Adozioni e dintorni - GSD Informa agosto-settembre 2012

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Adozione e dintorni GSD informa - mensile - agosto-settembre 2012 - n. 7

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la Scuola



agosto-settembre 2012 | 007

GSD informa

di Simone Berti

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editoriale

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Associazionismo familiare: il coraggio di cambiare di Simone Berti scuola e adozione

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A Cremona un importante lavoro con la Scuola di Gloria Joriini giorno dopo giorno

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Nascondino di Marta e Alberto leggendo

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Le cronache della barchetta di Marina Zulian

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Le voci dei figli di Anna Guerrieri

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sociale e legale

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Dentro la CAI di Luigi Bulotta

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trentagiorni

I requisiti per adottare di Angelamaria Serpico

Registrazione del Tribunale di Monza n. 1840 del 21/02/2006 Iscritto al ROC al n. 15956

redazione Simone Berti direttore, Firenze direttore@genitorisidiventa.org; Luigi Bulotta caporedattore, Catanzaro,

editore Associazione Genitori si diventa - onlus via Gadda, 4 Monza (MI) www.genitorisidiventa.org info@genitorisidiventa.org

impaginazione e grafica Maddalena Di Sopra, Venezia; Pea Maccioni, Lecce; Paolo Faccini, Milano

ricerca iconografica Simone Berti, Firenze; Eliana Gentile, Teramo; Anna Guerrieri, L’Aquila. correzione bozze Luigi Bulotta, Catanzaro;

progetto grafico e illustrazioni studio redazioni, Francesca Visintin, Venezia immagini Simone Berti, Firenze; Roberto Gianfelice, L’Aquila; Ilaria Nasini, Firenze; Eliana Gentile, Teramo; Mariagloria Lapegna, Napoli; Paola Di Prima, Monza; Simone Sbaraglia, Roma, Diana Giallonardo, L’Aquila, Raffaella Ceci, Monza.

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di Simone Berti

La nostra storia

editoriale

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Dopo la recente nomina di due rappresentanti di associazioni familiari in CAI si è aperta una discussione che prende a pretesto la preoccupazione che non sia stata rappresentata adeguatamente l’esperienza che dovrebbe essere portata nella Commissione dall’Associazionismo familiare. Ci sembra una buona occasione per questo giornale, per aprire uno spazio di riflessione e confronto su chi siamo, domandarci che cos’è un’associazione familiare. Cosa porta con sé, quale ricchezza, quale esperienza. Cosa significa essere genitori adottivi che, anche grazie alla forte esperienza dell’adozione, sono entrati a contatto con il mondo del volontariato, dell’associazionismo, dell’aiuto reciproco, del confronto. Essere associazione familiare significa cercare di creare spazi per condividere difficoltà e piaceri dell’essere genitori. E’ la pratica del confronto e del volontariato che permette di restituire voce alle famiglie e di elaborare riflessioni e proposte che sono frutto della vita reale vissuta da genitori e figli. Deve però essere garantita la neutralità dello spazio che si crea, per questo occorre grande attenzione a non creare relazioni confusive con Tribunali, Enti e Servizi. Dialogare con le istituzioni è necessario, ma è anche un punto estremamente delicato e occorre sempre una particolare cura nel dialogare senza creare situazioni confuse. Così come il rapporto tra volontari e operatori è complesso. Gli operatori sono professionisti e vengono retribuiti, ci portano il loro sapere e ci costringono ad un continuo ripensamento. Ma il loro sapere non è il sapere di noi genitori e non è sempre facile l’equilibrio tra il sapere dell’esperienza e il sapere della professionalità.


Inevitabile il rischio di essere percepiti come la sostituzione di un servizio mancante. Come alternativa possibile a qualcosa che dovrebbe esserci e troppo spesso non c’è. Ma noi chi siamo? Volontari professionisti? Genitori formati e preparati? Possiamo davvero darlo un “servizio”? O non siamo piuttosto solo genitori, genitori con l’esperienza del volontariato, dell’associazionismo, dell’aiuto reciproco, genitori forti di un’esperienza forte, ma senza soluzioni, sovente nemmeno per noi stessi? Genitori che non fanno lobby e non agevolano percorsi burocratici? Allora suona pretestuoso il tentativo di identificare l’esperienza delle Associazioni familiari con quella degli Enti autorizzati. Chiedersi chi siamo può servire a non dare mai per scontato ciò che facciamo, ma anche a consolidare una chiarezza di fondo che deve accompagnarci per prendere la direzione, orientarci nel cammino, misurare le distanze, e aver chiarezza sul nostro percorso, i nostri limiti e le nostre risorse. Chiarezza necessaria per costruire il lavoro di ogni giorno che pone al centro chi spesso al centro non è, chi ascolto non ha, chi non ha voce per esigere per sé il diritto fondamentale di crescere nell’amore di qualcun altro. Spesso cominciare una riflessione porta a ripercorrere la propria storia. La nostra associazione si chiama Genitori si diventa onlus e lavora appunto per costruire una cultura per l’infanzia: dare voce a chi non la ha. Lo fa dal 1999 e ha una sua storia complessa. Cominceremo in questo numero da una conversazione con Antonio Fatigati, fondatore dell’Associazione e suo presidente fino al 2011, per proseguire poi nel prossimo con Anna Guerrieri. Troverete in queste pagine anche un’intervista a Monya Ferritti, la prima dei nuovi eletti in CAI e poi, come sempre, molto altro. Buona lettura.

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Associazionismo familiare: il coraggio di cambiare di Simone Berti

Conversazione con Antonio Fatigati, fondatore e primo presidente di “Genitori si diventa”: un’occasione per rivivere alcune tappe della nostra associazione in una realtà in continuo movimento.

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Partiamo dal senso che ha rispetto a mettere insieme avuto per te costituire Geni- le coppie, aggregano senza tori si diventa. riuscire a venir fuori con delle soluzioni. La situazione in cui ci siamo trovati io e Silvia non era Fondare un’Associazione una situazione particolare, tuttavia sembra per certi eravamo semplicemente in- versi andare in direzione cappati in un problema cosa opposta rispetto al cercare che prima o dopo capita ad una soluzione ad un probleogni coppia che ha adottato. ma in cui si è incappati. In Nel nostro caso per esem- fin dei conti vi siete assunti pio si trattava di problemi una responsabilità pesante. con la Scuola. Quando ci siamo trovati a prendere Infatti hai ragione. Paradosatto dei problemi ci siamo salmente abbiamo costituito accorti che il gruppo con l’Associazione quando il procui avevamo adottato non blema per noi era risolto e ci aveva risposte e neanche siamo detti “non è possibile la capacità di indicare del- che si debba uscire in questo le direzioni, di dare un’in- modo, da soli, dai problemi”. dicazione. La situazione in Per la nostra famiglia è staLombardia ha delle sue pe- to così. L’Associazione non è culiarità. L’associazionismo stata una risorsa per noi ma lombardo è generalmente noi abbiamo potuto pensarci di piccole dimensioni legato come una risorsa per gli alai servizi locali. I servizi in tri. Non solo io e Silvia ma Lombardia hanno presen- tutta la nostra famiglia si è te la necessità di aiuto che messa a disposizione degli le coppie si trovano gene- altri e questa è stata la base ralmente ad avere ma non su cui si è edificata Genitori riescono ad andare oltre si diventa.

Mi sembra di capire che fin da subito l’impostazione è stata chiaramente di indipendenza e autonomia dai servizi, cioè vi siete mossi in una direzione diversa rispetto al resto dell’associazionismo tipico della Lombardia. Alcune cose che poi si sono rivelate intuizioni fondamentali le ho vissute e decise di istinto. Interessante per esempio l’episodio che riguarda il primo incontro organizzato. A marzo 2000 ho chiamato la psicologa della ASL per chiederle un incontro a tema. Lei è venuta, con una sua collega allora tirocinante, hanno fatto la loro relazione. Ecco, loro erano assolutamente disponibili a considerare la loro presenza a titolo gratuito ma ho preteso di ricompensarle per la loro presenza. Non ero supportato da una considerazione di tipo teorico, ho percepito d’istinto che era necessa-


rio e fondamentale definire chiaramente il rapporto, mettersi su un piano separato. Il pagamento poneva una distanza con i servizi che voleva dire in prima istanza libertà per l’associazione e di conseguenza anche che nessuno dei servizi potesse dire questo è il mio luogo. La separazione non è tanto sugli operatori ma piuttosto nel tenere distanti i servizi che per un lungo periodo hanno un reale potere sulla tua vita. Genitori si diventa dà molta importanza al fatto che l’associazione sia avvertita come un luogo neutro. Neutro rispetto ai servizi, agli enti, ai tribunali... Chi veniva e partecipava doveva sentirsi ed essere libero. Bisognava che non pensasse di poter essere usato o manovrato. L’As-

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sociazione di fatto doveva essere un luogo neutro. Ed è difficile essere realmente un luogo neutro. Vi sono realtà dove l’essere neutro si confonde con un bisogno iniziale perché l’altro, i servizi, vengono vissuti come il nemico (quindi a priori non può essere interlocutore o alleato). In questi casi la neutralità è in realtà avversità e la differenza è sostanziale. Non si può essere realmente neutri se l’altro è per principio un nostro avversario, la parte avversa. Un altro aspetto importante è l’ambito in cui intervieni: se pensi di lavorare sulla città o su pochi comuni rischi di rimanere schiacciato dai servizi che in quell’ambito sono troppo forti.

In realtà nel nostro caso l’espansione non è stata perseguita ma piuttosto casuale. Non c’era allora questa consapevolezza. Solo dopo ho scoperto che era stato un passaggio fondamentale. Tutto è nato con il sito internet. La prima coppia era di Venezia. Ci ha detto che le sarebbe piaciuto aprire qualcosa di simile anche lì: fare associazione. E’ più rassicurante entrare in un sistema già organizzato e quindi è stato spontaneo in molti casi cercarci come punto di riferimento.

Questo timore di restare schiacciati dal potere dei servizi è stata la base anche dell’espansione di Gsd?

Le prime, forti, sinergie sono state create dal virtuale. Il piano virtuale sviluppa la necessità del confron-

Quanto ha continuato ad essere importante il piano virtuale e quanto invece ha significato essere qualcosa di diverso rispetto ai forum sull’adozione?


