Cecilia e le difficoltà in matematica: un caso di impotenza appresa

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scuola e adozione

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Nel 2007 Fioroni chiama “Asini” in matematica 408.000 studenti, ovvero il 43,3% del totale; Nel 2008 la Gelmini sostiene: “La matematica costituisce un’autentica emergenza didattica, il 45,7% ha debiti in matematica”. Le prove INVALSI ci segnalano percentuali di risposte errate in matematica che si aggirano, complessivamente e mediamente, intorno al 50%. Non possiamo interpretare questi numeri riferendoli esclusivamente a bambini che hanno un problema a livello dell’elaborazione del sistema di quantificazione (disturbo dell’apprendimento), né possiamo pensare di attribuire tali risultati ad una didattica inappropriata tout court: la psicologia cognitiva dell’apprendimento e la didattica della matematica si devono incontrare

per potersi aiutare vicendevolmente. Cecilia è una ragazza con grosse difficoltà in matematica che ben evidenzia quali possono essere i meccanismi che ostacolano un apprendimento matematico di successo. Cecilia ha 13 anni e sta frequentando la classe terza della scuola secondaria di I grado. I genitori e la ragazza riportano che il rendimento di Cecilia a scuola è molto buono, tranne che per la matematica. Gli insegnanti della scuola primaria avevano anche loro rilevato qualche difficoltà e pertanto consigliato alla famiglia di far allenare maggiormente Cecilia, mentre gli insegnanti della scuola attuale hanno richiesto un approfondimento. I genitori infatti riferiscono che, inizialmente, le difficoltà

erano lievi ma, man mano che la frequenza scolastica proseguiva, sono diventate sempre più ampie. Le difficoltà principali si concentrano nel calcolo mentale semplice, nella memorizzazione di alcune tabelline, nell’esecuzione delle espressioni e nell’esecuzione dei problemi. La mamma riporta come abbia la sensazione che gli insegnamenti di questa materia non riescano a consolidarsi. L’apprendimento della geometria procede, invece, un po’ meglio. Cecilia è stata sempre seguita nei compiti dalla mamma, mentre lo scorso anno ha intrapreso anche delle ripetizioni che hanno portato ad un lievissimo miglioramento. Le pagelle mettono in evidenza la discrepanza nelle votazioni: i voti sono tutti molto alti, tranne quello in matematica.


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valuta la capacità di svolfunzionale perché i calI genitori riportano anche gere dei problemi aritmecoli proposti sono tropche, relativamente alla tici, Cecilia ha dimostrapo complessi per essere matematica, Cecilia assuto di essere in grado di risolti in questo modo. me un atteggiamento ricomprendere il problema Inoltre Cecilia non riesce nunciatario: se non riesce, e la struttura matematia recuperare dalla meevita di continuare. Cecilia ca sottostante, di saperne moria un grande numero riferisce di provare sentiriconoscere la giusta rapdi fatti numerici (es. tamenti di preoccupazione e presentazione; nonostanbelline e semplici operadi tristezza rispetto a quete questo, però, non è in zioni che devono essere sta difficoltà e le dispiace grado di svolgerli. recuperate direttamente che questo le abbassi la dalla memoria) e questo Dagli elementi raccolti media dei voti, altrimenti la rallenta nell’esecuzio- emergono, quindi, delle molto alta. marcate difficoltà in ambine dei calcoli; Le abilità matematiche di Cecilia sono state indagate • Cecilia riesce ad eseguire to matematico. un’espressione proposta, Come è possibile che una a più livelli (Prove AC-MT, mentre ne sbaglia una a ragazza con buone abilità Discalculia TEST, SPM): causa di un errore di cal- di base incontri così grosse • L’applicazione degli aldifficoltà in matematica? Si colo; goritmi di calcolo scritto non risulta sicura: Ceci- • La ragazza dimostra di può trattare di un Disturbo essere un po’ in difficoltà Specifico di Apprendimenlia commette sia errori di quando deve confronta- to (Discalculia), oppure di calcolo sia errori nel core dei numeri e decidere una condizione di difficoltà piare i numeri dalla conqual è il maggiore, come matematiche sottovalutate segna; anche quando deve con- e che quindi hanno prodot• L’esecuzione di alcuni frontare delle quantità to una condizione emotivocalcoli mentali mette in rappresentate in modo motivazione poco funzionadifficoltà la ragazza; Cele all’apprendimento e alla analogico; cilia utilizza una strategia che non risulta • Infine, in una prova che costruzione di un’immagi-

