Adozione e dintorni GSD informa - mensile - maggio 2013 - n. 5
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L’adozione in A
maggio 2013 | 005
GSD informa
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editoriale
di Anna Guerrieri
psicologia e adozione
Riflessioni su trauma e abbandono di Franco Carola
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salute e adozione
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scuola e adozione
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Sovrappeso e obesità nel bambino e nell’adolescente di Raffaele Virdis Buone notizie per la scuola di Livia Botta
giorno dopo giorno
Gornja Bistra di Mariagloria Lapegna
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Dagli Appennini alle Ande: un fantastico viaggio in Cile - 1 di Carmine Pascarella e Federica Sassi
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Riti collettivi di fine anno scolastico di Marta e Alberto
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leggendo
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sociale e legale
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trentagiorni
Leggere, fare e raccontare di Marina Zulian L’Adozione in Asia - 2 di Angelamaria Serpico
Registrazione del Tribunale di Monza n. 1840 del 21/02/2006 Iscritto al ROC al n. 15956
redazione Simone Berti direttore, Firenze direttore@genitorisidiventa.org; Luigi Bulotta caporedattore, Catanzaro,
editore Associazione Genitori si diventa - onlus via Gadda, 4 Monza (MI) www.genitorisidiventa.org info@genitorisidiventa.org
impaginazione e grafica Maddalena Di Sopra, Venezia; Pea Maccioni, Lecce; Paolo Faccini, Milano
ricerca iconografica Simone Berti, Firenze; Eliana Gentile, Teramo; Anna Guerrieri, L’Aquila. correzione bozze Luigi Bulotta, Catanzaro;
progetto grafico e illustrazioni studio redazioni, Francesca Visintin, Venezia immagini Simone Berti, Firenze; Roberto Gianfelice, L’Aquila; Mario Lauricella, Firenze
abbonamenti e contatti email Luigi Bulotta redazione@genitorisidiventa.org copyright Tutto il materiale scritto dalla redazione è disponibile sotto la licenza Creative Common Attribuzione-Non commerciale-Condividi allo stesso modo 3.0. Significa che può essere riprodotto a patto di citare Adozione e Dintorni - GsdInforma, di non usarlo per fini commerciali e di condividerlo con la stessa licenza. Info: redazione@genitorisidiventa.org Antonio Fatigati, direttore responsabile
di Anna Guerrieri
Esperimenti
editoriale
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Il bisogno di informazioni e di aiuto sono in genere i “motori” che spingono le persone ad avvicinarsi ad associazioni di famiglie come Genitori si diventa. Solo dopo si scopre “il fare rete”, “il crescere” in un cammino di introspezione condivisa, solo dopo si scopre che essere famiglia per adozione ha anche un profondo impatto sociale. Ci si avvicina prima di adottare per cercare di sapere e di capire meglio anche semplicemente “come fare” per arrivare per davvero a incontrare i propri figli. Ci si avvicina dopo aver adottato per cercare di scoprire come si cresce da “genitore” adottivo, forse un po’ anche per non “sbagliare” troppo. Ci si avvicina, talvolta, quando i figli sono adolescenti perché si ha decisamente bisogno di un aiuto. Tutti motivi legittimi e da non sottovalutare, tutti motivi che determinano una grande molteplicità di istanze e richieste che vengono poste ad un’associazione come la nostra. E’ per questo che è necessario trovare il modo di sperimentare sempre e al tempo stesso di non farsi travolgere mai, perché solo nel saper ascoltare e nel sapersi fermare a riflettere, nel non aver paura di “provare” e nel saper dire “sin qui posso fare, oltre no” sta la possibilità di stare accanto alle famiglie anche nei momenti più critici. E di momenti critici ce ne stanno, ce ne stanno eccome. Ce ne sono quando ci si sente frastornati, proprio all’inizio, e non si sa che strada prendere (adozione nazionale/internazionale/enti/costi/paesi ecc ecc). Ce ne sono tantissimi quando si inizia ad andare oltre le informazioni più immediate, le scelte più burocratiche e si inizia a comprendere che si attende un bambino vero, una bambina reale, qualcuno con una storia critica sul serio, qualcuno che alle sue spalle ha seriamente un passato altro, che dentro ha un altrove con cui si dovranno fare i conti. Ce ne sono durante i momenti degli abbinamenti (e di quanti abbinamenti “saltati”, di quanti bambini a cui si “dice no”, di quanti incontri che non funzionano si potrebbe parlare, si dovrebbe parlare). Ce ne sono nelle fasi iniziali quando si ha a che fare con i figli appena arrivati, quando
si fanno i conti con se stessi, con le proprie emozioni, con i dubbi non sempre ammessi, con la fatica dei primi momenti, con l’impatto con la “scuola”, con la scoperta delle verità dentro tante storie vere (talvolta le verità dei pezzi di carta certo non sono le verità raccontate dai bambini e dalle bambine). Ce ne sono a volte anche dopo vari anni, quando i figli crescono e tutta la famiglia sembra come doversi demolire e ricostruire, rifondata su nuove basi, ristrutturata attorno a quello che i figli, ormai adolescenti, pensano, decidono, agiscono. Figli in movimento che chiedono di ristabilire patti, di affrontare la loro onda d’urto, di essere tenuti e contenuti nuovamente dentro la nostra mente e dentro al nostro cuore, nonostante tutto e nonostante se stessi. Figli che ci chiedono di “calare ogni maschera” se mai ve siano state. E ascoltando tante famiglie che si raccontano, che a volte si sentono sconfitte, che spesso si sentono in affanno (nonostante la mancanza di numeri seriamente raccolti l’entità del disagio non ci sembra affatto da sottovalutare), viene da porsi in movimento una volta in più. Per questo alle usuali attività che da sempre mettiamo in campo e per cui suggeriamo di visitare il nostro sito alla ricerca di quanto avviene vicino a voi (www.genitorisidiventa.org) abbiamo deciso di attivare qualcosa di nuovo e molto “umile”, in particolare due mail. Una la avete già vista qui: rubricapsi@genitorisidiventa.org. Concepita come “zattera di salvataggio” via mail sul fronte del consiglio psicologico, è per chi sente il bisogno di un confronto rapido e immediato con un professionista esperto di psicologia evolutiva, che da anni collabora con i gruppi di mutuo aiuto post adozione dell’associazione. La seconda è una sperimentazione nuova e che ci incuriosisce molto: adolescenza-scuola@genitorisidiventa.org. L’adolescenza è una fase evolutiva importante per tutti, adottati e non, una ‘tempesta’ (ormonale, emotiva, esistenziale) a volte anche complicata. Capita spesso sia vissuta con ansia dai genitori, ancor più se adottivi. Ragazzi impegnati nella definizione di un’identità salda e serena, coinvolti nuovamente nella elaborazione di eventi
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editoriale
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che hanno segnato il loro passato, rapiti da pensieri sull’assenza, da nostalgie di quello che ‘non hanno mai avuto’, da rabbia non più celata ma viva, esplosiva, dirompente. Giovani che davanti allo specchio si trovano a fare i conti con i segni di una storia che parla di loro con un linguaggio che a volte li disturba, altre volte li ammalia. Sembra che l’equilibrio faticosamente raggiunto coi figli bambini (con l’attenzione, l’amore, la cura degli anni trascorsi insieme) sia messo in discussione. E nei rapporti con la scuola tutto sembra amplificarsi creando risonanze in casa a volte pesantissime da gestire. Difficoltà di apprendimento, comportamenti dirompenti che portano a frequenti segnalazioni, disagi nelle relazioni con i coetanei, piccoli furti che creano molto scompiglio, il rifiuto di frequentare la scuola, i brutti voti, la bocciatura … A volte i genitori si sentono soli nel fronteggiare questi eventi, poco compresi o sostenuti dal corpo docente, angosciati dalla percezione di non avere soluzioni. La mail adolescenza-scuola@genitorisidiventa.org è un tentativo per aiutare i genitori a raccontarsi un poco e a trovare un primo confronto che potrebbe essere anche di sollievo in momenti di dubbio o ansia. Si tratta anche di una possibilità per l’associazione, da sempre impegnata sul tema scuola, di centrare meglio i punti su cui intervenire quando i ragazzi adottati non sono più bambini. Tentativi, esperimenti che porteranno dei frutti, e sicuramente altre idee e altre “invenzioni” per stare sempre da famiglie accanto alle famiglie.
