Adozioni e dintorni - GSD Informa marzo 2013

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Adozione e dintorni GSD informa - mensile - marzo 2013 - anno III, n. 3

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marzo 2013 | III, 3

Adozione e dintorni GSD informa - mensile - marzo 2013 - anno III, n. 3

GSD informa

Adottare iano

Razzismo quotid

la Bacchetta

Intervista a Danie

GSD informa

di Anna Guerrieri

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editoriale

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Avviso ai lettori di Franco Carola

psicologia e adozione

scuola e adozione

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La scuola che aiuta - Parte prima di Livia Botta giorno dopo giorno

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L’ultimo regalo di Marta e Alberto Attraverso i muri di Dario Lampa Adottare di Valentina Saccarola leggendo

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La fabbrica di cioccolato di Marina Zulian

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Intervista a Daniela Bacchetta, vicepresidente della CAI di Luigi Bulotta Spese deducibili

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trentagiorni

sociale e legale

associazionismo

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Bozza di protocollo d’intesa MIUR-CARE

Registrazione del Tribunale di Monza n. 1840 del 21/02/2006 Iscritto al ROC al n. 15956

redazione Simone Berti direttore, Firenze direttore@ genitorisidiventa.org; Luigi Bulotta caporedattore, Catanzaro

editore Associazione Genitori si diventa - onlus via Gadda, 4 Monza (MI) www.genitorisidiventa.org info@genitorisidiventa.org

impaginazione e grafica Maria Maddalena Di Sopra, Venezia; Paolo Faccini, Milano; Pea Maccioni, Lecce

ricerca iconografica Simone Berti, Firenze; Eliana Gentile, Teramo; Anna Guerrieri, L’Aquila correzione bozze Luigi Bulotta, Catanzaro

progetto grafico e illustrazioni studio redazioni, Francesca Visintin, Venezia immagini Simone Berti, Firenze; Roberto Gianfelice, L’Aquila; Ilaria Nasini, Firenze; Eliana Gentile, Teramo; Mariagloria Lapegna, Napoli; Paola Di Prima, Monza; Simone Sbaraglia, Roma; Diana Giallonardo, L’Aquila; Raffaella Ceci, Monza.

abbonamenti e contatti email Luigi Bulotta redazione@genitorisidiventa.org copyright Tutto il materiale scritto dalla redazione è disponibile sotto la licenza Creative Common Attribuzione-Non commerciale-Condividi allo stesso modo 3.0. Significa che può essere riprodotto a patto di citare Adozione e dintorni - GsdInforma, di non usarlo per fini commerciali e di condividerlo con la stessa licenza. Info: redazione@genitorisidiventa.org Antonio Fatigati, direttore responsabile


editoriale

di Anna Guerrieri

Razzismo quotidiano?

Una partita di pallone a Belluno fa emergere un episodio di quotidiano razzismo, come riportato da «Il Gazzettino» sabato 4 maggio (http://www.gazzettino.it/province/nordest/guarda_ quel_negro_insulti_razzisti_delle_mamme_ai_baby_calciatori/ notizie/276197.shtml). Quel che è accaduto si vede tante volte nelle partite di calcio di ragazzini e ragazzine, genitori che usano i propri figli per tirar fuori, con rabbia, i propri nodi irrisolti, le proprie delusioni, la propria insicurezza diventando loro stessi per primi aggressivi, violenti, sguaiati e anche razzisti, soprattutto se in una delle squadre si trovano giocatori percepiti come “stranieri”. Colpisce una frase dell’articolo in cui una delle madri che denunciano l’episodio racconta: «La mia amica brasiliana è andata da una di questi madri dei giocatori…, le ha carezzato il viso… e poi le mani, che tremavano. “Io non parlo l’italiano come te, ma so comportarmi meglio. Se continui così, tuo figlio farà come te”». Lascia attoniti la forza di una carezza e di una voce educata che con delicatezza ferma l’odio. Ci interroga e ci chiede: “Ma noi ne saremmo stati capaci?” Saremmo stati capaci di accarezzare chi insultava i nostri figli (qualcuno non è riuscito più a giocare a Belluno, una ragazza è scoppiata a piangere sugli spalti…) e dirgli semplicemente: “Stai insegnando ai tuoi figli a essere un razzista come sei tu, gli stai insegnando a odiare. Fermati.” Io di me stessa, in tutta franchezza, non lo so. So però che la mia famiglia è un grande valore per questa società, perché è una famiglia adottiva e quindi una famiglia mista, mescolata, nata dall’amalgamarsi di storie, vissuti e colori differenti. Noi siamo differenti e lo siamo con orgoglio. Nasciamo per adozione e tra noi non ci sono legami di sangue, ma potenti legami di vita e di amore. Tra noi i geni non si tra-


mandano, ma si tramandano i giorni vissuti assieme, i racconti, i modi di fare e pensare, i riti inventati insieme. Tra noi i colori sono differenti e diverse le forme, le altezze, i lineamenti, ma simili gli sguardi e le espressioni e le posture dei nostri corpi. Noi siamo misti e siamo una scommessa, un valore e una ricchezza, italiani ma con un’altra storia come siamo. E siamo anche un seme, un piccolo seme che germoglia e cresce e fiorisce e che abbellisce il mondo in cui abitiamo. La mia famiglia, le famiglie adottive, quelle che sono disposte a mettersi in discussione e a combattere il razzismo ovunque si annidi, fuori di noi e dentro di noi, siamo la risposta vivente ai “razzismi quotidiani”. Non serve neanche che parliamo, siamo noi la realtà che cambia. Siamo noi parte del cambiamento che trasforma e migliora la nostra società. Esattamente come chi viene a lavorare qui e qui porta o fa nascere i suoi figli. Esattamente come le “generazioni seconde”. Esattamente come tutti coloro che portano la propria differenza nel mondo per regalarla a chi incontrano. Peccato per chi ne ha paura. Si perde qualcosa. Noi proviamo solo orgoglio e fierezza per le nostre storie, le nostre differenze, i nostri nomi e i nostri colori.



Avviso ai lettori Vi informiamo che il dott. Carola si è reso disponibile a rispondere alle domande dei lettori legate alle tematiche da lui trattate. Chiunque lo volesse può indirizzare gli eventuali quesiti a rubricapsi@genitorisidiventa.org. Alcune delle richieste pervenute e delle relative risposte saranno successivamente pubblicate in un’apposita rubrica che, nel caso di risposta favorevole dei nostri lettori a questa iniziativa, vedrà la luce nei prossimi mesi. I dati sensibili contenuti nelle richieste non compariranno in nessun modo nel caso in cui verranno pubblicate sul giornale. L’informativa sulla privacy è pubblicata sul sito dell’associazione. La redazione

Franco Carola psicologo, psicoterapeuta e gruppoanalista, esperto in psicologia scolastica e in tecniche di rilassamento. Lavora da anni sui temi legati al parenting e, in particolare, sulla genitorialità adottiva. Docente in training presso la SGAI (Società gruppoanalitica italiana), è Student member IAGP (International Association for Group Psychotherapy and Group Process)

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scuola e adozione

La scuola che aiuta - parte prima 8

Concludevo il precedente articolo “La fatica di imparare” con l’affermazione che il contesto attuale in cui il bambino adottato si misura con l’apprendimento (l’ambito familiare, la scuola) può fare molto per favorire - ma anche purtroppo per ostacolare - il raggiungimento di risultati scolastici soddisfacenti. Soprattutto per i bambini più vulnerabili, diventa dunque cruciale individuare le diverse variabili su cui è possibile intervenire e le prassi più idonee da mettere in atto. Sul versante “scuola”, la prima riflessione è che uno dei principali ingredienti – forse il principale – della possibilità d’imparare è la qualità dell’intreccio relazionale che si instaura tra l’alunno, l’insegnante, l’oggetto di apprendimento, il gruppo dei coetanei. Per un bambino fragile,

che è stato ferito nella fiducia nelle proprie capacità e negli altri, dirigere le proprie energie verso l’apprendimento sarà possibile solo in un contesto sicuro, costante e prevedibile, che non gli faccia ri-sperimentare la frustrazione del fallimento. Sarà pronto a manifestare il suo desiderio d’imparare in un contesto accogliente e supportivo, se gli si proporranno obiettivi e attività calibrati sulle sue possibilità, abbastanza semplici da risultargli comprensibili e raggiungibili grazie all’aiuto dell’adulto e sufficientemente interessanti per lui. In caso contrario, tenderà a reagire con la passività o con comportamenti oppositivi. Quanto detto è vero per tutti i bambini, ma diventa cruciale per quelli che hanno subìto perdite o traumi, o hanno conosciu-