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ne di sé come studentessa positiva. Infatti, la capacità di apprendere è permessa da buone abilità di base, ma anche da fattori emotivo-motivazionali che sostengono la voglia di imparare e la consapevolezza di poter raggiungere buoni risultati. Tutti noi, infatti, ci impegniamo nelle attività in cui ci aspettiamo di riuscire, mentre evitiamo quelle che ci mettono di fronte alle nostre difficoltà. Visto che le difficoltà matematiche di Cecilia sono generalizzate ai diversi ambiti della matematica e non circoscritte ad un ambito specifico (ad es. procedure di calcolo) e che questo profilo quindi si allontana dalle caratteristiche del Disturbo Specifico di Apprendimento, che di solito porta a delle marcate difficoltà in un ambito specifico della matematica, abbiamo deciso di approfondire anche gli aspetti emotivi e motivazionali di Cecilia nei confronti dell’apprendimento. Cecilia si descrive come una ragazza che va a scuola volentieri, ma che non è molto motivata rispetto all’apprendimento. Si descrive anche come una studentessa che è in grado di organizzare il proprio tempo di studio e conosce e mette in atto con flessibilità alcune strategie di elaborazione del mate-

riale durante lo studio delle diverse materie. Percepisce tuttavia una marcata preoccupazione rispetto alle performance scolastiche (QAS, Amos). Inoltre emerge un’autostima bassa sia in ambito scolastico sia rispetto al proprio vissuto corporeo e familiare; mentre la percezione che Cecilia ha di sé migliora in ambito interpersonale (Cosa penso di me). Approfondendo le credenze di Cecilia che possono sostenere la motivazione scolastica, emerge che Cecilia possiede una teoria dell’intelligenza prevalentemente statica (QC1I, Amos) ed una scarsa fiducia rispetto alle proprie abilità (QC2F, Amos). Queste convinzioni si traducono nell’idea che le persone nascono con una certa dose di abilità e che questa non si può modificare con l’allenamento e l’esercizio; se questa dose di abilità è buona, tutto procede adeguatamente, se invece è scarsa, lo studente non concepisce l’idea che si possa fare qualcosa per modificare la situazione e quindi percepisce un senso di inadeguatezza e sente di non poter fare niente per migliorare la sua condizione. Di conseguenza, se si sente inadeguato rispetto ai compiti che ha di fronte e non pensa di poter modificare la situazione, comin-

cerà ad evitare tutte quelle situazioni che lo mettono a confronto con questo tipo di esercizi, ma meno si allena, più evita i compiti che ritiene difficili e meno sarà capace di eseguirli adeguatamente. In questo modo la percezione di non possedere le capacità necessarie per affrontare quella materia si consoliderà. Quello appena descritto è un circolo vizioso che si può verificare nelle situazioni di difficoltà scolastiche e che ha il nome di Impotenza Appresa. La situazione di Cecilia mette in evidenza come una situazione di difficoltà in un ambito scolastico possa portare all’instaurarsi di una situazione emotivo-motivazionale di Impotenza Appresa che porta ad una cristallizzazione delle difficoltà associata a bassa percezione di efficacia in ambito scolastico e demotivazione rispetto all’apprendimento. Dal 2005, i servizi di neuropsichiatria infantile hanno ricevuto una segnalazione di emergenza dall’Organizzazione Mondiale della Sanità: l’allarme era rappresentato dal forte incremento del profilo di impotenza appresa, soprattutto in studenti che avevano una storia di insuccesso scolastico e in particolare in matematica. Ma cos’è