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psicologia e adozione 8
di Franco Carola psicologo, psicoterapeuta e gruppoanalista
Riflessioni su trauma e abbandono
Il trauma psicologico è un tipo di “danno” che viene subito dalla psiche a seguito di un’esperienza critica vissuta dall’individuo (sia un evento singolo, o un evento ripetuto o prolungato nel tempo), e che viene detta evento traumatico. Sigmund Freud
formulò una definizione di evento traumatico riferendosi alle proprie teorizzazioni e leggendo il trauma in termini “economici”. Lo studioso viennese lo definì come un’esperienza singola, o una situazione protratta nel tempo, le cui implicazioni sogget-
tive, cioè idee, cognizioni ed emozioni ad essa collegata, sono nel complesso superiori alle capacità del soggetto, in quel momento, di gestirle o di adeguarsi ad esse, cioè di integrarle nella psiche. Il trauma psicologico risulta, in generale, come un evento che, per le sue caratteristiche, risulta “non integrabile” nel sistema psichico pregresso della persona. L’evento traumatico può essere di qualsiasi tipo; esso solitamente implica l’esperienza di un senso di impotenza e vulnerabilità a fronte di una minaccia, soggettiva o oggettiva, che può riguardare l’integrità e condizione fisica della persona, il contatto con la morte oppure elementi della realtà da cui dipende il suo senso di sicurezza psicologica. Una scuola francese di psicotraumatologia propone che il trauma psicologico
corrisponda alla “assenza di significato e di significabilità dell’evento” (ovvero, il trauma corrisponde all’impossibilità di dare un senso ed un significato, coerente e psicologicamente viabile, ad un episodio che si situa “fuori” dall’esperienza di vita normale dell’individuo). Le persone che hanno subito dei traumi spesso manifestano vari sintomi e problematicità in seguito ad essi. La gravità del trauma varia da persona a persona, dal tipo di trauma in questione e dal supporto emotivo che le persone affettivamente significative per il soggetto riescono a dargli. Dopo un’esperienza traumatica, una persona può rivivere il trauma mentalmente e fisicamente, perciò evita il ricordo del trauma, in quanto questo può essere insopportabile e persino doloroso. Il rivi-
vere i sintomi, la sensazione di minaccia, le emozioni che esondano in maniera incontenibile, la sensazione di “dover fare qualcosa” senza curarsi delle conseguenze delle proprie azioni, sono segni che il corpo e la mente stanno attivamente cercando di risolvere il senso di ineluttabilità che l’esperienza traumatica gli ha lasciato dentro. Il ricordo del trauma è sollecitato dai trigger (in inglese, grilletto), cioè situazioni o elementi che scatenano con impeto il ricordo, a livello più o meno consapevole, del trauma subito. Spesso il soggetto traumatizzato può essere completamente all’oscuro dei trigger; ciò porta una persona che soffre di disturbi traumatici ad impegnarsi in meccanismi di adattamento distruttivo o autodistruttivo, spesso senza essere pienamente
consapevole della natura o delle cause delle proprie azioni, stimolate da elementi scatenanti (ad esempio: se il trauma riguarda l’abbandono, ogni atmosfera, parola, tono di voce che richiamerà in me il timore di essere nuovamente abbandonato, scatenerà una serie di reazioni emotive anche laddove nulla, oggettivamente, paia minacciarmi in tale direzione). Di conseguenza, i sentimenti intensi come la rabbia possono riemergere frequentemente, a volte in situazioni molto inappropriate o impreviste; inoltre possono insorgere immagini, pensieri o flashback, così come insonnia e incubi ricorrenti. Paure, insicurezza, difficoltà nel rilassarsi assumono per la persona traumatizzata la funzione difensiva di mantenerla vigile e attenta al pericolo, sia di giorno
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che di notte. La persona può non ricordare quello che è realmente accaduto, mentre le emozioni vissute durante il trauma possono essere rivissute senza che se ne comprenda il motivo. Gli eventi traumatici a volte paiono vissuti come se stessero accadendo nel presente, impedendo al soggetto di ottenere una prospettiva chiara ed attuale sull’esperienza. Il soggetto è talmente identificato con quanto gli è occorso che non riesce a distinguere più la realtà oggettiva, a favore di una realtà passata che viene costantemente riattualizzata. Parimenti, si potrebbe assistere ad un fenomeno di dissociazione dalle emozioni ritenute troppo devastanti da essere vissute, accompagnato da una progressiva desensibilizzazione emotiva: la persona appare emotiva-
mente svuotata, preoccupata, distante o fredda. La sensazione di essere stati danneggiati in maniera permanente dal trauma fa emergere sensazioni quali la disperazione, la perdita di autostima e, a volte, la depressione. L’abbandono è definito come uno stato psicologico legato al lasciare o essere lasciati da qualcuno di affettivamente significativo per noi; la realtà della persona passa repentinamente da uno status di “io insieme a” a quello di “io e un vuoto”. L’abbandono di cui è stato protagonista un bambino adottato si inscrive quindi nella definizione di evento traumatico, un evento singolo a causa del quale la realtà dell’individuo viene improvvisamente mutata e la propria sopravvivenza minacciata. Rilevare le influenze che un evento del genere possa
generare su un individuo non è un compito sempre facile: i segni del trauma possono confondersi con la miriade di eventi quotidiani rischiando, nel tempo, di passare inosservati, oppure divenire così esageratamente eclatanti da far vivere, a chi assiste da vicino al dramma di chi li produce, un profondo senso di impotenza. Il figlio adottivo, laddove non vi siano accertati altri eventi di natura traumatica, è una persona la cui storia si distingue per due grandi momenti critici: l’abbandono primario e l’adozione. L’abbandono, a qualsiasi età sia stato esperito, lascia dei segni in maniera diretta o indiretta. Un bambino cui venga negato il calore della propria madre, l’odore di chi l’ha generato, il seno di chi l’ha portato in grembo, registra, almeno
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ad un livello neurologico, un segnale differente da quello cui sarebbe comportamentalmente predisposto per dotazione genetica; in tal senso, lo strappo originario è un evento traumatico, anche quando ciò avviene in un’età in cui il raziocinio non è operante in termini di manovre intellettive “superiori”. Parimenti, l’inserimento in un nuovo nucleo famigliare, il contatto con nuovi calori, odori, stimoli, lì dove era in atto un processo di assestamento nella “realtà abbandonica”, diventa una sorta di nuovo “trauma”: la realtà subitaneamente cambia di nuovo. Qualcuno potrebbe obiettare che tale mutamento sia in una direzione di miglioramento. Credo però opportuno ricordare la prospettiva di chi, troppo giovane, non riesce a dare un senso più ampio agli eventi e il semplice cambio di status (da rifiutato a fortemente amato) produce un nuovo e improvviso scombussolamento della realtà che, per quanto in positivo, viene improvvisamente rimessa in discussione, e vede il riattivarsi di una serie di incertezze circa la stabilità del nuovo status, riepilogabili così: “Mi sono adeguato ad essere rifiutato e ora vengo amato. Verrò di nuovo rifiutato? Come mai
prima mi hanno lasciato? Perché ora sono stato scelto? Perché io?”. Alcune emozioni, magari sopite nel tempo, ricominciano ad agitarsi e, prima o poi, a palesarsi. Il figlio, al momento dell’ingresso nel nuovo nucleo famigliare, potrebbe dimostrarsi molto mansueto per poi esplodere in comportamenti ed emozioni incontenibili, mesi o anni dopo, oppure dimostrare una forte ostilità iniziale a riprova del forte stress che questo nuovo cambiamento comporta. Il cruccio di molti genitori, in merito alle situazioni traumatiche di cui i propri figli sono depositari, spesso è quello di poter fare qualcosa, di potere intervenire in qualche modo per lenire le ferite da trauma. Purtroppo, la guarigione dagli eventi traumatici necessita di una serie di operazioni interne di carattere cognitivo-emotivo che abbisognano di tempi lunghi e della reiterazione, a volte, di azioni volte a dissipare nel bambino i dubbi che una situazione terribile come quella occorsagli possa mai ripetersi nuovamente. Il senso di impotenza che il genitore vive è specchio di quell’impotenza con cui il figlio ha dovuto fare i conti e con la quale si mi-
surerà nel corso della propria crescita. Tale compito evolutivo, comprendere ed accettare gli eventi traumatici cui è stato suo malgrado sottoposto, nel tempo, supportato dall’affetto, disponibilità e pazienza di chi lo ama, sfocerà in una comprensione sintetizzabile più o meno così: “Io non sono solo l’abbandono che ho subito, né l’amore che mi ha accolto. Io sono un insieme di esperienze, a volte difficili e a volte molto felici, che mi hanno visto protagonista molto giovane e mi aiutano a leggere la vita in maniera più ampia”. Uno dei timori che più di sovente viene lamentato dal genitore che adotta riguarda il riuscire a riconoscere i corretti modi e tempi per affrontare il doloroso discorso dei vissuti pregressi del proprio figlio. Ci si interroga su quando sia giusto parlare e quando attendere che sia il bambino stesso a dire di Sé, come farlo e come eventualmente prepararsi per formulare le giuste frasi perché il figlio si senta compreso e protetto a sufficienza. Alcuni denunciano la forte fretta di affrontare il tema dei traumi vissuti dal proprio figlio. Tale emergenza viene spesso aumentata da informazioni più o meno documentate circa i propri
figli e la loro vita domestica o in istituto. Un suggerimento: la fretta non aiuta! I processi cognitivi ed emotivi per la risoluzione e l’integrazione degli eventi traumatici all’interno di un Sé stabile, abbisognano di lunghi tempi di mentalizzazione. Ciò non significa che le ferite da trauma non guariscano, anzi! Ma la fretta di vederle magicamente scomparire rischia di interferire fortemente coi sottili e lenti processi in atto nella persona traumatizzata. La guarigione dal trauma da separazione ed abbandono si configura come un processo imprevedibile, i cui esiti positivi si ravvedono nel corso della crescita e, spesso, senza chiare dichiarazioni in merito: il figlio, integro, impara a gestire sensazioni ed emozioni come lo stress, il dolore, la rabbia, al pari e nella stessa misura di un coetaneo; semplicemente, lo farà in tempi e, soprattutto, modi differenti. Creare un clima di solida e costante disponibilità al dialogo, cercando di smitizzare ogni forma di tabù che potrebbe generarsi nel quotidiano discorrere, offre la possibilità al figlio di prendersi i propri tempi per condividere e chiedere aiuto circa quegli eventi che fa fatica a comprendere delle proprie vicende
esistenziali. Il genitore dovrebbe anche mettere in conto che il bambino, crescendo, potrebbe decidere di non affidargli nulla dei propri vissuti. Tale atteggiamento potrebbe risultargli necessario per un’elaborazione più articolata e profonda, molto più intima, dei propri eventi traumatici e non implica che lui non ami i propri famigliari, anzi! Alle volte tale atteggiamento è un sistema adottato dai bambini per proteggere chi amano da vissuti ritenuti pericolosi. La guarigione da un trauma richiede ai figli, così come ai genitori, l’aprirsi ad una cognizione del tempo molto più ampia. È uno sforzo congiunto per ritrovarsi, insieme, in un percorso di vita connotato da emozioni forti, profonde e tremendamente reali, alle volte difficili da contenere. Senza scordare che, laddove si sia sperimentato un forte dolore, una forte rabbia, un profondo odio, c’è spazio per esperire un piacere di vivere, un amore molto più ampio di quanto si sia mai abituati a sentire. Un trauma lascia una cicatrice, un segno col quale si impara a convivere. Un segno che è monito, ma anche parametro di confronto per poter riconosce-
re quanto di meglio la vita possa offrire. BIBLIOGRAFIA Caretti, V., Craparo G., (a cura di) (2008). Trauma e Psicopatologia. Astrolabio, Roma Freud S., Inibizione, sintomo e angoscia (1925), in Opere, cit., vol. X Janet P., L’Automatisme Psychologique (1889). L’Harmattan, Paris, 2005 (Ed. It, L’automatismo psicologico, Milano, Raffaello Cortina, 2013, ISBN 97888-6030-561-9). Yule, W. (a cura di) (2002). Disturbo Post-Traumatico da Stress. McGraw-Hill, Milano
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AVVISO AI LETTORI Vi informiamo che il dr. Carola si è reso disponibile a rispondere alle domande dei lettori legate alle tematiche da lui trattate. Chiunque lo volesse può indirizzare gli eventuali quesiti a: rubricapsi@genitorisidiventa.org. Alcune delle richieste pervenute e delle relative risposte saranno successivamente pubblicate in un’apposita rubrica che, nel caso di risposta favorevole dei nostri lettori a questa iniziativa, vedrà la luce nei prossimi mesi. I dati sensibili contenuti nelle richieste non compariranno in nessun modo nel caso in cui verranno pubblicate sul giornale. L’informativa sulla privacy è pubblicata sul sito dell’associazione.