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to ma non le dà una base concreta, vera. Crea un bisogno che non soddisfa. La risposta nei nostri confronti è stata eccezionale perché accanto al virtuale c’era anche la conoscenza diretta, reciproca, una visuale reale di comunicazione. Io sono sempre andato a conoscere di persona le realtà di coloro che ci contattavano. Il punto di svolta rispetto al virtuale è stato nel 2004 quando siamo andati a Jesolo in occasione di un convegno organizzato da Mammeonline. In quell’occasione ci siamo resi conto che avere una rete di rapporti reali, che ci consentisse di andare oltre il virtuale era ciò che ci rendeva forti. Quel convegno fu l’occasione di stringere rapporti importantissimi che risultarono poi fondamentali per la crescita di Genitori si diventa. La mia relazione raccolse ottime reazioni e la possibilità di intessere rapporti qualitativamente validi fu determinante. Questo ha significato per certi versi incorrere in un altro rischio. Essere diventato un punto di riferimento, un punto di transfert diresti te, e aver colpito molti attraverso quello che mi ero trovato a dire ha significato per tante persone non vedere più l’Associazione perché vedevano soprattutto me.

scita di Gsd che in breve tempo l’hanno fatta diventare con le dimensioni attuali, cioè un’Associazione con sezioni attive e punti informativi presenti in tutta Italia, un notiziario, una collana editoriale?

Io dividerei la storia di Gsd in due parti in cui quella tra il 2000 e il 2006 potremmo vederla come la fase di crescita, una crescita costruita sull’aggregazione di persone. Una fase faticosa soprattutto perché fatta di molti viaggi su e giù per tutta l’Italia. Tutte le situazioni nel territorio per me erano frequentate non virtuali. Io andavo a conoscerle perché era importante il contatto personale. Altrimenti non avrei potuto neanche farmi un’idea di quelle che erano le reali risorse e potenzialità di un posto. Lo vedi dalla vita quotidiana e non puoi farlo virtualmente. L’altro passaggio fondamentale è stato individuare Michele Augurio che rappresentava la figura di operatore di fiducia capace di portare in associazione quelle competenze che non avevamo come genitori. Agli incontri che facevamo in giro per l’Italia io parlavo dello stare insieme e lui portava nel discorso qualcosa che mostrava che forse alcune cose avrebbero potuto essere colte meglio, Così siamo arrivati ad che si poteva cercare di fare un’accelerazione nella cre- qualche passo in più. Per

molto tempo questo modo di intervenire in coppia ha funzionato molto bene e Michele ha aiutato molto l’associazione a crescere. Poi, quando l’associazione si è strutturata ulteriormente hanno cominciato a emergere, professionisti operanti nei luoghi dove GSD è attiva. Insomma ogni gruppo ha cominciato a camminare con le sue gambe. Questa germinazione è forse stato il risultato più bello della mia presidenza: sono sorti gruppi di famiglie in luoghi dove l’associazionismo familiare era quasi inesistente. In questo senso, nel suo piccolo, GSD ha davvero cambiato il tessuto sociale di alcune zone del nostro Paese. In questa fase ricordo che avevi in mente una figura che potesse essere una sorta di CT degli operatori dell’Associazione. Sì, era il ruolo che ho chiesto a Michele di ricoprire per qualche tempo ed era finalizzato a far emergere e supportare le competenze locali. Devo anche confidarti che in quel periodo riflettei seriamente sulla possibilità che GSD approdasse a essere Ente autorizzato. Fu determinante il pensiero di Anna Guerrieri che mi convinse come le famiglie che avevamo intorno erano con noi proprio per la peculiarità di un’associazio-


ne familiare che non avesse nessuna parte nei percorsi adottivi. Conclusi che aveva ragione: come associazione familiare potevamo permetterci di aiutare le coppie a diventare genitori, le famiglie a crescere continuamente. Potevamo essere accanto a loro in ogni fase della loro esperienza, essere per loro un punto di riferimento, non la soluzione della loro tensione ad adottare. Soprattutto, la nostra offerta di aiuto associativo poteva rimanere trasversale, evitando la formazione di gruppi ristretti per Paese di origine o per condivisione del viaggio. Con Anna Guerrieri arriviamo quindi alla seconda fase.

Dal 2006 inizia la fase che definirei del consolidamento. La seconda fase è stata dopo l’Assemblea a L’Aquila. Io lì ho avvertito tutti che sarebbero stati i miei ultimi 5 anni di presidenza. Non tutti naturalmente allora compresero. L’Aquila è stato il momento della ristrutturazione. Nasce un consiglio nazionale e comincia ad esserci la presenza di Anna Guerrieri che assumerà in quel momento la Vicepresidenza, una persona con una visione molto vicina alla mia ma anche con una sensibilità diversa. All’inizio erano tutte sezioni. Quando l’attività ha cominciato per qualcuno ad andare oltre abbiamo pensato e deciso in quell’Assemblea di scindere i livelli

tra sezione e punti informativi. Nella sezione i punti cardini diventano Tesoreria e capacità di creare eventi sul territorio. La realtà associativa è il passo successivo. Non puoi rimanere solo su livelli carismatici, si doveva cominciare a rendere giustizia dei contenuti dell’associazione e così si arriva alla Rivista e alla Collana editoriale. La rivista era stata un’idea nata nel 2004-2005 e inizialmente nacque come pagina Word. La mia intenzione era fare una sorta di foglio di collegamento con sopra qualche riflessione, qualche idea intorno all’associazione. Poi soprattutto con l’ingresso di Anna Davini è diventata sempre più un modo per far dire e

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circolare le cose che erano fuori del contesto associativo. Si spaziava al di là della costruzione associativa. La rivista diventò un modo per raccogliere opinioni, riflessioni esterne. Quando mi sono accorto che si poteva fare qualcosa in più decisi di iscrivermi all’albo speciale dei pubblicisti per poter fare uscire il giornale fuori dal contesto associativo e provare a trasformarlo in un giornale vero e proprio, regolarmente iscritto all’elenco delle pubblicazio10 ni come è adesso. Mi buttai a frequentare un corso per pubblicisti e sostenni l’esame. In un primo tempo come adesso era soltanto in formato elettronico ed è sempre stato un prodotto ben costruito e ben confezionato. Nell’associazione il notiziario ha creato anche qualche turbativa ma è stato sempre un elemento in crescita e nel 2009 decidemmo che si poteva provare ad uscire su carta. L’esordio fu rumoroso perché avvenne ospitando un lungo articolo di Busi dirompente e volutamente provocatorio anche nei nostri confronti. Gli avevo scritto una lettera e lui mi telefonò dicendo che mi avrebbe inviato un testo e che se volevamo pubblicarlo non accettava nessun tipo di modifica. Con la redazione ci trovammo subito d’accordo, mi appoggiarono in pieno e così lo pubbli-

cammo lasciando colpito lo stesso Busi che mi richiamò incuriosito per sapere le reazioni che avevamo avuto. Quando gli dissi che erano state tutto sommato buone restò sorpreso e mi disse: quelli che hanno paura sono quelli che hanno le ombre nel cuore. Mi parve una bellissima risposta. Il giornale è andato sempre meglio e avrei voluto che arrivasse in edicola ma questo obiettivo non l’abbiamo raggiunto. Mi sembra di capire che ti abbia sempre coinvolto meno la parte virtuale del confronto, il forum associativo. Sì perché il forum associativo lascia spazio alla libera espressione e come sempre in questi casi il rischio che si corre è la chiacchiera. Ogni persona naturalmente può elaborare un pensiero ma i forum sono come muri virtuali in cui si può esprimere qualsiasi cosa, con tutti i pro e i contro di quello che difetta di una mediazione. Nel 2007 al Notiziario si affianca invece la collana editoriale che oggi pubblica il suo decimo volume. Della collana editoriale che poi abbiamo costruito insieme conosci molto bene i passaggi. Il mio libro pubblicato con la Franco Angeli dal titolo Genitori si diventa ha

avuto un’ottima riuscita. Così l’idea è stata quella di costruire una collana che proponesse libri di qualità in un’editoria spesso scadente e noiosa quando tratta di adozione o di cultura dell’infanzia. Arriviamo quindi all’argomento che in questo momento è il più attuale. La CAI e il CARE. La Cai è stata per noi un’opportunità nata con la seconda presidenza Prodi e con la Bindi Ministro alla famiglia. In quel periodo decisero di mettere mano alla Commissione e andarono a vedere chi potevano essere i rappresentanti. Alcune associazioni come ANFAA contattate per prime decisero di restare all’esterno. Cooptarono il Forum per le famiglie ma questo secondo me fu un errore. Non puoi mettere nella CAI un’organizzazione che abbia al suo interno degli Enti autorizzati. E poi sentirono noi e il gruppo di Cappellari. Noi apparivamo più strutturati. Ci convocarono insieme ed emerse subito che la nostra associazione era tessuta da legami e attività ben strutturate e organizzate. Così siamo entrati, ma la cosa che però non tardò ad emergere è che stare nella CAI da soli era un suicidio, condannati a restare isolati e senza forza.


E’ qui che ti venne l’idea di un Coordinamento che riunisse diverse Associazioni familiari? Sì, intuii che era l’unica reale possibilità di incidere realmente su alcuni tavoli istituzionali importanti. In precedenza c’erano già stati altri piccoli tentativi di raggrupparsi, ma senza esito. Arrivati al 2008-2009 mi resi conto che i tempi erano maturi. Si trattava proprio di dire: è finito il tempo di rappresentarsi da soli almeno su questi tavoli istituzionali. Davanti ai grandi livelli, alla commissione, agli enti autorizzati, non puoi presentarti in ordine sparso. Quando ci siamo trovati a Bologna la prima cosa che altre associazioni ci dissero fu grazie. Ci ringraziarono per aver fatto un passo indietro in Cai in modo da consentire di associarsi determinando così un rafforzamento della rappresentanza delle associazioni familiari e su questo poi ripartire. Ricostruire era delicato e non era scontato che la commissione si convincesse che non si trattava più di chiamare una singola associazione ma di rivolgersi ad un’associazione di secondo livello. Tuttavia di fronte a un Care che rappresenta 21 associazioni non puoi fare altro che interloquire con loro e tenerli in considerazione. Non ha nessuna importan-

za, infatti, la dimensione effettiva delle associazioni che lo costituiscono, quanto è determinante ciò che insieme finiscono per rappresentare. E’ una presa di posizione miope quella che rimprovera al care la dimensione delle sue cellule costituenti, tra l’altro volutamente ignorando proprio la presenza di Genitori si diventa. E’ una presa di posizione pretestuosa che ha di mira soltanto a fare fuori l’Associazionismo familiare. E’ importante e difficile dialogare con gli enti. Loro, che vedono le sofferenze nei Paesi dove operano, cercano di inserire i bambini nelle famiglie mentre a noi tocca ricordare loro che è fondamentale anche come questi bambini vengono inseriti, le risorse effettive delle famiglie, la capacità effettiva, non emozionale, di accogliere. Per questo è importante che l’associazionismo familiare sia rappresentato da un’entità che sia ad un secondo livello quindi quanto più lontano dalla singola coppia, dal singolo. Qui non c’è nessun debito nei confronti degli enti e se io non ho nessun debito nei tuoi confronti posso dirti apertamente che non è accettabile lavorare in un certo modo. Così come è importante non incappare in un rischio altrettanto nocivo. Richiamare alla serietà non significa portare rancore né

