INPS continua a riconoscere solo tre mesi di maternità, anziché i previsti cinque, per queste mamme? Sono mamme di serie B? Vi abbiamo raccontato che, per diffondere l’informazione su questo diritto negato e per cercare di superare questa disparità di trattamento, quasi un anno fa abbiamo costituito il “Comitato genitori adottivi a gestione separata INPS” con tanto di Statuto, sito internet www. parimaternita.it e una pagina FB (Comitato Parimaternità). Numerose le azioni intraprese dal comitato e dai suoi aderen-

ti: visibilità su stampa e televisione, interrogazione parlamentare, oltre ai diversi ricorsi all’INPS ed ora, finalmente, un importante risultato: grazie alla causa intentata nei confronti dell’INPS da Giuliana Grisendi, rappresentata dall’Avv. Pignatti, il Tribunale di Modena, con una recente ordinanza, ha rimandato alla Corte Costituzionale l’intera questione, per verificarne la legittimità e sottolineando come l’attuale applicazione della disciplina: “... determina una duplice disparità di trattamento: nell’ambito del lavoro autonomo, tra madri biologiche e adottive; nella categoria dei genitori adottivi, a seconda che si tratti di lavoratrici dipendenti o autonome… . Eppure è innegabile che le madri adottive, siano esse lavoratrici dipendenti o autonome, abbiano le stesse identiche esigenze rispetto all’inserimento nella famiglia del bambino adottato. Né la disparità può trovare giustificazione nelle differenze, che certamente esistono, tra lavoro autonomo e dipendente, posto che tali differenze non riguardano il diritto delle madri di assistere il bambino e difatti non rilevano ai fini del trattamento

della maternità per le madri naturali. Il diverso trattamento ai danni delle madri adottive appare quindi anche irragionevole perché sfornito di qualsiasi giustificazione.”. Ora la parola spetta alla Corte Costituzionale che si dovrà pronunciare sulla questione e forse le mamme adottive iscritte alla gestione separata e i loro bambini potranno sperare di avere finalmente riconosciuti i loro diritti. In questa trepidante attesa, il Comitato Parimaternità continua l’opera di informazione e, vista anche la discutibile risposta alla nostra interrogazione parlamentare durante il passato governo (“Adozione e dintoni” di agosto-settembre 2011, n.d.r.), ora porremo nuovamente la questione ai nuovi Ministri Fornero e Riccardi. Alessandra Curotti Vicepresidente del Comitato Parimaternità

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sociale e legale

Ludovica Sartore Presidente di Famiglie Adottive Alto Vicentino

Kafalah... e dintorni anche in Italia? 44

La kafalah è un istituto di diritto islamico mediante cui una persona (kafil) accoglie nella sua famiglia un minore (mafkul) e s’impegna a mantenerlo, educarlo ed istruirlo solitamente fino alla maggiore età. Non dà origine a rapporti giuridici tra le parti e può trovare la sua fonte in un accordo ratificato solitamente da un notaio o in un provvedimento giudiziale emesso su istanza. Ogni singolo Paese di area islamica ha disciplinato in maniera più o meno dettagliata la kafalah e quindi i singoli ordinamenti possono presentare delle variazioni (peraltro non sostanziali) rispetto a quanto si dirà a breve. L’istituto è stato espressamente riconosciuto come strumento di protezione del fanciullo dalla convenzione di New York del 20 novembre 1989 (art.20).

Si tratta dell’unico istituto di protezione dell’infanzia previsto dal diritto islamico per minori orfani, abbandonati o comunque privi di un ambiente familiare idoneo alla loro crescita. Infatti, per la religione islamica il rapporto giuridico di filiazione è solo ed esclusivamente quello che scaturisce dal legame biologico di discendenza che derivi da un rapporto sessuale lecito, tant’è che il concepimento al di fuori del matrimonio non produce effetti giuridici rispetto al padre. Da tale presupposto consegue che l’istituto dell’adozione non è riconosciuto e che, in ragione del mancato sorgere di obblighi nei confronti del minore in capo al padre non coniugato, è molto frequente la situazione di abbandono totale o parziale dei minori. Ecco dunque le ragioni che

rendono numericamente importante il ricorso alla kafalah. La forte immigrazione oggi presente sul nostro territorio proveniente da Paesi Islamici, pone diverse questioni che meritano di essere esaminate e ciò soprattutto perché l’Italia (unico Paese dell’Unione Europea assieme alla Grecia) non ha mai ratificato la convenzione dell’Aja del 1961 che prevede l’ingresso nel nostro sistema di istituti di protezione del minore propri di altri ordinamenti. Anzitutto il problema dell’ingresso in Italia dei minori in kafalah e il loro ricongiungimento familiare. Proprio in ragione della mancata ratifica di cui si è detto, l’ingresso nel nostro Paese del minore affidato in kafalah non è “automatico”.