to situazioni di trascuratezza fisica o emozionale che hanno minato il loro senso di sicurezza. Mentre un bambino fiducioso nelle proprie capacità e con un sicuro senso di sé può, infatti, reagire in modo costruttivo anche a livelli di frustrazione elevati e non scoraggiarsi se l’obiettivo da raggiungere non è immediato, non è così per un soggetto più fragile, per il quale ogni frustrazione si tramuterà in un senso di vergogna che lo ferirà nel cuore dell’identità e che potrà azzerare la normale curiosità di conoscere e di imparare tipica dei bambini. Gli alunni con queste difficoltà vanno pertanto sostenuti e incoraggiati, con una presa in carico empatica, fatta di tanti piccoli gesti che consentano loro di riconoscere l’insegnante come figura di attacca-


mento. Fino a quando non si sentiranno sufficientemente sicuri, andranno accompagnati passo passo nell’imparare, con le strategie che le/gli insegnanti ben conoscono: ridurre i contenuti e porre pochi obiettivi per volta; evitare le attività che si prolungano eccessivamente e proporre prove di verifica brevi; far utilizzar schemi o griglie per contrastare la

dispersione del pensiero; non eccedere col registro verbale ma usare materiali iconografici e strumenti tecnologici; valutare le singole prestazioni, sottolineando i successi per potenziare l’autostima ma anche riflettendo sugli insuccessi per aiutarli a sviluppare un’immagine realistica delle proprie capacità; creare occasioni in cui possano mettere a frutto abi-

lità che, per la loro storia e provenienza, potrebbero possedere in aree diverse da quelle linguistiche o logiche: capacità di costruire oggetti, di apprendere visivamente, di risolvere problemi concreti. Sono tutte strategie che, oltre ad aiutare concretamente il bambino, lo faranno sentire “contenuto” nella mente di un insegnante disponibile e capace di andare a incon9


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trarlo là dove egli si trova. Sono comportamenti che vanno comunque calibrati con misura: l’attenzione mirata non deve tramutarsi in atteggiamenti troppo protettivi, che potrebbero trasmettere un messaggio di diversità e svalutazione negativo per il bambino e ostacolare il suo positivo inserimento nel gruppo. Occasioni di apprendimento cooperativo che sollecitino accettazione e aiuto reciproco, esperienze di tutoraggio tra compagni che possano trasformarsi in relazioni amicali saranno invece preziosi per aiutare il bambino a sentirsi a proprio agio tra i pari. L’integrazione nella classe risulterà inoltre più facile se i compagni saranno stati educati a considerare l’adozione come una delle possibili e normali modalità di “essere famiglia”. Affinché ciò accada, la scuola dovrebbe promuovere un’educazione ai rapporti familiari fondata sulla dimensione affettiva e progettuale, inserendo le tematiche legate al concetto di famiglia e di genitorialità tra gli altri argomenti di studio ed evitando di trattare l’argomento “famiglia adottiva” precipitosamente e solo a ridosso dell’ingresso di un compagno adottato, come invece spesso succede.

Evitare, quando si parla di famiglia e di genitorialità, di riferirsi allo stereotipo di una coppia con figli biologici; creare occasioni per parlare della famiglia complessa e articolata di oggi (famiglie monoparentali, ricomposte, con genitori separati o divorziati, famiglie che si ricompongono solo nel weekend, matrimoni misti, famiglie con figli adottivi o in affido); sottolineare la funzione affettiva della famiglia, intesa come capacità di saper assolvere vicendevolmente ai bisogni fondamentali delle persone (fisiologici, di sicurezza, di appartenenza e di amore, di stima e di autorealizzazione): questo lavoro porterà beneficio a tutti i bambini con famiglie non tradizionali, non solo a quelli adottati, con effetti positivi sul loro benessere psicologico e sul loro senso di sicurezza e di appartenenza. Risulterà inoltra assai utile leggere o raccontare storie, o proiettare filmati, che presentino come naturali le diverse declinazioni della genitorialità, o storie che riflettano metaforicamente le problematiche di cui un bambino adottato può essere portatore. Un racconto può infatti parlare ai bambini di molte verità importanti in modo indiretto, avvalendosi del

potere evocativo della metafora: si aiuterà così il bambino adottato a conoscersi meglio e a sviluppare la propria personalità senza sottoporlo a domande sulla sua storia, mentre i compagni saranno indotti a riflettere e ad accettare come naturale la sua condizione. Mentre si affrontano queste tematiche, si potrà fare qualche accenno alla storia del compagno adottato, ma in modo molto “leggero” e solo per dargli la consapevolezza che lo teniamo nella mente, evitando invece di porlo sotto i riflettori con domande dirette. È meglio aspettare che sia lui, quando lo vorrà, a parlare della propria realtà familiare e della propria storia. Questo accadrà se ci sarà un buon clima e se il bambino percepirà la sua classe come un posto sicuro in cui poter stare “tutto intero”. Lavorare in classe per facilitare l’inclusione significa anche evitare di proporre attività da cui i bambini adottati possano sentirsi esclusi. E qui entra in gioco la spinosa questione dell’approccio alla storia personale. Sappiamo, infatti, che solitamente nel secondo anno delle elementari (talvolta anche prima) si cominciano a insegnare ai bambini i primi concetti storici a partire


dalla storia personale e da quella della propria famiglia, e che anche negli anni successivi (ad esempio all’inizio della scuola media) questo approccio può essere riproposto. Si tratta di un lavoro bello e importante, che aiuta gli alunni a collocare nel tempo fatti ed esperienze vissute, a riconoscere i rapporti di successione e contemporaneità, a prendere dimestichezza con i concetti di fonte storica, datazione, generazioni. È un lavoro che può essere di grande utilità per i bambini adottati e per altri il cui percorso di vita ha conosciuto vari passaggi, ma che può creare sofferenza se non viene affrontato con attenzione e sensibilità. Va pertanto programmato con la massima cura, ricordando che in una classe possono esserci bambini che non conoscono l’inizio della loro storia e forse neppure il nome della madre biologica, altri (come i bambini in affido) con situazioni familiari difficili alle spalle, altri ancora che hanno perduto i genitori o ne sono stati allontanati, bambini migranti che non hanno portato con sé alcun bagaglio materiale di ricordi. Per tali ragioni è importante mantenere un dialogo aperto con le famiglie, avvertendole in

anticipo di quel che verrà fatto, raccogliendo le informazioni indispensabili per una programmazione che non escluda nessuno, mantenendo i progetti flessibili e rispettosi delle variabili presenti nella classe. Alla pagina http:// www.adozionescuola.it/ adozione_00000f.htm del sito tematico “Adozionescuola” ho raccolto esempi di diversa provenienza di attività sulla storia personale o sull’albero genealogico da realizzare in classi in cui siano presenti alunni adottati. Ma sta soprattutto alla creatività e alla sensibilità dell’insegnante calibrare i progetti sulla realtà dei singoli alunni, facendo sì che nessun bambino possa sentirsi diverso in senso negativo. Né va dimenticato che queste attività possono mettere a disagio non solo i bambini adottati ma anche i loro genitori, in difficoltà quando devono aiutarli nel compito impossibile di ricostruire il loro passato, anche perché la mancata conoscenza della storia precoce dei figli è un vuoto doloroso anche per loro. Non dobbiamo nasconderci, tuttavia, che questi interventi, finalizzati a favorire il benessere del bambino adottato nella classe e dunque a

disporlo positivamente all’apprendimento, non sono di agevole realizzazione nel difficile momento attuale, in cui gli insegnanti, nei diversi gradi di scuola, si trovano di fronte classi numerose di alunni portatori di molteplici diversità, in una situazione complessiva di scarsità di risorse per la scuola (personale, sussidi, formazione) che limita la possibilità di dare la giusta attenzione ai soggetti più deboli. Sono, inoltre, solo una parte delle strategie da mettere in atto, quelle che potremmo chiamare “di cornice”. In molti casi possono essere necessari interventi mirati su problematiche specifiche più direttamente didattiche: di questo parleremo nel prossimo articolo.