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Buonasera dott. Carola, sono la mamma adottiva di R., una ragazzina che si appresta ad affrontare l’inserimento nella scuola superiore e che, fino ad oggi, non ha avuto un buon rapporto con la scuola. Appena arrivata in Italia, fu inserita in prima elementare, nonostante l’Anno Scolastico fosse praticamente terminato. La dirigente insistette in tale direzione e solo oggi mi rendo conto che fu un errore: forse avremmo dovuto insistere perché fosse inserita alla materna. Il quinquennio della scuola elementare è stato concluso con grandi difficoltà: R. non è mai stata realmente riconosciuta per il suo impegno e mai accettata fino in fondo dalle compagne. Abbiamo quindi pensato di iscriverla in una scuola privata. Timida e insicura com’era non ce la siamo sentiti di mandarla in una giungla pubblica e abbiamo pensato così di proteggerla, scegliendo per lei un ambiente selezionato. Secondo enorme errore: il profitto scolastico risultava essere sempre appena sufficiente, nonostante gli enormi sforzi. I livelli di socializzazione di R. rimanevano comunque inesistenti. Ora ci troviamo di fronte alla scelta della scuola superiore e lei appare determinata a voler frequentare un istituto professionale. Noi temiamo fortemente di commettere altri errori e qui giungo alla domanda. Premesso che R. è stata sottoposta a tutti i test diagnostici al fine di appurare se avesse un qualche deficit di apprendi-
mento o di attenzione e/o altro ed è risultata assolutamente “normodotata”, posso appellarmi a qualcosa per farla accogliere in questa nuova scuola con un ingresso trionfale dalla porta principale come merita, invece di farla sentire sempre quella che deve entrare dalla porta di servizio? Lei, dottore, non invocherebbe nessun trattamento di favore, lasciando che la ragazza si giochi la sua partita con i suoi mezzi e le sue possibilità? Non andrebbe in avanscoperta a presentare la situazione ed a fare presente a chi forma le classi che la ragazza necessita di attenzioni perché nel suo curriculum precedente non ne ha avute? Non so se esiste un “consiglio”, un “suggerimento”, magari una “normativa” sfuggita, a questa mia richiesta, spero in una risposta positiva. Comunque la ringrazio e la saluto Mamma in ansia Gentile Signora, credo importante premettere, in questa mia risposta, una questione fondamentale: le scelte che si compiono per il bene dei propri figli possono apparire come “errori”, ma sono, appunto, scelte e null’altro. Preservare un figlio dallo scontrarsi con un mondo scolastico/sociale ogni giorno meno accogliente o invitante, è quasi un’utopia. Immagino che voi abbiate ponderato con cura la situazione prima di inserire la ragazza in un Istituto Privato e, probabilmente, in quel frangente, quella fu una saggia decisione. L’adolescenza, come il termine stesso indica, è periodo di crisi e cambiamenti, non
sempre tutti in negativo. Per i ragazzi è l’opportunità di re-inventarsi a volte, e l’inserimento in un contesto ben distante da quello cui si erano abituati, dà loro modo di proporsi al mondo presentandogli aspetti di Sé in fase di sperimentazione e sviluppo. Questi aspetti, nel tempo, se verificati come efficaci nel rapportarsi agli altri, diventano parte integrante di un Sé adulto più solido, cementatosi anche grazie da quelle esperienze che possono risultare più dure o difficili da digerire. Credo che la sua ragazza abbia la possibilità di entrare a testa alta nel nuovo Istituto, a prescindere dalle votazioni e valutazioni del passato, anzi! Credo sia per lei l’occasione di lasciarsi alle spalle un passato incerto, “appena sufficiente”, almeno all’inizio, ed iniziare un nuovo percorso, reso più invitante poiché scelto in totale autonomia. Temo che connotare questo nuovo inizio con una richiesta di attenzione particolare da parte di voi genitori, in questa situazione, per ora rischi di sovraesporre anzitempo una situazione che non è detto debba rivelarsi critica. Ritengo Lei possa palesare a sua figlia le proprie intenzioni, facendole sentire quanto Lei sia presente in questo cruciale nuovo ingresso e magari ricordare alla ragazza che Lei è pronta a venirle in supporto al bisogno. Direi comunque che sua figlia, nella chiarezza di intenti, meriti un “Ottimo”! Spero di aver risposto adeguatamente al suo quesito. Dr Franco Carola
CARE inaugura lo Sportello Scuola e Adozione Il CARE mette a disposizione di genitori e insegnanti uno Sportello virtuale dove è possibile segnalare qualsiasi difficoltà di bambini e bambine adottati in materia di inserimento scolastico, con particolare attenzione al momento del primo ingresso e alle fasi di passaggio dalla scuola dell’infanzia alla scuola primaria.
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Il Coordinamento CARE è attivo informalmente dal 2009 e si configura come una rete di associazioni familiari, adottive e/o affidatarie, attive sul territorio nazionale. Si è costituito, ai sensi della legge quadro sul volontariato 266/91, in associazione di secondo livello (associazione di associazioni) il 15 ottobre 2011.
Le segnalazioni verranno analizzate caso per caso e a tutte verrà data risposta. Le questioni riconducibili ad un’analisi del MIUR verranno ad esso sottoposte previo assenso delle famiglie coinvolte. L’obiettivo dello Sportello è soprattutto quello di agevolare in tempi rapidi la soluzione dei problemi concreti delle famiglie. Si tratta di un aiuto concreto per le famiglie e per gli insegnanti ma anche per tutti coloro che seguono le famiglie stesse (enti autorizzati e servizi territoriali) nello spirito di “agevolare l’inserimento, l’integrazione e il benessere scolastico degli studenti adottati”, obiettivo dichiarato anche dal recente protocollo congiunto CARE-MIUR. Invitiamo tutte le Associazioni e tutte le persone interessate a dare la massima diffusione e socializzazione a questa iniziativa.
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salute e adozione
Raffaele Virdis pediatra
Sovrappeso e obesità nel bambino e nell’adolescente 16
Il basso peso alla nascita rispetto all’età gestazionale è uno dei principali fattori di rischio per un gruppo di patologie spesso associate e interdipendenti fra loro quali l’obesità, l’ipertensione arteriosa, il diabete mellito di tipo 2 (quello dell’adulto), le iperlipidemie (colesterolo e trigliceridi), tutte a loro volta fattori di rischio per le malattie cardiovascolari, principali cause di morte nell’adulto. La malnutrizione infantile, frequente nei bambini provenienti da un’adozione internazionale, determina alterazioni fisiologiche in parte simili quelle dei bambini nati piccoli per l’età gestazionale (SGA) con una possibile maggiore predisposizione all’obesità e alle sue conseguenze. Circa 20-25 anni fa, quando iniziai a interessarmi abbastanza a fondo di bambini adottati,
avvertivo i genitori di non eccedere con l’alimentazione perché osservavo molto spesso un passaggio da uno stato di magrezza, a volta di vera malnutrizione, al sovrappeso in pochi mesi. Attualmente questa evenienza è meno frequente ma sempre ben presente, pertanto mi sembra importante parlare di tali tematiche in questa rubrica pediatrica visto che, secondo l’organizzazione mondiale della sanità (WHO-OMS), l’obesità è il quinto fattore di rischio per la salute e tre dei quattro fattori che la precedono sono o possono essere sue conseguenze o sue concause (ipertensione, fumo, iperglicemia, e inattività fisica). La WHO-OMS dà anche una definizione di obesità, una delle tante ma da registrare perché proviene dal più importante ente sanitario internazionale: “eccessivo
accumulo di grasso nell’organismo che può mettere a repentaglio la salute”. La definizione di obesità (Ob) non implica necessariamente la sua evidente osservazione nei soggetti affetti, specie in età infantile quando il bambino “in carne” può apparire più bello e sano, per cui nel tempo sono state proposte varie definizioni pratiche facendo riferimento al peso quali: la percentuale del suo eccesso rispetto a quello ideale per la statura o l’aumento di vari indici ponderali fra i quali il più usato ultimamente è il “Body mass index” (indice di massa corporea) (BMI= peso (kg)/altezza (m)2). Negli adulti valori di BMI superiori a 25 indicano il sovrappeso e superiori a 30 l’obesità franca. Nel bambino i valori di BMI sono molto più bassi di quelli dell’adulto di conseguenza
sono stati costruiti grafici che indicano i valori limite nelle varie età e che arrivano a corrispondere a quelli degli adulti a circa 18-19 anni, partendo da valori molto più bassi come 16-17 a 3-4 anni e 20-21 a 10anni. ll nostro ministero della salute preferisce definire sovrappeso (SP) e obesità del bambino gli eccessi ponderali superiori rispettivamente al 10% e al 20% del peso ideale calcolato in base all’età e alla statura. Un altro indice importante è il rapporto fra circonferenza della vita e la statura che, se superiore a 0.50, oltre a essere segno di grave sovrappeso, è anche un fattore di rischio per le malattie cardiovascolari e per la sindrome metabolica (definita da almeno tre delle seguente complicanze: obesità, ipertensione, iperglicemia (diabete mellito tipo 2), ipertrigliceridemia,
ipercolesterolemia). Negli ultimi decenni l’incidenza di “sovrappeso” e obesità nel bambino è notevolmente aumentata nel nostro paese da valori inferiori al 10% a quelli attuali di circa il 25-30% pur con ampie variazioni: maggiore incidenza nel meridione, nelle classi sociali più svantaggiate e negli immigrati. Queste sono fra le più alte percentuali al mondo, in barba alle nostre abitudini alimentari di dieta mediterranea, universalmente riconosciuta come la più sana e maggiormente in grado di prevenire obesità e sue conseguenze, soprattutto le malattie cardiovascolari.
In aggiunta, un’obesità insorta in età pediatrica tende a rimanere nell’adulto nel 40-70% dei casi, e il sovrappeso, se non contrastato con opportuni provvedimenti dietetici e di attività fisica, evolve facilmente verso una franca obesità. In realtà, la sana
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dieta mediterranea è stata in parte abbandonata e in parte integrata con cattive abitudini, con cibi “spazzatura” e con un apporto calorico esagerato per i nostri fabbisogni giornalieri. Oltre all’aumento di calorie, buona parte degli italiani, e i bambini in testa, consumano diete sbilanciate nei suoi componenti principali con eccesso di grassi e zuccheri semplici e diminuzione del consumo di frutta, verdura, cereali integrali, cioè di fibre. Per quanto riguarda i carboidrati (zuccheri) è aumentata la quota di quelli semplici (dolci), un tempo consumati dalla maggior parte della gente solo occasionalmente, mentre ora sono parte integrante dell’alimentazione quotidiana nelle colazioni (merendine, biscotti, come dolcificanti), nei dessert e nelle merende. Inoltre all’acqua pura ven-
gono spesso preferite bibite zuccherate e succhi di frutta, anche questi parte integrante dell’alimentazione fin dai primi mesi di vita in sostituzione della frutta fresca ma con meno fibre e vitamine, e ricchi di calorie non necessarie. Anche i grassi saturi, un tempo consumati solo ai pasti e spesso in quantità non sufficiente dal punto di vista calorico, ora sono componente importante di tanti snaks, quali patatine, salatini, pizzette, perfino dolci industriali come la maggior parte delle merendine per bambini, che si possono acquistare facilmente e senza controllo attraverso i distributori automatici nelle scuole, nelle palestre e in altri luoghi di aggregazione a loro dedicati, quando la mamma non li pone direttamente nelle cartelle e nei sacchi da ginnastica. Tali cibi, specie
se industriali, comportano anche un aumento del consumo di sale, altra causa, con l’obesità stessa, dell’ipertensione arteriosa, una delle più frequenti e precoci complicanze dell’obesità e primo fattore di rischio, secondo il WHO_OMS, per le malattie cardiovascolari e per la mortalità. Infine è importante ricordare che molte famiglie con diffuso sovrappeso o obesità considerano normale tale situazione e/o la voracità nei loro figli e tendono ad accorgersi in ritardo del problema, che per lo più considerano soltanto di tipo estetico. L’altra principale causa dell’aumento dell’obesità è la ridotta attività fisica dovuta ai nuovi stili di vita, alla vita in città, alla necessità di lunghi trasferimenti quotidiani da dover fare con mezzi meccanici, alla pericolosità delle strade per un bambino solo,
