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Alla riscoperta del significato

UNA FRASE DI ANNA HERINGER SPIEGA BENE LA FILOSOFIA DEL PROGETTO ANANDALOY, PREMIATO QUEST’ANNO CON L’OBEL AWARD:

«I THINK THERE IS A LOT OF GOOD-LOOKING ARCHITECTURE AROUND, BUT I THINK THAT GOOD-LOOKING ARCHITECTURE IS NOT ENOUGH. IT HAS TO BRING MEANING TO PEOPLE. AND OF COURSE ADD TO A HEALTHY PLANET AND TO SOCIAL JUSTICE, AND THAT IS WHAT I AM TRYING TO DO WITH MY WORK»

Arrivato alla sua seconda edizione, l’Obel Award si sta già confermando come uno dei più interessanti premi di architettura a livello internazionale. Nel 2019 il vincitore era Junya Ishigami, con il Tochigi Garden, un’opera, oltre che notevole, che convertiva in forma e materia una concezione differente di intendere il nostro rapporto con la natura, con il paesaggio e con lo stratificarsi delle sue trasformazioni. Nel mondo dei premi di architettura, il nuovo Obel Award sembra distinguersi per una rara capacità di equilibrio tra attenzione assoluta verso il valore architettonico e la ricerca del ruolo di trasformazione culturale che l’opera di architettura possiede. Un rapporto che, nella storia recente dell’architettura, non è sempre stato facile, e che, soprattutto negli anni Sessanta e Settanta del Novecento, era stato segnato dal deragliamento verso posizioni ideologiche.

In sintesi, l’insieme dei concetti che ispira l’Obel Award non potrebbe essere descritto meglio che dalla frase di Anna Heringer, vincitrice dell’Obel di quest’anno: «Siamo circondati da belle architetture, ma penso che una bella architettura non sia sufficiente. Deve essere portatrice di significato».

La scuola e centro comunitario Anandaloy, frutto di un processo di progettazione e di costruzione condiviso con la comunità locale

ph ©Kurt Hoerbst

Heringer è da sempre raffinata interprete di tradizioni costruttive low-tech, senza industria e, virtuosamente, senza soldi. Assolutamente valide ma in via di estinzione, cancellate dal cosiddetto progresso. Allieva del maestro austriaco della costruzione in terra cruda, Martin Rauch, e riconosciuta ispiratrice del lavoro di molti colleghi illustri, tra gli altri dai Premi Pritzker Yvonne Farrell e Shelley McNamara (Grafton Architects), la Heringer non è certo alla sua prima opera significativa. Tuttavia, con l’opera premiata, Anandaloy – un centro per persone con disabilità e artigianato tessile, realizzato nell’ambito di una comunità rurale del Bangladesh – e grazie all’Obel, ha trovato la risonanza che meritava.

I disegni a mano indicano non solo il cammino temporale dell’opera, ma anche il suo profilo in relazione al territorio, alla comunità, alle fonti di approvvigionamento dei materiali. Si tratta di un’opera costruita dalle persone del luogo, utilizzando materiali – quasi esclusivamente terra cruda e legno – rigorosamente estratti dal luogo.

La pianta del centro comunitario ricamata su un tessuto realizzato nel laboratorio tessile di Anandaloy

© Studio Anna Heringer

Un’opera collettiva, che contribuisce a conservare l’integrità del paesaggio, le tradizioni e il senso di comunità, assicura uno stile di vita decoroso, inclusivo delle minoranze. E soprattutto frena lo spopolamento delle campagne, l’inurbamento e le infami condizioni abitative e lavorative che, nei paesi in via di sviluppo, inesorabilmente lo caratterizzano.

Uno degli aspetti più interessanti dell’architettura di Anandaloy è che, pur sviluppandosi nel solco della tradizione, sembra proporre una sorta di contaminazione dei caratteri vernacolari con le forme di continuità tipiche del design parametrico. Forme curve, continue, assenza di angoli retti, la sfida costante della scatola muraria. ‘Tane’ per i più piccoli, ricavate nello spessore delle murature e una rampa – fondamentale motivo di accessibilità e di inclusione – che accompagna l’ingresso e il movimento al suo interno. Se Michael De Klerk aveva guidato l’incredibile realizzazione del quartiere Het Schip di Amsterdam, un’opera collettiva e una specie di manifesto per gli operai olandesi di inizio XX secolo, anche Anandaloy sembra muoversi in una direzione simile, accendendo la fiamma del significato in comunità rurali sempre più marginalizzate. Onore all’architetto e a chi, oltre ad un’architettura straordinaria, ha saputo riconoscere in quest’opera tutto questo

Il corridoio di distribuzione in legno e bambù, cui si accede da una rampa il leggera pendenza

ph ©Kurt Hoerbst

Il masterplan del complesso in un disegno ad acquarello di Anna Heringer. La legenda evidenzia come tutte le risorse necessarie alla costruzione siano state prelevate in loco

©Studio Anna Heringer

Anna Heringer

La ricerca di Anna Heringer (Laufen, 1977), architetto e professore onorario della cattedra Unesco di Earthen Architecture, Building Cultures and Sustainable Development, si focalizza sull’uso di materiali da costruzione naturali. Dal 1997 è coinvolta attivamente nella cooperazione per lo sviluppo in Bangladesh. La sua tesi di laurea, la scuola Meti, nel 2005 è stata realizzata a Rudrapur e nel 2007 ha vinto un Aga Kahn Award per l’Architettura. Nel corso degli anni ha realizzato altri progetti in Asia, Africa e Europa. Visiting professor in diverse università, Anna Heringer ha ottenuto numerosi riconoscimenti: il Global Award for Sustainable Architecture, l’AR Emerging Architecture Award, il Loeb Fellowship della Gsd di Harvard e la Riba International Fellowship. Suoi progetti sono stati esposti tra gli altri al MoMA di New York, al V&A Museum di Londra e alla Biennale di Architettura di Venezia nel 2016 e nel 2018.

www.anna-heringer.com

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