La Corte di Cassazione si è più volte espressa nel senso di ritenere rilevante la kafalah ai fini del ricongiungimento familiare di minori affidati ad adulti non italiani affermando che essa ne può rappresentare il presupposto. (Cass. 7472/2008,

Cass.

19734/2008;

Cass. 1908/2010; Cass. 4868/2010).

La Corte ha così voluto espressamente comprendere, nella sfera delle norme dirette alla realizzazione dell’unità familiare del cittadino extracomunitario regolarmente soggiornante, posizioni assimilate all’affidamento familiare quale ritiene essere la kafalah. Diversa è la questione se a richiedere l’ingresso in Italia del mafkul sia un kafil cittadino italiano. In tal caso la Corte ritiene che per raggiungere l’obbiettivo di tutela di un minore orfano o in stato di abbandono, un cittadino italiano che non abbia un rapporto di familiarità con il minore straniero e voglia includerlo nella propria famiglia come figlio, abbia a disposizione gli strumenti che gli sono messi a disposizione dall’ordinamento italiano, ed in particolare lo strumento della l.184 del 1983 e le sue successive integrazioni (Cass. 19450/2011). La posizione sopra indica-

ta della Corte di Cassazione introduce il problema di quale sia il rapporto tra kafalah e adozione. Vale la pena essere subito chiari ed affermare che i due istituti non sono equiparabili ed anzi le differenze sono tali da differenziarli molto. Anzitutto, come si è già detto, tra kafil e mafkul non si instaura alcun rapporto giuridico cosa che invece è ben evidente nell’istituto dell’adozione: l’adottato con l.184/83 è figlio a tutti gli effetti equiparato in tutto ad un figlio nato nel matrimonio. Altro aspetto fondamentale che differenzia i due istituti è la natura prevalentemente “pattizia” della kafalah: essa cioè si fonda per lo più sull’accordo delle parti (genitore che abbandona e adulto che accoglie) mentre l’intervento del giudice ha un carattere solo marginale. Ciò significa che molto spesso mancano due elementi che sono invece imprescindibili ai fini della pronuncia di adozione e cioè l’accertamento oggettivo dello stato di abbandono del minore e dell’idoneità di chi accoglie il minore. Si noti inoltre che per la kafalah può accogliere il minore anche un singolo, mentre per il nostro ordinamento deve trattarsi di una coppia

sposata (salvi i casi particolari previsti dall’art. 44 l.184/83). Per questo motivo e su questi presupposti sembra davvero azzardato accostare i due istituti. Così del resto è anche la giurisprudenza della Corte secondo la quale ad assicurare ai cittadini italiani l’inserimento nella propria famiglia, come figlio, di un minore straniero che versi in stato di abbandono è la legge 184 del 1983 con le successive modifiche che regolamenta l’istituto dell’adozione e che rappresenta l’unico ragionevole punto di equilibrio tra le esigenze di protezione dei minori stranieri abbandonati e la richiesta d’inserimento familiare dei cittadini (Cass. 4868/2010). Ciò che le nostre norme e le pronunce della Cassazione vogliono in sostanza evitare è che il ricorso alla kafalah possa rappresentare per il cittadino italiano una modalità per dare corso all’adozione internazionale senza il rispetto di quelle norme previste dal nostro ordinamento che talora paiono strumenti defatiganti e complicati, ma che sono, se correttamente applicate da tutti gli operatori coinvolti, presupposto e garanzia di tutela dei bambini che hanno diritto ad una famiglia.

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suonando Valeria Pacifico Pianista

E se la musica fosse un’arma 46

Nella storia della musica e in particolare del rock’n’roll, molti musicisti sono stati considerati socialmente e politicamente dei “rivoluzionari”. Artisti come Bob Marley o Bob Dylan, per esempio, hanno catturato con la loro musica lo spirito, la rabbia, le speranze e la ribellione della loro generazione. Ma anche tra i cantanti più rivoluzionari si fatica a trovare un artista che abbia messo in gioco, oltre alla propria espressione d’arte, la propria vita. Persino Fela Kuti, musicista nigeriano attivista dei diritti umani che si batteva per la democrazia africana e creatore dell’afrobeat, non ha mai partecipato attivamente e fisicamente alle battaglie di piazza. I recenti fatti egiziani, però, hanno reso celebre un giovane musicista che dal 31 gennaio dell’anno passato,

fino alle dimissioni dell’ex presidente Hosni Mubarak dell’11 febbraio, si è stabilito a piazza Tahrir, intrattenendo e motivando i dimostranti con le sue canzoni. Questo giovane si chiama Ramy Essam e da musicista che faticava ad affermarsi è diventato il celebre “cantante della rivoluzione egiziana”. I contestatori si sono sentiti in sintonia con la sua musica: Essam era uno di loro e le sue canzoni davano eco ai loro sentimenti e alle loro speranze. “Sono andato in piazza a protestare. Ho portato per caso la mia chitarra con me. Ho poi pensato che le canzoni potessero dare sollievo ai dissidenti e motivarli, ed è così che ho iniziato a cantare in piazza”, ha detto Essam che aveva partecipato la settimana precedente alle manifestazioni Mansoura suo paese natale. “In dodi-

