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Yacht design, ricerca e innovazione in Sanlorenzo

IL TEMA DELLO YACHT DESIGN È RIMASTO SOSTANZIALMENTE FERMO AL SECOLO SCORSO. ALL’EVOLUZIONE TECNOLOGICA E INGEGNERISTICA RARAMENTE CORRISPONDONO CASI DI REALE INNOVAZIONE A LIVELLO ARCHITETTONICO. L’ESPERIENZA DEI CANTIERI NAVALI SANLORENZO RAPPRESENTA INVECE UNO DEI POCHI ESEMPI DI RICERCA SPERIMENTAZIONE E PROPOSIZIONE DI SOLUZIONI ARCHITETTONICHE CHE, BEN OLTRE UN SUPERFICIALE APPROCCIO STILISTICO O DECORATIVO COINVOLGE ASPETTI TIPOLOGICI E STRUTTURALI

di Carlo Ezechieli

Massimo Perotti, presidente esecutivo di Sanlorenzo. Sotto, lo yacht Sanlorenzo SL120A, interior design Zuccon International Project. Nella foto grande della pagina di sinistra, Sanlorenzo SX112, interior design Piero Lissoni (ph. ©Thomas Pagani). Accanto al titolo una vista dei nuovi cantieri navali Sanlorenzo a La Spezia, 2019 (ph. ©Simone Bossi).

L’arte di rompere gli schemi

MASSIMO PEROTTI, PRESIDENTE ESECUTIVO DI SANLORENZO, RIPERCORRE IL PROCESSO DI INNOVAZIONE NELLO YACHT DESIGN MESSO IN ATTO DALL’AZIENDA

È a capo di Sanlorenzo ormai da quasi vent’anni. Cosa l’ha portata qui? Sono arrivato in Sanlorenzo forte di un’esperienza maturata in oltre vent’anni di attività nel settore nautico e ciò che principalmente mi ha portato qui è stata l’eccellenza che ha sempre caratterizzato il brand, ancora prima dell’acquisizione. Pur essendo allora un’azienda più piccola, il livello di qualità, comfort e solidità delle barche erano molto elevati e ciò che ha sempre distinto il cantiere dai suoi competitor è la realizzazione di yacht fatti su misura, in base alle specifiche richieste degli armatori. Il mio intento era e rimane quello di portare questi valori sempre più in alto, unendo la tradizione all’innovazione.

Quali sono stati i momenti più importanti nel lavoro in Sanlorenzo? Da quando ho rilevato Sanlorenzo nel 2005 ci sono stati diversi importanti cambiamenti e idee innovative che hanno fatto davvero la differenza nel settore della nautica da diporto. L’introduzione di una divisione dedicata alla produzione di superyacht in metallo dai 40 agli 80 metri è sicuramente uno dei momenti più significativi nella storia del cantiere, considerata anche la forte crescita che ha poi registrato negli anni. Siamo stati la prima azienda del settore nautico ad aprirsi al mondo del design e attivare collaborazioni con architetti e designer internazionali. Dordoni Architetti, Antonio Citterio e Patricia Viel, Piero Lissoni (divenuto art director di Sanlorenzo nel 2018), Patricia Urquiola e Christian Liaigre hanno firmato gli interni di yacht diventati iconici portando a bordo il concetto di “home feeling”. Un’altra tappa fondamentale è stata la decisione di stringere un legame con il mondo dell’arte attraverso le collaborazioni con alcune delle maggiori gallerie e istituzioni culturali come La Triennale di Milano, Art Basel – di cui siamo host partner – e Peggy Guggenheim Foundation di cui siamo institutional patron, che ha portato anche alla creazione di Sanlorenzo Arts, un autentico produttore di cultura e design. In questo percorso trasversale si colloca anche il nostro interesse al Padiglione Italia alla 59. Esposizione Internazionale d’Arte - La Biennale di Venezia, dove siamo main sponsor.