farsi portavoce di questo stato d’animo spesso presente e sempre in agguato. Devi poter funzionare da filtro in rapporto a ciò. Non puoi portare dentro il rancore e basta. A volte se rappresenti e porti con te una delega ampia devi saper andare al di là dei legami personali talvolta anche oltre le relazioni personali. Bisogna essere disposti a metterle a rischio, in discussione. Devi avere capacità di equilibrio e il Care già di per sé 11 è una prima tutela in questo senso. Un’ultima domanda: perché hai deciso di lasciare GSD? Semplicemente perché non esistono persone per ogni stagione e per tutti i tempi. Io sono andato bene per la storia passata di Gsd ma fino ad un certo punto. Poi cambiare diventa la possibilità per proseguire. E Anna è la persona perfetta per guidare GSD in questo momento storico. E’ possibile che a un certo momento anche lei dovrà essere sostituita perché la storia di GSD continui. Le realtà vive si trasformano continuamente. Guai se non fosse così…


psicologia scuola e adozione 12

di Gloria Joriini

A Cremona un importante lavoro con la Scuola

“E così da quasi due mesi vivo in prima persona quella “fase di silenzio” in cui chiunque arriva in un luogo dove si parla una lingua diversa dalla propria lingua madre, immagazzina dati attraverso l’ascolto e la comprensione. E’ una fase in cui non si desidera essere sollecitati più di tanto, in cui si vuole scoprire senza forzatura… semplicemente rispettando il silenzio. E in cui vorremmo sempre essere compresi e accettati nei nostri errori……….” Gianfranco Zavalloni

Dall’analisi dei dati relativi all’età dei bambini adottati in Italia e all’estero dalle famiglie del distretto di Cremona è emerso che più della metà dei bambini è nell’età dell’obbligo scolastico. Ciò significa che presto, rispetto all’arrivo in famiglia, si porrà il problema dell’ingresso nel mondo della scuola. I dati considerati a partire dall’anno 2000 ci consentono di dedurre che più di 200 bambini adottivi stanno frequentando le scuole per l’infanzia, le scuole primarie e le scuole secondarie del distretto. Il 10% di questi bambini/ragazzi sono arrivati con l’adozione nazionale e il 90% con l’adozione internazionale da molti Paesi diversi, tra cui soprattutto Vietnam, Ucraina, Bulgaria, Etiopia, Russia, Nepal, India, Colombia. Se teniamo pre-

sente che anche i bambini “nazionali” spesso non hanno origini italiane, è evidente che la diversità somatica caratterizza quasi tutti i bambini adottati. Considerata allora l’importanza dell’ingresso a scuola come il primo ambiente extra-famigliare in cui si sperimenta l’integrazione sociale, considerata la condizione specifica dei bambini adottivi e la peculiarità dei loro bisogni e delle esperienze sfavorevoli pregresse, viste le esperienze già avviate in altre provincie italiane di collaborazione tra scuola, operatori, associazioni, famiglie al fine della stesura di protocolli/linee guida che in mancanza di un riferimento normativo sul territorio nazionale aiutassero ad individuare soluzioni organizzative e buone prassi per l’accoglienza e


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l’inserimento dei bambini adottivi, si è costituito un gruppo di lavoro con un’esperienza professionale multidisciplinare: insegnanti, operatori dei servizi ed associazioni, nonché l’esperienza personale dei genitori. Infatti, gli operatori del Centro Adozioni dell’ASL di Cremona hanno esplicitato il bisogno di “riflettere insieme” condiviso anche da insegnanti e famiglie adottive; si è avviata così una collaborazione tra i

servizi sociosanitari e il mondo della scuola per ragionare insieme sulle modalità di accoglienza e di monitoraggio del percorso scolastico e quindi del benessere dei bambini adottati. L’Ufficio Scolastico Territoriale (UST) in collaborazione con l’A.S.L. ha realizzato un corso di formazione di tre giornate, tenuto all’inizio dell’anno scolastico 2011-2012 dal Dott. Marco Chistolini, che garantisse un patrimo-

nio culturale condiviso tra operatori, insegnanti e famiglie, relativamente alle tematiche specifiche dell’“adozione”, sulla base del quale costruire una rete di servizi per la famiglia adottiva e abbozzare lineeguida operative da proporre a tutte le scuole per l’accoglienza dei bambini adottivi in ingresso ed in itinere; per la gestione di attività didattiche ad alto significato emotivo come quelle riguardanti la nascita, la storia personale,


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la famiglia, l’identità; per la gestione delle situazioni di difficoltà. Tale esperienza formativa ha consentito la costituzione di un gruppo di lavoro più ristretto, nel quale fossero sempre rappresentati la scuola e tutti i Servizi pubblici e privati (Centro Adozioni, ASL, Neuropsichiatria Infantile, Consultorio familiare Ucipem, Gruppo Gamma-servizio privato accreditato di riabilitazione), le famiglie adottive e le associazioni che a vario titolo si occupano dell’adozione, con la finalità di portare a termine la stesura di un “protocollo” attraverso il quale la scuola si dota di modalità specifiche di attenzione per la realtà adottiva. Vale la pena sottolineare che tale intento si è allineato con l’orientamento del MIUR, che l’8 giugno 2012 ha emanato la circolare “Rilevazione e studio delle problematiche educative connesse all’inserimento scolastico dei minori adottati” (DDG n2/I), ed ha costituito un apposito gruppo di lavoro presso il MIUR stesso, la cui attività sarà finalizzata alla redazione di norme e/o direttive nazionali attinenti le più adeguate modalità di accoglienza scolastica, al fine di uniformare con linee-guida nazionali le

prassi della scuola rispetto all’inserimento dei bambini adottivi. Pertanto il “tavolo” di Cremona ha fatto tesoro del lavoro già svolto e delle linee guida o protocolli già approvati a livello Provinciale in altre realtà (come Modena, Trento e Bolzano, Orvieto…). Il gruppo si è lasciato in giugno non avendo terminato il suo lavoro e quindi quanto sotto presentato non è ancora da considerarsi definitivo né nella stesura né nella completezza. Ma soprattutto la scommessa più importante sarà quella di riuscire a diffondere queste buone prassi e quindi a far decollare quella cultura dell’adozione che non è possibile possedere senza una specifica informazione ed una mirata formazione. A tal fine è opportuno segnalare fra le attività promosse dall’UST di Cremona, all’interno dei percorsi per i neo immessi in ruolo, un incontro dedicato proprio alle tematiche dell’adozione col quale si è voluto promuovere una prima azione di sensibilizzazione. Questa è la parte centrale del nostro percorso di confronto, ancora in corso, ed è frutto del lavoro effettuato dal gruppo multidisciplinare cremonese. Le domande individuate

come centrali e comuni a tutte le altre esperienze citate alle quali si ritiene fondamentale rispondere per favorire la migliore accoglienza e promuover e un positivo inserimento dei bambini adottivi a scuola sono essenzialmente tre: 1. Quando è opportuno che il bambino sia inserito a scuola e in quale classe? 2. Come favorire una buona accoglienza e un buon inserimento del bambino nell’ambiente scolastico: quali strategie utilizzare. 3. Come accompagnare e sostenere nel tempo il benessere del bambino a scuola. A tale scopo si sono individuati come salienti i seguenti aspetti: Un insegnante referente per l’Adozione Si è ritenuto opportuno che ogni scuola individui un insegnante referente per l’inserimento dei bambini adottati, formato relativamente alle tematiche specifiche dell’adozione e con specifici compiti. La condizione adottiva non può essere assimilata a quella dei bambini stranieri immigrati con la propria famiglia di origine.


L’accoglienza ✔ Iscrizione: al primo contatto con la scuola, prima di iscrivere il proprio figlio/a, i genitori potranno ricevere informazioni riguardo all’organizzazione scolastica, al POF adottato dalla scuola, ai tempi e alle modalità dell’inserimento scolastico, tramite un incontro informativo con l’insegnante referente o il Dirigente (I incontro). La scuola può accettare che il bambino sia iscritto con il cognome adottivo anche nel caso in cui la procedura sia ancora in fase pre-adottiva (nazionale o internazionale) per evitare violazioni della privacy in situazioni che richiedono la massima tutela. Si ricorda inoltre che la cittadi-

scolastico troppo precoce o poco rispettoso dei tempi del bambino può compor✔ Quando avviare la fre- tare. Pertanto si considequenza scolastica: La scel- ra opportuno scoraggiare, ta da parte della scuola di nell’incontro con i genitori, accogliere l’iscrizione del l’inserimento a scuola di bambino può non coinci- bambini adottati dopo podere nei tempi con l’avvio che settimane dall’arrivo dell’effettiva frequenza in Italia. Sembra opporscolastica. A tale proposito tuno attendere almeno 4 si ritiene importante con- mesi dall’ingresso in famisiderare quanto osservato glia del bambino. nell’ambito dell’esperienza professionale e confermato Progetto educativo indalla letteratura scientifi- dividualizzato ca, rispetto al bisogno pri- ✔ 2° incontro genitori/ referente/inoritario per il bambino di insegnante costituire il legame di at- segnanti di classe: dopo taccamento con la famiglia qualche settimana di freadottiva. Occorre inoltre quenza verrà effettuato tenere conto dei forti disa- un secondo incontro finagi e difficoltà di gestione lizzato ad accrescere la nella realtà scolastica quo- consapevolezza reciproca, tidiana che un inserimento utile in particolare agli innanza del bambino adottato è Italiana in ogni caso.

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segnanti per approfondire la conoscenza sulla situazione personale e familiare del bambino, così che si possano recuperare informazioni per formulare un progetto di accoglienza e inserimento individualizzato.

