Riflessioni su trauma e abbandono

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psicologia e adozione 8

di Franco Carola psicologo, psicoterapeuta e gruppoanalista

Riflessioni su trauma e abbandono

Il trauma psicologico è un tipo di “danno” che viene subito dalla psiche a seguito di un’esperienza critica vissuta dall’individuo (sia un evento singolo, o un evento ripetuto o prolungato nel tempo), e che viene detta evento traumatico. Sigmund Freud

formulò una definizione di evento traumatico riferendosi alle proprie teorizzazioni e leggendo il trauma in termini “economici”. Lo studioso viennese lo definì come un’esperienza singola, o una situazione protratta nel tempo, le cui implicazioni sogget-

tive, cioè idee, cognizioni ed emozioni ad essa collegata, sono nel complesso superiori alle capacità del soggetto, in quel momento, di gestirle o di adeguarsi ad esse, cioè di integrarle nella psiche. Il trauma psicologico risulta, in generale, come un evento che, per le sue caratteristiche, risulta “non integrabile” nel sistema psichico pregresso della persona. L’evento traumatico può essere di qualsiasi tipo; esso solitamente implica l’esperienza di un senso di impotenza e vulnerabilità a fronte di una minaccia, soggettiva o oggettiva, che può riguardare l’integrità e condizione fisica della persona, il contatto con la morte oppure elementi della realtà da cui dipende il suo senso di sicurezza psicologica. Una scuola francese di psicotraumatologia propone che il trauma psicologico


corrisponda alla “assenza di significato e di significabilità dell’evento” (ovvero, il trauma corrisponde all’impossibilità di dare un senso ed un significato, coerente e psicologicamente viabile, ad un episodio che si situa “fuori” dall’esperienza di vita normale dell’individuo). Le persone che hanno subito dei traumi spesso manifestano vari sintomi e problematicità in seguito ad essi. La gravità del trauma varia da persona a persona, dal tipo di trauma in questione e dal supporto emotivo che le persone affettivamente significative per il soggetto riescono a dargli. Dopo un’esperienza traumatica, una persona può rivivere il trauma mentalmente e fisicamente, perciò evita il ricordo del trauma, in quanto questo può essere insopportabile e persino doloroso. Il rivi-

vere i sintomi, la sensazione di minaccia, le emozioni che esondano in maniera incontenibile, la sensazione di “dover fare qualcosa” senza curarsi delle conseguenze delle proprie azioni, sono segni che il corpo e la mente stanno attivamente cercando di risolvere il senso di ineluttabilità che l’esperienza traumatica gli ha lasciato dentro. Il ricordo del trauma è sollecitato dai trigger (in inglese, grilletto), cioè situazioni o elementi che scatenano con impeto il ricordo, a livello più o meno consapevole, del trauma subito. Spesso il soggetto traumatizzato può essere completamente all’oscuro dei trigger; ciò porta una persona che soffre di disturbi traumatici ad impegnarsi in meccanismi di adattamento distruttivo o autodistruttivo, spesso senza essere pienamente

consapevole della natura o delle cause delle proprie azioni, stimolate da elementi scatenanti (ad esempio: se il trauma riguarda l’abbandono, ogni atmosfera, parola, tono di voce che richiamerà in me il timore di essere nuovamente abbandonato, scatenerà una serie di reazioni emotive anche laddove nulla, oggettivamente, paia minacciarmi in tale direzione). Di conseguenza, i sentimenti intensi come la rabbia possono riemergere frequentemente, a volte in situazioni molto inappropriate o impreviste; inoltre possono insorgere immagini, pensieri o flashback, così come insonnia e incubi ricorrenti. Paure, insicurezza, difficoltà nel rilassarsi assumono per la persona traumatizzata la funzione difensiva di mantenerla vigile e attenta al pericolo, sia di giorno

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che di notte. La persona può non ricordare quello che è realmente accaduto, mentre le emozioni vissute durante il trauma possono essere rivissute senza che se ne comprenda il motivo. Gli eventi traumatici a volte paiono vissuti come se stessero accadendo nel presente, impedendo al soggetto di ottenere una prospettiva chiara ed attuale sull’esperienza. Il soggetto è talmente identificato con quanto gli è occorso che non riesce a distinguere più la realtà oggettiva, a favore di una realtà passata che viene costantemente riattualizzata. Parimenti, si potrebbe assistere ad un fenomeno di dissociazione dalle emozioni ritenute troppo devastanti da essere vissute, accompagnato da una progressiva desensibilizzazione emotiva: la persona appare emotiva-

