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sociale e legale
Di Cinzia Bernicchi consulente Ai.Bi.
Adozione internazionale
La crisi attuale nasce anche dalla mancanza di trasparenza. L’Aja detta le buone prassi: l’Italia le rispetta? 20
Se l’adozione internazionale sta affrontando una fase di crisi a livello globale, le cause di questa congiuntura negativa dell’accoglienza non possono che essere molteplici. Ogni Paese dice le sue, che non necessariamente coincidono con quelle degli altri: meno minori adottabili, crisi economica che ha colpito le famiglie, tempi e costi eccessivi, scarsa attenzione politica al mondo dell’adozione, procedure regolate da leggi ormai vecchie e inadeguate. Diversità di cause che si riflettono in periodi diversi in cui un tale fenomeno ha avuto inizio. È indicativo, per esempio, il fatto che le adozioni in Francia, Spagna e Stati Uniti hanno iniziato a crollare quando in Italia, in questo settore, si stavano invece vivendo gli anni migliori. Ma se c’è una causa della crisi dell’accoglienza adottiva
su cui sono tutti d’accordo, questa è una generale mancanza di trasparenza in termini di costi. Un virus che ha infettato l’adozione internazionale a livello mondiale. Tanto da indurre il Permanent Bureau de L’Aja, l’istituzione chiamata a sorvegliare sulla corretta applicazione della Convenzione de L’Aja sulla protezione dei minori, a elaborare una serie di linee guida che portino al totale rispetto dei principi di trasparenza contabile. Buone prassi a cui anche l’Italia, come Paese ratificante della Convezione, è chiamata ad attenersi. Ma non sempre lo fa. I sei “punti magici” su cui si orientano le buone pratiche relative agli aspetti finanziari legati all’adozione internazionale dettati dal Permanent Bureau sono i seguenti. Innanzitutto assicurare
la trasparenza dei costi, specificare gli onorari dei professionisti, i contributi e le donazioni. In secondo luogo, impostare costi e spese ragionevoli. Quindi esplicitare con chiarezza tutti i rischi connessi a pressioni finanziarie indebite. Proseguendo con indicazioni sui contributi a progetti di cooperazione e le donazioni. Poi prevenire e combattere ogni profitto indebito. Per finire con la previsione di sanzioni appropriate ed efficaci. Una successione di buone prassi tutte ugualmente importanti, che gli esperti de L’Aja hanno sviscerato in una serie di sottopunti più specifici. Ed è passando in rassegna questi ultimi che ci si rende conto di come il nostro Paese sia manchevole sotto diversi aspetti. Tanto da poter concludere che neppure uno dei sei punti elaborati dal Perma-
nent Bureau può dirsi pienamente rispettato nella realtà italiana dell’adozione internazionale. 1. Trasparenza dei costi Relativamente alla prima di queste buone prassi, L’Aja raccomanda, per esempio, di “assicurarsi che tutti i pagamenti (spese, onorari, contributi e/o donazioni) siano effettuati tramite bonifico bancario verso un conto ben definito”. I pagamenti in contanti, insomma, devono essere vietati. Il nostro Paese prevederebbe il rispetto di tale normativa, ma in genere non compie alcuna verifica per controllare che ciò avvenga davvero. Tanto che non è raro che emergano situazioni in cui le cose vanno molto diversamente: quella dei contanti in nero che molte coppie si vedono costrette a portare all’estero è una delle
piaghe che maggiormente affligge l’adozione internazionale in Italia. Allo stesso tempo, L’Aja chiede che vengano sempre dettagliate le destinazioni di spesa dei costi sostenuti dalle coppie. Ma anche in questo caso, l’Italia, pur approvando a parole l’indicazione del Permanent Bureau, lascia che nei fatti le cose vadano diversamente. I costi sono spesso forfetizzati e inclusi in una sorta di “pacchetto completo” per l’adozione, senza che siano specificati nel dettaglio le destinazioni di spesa. E ancora, sempre nell’ottica della trasparenza, gli enti autorizzati sarebbero tenuti a mettere a disposizione dell’utenza in forma scritta tutte le informazioni relative agli aspetti finanziari. Praticamente tutti i 62 enti italiani sono dotati di un sito internet,
ma molti di essi sono poco completi e comprensibili. Con buona pace del diritto all’informazione delle coppie interessate. 2. Costi e spese ragionevoli Passando al secondo punto delle buone prassi, L’Aja chiede di impostare costi e spese ragionevoli. A questo scopo, il Permanent Bureau raccomanda agli enti di “retribuire i professionisti con un compenso mensile, quando il numero delle adozioni lo permette”. La ratio è quella di evitare che, chi lavora per un ente autorizzato, cerchi di realizzare più adozioni del consentito, solo per guadagnarci di più, in una sorta di sistema “a cottimo”. Un pericolo sui cui l’Italia non è mai intervenuta in modo chiaro. 3. Esplicitazione dei ri-