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✔ Inserimento: Il principio di riferimento è quello della flessibilità che la normativa relativa all’autonomia scolastica consente (C.M. 24/06; D.P.R. 275/99; D.L. 59/04) nel mettere a disposizione strumenti per ideare percorsi formativi adattabili allo sviluppo dei bambini adottivi. L’équipe pedagogica valuterà attentamente sia la possibilità di inserire il bambino in una classe precedente a quella indicata per età anagrafica sia l’opportunità di avviare la frequenza scolastica ad anno iniziato e per un numero ridotto di ore al giorno, privilegiando la partecipazione ad attività disciplinari che favoriscano le potenzialità espressive del bambino per canali non solo linguistici. Uno degli insegnanti della classe sarà, per il bambino, la figura di riferimento per aiutarlo ad orientarsi nelle routines del contesto scolastico.

favorire l’integrazione scolastica, promuovere attività nell’ambito della progettazione ordinaria che trattino di temi relativi alla diversità, all’accettazione dell’altro e al rispetto reciproco, ponendo particolare attenzione ai linguaggi utilizzati e ai modelli di famiglia presentati, anche attraverso la scelta dei libri di testo. In particolare il gruppo ha ritenuto necessario trattare il tema della “storia personale” in maniera inclusiva, individuando le modalità più appropriate a favorire la partecipazione attiva di tutti i bambini, affinché non si creino discriminazioni.

saggio di documentazione e informazioni. La rete che sostiene Il “monitoraggio” del percorso del bambino-ragazzo e del suo benessere a scuola include la necessità a essere disponibili a lavorare in rete in maniera coordinata tra scuola, famiglia e servizi (Centro Adozioni e Neuropsichiatria Infantile) che seguono o conoscono il bambino e la sua storia, attraverso periodici incontri di verifica.

Difficoltà a scuola Quando un bambino/ragazzo presenta in ambito scolastico difficoltà di apprendimento, comportaScuola-Famiglia mento o di altra natura, la E’ stata sottolineata l’im- lettura e comprensione del portanza di mantenere nel suo disagio deve tener contempo rapporti costanti to della componente emotiscuola-famiglia, favorendo va correlata alla dimensioun continuum educativo ne adottiva. scuola-famiglia a sostegno del bambino-ragazzo nel Diffondere la cultura percorso scolastico e del dell’adozione monitoraggio delle capaci- La scuola, consapevole del tà di apprendimento. fatto che la presenza degli alunni adottati è un dato Continuità strutturale che riguarda Prestare attenzione ai l’intero sistema scolastico, cambiamenti che riguar- si impegna a curare la sendano il percorso scolastico sibilizzazione dei docenti del bambino-ragazzo at- alle problematiche dell’ativando una stretta colla- dozione promuovendo apborazione tra insegnanti positi momenti formatividelle classi nei momenti di informativi e/o segnalando passaggio da un ciclo sco- le proposte provenienti da In classe E’ fondamentale, al fine di lastico all’altro, con pas- agenzie esterne.


PROSPETTIVE DEL GRUPPO DI LAVORO Il lavoro fin qui presentato è da considerarsi in itinere. Infatti, il gruppo di lavoro per il prossimo anno scolastico fa sue le seguenti prospettive: • Da ottobre 2012 a giugno 2013 si propongono incontri mensili per integrare le linee guida per “Inserimento e accoglienza dei bambini adottati a scuola” con allegati esplicativi che completino il documento. • Si desiderano approfondire alcuni temi cardine (quali ad esempio l’approccio alla storia personale, gli aspetti relativi all’apprendimento e a possibili reazioni comportamentali nel bambino adottato) “approfittando” delle diverse competenze presenti nel gruppo di lavoro. Dal confronto delle differenti professionalità, e quindi dalle diverse ottiche, si potranno leggere peculiarità dell’adozione e del bambino adottato che è possibile cogliere solo con una lettura multidisciplinare, che consente una visione globale del bambino e delle sue relazioni con i principali contesti di appartenenza (famiglia, scuola, ambiente sociale). Tutto ciò al fine di costituire una rete sul territorio per offri-

re ai bambini le migliori opportunità di crescita, affettività, apprendimento e sviluppo relazionale. • Si ritiene inoltre indispensabile lavorare per diffondere e sensibilizzare i genitori e la scuola alla conoscenza di queste Linee Guida e delle nuove prospettive aperte dal MIUR sul tema Adozione e Scuola, in modo che le “buone prassi” possano essere applicate. • Si intende infine che nel tempo il gruppo possa divenire, a livello locale, un punto di riferimento sulle tematiche dell’adozione per i docenti e le scuole che ne faranno richiesta, al fine di far decollare quella cultura dell’adozione che non è possibile possedere senza una specifica informazione ed una mirata formazione.

HANNO PARTECIPATO A QUESTO TAVOLO:

AZIENDA SOCIALE CREMONESE • Rosaria Lombardo - assistente sociale del Centro Adozioni CENTRO ADOZIONI ASL CREMONA adozioni.cremona@aslcremona.it • Anna Maria Lanzoni - psicologa • Alessandra Santilli - psicologa CONSULTORIO U.C.I.P.E.M. ONLUS: segreteria@ucipemcremona.it • Marta Prarolo - educatrice professionale GENITORI SI DIVENTA: diventarecr@ genitorisidiventa.org • Annamaria Mazzini - genitore adottivo, punto informativo GSD Cremona • Gloria Joriini - genitore adottivo, referente GSD per la scuola GRUPPO GAMMA - Servizio di Neuropsichiatria Infantile Privato Accreditato: • Maria Luisa Gabbani psicomotricista ISTITUTI OSPITALIERI di CREMONA, AZIENDA OSPEDALIERA – Servizio di Neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza: • Maria Luisa Piseri - psicologa UFFICIO SCOLASTICO TERRITORIALE di CREMONA: • Stefania Cremona - docente scuola primaria, I circolo • Gloria Joriini - docente scuola secondaria I grado, Scuola media “M.G.Vida” • Mario Zelioli - docente scuola primaria, I.C. di Castelverde

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giorno dopo giorno

Marta e Alberto

Nascondino 18

Nascondino, uno dei giochi più antichi e universali. Ai miei bambini piace moltissimo, persino più della wii. Adorano nascondersi nell’armadio, dietro ai cespugli, a volte basta un lenzuolo… per poi farsi trovare, soprattutto da mamma o papà. Scelgono posti prevedibilissimi. La tolleranza a star nascosti è piuttosto bassa. Mia figlia di quattro anni fino a poco tempo fa ci mostrava lei stessa il nascondiglio che avrebbe scelto, per la paura di non essere subito ritrovata, e ancora adesso resiste pochi secondi lontano dai miei occhi. Mio figlio di nove ora è decisamente più scaltro, ma ha sempre preferito farsi cercare piuttosto che sgusciare fuori per correre verso la tana. La gioia di quando li ritrovi è identica, esplosiva, contagiosa. Intensa come

il pianto disperato di un amichetto di mio figlio che quest’estate, giocando proprio a nascondino, non riusciva più a ritrovare la sorellina. Un’amica che lavora in una comunità di minori dice che i “suoi” bimbi che vivono lontani dalle loro famiglie d’origine per l’intervento dei servizi sociali e del tribunale, pur avendo subito trascuratezza se non violenza, aspettano comunque ogni giorno i loro genitori, o almeno uno di loro, a volte anche per mesi, se non per anni. E’ come se, giocando a nascondino, nessuno andasse più a cercarli. Come se il “gioco” si fosse bruscamente interrotto, sempre che sia mai cominciato. E non certo per colpa loro. Un bambino che non è sotto lo sguardo di qualcuno che ne abbia cura, che lo pensi, lo cerchi, si sente

mancare: è invisibile, non ha bisogno di nascondersi. Non ha alcuna voglia di correre a perdifiato per andarsi a liberare. Ma una volta entrati in una nuova famiglia, lentamente il gioco del nascondino può ritrovare tutto il suo fascino. E così una mamma e un papà non certo più ragazzini si possono ritrovare coinvolti in un “nascondino di famiglia” con i figli di 16 e 10 anni tra la cucina e la camera da letto. Con la stessa preoccupazione dei miei cuccioli: farsi trovare in fretta!


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leggendo

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Marina Zulian responsabile della BibliotecaRagazzi di BarchettaBlu

Cronache dalla barchetta Il catalogo dei genitori - Seconda puntata 20

Procedendo nella ricerca di albi illustrati, storie e racconti sulla genitorialità, mi sono imbattuta in un piccolo libro della casa editrice Sinnos. In Qui con me si racconta di come, con la propria mamma, il bambino non ha paura, di come la mamma le sta accanto, di come ci sia un legame stretto che però lascia liberi. E’ un legame uguale fra tutte le madri e tutti i figli del mondo, siano essi ragni, camaleonti, balene o esseri umani. Sfogliando queste delicate pagine all’interno di un

gruppo di genitori alla ricerca di libri su mamme e papà, ci sembrava di aver trovato il libro giusto. Ma ecco nel retrocopertina in agguato la parola critica, la frase problematica, il concetto inaspettato: Ogni cuore di mamma batte per il proprio piccolo, il quale, ancora cucciolo o già cresciuto, sarà unito a lei per l’eternità. E’ un legame sanguigno, Abbiamo allora cercato antenero, sincero, cora fra gli scaffali della diretto. E’ un legame biblioteca e ci siamo imindissolubile e forte, battuti in un grande libro un istinto innato e a fisarmonica lungo 4 meprimordiale. tri. L’insolito formato e le Nel gruppo ci siamo guar- colorate illustrazioni handati perplessi e abbiamo no fatto riscuotere a quecon forza affermato che sto libro un grande succesnon è proprio e sempre so. Ma quello che più ci è così. piaciuto sono i testi di SaCosa può provare un bam- bina Colloredo: si tratta di bino abbandonato senten- un dolce dialogo tra piccolo do parlare di legame san- e mamma Tucano. Finalguigno indissolubile? mente non ci si sofferma


su come e quando si sono incontrati il cucciolo e la mamma, ma si racconta semplicemente di quando il curioso tucano fa molte domande alla sua mamma attraverso il gioco del se fossi. E ci è molto piaciuto come la mamma risponda a tono sottolineando sempre come da quel momento lei sarebbe stata qualcuno o qualcosa in relazione proprio al suo caro cucciolo. E se fossi una nuvola, tu cosa saresti? Sarei il vento, rispose la mamma, per poterti spettinare. E se fossi un serpente? Sarei il ramo con cui puoi giocare. E se fossi una cascata? Sarei la pietra che ti fa cantare. … E se fossi un albero? Sarei la pioggia che grande ti fa diventare. E se fossi una banana? Sarei il sole che ti fa maturare. Della stessa serie un racconto sulla figura del papà in sedici pagine cartonate e plastificate con brevi frasi di due o tre righe ciascuna. Il libro a fisarmonica di grande formato (25x38), ha illustrazioni a tutta pagina e a libro aperto si può formare una specie di

scenario continuo di due metri. Papà Famondo è la storia di un omone spavaldo con due grandi mani che sapevano creare tutte le cose del mondo; egli voleva persino creare un bambino! Ma un bambino non cresce sugli alberi come le arance e neppure si può costruire con lamiere e bulloni; un bambino nasce dall’amore. Un giorno l’omone felice disse a se stesso: È ora che io faccia un bambino!