mente svuotata, preoccupata, distante o fredda. La sensazione di essere stati danneggiati in maniera permanente dal trauma fa emergere sensazioni quali la disperazione, la perdita di autostima e, a volte, la depressione. L’abbandono è definito come uno stato psicologico legato al lasciare o essere lasciati da qualcuno di affettivamente significativo per noi; la realtà della persona passa repentinamente da uno status di “io insieme a” a quello di “io e un vuoto”. L’abbandono di cui è stato protagonista un bambino adottato si inscrive quindi nella definizione di evento traumatico, un evento singolo a causa del quale la realtà dell’individuo viene improvvisamente mutata e la propria sopravvivenza minacciata. Rilevare le influenze che un evento del genere possa

generare su un individuo non è un compito sempre facile: i segni del trauma possono confondersi con la miriade di eventi quotidiani rischiando, nel tempo, di passare inosservati, oppure divenire così esageratamente eclatanti da far vivere, a chi assiste da vicino al dramma di chi li produce, un profondo senso di impotenza. Il figlio adottivo, laddove non vi siano accertati altri eventi di natura traumatica, è una persona la cui storia si distingue per due grandi momenti critici: l’abbandono primario e l’adozione. L’abbandono, a qualsiasi età sia stato esperito, lascia dei segni in maniera diretta o indiretta. Un bambino cui venga negato il calore della propria madre, l’odore di chi l’ha generato, il seno di chi l’ha portato in grembo, registra, almeno


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ad un livello neurologico, un segnale differente da quello cui sarebbe comportamentalmente predisposto per dotazione genetica; in tal senso, lo strappo originario è un evento traumatico, anche quando ciò avviene in un’età in cui il raziocinio non è operante in termini di manovre intellettive “superiori”. Parimenti, l’inserimento in un nuovo nucleo famigliare, il contatto con nuovi calori, odori, stimoli, lì dove era in atto un processo di assestamento nella “realtà abbandonica”, diventa una sorta di nuovo “trauma”: la realtà subitaneamente cambia di nuovo. Qualcuno potrebbe obiettare che tale mutamento sia in una direzione di miglioramento. Credo però opportuno ricordare la prospettiva di chi, troppo giovane, non riesce a dare un senso più ampio agli eventi e il semplice cambio di status (da rifiutato a fortemente amato) produce un nuovo e improvviso scombussolamento della realtà che, per quanto in positivo, viene improvvisamente rimessa in discussione, e vede il riattivarsi di una serie di incertezze circa la stabilità del nuovo status, riepilogabili così: “Mi sono adeguato ad essere rifiutato e ora vengo amato. Verrò di nuovo rifiutato? Come mai

prima mi hanno lasciato? Perché ora sono stato scelto? Perché io?”. Alcune emozioni, magari sopite nel tempo, ricominciano ad agitarsi e, prima o poi, a palesarsi. Il figlio, al momento dell’ingresso nel nuovo nucleo famigliare, potrebbe dimostrarsi molto mansueto per poi esplodere in comportamenti ed emozioni incontenibili, mesi o anni dopo, oppure dimostrare una forte ostilità iniziale a riprova del forte stress che questo nuovo cambiamento comporta. Il cruccio di molti genitori, in merito alle situazioni traumatiche di cui i propri figli sono depositari, spesso è quello di poter fare qualcosa, di potere intervenire in qualche modo per lenire le ferite da trauma. Purtroppo, la guarigione dagli eventi traumatici necessita di una serie di operazioni interne di carattere cognitivo-emotivo che abbisognano di tempi lunghi e della reiterazione, a volte, di azioni volte a dissipare nel bambino i dubbi che una situazione terribile come quella occorsagli possa mai ripetersi nuovamente. Il senso di impotenza che il genitore vive è specchio di quell’impotenza con cui il figlio ha dovuto fare i conti e con la quale si mi-

surerà nel corso della propria crescita. Tale compito evolutivo, comprendere ed accettare gli eventi traumatici cui è stato suo malgrado sottoposto, nel tempo, supportato dall’affetto, disponibilità e pazienza di chi lo ama, sfocerà in una comprensione sintetizzabile più o meno così: “Io non sono solo l’abbandono che ho subito, né l’amore che mi ha accolto. Io sono un insieme di esperienze, a volte difficili e a volte molto felici, che mi hanno visto protagonista molto giovane e mi aiutano a leggere la vita in maniera più ampia”. Uno dei timori che più di sovente viene lamentato dal genitore che adotta riguarda il riuscire a riconoscere i corretti modi e tempi per affrontare il doloroso discorso dei vissuti pregressi del proprio figlio. Ci si interroga su quando sia giusto parlare e quando attendere che sia il bambino stesso a dire di Sé, come farlo e come eventualmente prepararsi per formulare le giuste frasi perché il figlio si senta compreso e protetto a sufficienza. Alcuni denunciano la forte fretta di affrontare il tema dei traumi vissuti dal proprio figlio. Tale emergenza viene spesso aumentata da informazioni più o meno documentate circa i propri