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schi connessi a pressioni finanziarie indebite Per i casi in cui la trasparenza non c’è, L’Aja chiede ai Paesi di “prevedere un metodo di facile accesso che permetta alle coppie e agli altri attori di segnalare ogni tipo di abuso, anche in forma anonima”. In Italia questo attualmente non è possibile. Il numero verde della Commissione Adozioni Internazionali, a cui un tempo era possibile affidare le segnalazioni, oggi esiste solo sulla carta, ma di fatto è sospeso. E il nostro Paese non ha mai parlato della possibilità di segnare disfunzioni in forma anonima. Allo stesso scopo, tra le buone prassi vi sarebbe quella di “inviare la lista dei costi sostenuti con l’ente autorizzato (e/o con l’autorità competente) all’autorità centrale sia
dello Stato di origine, sia dello Stato di accoglienza”. Una procedura tanto più necessaria alla luce del fatto che, stando alle testimonianze di diverse coppie, non è raro che agli aspiranti genitori venga chiesto di sostenere costi, presentati come necessari, per voci di spesa non ben precisate. Circostanze che, se note ai Paesi di origine dei minori adottati, indurrebbero questi ultimi a prendere seri provvedimenti in merito. 4. Contributi a progetti di cooperazione e donazioni Le raccomandazioni de L’Aja in questo campo nascono dal fatto che, nelle normative dei Paesi che hanno ratificato la Convenzione, l’adozione internazionale è considerata una forma di cooperazione
finalizzata ad aiutare i minori in difficoltà. Su questo punto, il Permanent Bureau chiede di prestare attenzione a due aspetti. Il primo: se per un verso gli enti autorizzati sono tenuti a cooperare con i Paesi in cui operano, dall’altro si raccomanda di interrompere questa cooperazione qualora si verifichi che un Paese non assicuri un corretto e trasparente impiego dei fondi ricevuti. Al contempo alle coppie si chiede di verificare, quando i contributi vengono richiesti da un ente autorizzato, che l’importo sia stato fissato dal Paese di origine e non direttamente dall’ente o da un orfanotrofio, con quest’ultimo che potrebbe essere legato da partnership proprio a un ente. Per le donazioni, invece, l’imperativo principale è
quello di proibirle a beneficio di famiglie biologiche dei bambini adottabili. In tal caso, il reato di traffico di minori sarebbe evidente. 5. Prevenzione e lotta a ogni profitto indebito Anche sulla prevenzione e la lotta a ogni profitto indebito, l’Italia ha mantenuto un atteggiamento fino a ora piuttosto “timido”. Non ha mai imposto esplicitamente agli enti, per esempio, di far monitorare e controllare le proprie attività richiedendo un audit esterno annuale. Quando ciò è avvenuto, è stato per iniziativa spontanea dell’ente che ha fatto certificare il proprio bilancio da un organismo esterno. E, cosa ancora più grave, l’Autorità Centrale italiana non risulta assolutamente puntuale nell’effet-
tuare verifiche periodiche sugli enti per assicurarsi che la loro situazione finanziaria sia regolare. 6. Sanzioni appropriate ed efficaci Infine, il Permanent Bureau raccomanda di prevedere sanzioni appropriate, chiare ed efficaci per tutti coloro che creano o favoriscono situazioni irregolari, compreso chi non denuncia tali disfunzioni. Ma anche in questo caso, il nostro Paese non si è mai pronunciato con decisione: le sanzioni sono previste, ma stabilite solo in forma generica. Di strada da fare per garantire una reale trasparenza finanziaria nel settore delle adozioni internazionali, l’Italia ne deve percorrere ancora molta. Se da un lato è tenuta a perseverare nel rispetto di quelle buo-
ne prassi che già ha adottato, dall’altro è chiamata a trasformare in fatti concreti quelle linee guida che fino a oggi ha abbracciato solo a parole o ha trascurato. Solo così, quello che era un fiore all’occhiello della nostra società – l’adozione internazionale – potrà rinascere a nuova vita, superando l’attuale crisi che ha visto dimezzato il numero di minori stranieri accolti e ridotto ogni anno di 500 coppie i coniugi che si avviano al percorso dell’adozione.
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