Livia Botta Psicoterapeuta e Formatrice Responsabile del Gruppo di Ricerca e Progettazione “Adozione e Scuola” www.liviabotta.it www.adozionescuola.it

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giorno dopo giorno

Marta e Alberto

L’ultimo regalo 12

Nonno è morto. Siamo ancora un po’ increduli. Ci manca la sua voce, il suo bell’accento romano, le gite al Museo di Scienze naturali, i suoi gesti men-

tre apre la vetrinetta in sala da pranzo per mostrare la collezione delle automobiline o estrarre i vecchi soldatini verde scuro, con il cannone che spara

davvero. La lista di tante piccole cose di ogni giorno ha il sapore della casa dei nonni: le strisce di liquirizia, cinque pezzetti, uno per ciascun nipote, il maniacale ordine dei cassetti, dove ciascun oggetto sembra non possa che abitare lì, come la pomata giusta per l’ultima caduta o per la puntura di un insetto a uno dei ragazzini. Abbiamo nostalgia soprattutto dei suoi rimbrotti. Quando ci mandava tutti, grandi e bambini, a lavarci le mani prima di pranzo, e guai a gocciolare sul pavimento. Lui, che aveva borbottato anche all’idea dell’adozione, ma poi si era innamorato all’istante di mio figlio. E si prendeva sempre in braccio la sua nipotina preferita, l’unica femmina, arrivata da un altro continente, lei che gli regalava i suoi disegni, tutti i suoi


lavoretti, le preghiere di ogni sera da quando si era ammalato. Davanti alla bara, mio figlio a un tratto mi guarda e i suoi occhi azzurro intenso, così simili, per uno strano gioco del destino, a quelli del nonno, si riempiono di lacrime. Lui, così riservato, le sue emozioni chiuse in uno scrigno, oggi si scioglie in un pianto inaspettato, lungo, inconsolabile, liberante. Sussurra, mentre si aggrappa al mio braccio come all’albero di una nave in tempesta: “Non ce la faccio!”. Piange la morte incontrata per la prima volta a dieci anni, prende contatto con il dolore vero, bruciante, con il senso di abbandono, di mancanza, di vuoto, che non è solo della morte, ma fa parte un po’ della sua storia. Per un lungo momento, affiora in lui tutto questo: non ha più difese,

il castello è espugnato, la battaglia è vinta e non se ne vergogna. Quel pianto è l’ultimo regalo che gli ha fatto il nonno. Dopo il funerale, davanti a un gelato, è finalmente quieto, sorride, sembra improvvisamente più grande. Fuori fa freddo, ma la giornata è tersa. Mi piacerebbe che alla morte lasciassimo ora il permesso di entrare nei discorsi tra noi e con i nostri bambini, senza spegnere la vita. Così ho comprato delle primule di tutti i colori per l’ultimo saluto al nonno. Un’amica mi consiglia un libro interessante: vi trovo anche delle filastrocche; una la voglio appendere in cucina, vicino alla porta-finestra del terrazzo con i vasi dei fiori dove abbiamo piantato dei bulbi. Ora c’è solo terra: ci vuole tempo perché il dolore fiorisca.

Caro nonno, son passati tanti giorni, ho aspettato e ho capito che non torni. Ti hanno messo come un seme in un bell’orto, ho guardato e ho capito che sei morto. Vorrei farti ritornare ma non posso, nel mio cuore il dolore ha fatto un fosso, in quel fosso come un seme ti ho sepolto e per innaffiarti bene ho pianto molto. È venuta primavera e sei fiorito, quando il pianto dei miei occhi era finito; ora è maggio e oramai non piango più, nel giardino son fioriti i gigli blu. E io ancora non ti vedo, però ora so perché: non ti vedo perché sei dentro di me. [Alberto Pellai, Barbara Tamborini, Perché non ci sei più? Accompagnare i bambini nell’esperienza del lutto, Trento, Erickson, 2011]

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giorno dopo giorno

Dario Lampa

Attraverso i muri 14

Riconoscere abuna (padre, in arabo, come qui a Betlemme chiamano i frati) Ibrahim tra quel groviglio di persone che ha improvvisato una partita di calcio nel cortile della fondazione Giovanni Paolo II mettendo a repentaglio anche la statua della Madonna, non è facile. Per farlo è necessario individuare l’adulto che continuamente incoraggia e incita il giovane Adam, dieci anni, figlio della sua terra, ignoto all’anagrafe. Abuna Ibrahim si sta facendo carico della sua storia così come ha fatto con decine di altri ragazzi palestinesi, venuti al mondo in un Paese incastrato in un altro Paese, dove per muoversi occorre attraversare continuamente muri sormontati da filo spinato e sottoporsi ai controlli dell’esercito israeliano che per ogni autovettura che entra o esce

dai posti di controllo di Israele pone sempre le stesse domande: dove andate, perché ci andate, vediamo i documenti, avete con voi armi, portate valigie, chi ha preparato le valigie, recate oggetti che vi hanno chiesto di portare con voi… Adam è stato trovato che vagava in questa terra tormentata. Non ha documenti, non ha identità. Non ha storia. Però sa giocare a calcio e forse questa sarà la sua fortuna, se abuna Ibrahim riuscirà a fare in modo che gli venga consegnata una nuova identità e con questa il diritto a una speranza, magari in Italia, dove altri ragazzi palestinesi hanno avuto la possibilità di arrivare, in adozione o per studi. Poco prima, alla grande tavolata offerta dalla fondazione, ero seduto accanto a persone che mai avrei pensato di poter conoscere:

il ministro del turismo dello Stato palestinese, in procinto di andare a Vienna come ambasciatore, il capo della polizia segreta di Betlemme (sorridete? Lo capisco, è la stessa reazione che ho avuto io, ma lì è normale, le cose segrete sono modi di dire…), alcune famiglie italiane con i loro bambini (e qualcuno era uscito proprio da quella fondazione qualche anno fa…). Tra di loro il piccolo Adam e nel cuore di abuna Ibrahim la speranza che possa diventare uno di quei ragazzi che oggi siedono sereni alla grande tavola. Questo grande frate, anche in senso fisico…, merita davvero di essere conosciuto: nel 2001 era nella basilica della natività di Betlemme quando circa 200 palestinesi armati e braccati dall’esercito israeliano vi fecero irruzione. Per quaranta lunghi giorni ha vis-


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suto in stato di assedio: fuori gli israeliani, a bordo dei loro carri armati, che hanno tagliato viveri, luce, acqua per costringere i palestinesi alla resa. Dentro i palestinesi disposti a morire di fame piuttosto che finire nelle mani israeliane e un gruppo di frati a fare da scudo alla basilica e alla vita di quegli uomini. Abuna Ibrahim si trovò a fare da mediatore e divenne la voce ufficiale dei francescani assediati. Ma divenne anche l’eroe di Betlemme, capace, con i suoi confratelli, di rischiare la vita pur di non abbandonare quei luoghi custoditi. E ancora non so che, grazie a lui, il giorno dopo conoscerò Vera Baboun, il sindaco di Betlemme, una donna. Sarà nostra ospite in una cena sul mare a Tel Aviv. Per lei, cinquant’anni, sarà stata la prima volta che visi-

ta questa città. Lo può fare perché come sindaco, diversamente dai suoi concittadini, ha il permesso di uscire dalla città e di muoversi liberamente. Ma è un privilegio che è costretta a pagare con una odiosa procedura: al posto di controllo israeliano non può uscire in auto. Deve passare a piedi davanti ai soldati. Un’umiliazione in più, una delle tante… Eppure questa donna, così fragile all’aspetto, pochi giorni fa ha incontrato Barak Obama, in visita in Terra santa. Gli israeliani hanno fatto di tutto perché l’incontro tra il presidente americano e lei si risolvesse in un breve saluto fuori dalla basilica di Betlemme ma quel giorno è successo qualcosa che nessuno avrebbe potuto immaginare: una tempesta di sabbia, come raramente se ne vedono da quelle parti, ha impedito a

Obama di arrivare in elicottero. È dovuto arrivare in auto, accumulando qualche ora di ritardo. Quando il sindaco lo ha salutato gli ha rivolto una frase che mi ripete, nel suo ottimo inglese, con ancora il sorriso sulle labbra: “Signor presidente, è stata la provvidenza divina a far alzare questo vento affinché lei arrivando in auto potesse vedere il muro che ci circonda…”. Nella piazza c’erano molti suoi concittadini che avrebbero voluto protestare per quell’assedio continuo ma a cui è stato imposto il silenzio. “È stata la cosa che mi ha colpito di più – mi dirà più tardi – vedere la mia gente costretta a tacere”. Per la cronaca, Obama ha voluto che il sindaco, peraltro di religione cristiana, così come previsto da un’antica legge voluta da Arafat,


lo accompagnasse per tutto il tempo della sua pur breve visita a Betlemme‌ Quando, lasciando Betlemme diretto a Gerusalemme, attraversiamo ancora una volta il posto di controllo tormentati dalle stesse domande, non posso fare a meno di ripensare ai volti che ho appena lasciato. Soprattutto ad Adam, ai suoi occhi grandi e neri e al suo volto imbronciato che ho visto sorridere, un sorriso bellissimo, solo quando è riuscito a segnare nella partita del cortile della fondazione. Poi guardo le grandi spalle di abuna Ibrahim, mentre tranquillo e sorridente risponde alle domande del soldato israeliano e penso che in fondo questa terra ha davvero la capacitĂ di generare opposti clamorosamente intensi: molto odio, straordinario amore.