figli e la loro vita domestica o in istituto. Un suggerimento: la fretta non aiuta! I processi cognitivi ed emotivi per la risoluzione e l’integrazione degli eventi traumatici all’interno di un Sé stabile, abbisognano di lunghi tempi di mentalizzazione. Ciò non significa che le ferite da trauma non guariscano, anzi! Ma la fretta di vederle magicamente scomparire rischia di interferire fortemente coi sottili e lenti processi in atto nella persona traumatizzata. La guarigione dal trauma da separazione ed abbandono si configura come un processo imprevedibile, i cui esiti positivi si ravvedono nel corso della crescita e, spesso, senza chiare dichiarazioni in merito: il figlio, integro, impara a gestire sensazioni ed emozioni come lo stress, il dolore, la rabbia, al pari e nella stessa misura di un coetaneo; semplicemente, lo farà in tempi e, soprattutto, modi differenti. Creare un clima di solida e costante disponibilità al dialogo, cercando di smitizzare ogni forma di tabù che potrebbe generarsi nel quotidiano discorrere, offre la possibilità al figlio di prendersi i propri tempi per condividere e chiedere aiuto circa quegli eventi che fa fatica a comprendere delle proprie vicende

esistenziali. Il genitore dovrebbe anche mettere in conto che il bambino, crescendo, potrebbe decidere di non affidargli nulla dei propri vissuti. Tale atteggiamento potrebbe risultargli necessario per un’elaborazione più articolata e profonda, molto più intima, dei propri eventi traumatici e non implica che lui non ami i propri famigliari, anzi! Alle volte tale atteggiamento è un sistema adottato dai bambini per proteggere chi amano da vissuti ritenuti pericolosi. La guarigione da un trauma richiede ai figli, così come ai genitori, l’aprirsi ad una cognizione del tempo molto più ampia. È uno sforzo congiunto per ritrovarsi, insieme, in un percorso di vita connotato da emozioni forti, profonde e tremendamente reali, alle volte difficili da contenere. Senza scordare che, laddove si sia sperimentato un forte dolore, una forte rabbia, un profondo odio, c’è spazio per esperire un piacere di vivere, un amore molto più ampio di quanto si sia mai abituati a sentire. Un trauma lascia una cicatrice, un segno col quale si impara a convivere. Un segno che è monito, ma anche parametro di confronto per poter riconosce-

re quanto di meglio la vita possa offrire. BIBLIOGRAFIA Caretti, V., Craparo G., (a cura di) (2008). Trauma e Psicopatologia. Astrolabio, Roma Freud S., Inibizione, sintomo e angoscia (1925), in Opere, cit., vol. X Janet P., L’Automatisme Psychologique (1889). L’Harmattan, Paris, 2005 (Ed. It, L’automatismo psicologico, Milano, Raffaello Cortina, 2013, ISBN 97888-6030-561-9). Yule, W. (a cura di) (2002). Disturbo Post-Traumatico da Stress. McGraw-Hill, Milano

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AVVISO AI LETTORI Vi informiamo che il dr. Carola si è reso disponibile a rispondere alle domande dei lettori legate alle tematiche da lui trattate. Chiunque lo volesse può indirizzare gli eventuali quesiti a: rubricapsi@genitorisidiventa.org. Alcune delle richieste pervenute e delle relative risposte saranno successivamente pubblicate in un’apposita rubrica che, nel caso di risposta favorevole dei nostri lettori a questa iniziativa, vedrà la luce nei prossimi mesi. I dati sensibili contenuti nelle richieste non compariranno in nessun modo nel caso in cui verranno pubblicate sul giornale. L’informativa sulla privacy è pubblicata sul sito dell’associazione.

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Buonasera dott. Carola, sono la mamma adottiva di R., una ragazzina che si appresta ad affrontare l’inserimento nella scuola superiore e che, fino ad oggi, non ha avuto un buon rapporto con la scuola. Appena arrivata in Italia, fu inserita in prima elementare, nonostante l’Anno Scolastico fosse praticamente terminato. La dirigente insistette in tale direzione e solo oggi mi rendo conto che fu un errore: forse avremmo dovuto insistere perché fosse inserita alla materna. Il quinquennio della scuola elementare è stato concluso con grandi difficoltà: R. non è mai stata realmente riconosciuta per il suo impegno e mai accettata fino in fondo dalle compagne. Abbiamo quindi pensato di iscriverla in una scuola privata. Timida e insicura com’era non ce la siamo sentiti di mandarla in una giungla pubblica e abbiamo pensato così di proteggerla, scegliendo per lei un ambiente selezionato. Secondo enorme errore: il profitto scolastico risultava essere sempre appena sufficiente, nonostante gli enormi sforzi. I livelli di socializzazione di R. rimanevano comunque inesistenti. Ora ci troviamo di fronte alla scelta della scuola superiore e lei appare determinata a voler frequentare un istituto professionale. Noi temiamo fortemente di commettere altri errori e qui giungo alla domanda. Premesso che R. è stata sottoposta a tutti i test diagnostici al fine di appurare se avesse un qualche deficit di apprendi-