Poiché era un bravo falegname, prese sega e martello e fece un bel pupazzo di legno. Lo guardò, aspettò, lo riguardò, e disse: Questo non è un bambino. Allora, poiché era anche un bravo contadino, arò, seminò, annaffiò, aspettò, potò, e crebbe un bell’alberello di mandarino. Lo guardò, lo annusò, si compiacque del profumo ma poi disse:

È un po’ meglio perché è un essere vivo, ma non è un bambino. Siccome era anche un bravo meccanico, prese lamiere e bulloni, bielle e pistoni e pezzi di macchine varie e fece un piccolo robot. Questo era meglio del mandarino perché camminava, ma non sapeva dove andare. Insomma: non era un bambino. Allora l’uomo, essendo un bravo pittore, fece un ritratto, ma non era un bambino. Essendo un bravo musicista fece un concerto, ma non era un bambino. Essendo un bravo poeta fece un poema, ma non era un bambino.

A quel punto si sedette scoraggiato, si guardò le mani e disse: Eppure io sapevo fare tutto! Venne la moglie e vedendolo triste lo consolò, lo baciò, lo abbracciò, e fecero un bambino. Allora Papà Famondo si alzò felice e baldanzoso, prese sega e martello e fece

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tanti giocattoli di legno che mostravano il mondo in piccolo per far giocare e ridere il suo bambino. Nel gruppo di genitori ci siamo chiesti cosa fare con tutti quei libri dedicati ai neonati e alle loro mamme, che parlano dell’indissolubile legame che unisce una madre al proprio figlio, quando ci si trova davanti ad un bambino che è stato abbandonato proprio dalla mamma e dal papà. Prima di tutto, ci siamo detti che avremmo potuto cercare gli albi illustrati che parlano di amore incondizionato e quindi adatti a tutte le situazioni della vita. E naturalmente riguardanti sia la figura della mamma che quella del papà.

Per esempio, nel libro Il papà che aveva dieci bambini si racconta, come dice il titolo, di un papà che aveva molti bambini. Il racconto è un po’ di parte, ma è una dedica ai papà che si prendono cura con amore e dedizione ai propri figli. Così come per la descrizione della figura materna è importante anche evidenziare come quella paterna stia assumendo in alcuni casi un ruolo diverso. Questo papà ogni mattina prepara la colazione e fin dal mattino è disponibile ad ascoltare le mille do-

mande e richieste dei bambini. Papà mi leggi una storia? Papà mi scappa la pipì! Papà posso andare a giocare? Papà la mamma non mi fa vedere i cartoni! Papà corriamo? Papà mi porti con te a fare la spesa? Papà, lasciami in pace! Papà puoi venire per favore? Papà posso mettermi la gonna rosa? Mi fa male, papà! Papà mi scappa la pipì! Papà cosa c’è da mangiare? Giochiamo papà? Papà vieni tu a prendermi a scuola? Papà andiamo a dormire? Il papà presentato in questo bel libro legge, gioca e soprattutto si vede che non vuole solo crescere i propri bambini ma vuole soprattutto crescere con loro.

111111111111 111111111111 111111111111 Questa è la storia bellis- seconda dell’occasione! sima della mia mamma Con la sua folta chioma la albero. La mia mamma è mamma protegge. come un albero bello e placido. Quando mi siedo accanto a lei sento un venticello leggero e tutt’intorno a noi vedo un grande prato verde. Ogni mamma è un albero, forte e robusto capace di of- Quando c’è il temporale frire con i suoi rami un po- (cioè se piove davvero o se sto in cui riposare, un luo- ci arrabbiamo) mi metto al go per rifugiarsi ed essere riparo sotto la sua chioma: Anche in Una mamma al- protetti: salice, quando ti li sotto cadono solo delle bero, la mamma è rappre- abbraccia, quercia quando goccioline rade e io ascolto sentata come un punto di ri- si è tristi, ogni mamma sa quella voce per fare la pace ferimento in ogni occasione. essere un albero diverso, a ... Quando cerco una tana,


la mia mamma albero scava un buco nel suo tempo e io mi posso fare un nascondiglio dentro quella terra. Con le sue radici lunghe e forti aiuta a crescere. Sicuramente le brevi strofe poetiche e le illustrazioni semplici ma evocative sono riuscite a trasmetterci il senso dell’amore incondizionato e della protezione di una mamma; ma anche in questo caso la poesia viene meno pensando alla fatica e alla difficoltà che ogni mamma incontra nella gestione del quotidiano.

Ci siamo allora avventurate in un altro piccolo libro con tanti disegni e poco testo. Molto meno poetico dei precedenti, decisamente meno impegnativo, ma sicuramente più realistico. Simpatico e divertente mette in luce in modo non banale come una mamma debba essere in grado di svolgere molte funzioni e possa essere usata in molti modi. 31 usi per una mamma

potrebbe sembrare un libro ideale per i bambini, invece è anche per gli adulti e dimostra tutte le vesti che cambia una mamma durante la propria giornata. Mi sono riconosciuta in tutte le illustrazioni come mamma tuttofare: Orologio, quando al mattino scandisco i minuti per prepararsi ad andare a scuola Scuola Guida, quando insegno ad andare in bicicletta Medico, quando metto il cerotto sul ginocchio Sedia a sdraio, quando mio figlio si distende addosso a me Voltapagina, Metro, Avversaria, Enciclopedia, Apribottiglie … Amica

Anche nel racconto Il distributore di mamme, di Emanuela Nava si parla di molte mamme. Forse è un po’ inquietante il grande distributore di vetro e me-

tallo che custodisce tutte le mamme che un bambino può desiderare: Mamme cuoche. Mamme musiciste. Mamme da compleanno. Mamme da buona notte. Mamme fate. Mamme streghe. Mamme maestre. Mamme belle da acquistare solo per sé.Mamme brutte da acquistare per fratelli e sorelle. Mamme web. Mamme per tutte le occasioni. 23

La stessa autrice, ha scritto anche uno dei libri che ci è piaciuto di più: Mamma Nastrino Papà Luna. Finalmente si parla di mamme che lavorano mentre i figli crescono. Mamme che si appassionano a ciò che fanno durante la giornata mentre i bambini non sono con loro. Mamme che sono comunque legate ai loro bambini e li aiutano a superare l’irrefrenabile desiderio dei


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bambini di essere vicini a loro. Questo libro in realtà contiene due storie diverse ma entrambe pensate per parlare ai bambini in modo semplice e chiaro del rapporto fra genitori e figli. Una storia è intitolata Mamma Nastrino e l’altra Papà Luna; per leggere la seconda storia è necessario capovolgere il libro. In particolare le due tenere storie narrano dello speciale legame che c’è tra

una mamma e il suo bambino e tra il papà e la sua bambina. Il legame rimane molto forte anche quando i protagonisti sono lontani fisicamente. Questo forte e indissolubile legame è rappresentato da un invisibile ed elastico nastro che parte dal cuore della mamma e arriva a quello della bambina in ogni occasione. Inutile aggiungere che anche noi adulti siamo figli e che spesso abbiamo genitori lontani da noi ma che,

Tutte le mamme del mondo. Tutte. Hanno i nastrini. Tutte le mamme, anche quelle che vivono in cielo, che fanno le pilote d’aereo o le astronaute. Le mamme viaggiatrici che scalano le montagne o si avventurano da sole tra i ghiacci polari. … Le mamme brutte col naso da strega. Le mamme belle, bianche, nere, rosse, gialle, verdi e blu. Le mamme a strisce e a punti. Tutte le mamme del mondo hanno i nastrini. Tanti nastrini lunghi e colorati che legano i loro cuori a quelli dei loro bambini. Nastrini invisibili, di stoffa molto elastica, che possono allungarsi, allungarsi, allungarsi ... accorciarsi, accorciarsi, accorciarsi ... Se la mamma vola a New York e il bambino viaggia nel deserto di Timbuctu. Se la mamma corre in cucina e il

in qualche modo, sentiamo sempre vicini. La storia di Emanuela Nava e le immagini di Desideria Guicciardini sono incredibilmente esaustive. Quando mio figlio era più piccolo e tutte le mattine lo accompagnavo alla scuola d’infanzia, ripensavamo spesso al disegno di quel lunghissimo nastrino che lega mamma e bambino quando la prima è al lavoro e il secondo a scuola e ciò tranquillizzava entrambi.

bambino si rifugia sotto le coperte Se la mamma lavora, lavora, lavora e al bambino vengono i puntini delle coccinelle, il raffreddore degli elefanti, la tosse degli asini. Se la mamma resta a casa e il bambino va a scuola, il primo giorno, otto ore che sembrano otto anni Il tamburo del cuore batte: tu tum tu tum pronto pronto. L’altro tamburo risponde: tu tum tu tum eccomi, un po’ di pazienza! Mamma e bambino si parlano. Da cuore a cuore. In una lingua misteriosa che solo loro capiscono. - Mamma, mi vuoi bene? - Si, come da qui a Marte - Io di più. Come da qui al negozio di pizze. I nastrini sono infrangibili Niente può tagliarli ... dividerli ... o annodarli. I nastrini legano mamma a bambino con il loro alfabeto segreto.