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e, forse soprattutto, alla sedentarietà causata dai mezzi elettronici di svago e di lavoro. Due ore settimanali di attività sportiva (che i bambini meno dotati spesso passano con scarso impegno, più guardando gli altri che facendosi coinvolgere) non sono sufficienti a esaudire le necessità dell’organismo di spendere l’energia e le calorie accumulate con l’alimentazione. Parziali cause della diminuita attività fisica sono, come già detto, le nuove attività sedentarie di bambini e adolescenti: televisione, giochi elettronici, computer e ultimi, ma non meno pericolosi, i telefonini, specie se con accesso a internet. Una famiglia responsabile dovrebbe ridurre a poche ore settimanali l’uso di tutti questi mezzi elettronici, specie se il bambino tende già a ingrassare e non ama fare
attività fisica. Naturalmente questi fattori eziologici sono più rilevanti se vi sono fattori di rischio nella famiglia. Gli esperti calcolano a circa il 30% l’importanza della genetica nel rischio di obesità, in aggiunta a più rare forme di obesità genetica con caratteristiche particolari che il pediatra esperto è chiamato a escludere. Fattori di rischio genetico sono genitori o nonni con obesità o diabete mellito di tipo 2 (DM2), con iperlipidemie familiari, con ipertensione arteriosa e altre malattie cardiovascolari insorte prima dei 50 anni, oppure l’esser nati piccoli per l’età gestazionale o da madri con ipertensione e diabete gestazionali. Un equivalente della tendenza genetica a mio parere è rappresentato dal provenire da paesi del sud del mondo dove la malnutrizione è
sempre stata diffusa e in un certo senso sono stati selezionati quelli individui che più facilmente sapevano accumulare grasso corporeo per sopravvivere a lunghi periodi di carestia e alla cronica scarsa alimentazione. Quest’ipotesi, culturale e antropologica e forse difficile da dimostrare scientificamente non avendo un termine di confronto, ma può spiegare l’importante aumento di obesità in paesi ancora poveri ma con maggiori possibilità, rispetto a solo pochi anni fa, di accesso al cibo. Le conseguenze di un’obesità precoce, sono proprio quelle patologie che abbiamo enumerato sopra come fattori di rischio se presenti nei genitori, che vale la pena di ripetere, quindi ipertensione, DM2, malattie cardiovascolari, in aggiunta poi disturbi osteo-articolari da maggior
carico, predisposizione per certi tipi di tumori, asma e altri disturbi respiratori, problemi psicologici e psichiatrici, con in testa sindromi depressive, da ridotta auto-considerazione per problemi estetici o ridotte capacità fisiche, disturbi della condotta alimentare (dal sovrappeso infantile si passa facilmente all’anoressia-bulimia). Un bambino sovrappeso o obeso se non fa nulla per risolvere il suo problema sarà un adulto con un’aspettativa di vita inferiore alla media per durata e qualità, nonché ridotta riuscita sociale, ma già in età pediatrica iniziano i problemi fisici e psicologici e soprattutto questi ultimi. Il quadro prospettato è inquietante ma veritiero e impone d’intervenire a livello pubblico con presidi sanitari (centri specialistici di diagnosi e cura, maggio-
re formazione del personale), campagne preventive, educazione della popolazione, limitazioni all’industria riguardo la produzione di alimenti pericolosi, la loro propaganda, specie se destinati alle fasce più giovani, e la distribuzione capillare, specie nelle scuole e nei centri di aggregazione. A livello delle famiglie è importante iniziare progressivi e radicali cambiamenti, sia qualitativi sia quantitativi, dell’alimentazione. Altro campo d’intervento pubblico e privato è quello dell’incentivazione dell’attività fisica: dando a tutti la possibilità di praticare sport, di muoversi agevolmente per strada senza auto, aumentando aree verdi pubbliche, aree pedonali, piste ciclabili, promovendo la ricreazione attiva nelle scuole, i percorsi pedonali protetti per i bambini (tipo i “piedibus”
per andare a scuola) e tante altre iniziative e stili di vita pubblici e privati. L’educazione a una corretta alimentazione e a una regolare attività fisica è anche la base della terapia, sempre diretta al miglioramento degli stili di vita con eventuale supporto farmacologico (o chirurgico) solo in casi eccezionali, almeno in età evolutiva. Tale comportamento è certamente più faticoso e difficile di una terapia farmacologica e l’aiuto di un supporto psicologico è, oltre che importante, in tanti casi anche necessario. Infine perché intervenire solo quando il problema è già presente e grave e di difficile risoluzione? La prevenzione e l’educazione di tutta la popolazione a stili di vita corretti e sani sono priorità sociali oltre che sanitarie, con anche vantaggi politici, economici e culturali.
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psicologia scuola e adozione 22
di Livia Botta Psicoterapeuta e Formatrice Responsabile del Gruppo di Ricerca e Progettazione “Adozione e Scuola” www.liviabotta.it – www.adozionescuola.it
Buone notizie per la Scuola
Chi segue le notizie che compaiono su siti e forum che si occupano di adozione sa che negli ultimi mesi ci sono state importanti novità per quanto riguarda l’accoglienza e l’accompagnamento scolastico dei minori adottati. E’ della fine del marzo scorso la firma del Protocollo d’Intesa tra il Ministero dell’Istruzione e della Ricerca (MIUR) e il Coordinamento delle Associazioni familiari adottive e affidatarie in REte (CARE), che corona l’impegno e la tenacia profusi negli ultimi anni dalle associazioni dei genitori per aprire un confronto a livello istituzionale con il MIUR, al fine di garantire il benessere scolastico delle bambine e dei bambini adottati. La firma del Protocollo rappresenta un importante traguardo, premessa alla stesura di Linee guida nazionali che
definiranno le soluzioni normative e organizzative in grado di assicurare l’accoglienza scolastica e la piena integrazione socioculturale degli studenti adottati. Oltre alla stesura delle Linee guida, il Protocollo prevede l’istituzione di un referente presso ciascun Ufficio Scolastico Regionale col compito di agevolare la progettazione e il coordinamento congiunto scuoleservizi delle attività a favore degli alunni adottati; l’organizzazione di percorsi di formazione per i docenti; un sostegno diretto già da subito alle scuole e alle famiglie nell’individuazione di percorsi d’inserimento scolastico calibrati sui bisogni dei singoli studenti, anche attraverso l’interfaccia costituito dallo sportello virtuale messo a disposizione dal CARE. Contemporaneamente al
procedere dei lavori del tavolo nazionale MIURCARE, anche a livello locale si stanno registrando interessanti novità. La progressiva diffusione nel mondo della scuola di una maggiore sensibilità alle tematiche adottive, unita all’ormai acquisita consapevolezza, nei servizi socio-sanitari che si occupano di adozione così come nelle famiglie e negli enti, della complessità del binomio “adozione-scuola”, stanno dando vita nelle singole realtà locali a due processi che originano in punti diversi del sistema, ma che sono destinati a convergere. Da un lato assistiamo a un moltiplicarsi di intese interistituzionali volte a stabilire una sinergia progettuale e operativa tra istituzioni scolastiche, associazioni dei genitori, servizi sociosanitari. E’ il caso
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del Protocollo d’Intesa della Regione Veneto del dicembre 2011, di quello della provincia di Bolzano, dei documenti recentissimi di Monza e di La Spezia, per citare solo alcuni esempi. Tali Protocolli, simili nella loro ossatura, si propongono di promuovere reti di supporto e collaborazione tra scuole, famiglie e servizi; di sensibilizzare le scuole alle tematiche dell’adozione mediante l’offerta di percorsi di formazione mirati; di sostenere la costruzione di climi di classe e di scuola favorevoli all’inserimento e all’incontro con la storia del minore adottato; di giungere alla nomina in ciascuna scuola di referenti per l’adozione che coordinino le varie fasi dell’inserimento, tengano i contatti con i diversi soggetti, si adoperino a garantire, se necessario, progetti ad hoc. Dall’altro lato singole
scuole, alle prese con un numero sempre maggiore di alunni adottati nelle loro classi, riconoscono ormai quella adottiva come una situazione complessa, chiedono informazioni chiare e strumenti adeguati per fronteggiare eventuali problematiche relazionali o difficoltà di apprendimento dei loro alunni adottati; promuovono autonomamente momenti di formazione sulle tematiche adottive; prendono in considerazione gli alunni adottati tra i possibili soggetti con Bisogni Educativi Speciali a cui la scuola è tenuta a offrire, in base alla più recente normativa, una progettazione mirata. Certo non possiamo ancora parlare di una presenza omogenea di buone prassi e di Linee guida sul territorio nazionale. Siamo di fronte alla consueta diffusione “a macchia di leopar-
do” che ha caratterizzato l’avvio di tante innovazioni nella nostra scuola; ma le buone iniziative d’inclusione cominciano a essere più visibili e consistenti. Ed è significativo che si tratti in molti casi di azioni promosse direttamente dalle scuole, a differenza di quanto succedeva fino a non molto tempo fa, quando lodevoli iniziative di inclusione erano più spesso proposte e gestite da soggetti esterni, su sollecitazione delle famiglie adottive. C’è solo da sperare che la scarsità di risorse di cui attualmente soffre la nostra scuola non vanifichi nella pratica quando si sta lentamente conquistando sul piano delle norme e della consapevolezza! Si tratta comunque di un percorso ancora lungo e non privo di trabocchetti. Quando si parla di “specificità dell’adozione”, il rischio sempre in agguato
è infatti quello di una categorizzazione, di una “etichettatura” degli alunni adottati che potrebbe avere come conseguenza un’omologazione di situazioni squisitamente individuali. Bambini e ragazzi adottati hanno evidentemente delle specificità che li contraddistinguono rispetto ai coetanei, di cui la scuola deve tener conto: le cesure della loro infanzia si ripercuotono in minore o maggior misura sull’autostima e sulle relazioni e richiedono che la loro storia personale sia trattata a scuola con grande cautela; la differenza etnica – nel caso delle adozioni internazionali – è un fattore critico che richiede un approccio alla dimensione interculturale parzialmente diverso rispetto a quello proponibile per gli alunni che condividono con i familiari la diversa etnia; le adozioni di bambini in età scolare richiedono una
valutazione attenta della classe e dei tempi d’inserimento a scuola e una particolare attenzione all’accoglienza e alle fasi di avvio della scolarizzazione. Ma per tanti altri aspetti gli alunni adottati hanno solo bisogno delle attenzioni richieste da tutti i bambini, nessuno escluso. E se per qualcuno di loro il percorso scolastico si presenterà accidentato e irto di ostacoli, per altri più fortunati potrà scorrere tranquillo, senza bisogno di interventi mirati. Se è dunque auspicabile un moltiplicarsi di Protocolli e Linee guida, bisognerà fare attenzione, sia da parte della scuola che delle famiglie, a “non eccedere nell’uso” fino a far diventare gli alunni adottati una “categoria protetta”, piuttosto che soggetti che in qualche caso, in alcuni momenti, in alcune situazioni specifiche possono aver bi-
sogno di interventi mirati. Tenute ferme queste precauzioni, il diffondersi di Protocolli, Linee guida, Carte d’intenti non può che considerarsi positivo e auspicabile. Per i genitori sarà garanzia di standard minimi di accoglienza; li rassicurerà che quelle scuole, quelle reti territoriali sono sensibili alla problematica “adozionescuola”, ne conoscono i contorni, sono in grado di mettere in atto - se necessario - interventi mirati e competenti. Per gli insegnanti rappresenterà la possibilità di arricchire la propria professionalità e il richiamo a un pensiero specialmente dedicato agli alunni che vivono una situazione esistenziale particolare, più o meno complessa ma comunque meritevole di consapevolezza e di cure specifiche sia da parte degli insegnanti che degli adulti in genere.