In un ottimo articolo pubblicato su Il Foglio lei aveva parlato non solo di Sanlorenzo ma anche del contesto globale, caratterizzato da una crescita esponenziale del settore del lusso, mettendone in evidenza luci e ombre. Come vede il futuro e il ruolo della sua azienda? Noi riusciamo ad essere un’azienda forte quando le cose vanno bene ma anche resilienti nei momenti di difficoltà. Abbiamo continuato a lavorare e a crescere anche durante la pandemia e continueremo a farlo in futuro. Il nostro obiettivo è quello di una crescita garbata e costante, che ci permetta di mantenere elevati standard qualitativi di prodotto e servizio, le caratteristiche principali del nostro business model che si è rivelato vincente in passato e che credo fortemente lo sarà anche nei prossimi anni. Sanlorenzo è stata pioniera in diversi ambiti, dalla tecnologia, al design, all’arte. Abbiamo introdotto innovazioni che i nostri concorrenti hanno iniziato a utilizzare dopo di noi ed è quello che continueremo a fare, evolvendo senza mai tradire l’identità aziendale e mantenendo delle linee e uno stile riconoscibili.

Quali sono le sfide principali da affrontare? La sfida più importante è sicuramente quella della sostenibilità ambientale. Stiamo lavorando costantemente con i nostri partner tecnologici per dotare le nostre barche di motori ibridi o diesel/elettrici in modo da migliorare sempre di più l’impatto ambientale sull’ecosistema marino. A questo scopo lo scorso anno abbiamo firmato un accordo con Siemens Energy per dare vita a tecnologie inedite come sistemi Fuel cell a metanolo per la generazione di corrente elettrica a bordo, sistemi di propulsione diesel elettrica di nuova generazione per l’applicazione su modelli di yacht oltre i 50 metri, sistemi di propulsione ibrida di nuova generazione destinati all’utilizzo su imbarcazioni sotto i 50 metri. Stiamo andando in una direzione che permetterà uno sviluppo di minori consumi, un modo più intelligente di andare per mare e la possibilità di riciclare il più possibile i materiali utilizzati. Crediamo che unendo le rispettive esperienze e risorse potremo rispondere al meglio alle sfide nell’ambito della sostenibilità sviluppando per primi una nuova generazione di tecnologie che segnerà un importante cambio di rotta nel settore dello yachting.

Tre viste del motoryacht Sanlorenzo SL120A, interior design Zuccon International Project (ph. © Thomas Pagani).

Sergio Buttiglieri, dal 2006 Style Director di Sanlorenzo, per oltre vent’anni era stato direttore tecnico di Driade. Il suo ruolo di definizione delle linee guida del design del cantiere ha reso possibili i contributi inediti di alcune delle firme più autorevoli dell’architettura e del design: da Rodolfo Dordoni, Antonio Citterio, Patricia Viel, Patricia Uquiola a Piero Lissoni, che di Sanlorenzo è Art Director.