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giorno dopo giorno

Valentina Saccarola

Adottare 18

Il prima A noi genitori adottivi sentire usare il verbo adottare in altri contesti (secondo noi) impropri mette un po’ di disagio. “Adottare un monumento, adottare un bambino a distanza, adottare un cane”… non ci piace per niente. Per noi adottare è una cosa grande, enorme; a noi evoca un complesso e impegnativo progetto che riguarda noi e la nostra famiglia. Sentir banalizzare una esperienza così forte e totalizzante ci fa stare un po’ male. Vado indietro con la memoria, tanto indietro. Mi viene in mente quando ero bambina, il momento in cui un adulto mi ha spiegato cosa volesse dire adottare un bambino. Non ho ricordi precisi ma solo l’immagine di tanti piccoli bimbi con un grembiule

bianco e gli occhi sgranati; ero con mio papà, stavamo aspettando che la mamma facesse la spesa della carne in macelleria; l’avevamo accompagnata in macchina perché la macelleria si trovava in un paese a qualche chilometro da casa. Nei paraggi c’era un orfanatrofio e ci andai con lui; in quell’occasione mi spiegò che erano bambini senza mamma né papà, ma che probabilmente avrebbero trovato una nuova mamma e un nuovo papà che li avrebbero adottati. Il secondo ricordo d’infanzia è invece legato a una frase – non del tutto opportuna – che dissi a una mia zia, che era senza figli. “Ma perché tu e lo zio non ne adottate uno?”. Ho ancora in mente lo sguardo di mia mamma, che con gli occhi voleva dirmi “non sono affari tuoi!”, ma intanto l’avevo detto e la fi-

guraccia l’avevo fatta… Anche da ragazzina è rimasta nella mia memoria una sensazione bella e che mi faceva stare bene ogni volta che mi capitava di vedere in giro “bimbi colorati” con “genitori non colorati” (segno inequivocabile di un’adozione). D’istinto la cosa mi entusiasmava, anche se non sapevo bene spiegarmi perché. Forse c’entravano i miei ideali, i miei valori, l’idea che ho sempre avuto del mondo, dei nazionalismi, dei pregiudizi razziali. Poi la mia memoria passa alla lenta ma costante crescita della voglia di avere figli (maturata con un discreto ritardo rispetto ai “canoni biologici”) e alla delusione e sofferenza legata alla consapevolezza di non “riuscire” a fare dei figli. Fu triste e doloroso. Io, quando sono triste, sto


spesso anche male fisicamente e si innesca un circolo vizioso, per cui non so più se è stare male fisicamente che mi fa star male anche emotivamente o se è il contrario. In quella situazione trovai la lucidità e la determinazione di non infierire sul mio corpo per cercare di avere dei figli biologici. Mi conosco bene e sapevo che sarei precipitata in un vortice di negatività fisica e psicologica, che si sarebbero alimentate a vicenda. A conti fatti penso che quella sia stata, in assoluto, la scelta più giusta che abbia fatto nella mia vita. Con mio marito realizzammo che volevamo, tanto, tanto, farci una famiglia e avere dei figli, ma non con cure mediche, ospedali, cliniche, esami invasivi, terapie, tentativi periodici ecc. Anche a quel tempo nella

per niente. Ci rendevamo conto che quello che avevamo scelto di fare perché “volevamo dei figli e non eravamo riusciti a farli” era in realtà un “mettere in ordine” una situazione di disordine: dei genitori senza figli incontravano un figlio senza genitori. In questa logica ci voleva poco a capire chi era la parte Il durante A quei pomeriggi seguì, debole della faccenda, non a settembre, un weekend certo noi adulti. Le nostre tutto centrato sull’adozio- riflessioni, preoccupazioni ne internazionale. Non ri- si spostarono inevitabilcordo con precisione le cose mente dal genitore senza che ci dissero, ricordo solo un figlio al figlio senza geche quando rientravamo a nitori. Discutevamo, liticasa, anche in auto lungo il gavamo, ci emozionavamo. tragitto, non facevamo al- Io, come spesso mi accade tro che parlare; parlare di in questo casi, compravo quello che avevamo ascol- libri sull’adozione ognitato, di quello che provava- qualvolta ne trovassi uno mo. Alla fine l’entusiasmo da qualche parte. Leggevo, cresceva, la determinazio- forse anche troppo e senza ne aumentava, la consa- selezionare il tipo di lettupevolezza delle difficoltà e re, per cui a un certo punto dei problemi che avremmo mi vennero anche un sacincontrato non ci scalfiva co di paure di non essere nostra regione l’approccio all’adozione prevedeva l’obbligo di fare almeno quattro pomeriggi di formazione con gli psicologi e gli assistenti sociali dell’ASL. Era giugno e per quattro lunedì pomeriggio ci andammo. Lì iniziò il bello della storia…

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adatta, di non essere in grado di diventare madre adottiva. Quando poi iniziarono i colloqui con gli operatori dei servizi sociali ci tranquillizzammo molto. Alla fine non ci chiedevano se non di raccontare di noi stessi, della nostra storia, della nostra famiglia di origine. Devo ammettere che su alcune cose questi colloqui mi hanno anche aperto gli occhi; ho rivisto in modo diverso il rapporto che ho e ho avuto con mio madre e mio padre. Quando si è adulti certe riflessioni fanno bene, anche se sono un po’ dolorose… Ricordo che i colloqui si svolgevano di sabato mattina presto; avevamo circa quaranta minuti di strada da percorrere, che passavano sempre velocissimi sia all’andata sia (soprattutto) al ritorno. Fitte, fitte le nostre conversazioni successive ai colloqui. I mesi successivi (tribunale dei minori, faticosa e coscienziosa selezione dell’ente con cui adottare), li ricordo indubbiamente come momenti di grande impegno e concentrazione, ma caratterizzati da quel senso di “leggerezza” che è stato sicuramente la nostra forza, soprattutto quando poi abbiamo affrontato l’incontro con i nostri due figli (la nostra

“principessa” Tatiana nel 2004 in Ucraina e il nostro “tigrotto” Theo nel 2007 in Cambogia). Per “leggerezza” intendo quella meravigliosa sensazione di fiducia, che spero sia capitato di sentire anche a voi, in qualche momento della vostra vita. Quella piacevolissima serenità che nasce dalla consapevolezza che hai fatto la cosa giusta, che hai messo tutta la tua energia e intelligenza nel tuo progetto. Poi… andrà come dovrà andare… Mi sono chiesta se uno dei fattori di leggerezza sia stato anche aver scelto subito la strada dell’adozione, prendendo subito atto che non sarebbe stata la natura ma… qualcos’altro e qualcun altro a portarci dai nostri figli. Fatto sta che, anche adesso che sono passati parecchi anni, penso pure alle difficoltà e alle tensioni, legate ai momenti “clou” dell’adozione dei nostri figli, come ai momenti più forti e belli della mia vita: il viaggio in treno, interminabile, nella pianura ucraina; la mia dissenteria, curata da una scrupolosissima e severa infermiera di Mariupol, porto industriale sul mar d’Azov; il pianto disperato e inconsolabile di mia figlia, quando per la prima volta salì in auto con

noi per tornare a casa in Italia. E poi ancora il caldo e umido soffocante di Phnom Penh a settembre; lo stomaco che ti si chiude nel vedere decine e decine di bimbi che in istituto ti vengono incontro, sperando di essere loro i prescelti stavolta; la paura che lui non ti voglia perché non sei come lui si aspetta… Ripenso a tutto questo con la nostalgia che si prova quando si rievocano momenti della vita in cui ti sembra di aver vissuto con la massima intensità, veramente vissuto. Il dopo Qualcuno ha scritto “un genitore adottivo è uno che crede di più nei legami affettivi che nei legami di sangue”. Penso sia una semplice ma grande verità. Da un punto di vista biologico la nostra non potrebbe essere una famiglia meno omogenea. Ma noi siamo una famiglia. Secondo qualcuno siamo una famiglia di serie B. Spesso le persone che la pensano così le individuo anche solo con uno sguardo. Sono quelli che chiedono ai tuoi figli notizie dei loro “veri” genitori. Sono quelli che ti dicono che “sei brava e hai fatto una buona azione”. Sono quelli che ti dicono “più piccolo lo adotti