Nella seconda storia è la luna a fare da tramite tra i bambini e il papà, anche quando questi è lontano o non c’è. I papà affidano alla luna i loro racconti per far giungere la loro voce ai bambini, finché dura la separazione, che non è mai per sempre. Il dialogo d’amore anche se a distanza non è meno intenso. I papà possono andare in Africa a dorso di cammello o in America a ballare con gli indiani; non importa quanto siano lontani, perché il loro cuore è sempre in un posto: a casa, dai loro bambini! L’autrice suggerisce che non c’è distanza che non possa essere colmata tra chi si vuole bene e che, prima o poi tale distanza si annulla e si scioglie in un abbraccio, in una festa, in un nuovo incontro. Il linguaggio è semplice, ma incisivo e spiritoso e si integra in modo naturale e poetico con le illustrazioni. Gli spunti di discussione quando si legge questo li-

bro sono davvero tanti, ma in generale questa storia rappresenta un inno all’autonomia. All’autonomia delle mamme, che non si esauriscono in un ruolo a senso unico bensì lavorano, viaggiano, cucinano (tutto ciò nelle forme più svariate e originali) senza però perdere mai di vista il legame con i loro bambini. I nastrini della mamme sono strumenti della relazione funzionali alla libertà di entrambi e quindi anche all’autonomia di bambine e bambini. E a loro volta i papà trovano il modo di tenere vivo, e sempre presente, il legame con i figli, che li cercano quando sono lontani. I papà per interposta persona, grazie alla mediazione della luna, narrano le loro storie ai bambini. Si crea così una vicinanza che anche se non è fisica ma fatta di emozioni, di attese e di vissuti, rafforza i legami famigliari in modo fortissimo. … continua

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Bibliografia Qui con me. C. Dattola, Sinnos Editrice, 2006 Solo per amore. S. Colloredo, Carthusia, 2009 Una mamma albero. L. Panzieri, lapis Edizioni, 2007 31 usi per una mamma. H. Ziefert, Salani Editore, 2004 Il papà che aveva dieci bambini. B. Guettier, Ape Junior, 2000 Mamma nastrino Papà luna. E. Nava, D. Guicciardini, Piemme, 2001 http://www.emanuelanava.it/ mammanastrino.html


leggendo di Anna Guerrieri presidente Genitori si Diventa Onlus

Le voci dei figli

Prefazione a Famiglie per adozione, di Stefania Lorenzini (in corso di stampa) 26

“La biografia di ciascuno di noi è faccenda seria, molto seria” D. Demetrio, “Il gioco della vita”

Nelle pagine che avete davanti, troverete voci che si raccontano, che rievocano frammenti di storie complesse, intime, talvolta drammatiche. Verrete portati un passo dopo l’altro dentro la vita di tanti ragazzi e ragazze adottati che hanno scelto di donare i propri ricordi, i propri pensieri. Sarete in India, in Ecuador, in Guatemala, in Tanzania. Percepirete la quotidianità, la verità, le dimensioni concrete dei luoghi e dei tempi rievocati. E all’improvviso vi scoprirete al fianco di bambini che hanno combattuto per vivere, sopravvivere, per essere al mondo e crescere. Che hanno dovuto decidere cosa ricordare e cosa dimenticare. Sarete assieme ai ragazzi, alle donne e agli uomini che sono diventati attraverso l’incontro con la loro famiglia adottiva. Vi

incepperete nei loro silenzi, vi fermerete sulle loro considerazioni, li immaginerete, ne immaginerete le voci i modi di parlare. Questo libro rende onore ai protagonisti dell’adozione: i ragazzi e le ragazze adottati. Frutto di un lungo lavoro di ricerca portato avanti negli anni dall’autrice, pone al centro dell’attenzione con cura e rispetto il racconto di chi è stato adottato internazionalmente. Dà spazio a cosa significhi ricordare gli eventi che hanno portato all’adozione (l’abbandono, la solitudine, la perdita, il lutto, il maltrattamento non sono solo parole astratte), dà spazio alle emozioni complesse che si provano incontrando quei perfetti sconosciuti che diventeranno i “tuoi” genitori, alle sensazioni provate


nel viaggio verso un mondo ignoto dove cominciare una nuova vita. E’ un libro che mette in luce, che fa silenzio e chiede a tutti noi di ascoltare chi adottato lo è. Chiede un ascolto attento, scevro di pregiudizi o giudizi. Chiede di fermarsi a riflettere su cosa significhi ricominciare da capo la vita e misurarsi quotidianamente con la propria differenza e con i ricordi di una vita altra, cominciata altrove. Troverete ricordi lontani, pensieri sui propri genitori di origine (mai conosciuti, ben conosciuti, a mala pena ricordati, ben presenti alla memoria, deludenti, sognati, maltrattanti, persi), pensieri sul paese di nascita, sensazioni sull’incontro coi propri genitori adottivi, sulla paura di non piacere, sul desiderio di avvicinarsi, sulla gioia di trovare una famiglia calda, accogliente. Scoprirete emozioni sull’arrivo in Italia, pensieri sui “primi tempi assieme”, riflessioni sui genitori adottivi e sulle loro storie e narrazioni sulle proprie relazioni famigliari crescendo (conflitti, dolori, gioie, dialoghi, silenzi, crisi, lontananze, amore). Troverete vite intense e complesse, persone vere e reali, sincere e disponibili a dirsi con trasporto,

passione e sincerità. Lasciatevi condurre da loro nelle loro storie, perché sono persone che hanno molto da dire e da insegnare. Che possono dirci molto su noi stessi (genitori) e sulle nostre famiglie, sulle difficoltà ad accogliersi, sull’immediatezza della vita e dei rapporti quotidiani. Che possono, se desideriamo adottare, portarci per mano nel mondo di chi incontreremo donandoci la loro visuale, ponendoci “dalla parte dei bambini” per davvero, quelli veri, quelli reali, quelli che un giorno diventeranno i nostri figli, le nostre figlie. Perché, come dice l’autrice … nell’adozione, non ci troviamo di fronte a bambini che semplicemente o soltanto non hanno: non

hanno genitori o non hanno genitori e parenti che siano in grado di garantire loro benessere, psicologico, affettivo e materiale, non hanno mezzi di sostentamento sufficienti, non hanno adeguate condizioni abitative, non hanno cure igieniche, né mediche, non hanno e non potrebbero avere una valida istruzione; e forse, potrebbero non avere neppure un futuro. Non si tratta di negare le gravi difficoltà vissute o che potrebbero ancora vivere bambine e bambini permanendo nel luogo di nascita. Si tratta di guardare alle loro differenze, e cioè alle loro peculiarità, alle loro storie individuali, pensandoli in quanto bambini che hanno: che hanno molto da portare con sé e non solo da “lasciare alle spalle”.

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sociale e legale

Angelamaria Serpico Avvocato specializzato in diritto di famiglia e diritto minorile

I requisiti per adottare 28

L’art. 6 della legge 4/5/1983 n. 184 stabilisce che “l’adozione è consentita a coniugi uniti in matrimonio da almeno tre anni.”

E che “il requisito della stabilità del rapporto può ritenersi realizzato anche quando i coniugi abbiano convissuto in modo stabile e continuativo prima del matrimonio per un periodo di tre anni.” Sostanzialmente, quindi, nel computo dei tre anni richiesti dalla legge è possibile ricomprendere anche gli anni di convivenza; è evidente, tuttavia, che la convivenza di per sé sola non è sufficiente a soddisfare il requisito, occorrendo necessariamente contrarre matrimonio. Quanto alla prova della convivenza, la legge si limita a precisare che: “il tribunale per i minorenni accerta la continuità e la stabilità della convivenza avuto riguardo a tutte le circostanze del caso concreto”. Pertanto è opportuno richiedere in cancelleria

cosa esattamente produrre a riguardo. Solitamente è sufficiente produrre un’autocertificazione. Inoltre si potrà indicare il nominativo di testimoni (es. i vicini di casa) e presentare documentazione utile (ad esempio utenze cointestate all’uno o all’altro al medesimo indirizzo). Non è rilevante che la residenza sia comune ai coniugi, essendo sufficiente il domicilio comune. Il comma 2 dell’art. 6 legge adozione dispone che: “i coniugi devono essere effettivamente idonei e capaci di educare, istruire e mantenere i minori che intendono adottare.” L’accertamento della sussistenza di tale idoneità viene delegata dal Tribunale per i minorenni ai servizi territoriali ma, preliminarmente, si chiede che con la dichiarazione di


disponibilità gli aspiranti all’adozione presentino certificati medici e talvolta anche certificati penali ed attestati relativi alla propria consistenza patrimoniale, nonché il consenso scritto dei propri ascendenti all’adozione per verificare, già in fase preliminare, la sussistenza dei predetti requisiti. Per quanto riguarda la situazione sanitaria e giudiziaria della coppia, va precisato che in entrambi i casi, la presentazione della propria disponibilità ad adottare non è preclusa, ma è evidente che andrà accertata con rigore la capacità di essere idoneo ad educare, istruire e mantenere i minori che si intendono adottare, ai sensi dell’art. 6 comma 2 L. 184/1983. Nel caso di malattia, è necessario che la stessa non influisca su tali requisiti, mentre nel caso dei precedenti penali l’attenzione del tribunale è volta, precipuamente, ad escludere che il bambino possa essere immesso in un contesto socio familiare deteriorato e malsano. Ovviamente si tratta di casi estremi, non certamente individuabili nell’ipotesi che sul certificato del casellario giudiziario di uno dei coniugi siano presenti reati di entità tutto sommato lieve, magari com-

c.d. pubblica e la moralità c.d. privata, e ritenuto altresì che la presunzione d’innocenza di cui all’art. 27 cost. non può, da sola, far considerare del tutto irrilevante la pendenza di procedimenti penali per reati di notevolissima gravità, non può essere dichiarata idonea all’adozione internazionale una coppia in seno alla quale il marito è sottoposto a misure preventive di sorveglianza speciale in pendenza di procedimenti penali per associazione a delinquere, rapina aggravata, usura, estorsione e bancarotta fraudolenta, pur se tali procedimenti non si sono ancora conclusi con la condanna o con l’assoluzione.” (cfr. Corte Appello Roma, 17 gennaio 2005). Tra i vari requisiti, il Tribunale vuole anche conoscere l’opinione degli ascendenti, chiedendo un’attestazione di assenso da parte dei genitori della coppia. Pur non essendovi una norma specifica di riferimento, la richiesta si inquadra nell’ambito delle indagini relative alle caratteristiche personali La giurisprudenza si è e familiari della coppia, espressa in questo senso: come tra l’altro prescritto “Ritenuto che, ai fini anche dalla L. 31/12/1998 dell’accertamento della n. 476, che ha ratificato capacità educativa genito- la Convenzione dell’Ariale non può farsi alcuna ja 29/5/1993. Tuttavia il distinzione tra la moralità mancato consenso dei gemessi in giovane età (come ad esempio la guida di motorino di cilindrata non ammessa) di cui neanche ci si ricordava l’esistenza. Altre volte i reati, o sovente anche l’ipotesi di reato, per il solo fatto che si è nella fase iniziale delle indagini, sono più consistenti. Il dettato normativo, in realtà, non fa alcun riferimento alla sussistenza di eventuali precedenti penali in capo ad uno degli adottanti, essendo solo necessario che “i coniugi siano effettivamente idonei e capaci di educare, istruire e mantenere i minori che intendono adottare”, come già precedentemente riferito. E’ tuttavia evidente che la sussistenza dell’imputazione di reato può influire sulla capacità di istruire e più in generale di educare il minore e che, in tale valutazione, si debba tener conto anche della consistenza e della gravità del reato ascritto. Non da ultimo dovrebbe rilevare, però, anche la circostanza che si sia già in presenza di condanna oppure ancora in fase di accertamento.