ci giorni la mia vita è completamente cambiata”, ha dichiarato il cantante ventisettenne. “Ho sempre sognato di cantare davanti a milioni di persone, ma non mi aspettavo che succedesse così presto”. Ma ecco la guerriglia provocata da teppisti infiltrati nella folla per opera della giunta militare. Scagnozzi, provocatori mercenari che agiscono per indebolire la protesta e accendere la miccia. Essam c’è, prende parte attivamente agli scontri, è uno di loro, combatte per i propri ideali e viene ferito. Ma il giorno dopo è di nuovo lì in piazza, con la sua chitarra, le sue parole, ferito e pieno di bende come il suo pubblico e canta il desiderio di libertà e di dignità del suo popolo. La sua celebrità ha un prezzo caro: viene rapito e torturato. Ciononostante ha


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© Andre Fares, flickr.com

continuato la sua battaglia scrivendo nuove canzoni. Più incalzava la protesta, più la sua musica diventava incisiva e precisa. Essam Ramy il 21 novembre scorso ha ritirato il premio Freemuse a Stoccolma assegnato ogni anno dalla ONG Freemuse, con sede a Copenaghen, che premia l’artista la cui opera abbia meglio rappresentato l’ideale di usare la musica al fine di far progredire i diritti umani, sociali e civili dell’umanità. Se Essam è diventato l’artista più importante della rivoluzione egiaziana, certo non è stato l’unico. Anche i musicisti rap del paese hanno con-

tribuito a veicolare le idee di libertà. Il governo ha tentato in ogni modo di ostacolare la realizzazione dei concerti, soprattutto quando i rapper venivano dalla Tunisia o dalla Libia. Ma anche in queste condizioni, data la solidità del pubblico e grazie ad internet, non è stato difficile scegliere all’ultimo momento un’altra sede possibile. Il paese sta attraversando ancora una fase molto impegnativa. Il nuovo Egitto deve ancora nascere. In attesa di vedere questo paese vincitore vero della sua rivoluzione, invochiamo proteste fatte di chitarre e non di bastoni.

Ramy Essam, il volto artistico della rivoluzione egiziana canta in piazza Tahrir


trentagiorni

ADOZIONI INTERNAZIONALI: LA PETIZIONE PER IL FONDO DI SOSTEGNO 2010 ARRIVA IN PARLAMENTO ROMA – È stato depositato un question time – un’ interrogazione parlamentare – presso la Commissione Giustizia della Camera dei Deputati, sulla delicata questione delle adozioni internazionali. «Anche questo governo, come il precedente, ha deciso di non rifinanziare il Fondo di sostegno destinato alle adozioni internazionali – dichiara l’onorevole Pierfelice Zazzera (Idv) –. Le famiglie sono costrette ad accollarsi enormi costi per portare a termine la lunga e farraginosa procedura di adozione internazionale. Al danno, la beffa: non ci sono più quelle risorse per sostenere i costi di chi intraprende un percorso lungo e difficile, ma ricco di solidarietà! In particolare, il congelamento del fondo per le adozioni concluse nel 2010 costituisce una grave disparità di trattamento rispetto a quelle famiglie che hanno

potuto beneficiare della misura, avendo concluso l’iter negli anni precedenti (20052009). Da alcuni giorni le famiglie interessate hanno rivolto un appello al Presidente Monti e al Ministro Riccardi per chiedere il reintegro del finanziamento e per questo hanno avviato una raccolta firme online (per adesione adoint2010@gmail.com). Invito il Ministro Riccardi, al quale riconosco l’elevata competenza e le qualità morali, a intervenire rapidamente per sanare questo deficit di civiltà, imperdonabile per il nostro paese». Fonte: www.aibi.it LE ADOZIONI INTERNAZIONALI NEL 2011 Nel corso del 2011 la Commissione ha rilasciato l’autorizzazione all’ingresso in Italia per 4022 bambini provenienti da 57 Paesi, adottati da 3.154 coppie italiane. Il primo Paese di provenienza è stato la Federazione Russa con 781 minori, seguita da