e meglio è, perché sembra che sia tuo”. Sono quelli che vedono mio figlio, pelle scura e due meravigliosi, enormi occhi a mandorla e chiedono preoccupati “ma gliel’hai detto che è stato adottato?”. La nostra cultura si basa in gran parte sui valori della famiglia biologica, dei legami di sangue. Forse è anche comprensibile perché (Darwin insegna…). È anche vero che la storia

il pensiero comune. Per me, donna non credente e ormai non più giovanissima, essere diventata madre dei miei due meravigliosi figli ha dato finalmente un significato alla vita. Certo, era bella e intensa anche prima, ma ora ho scoperto il vero senso della mia personale esistenza. Tuttavia sono completamente d’accordo con ciò che ha detto una persona

sa per sua stessa natura essere relegata a un puro fatto personale, familiare, privato, ma che abbia in sé una valenza pubblica e sociale, proprio perché sperimenta modelli di famiglia diversi che racchiudono le utopie e le speranze di tutti (o perlomeno dovrebbe essere così) e cioè di un microcosmo, quello familiare, in cui si realizza la multiculturalità”.1 21

© mario lauricella

dell’umanità ha fatto passi avanti perché qualcuno ha cominciato a dire e fare cose che andavano contro

che si occupa di adozioni 1 da tanti anni: ”Penso che Fiammetta Magugliani, intervento al convegno per i 30 l’esperienza dell’adozione anni CIFA, Torino, 29 aprile internazionale non pos- 2010.


leggendo Marina Zulian responsabile della BibliotecaRagazzi di BarchettaBlu

La fabbrica di cioccolato 22

Leggere, fare e raccontare Le mille possibilità di stare (bene) nella biblioteca di BarchettaBlu Uno dei più famosi libri di Roald Dahl, La fabbrica di cioccolato, ruota attorno a una conosciutissima ditta produttrice di cioccolato. All’interno delle confezioni di dolcetti, veniva inserita una scheda per votare il preferito. I dolci favoriti venivano poi immessi nel mercato. Il protagonista della storia è il giovane Charlie che vive in una piccola casa di legno insieme ai suoi genitori e ai suoi quattro nonni. Le condizioni economiche della famiglia non sono troppo buone e quindi Charlie e il resto della famiglia si nutrono prevalentemente di cavoli. Già da subito si nota una

forte contrapposizione tra il profumo di cioccolato della ricca fabbrica Wonka e l’odorante zuppa di cavoli della casetta del ragazzo protagonista. Un giorno il proprietario della fabbrica indice un concorso: in cinque delle sue tavolette di cioccolato sono stati inseriti altrettanti biglietti d’oro; chi li troverà potrà trascorrere una intera giornata nella fabbrica di cioccolato, ammirare tutte le sue meraviglie e vincere un premio a sorpresa, una provvista di dolciumi sufficiente per il resto della sua vita. Per il suo compleanno Charlie riceve in regalo una tavoletta di cioccolato Wonka e trova un biglietto d’oro. Così può visitare la fabbrica di cioccolato; insieme a lui ci sono altri quattro bambini e i loro accompagnatori. Attraverso l’avventuroso viaggio, vengo-

no descritti vizi e manie dei suoi compagni e alla fine Charlie, abituato dalla povertà ad accontentarsi anche di poche cose, viene nominato nuovo proprietario della ditta Wonka. In biblioteca i venerdì pomeriggio abbiamo letto a puntate questa originale storia e abbiamo preparato ogni volta una cioccolata calda per tutti i bambini partecipanti. Inoltre abbiamo creato con il cacao una miscela cremosa e poi abbiamo colorato grandi fogli utilizzando pennelli e pennelloni ma anche spugne e tappi. Per preparare i colori alimentari è necessario mescolare un po’ di acqua e la polvere di cacao, caffè, zafferano o curry. Si può lavorare l’acqua anche con puree vegetali ottenute lessando e frullando rape, carote o spinaci. Queste


preparazioni possono essere utilizzate anche da bambini molto piccoli in sostituzione dei colori a dita. Sperimentare con frutta e verdura è un’attività adatta sia a bambini che a ragazzi. Nel libro Esperimenti con frutta, verdura e altre delizie la cucina viene considerata un vero e proprio laboratorio scientifico e le attività proposte sono sorprendenti e facili da realizzare. Anche a scuola si può giocare ad accendere una specie di lampadina con i limoni, a estrarre la clorofilla dagli spinaci, a trasformare un’arachide in una candelina. In questo libro viene dosata con intelligenza la voglia di osservare, manipolare e conoscere con alcune semplici nozioni di educazione alimentare. Agli occhi di un bam-

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bino la cucina è un luogo magico pieno di alchimie, ma anche una speciale scuola dove mettere in atto alcune conoscenze teoriche. In cucina i bambini più grandi possono infatti mettere in pratica semplici rudimenti di matematica o regole scientifiche, calcolando dosi e misure e sperimentando relazioni di causa ed effetto. La cucina è anche una scuola di regole dove è importante fare attenzione, conoscere i pericoli come il gas, il fuoco e i coltelli taglienti; ma conoscere i rischi significa anche imparare a gestirli e ciò può servire nella vita di tutti i giorni. Non dobbiamo neanche dimenticare che nella maggior parte dei casi il gusto dei bambini deriva anche dalla osservazione della reazione di chi sta loro intorno. In ogni caso, che la reazione sia positiva o negativa, loro ne saranno condizionati. Infatti anche per noi adulti, la maggior parte dei nostri gusti non è innata ma deriva dal contesto storico, sociale e culturale in cui viviamo. Poche specie animali sono così adattabili come l’uomo. Quando un bambino rifiuta un cibo, spesso non dipende propriamente dal gusto di quella pietanza. A volte un bambino teme le

novità e cerca nel cibo una rassicurazione con ciò che già conosce. Altre volte può essere infastidito dal colore, dalla temperatura, dalla consistenza dell’alimento. Spesso il rifiuto è anche la conseguenza di un clima di tensione, creato magari proprio da un adulto. Per aiutare i bambini non dobbiamo entrare in cucina con fretta e tensione. Per prendere confidenza con il cibo è necessario usare la convivialità. Proprio cucinando insieme e facendo con loro, i bambini imparano a conoscere il cibo e a non essere diffidenti. Importante è cercare di lasciare da parte i giudizi come buono e cattivo, bello e brutto, mi piace e non mi piace e soffermarsi sulle sensazioni fisiche ed emotive che un assaggio può regalare. Possiamo chiedere se una pietanza è calda o fredda, croccante o morbida, dolce evocatrice di un bel ricordo o amara come un incubo. Quando si sta in cucina con un bambino non si può essere nervosi e affrettati. Se c’è poco tempo o poca voglia è meglio fare da soli o dedicarsi a una preparazione molto semplice. In ogni caso non ci si deve arrabbiare se viene rovesciato qualcosa, se cade un me-

stolo o si rompe un piatto: sono rischi del mestiere. Infine non si può forzare un bambino a cucinare e neanche forzarsi a farlo con lui. Per stare bene insieme è insomma indispensabile la voglia di adulto e bambino di mettere le mani in pasta, pronti a mettersi in gioco. Si può iniziare da piccolissimi, anche con bambini di solo un anno, creando per esempio una pasta modellabile da manipolare. La pasta di sale si può fare con 1 tazza di sale fino, 2 tazze di farina bianca e ¾ di tazza di acqua. Gli ingredienti vanno mescolati insieme con un mestolo di legno e poi con le mani. Si possono creare forme e piccole statue astratte e farle asciugare vicino a un termosifone. Prima dell’asciugatura la pasta può essere colorata con un colore alimentare. Tra pentole e cucchiai si creano atmosfere speciali dove c’è spazio per confidarsi, raccontarsi e ascoltare storie e racconti veri e di fantasia. In modo esemplare nel libro La bambina che contava le formiche vengono combinati racconti e ricordi con ricette e consigli culinari. Si racconta di spensierate giornate in cui una