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di Mariagloria Lapegna
Gornja Bistra 26
Immaginate un antico castello croato, immerso in un bosco di castagni, isolato in una natura benevola e rigogliosa. Un lungo viale alberato conduce al sontuoso portale di legno; all’interno soffitti alti e una maestosa scalinata in pietra, grandi vetrate che lasciano passare, generose, i raggi del sole in un ampio corridoio costellato da porte in legno; al primo piano un suggestivo salone circolare affrescato, con un vecchio pianoforte, evoca fastosi ricevimenti ottocenteschi. Immaginate adesso tantissimi bambini e ragazzi, affetti da gravi e invalidanti patologie, ciascuno inesorabilmente costretto in un letto che non può in alcun modo, da solo, lasciare; bambini soli che non hanno più nulla, nemmeno un papà o una mamma che li consoli nei momenti di sconforto. E immaginate infine centinaia di volontari italiani
che si alternano, in piccoli gruppi, ogni settimana per tutto l’anno in questo castello accanto ai bambini e ai ragazzi, donando loro una carezza, un sorriso o una passeggiata nel parco circostante. Ecco, tutto questo è l’ospedale pediatrico di Gornja Bistra, un paesino a pochi chilometri da Zagabria. Quando parto, volontaria con l’associazione “Il giardino delle rose blu”, mi accorgo che non so realmente dove sono diretta, anche se penso che rivedrò spesso tra i volti dei bambini di Gornja Bistra gli occhi dei miei figli. Sono già geograficamente molto lontana dalla mia famiglia ma il mio cuore è ancora a casa. Quando entro nel castello, un odore fortissimo mi assale, entro nelle stanze una dopo l’altra, piene di corpicini su letti che sembra non finiscano mai e capisco che devo riconfigurare tutto il mio sistema mentale: questa vita è troppo diver-
sa da tutte quelle immaginabili per qualsiasi essere umano e qui trovo tantissimi bambini! Quanti sono? Troppi. Troppi per quest’ospedale ma mi sembrano troppi anche per tutta la terra. E invece so che sono un’infima porzione della sofferenza che esiste al mondo. Resto allora in silenzio davanti a questo distillato di dolore innocente, mi appare eccessivo per essere compreso, descritto, raccontato. A tratti, balenano ancora tra le sbarre dei lettini gli occhi dei miei figli rimasti a casa e ogni tanto sento il bisogno di allontanarmi nel parco per una pausa, mi sembra tutto troppo. Isolato e lontano dal “mondo reale”, questo luogo racchiude stridenti contrasti che amplificano pensieri e sentimenti. L’interrogativo più banale che affiora è “perché”. Ma subito capisco che non ci sono risposte o che ciascuno potrebbe avere per sè una risposta
diversa e, soprattutto, mi convinco che tutte le spiegazioni possibili non muterebbero nemmeno per un attimo la condizione di questi bambini. Subito si affollano nella mia mente altre domande: quanto soffrono questi bambini? Ma è davvero possibile misurare la sofferenza? Sono felici quando li accarezzo e sorridono? Alcuni giacciono immobili: riesco ad arrivare alla loro anima? Sono utile per loro? O sono loro che servono a me? Questo è un angolo del mondo in cui io abito. Lo posso ignorare? Fingere che non ci sia? E se esiste, in che relazione mi pongo? E infine: la soffe-
renza maggiore per M. è la sua deformità o non avere una mamma che lo ami?... Concludo che questo è un luogo dove si può andare avanti solo se si mettono a tacere tante domande: il rischio è la paralisi delle azioni. E’ un luogo privo di logica, di razionalità, un mondo parallelo a quello che io abitualmente abito, così diverso a casa, in Italia. Un mondo che però, adesso, sto attraversando anche io. Il contatto con la malattia, la deformità, mi fa paura. Ma scopro che se riesco ad entrare in relazione con la persona che c’è dietro quel corpo, mi rilasso e vedo che è inerme, ha paura, che è
semplice come il più piccolo dei bambini. Il contatto...Penso che se riesco a stabilire un contatto profondo con qualcuno di loro entrerò nella loro dimensione, che è altra da me. E’ una dimensione che fa gioire per una carezza, per una passeggiata nel parco, che fa illuminare per un bacio. Ho difficoltà a trovare sempre questo contatto, ma intuisco che questa è una chiave essenziale. Con il passare dei giorni mi abituo. Le deformità diventano caratteristiche delle persone e non destano più tanto orrore. Diminuisce sempre più la distanza emotiva tra me e i bambini, anche se resta la
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difficoltà a giustificare un così esteso dolore. E’ forte il senso di impotenza. L., un nome altisonante per una bimba diafana, distesa quasi immobile nel suo lettino, con lo sguardo imprigionato e impenetrabile. La trovo bellissima: ha una pelle trasparente, bianchissima, capelli dorati, un po’ più lunghi di tutti gli altri bambini, come se chi si prende cura dei loro corpicini avesse voluto rispettare la sua bellezza. Tutti gli altri bambini sono rasati. Penso che L. avrebbe potuto a buon diritto abitare questo castello da principessa. Mi sente mentre le canto una ninna nanna? Percepisce le vibrazioni della mia voce quando appoggio la sua manina sul mio collo? La guardo a lungo e le parlo, canto, l’accarezzo, senza sapere se riesco a raggiungerla. L. si muove appena, una tenerezza infinita, l’emozione mi prende. Con I. è facile giocare, lei
non chiede altro, anche se riesce a muovere a malapena solo un braccio. Ma è forte e determinata, attenta a tutto ciò che accade intorno e comunica bene ciò che vuole; ha un sorriso gioioso tutte le volte che mi vede. D. è stato operato in tempo e adesso non parla ma corre, salta, ha una risata contagiosa…è iperattivo, mi dicono. Quando non c’è qualcuno che lo sorveglia viene riportato nel lettino con le sbarre alte, tutto può essere pericoloso per lui. L’infermiera allora gli chiede allora di porgergli la manina, lui docile acconsente e con una fascia stretta al polso viene legato alle sbarre del lettino per la notte, affinché non scappi via. Eppure, per tutto il tempo sono accompagnata da una scintilla di speranza. Una coppia italiana è arrivata qui qualche anno fa; sono volontari come me e hanno conosciuto N., un bim-
bo delicato “che non potrà mai avere una vita normale”, precisano i medici. Ma F. e R. vogliono portarlo a casa in Italia e adottarlo, tra mille difficoltà burocratiche. Vedono già in N. il proprio figlio e i suoi problemi di salute non sono un ostacolo. Ecco, il senso della genitorialità può essere riassunto tutto nel loro desiderio e nella loro scelta, penso. E ho la conferma che la mia pretesa di logica non ha significato davanti a un semplice quanto forte gesto d’amore. La percezione del tempo è dilatata, i giorni trascorrono lenti ma arriva il momento di andar via. Avrò ancora bisogno di tempo per assorbire, assaporare e inquadrare questa esperienza unica, che per diversi aspetti resta inesprimibile. Ciò che mi resta, alla fine, del castello di Gornja Bistra e dei suoi abitanti è un profondo senso di tenerezza….
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di Carmine Pascarella e Federica Sassi
Dagli Appennini alle Ande: un fantastico viaggio in Cile - 1
Il Cile ha sempre rappresentato per me un sogno, un ricordo vivissimo, come se fosse oggi, un’esperienza faticosa e bellissima. Ne ricordo tutti i dettagli, l’albergo dove eravamo, le lunghe e inutili snervanti attese, l’incontro con i nostri figli, gli odori, i sapori, gli angoli della città, la cultura, le persone che abbiamo conosciuto e ci hanno sostenuto. Un ricordo straordinario che mi ha cambiato la vita e che mi ha fatto diventare un po’ cileno. Per vent’anni ho sempre seguito le vicissitudini culturali, politiche e sportive di questo Paese; è come se una parte di me fosse rimasta lì. Molte volte quando si pensa all’adozione da parte di coppie italiane di bambini provenienti dall’estero, frequentemente a questi bambini gli si cambia il nome in
qualche modo italianizzandoli. Viene così adottato Lorenzo, Francesco, Paolo, mentre Dimitri, Xuan, Putalin rimangono fantasticamente là dov’erano, nel loro Paese di origine. È come se un pezzo della loro identità venisse rimosso, lasciato lì, per rendere più familiare, più italianizzato il bambino che hanno adottato. A me è accaduto esattamente il contrario e dopo due mesi di permanenza nel Paese di origine dei miei figli, una parte di me è rimasta lì ed è stata tanto desiderosa di ritornarvi quanto lo sono stati i miei figli. Tornare in Cile però era come un sogno e nel frattempo sono passati tanti anni. Per la verità mia figlia, adottata all’età di undici anni, nel 1992, nel 2003 fece un viaggio di ritorno con il suo futuro marito nel Paese di origi-
ne. Fu un’esperienza molto intensa da noi vissuta a distanza, ma ormai nel corso del 2012 stavano maturando i tempi per ricontattare un pezzo della nostra storia, in particolare mia e di Mauro, mio figlio maggiore, nato nel 1979, adottato nel 1993 e oggi trentaquattrenne. Mauro per la verità si era già ben organizzato per conto suo, in relazione ai rapporti con l’America latina. Dal 2004 lavora presso una grande azienda che commercializza prodotti per il giardinaggio e lui è diventato responsabile tecnico- commerciale proprio per il Sud America, la Spagna ed il Portogallo. Non vi dico la sua straordinaria competenza linguistica e la sua dimestichezza nel muoversi negli scali internazionali di mezzo mondo. Viaggia spesso ed è molto gratifica-
to dal suo lavoro. Viaggiare con lui è veramente rassicurante e talvolta mi viene da pensare: ma si sono proprio capovolti i ruoli! Per certi aspetti è stata una nostra guida in questo viaggio effettuato nel mese di Settembre 2012. Dicevo
la nostra guida perché con noi è venuta anche Federica, la ragazza con la quale convive da ormai tre anni e che sposerà nel prossimo mese di giugno. Il desiderio di questo viaggio è stato sollecitato da loro che mi hanno coinvolto con en-
tusiasmo e anche Federica sembrava un po’ cilena nel sognare questa avventura. Ma la cosa straordinaria è che mentre sto ripensando al nostro viaggio del settembre 2012 mio figlio è di nuovo là per motivi di lavoro, anche se non mancano
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le occasioni per rivedere le persone più importanti di questa storia. Ebbene nel luglio del 2012 avevamo già deciso: io, Mauro e Federica saremmo ripartiti il 2 settembre per Santiago del Cile, dove ci saremmo fermati per circa 16 giorni, un nuovo tempo dell’attesa! L’estate 2012 è stata trascorsa rievocando, programmando e immaginando questa nuova avventura. Ripensavo a quel viaggio per un paese così lontano, posto come dicevano le persone che abbiamo conosciuto in Cile nel 1993, alla fine del mondo, proprio come ha detto il Papa quando si è affacciato per la prima volta in Piazza San Pietro. Molte serate sono state trascorse a pensare a chi avremmo incontrato e a come avremmo organizzato il nostro tempo lungo questi 16 giorni. Mio figlio aveva mantenuto una ricca rete di relazioni e pertanto al nostro arrivo non ci saremmo certo annoiati per tutti gli impegni che ci attendevano. Di giorno in giorno l’emozione stava crescendo e sentivo che per mio figlio questa sarebbe stata un’esperienza di grande significato: come spesso diceva, di “serrar el circulo”, mentre per Federica questo viaggio era un po’ come appropriarsi di una lunga storia che faceva