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nitori dell’aspirante coppia adottiva non costituirà necessariamente causa di diniego da parte del Tribunale per i Minorenni. L’art. 6 comma 3 dispone che: “L’età degli adottanti deve superare di almeno diciotto anni e di non più di quarantacinque l’età dell’adottando”. Il comma 6 precisa, inoltre, che: “Non è preclusa l’adozione quando il limite massimo di età degli adottanti si superato da uno solo di essi in misura non superiore a dieci anni”. E’ soprattutto il disposto di cui al comma 6 a creare confusione tra gli aspiranti all’adozione ed anche tra gli interpreti, che in vario modo, nel corso del tempo, hanno valutato tale limite. Tuttavia la Corte di Appello di Perugia, con sentenza del 14 novembre 2002, statuendo che: “Nel calcolo del divario massimo di età tra adottanti e adottato, nell’ipotesi che adottante sia una coppia di coniugi sbilanciata per la forte differenza di età tra marito e moglie (nella specie, 22 anni), il limite differenziale deve rapportarsi all’età del coniuge più giovane, ai sensi dell’art. 6 comma 6 l. n. 184 del 1983, come ultimamente novellata” consente di tenere conto dell’età del coniuge più giovane, indipenden-

temente dall’ampiezza del divario di età tra i coniugi adottanti. Occorre precisare, poi, che nel caso in famiglia siano già presenti figli minori, si prescinde totalmente dai requisiti di età dei genitori. Tuttavia è prassi dei Tribunali individuare l’età dell’adottando sulla base dell’età del primogenito, biologico od adottivo, con uno scarto solitamente di due anni tra l’uno e l’altro figlio. Benché quello della tutela della primogenitura non sia un requisito richiesto dalla legge, tuttavia esso viene osservato dai Tribunali per i Minorenni e ciò con riferimento non solo al primo figlio, ma anche rispetto all’ultimo, nel senso che il nuovo arrivato deve essere preferibilmente più piccolo di tutti gli altri. Tale prassi, pur disattesa da alcune pronunce giurisprudenziali, è molto radicata nei TM poiché si cerca di uniformare la successione cronologica della fratria adottiva a quella biologica al fine della miglior tutela dello spazio (fisico ed affettivo) che ciascun bambino occupa in seno alla propria famiglia.


DALLO SPORTELLO

sbarri sull’impegnativa la casella relativa all’esenzione (che credo sia una casella generica)”.

Domanda “Gentile avvocato, mi sembra di avere sentito che tutti gli accertamenti medici richiesti dall’ASL di competenza e preordinati - insieme a tutto il resto - all’ottenimento dell’idoneità siano completamente esenti da ogni tipo di spesa. Me lo conferma, e in caso affermativo, può darmi indicazioni su come specificare tale tipo di esenzione sull’impegnativa del medico curante? Grazie per la Sua disponibilità”

Domanda “Siamo una coppia sieropositiva: possiamo adottare?”

Risposta “Le confermo che per effetto del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri pubblicato sulla G.U. del 10/XII/2003 n. 286 ed in vigore dal successivo 26 dicembre, si ha l’esenzione del pagamento del ticket per ottenere prestazioni sanitarie legate all’adozione. E’ sufficiente fare presente al medico di base che le prestazioni sono esenti (spesso, infatti, questi è ignaro dell’esistenza della normativa) affinché

Risposta “L’art. 6 della L. 184/1983 indica i requisiti che devono possedere le coppie che presentano la propria disponibilità all’adozione; la predetta indicazione è generica, non potendo il legislatore prevedere ogni evento od ogni requisito possibile: si limita quindi a richiedere, oltre all’idoneità affettiva, la capacità di educare, istruire e mantenere i minori che si intendono adottare. Lo stato di malattia certamente incide sulla predetta capacità; la giurisprudenza ha chiarito in che termini. In generale si è espressa in questo senso: “Fermo restando che la salute fisica degli aspiranti alla dichiarazione di idoneità all’adozione vada valutata tenendo conto esclusivamente dell’interesse dell’adottando, che, già in stato di abbandono e con le sofferenze psicofisiche che tale sta-

to comporta, ha diritto d’essere inserito in un ambiente familiare efficiente, stabile e di sicuro affidamento con riguardo anche alla salute dei genitori adottivi, qualora uno di loro presenti malattie, o “handicap”, o, comunque, menomazioni rilevanti, occorre valutare, caso per caso, se tali situazioni anomale siano tali da impedire all’adottante di adempiere compiutamente, con sufficiente efficienza fisica complessiva e con il necessario benessere psicologico, i compiti assistenziali ed educativi assunti con l’adozione di un minore proveniente, per di più, da una condizione di abbandono: va, cioè, valutato, di volta in volta, se il genitore possa, nonostante la propria limitazione fisica, svolgere le funzioni parentali che con un’estensione fattuale e cronologica tale da consentire al minore di sviluppare integralmente ed in senso positivo la propria personalità e di raggiungere un soddisfacente grado di autonomia personale.” (cfr. Corte d’Appello Torino, 30 gennaio 2001, in Dir. Famiglia 2001, 563.)

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sociale e legale

Luigi Bulotta

Dentro la CAI 32

Lo scorso mese di luglio il ministro Riccardi ha provveduto alla nomina di due nuovi membri della CAI, completando così l’organico previsto. Abbiamo deciso di sentire la voce di questi rappresentanti delle associazioni familiari per sapere chi sono e cosa si propongono di fare in seno alla Commissione nei prossimi tre anni. Iniziamo questo mese da Monya Ferritti presidente del coordinamento CARE.

Dr.ssa Ferritti, eviterò di chiederle informazioni sul CARE perché ne abbiamo parlato più volte su questo giornale e già ad ottobre abbiamo pubblicato una intervista con lei sull’appena nato Coordinamento. Come giudica questa nomina? Era attesa o è arrivata in maniera inaspettata? Il CARE ha lavorato molto per preparare il terreno per favorire la nomina, che è stata, quindi, sicuramente auspicata, dunque né attesa né inaspettata. Proprio sull’onda della fuoriuscita del dott. Augurio quale rappresentante delle Associazioni familiari in CAI su mandato di GsD, che il gruppo di associazioni che avrebbe poi dato vita al CARE ha iniziato a incontrarsi nel 2009, in maniera costante. All’ordine del giorno della

prima riunione, in cui erano presenti circa 16 associazioni familiari adottive e affidatarie, in crescita nelle successive riunioni, c’era appunto la questione della rappresentatività in CAI delle associazioni familiari. I primi confronti abbiamo cominciato ad averli con il Presidente Giovanardi e sono proseguiti, senz’altro più proficui, con il Presidente Riccardi nel 2012. Il CARE nel frattempo è cresciuto, si è costituito in associazione di secondo livello nel 2011, dotandosi di uno Statuto e di un organo decisionale e dando garanzia in questo modo di stabilità e capacità di fare rete. Il CARE è oggi la voce di 21 associazioni familiari adottive e affidatarie, in Italia, che con gli oltre 2500 soci e le oltre 5000 famiglie raggiunte sul terri-


Ho trovato una Commissione operativa ma con un organico ridotto e quindi con il personale in misura inferiore rispetto alle necessità, in ogni caso motivato e preparato, per quel che ho potuto vedere finora. E’ presto per tracciare giudizi, la nomina è ancora troppo recente e così la mia partecipazione agli appuntamenti della Commissione sono troppo scarsi per generalizzare. In ogni caso ho potuto verificare la capacità di “stare sul pezzo” dei tanti attori della Commissione, sicuramente della sua vice Presidente. Nella prima seduta della Commissione alla quale ho partecipato ho già fatto presente la necessità di adottare uno stile comunicativo istituzionale più informativo, nelle pagine del portale della CAI, sicuramente molto letto dai futuri genitori adottivi, e che dovrebbe configurarsi come una prima informazione aggiornata e super partes. Il sito della CAI è Nonostante il poco tempo il punto di partenza per trascorso dalla sua nomi- acquisire le informazioni na, si è già fatta un’idea necessarie per le procedusulle modalità operative re, i costi, la situazione dei della Commissione? Che paesi durante l’iter dell’agiudizio esprime su come dozione internazionale e è organizzata e sul suo le informazioni devono esfunzionamento? Intravve- sere aggiornate e a dispode l’esigenza di cambiare sizione dei cittadini. Non solo. Per quanto difficoltoqualcosa? torio, con interventi diretti e de visu, costituisce una esperienza unica nel suo genere. Il CARE, infatti, attraverso le sue associazioni aderenti, lavora soprattutto negli interventi di post adozione e, in numerose realtà, con interventi nella fase pre adottiva. Gli interventi si possono configurare principalmente con la realizzazione di gruppi di mutuo aiuto e di auto mutuo aiuto, ma non solo. In sostanza, grazie alla nostra capillarità, eterogeneità e alla profonda conoscenza diretta e concreta delle molteplici realtà locali, il CARE ha una fotografia attuale, realistica e approfondita del sistema delle adozioni internazionali. Credo che il Presidente Riccardi e il suo Staff, con i quali abbiamo avuto più incontri interlocutori, abbiano, con questa scelta, riconosciuto la nostra esperienza e le nostre potenzialità.

so in un sito istituzionale, le informazioni sulle attività promosse dalla Commissione, ad esempio gli incontri con le delegazioni estere, la partecipazione a eventi internazionali, ecc. dovrebbero essere adeguatamente segnalate anche per restituire visibilità al lavoro svolto. A latere credo che si possa, inoltre, avviare una riflessione sulla necessità di modificare le “Linee guida per l’ente autorizzato” risalenti al 2005 e che in seguito alla Delibera 13/2008/SG del 28/10/2008 (“Criteri per l’autorizzazione all’attività degli enti previsti dall’articolo 39-ter della legge 4 maggio 1983, n. 184 e successive modificazioni”) sono da aggiornare, anche in funzione del panorama delle adozioni internazionali decisamente modificato in questi 7 anni. Quale valore aggiunto può dare la presenza in CAI delle associazioni familiari e in particolare di un loro coordinamento come il CARE? Su cosa verterà il suo impegno all’interno della Commissione per i prossimi tre anni? Le associazioni familiari sono entrate nella CAI in seguito al nuovo Regolamento voluto dalla Mini-