l’impotenza appresa? L’impotenza appresa è, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, quella condizione in cui il soggetto, sperimentando una serie di insuccessi, impara e apprende il suo insuccesso, impara e apprende, cioè, di non essere capace. L’allievo apprende la propria incapacità e ne è convinto. In lavori recenti Moè (Moè, 2010; Moè e Lucangeli, 2010; Moè, Pazzaglia, Tressoldi e Toso, 2009), sintetizzando e contestualizzando i risultati emersi, sostiene che a fronte di un insuccesso scolastico, un giudizio negativo o un rimprovero, si possono avere reazioni diverse, a seconda dell’attribuzione causale che il soggetto mette in atto e che, a seconda della reazione, si sperimentano particolari emozioni. L’alunno può attribuire il motivo del suo fallimento alla severità dell’insegnante, alla difficoltà del compito, alla sfortuna, ad un momento di distrazione (cause esterne, instabili): ne conseguono emozioni di rabbia, delusione, ma non viene compromessa in questo caso la percezione che l’alunno ha di sé stesso e del suo valore. Può attribuire la causa del suo fallimento alla mancanza di studio, ad

un impegno inadeguato al compito (causa interna, controllabile): anche in questo caso l’immagine che l’alunno ha di sé stesso non viene messa in discussione, ma anzi, riconoscendo questi fatti, si può innescare il desiderio di migliorare, sempreché il bambino percepisca che il lavoro sia all’altezza delle sue forze. Ma se la causa del proprio insuccesso viene attribuita alla mancanza di capacità, alla convinzione di non essere portato per la disciplina (causa interna e stabile), l’attacco viene percepito come diretto alla rappresentazione del sé: è in questo caso che i sistemi profondi di difesa proteggono determinando il blocco dell’apprendimento (Moè e Lucangeli, 2010). Nella maggior parte, dei casi l’ansia che porta l’alunno a bloccarsi è legata alla valutazione e questo significa che il problema, almeno in parte, risiede nella dinamica che collega il docente all’allievo: l’insegnante rappresenta infatti l’elemento cardine della costruzione dell’immagine di sé come capace a scuola. Il parere dell’insegnante è determinante nell’avviare il meccanismo di difesa che da un’attivazione positiva può passare a livelli sempre più intensi fino ad arrivare al blocco, secondo le

modalità sopra descritte. Questo genere di esperienza è legato soltanto alla matematica? No, ma certamente è molto più frequente sperimentare l’insuccesso in matematica (Lau e Nie, 2008; Murayama e Elliot, 2009). Se il “sistema scuola”, più o meno consapevolmente, innesca questa reazione, è evidente che è necessario e quanto mai urgente individuare delle strategie per risolvere il problema. La ricerca scientifica ci suggerisce alcune soluzioni. La prima è relativa al “diritto di sbagliare”, espressione coniata da Susan Harter nel 1978: nonostante sia un principio antico e condiviso nel mondo della psicologia cognitiva, in tutti i sistemi di valutazione utilizzati dalla scuola e nei vari passaggi ministeriali, l’errore è connesso al modello di valutazione negativa. In realtà l’errore è l’informatore principale del bisogno di apprendimento. Margo A. Mastropieri, vincitrice del premio per l’Educational Science del 2012, ci spiega che l’occasionalità nello sbagliare, ricorre in una percentuale che non supera il 2% del totale degli errori che un bambino compie in un anno di scuola. E tutti gli altri? I restanti errori