La comune percezione del lusso

di Sergio Buttiglieri, Style Director di Sanlorenzo

Quando i media parlano di yacht spesso li associano al lusso stereotipato, con interni kitsch come le orride ville dei Casamonica. Non parlano mai di come la nautica italiana sia leader assoluta nel mondo: in Italia si produce circa il 50 per cento di tutti gli yacht che si costruiscono nel mondo. O di come l’80 per cento degli armatori arrivi dall’estero: potrebbero ordinare lo yacht ai cantieri navali dei loro Paesi, eppure alla fine scelgono l’Italia. Una ragione ci dev’essere. E questa ragione prima di tutto è il gusto italiano. Il nostro cantiere navale, nato nel 1958 a Limite sull’Arno, con la direzione di Massimo Perotti, Ceo e chairman di Sanlorenzo dal 2005, è diventato famoso in tutto il mondo per la sua qualità e il suo stile divenendo anche quest’anno il secondo cantiere navale al mondo per yacht oltre i 24 metri. Con un gusto raro in questo universo spesso incredibilmente scollegato dal fermento del design contemporaneo, l’unico ad aver avuto la capacità di dialogare con le più importanti firme del nostro Made in Italy e questo è sicuramente uno degli elementi distintivi del nostro cantiere. Nel dicembre 2019 Perotti, cavaliere del lavoro, ha portato Sanlorenzo in borsa nel segmento Star, ed è stato nominato miglior imprenditore dell’anno dalla società di consulenza Ey. In un’area di poco più di un miglio marino, nel cuore del Golfo dei Poeti, sorgono le aziende che rappresentano la punta di diamante della nautica mondiale. Una realtà unica che ha deciso di darsi una forma concreta attraverso la creazione di un nuovo distretto produttivo dedicato alla nautica e a tutte le attività ad essa connesse grazie alla stesura del protocollo d’intesa Il Miglio Blu - La Spezia per la Nautica. Che cosa ci invidiano all’estero e che così tanto affascina anche i designer d’oltralpe? Innanzitutto la versatilità delle nostre imprese, soprattutto quelle di piccole e medie dimensioni, che sanno risolvere problemi che ad altri sembrerebbero irriducibili. Il nostro cantiere ha poi quella capacità artigianale diffusa a macchia di leopardo in molte zone d’Italia e che permette di realizzare le eccezioni della nautica italiana come in passato il bel design dei grandi maestri come Castiglioni, Mari, Magistretti, Albini, Scarpa, Munari, Sambonet o Zanuso, grazie a imprenditori atipici come Brion, Cassina, Zanotta, Gandini, Alessi, Gavina, Olivetti, Astori. Qui sta la grandezza dell’imprenditoria italiana: la capacità di pensare all’inconsueto e di renderlo possibile. Si tratta di un fattore che affascina i designer internazionali che bussano alla porta delle nostre aziende consapevoli del fatto che solo qui c’è un indotto e una creatività imprenditoriale che in tutti questi anni hanno reso concreto il Made in Italy. l’ADI - Associazione per il Disegno Industriale – ha, non a caso, conferito il Compasso d’Oro 2020, il premio più autorevole nel mondo del Design, alla nostra installazione Il Mare a Milano del 2017, una mia idea che Perotti appoggiò subito con entusiasmo. Siamo inoltre felici della selezione dell’Adi Design Index che ci candida al Compasso D’Oro 2022. Tutte le difficoltà che normalmente i designer incontrano nell’apportare innovazioni significative nel settore nautico derivano proprio dal fatto che lo yacht è un mito del nostro tempo, ed essendo il mito un metalinguaggio, il pericolo è che le cose diventino immutabili. Si può così comprendere la cristallizzazione delle consuetudini nautiche, la chiusura alle novità stilemiche e l’eterno rinvio a quel prototipo immobile del mito legato alle forme e ai materiali del passato. Con il mio lavoro in Sanlorenzo e la mia precedente ventennale esperienza in Driade, dove ho avuto modo di interagire con i più importanti designer contemporanei, ho sempre cercato di abbattere questo immobilismo e, grazie a Massimo Perotti che mi ha appoggiato senza tentennamenti, penso di esserci riuscito. Sanlorenzo non si adagia sugli allori e prosegue l’inserimento di altre grandi firme internazionali nel suo prestigioso catalogo. Ad esempio, quella del più noto e ammirato architetto minimalista al mondo, John Pawson, che sta disegnando per noi l’interior del nuovo superyacht X-Space. È esemplare ciò che aveva dichiarato Philippe Starck per spiegare perché preferisse lavorare con imprenditori italiani: «Perché sono un designer di mobili italiani? Perché soltanto in Italia esistono persone degne di questo nome. Quando parli ai fabbricanti di mobili francesi – generalmente lo evito – hai davanti delle persone che fanno: allora signor Starck, pare che i suoi disegni rendano quattrini. Non può disegnarmi qualche mobile? Pausa. A quel punto dico loro: lo mettereste a casa vostra? Ah no, la mia vita è la mia vita e la mia industria è la mia industria. Li saluto e arrivederci. Qui in Italia, quando si presenta un progetto a Claudio Luti di Kartell, a Enrico Astori di Driade, a Piero Gandini di Flos, a Umberto Cassina di Cassina, è un vero piacere. Amano il progetto, l’amano con passione. Con loro non c’è bisogno di spiegare, non c’è bisogno di parlare. L’industriale italiano ha seguito questo tipo di cultura. Una cosa deve avere una data forma in un dato momento; un oggetto deve essere fatto in un dato momento; alcune cose non sono da fare. È questo l’aspetto straordinario, è l’armonia» ■