parte del passato di Mauro. Si è trattato come di un ingresso nella sua storia, nei suoi luoghi, nei suoi affetti, nelle sue sofferenze per sentirla come una parte anche sua e per poterla in futuro condividere con lui. Hanno costruito una memoria comune che prima probabilmente non esisteva in senso così profondo. Io, dal canto mio, ero così preso dal voler rivivere le mie emozioni che avevo bisogno di riveder luoghi esattamente come lui, ma per questo ci siamo organizzati riuscendo a rispettare i reciproci desideri. Di tempo ce n’era. La presenza di Federica è stata fondamentale e a sua volta mi ha fatto tornare in mente le analogie con il viaggio che insieme avevamo fatto in Brasile per conoscere e visitare gli Istituti e i Tribunali per i Minorenni di San Paolo e Salvador de Baja. Anche quella era stata un’esperienza estremamente emozionante, indimenticabile, ma aveva tutt’altra connotazione in quanto inserita nell’ambito di scambi internazionali finalizzati alla formazione degli operatori di due paesi. Il Sud America era la calamita che ci attirava. Finalmente si parte! Quando hai salutato tutti ed entri nel transito internazionale senti che il tuo
viaggio è già iniziato. Siamo solo noi, le valigie le ritroveremo a Santiago del Cile. Il volo Iberia sottolinea ulteriormente l’immersione nella lingua spagnola ormai familiare e alla mezzanotte del 2 settembre stiamo aspettando comodamente seduti all’aeroporto di Madrid il volo intercontinentale per Santiago. Un viaggio lungo, attraversato da mille pensieri, films, ripetuti pasti, ancora mille pensieri su come sarà la città che incontreremo e i giorni che trascorreremo. Il viaggio non è noioso, anche se molto lungo, perché l’attesa lo riempie di immagini. Ecco la Cordigliera, meravigliosa in quelle cime altissime che sembrano tanti coni di gelato alla panna. Si arriva finalmente all’aeroporto Arturo Benitez, tutto rinnovato, molto più bello, e si annusano le prime atmosfere cilene: l’aria non è tanto fredda, c’è molto movimento e le valige con teutonica precisione ci aspettano sul nastro prima ancora che noi arrivassimo. Anche l’auto prenotata dall’Italia, ci stava aspettando e dopo un breve viaggio con il responsabile dell’autonoleggio, finalmente autonomi, ci siamo affidati al nostro navigatore satellitare per raggiungere l’hotel nel pieno centro di Santiago. Un
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complesso di 4 torri da 26 piani l’una, con piscina panoramica protetta dalla vigilanza al suo ingresso. Abbiamo subito riconosciuto le vie del centro, non lontano dal fiume che attraversa la città e dalla zona pedonale. I caratteristici taxi erano gli stessi di 20 anni fa e molto sembrava ricordare quel tempo, anche se tante altre cose erano cambiate. Entriamo nel nostro Aparthotel, modernissimo, pulitissimo, con tv satellitare e sistemiamo i nostri bagagli, computer compreso. Nel 1991 per comunicare con l’Italia, se si escludeva il costosissimo telefono e il fax, si potevano scrivere le tradizionali lettere che impiegavano 15
giorni per giungere a destinazione. Se eri fortunato una risposta giro di posta avrebbe comportato un’attesa minima di un mese. Si aveva proprio la sensazione di essere in un altro mondo. Oggi a Santiago la televisione riceve canali italiani e grazie a internet puoi video chiamare, leggere le tue mail di lavoro, ecc. Quei due mondi si sono compressi in un unico spazio contemporaneamente immenso e piccolissimo. La zona centrale di Santiago, l’isola pedonale, 20 anni prima l’avevamo percorsa in lungo e in largo andando a mangiare spesso negli stessi posti quasi costruendo una familiarità durante tutto quel tempo
in un mondo così estraneo. Quella familiarità è rimasta, mi ricordavo tutte le strade, gli incroci, i negozi, le stranissime edicole che a Santiago sembrano avere le dimensioni di una cabina telefonica avvolgendo il giornalaio ingabbiato dentro. Un giro fantastico e il bisogno di riassaporare cibi ormai mitici nella mia memoria. Il viaggio è stato stancante, il fuso orario fa sentire i suoi effetti e nella giornata successiva abbiamo dato seguito a tutta una serie di incontri che avrebbero popolato con tanta intensità tutti questi giorni. Il resto ve lo racconterò la prossima volta…
giorno dopo giorno
di Marta e Alberto
Riti collettivi di fine anno scolastico 34
Giugno, fine della scuola. Anche quest’anno al rito collettivo della pizzata di classe non manca quasi nessuno. Tranne due o tre sparute famiglie additate dalla collettività come asociali. Noi, che come lo stereotipo dei genitori adottivi impone, non possiamo perderci nessuna occasione per la socializzazione e l’integrazione dei nostri bambini, ci siamo, al gran completo. E poi l’invito è arrivato dalla rappresentante di classe, anche lei mamma adottiva, non a caso. Per la verità io ho opposto resistenza fino all’ultimo momento, perché non ho intrecciato grandi rapporti con i padri della classe. E’ mia moglie ad avermi convinto: siamo qui per nostro figlio che ci tiene tanto (sarà vero?!?). Nel tendone della pizzeria (scelta ad
hoc dopo una valanga di mail e qualche immancabile battibecco per organizzare al meglio la serata), che è enorme e attrezzata anche di giochi all’aperto per far sfogare l’orda selvaggia dopo averla ben nutrita, siamo in quattrocento. Altre cinque o sei classi hanno avuto – strano – la stessa magnifica e originalissima idea. Sembra di entrare in un girone infernale. Per fortuna mia figlia non protesta: ha già mangiucchiato a casa e siamo seduti di fianco a una petulante ragazzina preadolescente – sorella di una compagnetta- che ha deciso di giocare con questa versione vivente di cicciobello asiatico che le sembra così carina! E’ insopportabile, la tocca di continuo e lancia urletti estasiati, eppure alla fine della serata mi toccherà
ringraziarla, seppur a denti stretti, perché almeno la mia piccola si è distratta, inebetita a guardarla. Ma la scena più grottesca cui assistiamo ci fa prendere una decisione definitiva. Nella tavolata dei bambini (tanto carini e così legati tra loro…) l’attività che va per la maggiore è smanettare in modo compulsivo su PSP, Nintendo DS e tutte le altre diavolerie elettroniche possibili. Tutti i maschi – tranne il mio che mi lancia occhiatacce d’odio dal fondo della sala – ne sfoggiano almeno una se non due versioni. Quando timidamente chiedo a qualche genitore se non sia il caso di invitare i bambini ad uscire all’aperto a giocare in attesa della pizza, mi sento rispondere che è meglio che stiano seduti buoni: non si bagneranno (è spiovuto da poco)
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e non suderanno! Rimango annichilito. Penso ora alle famiglie assenti con grande stima e rispetto. Abbozzo qualche conversazione, ma è impossibile ricevere risposte sensate: c’è troppo baccano e i nervi sono scoperti
anche per la lunga attesa della pizza che arriva dopo un’ora e trenta. Non è ben cotta, ma quando si ha fame si trangugia di tutto. In silenzio e di corsa, per prolungare il meno possibile questa agonia. Nessuno chiede il dolce. Non vedia-
mo l’ora di darci commiato. Mio figlio ha lo sguardo catatonico per la scorpacciata di giochi elettronici. Arrivederci al prossimo anno scolastico. Ma senza pizzata di giugno! Con buona pace della “sindrome di socializzazione”.
leggendo Marina Zulian responsabile della BibliotecaRagazzi di BarchettaBlu
Leggere, fare e raccontare
Le mille possibilità di stare (bene) nella biblioteca di Barchetta Blu 36
6. Questo mese: Abitare il mondo. Viaggio attraverso le immagini di Marina Zulian Nella settima edizione del mese della lettura organizzata a Venezia nei mesi di aprile e maggio 2013 dalla Biblioteca Ragazzi di BarchettaBlu, il tema conduttore è stato Abitare il mondo. Abitare il mondo significa percorrere una strada fatta di luoghi e persone, occasioni di incontro e di conoscenza, a volte ripida, a volte in discesa, a volte conosciuta, a volte misteriosa. Percorrere la strada significa anche mettersi in cammino, iniziare un percorso di conoscenza di se stessi, degli altri, dell’ambiente fisico e sociale che ci circonda. Anche quest’anno il progetto ha previsto la realiz-
zazione di una esposizione d’arte che, grazie alla collaborazione con l’Associazione Illustratori, ha portato a Venezia l’Annual una colorata e fantasiosa mostra di illustrazioni, organizzata con un particolare allestimento adatto ad una utenza di adulti e di bambini. Il programma delle giornate prevedeva una speciale visita guidata per i piccoli visitatori. Grazie alle rime inventate appositamente per l’occasione, la visita si è rivelata interessante e coinvolgente. I protagonisti della storia raccontata durante la visita erano proprio i protagonisti delle immagini esposte. Così come le immagini hanno ricordato luoghi e colori di tutto il mondo, anche i percorsi ludico-sensoriali durante i laboratori hanno rievocato volti, odori, suggestioni e
immagini di luoghi lontani.
Durante il festival BarchettaBlu ha anche organizzato delle altre iniziative per scuole e famiglie in occasione della mostra Balene e capelli blu realizzata nell’isola di San Servolo. L’esposizione ha presentato una selezione dei migliori artisti israeliani, offrendo un’occasione unica per scoprire il mondo dell’illustrazione per l’infanzia proveniente da Israele attraverso l’esposizione delle tavole di oltre una ventina di artisti, tutti giovani e molto talentuosi. Avvicinare i bambini al linguaggio delle immagini non è sempre facile. In
gran parte degli albi illustrati le parole aiutano e coinvolgono i bambini nel racconto. Anche in questo caso, come per la mostra Annual, è stata inventata una storia per permettere ai bambini di visitare la mostra e apprezzare le bellissime illustrazioni. I lavori esposti erano caratterizzati infatti da un’enorme varietà di segni, stili e tecniche. Probabilmente gli autori si sono ispirati anche alle fiabe classiche e popolari. La rassegna è nata proprio per far conoscere a un vasto pubblico di bambini e adulti il mondo dell’illustrazione israeliana. La letteratura israeliana è abbastanza conosciuta in Italia grazie soprattutto a David Grossman, ma poco conosciuta in relazione agli illustratori.
scodinzola, sbadiglia e in un attimo rifà il suo letto.
In particolare mi soffermo sulle illustrazioni di Ofra Amit che ha dato l’immagine alla locandina e ha pubblicato anche in Italia dei libri per bambini con la casa editrice Arka. Nel libro Alba e Bella. Amiche per la pelle, le due protagoniste, nonostante una visione del mondo molto diversa, sono grandi amiche. Queste due protagoniste sono un cane e un gatto, una pigra e l’altra super efficiente. La sveglia, puntuale a meraviglia, ogni mattina suona alle sette. Con un balzo Alba si alza, si stiracchia,
E Bella? Lei di alzarsi proprio non se la sente. Fare stretching non è divertente. E che noia lavarsi, ordinare la casa e persino giocare! Meglio il dolce farniente. Solo per mangiare a volte mette un piede giù dal letto.
Alba si sveglia presto, riordina la casa, prepara le torte, pulisce, lava e va a caccia di pulci, gioca, legge
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e ascolta un po’ di musica e aspetta che Bella si alzi. Bella sta invece tutto il giorno comodamente sdraiata in mezzo ai cuscini. Di alzarsi non se la sente. 38
Un giorno di nebbia, l’annoiata Alba decide di fare un giro nel bosco in cerca di funghi da cucinare per la sua pigra amica. E naturalmente Bella decide di stare a riposarsi.