mento o di attenzione e/o altro ed è risultata assolutamente “normodotata”, posso appellarmi a qualcosa per farla accogliere in questa nuova scuola con un ingresso trionfale dalla porta principale come merita, invece di farla sentire sempre quella che deve entrare dalla porta di servizio? Lei, dottore, non invocherebbe nessun trattamento di favore, lasciando che la ragazza si giochi la sua partita con i suoi mezzi e le sue possibilità? Non andrebbe in avanscoperta a presentare la situazione ed a fare presente a chi forma le classi che la ragazza necessita di attenzioni perché nel suo curriculum precedente non ne ha avute? Non so se esiste un “consiglio”, un “suggerimento”, magari una “normativa” sfuggita, a questa mia richiesta, spero in una risposta positiva. Comunque la ringrazio e la saluto Mamma in ansia Gentile Signora, credo importante premettere, in questa mia risposta, una questione fondamentale: le scelte che si compiono per il bene dei propri figli possono apparire come “errori”, ma sono, appunto, scelte e null’altro. Preservare un figlio dallo scontrarsi con un mondo scolastico/sociale ogni giorno meno accogliente o invitante, è quasi un’utopia. Immagino che voi abbiate ponderato con cura la situazione prima di inserire la ragazza in un Istituto Privato e, probabilmente, in quel frangente, quella fu una saggia decisione. L’adolescenza, come il termine stesso indica, è periodo di crisi e cambiamenti, non

sempre tutti in negativo. Per i ragazzi è l’opportunità di re-inventarsi a volte, e l’inserimento in un contesto ben distante da quello cui si erano abituati, dà loro modo di proporsi al mondo presentandogli aspetti di Sé in fase di sperimentazione e sviluppo. Questi aspetti, nel tempo, se verificati come efficaci nel rapportarsi agli altri, diventano parte integrante di un Sé adulto più solido, cementatosi anche grazie da quelle esperienze che possono risultare più dure o difficili da digerire. Credo che la sua ragazza abbia la possibilità di entrare a testa alta nel nuovo Istituto, a prescindere dalle votazioni e valutazioni del passato, anzi! Credo sia per lei l’occasione di lasciarsi alle spalle un passato incerto, “appena sufficiente”, almeno all’inizio, ed iniziare un nuovo percorso, reso più invitante poiché scelto in totale autonomia. Temo che connotare questo nuovo inizio con una richiesta di attenzione particolare da parte di voi genitori, in questa situazione, per ora rischi di sovraesporre anzitempo una situazione che non è detto debba rivelarsi critica. Ritengo Lei possa palesare a sua figlia le proprie intenzioni, facendole sentire quanto Lei sia presente in questo cruciale nuovo ingresso e magari ricordare alla ragazza che Lei è pronta a venirle in supporto al bisogno. Direi comunque che sua figlia, nella chiarezza di intenti, meriti un “Ottimo”! Spero di aver risposto adeguatamente al suo quesito. Dr Franco Carola


CARE inaugura lo Sportello Scuola e Adozione Il CARE mette a disposizione di genitori e insegnanti uno Sportello virtuale dove è possibile segnalare qualsiasi difficoltà di bambini e bambine adottati in materia di inserimento scolastico, con particolare attenzione al momento del primo ingresso e alle fasi di passaggio dalla scuola dell’infanzia alla scuola primaria.

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Il Coordinamento CARE è attivo informalmente dal 2009 e si configura come una rete di associazioni familiari, adottive e/o affidatarie, attive sul territorio nazionale. Si è costituito, ai sensi della legge quadro sul volontariato 266/91, in associazione di secondo livello (associazione di associazioni) il 15 ottobre 2011.

Le segnalazioni verranno analizzate caso per caso e a tutte verrà data risposta. Le questioni riconducibili ad un’analisi del MIUR verranno ad esso sottoposte previo assenso delle famiglie coinvolte. L’obiettivo dello Sportello è soprattutto quello di agevolare in tempi rapidi la soluzione dei problemi concreti delle famiglie. Si tratta di un aiuto concreto per le famiglie e per gli insegnanti ma anche per tutti coloro che seguono le famiglie stesse (enti autorizzati e servizi territoriali) nello spirito di “agevolare l’inserimento, l’integrazione e il benessere scolastico degli studenti adottati”, obiettivo dichiarato anche dal recente protocollo congiunto CARE-MIUR. Invitiamo tutte le Associazioni e tutte le persone interessate a dare la massima diffusione e socializzazione a questa iniziativa.

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