Bibliografia La fabbrica di cioccolato. Roald Dahl, Salani, 2005 Esperimenti con frutta, verdura e altre delizie. C. Bianchi, A Bugini, L. Monaco, M. Pompilli, Editoriale Scienza, 2012 Il piccolo Bruco Maisazio. E. Carle, Mondadori, 2005 In cucina con i nostri bambini. F. Buglioni, M. Gallorini, Franco Angeli, 2004 In cucina con mamma e papà. F. Buglioni, San Paolo, 2009 Scienza e cucina. A. Douglas Scotti, La Biblioteca Junior, 2009 Giochiamo in cucina. P. Bollo, Salani, 2011 Questo l’ha fatto il mio bimbo. Ricette e racconti di stagione per i piccoli cuochi. D. Maniscalco, C. Benedetti, Guide sapori, 2012 Fiabe in cucina. G. Clima, R. Bolaffio, La coccinella, 2009 La bambina che contava le formiche. G. Ganugi, Mursia Editore, 2012

solitaria bambina trascorre le ore a contare le formiche nell’orto della nonna. Gli odori di salvia dell’orto si mescolano con i profumi della cucina e accompagnano la crescita trasmettendo una grande passione per i sapori, gli aromi e le ricette. I ricordi dell’infanzia e della giovinezza si confondono con i sapori del pollo ai peperoni, della parmigiana di melanzane, della torta bavarese. In biblioteca abbiamo così deciso di leggere una parte della storia e poi assaggiare un fetta di torta alle mele caramellate. In cucina è

possibile ascoltare alcune pagine e poi preparare la peperonata al forno per cena. Nel libro i racconti di famiglia sono accompagnati e mescolati alle ricette della nonna. Il tritatutto e l’impastatrice, così come pomodorini, pinoli e uvetta, rendono la cucina una protagonista nella vita della bambina. Alla fine la scrittrice ci suggerisce che secondo lei solo attraverso la cucina la vita può essere divertente e gustosa. Il libro è un viaggio fra i delicati odori della cucina e tra gli aspri sapori di una vita trascorsa fra difficoltà e problemi; un ricettario

ma anche un diario di riflessioni e meditazioni per imparare a dosare gli ingredienti sia in cucina che nella vita. La strada dell’educazione alimentare dei bambini è lunga e complessa; è fatta di ricette, di errori, di esperimenti riusciti e falliti, di riflessioni e di assaggi. Sicuramente stare in cucina e leggere storie e leggende che parlano di cibo e dei piatti preparati aiuta adulti e bambini a considerare il cibo come una ricchezza piena di sorprese.


sociale e legale

Luigi Bulotta

Intervista a Daniela Bacchetta, vicepresidente della CAI 26

È obbligo partire dalla situazione delle coppie che sono andate questa estate in Kyrgyzistan. Cosa sta succedendo in questo momento? Che strategie sta mettendo in atto la Commissione Adozioni per portare a conclusione queste adozioni rimaste sospese?

enti italiani. Altro è l’accertamento delle responsabilità di soggetti stranieri operanti all’estero, rispetto alle quali le autorità kirghise hanno avviato le proprie indagini, già esitate, in alcuni casi, in pesanti sanzioni.

essere andato profondamente storto. Cosa farà la Commissione al proposito? E come può in futuro evitare una simile situazione?

Le verifiche sugli operatori all’estero sono previste e sono concretamente condotte con l’esame dei Quanto accaduto in Kyr- curricula, delle referenze e Va innanzi tutto precisato gyzstan ha gettato un’om- dei titoli, nonché con l’acche le procedure non sono bra sulle procedure di ado- quisizione di informazioni sospese, ma dichiarate zione internazionale, ma tramite le rappresentanze inesistenti da parte delle ha anche messo in luce una diplomatiche italiane all’eautorità kirghise, che han- questione molto importan- stero. È però fondamentano definito le vicende della te, quella dei referenti este- le la collaborazione con gli scorsa estate “una colossa- ri degli Enti Autorizzati. Si enti autorizzati, che devole truffa”. La Commissione tratta di figure che dovreb- no assicurare la vigilanza ha revocato tutte le auto- bero essere ben note e di in generale e il controllo rizzazioni precedentemen- specchiata professionalità puntuale sull’attività dei te concesse agli enti per e moralità, come indicato loro collaboratori: la condioperare in Kirghizistan, nell’art. 12 della Delibera visione delle informazioni (Delibe- è indispensabile per poter considerando l’attuale fase n.13/2008/SG di stallo normativo e ope- ra contenente i criteri per attivare interventi in caso rativo del Paese. Sono sta- l’autorizzazione all’attività di criticità. te applicate anche alcune degli enti prevista dall’art sanzioni disciplinari, re- 39-ter della legge 4 mag- Recentemente si è parlato lative alle criticità riscon- gio 1983 n.184). Eppure molto di numeri. Un dato trate nell’operatività degli questa volta qualcosa deve evidente è il calo degli in-


Š sabina betti

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ria di un complesso progetto di assistenza tecnica per l’implementazione della normativa attuativa della Convenzione de L’Aja. Tutta la comunità internazionale sta attendendo il completamento dei regolamenti e le determinazioni delle autorità cambogiane, cui seguirà una valutazioI tre Paesi citati hanno ne avveduta sulle prospetsituazioni molto diverse tive operative. tra loro, che però portano tutte alla contrazione del Recentemente abbiamo sanumero di adozioni. In Co- puto dai siti di Enti Aulombia le procedure per la torizzati che l’autorità di dichiarazione dello stato Haiti ha visitato l’Italia. di abbandono dei bambi- Può dirci qualcosa sulle ni sono diventate molto future relazioni tra Italia e più accurate: di qui il ri- Haiti in merito alle adoziodotto numero di bambini ni? A che punto siamo? adottabili, con riduzione del numero delle adozioni L’IBESR, indicato quale nazionali e di quelle inter- Autorità Centrale per Hainazionali. In Vietnam, la ti (ma al momento sono nuova legge sulle adozioni ancora in corso le proceduha introdotto meccanismi re per la formalizzazione e adempimenti che inten- della ratifica della Condono imporre verifiche e venzione del 1993), ha cogaranzie sull’effettivo sta- municato l’avvenuto accreto di abbandono dei bam- ditamento dei nostri otto bini. In Bielorussia, sono enti italiani autorizzati. È state pressoché esaurite peraltro molto importante, le procedure adottive rela- ai fini di meglio definire tive agli elenchi approvati la cooperazione tra i nodalle autorità estere nel stri due Paesi, capire gli 2009 e non sono stati an- sviluppi dei lavori in corcora approvati gli elenchi so presso il parlamento di Haiti relativi al disegno di inviati nei mesi scorsi. legge sulle adozioni. Cosa può dirci delle adoNegli ultimi anni le adozioni in Cambogia? zioni dall’Africa sono aunotevolmente, La Cambogia è beneficia- mentate gressi dei bambini nel 2012 per adozione internazionale. In altre interviste lei ha indicato la riduzione di adozioni da Colombia, Vietnam e Bielorussa come fattore fondamentale. Vorremmo sapere, attualmente, quale sia la situazione di questi tre paesi.

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basti pensare all’Etiopia e alla repubblica Democratica del Congo. Negli anni passati le adozioni dall’Etiopia hanno presentato alcune criticità, prima emerse grazie alle voci delle famiglie, poi accertate anche dal governo Etiope stesso. Cosa sta succedendo attualmente? Sono stati messi in atto meccanismi concreti per ridurre il rischio di situazioni confuse per quel che riguarda la storia e lo stato di abbandono dei bambini? I Paesi d’origine e i Paesi d’accoglienza condividono la responsabilità nello sviluppo e nell’attuazione di garanzie e procedure adeguate per la tutela dei diritti e dell’interesse superiore del bambino: chi opera per conto dei Paesi d’accoglienza non può disinteressarsi delle possibili fragilità del Paese d’origine, ma se ne deve fare carico. Ciò comporta l’attento esame di ogni singola procedura, ma anche l’impegno delle famiglie a condividere le proprie esperienze e gli eventuali dubbi. Cambiando completamente argomento, tante famiglie appaiono preoccupate per i costi delle adozioni internazionali. Molti lamentano il fatto che le


schede della Commissione non siano aggiornate. Vuole dirci quale lavoro la Commissione stia facendo in tal senso?

nell’accoglienza di bambini con bisogni speciali in termine di salute psicofisica, in termini di età, in termini di presenza di fratrie estese o frammentate?

ja in futuro richiederà attenzioni diverse rispetto al passato?