Un violento temporale coglie impreparata la povera Alba che trova rifugio nel tronco cavo di un albero. Lampi e tuoni la fanno tremare. E nonostante chiami
a squarciagola nessuno la sente. Bella però, forse per la fame e tutto quell’insolito silenzio, decide di cercare la sua amica per la pelle. Sotto una pioggia battente chiama Alba disperatamente e alla fine … Ofra Amit ha immaginato le due amiche molto diverse, agli antipodi: una cagnolina rossa con due belle orecchie lunghe e nere, tenute come una specie di trecce, sempre attiva e in movimento, energica e vivace; e una gattona a righe, pigra e grassottella, ma al tempo stesso morbida e avvolgente. Questa storia di amicizia, ma anche di condivisione e di convivenza, viene raccontata con maestria dalla filosofa e psicoanalista Dafna Ben Zvi. La storia non è tutta in versi, tuttavia ogni tanto, in maniera disordinata e inaspettata si presenta in forma di rima. Pubblicata per la prima volta in Israele nel 2009, la storia è molto divertente e porta con leggerezza l’attenzione del lettore sul-
la capacità di volersi bene anche quando si è molto differenti. Il libro gioca sull’incontro di mondi opposti che si scontrano e si intrecciano. Le dinamiche relazionali fra le due protagoniste ci ricordano che nella routine quotidiana sarebbe bello poter sempre trovare il modo di esaltare le caratteristiche di ognuno; sarebbe bello poter rispettare le diverse attitudini degli altri. Ma la cosa più bella sarebbe riuscire a cambiare alcuni nostri comportamenti, magari in nome di una amicizia. Allora, alla fine … ... Bella si rannicchia vicino alla sua grande amica abbracciandola teneramente. E anche lei si addormenta serenamente. Segnalo anche un altro libro di Ofra Amit, edito da Orecchio Acerbo, le cui tavole sono nella mostra veneziana Balene e capelli blu. Il libro è intitolato Bruno, il bambino che imparò a volare ed è per bambini più grandi, dai 10 anni.
siosi disegni. Ecco ancora una volta la potenzialità delle immagini e l’importanza per i bambini di essere liberi nel crearle, lasciandosi guidare dalle più profonde emozioni.
Attraverso la scrittura emozionante di Nadia Terranova e le suggestive immagini di Ofra Amit, la storia ci porta in un mondo stupefacente e drammatico. Come ci fa vedere la copertina è la storia di un bambino ebreo con una grossa testa che rende i suoi movimenti incerti e impacciati. Se da un lato il bambino è introverso, dall’altro è curioso e attento. Osserva ogni cosa che lo circonda e soprattutto le stranezze del padre. Purtroppo Bruno perderà il suo ammirato papà troppo presto, ma cercherà di farlo rivivere nei suoi fanta-
il suo amore. Parole e disegni sono essenziali e poetici. La passeggiata del bambino e della mamma, mano nella mano, è accompagnata da pensieri che possono essere difficili per un bambino; le immagini però rendono il significato profondo del racconto immediatamente comprensibile: l’unicità e la diversità di ogni essere vivente, la solitudine e la condivisione di ogni uomo, la paura dell’isolamento e dell’abbandono. Forse solo un abbraccio può rassicurarci. Alla fine del libro quindi l’abbraccio è indispensabile.
Bibliografia Infine ricordo anche le eleganti immagini e le raffinate parole del piccolo albo illustrato L’abbraccio di David Grossman. Una breve storia di solitudine e di amore per grandi e piccoli. Una mia amica mi ha confidato che ne ha acquistate due copie, una per suo figlio e una per suo padre, per dimostrare loro tutto
Alba e Bella, di D. Ben Zvi, Arka, 2012 Bruno, il bambino che imparò a volare, di N. Terranova, Orecchio Acerbo, 2012 L’abbraccio, di D. Grossman, Mondadori, 2010 Ballare sulle nuvole, V. Starkoff, Kalandraka, 2010 L’universo, F. Faval, Editions du Drumedaire, 2000 Il cavallino e il fiume, G. Favaro e S. Fatus, Carthusia, 2004 Un pianeta che cambia, di J. Lee, Mineedition, 2013
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sociale e legale
di Angelamaria Serpico
L’Adozione in Asia (seconda parte) 40
Proseguiamo questo mese il viaggio nell’analisi dei requisiti e delle procedure adottive nei vari continenti. –
INDIA La Convenzione de l’Aja è entrata in vigore nel 2003. Autorità competente: Central Adoption Resource Agency (CARA) Requisiti previsti dalla normativa locale per gli adottanti – Possono adottare le coppie sposate che dimostrino una convivenza di almeno 5 anni, in buona salute e con un reddito che permetta la crescita di un figlio; – Non possono adottare le coppie di fatto e gli uomini celibi. È consentita l’adozione alle donne nubili di età non superiore ai 45 anni; – Per adottare bambini di età compresa tra 0 e 3 anni i candidati all’adozione devono avere un’età compresa tra i 25 e i 50 anni; – Per adottare bambini di età superiore ai 3 anni i candidati all’adozione devono avere un’età compresa tra i 25 e i 55 anni;
La somma dell’età dei candidati all’adozione non può superare i 105 anni. Requisiti relativi all’adottando – Può essere adottato un bambino orfano o dichiarato in stato di abbandono dalle autorità giudiziarie locali, o i cui genitori o i rappresentanti legali abbiano dato validamente il consenso all’adozione; – Il bambino deve avere più di 3 mesi e meno di 12 anni; – I fratelli non possono essere separati. La procedura – Il dossier della coppia viene inviato all’Autorità indiana che lo trasmette a RIPA (Recognized Inter-country Placement Agency – RIPA) che ha il compito di proporre, tramite l’ente autorizzato, il minore alla famiglia aspirante all’adozione. Al ricevimento dell’accettazione della proposta, il dossier tornerà all’Autorità centrale che concorderà sul proseguimento della procedura. – Il tribunale locale competente, dopo aver preso visione della documentazione, pronuncerà l’affidamento parentale in vista dell’adozione definitiva che ver-
rà perfezionata nel Paese di residenza della coppia. Forma della decisione La decisione pronunciata dalle autorità locali è un provvedimento di affidamento in vista dell’adozione che verrà pronunciata secondo la legge in vigore nel paese di residenza degli adottanti. Effetti della decisione – Mantenimento dei legami tra minore e famiglia di origine;
–
Non si crea un legame di filiazione tra il minore e i suoi tutori; – Revocabilità fino alla pronuncia in Italia dell’adozione. Le scadenze del post adozione Per il primo anno devono essere inviate relazioni con cadenza trimestrale, per il secondo anno relazioni con cadenza semestrale dalla data dell’ingresso in Italia.
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KAZAKHSTAN
Autorità competente Le adozioni internazionali vengono regolamentate dal Ministero dell’Istruzione e dal Ministero della Giustizia. Viaggi necessari – Le coppie che adottano in Kazakhstan devono effettuare tre viaggi in questo Paese: il primo della durata di circa un mese, i successivi della durata di una settimana ciascuno. – I bambini che entrano nei percorsi di adozione internazionale vivono in istituto. Nati in contesti problematici, in un Paese che conta 130 etnie e diversi problemi di integrazione so-
ciale, sono stati molto spesso abbandonati dopo la nascita. Negli ultimi anni è cresciuta l’età media dei bambini adottabili, che spesso supera i 5 anni di età. – L’attività si concentra nella provincia di Almaty, con particolare riferimento alle città di Chilik e Taldykorgan; – I tempi di attesa per le coppie adottive sono generalmente più brevi rispetto ad altri Paesi dell’area europea ed asiatica; Le scadenze del post adozione Il Kazakhstan richiede la produzione di 1 dossier psico-sociale ogni 6 mesi per i primi 3 anni dopo l’adozione, successivamente di 1 dossier ogni anno fino al raggiungimento della maggiore età del bambino.
MONGOLIA La Convenzione de L’Aja entrata in vigore nel 2000 Autorità competente: Ministero di Benessere e Lavoro I tempi per la realizzazione dell’iter adottivo sono piuttosto lunghi (in media 30 mesi di attesa per l’abbinamento). Numero viaggi
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VIETNAM La Convenzione de l’Aja è entrata in vigore nel 2012 Autorità competente: Department of Adoption (Ministry of Justice). Requisiti previsti dalla normativa locale per gli adottanti – Possono adottare le coppie sposate e i single; – La differenza di età tra l’adottante e l’adottando non può essere inferiore ai 20 anni; – Le coppie aspiranti all’adozione devono godere di buona salute e devono essere in condizioni sia economiche che abitative tali da assicurare un buon livello di accudimento, crescita ed educazione scolastica dei bambini adottati. Requisiti relativi all’adottando – Possono essere adottati minori al di sotto dei 16 anni di età; – I minori che hanno compiuto 8 anni devono prestare il loro consenso all’adozione; – Solo i minori accolti presso gli orfanotrofi autorizzati dal Comitato Popolare
Uno. La permanenza all’estero è di circa un mese e prevede il passaggio da Pechino per ottenere il visto di ingresso in Italia. Requisiti: non sono richiesti requisiti particolari. Le scadenze del post adozione Relazione semestrale a partire dalla data di rientro della coppia fino a 3 anni di età. Annuali fino a 8 anni di età. Ogni 2 anni fino a 16 anni di età.
vietnamita possono essere proposti per l’adozione internazionale. I bambini adottabili in Vietnam sono ospitati presso istituti denominati Centri Sociali. Mentre alcuni sono orfani di entrambi i genitori, altri sono stati abbandonati per motivi legati alla disgregazione familiare e alla povertà. L’età media dei bambini adottabili è piuttosto bassa (1 o 2 anni), ma sono in netto aumento le segnalazioni di bambini più grandi, che arrivano sino alla fascia dei 6-8 anni. La procedura – Il Paese, a seguito alla ratifica della Convenzione dell’Aja, non ha ancora ripreso le procedure di adozione internazionale, pertanto al momento la situazione è ferma e da ridelineare. – Finora le coppie che hanno adottato in Vietnam hanno effettuato un singolo viaggio della durata di 30-40 giorni. Forma della decisione: Amministrativa Effetti della decisione: Interruzione dei legami precedenti l’adozione Le scadenze del post adozione I rapporti informativi sono a cadenza semestrale per i primi tre anni dall’arrivo del bambino.
NEPAL Il Nepal ha ufficialmente riaperto le adozioni a partire da gennaio 2009, consentendo a ciascun ente autorizzato accreditato, il deposito di 10 dossier all’anno e di altri in aggiunta per i casi speciali, anche se purtroppo non sono ancora chiare e definite le procedure riservate a questi casi. Alla fine di giugno 2010, in seguito alla riunione generale dei paesi di accoglienza presso il Permanent Beaureu dell’Aja, è stata presa la decisione unanime di sospendere il deposito di nuovi dossier. Attualmente quindi si stanno completando le adozioni riguardanti i fascicoli già depositati e si attende nuova decisione sulla ripresa dei depositi. La Convenzione de L’Aja del 29.05.93: firmata il 28.04.2009 Autorità competente: Il riferimento è il
Ministero delle donne, Minori ed Assistenza sociale all’Adozione. Numero viaggi: Un solo viaggio di circa 30 giorni. Post-adozione Una relazione post-adottiva all’anno, corredata da foto, fino al compimento dei 18 anni di età. Requisiti Gli adottanti devono essere sposati da almeno 4 anni, avere minimo 35 anni e massimo 55 anni e devono avere almeno 30 anni di differenza con l’adottato. Se gli adottanti hanno un figlio maschio, l’abbinamento sarà con una femmina. Se hanno una figlia femmina l’abbinamento avverrà con un maschio. L’adottato dovrà sempre essere di età inferiore del figlio già presente.