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34

stro Bindi nel 2007, con la specifica che i tre rappresentanti delle associazioni familiari a carattere nazionale non fossero però espressione di Enti autorizzati per evitare commistioni o ambiguità. E’ stata una grande intuizione della Ministro che ha riconosciuto alle associazioni familiari un ruolo di primo piano nelle politiche delle adozioni. La presenza delle Associazioni familiari in seno alla Commissione è garanzia di un dialogo costante tra tutti gli attori istituzionali, che le associazioni familiari devono interpretare soprattutto in senso culturale ed esperienziale. Il Coordinamento CARE, in particolare, è molto radicato sui territori dove opera attraverso le associazioni aderenti e raccoglie le istanze delle famiglie italiane che hanno adottato in gran parte dei paesi aperti alle AI, nel tempo, e con la maggior parte degli EA accreditati. Di fatto costituiamo un sistema esperienziale privilegiato e attraverso il quale possiamo far emergere criticità e buone prassi durante il lungo iter che la famiglia compie dal conferimento del mandato all’EA all’arrivo a casa con il proprio figlio. Significativa, inoltre, è la nostra esperienza che

segue l’arrivo a casa del bambino e che in alcuni casi è pluridecennale (abbiamo un’associazione socia che festeggia quest’anno i 25 anni di attività), infatti tutte le nostre associazioni sono nate in seguito alla necessità di un gruppo di genitori adottivi di confrontarsi, in maniera costante, gratuita e su base volontaristica, sulla crescita dei figli che hanno avuto un inizio vita diverso dagli altri. In questo senso, l’esperienza delle tante famiglie, che frequentano le sedi delle nostre 21 associazioni, è importantissima anche perché è diacronica e dunque non improntata esclusivamente solo sull’estemporaneità degli avvenimenti, ma possiamo contare, per leggere il sistema delle adozioni internazionali nella sua complessità, su esperienze elaborate nel tempo sia da famiglie che hanno figli adottivi ora adulti sia di famiglie che devono ancora essere abbinate. Il mio impegno si concentrerà soprattutto nel creare e far crescere il dialogo e la collaborazione fra tutti gli attori del processo adottivo: la CAI, gli EA e le famiglie. Credo che sia importantissimo il feedback delle famiglie per migliorare il sistema e fare gli aggiustamenti del caso e

sia fondamentale che sia i soci del CARE sia, soprattutto, le tantissime famiglie che non fanno parte di nessuna associazione abbiano l’opportunità di far arrivare la propria voce alla CAI avvalendosi dei rappresentanti nominati. Solo in questo modo sarà possibile dare sostanza ai tanti temi critici che affastellano le adozioni internazionali (età presunte, adozioni di preadolescenti, fratrie divise, ma anche i costi delle adozioni internazionali in Italia, ecc.) e aiutare il sistema a creare soluzioni veloci, adeguate e appropriate. Nonostante le tante manifestazioni di apprezzamento, la notizia della scelta del CARE in CAI ha sollevato le critiche di alcuni enti autorizzati che hanno lamentato l’eccessiva giovinezza e la scarsa esperienza in ambito adottivo del coordinamento che lei rappresenta. Cosa pensa di queste reazioni e delle osservazioni che sono state mosse alla decisione del ministro Riccardi? Sono stata informata che c‘è stata intorno alla nomina del CARE una isolata iniziativa di un esiguo gruppo di EA. Mi sembra che lo stesso Ministro non abbia replicato alle criti-


che che gli sono state rivolte, segnale evidente della debolezza dei contenuti. D’altra parte, però, riesco perfettamente a comprendere l’irrequietezza che è sorta in alcuni EA alla notizia che un Coordinamento di AF così ampio e così territorialmente rappresentato, sia stato nominato rappresentante delle AF in CAI. Pretestuosamente alcuni, pochissimi, EA, rivendicano un doppio ruolo (a volte EA, a volte AF) da recitare a seconda delle occasioni e dei contest.. Ribadisco che l’intuizione della Ministro Bindi nel separare ruoli e funzioni fra EA e AF in CAI è un banale principio di rappresentatività e di democrazia, evidente ai più. D’altra parte il ruolo degli EA, al momento in Italia, è di primo piano nello svolgimento delle AI e credo che si possano prevedere contesti paralleli di maggiore interconnessione fra i lavori della Commissione e gli EA valorizzando la loro esperienza specifica sui paesi e la loro professionalità sempre nell’interesse del miglioramento del sistema italiano delle AI. Mi sembra evidente che il miglioramento debba intendersi soprattutto sul piano dell’efficacia più che su quello dell’efficien-

za, e, analogamente, più sul piano della qualità che su quello della quantità. Le manifestazioni di apprezzamento sulla nomina di tanti EA o Coordinamenti di EA mi fa invece ben sperare che si possano trovare e quindi lavorare su punti di sovrapposizione e sui valori comuni più che concentrarsi sulle differenze, che organizzazioni con genesi e obiettivi così diversi (le AF e gli EA) inevitabilmente hanno. Quali sono le criticità che vede nell’attuale sistema delle adozioni internazionali? La criticità maggiore è nel gap che si è creato fra il sistema che è impegnato a realizzare le adozioni internazionali, e dunque far arrivare bambini in Italia, e ciò che accade una volta che l’adozione è conclusa e la famiglia adottiva formata. Le due fasi conseguenti dovrebbero essere vasi comunicanti in modo che il sistema dei nuclei familiari formati possano generare feedback utili al miglioramento del processo delle adozioni internazionali. In questo senso potrebbe essere utile applicare ad un sistema così complesso ed eterogeneo, per migliorare le capacità di governance, un sistema di valutazione

di processo. Miur, CAI, Commissione bicamerale per l’infanzia e l’adolescenza, Regione Lazio, Istat. Il CARE esiste ufficialmente da pochi mesi e sembra che stia diventando un interlocutore privilegiato per le istituzioni che si occupano di minori. Come dobbiamo interpretare questo riscoperto interesse delle istituzioni per le associazioni familiari? Le istituzioni in questi esempi che ha riportato, hanno scelto di valorizzare il patrimonio esperienziale delle famiglie che sono dentro alle Associazioni familiari. Alcune di queste istituzioni, inoltre, hanno avviato processi virtuosi di collaborazione in un sistema di sussidiarietà orizzontale. Le istituzioni che sono in grado di attivare processi partecipativi e democratici tra i soggetti che operano in determinati settori con competenze specifiche, riconoscendole e valorizzandole, si configurano come catalizzatori di contributi di natura diversa che poi saranno messi a sistema in un’ottica collaborativa di costruzione delle policies. Il vantaggio è reciproco, per le istituzioni e per la cittadinanza.

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trentagiorni

FRANCIA: LE COPPIE GAY POTRANNO ADOTTARE Il progetto di legge che introdurrà il matrimonio anche per le coppie omosessuali in Francia, consentirà anche per queste ultime di adottare “alle stesse condizioni degli eterosessuali”: lo ha annunciato, in un’intervista al cattolico La Croix, il ministro della Giustizia, Christiane Taubira. La stessa Guardasigilli precisa che la legge non prevede di allargare ai gay l’accesso alla procrezione medicalmente assistita. “Il progetto di legge estenderà alle persone dello stesso sesso le disposizioni attuali sul matrimonio, sulla filiazione e sulla genitorialità”. “Apriremo quindi - spiega il ministro - l’adozione alle coppie omosessuali e questo avverrà in un quadro identico a quello attualmente in vigore.

Potranno, come le altre, adottare individualmente o congiuntamente”. Prime, dure, reazioni arrivano dalla destra e dal mondo cattolico. Christine Boutin, parlamentare del partito Cristiano-democratico, ha chiesto un referendum sulle nozze gay, affermando che ogni francese deve potersi esprimere su questo “tema pesante per le sue conseguenze nella società”. Reagendo ai microfoni di Europe 1 all’annuncio della ministro Taubira, la Boutin ha affermato che “la partita non è ancora persa” per chi si oppone alle nozze gay. Fonte ansa.it ADOZIONI, COPPIE RUMENE ALL’ARAI Novità nel mondo delle adozioni. La Romania apre un canale per consentire ai cittadini rumeni residenti all’estero di adottare minori

rumeni residenti in Romania attraverso l’adozione internazionale. Lo prevede la nuova legge rumena n. 233 del 5 dicembre 2011, entrata in vigore il 7 aprile 2012, ma ancora nessun ente tra quelli autorizzati ad operare in Romania, è stato accreditato dall’Autorità Centrale rumena. L’11 settembre 2012 si è svolto a Bucarest un incontro tra la vice presidente della Commissione per le Adozioni Internazionali e il presidente dell’Ufficio Rumeno per le Adozioni, Segretario di Stato Bogdan Panait, per definire le modalità di collaborazione tra le due Autorità Centrali nel quadro della nuova legge. Nella fase transitoria, per non pregiudicare le aspettative delle coppie rumene o italo-rumene residenti in Italia e dichiarate idonee all’adozione internazionale dal competente Tribunale per


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i minorenni, le due Autorità Centrali hanno individuato nell’ente autorizzato pubblico Agenzia Regionale per le Adozioni Internazionali Regione Piemonte - ARAI l’organismo che assisterà le coppie nello svolgimento delle procedure presso le autorità rumene. Gli interessati dovranno pertanto rivolgersi alla Cai che autorizzerà l’Agenzia Regionale per le Adozioni Internazionali Regione Piemonte - ARAI ad assumere l’incarico. Fonte vita.it I GIUDICI SOTTRAGGONO I FIGLI ALLE FAMIGLIE DI ‘NDRANGHETA MILANO - Togliere i figli minorenni alle famiglie di ‘ndrangheta per sottrarli a un altrimenti ineluttabile destino mafioso e affidarli al servizio sociale in comunità fuori dalla Calabria per dargli almeno una chance di conoscere

un modo diverso di vivere e pensare: è la linea senza precedenti che il Tribunale dei minorenni di Reggio Calabria sta sperimentando con alcuni provvedimenti di natura civile, adottati anche «d’urgenza» e «inaudita altera parte», cioè senza contraddittorio con le famiglie-controparti, differito a un secondo momento in presenza di emergenze improcrastinabili e rischi per l’integrità psicofisica dei minori da tutelare. É una scelta che terremota il contesto ‘ndranghetista nel quale a cementare le «famiglie», ancor più che nelle cosche siciliane di Cosa Nostra o nei clan di camorra, sono i vincoli di sangue alla base anche del basso numero di collaboratori di giustizia (se uno sfiora l’idea di pentirsi, sa che i primi di cui dovrà parlare saranno i suoi genitori, figli, fratelli). E difatti non è un caso che

fermenti di insofferenza e un clima di percepibile paura stia avvolgendo queste nuove iniziative della giustizia minorile reggina: al punto che alcuni assistenti sociali si sono già dati malati pur di non dover presentarsi a casa dei boss a eseguire i provvedimenti decisi dal tribunale. Non si tratta della decadenza dalla potestà sui figli minori che talvolta viene dichiarata dai giudici, come pena accessoria a una sentenza definitiva, quando un boss viene condannato per associazione mafiosa o altri gravi reati: per quanto rari, casi di questo genere si sono già verificati in Calabria almeno dal 2008, quando un grosso latitante si vide privare della potestà sui due piccoli figli. Fonte corriere.it


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