Si può parlare di “collasso” Il problema dei costi delle solo se si ha come punto di adozioni è sentito in tutti i Viene fatto molto, special- riferimento una situazione Paesi, tanto che è stato co- mente se ci si confronta stabile e ottimale. L’adostituito un gruppo di lavo- con l’esperienza degli al- zione internazionale è inro sugli aspetti finanziari tri Paesi d’accoglienza, ma vece un fenomeno in evodelle adozioni internazio- la crescente complessità luzione costante, con camadottiva biamenti radicali nel corso nali presso il Permanent dell’esperienza Bureau della Conferenza impone strumenti e me- di pochi decenni. E la sidi diritto internazionale todi di lavoro sempre più tuazione ottimale è quella privato. Il gruppo racco- approfonditi e puntuali. indicata nella Convenzioglie esperti provenienti Le attività di formazione ne di New York del 1989 dai principali Paesi d’ac- organizzate annualmente e da quella sulle adozioni coglienza e d’origine. In dalla Commissione per gli dell’Aja del 1993, quando Italia la Commissione ha operatori del settore sono sanciscono i principi fonda alcuni mesi in corso un focalizzate proprio su que- damentali: il diritto di ogni lavoro di verifica e compa- sti argomenti. bambino a crescere nella razione dei costi delle adopropria famiglia, la neceszioni, sia sotto il profilo dei Da più parti arrivano al- sità che l’eventuale stato “costi Italia”, sia per sin- larmi sui numeri in calo di abbandono sia genuino, golo Paese d’origine. Non delle AI e critiche sulle mo- non viziato da fini di lucro nascondo che è un lavoro dalità con cui vengono ef- o dall’inganno, il dovere di molto complesso, a fron- fettuate. Ci dica qualcosa cercare soluzioni nel Paete di una grande varietà sullo stato di salute delle se d’origine del bambino. strutturale e operativa de- adozioni internazionali in Questi sono i fattori proItalia: lei crede realmente pulsivi del cambiamento, gli enti autorizzati. che le adozioni internazio- nei Paesi d’origine come Sempre più paesi indica- nali siano ad un passo dal nei Paesi d’accoglienza. no le adozioni riservate ai collasso? Quali scenari si bambini con special needs prospettano e quali modifi(indicando in senso ampio che dovrebbe eventualmennecessità particolari ri- te subire l’attuale sistema guardo alla salute psico-fi- per adattarsi alle mutate sica, all’età e alla fratria). condizioni? Come giudiE anche quando tutto que- ca la situazione del nostro sto non è dichiarato, tal- sistema se paragonato a volta lo è di fatto. Ritiene quello degli altri paesi ocche venga fatto abbastan- cidentali? La garanzia di za in Italia in termini di fare adozioni nello spirito preparazione delle coppie della convenzione dell’A-

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sociale e legale

Spese deducibili 30

Si segnala che, con sentenza n. 136 depositata il 20/3/2013, la Commissione Tributaria provinciale di Lecce ha accolto il ricorso presentato da una coppia di genitori adottivi i quali avevano ricompreso tra le spese deducibili per motivi di adozione le spese di viaggio relative al figlio primogenito recatosi all’estero con loro per perfezionare l’adozione. La decisone è rilevante e crea un importante precedente in quanto in un primo momento la predetta coppia si era vista contestare dall’Agenzia delle entrate la deduzione dei predetti costi, poichè si assumeva che le spese relative al figlio non fossero deducibili, stante il disposto dell’art. 10, co. 1, lett. 1-bis del TUIR, che consente la deducibilità delle spese dei soli “genitori adottivi”, ed il contenuto della Risolu-

zione 8/5/2000 n. 55/E del Ministero delle Finanze, che individua le spese deducibili esclusivamente in quelle certificabili e documentabili riferite all’assistenza avuta dai coniugi; alla legalizzazione e traduzione dei documenti; alla richiesta dei visti; al trasferimento ed al soggiorno, nonché alla quota associativa degli Enti ed alle ulteriori spese documentali finalizzate all’adozione, non quindi le spese di viaggio dei figli già presenti nel nucleo familiare. Presentata istanza di autotutela ex art. 13 6° co. l. 212/2000 al Garante del contribuente per la Puglia, questi esprimeva parere favorevole, sostanzialmente facendo rilevare, da un lato, che il viaggio all’estero è necessitato dalla procedura di adozione internazionale e che, così come

peraltro evidenziato dalla nota n. 19168/2010 del 23 aprile 2010 della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Commissione per le Adozioni Internazionali, l’incontro tra tutti i membri della famiglia è di fondamentale importanza ai fini della definitiva composizione familiare. La Commissione Tributaria provinciale, infine, accoglieva il ricorso, per l’effetto ogni dubbio circa la deducibilità dei costi delle spese di viaggio dei figli già presenti nel nucleo familiare è positivamente risolto.

© sabina betti


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trentagiorni

Nozze e adozioni gay, in Francia è legge Via libera definitiva dal Senato al progetto di legge Parigi – Il progetto di legge che apre alle nozze e all’adozione da parte di coppie gay è stato approvato definitivamente dal Senato francese. Il testo è stato adottato dai senatori con pochissime modifiche, nessuna delle quali ha riguardato gli articoli principali della legge che consentirà il matrimonio e l’adozione di figli alle coppie omosessuali. Per queste modifiche minori, il testo dovrà tornare ora all’Assemblea nazionale per il via libera definitiva. La legge è stata votata da tutti i gruppi

della sinistra in Senato, che ha però dovuto far fronte a qualche defezione che ha messo in dubbio l’esito finale, dal momento che sulla carta la maggioranza della gauche in questo ramo del Parlamento è di soli 6 voti. Hanno compensato diversi senatori della destra e del centro che hanno votato in favore del testo. Fonte: Ansa Adozioni forzate, le scuse dell’Australia Sydney - Una violenza inaudita. Che ha cambiato per sempre moltissime vite. Sebbene tardive, arrivano le scuse per quell’autentica barbarie, che separò madri e figli. La premier laburista australiana Julia Gil-

lard ha presentato oggi scuse formali, a nome del governo federale, alle decine di migliaia di genitori e figli separati da pratiche di adozioni forzate fra gli anni 1950 e 1970. In quel periodo, ospedali e assistenti sociali incaricati da chiese, enti di beneficenza e governativi, sottraevano i neonati alle madri non sposate e minorenni, dandoli in adozione. Le adozioni spesso avvenivano contro la volontà delle madri, che firmavano i permessi sotto coercizione o sotto l’effetto di sedativi. Le scuse sono state presentate nell’aula magna del parlamento di Canberra, davanti a più di 800 persone colpite dal-


la pratica. «Oggi questo parlamento, a nome del popolo australiano, si assume la responsabilità e si scusa per le politiche e le pratiche che hanno causato la separazione di madri dai loro neonati lasciando un retaggio di dolore e sofferenza per tutta la vita - ha detto Gillard - Vogliamo correggere certe credenze del passato a dichiarare che queste madri non avevano fatto niente di male e che insieme ai loro figli meritavano molto di più». La decisione fa seguito a un’inchiesta del Senato di un anno fa che ha rivelato come circa 250 mila neonati furono sottratti alle madri, raccoman-

dando scuse formali e risarcimenti finanziari. Gillard ha anche indicato l’intenzione del governo di aumentare i fondi e i servizi per le vittime, per migliorare l’accesso al sostegno specialistico e le ricerche per rintracciare figli e genitori che non si sono ancora ritrovati. Fonte: Il secolo XIX Unicef, bimbi palestinesi maltrattati In carceri Israele. Minori giudicati da tribunali militari TEL AVIV, 6 MAR - Il ‘maltrattamento’ di minori palestinesi nelle carceri militari israeliane è ‹diffuso, sistematico e isti-

tuzionalizzato›. Lo denuncia l›Unicef in un rapporto reso pubblico oggi. ‹In nessun altro paese i bambini vengono giudicati da tribunali militari per minori›, sottolinea il rapporto che stima a ‹circa 700 l›anno i bambini palestinesi dai 12 ai 17 anni, per la maggior parte maschi, che vengono arrestati, interrogati e incarcerati dall›esercito, polizia e la sicurezza israeliana›. Fonte: Ansa


associazionismo

Bozza di protocollo d’intesa MIUR-CARE PROTOCOLLO D’INTESA

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tra Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (in seguito MIUR) E CARE Coordinamento delle Associazioni familiari adottive e affidatarie in Rete (in seguito Associazione)

“Agevolare l’inserimento, l’integrazione e il benessere scolastico degli studenti adottati” VISTO − il Decreto L.vo 16 aprile 1994, n. 297 concernente le disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione relative alle scuole di ogni ordine e grado; − il Decreto del Presidente della Repubblica n. 567 del 10 ottobre 1996 e successive modificazioni che disciplina le iniziative complementari e le attività integrative delle istituzioni scolastiche;