Ph. © Matthias Ziegler Piero Lissoni (1956), si laurea in Architettura al Politecnico di Milano. Nel 1986 fonda, con Nicoletta Canesi, lo studio Lissoni Associati, con sedi a Milano e New York, e sviluppa progetti a livello internazionale in architettura, nel product design, nella grafica e, con Graphx (fondata nel 1996), progetti di comunicazione visiva. Ha lavorato per innumerevoli brand del design internazionale e ricevuto numerosi riconoscimenti, tra cui il Compasso d’Oro 2014. Dal 2005 è membro della Hall of Fame dell’I.D. Magazine International Design Award.

Passeggeri clandestini

UNA CONVERSAZIONE CON PIERO LISSONI, ART DIRECTOR DI SANLORENZO di Carlo Ezechieli

Piero Lissoni è da decenni una delle figure di spicco del design e dell’architettura a livello internazionale. Approdato al mondo del design nautico, in tempi abbastanza recenti Lissoni ha contribuito alla rivoluzione di un settore che per decenni è rimasto ancorato a pure questioni stilistiche. Lo raggiungo nel suo studio di Milano, il luogo dove inizia il racconto della sua esperienza in Sanlorenzo.

Disegnare yacht, campo specialistico, come ti trovi? È un mondo che mi piace, che mi intriga, ma all’interno del quale tutto sommato continuo a sentirmi un clandestino. Alla fine, non mi appartiene cosi come non mi appartiene il mondo dell’architettura, e nemmeno, infine, quello del design. Mi piace sapermi muovere all’interno di questi mondi ma se devo sembrare un intellettuale, mi piace applicare il modello umanistico, mantenere un approccio il più ampio possibile. Insomma io sono un clandestino. E me ne vanto.

E da clandestino cosa si scopre? Il mondo della nautica mi ha sempre sorpreso, in senso negativo. Il mondo degli yacht è incredibilmente sofisticato, molto avanzato, da tutti i punti di vista. Ma è anche vero che i valori estetici dai quali prende l’impronta, finita l’epoca d’oro dei grandi miliardari degli anni ‘50 e ‘60 che costruivano delle meraviglie, è diventato un mondo da show-off, che ha imbalsamato criteri senza senso. Quando incominciai a lavorare con Sanlorenzo nel 2016, la prima cosa che chiesi a Massimo Perotti fu se intendeva continuare su quell’impronta. Anche se cascavo bene, perché Sanlorenzo aveva già affidato il design di un paio di yacht ad Antonio Citterio e a Rodolfo Dordoni. Eravamo già sulla buona strada, tanto che Sanlorenzo è sponsor del lounge di Art Basel di tutto il mondo. A quel punto ho potuto introdurre altri autori come Patricia Urquiola, Christian Liaigre, John Pawson. E poi bisogna considerare che, se il mondo dell’architettura è abbastanza autoreferenziale, quello dello yacht design è estremamente autoreferenziale. Si distingue per una rigidezza, per non dire supponenza, fuori misura. E pensare che nel progetto di edifici la complessità è pari, se non superiore, ma è ben raro trovare qualcuno che si consideri detentore di un sapere assoluto, refrattario a nuovi linguaggi.

E che spazio c’è per l’innovazione? In realtà avevo seguito due progetti di barche prima di Sanlorenzo, uno in particolare per Luciano Benetton. Lui non voleva uno yacht, io non volevo uno yacht. Voleva un incrocio tra una nave militare e una nave per esplorazione, quello che poi sarebbe diventato esempio per un tipo oggi molto diffuso chiamato explorer. Ho avuto l’occasione di introdurre un concetto simile a quello di un open space. Una specie di villa galleggiante. Mai visto nel design nautico, che invece si distingue per un dedalo di stanzine e stanzette. Nell’architettura per fortuna c’è sempre molta contaminazione, c’è più vita, c’è più mondo, insomma è più aperto.