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SRI LANKA
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Lo Sri Lanka mantiene negli ultimi anni un numero di adozioni internazionali abbastanza costante, ciò fa sì che ogni ente accreditato realizzi da 2 a 5 adozioni l’anno, di conseguenza il numero delle coppie in attesa sul paese rispecchia questa situazione. La Convenzione de L’Aja entrata in vigore nel 1995 Autorità competente: Department of Probation and Child Care Service con sede a Colombo Requisiti previsti dalla normativa locale per gli adottanti – Gli adottanti devono essere sposati, avere almeno 25 anni e almeno 21 anni di differenza con l’adottato.. – Le coppie che non hanno figli do-
vranno essere sposate da almeno 4 anni ad evere una sterilità accertata; – Se in famiglia ci sono già figli, la differenza di età tra figlio ed adottato non deve superare i 15 anni; – Le coppie di età compresa tra i 25 e i 42 anni possono adottare bambini di età compresa tra i 3 mesi e i 5 anni; le coppie di età compresa tra i 43 e i 50 anni possono adottare bambini maggiori di 5 anni; le coppie con figli possono adottare bambini maggiori di 10 anni. Requisiti relativi all’adottando – Sono adottabili i minori inferiori a 14 anni, i cui genitori o rappresentanti legali hanno prestato il proprio consenso all’adozione e i minori dichiarati giuridicamente abbandonati; Il minore di età superiore ai 10 anni deve dare il suo consenso all’a-
dozione. – E’ rimasto costante il basso numero di bambini che lo Sri Lanka segnala ogni anno per l’adozione internazionale. – I bambini provengono da istituti che si trovano nella capitale, Colombo, o nelle sue vicinanze. – L’età dei bambini solitamente è sotto l’anno. La procedura Il dossier della coppia viene inviato all’Autorità Centrale che provvede dopo aver individuato un minore a invitare gli aspiranti genitori nello Sri Lanka per un periodo di circa 4-5 settimane. Dopo un colloquio presso il Dipartimento preposto, gli adottanti verranno autorizzati a incontrare ed a convivere col bambino per il periodo di permanenza.. Gli adottanti devono garantire di essere assistiti da un avvocato che presenzierà insieme a
loro all’udienza presso il tribunale competente della zona di residenza del minore. Dopo la registrazione della sentenza di adozione presso l’ufficio di stato civile sarà possibile richiedere il passaporto del minore. Forma della decisione: giudiziaria Effetti della decisione – Interruzione dei legami precedenti l’adozione; – Creazione di un nuovo legame di filiazione; – Irrevocabilità. Numero viaggi: Un unico viaggio con permanenza di circa 40 gg. Post-adozione La periodicità viene stabilità dal Tribunale nella sentenza di adozione, normalmente vengono richieste relazioni postadottive, corredate da foto, fino al compimento dei 16 anni di età.
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trentagiorni
Un operaio ha violentato un’alunna nei bagni della scuola, il MIUR dovrà risarcire la vittima Alunna violentata da operaio nei bagni della scuola, il ministero dell’Istruzione dovrà risarcire la vittima Un’alunna di seconda elementare è violentata nei bagni della scuola da un operaio del comune intervenuto per lavori di manutenzione. A quindici anni di distanza dal brutale episodio, accaduto in una scuola primaria di Tivoli (Roma), il Ministero dell’Istruzione è condannato, dalla Corte di Cassazione, a risarcire la vittima della violenza. Per i supremi giudici la sicurezza e la vigilanza all’interno dell’edificio dovevano essere garantiti dall’amministrazione scolastica. E a nulla è valso il tentativo del Miur di spostare la responsabilità sul Comune di Tivoli, committente dei lavori di manutenzione. Il ricorso è stato bocciato e il ministero di viale Trastevere è stato condannato anche a risarcire le spese processuali sostenute dall’amministrazione comunale (9.200
euro), oltre che dalla vittima dell’abuso (14.200 euro). Come accertato dal processo penale, l’operaio era entrato nel bagno delle bambine (che erano senza chiavi, per ragioni di sicurezza) e, scrivono i giudici della Cassazione, «l’assenza di sorveglianza ha agevolato l’azione criminosa, contribuendo al verificarsi dell’evento». E, aggiungono, «se è vero che rientra nell’ambito dei comportamenti patologici il caso di adulti che abusino sessualmente di minori, è altrettanto vero che la mancata organizzazione della sorveglianza nei pressi dei bagni, che avrebbe dovuto essere predisposta più accuratamente per la presenza autorizzata di estranei nell’edificio, ha contribuito al verificarsi dell’evento». Con le motivazioni dei supremi giudici concorda Roberto Pellegatta, presidente nazionale di Disal, associazione di dirigenti scolastici. «Nonostante le molteplici e crescenti responsabilità che gravano sui dirigenti, a cui non sempre corrispondono mezzi adeguati per
farvi fronte – commenta il preside -la vigilanza all’interno della scuola deve sempre essere garantita e la comunità scolastica va protetta, a maggior ragione se composta da alunni così piccoli». Pellegatta ricorda che, in caso di lavori di manutenzione all’interno dell’edificio scolastico, il dirigente può concordare con il committente i termini dell’intervento. «Si può delimitare l’area del cantiere suggerisce Pellegatta oppure si può stabilire che i lavori siano eseguiti al di fuori dell’orario scolastico». Fonte: Informazionescuola.it Povertà, la sua “intensità” colpisce da Nord a Sud soprattutto i bambini La fotografia emerge dal VI Rapporto sull’Infanzia e l’Adolescenza del Gruppo di Lavoro per la Convenzione dei diritti dei minori (CRC), coordinato da Save the Children e ci parla di un Paese in cui i servizi per l’infanzia non sono garantiti pienamente ROMA - Essere bambini e ado-
47 lescenti in Italia non è facile. La fotografia che emerge dal VI Rapporto sull’Infanzia e l’Adolescenza del Gruppo di Lavoro per la Convenzione dei diritti dei minori (CRC), coordinato da Save the Children, ci parla di un Paese in cui la povertà dei minori è una realtà, sicuramente più diffusa al Sud ma presente anche al Nord. Di un’Italia in cui i servizi per l’infanzia non sono garantiti pienamente. E se esistono strumenti normativi persino avanzati, e diversi “strumenti” che potrebbero rendere l’Italia all’avanguardia a livello internazionale dall’Osservatorio sull’infanzia al Garante dei minori - è pur vero che alla fine “mettere a sistema” e coordinare tutti i responsabili è un’impresa titanica e finora perdente. “I problemi sono molti, ma prima di tutto sarebbe necessaria una rivoluzione culturale - ha detto il Garante della Privacy Vincenzo Spadafora - e cioè capire che quando si parla di qualsiasi cosa, dai costi della politica, alle riforme sul lavoro, stiamo
parlando anche dei bambini e degli adolescenti, che non sono una nicchia a parte a cui rivolgersi in modo caritatevole, ma protagonisti del paese”. Povertà, un problema diffuso. Il rapporto prende in visione l’”intensità della povertà”, che misura di quanto in percentuale la spesa media della famiglia povera è al di sotto della soglia di povertà: nel 2011 risultata pari al 21,1%, mentre nel Mezzogiorno è del 22,3%. Le situazioni più gravi sono in Sicilia (27,3%) e in Calabria (36,2%): qui le famiglie povere sono oltre un quarto del totale. A subire principalmente i problemi legati alla crisi sono le famiglie numerose: il 28,5% delle famiglie con cinque o più componenti. Avere una famiglia così numerosa è ancora più gravoso al sud, dove sono povere il 42,2% delle famiglie con cinque o più componenti. Poche risorse. Se le famiglie scontano in casa minori disponibilità per fare la spesa o assicurare ai bambini ciò di cui hanno bisogno, un altro pro-
blema arriva dai tagli ai servizi. Il Rapporto sottolinea che che le risorse per l’infanzia e l’adolescenza per le 15 città riservatarie sono passate dai 43,9 milioni di euro del 2008 ai 39,6 milioni del 2013, mentre il Fondo speciale per l’infanzia è passato dai 100 milioni di cui disponeva a 0. Una conseguenza della mancanza di risorse? Il Rapporto denuncia un grave disinvestimento, ad esempio, nel sostegno alle famiglie di origine dei bambini che attualmente vivono in comunità o in affido. Non sono pochi: al 21 dicembre del 2010 erano 29.309 quelli ancora in affidamento famigliare o collocati presso strutture, di cui 2 mila ancora in attesa di adozione. Si tratta si minori che, forse perché troppo grandi o con gravi disabilità, non trovano una famiglia nonostante siano 11.655 le domande di adozione nazionale presentate nello stesso anno. Una questione su cui urge una risposta, come una delle priorità del nuovo governo dovrebbe essere una riforma della
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giustizia che intervenga sulla questione delle adozioni e dei cosiddetti “bambini contesi”. Il diritto all’educazione. Pochi soldi investiti sull’infanzia e sull’adolescenza significa anche pochi soldi investiti sulle scuole. Lo si vede, in particolare, per la fascia d’età dagli 0 ai 3 anni: la possibilità di accedere a un nido pubblico è un sogno per moltissime famiglie, che così devono rivolgersi ai servizi privati con spese certamente più pesanti. Secondo il Rapporto al 31 dicembre 2011 solo il 14% dei bambini era preso in carico da un nido, ben al disotto della soglia del 33% auspicata dalle autorità europee. Altro tasto dolente quella della carenza strutturale delle scuole italiane: solo il 24% delle scuole monitorate era in regola con i tre certificati previsti dalla normativa: antisismico, igienicosanitario e prevenzione incendi. Lo sguardo della politica. Il Rapporto prende in considerazione molti altri aspetti, tra cui l’abuso di sostanze stupefacenti e alcol, che risulta concentrato soprattutto tra quei ragazzi
che provengono da situazioni più fragili e problematiche. Ma la dipendenza è anche con il gioco d’azzardo: si calcola che l’impennata di offerta a partire dal 2000 abbia creato dipendenza in almeno il 2% dei giocatori, tra cui migliaia di giovani. Dunque molti problemi e pochi soldi, oltre a una carenza nella capacità nazionale di collezionare dati e conoscenze sul mondo dell’infanzia e dell’adolescenza, nonché una eccessiva frammentarietà dei responsabili istituzionali. Sono i problemi sottolineati da Arianna Saulini, di Save the Children, e coordinatrice del Gruppo Crc: “Per molti anni il terzo settore è stato supplente della politica: auspichiamo un cambio di marcia, la presenza oggi di un viceministro con delega, Cecilia Guerra, e del ministro delle Politiche sociali Enrico Giovannini ci fa ben sperare”. Assicurati maggiori finanziamenti. E’ stato proprio Giovannini ad assicurare che il governo metterà in cantiere un nuovo Piano per l’Infanzia (manca da sette anni, secondo la legge dovrebbe essere biennale).
Il ministro ha anche evidenziato come la crisi si possa tradurre anche in perdita di capitale umano, a partire dai giovani “e questo, ha detto non possiamo permettercelo”, assicurando maggiori finanziamenti e coordinamento. Fonte: Repubblica.it Google, database anti pedopornografia Progetto punta a rimuovere dal web immagini di abusi su minori Un database condiviso con associazioni e autorità per combattere la pedopornografia online ed eliminare dal web i contenuti inappropriati di cui questa fetta di criminali si ‘nutre’, in particolare le foto dei bambini sfruttati sessualmente. E’ il progetto al quale sta lavorando Google, colosso dei motori di ricerca in rete, che dal suo blog annuncia nuovi investimenti volti a questo sforzo: 5 milioni di dollari. L’obiettivo: ‘’sradicare le immagini online di abusi su minori’’. Fonte: Ansa
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