− Legge n. 59 del 15 marzo 1997, l’art. 21, che riconosce personalità giuridica a tutte le istituzioni scolastiche e ne stabilisce l’autonomia, quale garanzia di libertà di insegnamento e pluralismo culturale; − la Legge n. 285, del 28 agosto 1997, recante disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l’infanzia e l’adolescenza; − il Decreto del Presidente della Repubblica n. 249 del 24 giugno 1998 e successive modifiche concernente lo Statuto delle studentesse e degli studenti; − le direttive 19 maggio 1998, n. 238 e 29 maggio 1998, n. 252 attuative della legge 440 del 18 dicembre 1998, determinanti gli interventi prioritari a favore dell’autonomia, da realizzarsi anche tra reti di scuole e con soggetti esterni per l’integrazioni della scuola con il territorio; − il Decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n.275, con il quale è stato emanato il Regolamento recante norme in materia di autonomia delle istituzioni scolastiche ai sensi dell’articolo 21 della legge n.59/97; − le conclusioni della Presidenza del Consiglio Europeo di Lisbona del 23 e 24 marzo 2000 sulla occupazione, le riforme economiche e la coesione sociale nel contesto di un’economia basata sulla conoscenza; − la Legge n. 53 del 28 marzo 2003, con la quale è stata data delega al Governo per la definizione delle norme generali sull’istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale; − il Decreto Legislativo 19 febbraio 2004, n. 59, attuativo della Legge n. 53, per il I ciclo dell’istruzione; − la Risoluzione del Consiglio dell’Unione europea del 15 luglio 2003 riguardante il capitale sociale e umano;

CONSIDERATO CHE IL MIUR E l’ASSOCIAZIONE − si confrontano da tempo attraverso un tavolo di lavoro sul tema aperto su proposta di Genitori si diventa Onlus (tra le associazioni fondatrici dell’Associazione CARE) grazie al quale hanno collaborato alla stesura della Circolare sulla Rilevazione e studio delle problematiche educative connesse all’ inserimento scolastico dei minori adottati. Istituzione gruppo di lavoro nazionale, DDG n 2/I - 8 giugno 2012 (seguito dell’analogo tavolo istituito con il DDG n. 5 del 18/04/11); − ritengono necessario dare risposta ai bisogni della persona in formazione raccordando gli interventi di prevenzione del disagio scolastico con quelli della promozione della salute e del benessere della persona;


− reputano che il percorso formativo sia fondamentale per la crescita di ogni cittadino in quanto rappresenta un momento in cui gli studenti acquisiscono conoscenze, hanno l’opportunità di riflettere sul proprio impegno civile e sulle proprie capacità e competenze in una realtà complessa fatta di relazioni con coetanei ed adulti diversi dai propri famigliari e apprendono il rispetto di sé e degli altri; − ritengono che gli studenti in adozione hanno il diritto e il bisogno di vedersi accolti adeguatamente nei nuovi contesti sociali in cui accedono, vedendo riconosciute e valorizzate le proprie specificità, le differenze delle proprie storie, attraverso il supporto di personale in grado di utilizzare i più idonei strumenti atti ad agevolare il percorso di adozione; − si impegnano ad agevolare il ruolo dei docenti nel processo di inserimento scolastico degli studenti adottati, fornendo un supporto informativo e strumenti adeguati per fronteggiare le eventuali criticità relazionali, comportamentali e cognitive;

SI CONVIENE QUANTO SEGUE Art. 1 (Premesse) Le premesse formano parte integrante e sostanziale del presente atto.

Art. 2 (Oggetto) − Per le finalità indicate nelle premesse il MIUR e l’ASSOCIAZIONE- di seguito denominati Parti – si impegnano a promuovere e sviluppare iniziative di collaborazione e di consultazione permanente ai fini di agevolare e qualificare il processo di inserimento scolastico degli studenti adottati, attraverso la realizzazione delle seguenti attività: − promuovere opportunità di formazione dei dirigenti scolastici, docenti, personale amministrativo e ATA sulle specificità del bambino adottato, a partire dall’individuazione di un referente regionale e scolastico in tema di adozione per agevolare gli istituti scolastici nella progettazione e nel coordinamento congiunto in tutte le attività promosse a favore degli studenti adottati;


− supportare l’equipe adozioni dei servizi territoriali e/o gli Enti autorizzati nelle fasi di post-adozione, informando la famiglia adottiva circa le metodologie più idonee di comunicazione e confronto con il dirigente scolastico dell’istituto in cui lo studente sarà iscritto; − agevolare l’istituto scolastico a costruire momenti di incontro tra famiglia adottiva e docenti al fine di concordare le strategie educative più idonee, prevedendo, se necessario, il confronto con gli operatori dell’Equipe adozioni e/o dell’Ente autorizzato; − supportare le istituzioni scolastiche e la famiglia adottiva nell’individuare il più corretto percorso di inserimento scolastico costruito sulla base del livello di maturazione psicologica, socio-relazionale e formativo dello studente. Art. 3 (OBBLIGHI DEL MIUR) Il MIUR si impegna a: − dare comunicazione agli Uffici Scolastici Regionali e, per loro tramite, alle singole istituzioni scolastiche, alle consulte degli studenti e alle associazioni studentesche sui contenuti del presente protocollo; − favorire la divulgazione nelle scuole delle iniziative previste dal presente protocollo, finalizzate a sensibilizzare e coinvolgere non solo gli operatori che già svolgono funzioni inserimento e benessere scolastico ma anche tutti coloro che quotidianamente vivono e lavorano a contatto con gli studenti adottati; − favorire attività che coinvolgano anche genitori e docenti, finalizzate a promuovere iniziative a favore della missione dell’Associazione. Art. 4 (OBBLIGHI DELL’ASSOCIAZIONE) L’ASSOCIAZIONE si impegna a: − collaborare alla promozione e diffusione di programmi rivolti a docenti, alunni e famiglie al fine di diffondere informazioni specifiche circa il corretto inserimento scolastico degli studenti adottati e sulle problematiche legate ad esso; − sensibilizzare e informare correttamente la popolazione scolastica sull’importanza di sostenere l’adeguata e corretta integrazione scolastica degli studenti adottati;


− promuovere e supportare attività che favoriscano la realizzazione di iniziative a favore della missione dell’Associazione. Art. 5 (Tecnologie informatiche) Le Parti, consapevoli che lo sviluppo delle nuove tecnologie rappresenta un importante strumento di innovazione per la didattica e per il miglioramento dei processi di apprendimento, si impegnano a promuovere lo sviluppo di iniziative che utilizzino tali tecnologie.

Art. 6 (Comitato Tecnico – Scientifico) Per la realizzazione degli obiettivi indicati nel Protocollo di Intesa, per consentire la pianificazione strategica degli interventi programmati e per arrivare alle stesura di Linee Guida per l’individuazione di soluzioni organizzative e normative idonee ad assicurare l’accoglienza scolastica e la piena integrazione socio-culturale degli studenti adottati (a completamento del lavoro iniziato con il tavolo di lavoro di cui alla DDG n 2/I - 8 giugno 2012), è costituito un Comitato Tecnico-Scientifico paritetico, composto rispettivamente da tre rappresentanti del MIUR e da altrettanti della ASSOCIAZIONE. Il Comitato Tecnico-Scientifico è presieduto dal Direttore Generale per lo Studente, l’Integrazione, la Partecipazione e la Comunicazione. Per lo svolgimento delle attività programmate, potranno essere coinvolti, di volta in volta, esperti dell’Amministrazione e della struttura associativa. Tale Comitato ha la facoltà di convocare esperti esterni a Comitato stesso. Il Comitato approva, in relazione alle specifiche aree di intervento, il piano annuale delle attività. La relazione sulle attività realizzate viene pubblicizzata secondo le modalità stabilite del Comitato. Art. 7 (Comunicazione) Le Parti si impegnano a dare la massima diffusione, presso le rispettive strutture centrali e periferiche dei contenuti del presente protocollo con le modalità che saranno ritenute di maggiore efficacia comunicativa.


Art. 8 (Durata) La presente intesa ha la validitĂ di tre anni a decorrere dalla data di stipula.

Roma,

2013

Il Direttore Generale Direzione Generale per lo Studente, l’Integrazione, la Partecipazione e la Comunicazione

Il Presidente CARE Coordinamento delle Associazioni familiari adottive e affidatarie in Rete

Giovanna Boda

Monya Ferritti


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