Ricordi la famosa frase di Leon Battista Alberti, la casa è una piccola città è la città è una grande casa. Uno yacht che cos’è: una città, una casa, un prodotto di design o niente di tutto questo? O è tutto questo messo insieme. Perché devi ragionare tecnicamente su un oggetto che porta tutti i prodromi del design ed è un mondo che riguarda un corpo molto complicato. D’altro canto è uno spazio abitabile, forse non è proprio una città, ma dal punto di vista del progetto degli spazi è propriamente un’architettura, dotata dei propri sistemi relazionali interni ed esterni.

Dicevi di non appartenere né al mondo della nautica, né all’architettura, né al design. E questo lo trovo davvero interessante perché rivela un approccio umanistico, aperto a diverse influenze, forse ancor più utile nel confronto con un’area come il progetto degli yacht. Devo dire per prima cosa che non mi piacciono le etichette, le generalizzazioni. Ho fatto diverse cose nell’architettura, nel design e nella grafica ma non mi sento né l’uno, né l’altro né l’altro ancora e, naturalmente, la stessa cosa vale per la mia esperienza con gli yacht.

Come Le Corbusier la cui carta di identità, alla voce professione, riportava “uomo di lettere”? Come professione mi definirei un curioso. Praticamente un impiccione di professione. Una specie di portinaia. Questo sì lo riporterei sulla carta d’identità.

E qual è l’aspetto più determinante nel design degli yacht? L’aspetto tecnologico. Personalmente, non credo sia possibile progettare alcunché riferendosi unicamente allo stile. Ci serve una scommessa che permetta di cambiare i limiti o i linguaggi, altrimenti un progetto perde qualsivoglia interesse. Abbiamo portato un’impronta da architetti che progettano edifici, che è un campo in cui non inventi nulla, sono procedimenti molto codificati. Su questi edifici che galleggiano è necessario ragionare in modo differente: ho visto soluzioni straordinarie sulle quali si innestavano cose fatte completamente a casaccio.

E quanto dell’esperienza sugli yacht hai potuto traslare sul progetto degli edifici? Molte cose in verità. Soprattutto quelle che riguardano i flussi di movimento all’interno della barca. I corridoi ad esempio. Quando fac-

Sopra, Lissoni&Partners, cantieri Sanlorenzo, Superyacht Division, La Spezia (ph. ©Simone Bossi).

cio una casa li tolgo, sono spazi sprecati, le barche invece ne sono piene. E anche qui ho tolto i corridoi, aprendo opportunità incredibili, ma è chiaro che questo comporta una revisione completa dell’impianto distributivo interno.

È vero che gli yacht da settore di nicchia assoluta, acquistano sempre più interesse in architettura. Ma rimane un prodotto di élite che, come del resto diceva Massimo Perotti, coincide con un cambiamento a livello sociale. Come la vedi? Senza dubbio è aumentato il numero di persone che può comprarsi uno yacht. Ma lasciamo perdere le questioni ideologiche. Quello che è vero è che si tratta di una vera industria. Dietro a questo modello di vita da film, immersa nel lusso, c’è una filiera di persone con un livello di competenza e di capacità incredibile. È un mondo straordinario. Con un substrato culturale estremamente sofisticato. E sono opere che non vengono fuori dal nulla ma da centinaia di migliaia di ore lavoro, svolto con un livello di raffinatezza supremo, che sconfina nell’arte. È per questo che vado su tutte le furie quando vedo questi gioielli sconciati da decorazioni in pelle di leopardo, tartarughe, vetri satinati, cerchi d’oro, corna di renna e così via.

L’ultima domanda, e questa è difficile. Design e architettura: cosa manca di più oggi nel mondo? Avremmo bisogno solo di un po’ di silenzio. Visivo e, adesso un po’ mi contraddico, anche di parole ■

Accanto, il flying bridge e una vista interna del Sanlorenzo SX88, interior design Piero Lissoni (ph. ©Leo Torri).

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