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informano che il meccanismo di apprendimento ha incontrato qualche difficoltà. La ricercatrice quindi raccomanda di evitare comportamenti scorretti, quali il riproporre lo stesso compito ove l’alunno ha commesso l’errore senza modificarlo; a sostegno di ciò basti infatti ricordare i numerosi studi che hanno accertato come l’esercizio ripetuto di un compito si stabilizzi in memoria (per citarne alcuni: Gathercole, 2006; Landauer e Bjork, 1978; Mayer, 1983). Quindi, se il bambino sbaglia e l’insegnante non ripercorre insieme all’allievo il percorso cognitivo che ha generato l’errore, in modo da verificare il momento preciso in cui il processo di apprendimento si è inceppato, correggendo in tal modo l’errore e modificando il compito, il rischio è che si stabilizzi in memoria non solo il compito ma anche il suo errore. La seconda strategia che proviene dalla ricerca scientifica avanzata, si riferisce al cosiddetto “flow cognitivo”. Il flow cognitivo è una teoria che rappresenta il pensiero come un flusso dinamico in cui gli

aspetti cognitivi dialogano con le coloriture emozionali, legate all’interesse e al piacere del sentirsi efficaci; questo processo è descritto come esperienza di apprendimento intelligente ed è messo in contrapposizione con l’apprendimento passivo, costituito da contenuti depositati in memoria e semplicemente esercitati. Il flow cognitivo è il cardine dell’intelligere. L’intelligere è la funzione centrale del sistema, e non si accontenta della fase di assimilazione che muove dall’esterno verso l’interno (la ricezione passiva di informazioni), ma viene elaborata tutta all’interno in maniera divergente e costruttiva. Solo grazie ad una elaborazione personale ed intelligente dei contenuti appresi, il flusso di pensiero può muoversi dall’interno all’esterno, arricchito dalla consapevolezza, dalla motivazione ad apprendere e dal conseguente benessere del soggetto che apprende. In sintesi, per aiutare e non colpevolizzare, l’educatore, scuola compresa, deve essere alleato dell’allievo e non dell’errore e garantire “flow cognitivo”

e non l’“ingozzamento” di informazioni. Si può, quindi, ipotizzare che nella situazione di Cecilia sia successo che lei abbia manifestato qualche precoce difficoltà in matematica compiendo un numero rilevante di errori e facendo fatica a consolidare gli apprendimenti. Questo può essere stato interpretato dagli adulti di riferimento (genitori ed insegnanti) come segnale di una scarsa predisposizione per la materia. Se questi adulti, poi, possiedono una teoria dell’intelligenza statica, saranno stati convinti che non si potesse fare molto e così Cecilia avrà sviluppato la credenza di non essere capace di imparare la matematica e di non poter fare nulla per migliorare in questa materia. Questo a sua volta avrà portato la ragazza ad impegnarsi sempre meno negli esercizi di matematica, consolidando anche l’idea di genitori ed insegnanti di non predisposizione per la materia. Questo insiemi di fattori si traduce in un progressivo abbandono di strategie di aiuto alla ragazza e nel consolidamento della percezione di inefficacia


di Cecilia. In questo modo le piccole difficoltà si sono cristallizzate, impedendo lo sviluppo di abilità più complesse, ed hanno portato ad un costante insuccesso nell’apprendimento matematico. In situazioni simili a quelle di Cecilia è, invece, importante che il contesto di riferimento creda che le abilità si possono potenziare e interpreti l’errore del ragazzo o della ragazza

come indizio di ciò che non funziona, utile a trovare la modalità corretta per creare un miglioramento dell’apprendimento. Se poi si riesce anche a proporre ai ragazzi degli obiettivi di apprendimento in linea con le proprie capacità, si può loro garantire flow cognitivo e sostenere così la loro motivazione ad apprendere.

Daniela Lucangeli Professore ordinario di psicologia dello sviluppo presso l’Università di Padova Nicoletta Perini Psicologa, esperta di disturbi dell’apprendimento

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