Colombia (554 minori), Brasile (304 minori), Ucraina (297 minori) ed Etiopia (296 minori). Anche nell’anno appena terminato l’Italia ha dunque superato la soglia delle 4000 adozioni, benché con un lieve calo rispetto al 2010: tale flessione è dovuta principalmente al forte rallentamento delle attività in alcuni Paesi, quali il Vietnam e la Cambogia, conseguente alle recenti riforme legislative nella materia della protezione dell’infanzia e delle adozioni, nazionali e internazionali. E’ calato anche il numero delle adozioni in Ucraina, Paese che non ha ancora ratificato la Convenzione de L’Aja e modifica continuamente le condizioni per l’espletamento delle procedure e per l’adottabilità dei minori; conseguentemente è sensibilmente ridotto rispetto agli anni precedenti il numero di coppie che ha orientato il proprio progetto adottivo verso tale paese. Si sta consolidando l’attività in Cina, Paese con il quale la collaborazione è stata avviata


nel 2007 con la firma dell’accordo bilaterale. Nel 2011 sono entrati in Italia anche 146 minori bielorussi, individuati dalle autorità bielorusse nell’ambito di elenchi consegnati nel 2009, riguardanti procedure avviate prima del blocco delle adozioni intervenuto alla fine del 2004 e pendenti dopo la firma dei protocolli bilaterali firmati con l’Italia nel 2005 e nel 2007. La Lombardia resta anche nel 2011 la regione in cui risiede il maggior numero di coppie adottive (559 coppie, pari al 17, 7% del totale), così come si conferma l’incremento delle adozioni in alcune regioni del sud. Il rapporto statistico annuale sarà disponibile sul sito della Commissione nella prima settimana di febbraio. Fonte: www.commissioneadozioni.it PRIVACY. ESSERE FIGLI ADOTTIVI NELL’ERA DI FACEBOOK I genitori biologici contattano i figli dati in adozioni sui social network. L’allarme delle charity E’ allarme per i continui casi di madri o padri biologici che dopo aver dato in adozione i figli (sia volontariamente sia, più spesso, perché questi ultimi erano stati sottratti loro dalle autorità) li cercano (e li trovano) attraverso Facebook, sconvolgendo i loro precari equilibri emotivi. Il quotidiano inglese The Guardian raccoglie le preoccupazioni delle charity - valide ovunque ci sia una connessione internet -, che sottolineano anche come la decisione di sottrarre

un figlio ai genitori è molto grave e prosuppone, da parte dei tribunali, un’attenta analisi della situazione familiare che evidentemente si presenta gravemente abusante e tale da compromettere il sereno sviluppo dei minori. Non è una decisione presa alla leggera, insomma. La legge in molti paesi, compresa l’Italia, è molto precisa, ed enuncia con varie formulazioni che la famiglia è generalmente il miglior luogo dove bambini e giovani possono crescere. Tuttavia - si sottolinea nell’articolo - in alcuni casi è necessario prendere una decisione difficile per equilibrare il diritto di un minore di restare con la propria famiglia di origine e il diritto di essere protetto da abusi e mancanza di cure. In questi casi, e in particolare in quelli dove abusi e negligenze sono gravi, è necessario recidere il rapporto tra il figlio e i genitori biologici se si vogliono evitare conseguenze gravi per il benessere presente e futuro del bambino. Non si può - dicono le charity e i servizi sociali - lasciare un bambino troppo a lungo in una situazione familiare devastante. E diversi studi hanno dimostrato che se i genitori problematici dimostrano di poter cambiare, di solito lo fanno entro i primi sei mesi del figlio. Tuttavia, a volte si tende a lasciare il bambino con i genitori biologici molto più a lungo, sperando in un cambiamento che spesso non arriva mai. La famiglia adottiva in questi casi - prosegue il pezzo del Guardian - rappresenta un

intervento terapeutico che offre al bambino cure, affetto e un esempio di relazioni umane equilibrate di cui egli ha bisogno come l’aria che respira. Contatti improvvisi, non programmati e non autorizzati con i genitori biologici spezzano questa sicurezza raggiunta a fatica. E’ comprensibile che un genitori cerchi suo figlio. Molti genitori che abusano rifiutano di riconoscersi tali, spesso sono stati abusati a loro volta da piccoli e quasi sempre non riescono a comprendere il male che hanno fatto ai figli. Ma i contatti devono essere permessi unicamente nell’interesse del figlio, non dei genitori. Il problema con i social network è che stabiliscono un contatto immediato, senza filtri, e nessun altro adulto può controllare le comunicazioni tra genitori biologici e figli, che a volte, nonostante la buona fede, possono risultare violente per un bambino, lasciato a se stesso davanti a uno schermo in balia di emozioni contrastanti, confusione e sensi di colpa. Spesso infatti i bambini tendono a colpevolizzarsi della separazione tra loro e i genitori. La conclusione? Gli operatori sociali e tutti coloro che hanno a che fare con ragazzi adottati devono tenere conto dell’impatto che le nuove tecnologie possono avere sul benessere di questi soggetti così fragili, sempre tenendo come faro della loro azione l’interesse supremo del minore. Fonte: www.vita.it

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